Riva Mario (Bonavolontà Mario)

Mario Riva 1960 bio

Pseudonimo di Mario Bonavolontà (Roma, 26 gennaio 1913 – Verona, 1º settembre 1960), è stato un conduttore televisivo e attore italiano, che raggiunse vasta popolarità negli anni cinquanta.

Gli esordi

Figlio del compositore napoletano Giuseppe Bonavolontà e di Teresa Chinzari da Antrodoco, Riva fu uno dei pionieri della televisione italiana. Era attore di varietà, rivista, commedia musicale, cinema, e iniziò la sua carriera durante la seconda guerra mondiale, facendo spettacoli per le truppe.

In seguito, per una curiosa coincidenza, incontrò un altro famoso attore di varietà, Riccardo Billi, con il quale creò "Billi e Riva", una della coppie comiche più famose del suo tempo (in seguito altri seguirono il loro esempio come Tognazzi e Vianello e Franco e Ciccio).



Radio, palcoscenico e grande schermo

Dal 1938 partecipa, in parti secondarie, a diverse commedie e radiodrammi per l'EIAR, nella stagione 1942 1943 fa parte del cast di attori della popolare trasmissione settimanale Il Terziglio, con testi di Federico Fellini, Marcello Marchesi, Dino Falconi, Edoardo Anton, ed altri, reciterà accanto a giovani attori come Giulietta Masina, Miranda Bonansea, Gemma Griarotti, Nunzio Filogamo e Rocco D'Assunta.

Nel 1949 presentò alla radio Oplà, programma che in seguito agli impegni cinematografici del conduttore fu affidato all'esordiente Corrado, ritenuto suo erede.

Negli anni cinquanta avvenne l'incontro con i due giovani autori Garinei e Giovannini, con i quali, sempre assieme a Billi, interpretò alcune delle più famose e importanti riviste dell'epoca, assieme ad artisti come Wanda Osiris, Gino Bramieri, Walter Chiari, Carlo Campanini, Totò e Peppino De Filippo. Riva lavorò molto anche in campo cinematografico, comparve in più di cinquanta pellicole a fianco ad attori del calibro di Totò, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Walter Chiari, Aldo Fabrizi, ed altri grandi interpreti, compresa la sua compagna Diana Dei e il solito Billi, col quale nel 1955 fu protagonista del film di Lattuada Scuola elementare e con cui aveva partecipato un anno prima alla trasmissione televisiva di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello di varietà Un due tre.


Riccardo Billi viene dalla paziente « gavetta » dell’avanspettacolo; Mario Riva dalla falange dei «presentatori». Un bel giorno questi due s’incontrano, e la loro unione — che ricorda quella di certe sostanze chimiche ciascuna delle quali, per proprio conto, è abbastanza innocua, ma mescolata ad altre formano un composto esplosivo — fa deflagrare un clamoroso successo. Questo successo è La Bisarca, cui seguono Alta tensione e I fanatici. Ormai la « ditta » è affermata: la sua comicità vince di prepotenza, ed è infatti una comicità prepotente. Non c’è modo di resisterle: fate conto di giocare a poker con un avversario — anzi, due — che abbia costantemente in mano quattro assi. Billi è un parodista di prima forza: la sua imitazione di Anna Magnani ha fatto epoca. Riva è, pirandellianamente, uno, nessuno e centomila: le sue battute rapidissime hanno la persistenza e la suggestività del tam-tam nella foresta : come ne sentite i primi colpi, siete già disposti ad arrendervi; sapete che la vostra resa è inevitabile. In Billi e Riva c’è tutta Roma: la corrosività del Belli, la cordialità di Pascarella, l’ironia di Trilussa. Straordinariamente divertenti, con tutta l’aria di chi sa di esserlo e fa il possibile per non darlo a vedere: un’immodestia che abbassa gli occhi e arrossisce lievemente, come una signorina di famiglia (del secolo scorso). Una cosa è certa : che la loro è una comicità tutta godibile; quando avete finito di saziarvene, vi avvedete che della lauta imbandigione non è avanzata neppure una briciola.

Dino Falconi e Angelo Frattini


La forza di questi due nostri assi della rivista nasce dalla perfezione del loro accordo in scena, oltre che dalle effettive risorse comiche di ognuno. Billi e Riva si trovano ad occhi chiusi, si completano ammirevolmente, si servono a vicenda. Ed il pubblico non ha davanti a sé un comico ed un attore di spalla, bensì due comici e due attori di spalla. Il ritmo della comicità, in tal modo, resta costante: e anche nei punti meno felici dello spettacolo, sullo spettatore non cala il tedio.

 

Non so se qualcuno di voi si sia trovato alla stazione, di sera, nel momento in cui il treno deve partire ed arriva il camioncino dei giornali che devono essere spediti in cento differenti direzioni: nell’apertura del carro-bagagli i pacchi di giornali vengono scaraventati al volo, a ritmo vertiginoso, e tanta e tale è l’abitudine degli spedizionieri, che non uno dei pacchi manca l'obiettivo. Ebbene, Billi e Riva, specialmente quando vengono in passerella, mi fanno pensare agli spedizionieri dei giornali che eseguono il lancio mentre già il capostazione alza la sua paletta: le battute si susseguono ad un ritmo impressionante tale che nella gola dello spettatore non s’è spenta ancora una risata che già l’altra s'accende. Il segreto è presto svelato. Billi e Riva sono bravi e sono... in due. L’osservazione vi parrà lapalissiana, ma in sostanza è l’unica che possa condurre alla verità. Sono in due. Cioè non esiste un comico e una “spalla”. Esistono due comici e due spalle. Razione doppia, rispetto alle altre riviste, perché il comico è sempre e soltanto uno, e son guai se l'attore che gli fa da spalla si permette di rubargli qualche effetto. La “spalla”, nello spettacolo teatrale, ha la stessa funzione che in artiglieria ha il “servente al pezzo”.

 

Deve provvedere alle munizioni per il cannone. E basta. Sono rarissimi i casi in cui il servente riesce a... sparare per suo conto. Solo Totò concedeva via libera, spesso, a Mario Castellani, eccellente attor comico. Ma Totò ha una tale nozione del proprio effettivo valore che può ben permettersi di indulgere.

La comicità di Billi è querula; la comicità di Riva è aggressiva. Si completano. Billi prepara la battuta a Riva, ma mentre Riva lancia la boutade già s’affretta a preparare la risata che sgorgherà da una battuta di Billi. È, insomma, una collaborazione feconda. I due comici romani si rendono conto perfettamente che è proprio dall’alternativa degli effetti comici che nasce la loro forza. Il ritmo è incalzante, e Billi non ha finito di tratteggiare una situazione divertente che già Riva si sovrappone con un altro tema. E viceversa.

