Scarpetta Eduardo
(Napoli, 12 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925) è stato un attore e commediografo italiano.
Fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Creò il teatro dialettale moderno, che ancora oggi si usa e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; la sua commedia più celebre, Miseria e nobiltà, fu però una creazione originale del suo repertorio.
Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti.
Padre di un numero altissimo di figli (riconosciuti e non) oltre a Vincenzo, Domenico, Maria Scarpetta, vi sono i celebri Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, il poeta Ernesto Murolo (padre del cantante Roberto Murolo), Eduardo (De Filippo) in arte Passarelli e suo fratello Pasquale De Filippo.
Figlio di un funzionario statale, Domenico Scarpetta (che tentò più volte di avviarlo agli studi e alla sua carriera) e di Emilia Rendina, nel 1868, all'età di quindici anni decise di entrare in qualche compagnia teatrale: in primo luogo per seguire la sua ambizione, ma anche per poter aiutare la famiglia trovatasi in gravi condizioni economiche per il cattivo stato di salute del padre. Riuscì così a farsi presentare dall'attore Andrea Natale all'impresario Salvatore Mormone, il quale lo scrittura come generico nella compagnia di Antonio Petito di cui divenne capocomico nel 1879.
Dal 1870 cominciò il suo successo personale con l'interpretazione di Felice Sciosciammocca nella farsa di Enrico Parisi "Feliciello mariuolo de 'na pizza", che spinse l'impresario del Teatro San Carlino, Giuseppe Maria Luzi, ad ingaggiarlo per la sua Compagnia Comica Nazionale. Nello stesso anno (il 1872), lo stesso Petito scrisse per lui la farsa "Felice, Guaglione 'e n'anno" che porterà in scena insieme ad alcuni copioni che lui stesso, ormai esperto, aveva approntato. Dopo la morte di Petito, sostituito da De Martino, lascia il San Carlino.
Ambizioso, arrivista, mira ad emergere ad ogni costo, preferendo patire la fame piuttosto che sottostare a Davide Petito, nuovo capo della compagnia. Dopo un brevissimo periodo trascorso a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell'epoca) prende in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresenta alcuni suoi lavori. Nel 1878 accetta di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottiene un grande successo con la commedia "Don Felice maestro di calligrafia" meglio conosciuta come "Lu curaggio de nu pompiere napulitano". L'anno successivo viene scritturato per una tournée a livello nazionale.
Nel 1880 ottenne un prestito di 5.000 lire dall'avvocato Severo e, grazie alla sua tenacia, riesce a riaprire e rinnovare il vecchio e glorioso teatro San Carlino, dove debutta il 1º settembre con la commedia "Presentazione di una Compagnia Comica". Egli stesso, nelle sue "Memorie" racconta che «Il pubblico sorpreso ed ammirato dall'affiatamento della compagnia, dalla naturalezza della recitazione, dalla inappuntabile proprietà del vestiario, rise ed applaudì fragorosamente». Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo. Diventato ormai un capocomico di successo, nato da una famiglia modesta, possiede ora un palazzo in Via Dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, carrozze e cavalli. Sposato dal 1876 con Rosa De Filippo (la quale, da giovane, era stata amata dal re Vittorio Emanuele II e si mostra spesso con diademi e brillanti degni di una regina) aveva poi intrecciato una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo.
Il 15 maggio 1889 ottenne un memorabile successo con "'Na Santarella" al Teatro Sannazzaro di via Chiaia. Tutta Napoli, elegante e mondana, accorre al piccolo teatro, e con gli incassi della commedia, che gli apre definitivamente le porte della capitale, si fece costruire una villa sulla collina del Vomero, chiamata appunto Villa La Santarella, dove sulla facciata principale campeggiava la scritta «Qui rido io!» che qualche anno dopo vendette perché la moglie aveva paura di abitarci da sola quando il marito era in tournée.
Il suo successo più grande, "Miseria e nobiltà", che in seguito ebbe tre trasposizioni cinematografiche (memorabile fu quella del 1954 con Totò) fu scritto unicamente per permettere la partecipazione alla commedia del figlio dodicenne Vincenzo, che nella prima rappresentazione recitò nel ruolo di Peppiniello.
La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell'epoca: quella riguardante la parodia de "La figlia di Iorio" di Gabriele d'Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso (D'Annunzio addirittura lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni, dal 1906 al 1908, che comunque Scarpetta vinse) e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco. Unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce.
