Rascel Renato (Ranucci Renato)
Nome d'arte di Renato Ranucci (Torino, 27 aprile 1912 – Roma, 2 gennaio 1991), è stato un attore, comico, cantautore e ballerino italiano.
Biografia
Infanzia e adolescenza da figlio d'arte
Renato Rascel nasce a Torino il 27 aprile del 1912, durante una tappa della tournée della compagnia d'arte in cui lavorano suo padre Cesare Ranucci, cantante di operetta, e sua madre Paola Massa, ballerina classica. Riceve il battesimo nella basilica di San Pietro secondo il desiderio del padre, romano da ben sette generazioni, ed alla città eterna la sua vita resterà sempre legata.
Affidato dai genitori ad una zia, a causa del loro lavoro che li costringeva a continui spostamenti, Renato cresce a Roma, nell'antico rione di Borgo, insieme alla sorella Giuseppina (scomparsa prematuramente a soli diciassette anni). Frequenta la Scuola Pontificia Pio IX, gestita dai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia i quali, oltre ad impartire l'insegnamento scolastico, organizzavano corsi di canto, musica e recitazione. Già durante la partecipazione a queste attività Renato mostra i segni del suo precoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, all'età di dieci anni, del Coro delle Voci Bianche della Cappella Sistina, allora diretto dal Maestro don Lorenzo Perosi. Sempre in questo periodo si esibisce per la prima volta in pubblico come batterista di un complesso jazz di dilettanti scritturato dal Circolo della Stampa.
Poco tempo dopo debutta in teatro a fianco del padre, divenuto direttore della filodrammatica "Fortitudo", nel dramma popolare Più che monelli, dove interpreta la parte di un ragazzino che muore a causa di un sasso tiratogli da un compagno di giochi.
Consapevole del fatto che la carriera artistica non è tra le più facili e remunerative, il padre cerca di avviare Renato a lavori più sicuri e redditizi. Per qualche tempo lavora come apprendista calderaio, muratore e garzone di barbiere, ma il richiamo dell'arte è troppo forte per lui. Renato ha solo tredici anni quando viene scritturato in pianta stabile come musicista dal proprietario del locale "La Bomboniera", ed in seguito suonerà alla "Sala Bruscolotti", noto ritrovo della Capitale. A quindici anni entra a far parte del complesso musicale "Arcobaleno". L'impresario teatrale napoletano Luigi Vitolo, notata la sua esuberanza, lo spinge ad improvvisare negli intervalli dell'orchestra numeri di danza e di arte varia che riscuotono ilarità e successo dal pubblico.
Gli anni '30
All'inizio degli anni trenta, e dopo un lungo tirocinio in compagnie di avanspettacolo, Renato Ranucci decide di scegliersi un nome d'arte e sceglie casualmente quello di "Rachel" (dal nome di una cipria francese molto famosa in quel tempo); tuttavia, poiché, come ammetterà più tardi in alcune interviste, sono in molti a sbagliarne la pronuncia, decide di sostituire la "ch" con "sc", onde evitare errori. Successivamente gli viene addirittura imposto il nome italianizzato di "Rascele" in ottemperanza alle direttive emanate da Achille Starace per conto del regime fascista, malgrado le resistenze del giovane ma arguto Renato che pare abbia risposto: «Cambiate prima Manin in "Manino", e poi ne riparliamo».
Nel 1932 Rascel viene scritturato dalla compagnia teatrale dei fratelli Schwartz per recitare la parte di Sigismondo nell'operetta Al cavallino bianco, con la quale debutta al Teatro Lirico di Milano il 24 febbraio del 1933, venendo notato dal critico teatrale Renato Simoni, che in un suo articolo loda le sue qualità acrobatiche. È in questo periodo che matura la decisione di creare un suo personaggio originale e libero dai manierismi recitativi dell'epoca, un omino dall'aria candida che declama monologhi assurdi, ricchi di spericolate invenzioni linguistiche (talvolta a doppio senso). L'aspetto fisico gracile e minuto, accentuato da una palandrana troppo grande con un taschino sulla schiena, insieme alle sgangherate battute comiche talvolta inventate sul momento dalla sua fervida fantasia, ne fanno un personaggio decisamente anticonformista. Gli esordi non sono incoraggianti, ma durante una fatidica serata al cinema-teatro Medica di Bologna il pubblico, composto in grande maggioranza da studenti, dopo attimi di muto sbalordimento esplode in applausi e addirittura lo porta in trionfo. Rascel capisce allora che saranno le generazioni più giovani ad apprezzare la sua "nuova" comicità, ed a trovare nelle sue battute senza senso l'antidoto al clima oppressivo dell'epoca. Nasce così la comicità di Rascel, nuova e diversa rispetto a quanto offre il panorama artistico dell'epoca che si basa principalmente sui doppi sensi sessuali più o meno velati. Al contrario Rascel inaugura un umorismo più ingenuo e disarmante, a volte anche infantile e surreale, che si caratterizza per l'imprevedibilità e la repentinità delle trovate, spesso improvvisate, che spiazzano il pubblico anche per la fisicità con cui l'attore tiene il palcoscenico, con "prestazioni" che non di rado evidenziano non comuni doti atletiche. La rappresentazione teatrale diviene allora quasi una gara, spesso frenetica, che Renato vuole vincere ad ogni costo e non demorde, né si scoraggia, qualunque sia il pubblico che ha davanti.
Nel 1939, durante una pausa in camerino, scrive di getto le prime strofe di quella che suona come un'altra delle sue surreali filastrocche: "È arrivata la bufera / è arrivato il temporale / chi sta bene e chi sta male / e chi sta come gli par", che il pubblico accoglie con una risata generale e liberatoria, quasi a voler sdrammatizzare l'addensarsi sull'Europa di un nuovo conflitto bellico a cui le parole della canzone sembrano fare riferimento neanche troppo velatamente.
Ed in verità con la censura Rascel avrà non poche grane, ripetutamente braccato da pignoli burocrati che si ostinano a vedere nei testi dei suoi bizzarri componimenti, che portano titoli come Mi chiamo Viscardo, La canzone del baffo, Torna a casa che mamma ha buttato la pasta e La canzone della zanzara tubercolotica, chissà quali reconditi significati ostili al regime. Di questi "incerti del mestiere" Rascel si prenderà una successiva rivincita con una scenetta del film Gran varietà del 1953 in cui interpreterà se stesso ed il personaggio del censore in epoca fascista e post-fascista.
È arrivata la bufera!
Finché non incontrai Pasquale Frustaci. A Milano. Dall’editore Bixio. Io ci andavo a piegare i pianoforti per tirar su qualche lira e lui ci faceva il maestro. Gli dissi: “Pasqua’, vorrei fa’ ’na canzoncina scema”. “Scemo me pari tutto te”, mi disse lui, che sempre aveva scritto delle splendida musica come Barca napulitana e non poteva capire. Ma poi lo convinsi. E venne fuori Chiudo gli occhi e penso a te: “Quando vedo un funerale, quando passo per le scale, chiudo gli occhi e penso a te”, roba di un’avanguardia, di un antesignano pazzesco, lei deve riconoscere che non ho mai imitato nessuno. Che non ho preso né da Petrolini né da altri. Che La bufera, Il gaucho appassionato, Napoleone o Il corazziere son proprio farina del mio sacco e basta. La prima macchietta? L’omino con la tasca di dietro. Conoscevo un sarto che a noi artisti ci faceva gli smoking e i tight a rate. Be’: andai da lui e gli dissi: “Adducchio: tu me devi fa’ ’n abito”. “E io l’abito te lo faccio”, disse lui. Però quando gli spiegai di cosa si trattava si mise a strillare che pareva ’n’aquila. “E come te lo dovrei fa' ’sto abito?”, strillava: “Coi pantaloni larghi larghi, la giacca lunga lunga, il taschine di dietro e la caciottella in testa? Aho, io ’na schifezza cosi nun te la faccio proprio”, e invece poi convinsi pure lui, e siccome erano i tempi che andavo sempre da un certo Michele Carrino, a Genova, che era proprietario del Politeama, gli telefonai. “Miche”’, gli dissi: “ho un numero nuovo che è ’na bbomba”. E lui: “Guarda Renato che deve essere nuovo sul serio, guarda che col solito tap dance non ti posso più far venire...” Morale: ci vado e presento quell’omino li che esce di scena a passettini piccolissimi tenendosi per il retro della giacca. Un’ovazione. Tutti a grida': bis, bis... Gli faccio il bis e anche il tris. E quando esco, Carrino a momenti mi sbrana. “Si può sapere perché diavolo non gli hai cantato un’altra canzone?”, mi fa. “Perché non ce l’ho”, dico io. “Come”, fa lui, “una canzone stupida come quella tu non ce l’hai?”. “Non ce l’ho no”, dico io, che prima di ritrovare un successo simile finisco pure al circo.
C’è il problema delle 12 e delle 19, capisce? Voglio dire che non so come mettere insieme il pranzo con la cena e allora vado da due amici miei, due cascatori che a Milano a Porta Genova hanno i genitori proprietari di un piccolo circo e son stati persino al Palladium di Londra: Cesare e Clement. Be’, io gli spiego i miei guai, loro mi dicono: “Da noi la zuppa è assicurata”, e cosi cominciò tenendo la scaletta ai trapezisti e portando in pista i cubi di legno per farci montare sopra le bestie. Imparo anche il salto mortale: mi mettono la loncia, la corda che ti legano in vita e uno la tiene di qua uno di là in modo che se sbagli la tirano e non sbatti la capoccia, e io salto. Imparo a fare il clown. Ma soprattutto imparo il senso della famiglia, del volemose bbene e del io-aiuto-te-e-tu-aiuti-me, ché, laddentro, è un collettivo dove tutti sono uguali.
(...) Io continuai a fare il comico, che era il mio mestiere, ma valla tu a divertire la gente con quello che gli era capitato tra capo e collo. A me, quando uscivo sul palcoscenico, mi pareva di vedermi davanti tante facce stralunate che non sapevano più quello che volevano. Allora, un giorno, mentre ero nel camerino del teatro Reposi di Savona, dove mi esibivo con le sorelle Di Fiorenza in una compagnia di avanspettacolo che aveva la sua vedette in Fabrizi, tutto d’un botto mi viene di mettermi a canticchiare una filastrocca senza senso. “Ahò, ma che sei uscito matto?”, mi fa Fabrizi che mi sente. Io però insisto, perché se non insisto scoppio: cosi nasce È arrivata la bufera.
“Quando scende in ciel la sera - ed infuria la bufera - più non canta capinera - è finita primavera - vi saluta e se ne va -buona sera buona se’... - L’acqua scende e bagna tutti - siano belli siano brutti -siano grandi oppur piccini - metà prezzo ai militar... - Con l’acqua che scende che scroscia e che va - Pierino è in angosce -galosce non ha... - È arrivata la bufera - è arrivato il temporale - chi sta bene e chi sta male - e chi sta come gli par...”.
Embè, questa canzone mi toccò di cantarla poi anche a Roma, nel 1944, quando c’erano i tedesconi che ci occupavano, e quelli mica occupavano per scherzo, tu lo sai. Io attaccavo un po’ con la tremarella, perché la gente appena mi sentiva faceva l’ammicco, e io mi domandavo, che vuoi?, non ne potevo fare a meno; mi domandavo, capisci?, ma ’sti tedesconi che ci occupano, lo capiscono l’ammicco, si o no?
Non lo capivano. E ridevano anche loro, i tedesconi occupanti, quando dicevo: “Un uomo si scuote - fa un salto mortale - il padre lo bacia - lo bacia suo padre - gli dà un altro bacio - e una scarpa sul naso - e poi un altro bacio - poi ci ripensa: gli ridà un’altra scarpa sul naso -e poi un altro bacio - poi lo guarda bene bene: paff - e gliene ammolla un’altra - poi dice: be’, questo se gli faccio un naso grosso - cosi a casa mia non ce vie’ più...”.
Perché mi mettevo a scrivere queste filastrocche sconclusionate? Ma perché ero stufo, arcistufo della comicità scollacciata dell’epoca e poi perché mi veniva la morte a sentire le canzoni che tutti cantavano, canzoni sdolcinate e stucchevoli piene di mamme come quella del minatore dal volto bruno che come lui non ce n’è nessuno o grondanti di lacrime come Villa triste con quei mandorli nascosti sui quali poche gocce son rimaste.
Insomma, mi parve che fosse giusto smitizzare quel mondo fasullo e lo feci con le mie parodie che incontrarono il favore del pubblico, perché anche il pubblico cominciava a essere scocciato. Tra le altre, lanciai la parodia del “gaucho appassionato abbandonato nella pampa in fiore solo e senza amore chissà perché”.
Il gaucho si lamenta in tal modo: “E quando vien la sera - me dico una piegaria - se l'aria è cupa e nera - mi viene l’orticaria... - Son giovane e fiero - son forte e tenace - se manca la luce - rimango allo scuri”.
Renato Rascel
Rascel il corazziere
Con Il cielo è tornato sereno propongo il mio spettacolo più grosso. Siamo nel ’47-’48. Ma siccome non sono né Macario, né Totò, né Taranto, siccome il mio nome non “chiama”, è un mezzo disastro. L’anno dopo ci riprovo con Non è successo niente. Giovanni Amati, quello dei cinema, mi scrittura per l’Adriano di Roma avvertendomi che non ammetterà neanche cinque minuti di ritardo sul debutto. Arriva il 5 dicembre, il giorno fatidico, e ancora siamo assolutamente impreparati. Lo supplico di darmi una dilazione, lui non accetta, ed è un inferno. I ballerini scivolano sul talco sparso sul pavimento; le corde del sipario son state legate insieme e dopo ogni quadro si alza il telone a metà; le 12 girls 12 han da fare due numeri a distanza, ma tanta è la fretta che me ne trovo davanti sei agghindate per una scena, sei per un’altra e non c’è il tempo di rimediare. Poi, il massimo: si rompe il sole, un enorme cerchio di vetro giallo che, con un riflettore dietro, deve rappresentare appunto quell’astro lì. È il caos. Io sto tornando tra le quinte già stravolto per la jella e sento 'sto baccano. “S’è rotto il sole”, mi fa Dante Bisio, pallido come un giglio pallido. “S’è rotto che cosa?”, dico io. “Il sole”, fa lui. E mi spiega che stava appoggiato per terra, gli è caduto sopra un martello e s’è rotto. Che posso fa'? Esco colla faccina tutta contrita e dico al pubblico: “Mi dispiace, signor-ma si è rotto il sole”. E quelli giù a ridere. Credono che scherzi. “C’è poco da ridere", dico io: “il sole s’è rotto sul serio”.