Mario Casàlbore


Domenica è sempre domenica

Alla fine degli anni cinquanta, con l'avvento della neonata Televisione (allora in bianco e nero e con un solo canale), dopo un esordio nella trasmissione Duecento al secondo di Garinei e Giovannini, tentò un nuovo linguaggio di spettacolo (sempre con la collaborazione di Garinei e Giovannini, diventati la firma più prestigiosa del varietà italiano) con lo spettacolo musicale "Il Musichiere" (primo quiz musicale televisivo della storia della TV), trasmessa dal 7 dicembre 1957 fino al 1960 dalla RAI, con circa 90 puntate.

La trasmissione all'epoca registrava un ascolto di ben 19 milioni di ascoltatori, paralizzando di fatto l'Italia televisiva: si ricorda che nei cinema di Roma e Milano, i gestori dovettero mettere gli apparecchi TV per evitare che le sale in quel giorno e in quell'orario andassero deserte. Oltre a condurre la competizione tra i concorrenti, che si sfidavano per provare la loro conoscenza musicale, Mario Riva, che grazie a questa trasmissione può a buon diritto essere considerato il papà del sabato sera televisivo italiano, appariva al fianco degli ospiti d'onore, molto spesso celebrità internazionali, con i quali talvolta si produceva in inaspettati duetti (famoso quello con Josephine Baker).

Riva interpretava inoltre la sigla finale della trasmissione "Domenica è sempre domenica", che rimase per molto tempo una delle canzoni più popolari. Sue vallette nella trasmissione sono state attrici in seguito divenute famose quali Lorella De Luca, Alessandra Panaro, Carla Gravina, Patrizia Della Rovere, Marilù Tolo, Brunella Tocci.


Billi e Riva: i personaggi

Caratteristiche fisiche e psicologiche

Ambedue intorno ai quarant’anni, portati male però. Abbondanti stempiature, adipe, stomaco dilatato, cellulite, rivelano una scarsissima attenzione alla cura del corpo e un amore incontrollato per farinacei e grassi. Gli sport praticati consistono nell’assistere alle partite agitando bandiere giallorosse o biancocelesti e urlando insulti all’arbitro; nel compilare le schedine del totocalcio al sabato mattina. Qualche calcio al pallone, finché regge il fiato, con i ragazzini che giocano per le strade. “Pennichella” pomeridiana. Scarsa cura anche nel vestiario, caratterizzato soprattutto dall’uso del calzino corto, accoppiato d’estate ai sandali con i buchi. Pancere d’inverno e “canotte” sotto camicie - maniche corte a quadrettini - d’estate. Abiti confezionati con stoffe di natura indefinibile, preferibilmente color nocciola o grigio stinto, pantaloni con borse ai ginocchi e sostenuti da bretelle. In estate quasi d’obbligo i pantaloncini corti. Invadenti, strafottenti, menefreghisti, prepotenti e maneschi con i più deboli, come i "regazzini", ossequiosi e riverenti con i superiori, la loro aggressività non li spinge mai all’urto frontale con il prossimo, fedeli sempre ad una vigliaccheria di fondo ammantata di: “volemose bbene”, “ma chi ce lo fa fà”, ecc... Gesticolazione sovrabbondante, con netta preferenza per il “fare le corna”.

Condizione sociale

Sottoborghesi romani, praticano mestieri che gravitano nell’ambito del sottobosco parastatale o comunale: uscieri, bidelli, scopini comunali, impiegati agli sportelli, sampietrini, pizzardoni; mestieri scelti anche per la possibilità di indossare una divisa. Escono dal loro letargo quando hanno la possibilità di esercitare malignamente una parvenza di potere, appellandosi a regolamenti e a tortuosità burocratiche. Fauna tipica delle borgate romane (Acqua Bulicante, Pietralata, Tiburtino) abitano in appartamenti troppo piccoli, affollati di poltrone letto ricoperte di cinz a fiori per ospitare tutti i figli, mogli, suoceri, cognati, zii, cugini, che convivono con loro. Apparecchio radio e televisore ricoperti di soprammobili di vetro e di peluche. Bambola blu troneggiante sul letto.

Cultura

Scuole dell’obbligo e rammarico per essere rimasti gli unici italiani a non poter essere chiamati dottori. Le loro letture si limitano al “Corriere dello Sport”, a "Il Tempo” quotidiano, agli ebdomadari di barzellette scollacciate, dal “Calandrino" alla “Mezz’ora”. Amano Claudio Villa, soprattutto quando canta gli stornelli romaneschi, le trasmissioni radiofoniche a carattere regionale, simpatizzano per Corrado. I luoghi di ritrovo e di cultura favoriti sono sempre legati al cibo: le trattorie fuori porta (Carbonare, amatriciane, spaghetti alla puttanesca, abbacchi, porchette, fojette di vino dei Castelli) le spiagge di Ostia (con ineluttabili merende a base di melanzane ripiene e di cocomeri), e, occasione sublime, la “Festa de Noantri” (con le rituali lumache in umido).

Osservazioni

“Romani de Roma”, i personaggi creati da Billi e Riva s’impongono come una summa dei difetti romani (e nazionali) portati, con un impegno che rasenta un becero patriottismo, a livelli quasi sublimi.

Tipica coppia d’avanspettacolo (alla Vanni e Romigioli) trasportata di peso nella "rivista grande” (attraverso la scorciatoia della radio), inizialmente il duo si presentava composto da una spalla-presentatore, Riva, e da un comico, Billi (autentico "animale” d’avanspettacolo, con falsetti sguaiati, eccessi plebei, quasi imbarazzanti nella cornice della rivista di "lusso”). Ma i loro ruoli erano parificati e complementari. In seguito, .anzi, mentre Billi rimaneva prigioniero degli stereotipi del comico di rivista, Riva, guidato dai fatidici Garinei e Giovannini, seppe rinnovarsi, adeguandosi alla svolta della cultura di massa, rappresentata dalla televisione: seppe così trasformare la violenza e la cattiveria originarie del personaggio nella bonomia tartufesca da amico-di-famiglia. Ma l’importanza di Billi e Riva sta nella loro qualità di archetipi del filone d’oro del cinema italiano: la “commedia all’italiana”, l’epopea antropologica degli usi e costumi dell’italiano medio, impersonato dai vari Gassman, Sordi, Tognazzi, Vitti, Manfredi, giù giù fino a Lando Buzzanca.


La morte in palcoscenico

Nel 1960 Mario Riva era all'apice della sua carriera. Il 21 agosto di quell'anno era impegnato nella serata finale de Il Festival de Il Musichiere, all'Arena di Verona. Come anche dettagliatamente riportato in un articolo a pagina 5 del quotidiano l'Unità del 23 agosto 1960, il presentatore, percorrendo un praticabile del retroscena dell'alto palcoscenico eretto nel centro dell'anfiteatro, inciampando nell'oscurità (ingannato peraltro da una striscia di tela di sacco[3][4] che celava uno spazio vuoto sottostante), precipitò rovinosamente dall'altezza di tre metri riportando la frattura della sesta vertebra dorsale, la frattura della quarta e quinta costola di destra, la frattura della quinta costola di sinistra, la sospetta frattura dello scafoide carpale destro ed una ferita lacero contusa al cuoio capelluto.