Nel 1909, deluso ed amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia "La Regina del Mare", composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impone di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell'arte di Raffaele Viviani. Morì all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono molto imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo. Le sue commedie vennero riprese molte volte e sono ancora oggi spesso in cartellone. Oltre al figlio Vincenzo, anche altri celebri attori napoletani come i fratelli Aldo e Carlo Giuffré recitarono le sue commedie brillanti. Sul grande schermo vennero ricavati diversi film dalle sue commedie, oltre a tre versioni del suo capolavoro, anche se la versione muta del 1914 è da considerarsi perduta.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
La famiglia Scarpetta e i De Filippo
Scoperta dei De Filippo
Luigi Chiarelli presenta i tre De Filippo
Toccò a Scarpetta l'eredità di Pulcinella
Nascita dei De Filippo
Teatri: i De Filippo
I De Filippo e il teatro borghese
Eduardo e Peppino De Filippo senza equivoci
I fratelli De Filippo
Hanno torto i critici di Eduardo De Filippo
Peppino De Filippo s'innamora di Carla Del Poggio
Vincenzo Scarpetta e i suoi comici
Eduardo cerca l'atomica
Eduardo De Filippo: San Ferdinando, morte e resurrezione
In casa De Filippo trattato di pace
Titina De Filippo, artista due volte
La seconda vita di Filumena Marturano
Eduardo De Filippo: portare l'attore dall'uomo della strada
Tre De Filippo su un metro quadrato
Le ambizioni sbagliate di Eduardo De Filippo
Eduardo vorrebbe un tram Milano-Posillipo
È tornato Sciosciammocca
Eduardo contro Lauro per «Questi fantasmi»
Titina: forbici e pennello
I ragazzi terribili di casa De Filippo
Muore Pulcinella: nasce don Felice Sciosciammocca
Natale in casa Cupiello
25 anni fa moriva a Napoli Don Felice Sciosciammocca
Profitti e perdite di Eduardo
Peppino in tentazione
Peppino De Filippo: «faccio il cinema perchè mi danno una barca di soldi»
E' morto Vincenzo Scarpetta, "'na criatura sperduta"
Eduardo De Filippo scaccia con i fuochi d'artificio i fantasmi dalla sua isola
Ridono anche loro
Addio a Titina De Filippo, addio a Napoli
Peppino De Filippo più festeggiato di Shakespeare
Eduardo De Filippo è padrone solo in teatro
Cent'anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta
Peppino De Filippo attore disimpegnato
Peppino De Filippo: «il futuro mi fa paura»
Perchè in Italia «questo» cinema comico?
Pappagone, perchè piace, perchè non piace
Peppino De Filippo, cent'anni di ingratitudine
Nascita della compagnia De Filippo, le riviste, l'avanspettacolo
Ora tace la risata di Peppino De Filippo
La guerra sulla gente che voleva ridere - Totò ricercato dai tedeschi
È rinato con Pulcinella il "San Ferdinando" di Napoli
«Comoedia», maggio-giugno 1930 - Eduardo Scarpetta
Ieri sera alle ore 22,20, assistito dai figliuoli comm. Vincenzo e Domenico, dalla figlia e dal genero dott. Mancini, ha cessato di vivere il comm. Edoardo Scarpetta. «Il martedì o il mercoledì santo dell'anno 1868, mi avviai tutt'allegro verso il san Carlino. Per presentarmi degnamente al capocomico e all'impresario avevo esumato i più illustri rappresentanti del mio guardaroba giovanile: un par di calzoni a scacchi gialli e neri cosi stretti che mi pareva di sentirmeli scoppiare ad ogni movimento men regolare: un panciotto di seta verde a fiorami, stile goldoniano, ridotto da mia madre a più giuste e moderne proporzioni: un piccolo tait, non meno corto e non meno stretto dei calzoni, ma più serio, anzi lugubre e di un nero ancora incerto tra il verde e il giallo o infine un cappello a cilindro, come usavano allora, basso, piccolino, con mezzo dito di falda intorno... Appena posi il piede sul palroscenico mi parve di sentire una fragorosa risata».
Cosi Eduardo Scarpetta stesso racconta come a 14 anni, sorpreso dalla miseria, privo di studi e con un babbo ammalato, bussò alla porta del famoso teatro napoletano, ove agiva la compagnia Zampa, per iniziare, da povero stenterello, una famosa carriera di arte.