E loro a sbellicarsi nelle poltrone. Almeno fosse finita! Invece no. In compagnia c’è una certa Gianna Dauro, è l’epoca che si cominciano a chiamare in rivista gli attedi prosa e quelli si degnano. Be’: s’era degnata pure lei. Però voleva la cosa clinica. Io e Paolacci l’avevamo capito, eh; la stoffa non ce l'aveva. Ma lei, dura. : la cosa comica o niente. E cosi, dato che era il momento delle miss, la Gi Vi Emme eleggeva miss dappertutto, erano miss la Lollobrigida, la Bosè eccetera, le avevamo preparato Miss Suicidio, una cosetta che poi diventava “mi suicido” ed era anche abbastanza divertente. Io sto in camerino a prega’ santa Rita che faccia fini’ lo spettacolo e all’improvviso me arriva un’eco de fischi, de pernacchie, una gazzarra incredibile. Poi m’arriva un collaboratore. “La Dauro se n’è annata”, fa. “’Ndove?" dico io. “Alla toilette?” “No, no: annata proprio. S’è cambiata, s’è fatta la valigetta sua e se n'è annata”. E difatti ancora oggi la devo incontrare.
Per fortuna, in tutto quel disastro e nato Il corazziere, io cosi nano che mi presento con l’elmo e la divisa cantando “Mamma ti ricordi quando ero piccoletto che me ce voleva la scaletta pe’ anna’ a letto e adesso sono corazziere”, un successo strepitoso, la gente si sbellicava chiedeva i bis, i tris, insisteva, insisteva, e io non avendo niente di alternativo reinventai li per li il discorso dei cadetti: “Eravamo a Caianello che facevamo i cadetti quando arriva uno che mi dice: "Scusino, loro fanno i cadetti?". "Si". "Be' allora me ne faccia due’”, io i miei discorsi li ho sempre inventati in scena, scrivere: “Lui deve dire: "Signora, il brodo come lo prende?", e lei, facendo segno nella scollatura, "me lo metta tutto qui’’, m’avrebbe fatto mori’ de vergogna, me sarebbe parso orrido, mentre invece se lo tiravo fuori davanti al pubblico e il pubblico rideva non c’erano cristi: significava che andava benissimo. M’è capitato lo stesso anche con Napoleone, quando improvvisai: "Mi sposto dal Manzanarre al Reno. E mo’ co’ 'sto Reno spostato, un dolore, ma un dolore...”, io la satira l'ho sempre fatta sui miti: sulla politica e sugli uomini di Stato mai, la politica la ritengo una cosa troppo seria, io sono socialista, mio nonno era socialista, mio padre era socialista, vero è che ho lavorato tutta la vita, e ancora sto qua a lavorare e non sono miliardario. Ma sulla scena il dovere mio è diverti’ il pubblico. E per divertirlo che faccio: gli leggo Gramsci? Eh, no: il comizio non spetta a me, il pubblico non è che mostra la tessera, per entrare: paga. E ha pure il diritto di dirmi che parla meglio Berlinguer.
Prenderli in giro garbatamente, è ovvio; io son sempre rimasto sul garbato, la satira del corazziere, questo omino piccolissimo che sul dramma suo dice: “Quando andiamo appresso a una vettura dobbiamo essere tutti alti di statura / perciò io cammino tutto dritto appresso al cocchio e i miei compagni marciano in ginocchio”, è di un garbo incredibile, vero è che i corazzieri mi adorano, l’ultima volta che ci sono stato e c’era Saragat, tutti li a scherza’ “ma perché non sei venuto in divisa” eccetera. Io anche quando c’era la censura solo una volta ebbi un guaio: quando scrissi la storiella dell’obiettore di coscienza. Era il momento in cui a Bologna gli si facevano tutti quei processi. Be’: io mettevo in scena un soldatino e un ufficiale. L’ufficiale diceva: “Va', mio prode: il mio cuore e il mio pensiero ti seguono”. E il soldatino: “Lei no, però”. Poi il soldatino s’avviava verso la frontiera e li c’era il nemico, che si girava e aveva la maschera della mia faccia identica. Io gli dicevo: “Chi va là”. E lui: “Alto là”. Poi mi accorgevo che era la copia mia sputata e gli dicevo: “Renato mio”. E lui: “Renato tuo”. Cosi tornavo da questo ufficiale: “Guardi che il nemico è un amico mio, si metta d’accordo col generale nemico di questo amico mio sennò io di là non ci vado”.
Be’: questo copione mi tornò dalla censura completamente depennato. E io me lo ripresi sotto il braccio e andai da De Pirro: “Senti, Nico' ”, gli dissi, “arrestatemi pure ma t’avverto che 'sta roba io la faccio”. E difatti fu un successo enorme e non mi arrestò nessuno.
Renato Rascel
L'esordio sul grande schermo
Il personaggio di Renato Rascel, oltre al successo nel teatro di rivista, aveva attirato l'attenzione di scrittori del calibro di Cesare Zavattini e Vittorio Metz, che scrive per lui il soggetto e la sceneggiatura del suo primo film. Nel 1942 hanno quindi inizio le riprese del film che doveva intitolarsi Un manoscritto in bottiglia, ma durante la lavorazione Rascel conosce l'attrice Tina De Mola, della quale si innamora e scrive per lei la canzone Pazzo d'amore, che diventerà la colonna sonora ed il titolo del film, diretto da Giacomo Gentilomo. Il 19 luglio del 1943 Rascel e Tina De Mola si sposano, ma pochi mesi dopo in seguito alla caduta del fascismo ed all'occupazione di Roma da parte dei nazisti, Rascel e la moglie, invisi alle autorità occupanti, furono costretti a nascondersi trovando rifugio in Vaticano. In seguito Rascel manifesterà la propria gratitudine per il suo salvataggio collaborando con la sezione propaganda e stampa della DC e partecipando al film di propaganda Ho scelto l'amore.
La carriera del "Corazziere"
Dopo la fine della guerra, Rascel torna al teatro di rivista con la nuova macchietta del "piccolo corazziere", altro personaggio incentrato sul contrasto tra la sua bassa statura e l'elmo e lo sciabolone d'ordinanza. Il 1952 è per lui l'anno della svolta, poiché interpreta per la regia di Alberto Lattuada il film Il cappotto, tratto dal racconto di Nikolai Gogol. In questa pellicola per la prima volta Rascel interpreta un ruolo drammatico, e dimostra oltre ogni dubbio di essere un attore completo. La sua interpretazione gli frutterà l'ambito riconoscimento del Nastro d'argento. Sempre nello stesso anno, il 15 dicembre debutta al Teatro Sistina di Roma con Attanasio cavallo vanesio, che sarà la prima delle "favole musicali" scritte appositamente per lui da Garinei e Giovannini, a cui faranno seguito nel 1953 Alvaro piuttosto corsaro e nel 1954 Tobia, candida spia.
Durante gli anni cinquanta Rascel gira diversi film, interpretando spesso il personaggio dell'antieroe timido e impacciato, che alla fine riesce quasi sempre a trovare la felicità e l'amore. Sono di questo periodo pellicole come Amor non ho... però... però, dove recita insieme a Gina Lollobrigida, Figaro qua, Figaro là, dove riesce quasi a rubare la scena a Totò, ed altri titoli come Napoleone (dove ha come "spalla" Raimondo Vianello nelle vesti del generale Cambronne), Io sono il Capataz insieme a Silvana Pampanini e Il bandolero stanco che lo vede contrapposto al corpulento Tino Buazzelli.
La perfetta dizione e le qualità interpretative di Rascel gli fruttano l'esordio come attore radiofonico nel 1952 con una riduzione radiofonica delle Avventure del Barone di Münchhausen, andata in onda il 14 aprile di quell'anno. Nel successivo settembre, Rascel torna di nuovo alla radio con Una domanda di matrimonio, tratta da un testo di Anton Cechov, in cui interpreta la parte di Lomov. La garbata voce di Renato Rascel nel tempo diventerà una presenza regolare nei programmi radiofonici, sia in quelli di intrattenimento che in quelli di prosa, contribuendo in maniera rilevante alla sua popolarità.
Nel 1953 Rascel si cimenta inoltre per la prima (e unica) volta con la regia cinematografica, dirigendo se stesso, insieme a Valentina Cortese e a Paolo Stoppa, ne La passeggiata, un film ancora tratto da un racconto di Gogol (La prospettiva del 1835), che non riuscì a ripetere il successo del Cappotto, probabilmente a causa della trama, un po' troppo audace per l'epoca, che raccontava la storia di un timido istitutore di collegio, il quale si innamora di una prostituta, suscitando scandalo nella cittadina di provincia ove risiede.
Arrivato a godere di una vasta popolarità, Rascel decide di lasciare la rivista musicale per dedicarsi al teatro di prosa. Crea una sua compagnia denominata, non senza autoironia, "Teatro del Piccolo", mettendo in scena lavori come Bobosse di André Roussin e Gli agnellini mangiano l'edera di Noel Langley. Questa volta però i suoi sforzi non vengono coronati dal successo, e nel 1957 decide di ritornare in grande stile alla commedia musicale con Un paio d'ali, insieme all'affascinante Giovanna Ralli, con la quale debutta al Teatro Lirico di Milano il 18 settembre di quell'anno.
La fama internazionale
Nel 1957 Rascel acquisisce notorietà internazionale con la sua canzone Arrivederci Roma, che spinge un produttore cinematografico di Hollywood a proporgli di girare un film al fianco del tenore Mario Lanza. Nasce così The Seven Hills of Rome, girato in esterni a Roma ed in interni negli stabilimenti della Titanus, dove Rascel non sfigura al fianco del grande tenore americano e di Marisa Allasio. Il film verrà distribuito in Italia con il titolo Arrivederci Roma.
Nello stesso anno Rascel viene contattato da Tino Rossi, che gli chiede l'autorizzazione ad incidere la versione francese della sua famosa canzone. Tra i due artisti si instaura un sodalizio, fondato sulla reciproca simpatia ed ammirazione, che conduce Rascel ad accettare l'arduo incarico di comporre le musiche di scena dell'operetta Naples au baiser de feu, tratta da un racconto di Auguste Bailly e dal quale nel 1954 era già stato tratto un film, diretto da Richard Brooks e interpretato da Lana Turner dal titolo La fiamma e la carne. L'operetta andò in scena al Teatro Mogador di Parigi il 7 dicembre 1957, e vide comparire Rascel nell'insolita veste di maestro concertatore.
L'anno seguente Rascel ottiene l'annullamento del suo matrimonio con Tina De Mola, dalla quale si era separato diversi anni prima. Il sodalizio artistico tra i due continuerà comunque per diversi altri anni.
Nel 1958 è protagonista del film Come te movi, te fulmino!, diretto da Mario Mattoli, versione cinematografica della commedia musicale Un paio d'ali. Nello stesso anno inoltre interpreta il film Policarpo, ufficiale di scrittura per la regia di Mario Soldati, al fianco di una giovanissima Carla Gravina. Questa interpretazione gli vale il premio David di Donatello.
Alti e bassi televisivi
Nel frattempo erano iniziate le trasmissioni televisive anche in Italia, ed anche Renato Rascel si affacciò sul piccolo schermo con due trasmissioni "su misura" (è il caso di dirlo). Il primo si intitola 'Na voce, 'na chitarra e un po' di Rascel, confidenze musicali in chiave di basso e va in onda il 22 ottobre del 1955. L'altro è uno spettacolo musicale vero e proprio, con testi di Guido Leoni e Dino Verde, dal titolo Rascel la nuit, che viene trasmesso il 6 ottobre del 1956.
Il 14 dicembre del 1958 la prima puntata della sua trasmissione televisiva Stasera a Rascel City, da lui scritta (insieme a Guido Leoni) ed interpretata per la regia di Eros Macchi, fa registrare quello che ancora oggi viene ricordato come il più clamoroso insuccesso televisivo della RAI. I telespettatori, abituati a programmi di intrattenimento del sabato sera con eleganti presentatori e ballerine in costumi di paillettes, rimangono sconcertati nel vedere Rascel e gli altri partecipanti (tra cui Tina De Mola, Mario Carotenuto ed Ernesto Calindri) nelle vesti di barboni con abiti sdruciti e rappezzati che improvvisano uno spettacolo in un viale di una non meglio definita periferia urbana, e intasano di telefonate furibonde i centralini dell'azienda televisiva pubblica. Il giorno seguente tutti i critici televisivi dei maggiori quotidiani sotterrano lo spettacolo di Rascel sotto una marea di aggettivi niente affatto benevoli ed il copione delle rimanenti puntate viene ampiamente rimaneggiato, cercando di correre ai ripari.
Successo a Sanremo ed in teatro
Nel 1960 Renato Rascel, in coppia con Tony Dallara partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Romantica, da lui composta e con il testo firmato da Dino Verde. La sua interpretazione, melodica e molto "sussurrata" è in aperto contrasto con la versione di Dallara, che è uno dei cosiddetti "cantanti urlatori". Ma sarà proprio Dallara a portare alla vittoria Rascel e la sua canzone. La vittoria tuttavia non sarà senza polemiche in quanto Rascel verrà accusato di aver copiato la musica, dando adito ad una causa in tribunale che vedrà Rascel vincitore grazie ad una perizia di parte firmata da Igor Stravinski. La canzone parteciperà anche all'Eurovision Song Contest, classificandosi all'ottavo posto. Collabora con un altro grande artista, Alberto Testa, con la canzone Benissimo. Sempre nel 1960 è protagonista del film Il corazziere, basato su una sua vecchia macchietta riproposta nel musical Attanasio cavallo vanesio, film che ebbe un buon successo.