L'incidente avvenne alle 21,15 circa. Riva aveva appena dato istruzioni al numeroso pubblico che gremiva oltre metà dell'Arena di Verona sul modo di comportarsi onde permettere il regolare svolgimento della ripresa televisiva e si era ritirato nel retroscena. Scomparso alla vista del pubblico, il direttore Gorni Kramer aveva dato il segnale d'attacco alla sua orchestra e lo spettacolo iniziava regolarmente senza che nessuno degli spettatori si avvedesse del trambusto che invece avveniva dietro le quinte. Il presentatore, che era atteso in scena mentre brandiva una torcia che sembrasse quella olimpica, rimase semiaccecato dalle fortissime lampade del proscenio e cadde malamente fra assi ed attrezzi.

Prontamente ricoverato in ospedale fu sottoposto alle cure più urgenti (tra le quali l'infusione di un antibiotico fino ad allora utilizzato solo nelle broncopolmoniti infantili, la Polimixina B, consigliato dal prof. Campanacci di Bologna), ma sopraggiunte complicazioni polmonari (broncopolmonite da trauma) e cardiache concorsero ad aggravare il quadro clinico, ponendo fine prematuramente alla sua vita il 1º settembre: aveva solo 47 anni.

La notizia della sua morte destò commozione e sconcerto in tutta Italia. Il giorno del suo funerale, a Roma, fuori dalla basilica del Sacro Cuore di Maria a Piazza Euclide[5] si raccolsero 250.000 persone. Con lui scomparve una delle figure più familiari dello spettacolo, singolare per la bonomia e l'arguzia che lo contraddistinguevano. Ad un detrattore che diceva che lui aveva "gli occhi storti" replicava: "Gli occhi storti ce l'hanno tanti, ma io ho lo strabismo di Venere". È sepolto al Cimitero del Verano a Roma.

Mario Riva era un grande tifoso della Lazio, nonché consigliere onorario della società biancoceleste.
Durante il secondo conflitto mondiale era di stanza a Zara nel Corpo dei Bersaglieri, per cui la di lui bara fu portata da soldati di questa specialità.


Galleria fotografica e rassegna stampa



Vinto un concorso nazionale, nell'ottobre del 1938, il romano Mario Bonavolontà — divenuto poi Mario Riva in arte — fu invitato dall'Eiar a far parte del complesso artistico per la trasmissione delle riviste. La carriera radiofonica di questo piacevole attore è stata assai rapida: assunto come « generico », passa « attor giovane » l'anno seguente e oggi è « primattore » nella compagnia di riviste.

«Assi e stelle della Radio», 1942


Accipicchia, mo', dopo la radio il cinema la rivista, ci mettiamo a fa’ anche gli scrittori. Va bene che si tratta di cosa sporadica e occasionale, ma se lo sapesse il nostro grande Impresario Remigio Paone, che già cl ha rlscrltturati per l’anno prossimo, e per una nuova grande rivista, chissà che gli piglierebbe, sfarebbe capace di dire: «Ma come, io vi ho scritturato come comici, e voi, niente niente, ora vi dovesse saltare, il ticchio di diventare scrittori di racconti, una specie del Fratelli Grimm, per esemplo?». Macché racconti, che dobbiamo raccontare?, possiamo fare quattro chiacchiere, così, alla buona, tanto per farvi sapere che noi andiamo d’accordo per tutto quanto riguarda la cucina e il teatro. Ma. per il resto, io, Billi, sono «romanista», perché nato a Siena, da madre romana. Ed io, Riva, sono invece «laziale», pur essendo nato a Roma da padre napoletano. Però, la schedina del «totocalcio» la compiliamo insieme e, i milioni che vinceremo, perchè una volta o l’altra lo dovremo pure azzeccare un «tredici», li divideremo come c.i dividiamo le strofe dei duetti. Ma poi, questo disaccordo sul «tifo», finisce sempre per concludersi, specie a Roma, in un perfetto accordo.

Infatti, i «romanisti» vengono in teatro per Billi e i «laziali» per Riva. E insieme applaudono a tutt’e due. Abbiamo accennato alla cucina. Be’, questo è affare di Riva. Avete mal mangiato i «rigatoni» con l’aceto? No?, e non li mangiate, se no potreste correre il rischio di una laparatomia. A parte gli scherzi, io, Riva, sono un genio delia culinaria. Invento leccornie che, quando riescono, tutti mi dicono: bravo Rossini! Certo in quanto a musica, tanto di cappello all'autore dei Barbiere di Siviglia, ma per ia cucina, non so chi dei due si dovrebbe scappellare. Senti, caro Mario, adesso mi pare che stai un po’ esagerando. Tu cucini bene solo la trippa. Quella, sì. E il fatto che quando slamo al ristorante tu, con vino da intenditore, scegli dalla lista le pietanze, i che poi tocca mangiare ancne a me, non il deve dare alla testa. intanto, tu aspiravi a diventare avvocato, come io mi ripromettevo di fare li pittore.

Hai visto come si sono avverati i nostri sogni? Senti, caro Riccardo, si vede che c'é stato qualcuno che ci ha voluto proteggere dall'alto, perché tu come pittore saresti morto di fame, e chissà se lo come avvocato, le avrei perse o vinte le cause. Meglio cosi, credi a me. Non cl lamentiamo per carità. Ma dimmi un po', Mario, volevi diventare avvocato facendo l’attore alla radio?, perchè se non sbaglio cosi hai cominciato. E tu volevi diventare pittore, facendo il comico di varietà? Perchè, caro Billi, e questo non è dubbio, di là provieni. Che vorresti insinuare, circa il varietà? Non dimenticare, caro Riva, che, di là, è venuto fuori anche Ettore Petrolini. Hai detto un prospero! E chi ti dice niente, Riccardo mio, ho detto di là, come potevo dire di qua, no? Ah, be’! Scusateci, un momento. C’è di là un- cantante che ci aspetta. Ogni tre giorni viene a farci visita. E' un caro e simpatico amico, ed anche un ottimo artista, solo che, quando lo scritturano, gli impresari pretendono che si paghi lui il viaggio per recarsi sulla «piazza» del debutto. E siccome il nostro amico è distratto, si accorge solo all’ultimo momento di non avere in tasca il corrispondente del prezzo del biglietto ferroviario, e lo viene a chiedere a. noi. Dei suoi clamorosi successi, siccome 1 giornali non ne parlano, ce ne informa, poi, direttamente. Che volete farci? E l raccoglitori di autografi? Pare che si siano consorziati ed abbiano escogitato un mezzo più sollecito ed economico per arricchire le loro collezioni. Ecco qua una circolare a stampa: «Prego la S. V. ill.ma di volermi rimettere, a mezzo posta, una foto 18x24, con autografo, per la mia collezione».