Il guaio, aggiunge il celebre comico, è che si stava provando il secondo atto di Masaniello 'o surrentino, dramma popolare a Torti tinte, e dove non c'era proprio nulla che potesse far ridere. Perchè dunque si rideva da ogni parte 7 II piccolo Scarpetta pallido e tremante, caccia il capo tra le quinte, quando gli arriva una frecciata: — Vi, che sarachiello! Questa e per il tait; ma subito, dopo, un altra più frizzante taglia l'aria ed il suo viso di monello sparuto: — Tene 'a faccia d'appetito ! Dunque si rideva di lui. Ed ecco questa mortificazione fu, per II suo istinto di comico nato, uno stimolo. Ridono loro — pensa tra se l'arguto ragazzo — che sono oramai sazi di trucchi e uscite ridanciane e macchiette grottesche? Dunque a maggior ragione riderà il pubblico. Ride bene chi rido l'ultimo. Ed incomincia a farr tali e tante smorfie dalle scene, che gli attori scoppiano a ridere mentre sono ancora in scena. In poche parole fu accettato, e tre o quattro giorni dopo debuttava.
Debutto: «Cu 'na pippa l'aggio fatto fui!»
«Mi fu affidata una parte importantissima; quella di un fattorino di un negozio di modista: quindici o sedici parole in tutto. Mentre uscivo in cerca di Pulcinella, che era l'amante del cuore della mia principale, mi imbatteva, a faccia, in Don Michele Spaccamontagna, famoso «guappo» e amante anch'egli della mia principale. Costui vedendomi chiedeva:
«— Ciccì, che me dice?... Che mmasclata t'ha fatta Cuncetta?
«Ed io dovevo rispondergli con:
— Nun 'o ssapite? Dice che vuje non tacite pi essa, e che ve putite mettere l'anema mpace!
«Eran queste le parole testuali del copione; ma qualcuno mi aveva avvertito che Francesco Zampa, alias Don Michele, avrebbe cercato di farmi impappinare. Figuratevi la mia preoccupazione... Invece con mia grande sorpresa, don Michele Spaccamontagna non mi rivolse alcuna domanda e scoppiò in una tal risata che dovette per un momento volgere le spalle al pubblico, lo mi sentii perduto. I comici spiavano dalle quinte ed il pubblico mi guardava non comprendendo bene di che si trattasse.
«Un solo istante di esitazione mi avrebbe perduto; ed io riacquistando a uh tratto il mio spirito ed il coraggio, andai risolutamente verso don Michele, esclamando pel primo :
«— Oh, Don Miche, state cca!
Il ghiaccio era rotto; e Francesco Zampa, frenando un altro scoppio di risa, rispose subito :
« — Sto ccà, si... Ma se po sape che mmasciata t'ha fatto Cuncetta?
«— Nun o' ssapite? Dice che vuie nun tacite ppiessa, e che ve putite mettere l'anema mpace.
«La mia scena era finita ; ma lo Zampa, tentando ancora d'impappinarmi, aggiunse: «— Overo?!... Ohi sanghe 'e nu polece c'a gunnellal... A me?... A me sta tagliata de faccia!... E tu m'o viene pure a dicere!... Mo te faccio avuta tuorno tuorno pe' mez'ora!
«Ma io non lo lasciai finire:
«— Don Miche, scusate, facitammello dimane matina. pecche mo' aggio fatto marenna. e me. facile avuta 'o stomaco!...
«— Ah!... si... te faccio avuta 'o stommaco?... Ahi tu me cuffie? Grannissima marmotta!... Teh! Pigliate 'stu cresuommelo!...
«E, cosi dicendo, levo un mulinello con la sua canna di zuccaro; mentre io, portando rapidamente una mano indietro, come per frar fuori un'arma esclamai:
«— Ahi... carugnone, fatt'arreto!... Mo te foco!...
«— Comme?... tu vaie armato?... Ahi Sanghe 'e nu cecéniello a mpettola... stette sodo... nun te movere!... Ciccì!...
«— Niente!... Haie da murì!...
«E, dopo due giri pel palcoscenico, egli fuggì tra le quinte scoppiando di nuovo a ridere, mentre il pubblico applaudiva, ed io, rimesto solo in iseena. mi facevo innanzi alla ribalta, con una faccia da grullo, e, mostrando agli spettatori una pipa da due centesimi, esclamavo, strizzando gli occhi:
— Cu na pippa l'auggio fatto fuì!». In questa scena c'e già tutto Scarpetta: la sua malizia, il suo spirito improvvisatore, quel modo di celiare col pubblico e renderlo partecipe, con pochi cenni, di quello che si sta svolgendo in palcoscenico, ed infine il dono di sottolineare lo scherzo fatto con una battuta od una smorfia irresistibili.