Nel dicembre del 1960 Rascel torna a calcare le tavole del palcoscenico del Teatro Sistina di Roma con la rivista Rascelinaria, nella quale ripropone gli sketch e le macchiette più popolari del suo repertorio. L'anno seguente fa il bis con Enrico '61, ispirata alle celebrazioni del centenario dell'Unità d'Italia, con Gianrico Tedeschi, Gisella Sofio, Renzo Palmer e Gloria Paul. Questa commedia musicale verrà trasmessa in televisione nel 1964. Sempre nel 1961, partecipa al 9º Festival della Canzone Napoletana dove, in abbinamento a Johnny Dorelli, si esibisce con il brano Nun chiagnere.
Nel 1964 Rascel interpreta, al fianco di Delia Scala, un'altra commedia musicale di Garinei e Giovannini: Il giorno della tartaruga, ed anche questa volta il successo è strepitoso. Dopo una lunga serie di repliche nei teatri delle maggiori città italiane, verrà trasmessa in televisione nel 1966.
Il 1966 vede Rascel tornare al teatro di prosa, con La strana coppia di Neil Simon. Suo antagonista in scena è Walter Chiari, con il quale debutta al teatro Politeama di Napoli. Nell'autunno del 1968 è di nuovo al Teatro Sistina per interpretare la commedia musicale "enti zecchini d'oro, scritta da Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa e Luigi Magni e diretta da Franco Zeffirelli. Del "cast" facevano parte l'avvenente Maria Grazia Buccella, Angela Luce e Paola Borboni, a proposito della quale un aneddoto racconta come, essendo arrivata in teatro con un certo ritardo rispetto all'ora stabilita, essa venne apostrofata da Rascel con la frase: «Ce l'hai fatta ad arrivare, eh? Brutta vecchiaccia!», al che la Borboni pare abbia risposto senza scomporsi troppo: «So di essere brutta e vecchia, ma so anche di essere stata giovane e bella. Tu alto non sei stato mai!».
Alleluja brava gente
Se la vita professionale di Renato Rascel è stata piena di soddisfazioni, lo stesso non può sempre dirsi della sua vita personale, intrecciata di alterne vicissitudini. Dopo la fine del suo primo matrimonio si lega alla sua segretaria personale, la francese Huguette Cartier, che sposerà nel 1966 ma lascerà pochi anni dopo per legarsi all'attrice e compagna di lavoro Giuditta Saltarini, dalla quale nascerà nel 1973 il suo unico figlio, Cesare.
Nel 1969 dopo aver girato il film Il trapianto, decide di abbandonare definitivamente il cinema, e di dedicarsi esclusivamente alla musica e al teatro. Nell'autunno del 1970 prepara una nuova commedia musicale di Garinei e Giovannini, dal titolo Alleluia brava gente, che dovrebbe interpretare insieme a Domenico Modugno, ma quest'ultimo è costretto a rinunciare a causa di un infortunio. Viene quindi scritturato quale co-protagonista l'ancor giovane Gigi Proietti, con il quale Rascel raggiunge un'intesa perfetta nonostante la differenza d'età e di stile tra i due attori. Con questa commedia musicale Rascel si congeda dal pubblico del Sistina.
Il poliedrico Rascel
Renato Rascel non è ormai solo un attore tra i più popolari in Italia e un affermato autore di canzoni, ma si dedica anche al mestiere di giornalista. Già una ventina di anni prima, durante una sua lunga tournée all'estero, aveva inviato corrispondenze con le sue impressioni di viaggio ad un settimanale che le aveva pubblicate in una rubrica dal significativo titolo Dal nostro invidiato speciale. Si rivela un preciso commentatore sportivo in materia calcistica, soprattutto per quanto riguarda la Roma, squadra per cui fa il tifo dall'infanzia. Nel 1969 sarà conduttore del programma radiofonico di sport Tutto da rifare, che va in onda il lunedì, ed in cui l'attore commenta spiritosamente gli avvenimenti sportivi del giorno precedente. Per qualche tempo inoltre Rascel avrà una sua rubrica fissa sul quotidiano romano Il Tempo. Inoltre verrà chiamato da Giorgio Strehler, suo grande estimatore, a tenere un ciclo di lezioni sulla scrittura drammaturgica presso la scuola del Piccolo Teatro di Milano.
Al pubblico giovanile Rascel ha sempre dedicato molta attenzione, e negli anni sessanta si cimenta anche come scrittore di favole per bambini. L'editore Mursia pubblicherà tre suoi libri di favole, tra cui Il Piccoletto, che riscuoteranno un discreto successo e verranno anche tradotti in altre lingue.
Padre Brown
Dopo un interessante esperimento televisivo del 1967 alle prese con autori teatrali francesi del calibro di Georges Courteline (Les Boulingrin, trasmesso anche dalle emittenti francofone ed oggi incredibilmente archiviato in RAI nell'edizione doppiata da attori locali) e Ionesco (Delirio a due, accanto a Fulvia Mammi), gli anni settanta sono ricchi di soddisfazioni professionali e personali per Renato Rascel. Gira per la RAI una serie di telefilm diretti da Vittorio Cottafavi intitolata I racconti di padre Brown, tratta dai libri di Gilbert Keith Chesterton, in cui è affiancato da Arnoldo Foà. Nel 1972 conduce con brio la trasmissione televisiva Senza Rete, nella quale ritorna anche ad esibirsi con alcune nuove canzoni "strampalate" di sua creazione, con titoli quali Il consiglione, Il mondezzaro e Strilla e butta, che verranno poi raccolte in un 33 giri dal titolo D'amore si ride.
Rascel continua a lavorare in teatro sia in rappresentazioni di prosa, mettendo in scena nel 1972 Il prigioniero della seconda strada di Neil Simon e nel 1973 Il capitano di Köpenick di Carl Zuckmayer, sia con spettacoli di intrattenimento come Nel mio piccolo... non saprei, andato in scena nel 1974, o come Farsa d'amore e gelosia del 1976 che vede lui e Giuditta Saltarini contrapposti ad Arnoldo Foà e Francesca Romana Coluzzi.
Il 1977 vede Rascel in un "cameo" del film televisivo Gesù di Nazareth diretto da Franco Zeffirelli, dove interpreta il personaggio del cieco nato, mentre nel 1978 conduce su Rai Due il programma pomeridiano Buonasera con... Renato Rascel, in cui alterna alcune delle sue celebri macchiette con conversazioni dal tono astratto e surreale con i telespettatori presenti in studio.
Gli ultimi lavori e l'addio alle scene
Negli anni ottanta, complice l'avanzare dell'età, Renato Rascel comincia a diradare i suoi impegni. Appare ancora in televisione insieme alla Saltarini con la serie Nemici per la pelle, uno dei primi esempi di "situation comedy" italiana, andata in onda nel 1980, e nel giugno del 1983 conduce il varietà La porta magica, con il quale si congeda dal pubblico televisivo. Continua tuttavia a lavorare in teatro, sia in interpretazioni di testi classici come Casina di Plauto, che nel 1984 va in scena nel teatro romano di Ostia, sia con pezzi di autori moderni come D'amore si ride di Murray Schisgal, che l'attore interpreta nel 1985 sempre insieme alla fedele Giuditta Saltarini.
Del 1986 è la sua ultima apparizione in teatro, al fianco dell'amico Walter Chiari con il quale interpreta Finale di partita di Samuel Beckett. Proprio in questo anno la televisione gli dedica un programma in 12 puntate sulla sua vita dal titolo C'era una volta io… Renato Rascel di Giancarlo Governi, nel quale racconta la sua storia, esibendosi anche in quella che forse è la sua ultima canzone, E cammina, cammina… realizzata per la sigla di coda.
La sua ultima apparizione pubblica è legata alle iniziative legate al campionato mondiale di calcio dell'estate 1990, svoltosi in Italia, dove Rascel canta alcuni suoi cavalli di battaglia tra cui Arrivederci Roma.
Scompare a Roma nella clinica Villa Alexia nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1991, a causa di un'arteriosclerosi irreversibile di cui soffriva da otto mesi. È sepolto nel Cimitero Flaminio.
Renato Rascel, il comico dell'assurdo
Figlio d’arte (suo padre, Cesare Ranucci, e sua madre Paola Massa cantavano nelle operette), avrà quarantun anni fra poco, ma la sua carriera è già lunga.Era poco più che quattordicenne quando, stanco di studiare su libri che non gli piacevano, entrava nell’orchestra jazz di un caffè; più tardi s’improvvisava ballerino di tip-tap; infine incominciava — come dire? — a creare se stesso, il suo inconfondibile personaggio, il buffo tipo dell’omino che, indossando una giacca a rovescio e portando un cappelluccio a caciottella, recita filastrocche e monologhi il cui nemico numero uno è la logica e canta canzoncine dalle rime incongrue e stravaganti che si agganciano fra loro a capriccio, assumendo una comicità irresistibile appunto perchè totalmente disancorate dal senso comune. Esempio: «C’era un caldo, ma un caldo che sembravano due»; oppure: «Che ora è?». «Giovedì». «Allora scendiamo»; ancora: «Noi eravamo lì di guarnigione a fare i cadetti, e venne un signore che disse: “Scusino, loro fanno i cadetti?” “Sì”. “Allora, me ne facciano un paio”». Eccetera.
Qualche spettatore — il mondo è pieno di contabili per i quali il fatto che due e due possano fare cinque anziché quattro diventa un’offesa personale — si stizzisce e sgrana gli occhi come se vedesse una casa col tetto a pianterreno o un albero dai rami carichi di uova sode; gli altri, superato il primo attimo di sorpresa, vengono a poco a poco presi dal sottile gioco dell’omino e ridono. Ridono: un’ilarità serena, innocente, felice; certo, non si abbandonavano a nulla di simile da quando erano bambini. C’è da scommettere che mentre ridono si illudono di essere tornati per magìa al tempo beato in cui inseguivano le farfalle sui prati, disegnavano i pupazzi sui margini dei quaderni e si nascondevano negli armadi.
La comicità di Rascel ricorda quella letteraria di un grande umorista francese: Alphonse Allais; nasce, anch’essa, dall’esasperazione dell’assurdo, dal piglio melodrammatico che assume per deformare la realtà, dall’agguato dell’imprevisto, dalla burla che scatta come il coperchio di una scatola a sorpresa, dalla divagazione funambolesca, sospesa alla ragnatela d’argento della Fantasia. Un critico famoso scrisse un giorno, di Allais : «Per essere così sciocchi bisogna avere un talento enorme». Rascel, oltreché talento, mostra un coraggio ammirevole nel fare un falò delle storielle piccanti, delle vecchie «battute», dei decrepiti doppisensi, dei luoghi comuni scoloriti, attraverso decenni, alla luce della ribalta; di tutto ciò, insomma, che costituisce ancor oggi il tarlato bagaglio di molti altri.
Piccolo, ha fatto della sua statura un «dramma comico» : la sua parodia del «Corazziere» è ormai leggendaria. Ha avuto parecchi pseudonimi: Ronny Boy, Harry Laven, e infine Renato Rachel, alla francese. Il giorno in cui un editto del Ministero della Cultura Popolare pretese, all’inizio della guerra, che gli artisti «italianizzassero» i loro nomi (persino Wanda Osiris aveva dovuto diventare Wanda Osiri, forse perchè qualcuno credeva che «Osiris», il Dio Sole, fosse francese o inglese), Rascel si trovò a doversi chiamare per forza «Rascele». Ma rifiutò dicendo: «Io acconsentirò a chiamarmi Renato Rascele il giorno in cui cambierete Daniele Manin in Daniele Manino».
E rimase tenacissimamente «Rascel».
Dino Falconi e Angelo Frattini
Rascel. Stimo Paone anche oggi che i nostri rapporti sono momentaneamente sospesi. Aggiungo che gli sono amico.
Casalbore. Perché dici momentaneamente? Hai intenzione di tornare indietro?
Rascel. È possibile. La vita è breve, ma al tempo stesso è abbastanza lunga per potersi incontrare di nuovo. Intanto, la situazione è questa: io dissento da alcuni punti di vista di Paone, soprattutto sul suo sistema di catalogare tutti i suoi scritturati in una specie di scaffale, contrassegnandoli con numeri d’ordine. Quando dopo anni di attesa e di lavoro, uno riesce a crearsi una personalità, ha il diritto di difenderla da chiunque voglia, sia pure senza volontà di far male, offuscarla. È chiaro?
Paone. Non mi so rendere ragione della defezione di Rascel. È vero che non l’ho inventato io, ma credo di aver contribuito a valorizzarne l’arte, negli ultimi anni. Infatti, a dispetto delle eccezionali qualità di Rascel, l’andamento economico delle due compagnie che hanno preceduto quelle da me gestite non fu tale da incoraggiare qualcuno a scritturare Rascel. Oggi è facile, e diciamo pure che è comodo, avere questo coraggio.
Rascel. Uno dei motivi della mia decisione è il seguente: seppi, e direttamente da Paone, che egli non era contento dello spettacolo. Dirò chiaramente che Paone non ci credeva. Non ero, e non sono, d’accordo con lui. Del resto, il pubblico, che in queste faccende è giudice inappellabile, mi ha dato ragione.
Paone. Confermo lealmente che ebbi a dichiarare a Rascel di non essere contento di Alvaro. Ma non essere contento di Alvaro non significa non essere contento di Rascel. Alvaro, secondo me, è un buon spettacolo che Rascel ravviva con i tesori della sua comicità, ma ancor oggi, dopo abbondanti tagli, presenta abbassamenti di tono che sentii alle generali. E, alla prima di Roma, la stanchezza del pubblico spinse Rascel a improvvisare un discorsetto di giustificazione (...)
Rascel. Ho visto Paone indaffarato in tante manifestazioni artistiche che ho ritenuto opportuno trovare un impresario che si preoccupasse della mia compagnia più di quanto non possa farlo Paone, che, evidentemente, ha troppe cose a cui pensare.
Casalbore. Questo impresario è Achille Trinca, massimo esponente della Trinca-Anerdi, organizzazione teatrale ben nota, che nella scorsa stagione ha presentato, tra l’altro, la Tognazzi-Giusti. Per l’anno prossimo, con l’ausilio di Giovannini e Garinei, di Scarnicci e Tarabusi, di Gorni Kramer, del figurinista Coltellacci, sono in gestazione le compagnie di Rascel, di Macario, ed inoltre la Tognazzi-Gray, di recente formazione.
Paone. Rascel è ingiusto quando mi accusa di trascurarlo, avendo io troppe compagnie alle quali badare. Attanasio e Alvaro, da me organizzati contemporaneamente alle altre compagnie, ne sono una prova. Del resto, la stessa impresa alla quale Rascel si è affidato gestirà altri spettacoli, oltre al suo: vedi Macario, vedi Tognazzi-Gray, vedi una probabile altra compagnia.