Ed ora dovremmo dirvi delle nostre aspirazioni artistiche? Recitare sempre ottimi copioni di rivista. E, in quanto al cinema, fare dei soggetti più rispondenti alle nostre possibilità, più divertenti, e meglio congegnati. Ma come sì fa? Dovremmo trovare anche noi un ministro della Finanze americano a spasso, come lo trovarono Charlot, Mary Pickford e Douglas. Questo ministro a spasso disse a quei tre artisti: perchè non ve li fate da voi i film? E cosi nacque la ditta «Artisti associati». E nacquero anche dei film, che lévatl! Che ne dici Billl? Io sono d’accordo, caro Riva, e tu? Figurati! E allora, visto che ci troviamo, come sempre, in perfetto accordo, anche su questo punto, facciamo un profondo inchino, e tenendoci per mano, con linguaggio finale da vecchia pellicola, diciamo al lettori della Domenica del Corriere : arrivederci e grazie.

Riccardo Billi e Mario Riva, «Domenica del Corriere», 16 marzo 1952


Un squestro conservativo sui beni di Isa Barzizza

L'attrice si ritira dalla compagnia che doveva rappresentare la rivista « Siamo tutti dottori »

L’impresario teatrale Remigio Paone per tramite del suo legale avv. Vigevano ha fatto istanza al presidente del Tribunale di Milano per ottenere il sequestro conservativo fino alla concorrenza di 50 milioni nei confronti di Isa Barzizza. L'attrice scritturata per gli spettacoli «Errepi» in compagnia di Riccardo Billi e di Mario Riva avrebbe dovuto recitare nella rivista dal titolo "Siamo tutti dottori" che doveva andare in scena il 15 ottobre nel teatro Quattro Fontane di Roma. Ma il 29 settembre durante le prove ebbe luogo un incidente di cui furono protagonisti la Barzizza e il Riva, e in seguito al quale Isa Barzizza scriveva in data 30 settembre una lettera a Remigio Paone annunciando la sua decisione di! uscire dalla compagnia. L’impresario che era assolutamente estraneo all’incidente interpose i suoi buoni uffici per appianare la vertenza, ma senza risultato. e ieri mattina si è risolto a chiedere al presidente del Tribunale il sequestro conservativo sul beni della Barzizza a Milano, a Sanremo, al Forte dei Marmi ed a Roma, sequestro che è stato accordato. La causa di convalida sarà fissata prossimamente.

«Corriere della Sera», 5 ottobre 1954


Siparietto di ufficiali giudiziari per la rivista "Siamo tutti dottori"

Isa Barzizza litiga con Mario Riva durante le prove e abbandona la compagnia - Il Tribunale ordina un sequestro di 50 milioni sui beni dell'attrice

Tre telegrammi sono stati spediti, ieri, dalla cancelleria del Tribunale civile di Milano, destinazione Roma, Forte dei Marmi e Sanremo. Il testo del dispacci era identico: si chiedeva all'ufficiale giudiziario competente per territorio di «procedere al sequestro conservativo sul beni della signora Isa Barzizza maritata Chiesa».

Isa Barzizza, contro la quale è stato preso il grave provvedimento del sequestro conservativo, era stata scritturata da Remigio Paone per una delle compagnie che portano quest'anno l'insegna degli spettacoli «Errepi», la compagnia imperniata sul due comici romani, Riccardo Billi e Mario Riva. Particolari condizioni erano state fatte all'attrice, che avrebbe anche avuto «il nome in ditta».

La compagnia era stata riunita a Mnano, e a Milano aveva cominciato le prove, sul piccolo palcoscenico del teatrino dell'A.T.M. in via Conservatorio. Al principio del mese scorso, l'intera troupe s'era trasferita a Roma, dóve avrebbe debuttato al teatro «Quattro Fontane», il 15 ottobre. All'improvviso, invece, tutto il programma subiva un brusco arresto. Il 30 settembre, Isa Barzizza scriveva a Remigio Paone, annunciando che abbandonava la compagnia, ormai assai avanti con le prove della rivista intitolata « Siamo tutti dottori ».

Sul motivo della rottura esiste, naturalmente, più d'una versione. Cerchiamo di sintetizzare quelle del due protagonisti dell'urto. Isa Barzizza. Ero in scena a provare uno scketch. Il testo m'era stato consegnato la sera prima. Non avevo avuto il tempo di mandarlo a memoria. Avevamo cominciato a provare, quando Riva m'invitava a lasciare il copione, per recitare affidandomi unicamente alle imbeccate del suggeritore. Ho risposto dicendo che preferivo seguire le battute sul copione. Riva, tutto d un tratto, se n'è andato sbattendo la porta, e gridando».

Mario Riva. Non è affatto vero che io abbia abbandonato il palcoscenico. Non è vero nemmeno che io abbia, comunque, trasceso. C'erano in scena, in quel momento altri dodici attori, che possono provare la bontà delle mie ragioni. Ad andarsene, e non certo con buone maniere, è stata la signora Barzizza. Il più sorpreso, e, naturalmente, il più addolorato di questa storia, è Remigio Paone, assolutamente estraneo all'incidente. Da Milano, Paone ha cercato, in tutti i modi, di riportare la pace nella compagnia. Con due telegrammi, il 30 settembre e il 1° ottobre, Paone ha invitato la signora Barzizza a riprendere le prove. «Ho cercato di farle capire — ha detto l'impresario — che il contratto la impegnava con la mia organizzazione, non con Mario Riva, e che, quindi, quello screzio non poteva essere una causa valida per allontanarsi dalla formazione».

Tutto è stato inutile. Cosi si è arrivati alla richiesta del sequestro conservativo «fino alla concorrenza di cinquanta milioni». Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda di Remigio Paone, presentata dall avvocato Vigevani, ed ha accordato il sequestro, riservandosi di fissare la data per la discussione della convalida. E sono entrati in scena, inattesi attori, gli ufficiali giudiziari.

«Corriere d'Informazione», 5 ottobre 1954


Dialogo polemico Barzizza-Paone

I due protagonisti della vertenza spiegano le proprie posizioni

Mentre gli ufficiali giudiziari stanno svolgendo il loro compito fra Roma, Forte dei Marmi e Sanremo per procedere al «sequestro conservativo fino alla concorrenza di cinquanta milioni », ordinato dai Tribunale civile di Milano nei riguardi di Isa Barzizza, In sèguito alla vertenza sorta tra essa e la « Spettacoli Errepi », l’attrice, accusata di avere piantato in asso la compagnia di Riccardo Bill! e Mario Riva il cui esordio era fissato al 15 ottobre al teatro Quattro Fontane di Roma, ha voluto fare conoscere i motivi della sua improvvisa decisione.