Il trionfo di «ScIosciaminocca»
Il mondo dei comici napoletani, cosi misero e intelligente e caratteristico, doveva formarlo: ambiente in cui il realismo più crudo, la beffa smaccata, la sottigliezza ghiribizzosa t'univano alle più matte fantasie ridanciane, e gli forniva quotidianamente materia d'osseivazione e spunti satirici.
Conobbe, e recitò, con Don Antonio Petito, il celeberrimo Pulcinella, del quale nelle sue memorie racconta la morte tragica. Di parecchi altri insigni attori lo Scarpetta fu compagno e in parte allievo; cosi ricordava con tenerezza Pasquale De Angeli e Raffaele Di Napoli, ed in genere tutta quella generazione d'artisti che fece sentire l'ultima eco, alla Una del secolo scorso, della gloriosa tradizione teatrale partenopea: teatro popolare, che si reggeva sulla genialità improvvisatrice degli attori, e che affondava le 3uc radici in un lontano passato fantastico e piazzaiolo, ma che era oramai alquanto superato.
Spettava a Scarpetta il compito di rinnovarlo. Quando por opera sua il San carlino si riaperse, rinnovato e ripulito, anche il nuovo repertorio era in elaborazione. Egli non volle uccidere la vecchia e cara maschera, Pulcinella, ma mettendolo in secondo piano, servendosene come accessorio e decorazione, la ridusse a tanto ch'essa stessa si suicidò, cioè «stanca ormai di vivere e persuasa dell'indifferenza del pubblico prese da se la via dell'uscio, come un'intrusa mal tollerata». Ed i tentativi, gli sforzi le idee informatrici passavano attraverso gli scenari del teatro illustre, dandogli una vita nuova. Sul vecchio tronco, nasceva un arbusto infiorato, pittoresco, non disdicevole ai passato, ma più conforme al presente. Nella borghesia, nel mezzo ceto Edoardo Scarpetta trovò le sue figure i suoi tipi le sue macchiette; e volle che gli attori non improvvisassero più ma recitassero, e cercò cne 1 ambiente, la situazione scenica, il personaggio fossero la fonte vera di comicità. E da tutto questo rimestio usci a trionfo di Sciosciammocca.
Il repertorio di Scarpette va da Mettiteve a fa l'ammore co' mme! alle gustose riduzioni dal francese, di Labiche, Hennequin, Meiihae, ove la pochade viene ritagliata ad uso del gusto napoletano, che è qualcosa di molto diverso da quello del Palais Royal o di un qualsiasi cabaret parigino. Lo Café Chantant, Ammore sposalizio e gelosia, Miseria e Nobiltà, Amore e Polenta, sono opera sua, con molte e molte altre commedie. Oramai Scarpetta era... Scarpetta e cioè lo scoppiettante autore ed attor comico, che aveva saputo ancora una volta innalzare la naturai vena comica del popolino di Napoli ad altezza d'arte.
«Il Figlio di Jorio»
Uno degli ultimi suoi lavori fu II figlio di Jorio, brillante parodia della tragedia dannunziana, parodia che in quel tempo appassionò tutti i pubblici d'Italia e che finì poi innanzi al Tribunale di Napoli, per plagio e contraffazione, su querela di D'Annunzio. Eduardo Scarpetta riuscì però a dimostrare che egli aveva ottenuto dal Poeta il permesso, e vinse la causa. Prima ancora che si rappresentasse il Figlio di Jorio al Mercatante, avendo Eduardo Scarpetta saputo che D'Annunzio ne voleva a qualunque costo vietare la rappresentazione, si recò a Marina di Pisa, dove il Poeta dimorava, per fare atto di sottomissione e per chiedere quindi il suo consenso. Il Poeta lo accolse gentilmente ed egli lesse pure molte scene della parodia, facendo più volte scoppiare dal ridere D'Annunzio, e riuscendo, come egli afferma nelle sue «Memorie», a strappargli il consenso, consenso che D'Annunzio durante il processo smentì di aver mai accordato. La prima rappresentazione del Figlio di Jorio fu un grande avvenimento e divise i critici italiani in due campi. Malgrado tutta l'arie comica che lo Scarpetta mise nella esecuzione di questa parodia, il successo non gli arrise e pubblico e critica furono con lui severissimi, tanto che l'ultimo atto si chiuse tra le più clamorose disapprovazioni e fischi assordanti. Però, quando Scarpetta riapparve, poco dopo, sulla scena per rappresentare il suo lavoro giovanile il non plus ultra della disperazione, il pubblico, per dimostrargli che i fischi e le disapprovazioni non erano diretti al grande attore, ma soltanto alia parodia, gli tributò una così viva e affettuosa dimostrazione, da commuovere a tal punto il grande attore napoletano da farlo venir meno sulla scena. E' doveroso notare che quello del Figlio di Jorio fu l'unico insuccesso teatrale che abbia avuto Scarpetta durante la sua lunga, gloriosa e fortunata carriera.