Rascel. Non mi sono legato all'impresa Trinca-Anerdi, bensì, con un contratto privato, al signor Achille Trinca. L’errore che tutti commettete, a questo proposito, è determinato dal fatto che la Trinca-Anerdi è ben nota nel mondo teatrale. Ma io ho preventivato, col solo Trinca, una compagnia a me intestata, che sarà organizzata esclusivamente, e ad insindacabile giudizio, da me e da Giovannini e Garinei. Trinca ha fiducia in noi, e ci lascia mano libera. Io ho piena fiducia in Garinei e Giovannini, non solo come autori, bensì come organizzatori. Ho apprezzato in loro queste qualità anche sotto l’egida Errepi. Quindi è tutta un'altra faccenda.
Casalbore. Stando cosi le cose, la ditta capocomicale Trinca-Anerdi non avrebbe nulla a che fare con Renato Rascel, il quale non ha bisogno, per sua esplicita dichiarazione, dell'opera di Gianni Anerdi, che nella ditta stessa ha funzione di organizzatore. E Achille Trinca, lasciando carta bianca a Rascel (nonché agli autori Garinei e Giovannini), interverrebbe a fianco di Rascel soltanto come finanziatore e impresario non organizzatore.
Paone. Per quanto io mi dolga di aver perduto l’opera di Rascel, nonché di Garinei e Giovannini, di Kramer, di Coltellacci, tutti collaboratori di primissimo ordine, devo dichiarare che, nella prossima stagione, le mie compagnie, anziché diminuire aumenteranno.
Casalbore. Infatti, oltre alla compagnia di Wanda Osiris, a quella di Billi e Riva (che hanno firmato di recente, ed a condizioni inferiori a quelle dall'impresa concorrente: e ciò a titolo di simpatia e di gratitudine per l’assistenza avuta in passato), Paone organizzerà anche la grande compagnia con la quale Totò tornerà alle scene ed una compagnia detta “dei giovani”, della quale fanno parte Isa Barzizza, il Quartetto Cetra, Carlo Campanini (in funzione di... padre putativo) e forse anche Alberto Sordi, stando a quel che si dice nell’ambiente e che Paone non conferma, forse per ragioni di carattere diplomatico, forse anche per la mancanza di una vera consistenza nelle notizie stesse. Per esempio, a me risulta che Paone ha scritturato Tina De Mola, per metterla in compagnia con Nino Taranto, che pure ha aderito all’invito del signor Errepi.
Paone. Non chiedetemi più di quanto io possa dire. Per quel che riguarda la sostituzione di Garinei e Giovannini posso dir questo: gli autori italiani sanno su quali nomi punto nella prossima stagione. Sanno chi è Wanda Osiris e quale genere di spettacolo le necessita. Sono tutti invitati a collaborare. In Italia ci sono autori come Marchesi, Metz, Vergani, Frattini, Falconi, Silva, Terzoli, Verde, Bussano — e cito nomi alla rinfusa, cosi come mi vengono alla mente — ed è tutta gente che può fornire materiale per venti riviste. Lo stesso dicasi per la parte musicale. Esistono musicisti come D’An-zi, Trovajoli, Frustaci, Barzizza, Rossi, Schisa. Quindi, posso dolermi di aver perduto gente in gamba, ma in Italia e nel mondo c’è tanta gente altrettanto in gamba, della cui collaborazione, del resto, mi sono già avvalso. Un figurinista? Folco, il creatore dei figurini degli spettacoli Osiris, è un asso. Ha già impegni. Tutto va bene, tutto va benissimo... E tutti i balletti Bluebell sono ancora scritturati da me in esclusiva per la prossima stagione. Saranno cinque. E finora le mie compagnie sono solo quattro. Dovrò farne una quinta per il quinto balletto...
Casalbore. Quella di Taranto?
Paone. Si, quella di Taranto con Tina De Mola.
"Festival"
Per la verità il sogno mio era di fare il pilota. Ma ci voleva il permesso di mamma e mamma aveva detto “nossignore”, cosi andai con 'sto Majestic, che in compagnia teneva dei ballerini negri, e da loro imparai il tap dance, io sono sempre stato uno che ha voluto imparare tutto, si figuri che nel mezzo della notte i custodi me ce dovevano proprio sbatte’ fori, dai teatri: c’avevo sempre da fa’, da prova’... Be’: 'sto Majestic disse che l’etichetta l’avrebbe data pure a me, se oltre che ballerino diventavo anche fantasista. Erano i tempi di Edoardo Bianco e Orazio Pettorossi. E io che già strimpellavo la chitarra radunai sette o otto ragazzi che conoscevo e gli dissi che dovevamo fare gli argentini. “Fare che?”, mi domandarono quelli, stralunati come se gli fosse apparsa la Madonna di Lourdes. “Gli argentini”, dissi: “tutti col capello lungo impomatato, lo zazzerone dietro e la basetta”. Suonavamo i tanghi. Da Garufa a La cumparsita. Come assolo di chitarra mi riusciva solamente il pa-pam-papam, però la “esse” di quel paese mi veniva talmente giusta che ci cascavano tutti. Finché una sera, a Torino, due oriundi che giocavano nella Juventus, Monti e Orsi, urlando “fratelli” e “connazionali” non cominciarono ad abbracciarci e a darci i bacetti sulle guance.
I compagni miei erano paralizzati dalla paura, io dissi: “Aho, andatece piano che della lingua vostra conosciamo le parole della canzone e amen, perciò nun ce inguaiate sennò son dolori”. E quando l’epoca dei tanghi tramontò, io che avevo avuto nomi come Harry Slaven e Ronny Boy per via che l’esotico faceva sempre più effetto, me lo cambiai un’altra volta. Passando per corso Vittoria avevo notato la pubblicità di un profumo francese, il “Rachel”, che letto giusto diventa appunto Rascèl, e subito avevo deciso di adottarlo.
Ma quando mi accorsi che la gente leggeva proprio “Rachel” con il eh duro, di modo che parevo la moglie di Mussolini senza la “e”, il Rascel lo scrissi cosi come sta. Solo durante il fascismo diventò Rascelle. Ma per poco, ché, un giorno che stavo all’aeroporto di Bari a guardare gli apparecchi che tornavano da Salonicco tutti sfasciati e c’erano anche Ciano e Pa-volini, io gli dissi se nun je pareva che davanti a 'sta catastrofe la faccenda del nome mio fosse proprio 'na puzzonata, e loro dissero che era vero e me lo fecero riporta’ alle origini.
Tornando ai tanghi: quelli finirono e per un po’ mi dovetti arrangiare come partner delle sciantose del momento. La Livia Nouguette, la Lutis Nar eccetera. In teatri scalcagnati, in camerini sempi'e arrangiatelli, dove sempre c’era molto calore, molto colore e molto odore. Di ciprie, di belletti... Un odore che avevo nel naso da quand’ero bambino e risultava molto stimolante, tutto il teatro di allora era stimolante, aveva un’atmosfera che oggi si è dispersa, oggi vai sul bello-liscio-e-pulito, e invece allora c’era sempre questo sapore di arena che ti spingeva a dare il meglio sennò diventavan gatti morti e pomodorate in faccia, mi ricordo di un comico che si chiamava Cascini e faceva la sceneggiata del bullo, acchiappava la partner, le dava ’na coltellata e le diceva: “Vatte a medica’ e di' che sei cascata”, ma lo faceva talmente male, era di un falso tale, con lei che si passava la mano tinta di rosso sulla guancia per colorarsi la ferita, che finiva a gara a chi il gatto glielo tirava per primo. Anche le soubrette, solitamente, eran delle bestie spaventose. Ex cameriere, ex bottegaie, ex impiegate, che se volevano mette’ in vetrina e però più che la coscia lunga nun ci avevano, di modo che, nonostante i costumi sfarzosi, le piume, le paillettes eccetera, per tutto il numero diventava una gazzarra pazzesca, “ah, bbona”, “’nvedi che robba”, “facce la mossa, cocca”, ma anche “torna da mamma” e “va a mori’ ammazzata”, ché il pubblico era molto esigente, la stessa Livia Nouguette, che poi si chiamava Livia Bandiera e veniva da un’antica famiglia veneziana ma gli aveva preso il pallino dello spettacolo e non c’era stato verso, la stessa Livia, dicevo, le sue pernacchie se le intascò e zitta.
Il fatto è che, allora, gli impresari eran dei macrò. Degli sfruttatori. Dei tenutari. Per loro, la compagnia era una specie di gruppo d'assalto. C’è d’anna’ a conquista' Arezzo? Via col pugnale tra i denti e le bombe nel tascapane. D’altronde je dovevi anna’ appresso per forza, non è che ti difendeva qualcuno, che trovavi leggi, contratti, sindacati che si curavano degli affari tuoi. Lui te diceva: “Vuoi veni'?” Tu je dicevi: “Quanto me dai?”. Lui te diceva: “Cinque lire”. E tu: “Vabbè, per cinque lire ce vengo”. Ma era tutto sulla parola, tutto sulla fiducia, e se la tournée finiva male non c’eran cristi, si figuri che una volta ad Alessandria della Rocca, dove come amministratore avevo un certo Dante Bisio, oggi direttore di scena all’Argentina, non tirammo su neanche di che pagare l’albergo, e io prima ci lasciai dentro tutta la compagnia come ostaggio, poi presi un treno, arrivai a Milano, dove racimolai un credito, e siccome per tornare c’era solo un direttissimo che non si fermava, telefonai a Bisio che si facesse trovare sotto la pensilina, e là gli buttai questi soldi incartati in un giornale. Per il riscatto.
Eh, si: era dura. Te dovevi arrangia’. S’immagini che quando ancora facevo il batterista spari una certa Lulù Gould, la mulatta dalle cosce a pertica che imitava la Baker tutta vestita di banane: e io che stavo allo strumento scesi sul palco e ballai il charleston al posto suo che sembravo una scimmia ma comunque fu un’ovazione lo stesso. Emilio Schwarz, austriaco di Austria ma re incontrastato del leggero teatro italico, mi vide proprio in uno di questi spettacoli. E mi mandò in casa l’amministratore. Stavo dormendo, lo ricevette mamma. “Volere parlare col signor Rascel”, disse quello con un accento tutto cosi. Mamma venne da me e me lo riferì. “Se sarà sbajato”, dissi io, che ancora ero tra la veglia e il sonno e mi pareva impossibile. “Signor Schwarz avere visto signor Rascel ieri sera cinema Corso”, insistè il crucco. Morale: feci Al cavallino Bianco con Emilio Schwarz e fu un successo talmente grosso che per anni mi sono poi presentato come “Rascel del Cavallino Bianco”. Non sapevo che altro metterci, nelle locandine, per farmi riconoscere: mettevo tre lire a poltrona e che je annavo a racconta’, in cambio? Ricordo che debuttammo al Lirico di Milano. E io che abitavo in una pensione di via San Pietro all’Orto per tutta la notte girai come un idiota, solo, il bavero rialzato, ad aspettare l’uscita del giornale. Alle 7 di mattina comprai il “Corriere”: Renato Simoni m’aveva dedicato quattro righe bellissime, se non son morto di commozione non morirò più. Non che siano state tutte rose e fiori, dopo. Con Schwarz ci restai tre anni.
Renato Rascel
"Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
La stampa dell'epoca
Che pena quando ci si mette a tavolino per giudicare. Le difficoltà non sono più grandi davanti a Goethe, mettiamo, che a Renato Rascel: calmatevi, voglio dire da un punto di vista morale. I dubbi si moltiplicano per gemmazione : sono onesto, non mi lascio sedurre da un’immagine più che dalla verità, un aggettivo può sopire la mia coscienza? Mio zio diceva in proposito: ubbie. Ma si ammalò gravemente proprio per l’uso smodato di questo vocabolo.
Ho rivisto ieri Renato Rascel, sempre più esiguo in un vestito nero sempre più grande, e sono ancora tra il si e il no, temo di apprezzare in lui ciò che potrebbe essere invece di quello che è; ricava il massimo dai suoi mezzi limitatissimi e io subisco l’incanto della sua pochezza, senza voce senza recitazione senza spirito improvvisatore. Ci sentiamo tutti madri davanti a Renato Rascel che canta le filastrocche con i modi di un bambino tardivo e solitario. Nello stesso tempo viene il sospetto sia caduto un po’ di polline sul piccolo uomo debole di petto quando interrompe il canto per gettarsi nel ballo, innocente e ardito come la nostra infanzia davanti ai precipizi. Questo picchiatello dovrebbe svolazzare tra i fiori, e non uscire dalla scena con quel «passo» antico e impersonale che abbiamo visto mille volte, da Gillo Dorfles in avanti : è una mortificazione da cui torniamo a dubitare collocando Rascel nel purgatorio.
Lo rivedrò fra un anno: non mi basterà più il canto della zanzara tubercolotica ma vorrò un insieme di atti e di parole rigorosamente sulla linea del momento prediletto senza concedere il minimo intervento negli altri movimenti della rivista ; il palcoscenico è troppo grande per lui se esorbita dal ruolo di fissato nel declamare le mediocri parafrasi dei versi di Ragazzoni. E se vuol sapere che cosa intendiamo per evasione, nel paesaggio del suo mondo vuoto, una conchiglia, ma forse con echi remoti di fughe e di salti nell’orizzonte — una conchiglia ascoltata da un tenero orecchio — segua il ragazzo della fisarmonica in Bassifondi di Renoir : vale la pellicola quando corre vola con le note portate dalla fisarmonica; alzatosi di colpo, entra tra i cespugli sfiora l’erba i ruscelli come l’aria. Il nostro Renato vi riscontrerà se medesimo ingrandito nel sogno del suo minuto creativo.
Cesare Zavattini, «Tempo», 11 aprile 1940
Successo di "Tutto è possibile" con Renato Rascel
Ieri sera al Regio, Renato Rasccel si è ripresentato al pubblico parmense con la rivista: «Tutto è possibile ... » E’ il quinto spettacolo, nel corso della stagione, che questa, compagnia presenta, nella nostra città: il quinto successo. Anche ieri sera, molto pubblico e molti applausi.