« Nella prima quindicina dello scorso maggio — dice Isa Barzizza — avevo convenuto con la "Errepi" un contratto per l’intcrpretazione di una commedia musicale. Giustamente interessata a che tale spettacolo fosse allestito in modo da assicurargli tutte le condizioni di qualità e dignità cui ha diritto sia il pubblico sia rartista, avevo chiesto ripetutamente di prendere conoscenza del copione. Avrei potuto in tal modo sincerarmi se potesse considerarsi rispondente quantomeno alle esigenze artistiche fondamentali, tanto nell’insieme quanto, in specie, per quello che riguardava, la mia parte. Tale copione non ho mai potuto avere neppure dopo la data fissata per la riunione della compagnia, nè in sede di prove.

Queste si svolgevano, perciò, in base a qualche improvvisazione o a qualche abbozzo di cui neppure potevo vedere la connessione con l’intero spettacolo. Tutto ciò a distanza di cinque mesi dalla firma del contratto e quando, secondo i programmi, lo spettacolo sarebbe già dovuto andare in scena. In tale stato di disagio, avvenne un episodio che non potevo non considerare per me ingiurioso e lesivo. Feci allora quello che ritenevo un mio preciso diritto: dichiarare l’impossibilità di una mia partecipazione a uno spettacolo per il quale mancavano le condizioni essenziali ».

L'episodio cui accenna Isa Barzizza è un litigio avvenuto in scena, durante una prova, con il comico Mario Riva. Remigio Paone, che, assolutamente estraneo all'incidente, ne è il più amareggiato e addolorato, ha dichiarato a sua volta:

«Nulla, finora, può autorizzare Isa Barzizza a ritenere che lo spettacolo che si sta allestendo per mio conto a Roma non sia una commedia musicale. Confermo che lo è, e che in tale veste venne registrato dalla Società degli autori, la quale avrebbe certo respinto una denunzia non corrispondente al vero se non avesse constatate tutte le caratteristiche della commedia musicale. Contrattualmente, Isa Barzizza non aveva diritto di conoscere il copione, ma soltanto le sue parti, di preminenza assoluta per il ruolo femminile: gli autori gliene hanno ripetutamente fatto prendere visione. Per quanto riguarda l’incidente Barzizza-Riva, esso esula, comunque, dai rapporti contrattuali fra l’attrice e la "Errepi".

Mario Riva, interpellato sulle cause del litigio, nega di aver mai trattato male Isa Barzizza, e tanto meno di essere uscito di scena, ammette dì aver fatto notare all’attrice di essere mal preparata nella sua parte, ma conferma di avere mantenuto questa osservazione nei limiti dell’educazione. Cita anche numerosi attori, che allora erano in scena, come testimoni.

«Corriere d'Informazione», 6 ottobre 1954


Come il calcio, anche il nostro teatro di rivista appare ormai combattuto tra due diverse tendenze: da una parte il metodo, cioè la fedeltà alla vecchia rivista classica, dall’altra il sistema, cioè il nuovo esperimento della commedia musicale all’americana. Con un pubblico diviso tra i due tipi di spettacolo la mossa più abile è quella di mettersi nel giusto mezzo per accontentare gli uni e gli altri.

Age Incrocci, Fulvio Scarpelli e Dino Verde, tre « ragazzi » passati con successo dai giornali umoristici alla radio e al cinema, si sono serviti di questa astuzia per dare ai due comici romani Billi e Riva il bis del successo ottenuto un anno fa con Caccio al tesoro.

Definito il loro lavoro una « peripezia musicale », i tre autori hanno preso lo spunto da una diffusa abitudine italiana di chiamare « dottore » il prossimo, chiunque sia, per presentarci un copione divertente ed animato, appesantito da qualche luogo comune ma privo di volgarità e fitto di deliziose trovate. Con Billi e Riva « siamo tutti dottori » per tre ore di spettacolo, mentre seguiamo le disavventure di due spazzini comunali costretti a prendersi una laurea per poter continuare il loro lavoro. Qua e là, per esigenze di spettacolo, vengono presentati quadri che ben poco hanno a che fare con le lauree, ma il pubblico applaude e si diverte ugualmente alle esibizioni del Quartetto Cetra, delle brave Bluebell, dei quattro ballerini solisti.

La necessità di procurarsi una laurea porta i due comici da una scuola serale ad una farmacia « americana », da un parrucchiere per signora ad un osservatorio astronomico, dal varo di un piroscafo alle lande peruviane, da una partita di rugby ad un incontro con i quacqueri, dalle guerre di secessione alle celle dei condannati a molti dall’alta corte di giustizia al circo di Buffalo Bill, da un indiavolato collegio americano (dove si rubano indumenti femminili) ai sospirati patrii lidi. Cioè, per intendere « nel migliore dei mondi, dove tutto si accomoda nel migliore dei modi ».

A parte la misura, l’arguzia, la bravura e l'immediatezza di Billi e Riva (ormai laureati a pieni voti come due dei nostri migliori comici » e il Quartetto Cetra (finalmeinte valorizzato secondo le proprie possiblità canore, comiche e mimiche), le rivelazioni di questa « peripezia mi sicale » sono l’incantevole dottoressa in chimica Franca May e, soprattutto, lo scenografo Alfonso Artidi. E se da una parte il fascino, la giovinezza e l’impegno della graziosissima soubrette ne ci spiegano perché mai l'impresario le avesse preferito prima Isa Barzizza poi Flora Lillo, sembra inconcepibile che un pittore dotato, arguto, raffinato, maturo come Artioli debba essere soltanto al suo debutto nel teatro di rivista. A Paone, comunque il merito del felicissimo battesimo di questo artista cui scene, dallo spazzino comunale alla stazione ferroviaria, dal varo alle lane azteche, dal collegio yankee alla banchina, dalla partita di rugby al circo, dal tabarin al Campidoglio, potrebbero reggere il confronto con la migliore produzione di Broadway.

Adeguati i costumi di Fosco buone le prestazioni di Diana Dei ed Elvy Lissiak pur sacrificate in ruoli molto modesti; piuttosto scarse, invece, le musiche del maestro Trovaioli. A dare infine allo spettacolo un carattere grande attualità non manca nemmeno l’arrivo della «cosa da un altro mondo », il primo marziano del nostro teatro di rivista.

«Epoca», ottobre 1954


44 domande a Mario Riva

Mario Riva è romano. E’ nato il 26 febbraio 1913 da gente di teatro. E’ attore di teatro, cinema e radio, oltre che di varietà. Attualmente lavora molto per la televisione. I suoi film più importanti sono: ”I cadetti di Guascogna”, "Scuola elementare”. E’ marito dell’attrice Diana Dei. E’ residente a Roma.

1957 Tempo Mario Riva f1Domanda - Signor Riva, qual è secondo lei l’aspetto più triste della vita del comico?

Risposta - Le ore che passo fuori del palcoscenico!

D. - Ritiene, nel corso della sua vita, di essersi procurato molte inimicizie? Se sì, in quale conto le tiene?

R. - La mia lingua che parlava prima che il cervello pensasse mi ha procurato molte inimicizie; siccome quasi sempre il torto era mio cerco adesso di riparare dimostrando nei limiti del possibile che non sono quella peste che molti credono.

D. - Condannato all’inferno per quale colpa ritiene potrebbe esservi destinato?

R. - Per la pigrizia che mi fa improvvisare quello che dovrei studiare!

D. - E il suo partner Billi?

R. - Per la stessa pigrizia che gli fa fare con le risorse del mestiere quello che dovrebbe studiare.

D. - Per quale categoria di peccatori escogiterebbe la "penitenza” più grave?

R. - Per gli invidiosi.

D. - Come li punirebbe?

R. - Li metterei al posto di quelli che invidiano.

D. - Come spiega l’enorme successo ottenuto dalle rubriche televisive aperte alla partecipazione del pubblico?

R. - Perchè quelle rubriche favoriscono Vesibizionismo pagato!

D. - Per quale motivo, pur trovandosi in un momento di grande favore da parte del pubblico, lei ha deciso di abbandonare il teatro per la televisione?

R. - Perchè mi -piace l’avventura e perchè mio figlio di sei anni va a scuola ed io voglio essergli vicino.

D. - In quali occasioni sente di essere meno se stesso, ossia di recitare una parte?

R. - Quando nella vita mi ricordano di essere un comico.

D. - Ritiene che un buon attore possa riuscire un buon presentatore q viceversa?

R. - Presentatori si nasce, attori ci si può diventare.

D. - Qual è il suo maggiore difetto come attore?

R. - Ho già risposto alla terza domanda.

D. - E come presentatore?

R. - Sono troppo sicuro di me stesso.

D. - E come uomo?

R. - Non sono capace di dire di no anche quando sono fermamente convinto che lo dovrei.

D. - Ritiene che Billi possa avere successo senza di lei?

R. - Lo stesso successo che aveva prima di conoscere me.

D. - Ritiene che lei potrà egualmente avere successo senza Billi?

R. - Le potrò rispondere fra un anno.

D. - Costretto ad intervenire ad un ballo mascherato, quale travestimento sceglierebbe?

R. - Quello dell’uomo invisibile.

D. - Qual è, nella vita, la cosa che la spaventa di più?

R. - I sogni nei quali mio figlio sta per correre qualche pericolo.

D. - Che cosa intende lei per ”vis comica”?

R. - Una faccia che si adatti perfettamente a qualunque personaggio interpreti.

D. - Ritiene che dall’inferno si possa più facilmente salvare un cinico o un ipocrita?

R. - Un cinico.

D. - Qual è l’apologo (favola o leggenda) che secondo lei meglio si adatta all’attuale momento del cinema italiano?

R. - Cenerentola, sperando vivamente nell’ottimismo finale.

D. - Qual è, in teatro, la virtù più negativa di un attore?

R. - Recitare troppo bene!

D. - Quali sono i suoi pensieri mentre si spalma, prima dello spettacolo, il viso di cerone?

R. - Mannaggia chi ha inventato il cerone!

D. - Sarebbe contento che suo figlio seguisse la sua via?

R. - Se lui lo desiderasse sì.

D. - Saprebbe citarmi una legge con la soppressione della quale la società precipiterebbe immediatamente nel caos?

R. - La legge che protegge la proprietà.

D. - Qual è secondo lei la più immorale istituzione italiana?

R. - La separazione legale che nón è nè carne nè pesce!

D. - Chi fra i suoi contemporanei farebbe di preferenza oggetto di satira?

R. - Il Presidente della Repubblica.

D. - E perchè?

R. - Perchè è proibito.

D. - Qual è secondo lei l’esatta misura della ricchezza di un uomo.

R. - Le opere buone che fa.

D. - In un "festival delle malignità” a chi darebbe il "Leone d’Oro”?

R. - A Luchino Visconti per il cinema, al marchese Benzo-ni per il teatro di prosa, a Gio-vannini e Garinei per il teatro di rivista. *

D. - In che modo si può secondo lei spiegare lo straordinario successo di Wanda Osiris?

R. - Perchè le donne vedevano in lei quello che avrebbero voluto essere.

D. - Qual è nella vita la cosa che la incuriosisce di più?

R. - I fatti degli altri.

D. - E nella sua professione?

R. - I successi degli altri, per trame esperienza.

D. - Qual è la base per il successo di urjo spettacolo di rivista?

R. - Gli esauriti.

D. - Lei dispone di un buono (anche fisico) per l’immortalità. Eccezion fatta per se stesso a chi ne farebbe dono fra i suoi contemporanei?

R. - A Silvio Noto perchè non è giusto che ce lo godiamo solo noi.

D. - Saprebbe citarmi una debolezza che tale nell'uomo non lo è nella donna?

R. - Il complesso creato dal fatto che deve essere lui a portare i pantaloni.

D. - Ha mai desiderato essere altri che se stesso? Se sì in quale occasione?

R. - Ho desiderato una volta (e ne chiedo perdono) di essere un dittatore per poter essere applaudito da quaranta milioni di italiani!

D. - Dovendo scrivere una lettera di condoglianze per una signora che ha perduto il suo cane come la incomincerebbe?

R. - Gr itile signora non si preoccupi, morto un cane se ne compra un altro.

D. - Qual è secondo lei, il colmo dell’infelicità umana?

R. - Perdere la speranza di poter essere un giorno felici.

D. - I francesi possiedono l’esprit, gli inglesi l’humour. E gli italiani?

R. - L’intuizione che li fa ridere quando devono ridere e li fa piangere quando devono piangere anche se qualche volta non he comprendono bene il motivo.

D. - Un mio amico era solito distinguere gli uomini in due categorie, traendo conclusioni dal fatto che essi amassero o meno le bestie. Trova legittima codesta considerazione?

R. - Dovrei conoscere le conclusioni che ne traeva il suo amico.

D. - Il poeta Paul Leautaud al quale era stato detto, a proposito di un cane: « possiede l’intelligenza di un uomo », rispose: «E vi sembra molto»? In che modo lei commenterebbe questo apprezzamento?

R. - Gli uomini non apprezzavano come lui avrebbe voluto le sue opere.

D. - Esiste un’azione, da lei commessa sul piano professionale, che le procuri rimorso?

R. - No!!!!!!

D. - Ha mai commesso un errore che in pratica si sia risolto in un vantaggio’ per lei?

R. - La mia vita è costellata, di errori. Da tutti ho tratto delle esperienze che rappresentano i grandi vantaggi derivati dagli errori.

D. - Qual è il colmo dell’imbecillità umana?

R. - Uscire di casa in una sera di pioggia per recarsi in mezzo ad una piazza a vedere delle pèrsone che sfilando innanzi ad un microfono dicono a secondo me l’oggetto misterioso è una valvola per apparecchi...».