La rivista è quella già, vista negli spettacoli precedenti, salvo qualche ritocco nel secondo tempo: ritocco, crediamo, opportuno in quanto ha servito a snellire il complesso dello spettacolo stesso. Il primo tempo è più completo e più abbondante: oltre ai numeri comici e coreografici nei quali primeggia il protagonista Rascel, molto bene coadiuvato da Mario Castellani, e la bella Paola Orlova, vi fa la sua fugace apparizione il noto cantante Oscar Carboni. Il secondo tempo invece presenta, nella, parte musicale, la De Mola che ha riscosso, ieri sera, un successo personale veramente notevole: e meritatamente. Tina De Miola è, crediamo, oggi una delle migliori cantanti di canzoni moderne: come voce e come espressione. Sempre nel secondo tempo, ottimi il numero comico degli «indovinelli filmici», che non figurava nelle precedenti edizioni della rivista e quelli individuali di Rascel.
La rivista verrà ripetuta anche questa sera.
«La Gazzetta di Parma», 6 giugno 1943
Il Rascel che amore non ha
Quest’ultimo film di Rascel riapre una vecchia questione: fino a che punto e in quali circostanze il contributo al cinema di intelligenze abitualmente estranee sia possibile o tollerato. «Amor non ho, però però» starebbe a dimostrare che fra questi apporti e il cinema comico c’è incompatibilità, allergia. E sia detto senza accusare nessuno: nè gli interpreti, nè il regista, nè il produttore. Mi chiedo soltanto, poiché Giuseppe Marotta ha firmato soggetto e sceneggiatura, che cosa vi sia rimasto di lui sulla pellicola. Pochino, mi sembra. Si direbbe proprio che sul cinema comico pesi una specie di ineluttabilità, della quale si persuadono per primi coloro stessi che erano partiti increduli alla conquista della bella prigioniera del mostro. Il mostro è più forte. Altrimenti non si spiegherebbe la mesta rassegnazione con la quale scrittori come Soldati e Marotta firmano opere che. trasposte nella usuale narrativa (se fosse possibile), non vorrebbero certo riconoscere come proprie. Beninteso. questo è un ragionare per astratto; e c’è dietro senza dubbio, nel caso di « Amor non ho », una complicata vicenda di delusioni, di disinganni, di gente che se ne è andata sbattendo la porta. Fatto sta che il film, tanto atteso e poi tanto lodato (magari dalle stesse persone che hanno parlato male di « Miracolo a Milano » senza accorgersi ora del deteriore zavattinismo di cui son fatti i fiorellini e le rondinelle di Rascel), resta una pellicola qua e là divertente, ma confusa, slegata, disarmonica. come tutte le opere buone lasciate a mezzo e le grandi ambizioni frustrate.
Che poi Rascel sia davvero o no il nuovo grande personaggio del cinema comico italiano, è tutt’altro discorso. Rascel mi è simpatico. Immagino che lo sia anche al pubblico. E’ arrivato al cinema con 1a sua microscopica leggenda di attore sino a un certo momento sfortunato, misconosciuto, tuttavia pieno di coraggio e non sprovvisto di originalità; e leggende di tal natura sono sempre cattivanti. Mi pare soltanto che sia prematuro parlare di lui come di una rivelazione. Ma anche questa è una caratteristica del cinema attuale: far si che un personaggio diventi importante prima che un produttore gli abbia dato la possibilità di esprimersi compiutamente; importante per fatti estranei al cinema, come il successo nella rivista e nei concorsi di bellezza; e così si spiegano le subitanee infatuazioni e le misteriose cadute. Qui Rascel. comunque, non dà affatto una dimostrazione di talento cinematografico; egli è piuttosto il comico di rivista che. assecondato da una sceneggiatura spezzettata, allinea uno dietro l’altro i suoi "numeri" abituali, senza neppure preoccuparsi di grossolane imitazioni come quella della macchina da scrivere che fa venire a mente di colpo i fratelli Marx.
Ma Rascel, proprio in questi giorni, sta affrontando una nuova pellicola che potrebbe dare finalmente la misura esatta del suo talento di attore. Parlo del film «Il cappotto » tratto dal famoso lavoro di Gogol, e diretto da Lattuada. Intanto aspettiamo di vedere « Napoleone », da lui girato nell’estate scorsa. Anche di questo film si dice bene; e non c’è motivo di non credere, a meno che non sia divenuto vizio nazionale il parlar bene di cose che si fanno capire a metà.
Vittorio Bonicelli, «Tempo», anno XIII, n.52, 29 dicembre 1951
"Questi fantasmi" di De Filippo dal Teatro al Cinema
C’è una quantità di maniere per fare un buon film. Non serve che ne facciamo qui un elenco: basta pensare che, dopo tutto, buoni films capita di vederne, durante un anno cinematografico; e dunque, in ognuno di quei casi, c’è stata una maniera buona che è servita a fare un lavoro di qualità. L’affannoso cercare la via «sicura» che mena al buon film diventa puerile e vano, destinato senza possibilità di dubbi a pietosi insuccessi, solo quando si cerchi in ima direzione che non abbia per vero orientamento quello della poesia. Si potrebbero fare decine di esempi : prendete alcune cose di Capra, altre dei giapponesi di questi ultimi anni, altre di italiani del dopoguerra, citando a caso. Immaginate come quei films siano nati? C’è sempre, all’inizio, il poeta, e poi viene l’opera sua, e quando è pura, e profondamente sua e abbastanza antica nel sangue della sua gente, del suo clan, della sua razza, è opera di poesia, e dunque un’opera valida. Il cinema non si sottrae a questa legge che è vera letteratura come in teatro, come in pittura. A questa legge che implica probabilmente l’unica maniera vera per fare un buon film: partire dal poeta e lasciare che dica.
Pensate a «Napoli Milionaria» a «Filomena Marturano». Pensate all’ultima fatica di Eduardo regista: «Questi Fantasmi». La Titanus che ha portato questo lavoro sullo schermo, è appunto partita dal poeta, lasciando che parlasse come credeva di una cosa così antica e così sua come è la storia di Pasquale Lojacono, il piccolo uomo di Napoli cui un mondo di fantasmi porta, malgrado tutto, la felicità. Dov’è la poesia, in questa storia? È anzitutto in Eduardo autore-attore-regista. È nelle sue idee, nel fatto che queste idee sgorgano da un fondo antichissimo di convinzioni, credenze, superstizioni; nel fatto che liberamente egli se ne lasci possedere solo servendole e disciplinandole col vaglio di una attenta e raffinata sensibilità.
«Questi Fantasmi» è stato un grande successo, in teatro. Un successo pacifico: il pubblico non dubitava che si sarebbe sentito in petto, durante i tre atti, il «cuore delle grandi occasioni». Quando questo è avvenuto, il pubblico ha decretato il successo del lavoro e del suo autore con quella calma consapevolezza che appunto caratterizza gli avvenimenti d’arte di portata eccezionale.
Il film, «Questi Fantasmi», che si vale dell’interpretazione di Renato Rascel, Emo Crisa, Maria Frau, Franca Valeri, Ugo d’Alessio, e del complesso di attori napoletani della compagnia di Eduardo De Filippo, porta la firma, per la sceneggiatura, di Marotta, Soldati, De Filippo: tre nomi che danno ogni garanzia. Tre nomi, uno dei quali è quello di un vero grande poeta dei tempi nostri; Eduardo. C’è dunque la formula, alla base del film, l’unica formula produttiva che ragionevolmente si possa pretendere di adottare. C’è molto semplicemente, il poeta.
G. D'Eramo, «Epoca», 1954
Esistono i fantasmi?
La nota commedia di Eduardo De Filippo «Questi fantasmi» appare in questi giorni sugli schermi cinematografici
Tratto, come già « Napoli milionaria » e « Filomena Marturano », dalla omonima commedia chr tanto successo di pubblico « di critica incontrò alla sua presentazione sulle «cene, il film racconta la storia di Pasquale Lojacono, un piccolo umile ila-poletano, ferocemente deciso — come che sia — a vivere. È un piccolo uomo come ce ne sono migliaia: un tipico personaggio di De Filippo, schiacciato ed incalzato da una fatalità che si chiama vita, sempre preoccupato ed assillato dalla necessità di conquistarsi, minuto per minuto, una vittoriuzza da nulla che lo conservi a galla. Ma, come tutti i personaggi di Kduardo. anche Pasquale Lojacono ha la sua valvola di sicurezza: avrebbe ogni diritto di essere un pessimista, un negativo, un deluso. Fa una vita da cane, fra il bisogno e la moglie bellissima che lo disprezza e lo inganna : nessuno più di lui avrebbe diritto di non credere in niente, di essere il più umano e deciso nichilista del mondo. Invece Pasquale crede nei fantasmi, crede in un mondo del tutto irreale, che gli si manifesta con una evidenza impressionante, inducendolo in evasioni che sono appunto l'unica potente valvola di sicurezza del suo altrimenti problematico equilibrio psichico.
Il lavoro ruota tutto in questa caratteristica, diciamo, medianica di Pasquale Lojacono: è tutta una oscillazione fra reale ed irreale, fra verità e fantasia, con una piena e riuscitissima fusione di questi autentici elementi. I fantasmi che Pasquale frequenta non sono fantasmi veri sono trucchi che la moglie adultera mette in atto con la complicità dell'amante, pazzo d'amore, trucchi che sanno di beffa atroce e, quando per tali si rivelano, finiscono col nauseare perfino la loro organizzatrice. Ma questo Pasquale non lo saprà mai : per uno di quei giri curiosi del destino, che è inutile cercare di spiegare. Pasquale finirà con il ricavare un vantaggio concreto e durevole — una vittoriuzza abbastanza grande, stavolta, da risolvere il suo problema — da quella che tutti hanno sempre chiamato, a ragione, la sua « pazzia s.
Pasquale lavarono, che è il personaggio di « Questi fantasmi », portato sullo schermo dalla Titanus, cui Rascel dà vita nel film, fu a suo tempo magistralmente incarnato dallo stesso De Filippo: questa volta Kduardo ha preferito starsene al di qua della macchina da presa ed affidare il pesante compito ad un attore per il quale professa la massima stima. Calibrato su un modello di napoletano verissimo, allucinato, credulone, perseguitato dal problema assillante di vivere, nero di carattere ma insieme aperto a «concertanti illusioni. Pasquale Lojacono sembra scritto su misura per Renato Rascel. Questo Rascel. naturalmente, che si vale del proprio repertorio comico e della propria esperienza scenica solo ai fini di una interpretazione sorvegliata e umanissima. Riavremo dunque un Rascel a uomo dopo tanto conoscerlo pazzerellone nello sfavillante mondo della rivista, un Rascel che — come già Totò in « Napoli milionaria » pure di De Filippo — ci indurrà a chiederci fin dove si abbia il diritto di dar credito per un grande attore, alla distinzione « comico », a drammatico », a brillante » e così via.
Vedremo nel film accanto a Rascel, Emo Crisa nella parte del fantasma magistralmente interpretato ; Maria Frau, la moglie di Pasquale Lojacono die riesce ad amare il marito e commuoversi solo quando capisce la sua estrema fragilità, e Franca Valeri.
Giovanni D'Eramo, «L'Europeo», 1954
Addio di Rascel alla Rivista con "Tobia candida spia"
Rascel, il «piccoletto» ha finito di recitare in questi giorni al Teatro Sistina in Roma una rivista di buon gusto e applauditissima : «Tobia la candida spia». Da Roma si è portato a Milano, e quindi continuerà la tournée con la sua compagnia di rivista. Poi... darà addio alla passerella, alle scene scintillanti, al corpo di ballo delle Blue bells, e a tutti i suoi compagni del mondo della rivista. E pare che i si tratti di un addio veramente definitivo.
«La Gazzetta di Mantova», 3 marzo 1955
«La Stampa», 17 maggio 1955
40 domande a Renato Rascel
Renato Rascel è romano. Debuttò in teatro nel 1934 con la compagnia Schwarz nel "Cavallino Bianco”. Da due anni ha abbandonato la rivista per dedicarsi solo al cinema. I suoi film più importanti sono: ”Il cappotto” con Yvonne Sanson, ”Il capataz" con la Pampanini, "Amor non ho però... però..” con la Lollobrigida, "L’eroe sono io” con Delia Scala, ”La passeggiata”, di cui è anche regista, con la Cortese. E’ autore di canzoni: ne ha scritto ora una per Marlene Dietrich.
Domanda - Dovendo, in qualità di giornalista, intervistare un personaggio, quale domanda penserebbe di proporgli per la prima?
Risposta - Se ha già mandato qualche intervistatore a farsi benedire.
D. - Saprebbe dirmi un’azione che sarebbe stato capace di compiere venti anni fa e non adesso?
R. - Si, festeggiare il 20° compleanno.
D. - Una delle frasi che più comunemente si sentono ripetere è che la sola cosa che oggi interessi in Italia sia "Lascia o raddoppia?”. Ne esiste per lo meno, secondo lei, un’altra?
R. - Si, lascia o raddoppia.
D. - Qual è il fatto più straordinario che si sia verificato questo anno?
R. - Per quanto mi riguarda, un avviso dell’ufficio tasse che mi annunciava un rimborso.
D. - Qual è nella vita la cosa che la incuriosisce maggiormente?
R. - La morte.
D. - I francesi possiedono l'e-sprit, gli inglesi l’humour. Che cosa possiedono, sempre in questo settore, gli italiani?
R. - Nè l’uno, nè l’altro.
D. - Chiamato da Dio, alla vi-'gilia di un secondo diluvio universale, ad assumere le funzioni di un nuovo Noè, come allestirebbe la sua arca?
R. - Esattamente come Noè, in più ci metterei i cartoni animati di Walt Disney.
D. - Con gli attributi di quali dei suoi contemporanei (tre nomi) ritiene sia possibile conseguire il successo nella vita?
R. - Con la fortuna della Campagnoli, coi seni di Sofia Loren e con l’incompetenza cinematografica dei dirigenti la cinematografia italiana.
D. - Qual è degli avvenimenti cui in questi anni siamo stati testimoni il più cinematografico?
R. - Il tentato furto di cappellini da parte dell’atleta russa Ponomareva che offre lo spunto per un film dal titolo: ”Cappellini oltre cortina’’.
D. - Qual è, secondo lei, il colmo delia idiozia umana?
R. - Credere di essere intelligente.
D. - Se Umberto di Savoia le chiedesse, in tutta sincerità, di dargli un consiglio, che cosa gli direbbe?
R. - Di diventare repubblicano.
D. - Qual è la cosa che rende maggiormente ridicolo un uomo agli occhi di una donna?
R. - Quando dice a una donna: tu mi piaci perchè sei diversa dalle altre.
D. - Qual è, indipendentemente dalla sua posizione di partito, il più italiano dei nostri uomini politici?
R. - Quasi tutti, dappoiché quasi tutti i nostri uomini politici parlano soltanto l’italiano non conoscendo assolutamente le altre lingue.
D. - Toccandole la ventura di visitare da vivo le regioni infere e celesti, chi prenderebbe per suo "Virgilio" (un contem-poraneo)?
R. - Indro Montanelli.
D. - Nei camets del maggiore Thomson si legge il seguente aneddoto: due turisti americani in visita a Parigi giunsero, in Rue de Rivoli, in faccia al monumento di Giovanna d’Arco. «Toh!» disse vedendolo uno dei due americani, «guarda Ingrid Bergman». Qual è la morale di questo aneddoto?
R. - Che ognuno ha la Storia che si merita.
D. - Se le rimanesse mezz’ora di vita come la impiegherebbe?
R. - Pregando Dio di lasciarmi ancora un po’ di tempo per pensare a quello che dovrò fare durante l’ultima mezzora di vita.
D. - Saprebbe citarmi un’opera d’arte che potrebbe essere trasferita da Roma a Milano e viceversa senza turbare il paesaggio?
R. - Io, che viaggio da Milano a Roma tutte le settimane senza che il paesaggio se ne accorga.
D. - Le è mai accaduto di interrompere uno spettacolo a metà? Se si, per quale motivo e in quale occasione?
R. - Sì, mentre recitavo a Messina perchè mi cadde il sipario sulla testa.
D. - Quale colpa, errore, debolezza umana suscita in lei maggior indulgenza?
R. - Tutti gli errori, le colpe e le debolezze che io stesso commetto e posseggo.
D. - Qual è, secondo lei, il più grande equivoco nel campo della storia dell’arte?
R. - Salvatore Dall.
D. - Qual è, secondo lei, la più grave perdita subita dall’umanità dalla fine della guerra in poi?
R. - La perdita del rispetto della vita umana.
D. - Quale dei suoi contemporanei trasformerebbe in statua?
R. - Cavicchi in modo che i suoi avversari picchiandolo si rompessero le mani.
D. - Una meteora sta cadendo in questo momento dal cielo. Esprimerebbe anche lei, secondo l’uso, un voto? Se sì, quale?
R. - Che Dio ce la mandi buona.
D. - Quale epigrafe vorrebbe avere sulla sua tomba?
R. - E adesso rido io.
D. - Morendo quali beni materiali sarebbe maggiormente indotto a rimpiangere?
R. - Soprattutto il bene di poter dire ciò che penso.
D. - Saprebbe indicarmi una opera d’arte di fronte alla quale si possa dire "questa è l’Italia?
R. - Gina Lollobrigida.
D. - Qual è, secondo lei, il più "italiano” dei paesaggi della nostra penisola?
R. - Le risponderò quando avranno tolto tutti i cartelli pubblicitari che occultano i paesaggi italiani.
D. - Se le fosse concesso un atto di potenza illimitata, come lo esplicherebbe?
R. - Abolirei per sempre qualsiasi gesto di potenza illimitata.
D. - Qual è, secondo lei, il segreto del successo di un uomo?
R. - Il segreto di Pulcinella.
D. - Costretto a intervenire ad un ballo mascherato quale travestimento sceglierebbe?
R. - Da amico del giaguaro.
D. - Qual è, secondo lei, il vento che spira nella attuale pittura contemporanea?
R. - Antimaestrale.
D. - In quale misura ritiene che l’abitare in questa o que-st’altra città influisca sull’opera di un artista? In ogni caso saprebbe dirmi quale, per un artista, debba considerarsi un soggiorno ideale?
R. - Dove non si paga l’affitto.
D. - Qual è nella vita la cosa che la spaventa di più?
R. - La vita.
D. - Stessa domanda, ma nella sua professione?
R. - Il debutto.
D. - Qual è, secondo lei, dalla fine della guerra in poi il film più "italiano” che sia stato prodotto?
R. - Tre soldi nella fontana.
D. - Qual è, secondo lei, la cosa che meglio esprime il nostro tempo?
R. - L’incompetenza.
D. - Qual è, secondo lei, il più grave difetto di queste domande?
R. - Che sono troppe.
D. - Quale, tra queste interviste, le è sembrata per ciò che concerne le risposte, la più sincera?
R. - Quella di Curzio Malaparte.
D. - Quale dei luoghi comuni, ovvero delle cosiddette "frasi fatte", le riesce più insopportabile?
R. - Piacere di conoscerla.
D. - Qual è, secondo lei, la "vera misura” della ricchezza di un uomo?
R. - La misura.
Nel rispondere alle nostre domande Renato Rascel pare che abbandoni quello che si potrebbe chiamare il "complesso professionale”, vale a dire l’obbligo di essere immediatamente brillante e di far ridere. Direi di più, pare che sia timoroso di cadervi o quasi prevenuto contro le possibili aspettative dell’intervistatore e del lettore in questo senso. Sono infatti pochissime tra le sue risposte quelle propriamente "rasceliane”. E tutte svolte secondo il medesimo gioco di trasposizione di un concetto: quello del monumento. L’opera d’arte che può essere indifferentemente trasferita da Roma a Milano è lui stesso; il contemporaneo da trasformare in statua è Cavicchi, ma solo perchè gli avversari picchiandolo si rompano le mani; l’opera d’arte che meglio esprime l’Italia è Gina Lollobrigida. Dove lo scherzo non manca del resto di un fondo di serietà, di riflessione, direi che è quello apertamente sottinteso a quasi tutte le altre risposte. La prova più evidente dell’equilibrio di Rascel di fronte ai problemi che le nostre domande gli hanno posto mi pare che sia nel finale, quando dice che la vera misura della ricchezza di un uomo è la misura.
Enrico Roda, «Tempo», 1956
Come per le squadre di calcio, agosto è il mese d’adunata per le formazioni di rivista. La prima a presentarsi per gli allena menti nel «campo» del teatro Lirico di Milano è stata la compagnia rii Renato Rascel, che qui vi presentiamo al «gran completo». Una compagnia che ha nel suoi effettivi i numeri per giocare un grosso campionato. Accanto al «piccoletto», centromediano-fulcro del complesso, il centroattacco più affascinante che I tifosi potessero aspettarsi: Giovanna Ralli, un acquisto «oriundo» di Roma. E per tanto acquisto, compagne di primo ordine: dodici stupende creature supercarrozzate giunte da Londra ed acquistate in blocco per non si sa bene quale prezzo: il Charley Ballett; per i tifosi basta così. La garanzia, da questo nome, è più che assicurata. «Patron» del complesso: Achille Trinca. Allenatori e managers: Garinei e Giovannini che imposteranno una nuova tattica di gioco dal titolo «Un paio d’ali». Gorni Kramer penserà alle musiche.
«Le Ore», anno V, n.222, 10 agosto 1957
Cervinia è già qualcosa di mio
Renato Rascel racconta le sue prime avventurose e divertenti vicissitudini di sciatore agli ordini di Leo Gasperi, sulle nevi del Plateau Rosa
Cervinia, giugno
Quando me lo trovai improvvisamente davanti, non potei evitare di guardarlo di sotto in su: non per antipatia, intendiamoci, ma secondo me questo fatto che è alto più di 4478 metri — ma siamo giusti! — è un’ostentazione di cattivo gusto. Comunque, io non dissi niente, finché Leo Gasperl non me lo presentò: «Renato, ti presento il Cervino».
«Congelatissimo di conoscerla!» risposi subito allegramente; facevo proprio di tutto per riuscirgli simpatico! Ma avéte mai visto quelle montagne piene di boria, con quell’aria gelida, che se ne stanno sempre lì in vetta, senza mai un sorriso, senza mai una parola gentile? Il Cervino mi fece subito questa impressione.
Ma chi credeva di essere? «Sai, non è colpa sua...» tentò di giustificarlo Leo Gasperl (l’avrei fatto anch’io: in fondo era il suo più grande amico!). «Credi a me: sotto la sua rude scorza di roccia basaltica, batte un cuore di fanciullo... Certo, ha avuto un’infanzia travagliata! Lo sai che un milione e mezzo di anni fa, quand’era piccolo, il mare gli arrivava quasi alla cintola?».
«Anche a me. quand’ero piccolo...».
«Sì; ma a lui, per duecento-mila anni di seguito!... Non lo trovi eccezionale?».
«Sì, non sono cose di tutti i giorni... Ma è una ragione per darsi tutte quelle arie?».
«E chi siamo, noi, per giudicarlo? Abbiamo strapiombi, picchi, ghiacciai? Tu che non sei uno qualsiasi, tu che hai perfino scritto "Arriverei, Roma!’’, sei mai stato coperto di nevi eterne? E garrule, limpide cascatelle gelate ti sono mai discese lungo i fianchi rocciosi?...» io chinai la testa umiliato. «Non hai neanche i fianchi rocciosi!».
«Ma sono un uomo!» dissi con improvvisa fierezza. «Cogito, ergo sum!».
Leo Gasperl mi guardava a bocca aperta: «E che c’entra? Niente.».
Cambiai subito discorso. In fondo, non ero arrivato lì per sciare? Già! A proposito... Ma, dico: siamo diventati pazzi?
E’ giusto che gli "sci" li vendano i negozi di articoli sportivi? E gli armieri, che ci stanno a fare? E i farmacisti? Se uno vuole una rivoltella, deve riempire 'quarantacinque domande; se poi vuole un bicchiere di acido prussico, non glielo danno nemmeno se si tinge la faccia di viola: «Ma via — gli dicono — lei così giovane, con la vita che ancora le sorride... ma perchè vuole ammazzarsi?». Con gli "sci”, invece, nessuno ti dice niente. «Mi dà un paio di "sci”? ’. «Subito, signore!». E mi venite a parlare di giustizia?
Per fortuna, io sono amico di quella specie d’istituzione di Cervinia, che si chiama Leo Gasperi; e, grazie a lui, per me le cose andarono abbastanza bene. Appena arrivato, visto l’albergo, tanto grande, ma tanto grande, che per andare dalla sala da pranzo al bar ci vuole la motocicletta, non volevo più muovermi di lì; poi, però, considerato il fatto che ero venuto a Cervinia per sciare, dissi: andiamo a sciare!
Giunti sulla funivia, cominciammo a salire verso il Plateau Rosa ,(m. 3600 più quelli personali del sottoscritto). Durante il tragitto, col viso spiaccicato contro il vetro del finestrino, guardavo, incantato, lo spettacolo che si presentava ai miei occhi; qui il Cervino, lì la Grande Muraille, un po’ più sotto Pian Maison e un po’ più sopra il Fuerggen: e noi lì, tranquilli, sospesi nel vuoto, attaccati a una corda — eravamo una trentina sulla funivia — ammappela, che corda!
So che, appena sceso dalla funivia, il vento ululava, il naso mi si staccava per il freddo, ma io mi sentivo Amundsen, mi sentivo Byrd, mi sentivo Fucks: tutte quelle montagne enormi, massicce, paurosamente importanti; e io piccolo, piccolo, tutto pieno di maglioni, di giacche a vento, di passamontagna, di occhiali, di calzerotti, di guanti di pelliccia, di scarponi a doppia guaina... E chi era Renato Rascel? Che aveva fatto? Che s’era messo in testa di fare? Dov’era, due milioni di anni fa. quando quelle montagne erano già qui. coperte di neve, esattamente come adesso?
Non so se sia mai capitato anche a voi, ma fa un certo effetto non sentirsi "nessuno”: gli applausi del Lirico, l’ultima sera della "rivista”; la gente che canta "Arrivederci, Roma”!; e tutte le infinite cose che sogno di fare, che voglio fare (sono sempre le più belle!). ma dov’erano andate a finire? Niente. Non c'era rimasto niente! Solo le montagne. E il freddo. E Leo Gasperl che cominciava a darmi gli ordini come un sergente maggiore, come un tiranno, come un ras... E vi assicuro che non più di cinque minuti prima era un amico, non un "maestro di sci"!
«Mettiti gli sci!».
«Signorscì!... Voglio dire: signorsì!». Il primo giorno, uno è sempre un po’ timido...
«Buttati».
«Eh?».
«Bùttati!».
Io speravo tanto d’aver capito male, ma anche a Plateau Rosa "buttati" vuol dire "buttati”; e io, rivolto un ultimo pensiero alla mia donna lontana, al mio pubblico pure, e alla mia assicurazione contro gli incendi — a che mi sarebbe servita, mi chiedevo! — via, mi buttai giù per la discesa del "Teodulo”. Sono 900 metri di dislivello. 4 km. e mezzo di pista, tre quarti d’ora circa, di percorso; ciononostante, dopo neanche quattro metri, io stavo già infilato nella neve come un cialdone nella panna.
Leo Gasperi mi guardò male: «Neve fresca!» mi rimproverò.
«Mica l’ho fatta io!» cercai di scusarmi: ed era la verità, non avevo pensato a portarmi la neve da casa; dico: vado lì a Cervinia, adopero quella locale...
«Quando la neve è fresca, devi portare uno sci più avanti dell’altro! Lo sanno tutti...» io non lo sapevo, ma feci cenno di sì «Avanti!». E si buttò di nuovo. Io, appresso. Come arrivai a Pian Maison, non ricordo bene, ma so che vi arrivai, e, guarda caso, sugli sci.
Ora sono qui, al calduccio, nella mia stanza: scrivo; guardo fuori; ho fame. Voglio dire: sono vivo! Nessun dubbio, su questo fatto, vero?
E, allora, come ho fatto a passate quella prima volta, su quei 90 cm. di pista fra la parete di roccia e il baratro del "passo del Teodulo"? Quale solerte Angelo Custode — ho fatto un conto, ne dovrei avere almeno dodici e piuttosto attivi — mi ha preso le punte degli "sci" e le ha guidate nella giusta direzione, mentre io chiudevo gli occhi e fra me dicevo: «se la va, la va?». Che meraviglia, quel primo giorno! Vi è mai capitato di essere felici di aver paura? Io non mi ero mai sentito cosi vivo, così giovane, così padrone di questa mia vita che se uno non se la gioca ogni tanto, non si accorge mai completamente di quant’è bella!