E’ quasi fatale che da chi per professione e per vocazione fa ridere la gente, ci si aspetti in queste interviste una serie di risposte comiche. In realtà invece succede per lo più il contrario: per una specie di comprensibile rivalsa i "comici” danno risposte serie. E Mario Riva, in un certo senso non smentisce la regola. Quasi tutte le sue risposte tradiscono un attento e quasi preoccupato impegno. Il fondo frizzante del suo temperamento rompe tuttavia ogni tanto lo schema e tradisce spesso anche il segreto, la chiave del suo successo come comico di palcoscenico, soprattutto per quel tanto di inventiva, di spontaneità, di apporto personale che un comico di valore non manca di portare nelle parti che recita, anche dove i testi sono scritti da altri. E basti leggere là dove Riva afferma che il contemporaneo che metterebbe più volentieri in burletta è il Presidente della Repubblica per il solo fatto che «è proibito»; oppure dove dice che ciò che lo incuriosisce di più nella vita sono «i fatti degli altri». Così come non manca quel filo di affettuosa malignità che dà sostanza e sapore al pettegolezzo che è una delle materie della comicità. E di questa malignità, nelle nostre risposte, ha fatto le spese soprattutto Silvio Noto.

Enrico Roda, «Tempo», 1957


Dopo il racconto di Silvio Noto, pubblicato la scorsa settimana, ecco una storia vera scritta da Mario Riva. A cominciare dal prossimo numero, questo spazio apparterrà a voi: inviateci i vostri racconti; noi li leggeremo tutti e pubblicheremo ogni settimana il migliore.

Anch’io potrei, come tutti, compilare un elenco con dieci, quindici, venti titoli di canzoni, e poi dire: « Ecco, questo è il riassunto della mia vita ». A voi quei titoli non direbbero nulla, ma a me basterebbe scorrerli con lo sguardo per ritrovarmi di colpo bambino, ragazzo, adolescente al primo amore, artista agli esordi, fidanzato, marito, padre. Anch’io le « mie » canzoni e certo ne ho più di chiunque, perchè di canzoni è stata praticamente intessuta tutta la mia vita. Prima che io stesso cominciassi a cantare, sui mille palcoscenici attraverso i quali sono passato, cantava nella mia casa il pianoforte di mio padre. Ricordate il suo nome ? Si chiamava Giuseppe Bonavolontà. scriveva canzoni bellissime che parlavano al cuore di tutti. Io ero bambino e cantavo Salotto blu. Lo shimmy delle lucciole, i motivi che papà componeva per Anna Fougez. Poi imparai altre canzoni, tutte quelle che mi piacevano, italiane e straniere. Ma a un certo punto della vita, guardandomi indietro, mi accorsi che i momenti salienti della mia esistenza erano tutti indissolubilmente legati alle sole melodie di mio padre.

Forse è un fatto strano o forse no: ma che importa ? Per me è un fatto meraviglioso. Arrivederci Mimi, ’O mese d' 'e rose, Fiocca la neve, Borgo antico, Bassa marea, Serenatella a ’na cumpagna ’e scola, Finalmente, Serenatella di mezzo sì, ’E stelle ’e Napule: ecco i motivi sui quali potrei ricostruire tutta la mia movimentatissima e intensissima vita.

Fino a un anno fa, quando una di queste canzoni mi tornava alla mente io rivivevo la vicenda al cui ricordo essa era legata: ritrovavo le ore. gli avvenimenti, i luoghi, i personaggi; e insieme a tutto questo, confuso a tutto questo. non mancava mai di mostrarmisi il volto di mio padre, un suo gesto, una sua espressione. Sempre così, anche se realmente a quelle vicende egli non aveva partecipato: anche se. addirittura, le aveva del tutto ignorate. Pensavo, allora, che non ci sarebbe mai stata per me una canzone legata esclusivamente al suo ricordo. Ma l’anno scorso papà se ne è andato...

Forse dovrò dirvi qualcosa di lui. Era un uomo eccezionalmente buono, socievole, pieno di umanità. Gli volevano tutti bene; e noi, i suoi figli, lo adoravamo. Eravamo quattro: io il maggiore, altri due fratelli, una sorella. Ci trattava con bontà, con indulgenza, ed era sempre pronto a perdonare le nostre marachelle. Quando ne combinavamo una più grossa delle altre improvvisamente si rabbuiava; ma non era mai ira la sua. era piuttosto dolore, una specie di sconforto come se d’un tratto si accorgesse che aveva fallito qualche suo preciso dovere, che era in un certo senso colpevole verso di noi perchè non aveva saputo darci un’educazione solida. E noi. allora, eravamo colti da un rimorso profondo. Sapere che papà soffriva per causa nostra costituiva la peggiore delle punizioni. Vederlo triste e silenzioso per un'ora o due. per un'intera giornata ci dava un'intollerabile pena.

Perchè papà era un uomo gaio, esuberante, sereno. Noi allora abitavamo in via della Vite, a Roma. Traffico di automobili a quel tempo non ce n’era; e perciò, prima ancora che lui imboccasse il portone, riconoscevamo il suo passo rapido sul selciato: poi lo sentivamo salire di corsa le scale, fischiettando l'ultimo motivo che aveva appena abbozzato nella mente. Noi abbandonavamo allora di scatto i nostri giochi o i nostri libri e ci precipitavamo incontro a lui. Era una gara per arrivare primi ad abbracciarlo, una gara che disputavamo ogni sera. Ma vincevano sempre i due più piccoli: l’altro mio fratello ed io. infatti, che eravamo più grandi e quindi più veloci, finivamo regolarmente con l’intralciarci il passo (a bella posta o no) e quindi col fare a pugni. Era papà che veniva a dividerci: diceva semplicemente: « Che succede, ragazzi ?» e noi ci ammansivamo di colpo, pacificati, felici.

Tre anni fa egli partecipò al festival della canzone partenopea con ’E stelle ’e Napule. Io mi trovavo a Milano e seguii la manifestazione davanti al televisore dell'albergo. Quando seppi che il lavoro di mio padre era uno dei candidati alla vittoria fui colto da una grande agitazione Sper.ivo che papà vincesse, che gli fosse concessa questa gioia, forse l'ultima della sua vita: ma al tempo stesso temevo le conseguenze di una cosi viva emozione perchè sapevo che il suo vecchio cuore era già stanco e malato. Quanto durarono le votazioni ? Un tempo infinito, mi parve. Poi venne, l'annuncio: ’E stelle ’e Napule aveva vinto ! Papà salì in palcoscenico e. per la prima volta, lo vidi inquadrato nel video. Era emozionato ma parlò, disse quel che doveva. Io continuavo a fissarlo e avevo il cuore gonfio di tenerezza. Poi l’orchestra attaccò 'E stelle e’ Napule e io cominciai a piangere, come un bambino, senza ritegno.

Piango ancora quando ascolto questa canzone: essa non è legata a nessun altro ricordo che al suo. Io metto il disco sul piatto del grammofono e rivedo mio padre come quella sera sul palcoscenico del teatro napoletano, e via via a ritroso nel tempo in ogni gesto, in ogni parola, in ogni espressione, nei suoi momenti lieti e in quelli tristi, quando diceva: « Ho appena terminato una canzone, ascoltatela » e quando si faceva muto perchè soffriva per una mancanza commessa da me.