Oggi, è già diverso. Oggi — anche per me, come per tutti qui, a Cervinia — infilare un paio di "sci” non è poi tanto diverso dall’infìlarsi un paio di scarpe. E’ soltanto più bello! Così, quando ho visto Zeno Colò e i suoi undici "azzurri" volare sulla neve come angeli, ho capito che sono ancora tanto indietro, che devo ancora imparare tanto...
Ma Cervinia è già qualcosa di mio, come un pezzo di Trastevere; e tutte queste montagne, qua attorno, le amo come vecchi amici saggi che, appena posso, ritorno a trovare; e la gente, questa meravigliosa gente della montagna che mi passa accanto e mi saluta appena, come mi fa bene, come farebbe bene a tanti amici nostri!, Ma chi siamo? Ma chi crediamo di essere? Vi giuro: rjon mi muoverci più di qui. Parola d’onore!
Renato Rascel, «Tempo», 1958
«Il Musichiere», 7 luglio 1960 - Renato Rascel
Rascel l'antieroe
Sulla scena egli si muove in una dimensione di mitezza, di vaga rassegnazione, interpretando nelle sue filastrocche lo scoramento dell'uomo comune - Nella vita invece è tenace, ambizioso e duro anche con se stesso
Alfonso Madeo, «Corriere della Sera», 8 ottobre 1964
Renato Rascel si è sposato
Ieri a Milano - La nuova signora Ranucci è la sua segretaria, la francese Huguette Cartier
«Gazzetta di Mantova», 4 gennaio 1966
ROMA — Renato Rascel è morto l’altro ieri sera alle 22 per arresto cardiaco nella clinica Alexia dove era ricoverato da otto mesi. Accanto all’attore, erano la moglie Giuditta Saltarini e il figlio Cesare di 17 anni. Rascel, che si chiamava Renato Ranucci ed era nato a Torino il 28 aprile 1912, è stato una delle più eclettiche e popolari figure dello spettacolo nell’arco di mezzo secolo. Memorabili le riviste e le canzoni. I funerali domani alle 11 nella chiesa degli artisti in Piazza del Popolo.
Tullio Kezic, «Corriere della Sera», 4 gennaio 1991
Gli inizi nell’anteguerra, dal circo ai primi varietà - I grandi musical con Garinei e Giovannini a partire da «Attanasio» Le mogli soubrettes, Tina De Mola e la Saltarini - «Arrivederci Roma» e «Romantica» - Il difficile rapporto col cinema
Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 4 gennaio 1991
Renato Rascel, 78 anni, è morto l'altra notte nella clinica Villa Alexia dopo otto mesi di malattia, un'arteriosclerosi irreversibile. Aveva accanto la moglie Giuditta Saltarini e il figlio Cesare. Nato a Torino il 27 aprile 1912, dietro le quinte di un teatro, Renato Ranucci debuttò giovanissimo prendendo il cognome dalla marca di un profumo. Da batterista e ballerino di tip tap ad attore comico, negli Anni 30 cominciò ad esprimere un nuovo umorismo surreale, ma fu anche autore di canzoni indimenticabili, come «Romantica» e «Arrivederci Roma». Con Garinei e Giovannini legò il suo nome a commedie musicali come Attanasio cavallo vanesio, Un paio d'ali, Alleluja brava gente. Messaggi sono stati inviati dal Capo dello Stato, dai presidenti di Camera e Senato.
E' morto Renato Rascel, piccolo grande corazziere
Nella notte tra mercoledì e giovedì, a settantotto anni di età, è morto Renato Rascel, nella clinica Villa Alexia dove era ricoverato da otto mesi a causa dei disturbi provocati da una arteriosclerosi gravissima. Ad assisterlo la moglie Giuditta Saltarini e l'unico figlio Cesare, di diciassette anni. Il suo vero nome era Renato Ranucci, figlio d'arte, nato a Torino il 27 aprile del 1912 durante una tournée dei suoi poveri e romanissimi genitori. Tutti però lo conoscevano come Rascel. Attore comico, drammatico, musicista e ballerino Rascel fu una delle personalità più complete del nostro spettacolo. I funerali si svolgeranno domani mattina, alle 11, nella chiesa degli artisti in piazza del Popolo. Messaggi di cordoglio alla vedova sono stati inviati dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dai presidenti del Senato Spadolini e della Camera lotti
Mirella Appiotti, «La Stampa», 4 gennaio 1991
Il personaggio
Caratteristiche fisiche e psicologiche
Di età indefinibile, dai 30 ai 45. Di bassa statura, ma non molto inferiore alla media latina. In buona salute, vanta una notevole agilità, che mantiene con passeggiate ai giardini e allo zoo, andando a piedi in bottega, passando i fine settimana all’aria aperta, spesso pescando. Fisionomia un po’ anonima, un po’ miope, ma non porta gli occhiali. Ha una vocetta ben intonata, che sfrutta al mattino quando si fa la barba. Non ha vizi. Piuttosto glabro, non si piace nudo, anche se lascia credere con bonarietà che l’altezza è inversamente proporzionale alla lunghezza. Gli piacerebbe vestirsi all’inglese, ma di autentico ha solo un trench Burberry’s (comprato durante un weekend organizzato a Londra). Fondamentalmente sul grigio, ha dei principe di galles, taglio classico, monopetto (ha una lieve pancetta di cui non si preoccupa più di tanto). Prudente, porta bretelle e giarrettiere; tiene molto alle scarpe, sempre rigorosamente stringate, lucide, molto solide, con i tacchi rinforzati.
In casa porta pantofole sempre nuove, golf aperto, giacca da camera di panno beige: nei momenti di sfrenata intimità, si toglie la cravatta. Uomo tranquillo e calcolatore, si permette delle pagliacciate solo in presenza dei bambini, dei quali vuole conquistarsi la simpatia, ha reazioni improvvise e violente, che non ammettono repliche, quando qualcuno o qualcosa mette in forse la sua stabilità ("vivi e lascia vivere”). È permaloso e ostinato, nascondendo menefreghismo e intolleranza sotto il candore e la condiscendenza. Frega qli altri, per non essere fregato.
Condizione sociale
Ceto medio, centroitaliano. Professioni come geometra, professore di scuola media, piccolo imprenditore, soprattutto bottegaio. Tipo casalingo, confida i suoi problemi di lavoro alla moglie, abbastanza piacente, non vistosa, rotondetta, che ha raccolto da uno strato sociale inferiore. Glielo fa pesare quando litigano, spesso a proposito dell'educazione dei figli Lucio e Paoletta a cui egli tiene molto, in quanto eredi.
Non sapendo nuotare, preferisce la montagna; non troppo alta però. Vive in una casa di sua proprietà, arredata con falso barocchetto, lampadari a gocce e appliques. Ha una Fiat di media cilindrata che non gli riserva sorprese e che guida con prudenza. Filogovernativo in politica.
Cultura
Studi medi superiori (ragioneria, geometri, forse liceo classico). Può anche aver frequentato l’università. Era un ragazzino vivace e sbarazzino, dotato di estro e fantasia; durante gli studi organizzava piccole recite, giornalini scolastici, disegnava vignette. Con l’età ha abbandonato questa sua componente clownesca e inventiva, approdando a un savio enciclopedismo (dispense dei Fratelli Fabbri, Enciclopedia dei Ragazzi). Legge “Il Messaggero”, il "Radiocorriere”, "Oggi”; tiene in libreria un gruppo di vecchi volumi di famiglia (Trilussa, libri illustrati sulla vecchia Roma, Pinocchio, classici dell’Ottocento), qualche Bevilacqua, Papillon. Va un paio di volte all’anno al Sistina, al cinema più spesso per vedere Alberto Sordi, Monica Vitti, Love Story, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Fellini che è la Cultura (nessun film francese, nessun film erotico). Ma sta molto in casa, dove coltiva i suoi hobbies e vede molta televisione (Noschese, Raffaella Carrà, Gabriella Ferri, Maurizio Barendson, Corrado). Ha qualche disco di musica classica (Sogno d'amore, Per Elisa, Rachmaninoff, Concerto di Varsavia di Addinsel), canzonette all’italiana, anche se non acquista molti dischi. Molto orgoglioso delle falde inferiori del terreno di Roma, ricco di tesori archeologici. Dice: “basta scavare...”
Osservazioni
Le connotazioni piccoloborghesi del personaggio, così nette nelle commedie musicali degli anni sessanta, sembrano apparentemente contraddette dal ventennale esercizio comico pseudosurrealista precedente. In verità le filastrocche, l’abbigliamento bizzarro, le macchiette assurde, che ne hanno consacrato la fama, si possono far risalire a una specie di adolescenza del personaggio del Giorno della tartaruga. La volgarizzazione di modi petroliniani e di Campanile si iscrive in quella lunga tradizione provinciale surrealgoliardica che va dal "Marc’Aurelio” fino ad Alto Gradimento. Totalmente estraneo alla vera qualità fantastica del nonsense il primo Rascel ricorre di continuo a una copertura psicologistica e immediatamente decifrabile (è il bamboleggiamento di un monello, in verità furbissimo, è il costante risvolto sentimentale e zuccheroso di un piccoloborghese piccolo che cerca comprensione contro il fato realizzato in situazioni o ruoli o vestiti più grandi di lui). Il primo Rascel per avere successo aveva bisogno di rassicurare il pubblico sulla persistenza di valori quali la Poesia e il Sentimento, minacciati dagli eccessi del materialismo e della politica, accettabili solo nei limiti della moderazione e del "buon senso” (niente di meno surrealistico!).
Certi titoli dell’età di mezzo rasceliana la dicono lunga sull’esaltazione dell’aivrea medio-critas e dell’equidistanza dagli opposti estremismi, costante del personaggio: Alvaro piuttosto corsaro, Tobia candida spia. Si spegne allora la carica di originalità e di forza del primo Rascel, che poteva sfociare nell’espiazione fantastica dell’ltalietta fascista, con le sue incrostazioni sottoculturali, i luoghi comuni, i proverbi, le frasi fatte, gli stilemi da romanzo di appendice, i cascami carducciani e dannunziani, la teatralità enfatica da parata mussoliniana; in quest’opera di stravolgimento poteva costituire un elemento decisivo l’eccezionale e anti-naturalistica abilità acrobatica dell’attore, che si è trasformata nell’esibizionismo sportivo che è una delle componenti del suo attuale professionismo ad alto livello.