Vi ho raccontato una piccola, una semplice storia; essa costituiva un mio segreto e adesso non lo è più. Ma parlarne mi ha fatto tanto bene.

Mario Riva, «Noi Donne», anno XIV, n.22, 6 giugno 1958


L'incidente mortale: cronaca dell'epoca

Filmografia

con Lilia Landi e Riccardo Billi in Abracadabra
Due cuori sotto sequestro, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1941)
Il barone Carlo Mazza, regia di Guido Brignone (1948)
Totò al giro d'Italia, regia di Mario Mattoli (1948)
Vento d'Africa, regia di Anton Giulio Majano (1949)
Se fossi deputato, regia di Giorgio Simonelli (1949)
Yvonne la nuit, regia di Giuseppe Amato (1949)
Totò cerca casa, regia di Steno (1949)
I pompieri di Viggiù, regia di Mario Mattoli (1949)
Ho sognato il paradiso, regia di Giorgio Pastina (1949)
Adamo ed Eva, regia di Mario Mattoli (1950)
I cadetti di Guascogna, regia di Mario Mattoli (1950)
Domani è un altro giorno, regia di Léonide Moguy (1951)
Arrivano i nostri, regia di Mario Mattoli (1951)
Accidenti alle tasse!!, regia di Mario Mattoli (1951)
Porca miseria!, regia di Giorgio Bianchi (1951)
Il padrone del vapore, regia di Mario Mattoli (1951)
Ha fatto 13, regia di Carlo Manzoni (1951)
Anema e core, regia di Mario Mattoli (1951)
Abracadabra, regia di Max Neufeld (1952)
Vendetta... sarda, regia di Mario Mattoli (1952)
Giovinezza, regia di Giorgio Pastina (1952)
Bellezze in motoscooter, regia di Carlo Campogalliani (1952)
Altri tempi, regia di Alessandro Blasetti (1952)
Anni facili, regia di Luigi Zampa (1953)
Il paese dei campanelli, regia di Jean Boyer (1954)
Tripoli, bel suol d'amore, regia di Ferruccio Cerio (1954)
Rosso e nero, regia di Domenico Paolella (1954)
Siamo tutti milanesi, regia di Mario Landi (1954)
Accadde al commissariato, regia di Giorgio Simonelli (1954)
Ridere! Ridere! Ridere!, regia di Edoardo Anton (1954)
Scuola elementare, regia di Alberto Lattuada (1954)
La moglie è uguale per tutti, regia di Giorgio Simonelli (1955)
Il motivo in maschera, regia di Stefano Canzio (1955)
Il campanile d'oro, regia di Giorgio Simonelli (1955)
Bravissimo, regia di Luigi Filippo D'Amico (1955)
Accadde al penitenziario, regia di Giorgio Bianchi (1955)
Racconti romani, regia di Gianni Franciolini (1955)
I giorni più belli, regia di Mario Mattoli (1956)
A sud niente di nuovo, regia di Giorgio Simonelli (1956)
Il ponte dell'universo, regia di Renato Cenni (1956)
Serenate per 16 bionde, regia di Marino Girolami (1957)
Arrivano i dollari!, regia di Marino Girolami (Mario Costa (1957)
Gente felice, regia di Mino Loy (1957)
Primo applauso, regia di Pino Mercanti (1957)
Domenica è sempre domenica, regia di Camillo Mastrocinque (1958)
È arrivata la parigina, regia di Camillo Mastrocinque (1958)
Totò, Peppino e le fanatiche, regia di Mario Mattoli (1958)
Gli zitelloni, regia di Giorgio Bianchi (1958)
Mia nonna poliziotto, regia di Steno (1958)
Ladro lui, ladra lei, regia di Luigi Zampa (1958)
I prepotenti, regia di Mario Amendola (1958)
Il terribile Teodoro, regia di Roberto Bianchi Montero (1958)
Perfide... ma belle!, regia di Giorgio Simonelli (1959)
Il raccomandato di ferro, regia di Marcello Baldi (1959)
Fantasmi e ladri, regia di Giorgio Simonelli (1959)
Policarpo, ufficiale di scrittura, regia di Mario Soldati (1959)
Sergente d'ispezione, regia di Roberto Savarese (1959)
Prepotenti più di prima, regia di Mario Mattoli (1959)
Il vigile, regia di Luigi Zampa (1960)

Prosa radiofonica EIAR

Anima allegra, di Gioacchino e Serafino Alvarez Quintero, con Franco Becci, Leo Garavaglia, Mario Riva, Felice Romano, regia di Luigi Maggi, 13 novembre 1939.
La damigella di Bard, di Salvator Gotta regia Luigi Maggi, 25 novembre 1939.
La locanda alla luna, di Guido Cantini regia Nunzio Filogamo, 21 febbraio 1941.
Il Terziglio, variazioni sul tema Sale d'aspetto, di Federico Fellini, Marcello Marchesi, Ugo Migneco, con Lina Acconci, Miranda Bonansea, Giulietta Masina, Gemma Griarotti, Mario Riva, Rocco D'Assunta, Nunzio Filogamo, regia di Claudio Fino, trasmessa il 25 gennaio 1943, nel programma "B".
Il Terziglio, variazioni sul tema Ricordi, di Edoardo Anton, Varaldo, Nicola Manzari, con Giulietta Masina, Miranda Bonansea, Mario Riva, Nunzio Filogamo, Gemma Griarotti, regia di Claudio Fino, trasmessa il 13 febbraio 1943, trasmessa nel programma "A".

Programmi radio

Ventiquattresima ora , programma in 2 tempi (domenica) e (lunedì) presentato da Mario Riva, regia di Silvio Gigli 1958 1959.


Riferimenti e bibliografie:

  • «Assi e stelle della Radio», 1942
  • "Guida alla rivista e all'operetta" (Dino Falconi - Angelo Frattini), Casa Editrice Accademia, 1953
  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
  • A. P., «Epoca», anno III, n.78, 5 aprile 1952
  • «Settimana Radio TV», 16 marzo 1956
  • Mario Riva, «Noi Donne», anno XIV, n.22, 6 giugno 1958
  • Anita Pensotti, «Oggi», anno XVI, n.37, 15 settembre 1960
  • «Assi e stelle della Radio», 1942
  • Riccardo Billi e Mario Riva, «Domenica del Corriere», 16 marzo 1952
  • «Corriere della Sera», 5 ottobre 1954
  • «Corriere d'Informazione», 5 ottobre 1954
  • «Corriere d'Informazione», 6 ottobre 1954
  • «Epoca», ottobre 1954
  • Enrico Roda, «Tempo», 1957
  • Mario Riva, «Noi Donne», anno XIV, n.22, 6 giugno 1958
  • «Noi donne», agosto 1960
  • «Noi donne», settembre 1960