Filmografia
Pazzo d'amore, regia di Giacomo Gentilomo (1942)
Maracatumba... ma non è una rumba, regia di Edmondo Lozzi (1949)
Io sono il Capataz, regia di Giorgio Simonelli (1950)
Figaro qua, Figaro là, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1950)
Botta e risposta, regia di Mario Soldati (1950)
Bellezze in bicicletta, regia di Carlo Campogalliani (1951)
Amor non ho... però... però, regia di Giorgio Bianchi (1951)
Napoleone, regia di Carlo Borghesio (1951)
L'eroe sono io, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1951)
Fiorenzo, il terzo uomo, regia di Stefano Canzio (1951)
Canzoni di mezzo secolo, regia di Domenico Paolella (1952)
Ho scelto l'amore, regia di Mario Zampi (1952)
Il bandolero stanco, regia di Fernando Cerchio (1952)
Il cappotto, regia di Alberto Lattuada (1952)
Piovuto dal cielo, regia di Leonardo De Mitri (1953)
Attanasio cavallo vanesio, regia di Camillo Mastrocinque (1953)
La passeggiata, regia di Renato Rascel (1953)
Alvaro piuttosto corsaro, regia di Camillo Mastrocinque (1954)
Gran Varietà, regia di Domenico Paolella (1954)
Questi fantasmi, regia di Eduardo De Filippo (1954)
Rosso e nero, regia di Domenico Paolella (1954)
Il matrimonio, regia di Antonio Petrucci (1954)
Io sono la primula rossa, regia di Giorgio Simonelli (1955)
I pinguini ci guardano, regia di Guido Leoni (1955)
Carosello del varietà, regia di Aldo Quinti e Aldo Bonaldi (1955)
Rascel-Fifì, regia di Guido Leoni (1956)
La nonna Sabella, regia di Dino Risi (1957)
Montecarlo, regia di Sam Taylor (1957)
Come te movi, te fulmino!, regia di Mario Mattoli (1958)
Rascel marine, regia di Guido Leoni (1958)
Arrivederci Roma, regia di Roy Rowland (1958)
Policarpo, ufficiale di scrittura, regia di Mario Soldati (1959)
Ferdinando I° re di Napoli, regia di Gianni Franciolini (1959)
Tempi duri per i vampiri, regia di Steno (1959)
Un militare e mezzo, regia di Steno (1960)
Il corazziere, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
Daniele nella gabbia dell'orso, regia di Edmond Sechan (1960)
Anonima cocottes, regia di Camillo Mastrocinque (1960)
Gli attendenti, regia di Giorgio Bianchi (1961)
Mani in alto, regia di Giorgio Bianchi (1961)
Il giudizio universale, regia di Vittorio De Sica (1961)
Canzoni di ieri, canzoni di oggi, canzoni di domani, regia di Domenico Paolella (1962)
Follie d'estate, regia di Carlo Infascelli e Edoardo Anton (1963)
Il segreto di Santa Vittoria, regia di Stanley Kramer (1969)
Il trapianto, regia di Steno (1969)
Un burattino di nome Pinocchio, regia di Giuliano Cenci (1972)
Gesù di Nazareth, regia di Franco Zeffirelli (1977)
Teatrografia
1952: Attanasio cavallo vanesio, regia di Garinei e Giovannini
1953: Alvaro piuttosto corsaro, regia di Garinei e Giovannini
1954: Tobia candita spia, regia di Garinei e Giovannini
1957: Un paio d'ali, regia di Garinei e Giovannini
1960: Rascelinaira, regia di Garinei e Giovannini
1961: Enrico '61, regia di Garinei e Giovannini
1964: Il giorno delle tartaruga regia di Garinei e Giovannini
1966: La strana coppia regia di Garinei e Giovannini
1970: Alleluja brava gente, commedia musicale di Renato Rascel, Domenico Modugno e Iaia Fiastri, regia di Garinei e Giovannini
Discografia
33 giri
20 aprile 1955: Renato Rascel (Odeon, MODQ 6234)
novembre 1955: Renato Rascel (Odeon, MODQ 6247)
1956: Renato Rascel (Carisch, MCA 28003)
1957: Renato Rascel (Carisch, MCA 28011)
23 giugno 1958: Evviva l'allegria (Carisch, MCA 28015)
1958: Renato Rascel (Carisch, QCA 1501)
1960: Le 20 canzoni di Sanremo 1960 (RCA Italiana, LPM 10068; con Nilla Pizzi, Teddy Reno e Miranda Martino)
1960: "Romantica" e altre dieci canzoni di Renato Rascel (RCA Italiana, LPM 10072)
1961: Enrico '61 (RCA Victor, PML 60003; album doppio)
1962: Rascel show (RCA Italiana, PML 10313)
1963: Welcome To Roma Mia (RCA Italiana, PML 10346)
1966: Renatino (RCA Italiana serie Special, S9)
1971: Alleluja brava gente (RCA Italiana, PSL 10507; con Luigi Proietti e il cast della commedia musicale)
78 giri
25 marzo 1953: Il piccolo corazziere/Apache (Odeon, L 14046)
11 marzo 1954: Arrivederci Roma/Sole de Roma (Odeon, L 14045)
1955: Vogliamoci tanto bene/'Na canzone pe ffa ammore (Odeon, L 14058)
EP
1955: 2º microsolco (Odeon, DSEQ 444; Arrivederci Roma/Ho il cuore tenero/È arrivata la bufera/Merci beaucoup)
3 marzo 1956: 3º microsolco (Odeon, DSEQ 503; Ninna nanna del cavallino/La samba di novant'anni fa/La bela Gigogin/Napoleone)
1956: 4 canzoni per bambini...(e per adulti) (Odeon, DSEQ 504; Dove andranno a finire i palloncini/Il tango delle capinere/Ricordate Marcellino/Ninna nanna del cavallino)
1956: 4 messaggi d'amore (Odeon, DSEQ 503; Vogliamoci tanto bene/L'ostricaro 'nnamurato/'Na canzone per ffa ammore/Te voglio bene tanto tanto)
1957: Renato Rascel (Carisch, LCA 29014; Ho attaccato un palloncino/Poco più di niente/Fior di loto (di Franco Nebbia)/Sotto l'archi der Colosseo)
1957: Luna sanremese (Carisch, LCA 29015; Luna sanremese/È tutta colpa della primavera/Si è fatto tardi (e mamma che dirà?)/Un po' di cielo)
1957: 4 canzoni dal film Rascel-fifi (Carisch, LCA 29017; Joe Mitraglia/Con un po' di fantasia /Fa tanto caldo/Ho attaccato un palloncino (Franco Nebbia) )
1957: Un paio d'ali (Carisch, LCA 29025; Un paio d'ali/L'uomo inutile/Non so dir "ti voglio bene"/Domenica è sempre domenica)
1958: 4 canzoni di Renato Rascel (Carisch, LCA 29029; A sud-ovest delle Hawai/Caporal boogie/Il mondo cambia/Com'è bello)
1960: Sanremo '60: Romantica/Strignete nu poco a mme/Dimmelo con un fiore/Ammore e sole (RCA Italiana PME 30-356)
1960: Canzoni di Natale: Silent Night/Ninna nanna del cavallino/Ninna nanna piccoletta/Tu scendi dalle stelle (RCA Italiana EPA 30-390)
1961: Vent'anni/...e non addio/Dopo l'inverno viene sempre primavera/Com'è bello volersi bene (RCA Italiana PME 30-478)
1966: Bambino beat: Bambino beat/Quando la mamma racconta/Bambino Gesù/Facciamo i baffi al sole (Carosello LC 4008)
45 giri
1955: È arrivata la bufera/Ninna nanna del cavallino (Odeon, DSOQ 275)
1956: Venticello de Roma/Con un po' di fantasia (Carisch, SCA 41008)
1956: Un paio d'ali/L'uomo inutile (Carisch, SCA 41012)
1957: Domenica è sempre domenica/Non so dir ti voglio bene (Carisch, SCA 41013)
1957: Venticello de Roma/Domenica è sempre domenica (Carisch, SCA 41014)
1957: Luna sanremese/Un po' di cielo (Carisch, SCA 41015)
1958-05: Ninna nanna piccoletta/Ho nel cuore una favola (Carisch, SCA 41016)
1958: Il cammelliere/Scozzese (Carisch, SCA 41017)
1958: Fior di loto/Lo statale (Carisch, SCA 41018) (Franco Nebbia)
1958: Je suis l'Apache/Guaglione (Carisch, SCA 41019)
1958: Quando spunta il martedì/El toreador (Carisch, SCA 41020)
1958: Indù/Detective story (Carisch, SCA 41021)
1958: Lampioni di Montmartre/Je suis l'Apache (Carisch, SCA 41022)
1958: Avec les anges (angeli in volo)/Accarezzame (Carisch, SCA 41023)
1958: Caporal boogie/A sud-ovest delle Hawaii (Carisch, SCA 41024)
1958: Com'è bello/Il mondo cambia (Carisch, SCA 41025)
1958: Brivido blu/Ladro di stelle (Carisch, SCA 41026)
1958: Joe Mitraglia/Poco più di niente (Carisch, SCA 41029)
1959: Strignete 'na poco a mme/Donna di cuori (Carisch, SCA 41032)
1959: Dracula cha cha/Dimmelo con un fiore (RCA Italiana, N 0915)
1959: Martinicaffé/Bip, bip, bip (RCA Italiana, N 0942)
1959: 'na canzone pe' ffa' ammore/Ladro di stelle (RCA Italiana, N 0965)
1960: Romantica/Dimmelo con un fiore (RCA Italiana, N 1013)
1960: Ammore e sole/Strignete 'nu poco a mme (RCA Italiana, N 1014)
1960: Con un po' di fantasia/Com'è bello (RCA Italiana, N 1054)
1960: Arrivederci Roma/Vogliamoci tanto bene (RCA Italiana, N 1069)
1960: Welcome to Roma mia/Venticello de Roma (RCA Italiana, N 1099)
1960: Amare è una favola/Quel primo bacio (RCA Italiana, N 1117)
1960: Con te/Con un po' di fantasia (RCA Italiana, N 1139)
1961: Gridando amore/Adda' turna' (RCA Italiana, N 1178)
1961: Nun chiagnere / Calda estate d'amore (RCA Italiana, PM 3009)
1961: Ninna nanna piccoletta / Ninna nanna del cavallino (RCA Italiana, PM 3016)
1961-10: La stella di Natale / Tu scendi dalle stelle (RCA Italiana, PM 3017)
1961: ...e non addio / Com'è bello volersi bene (RCA Italiana, PM 3029)
1961: Vent'anni / Dopo l'inverno viene sempre primavera (RCA Italiana, PM 3031)
1963: Sincera / Bimba, bimba mia (RCA Italiana, PM 3185)
1963: Roma nun fa' la stupida stasera / Ciumachella de Trastevere (RCA Italiana, PM 3186)
1964: Magari/Non esitar (Carosello, Cl 20111)
1964: T'aspetto a Roma/Tanto tanto bene (Carosello, Cl 20125)
1964: Aspettando che spiova/Maria non andar via/L'orchestra di villa Balestra (Carosello, Cl 20134; disco tris)
1964: Napoli fortuna mia/Qua la mano (Carosello, Cl 20135)
1965: Dagli una spinta/C'era un leone/Se fossi un marziano (Carosello, Cl 20144; disco tris)
1965: Costa Smeralda/Tintarella fuori porta (Carosello, Cl 20148)
1967: Sapessi com'è facile/Scirocco (RCA Italiana, PM 3427)
1968: Il ragazzo d'argilla/Un amore come dico io (RCA Italiana, PM 3445)
1969: Con lo zigozigozzà/Arrivederci Roma (RCA Italiana, PM 3487)
1970-01: Nevicava a Roma/Pardon (RCA Italiana, PM 3508)
1970: Bambina dagli occhi neri/Renatino e la coscienza (Spes DC, PV 6; promozionale)
1970-11: Padre Brown/Io non chiedo di più (RCA Italiana, PM 3552)
1971: Un burattino di nome Pinocchio/Miracolo de Roma, (RCA Italiana, PM 3614)
1971: Alleluja brava gente/Fra poco (RCA Italiana, PM 3597)
1978: Sì...buonasera/Un cuore con la "K" (CBS, 6822)
1980: Pillole pillole/Nemici per la pelle (CLS, MDF 027)
Prosa televisiva Rai
Il viaggio di Astolfo, di Bernardino Zapponi, con Gigi Proietti, regia di Vito Molinari 1972
Programmi radiofonici RAI
Il maestrino delle dieci e tre, di Guido Leoni e Dino Verde, regia di Maurizio Jurgens, trasmesso nel maggio 1961.
Il vostro amico Rascel, un programma di Gianni Isidori, regia di Enzo Convalli 1967
Riconoscimenti
Nastro d'argento 1953
David di Donatello 1959: Targa d'oro
Targa nella Strada del Festival di Sanremo in via Matteotti a Sanremo, per il brano Romantica, 2011
Riferimenti e bibliografie:
- Renato Rascel, su Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- Renato Rascel, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- Renato Rascel, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- (EN) Renato Rascel, su Open Library, Internet Archive
- Renato Rascel, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi
- (EN) Renato Rascel, su Discogs, Zink Media
- (EN) Renato Rascel / Renato Rascel (altra versione), su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation
- Renato Rascel, su CineDataBase, Rivista del cinematografo
- (EN) Renato Rascel, su Internet Movie Database, IMDb.com
- (EN) Renato Rascel, su AllMovie, All Media Network
- Renato Rascel su IMDb, su italian.imdb.com
- Sito ufficiale di Renato Rascel, su renatorascel.it
- Altro sito molto accurato su Renato Rascel, su italiamemoria.it
- Pagina con testo e mp3 di Arrivederci Roma, su laboratorioroma.it. URL consultato il 21 febbraio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2009).
- "Un grande piccoletto" in Cineforum.it
- Gino Castaldo (a cura di), Dizionario della canzone italiana, Curcio editore, Roma, 1990; alla voce Renato Rascel, di Enzo Giannelli
- Eddy Anselmi, Festival di Sanremo. Almanacco illustrato della canzone italiana, edizioni Panini, Modena, alla voce Renato Rascel, pag. 865
- Michele Neri e Franco Settimo, Renato Rascel. Discografia completa, pubblicato su Musica Leggera, nº 4, giugno 2000
- Varie riviste musicali degli anni cinquanta, sessanta e settanta: Musica e dischi, Il musichiere, Discografia Internazionale, TV Sorrisi e canzoni
- "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
- Renato Rascel in "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
- "Sentimental, la rivista delle riviste", Rita Cirio e Pietro Favari, Bompiani, Milano, 1975
- Vittorio Bonicelli, «Tempo», anno XIII, n.52, 29 dicembre 1951
- Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.53, 25 dicembre 1952
- «Tempo», anno XVII, n.1, 6 gennaio 1955
- Egle Monti, «Tempo», anno XVII, n.48, 1 dicembre 1955
Riferimenti e bibliografie:
- Renato Rascel, su Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- Renato Rascel, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- Renato Rascel, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
- (EN) Renato Rascel, su Open Library, Internet Archive
- Renato Rascel, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi
- (EN) Renato Rascel, su Discogs, Zink Media
- (EN) Renato Rascel / Renato Rascel (altra versione), su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation
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- (EN) Renato Rascel, su Internet Movie Database, IMDb.com
- (EN) Renato Rascel, su AllMovie, All Media Network
- Renato Rascel su IMDb, su italian.imdb.com
- Sito ufficiale di Renato Rascel, su renatorascel.it
- Altro sito molto accurato su Renato Rascel, su italiamemoria.it
- Pagina con testo e mp3 di Arrivederci Roma, su laboratorioroma.it. URL consultato il 21 febbraio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2009).
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- Gino Castaldo (a cura di), Dizionario della canzone italiana, Curcio editore, Roma, 1990; alla voce Renato Rascel, di Enzo Giannelli
- Eddy Anselmi, Festival di Sanremo. Almanacco illustrato della canzone italiana, edizioni Panini, Modena, alla voce Renato Rascel, pag. 865
- Michele Neri e Franco Settimo, Renato Rascel. Discografia completa, pubblicato su Musica Leggera, nº 4, giugno 2000
- Varie riviste musicali degli anni cinquanta, sessanta e settanta: Musica e dischi, Il musichiere, Discografia Internazionale, TV Sorrisi e canzoni
- "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
- Renato Rascel in "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
- "Sentimental, la rivista delle riviste", Rita Cirio e Pietro Favari, Bompiani, Milano, 1975
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Cesare Zavattini, «Tempo», 11 aprile 1940
- «La Gazzetta di Parma», 6 giugno 1943
- Vittorio Bonicelli, «Tempo», anno XIII, n.52, 29 dicembre 1951
- Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.53, 25 dicembre 1952
- «Epoca», 1953
- «Tempo», 1953
- G. D'Eramo, «Epoca», 1954
- «Tempo», anno XVII, n.1, 6 gennaio 1955
- «La Gazzetta di Mantova», 3 marzo 1955
- «La Stampa», 17 maggio 1955
- Egle Monti, «Tempo», anno XVII, n.48, 1 dicembre 1955
- Raoul Radice, «L'Europeo», anno VIII, n.53, 25 dicembre 1952
- Enrico Roda, «Tempo», 1956
- «Le Ore», anno V, n.222, 10 agosto 1957
- «Epoca», 1958
- «Noi donne», 1958
- Alfonso Madeo, «Corriere della Sera», 8 ottobre 1964
- «Gazzetta di Mantova», 4 gennaio 1966
- Enzo Biagi, Maurizio Porro, Tullio Kezic, «Corriere della Sera», 4 gennaio 1991
- Simonetta Robiony, Masolino D'Amico, Mirella Appiotti, «La Stampa», 4 gennaio 1991
- «Il Piccolo di Trieste», 4 gennaio 1991
- «L'Unità», 4 gennaio 1991
- «L'Unità», 6 gennaio 1991