Scarpetta e... Dante
Che nello Scarpetta, lo spirito fosse scintillante, spontaneo, popolaresco lo provano le suo molte creazioni, che gli venivano giù naturalmente, come un moltiplicarsi umoristico ed a varie facce del suo temperamento eccezionale. Ma vi fu in lui qualcosa di più e meglio: della finezza ed un senso della vita sottile e non incolto. Dico il Croce, accennando al processo per a parodia dalla «Figlia di Iorio
«Ricordo che, in quei giorno, sedeva tra i periti d'accusa un buono e dotto professore, nostro amico, il quale sostenne nel suo discorso la tesi alquanto temeraria che «ogni parodia, è plagio»; e ne seguiì questo spunto di dialogo. «Il professore (disse lo Scarpetta volgendosi a lui, nel rispondere al giudice), il professore qui afferma cho la parodia è plagio e non è lecito farne. Professore, noi abbiamo parodiato persino Dante!» «Ma Dante (ribattè l'altro) è morto». — «Professore, per me Dante non è morto mal». — Chi rimase male fu l'amico professore, che si trovò non solo sorpassato nello zelo per Dante, ma accusato di lesa ortodossia dantesca».
Questa battuta felice e profonda, è di un uomo che non ebbe forse mai altro scolastico! iInsegnamento di crusllo che s'impartiva in quelle poche stanze di via Ge6ù e Marta, ove il prof. Sarrubba aveva condensato tutta la essenza dello scibile umano.
«C'era, durante le ore di scuola, un vocio assordante da fiera: una specie di grande sinfonia, cui partecipavano allegramente da una parte, tutta la scolaresca infantile compitando, sillabando e recitando chi i primi rudimenti dell'abbecedario, chi dottrina e storia sacra, e chi, infine, aritmetica e geografia; e, dall'altra, i più anziani, cantilenando tutti insieme, come monaci alte esequie, fra una tavoletta di Fedro e una epistola di Cicerone, le famose regole del vecchio «Porto Reale»:
Ogni verbo della Prima
Nel preferito Avi prende
Al supino Atum poi rende
Si per regola s'estima.
Tien nel sesto il Sustantivo
Per caratter E nel fine.
Onde a Patre si declina
E ed I ha l'aggettivo.
Tali gli inizi spirituali di Don Felice Sciosciammocca: che aveva però in se la virtù di arrivare alla vita direttamente, con una intuizione caricaturale e veristica insieme, con una facilità d'invenzione burlesca da farsi amare da tutti i pubblici, come un tipo che non ai può dimenticare.
«La Stampa», 30 novembre 1925
La morte di Eduardo Scarpetta
Ieri sera alle 22.30 è morto nella sua abitazione in via Vittoria Colonna n. 4, il comm. Edoardo Scarpetta. Dopo alcuni attacchi uricemici subiti la settimana scorsa, egli pareva avviarsi verso un miglioramento. Invece Ieri a mezzodì fu colto da febbre altissima e i medici diagnosticarono una congestione bronco-polmonare. Alle 16 entrò in agonia. La salma sarà imbalsamata. Le esequie si svolgeranno mercoledì.
Il suo maggior predecessore nel teatro comico napoletano, Antonio Petito, era morto sul palcoscenico, recitando. Egli poco prima di morire, uscito appena da una crlel di coma uricemico e appreso dai familiari che il figlio Vincenzino era venuto apposta a Napoli, da Roma, per abbracciarlo, lo volle accanto a sè per esporgli la trama di una commedia alla quale pensava da tempo. Cosi, se l’attore si era dovuto ritirare dalla scena ancor giovane, per una minacciosa debolezza I cardiaca, l’autore ha continuato a lavorare fino alla morte riversando su questa attività tutto l’amore per l’altra e tutta la passione per il teatro napoletano di cui è stato per gli ultimi cinquant'anni il maggiore esponente.
Esponente discusso e combattuto, ma confortato dal consensi delle platee che ammiravano la sua forza comica e il suo repertorio. Fino a pochi anni fa, in un suo volume di Memorie, curioso e interessante, eglt si soffermava a lungo sul «nuovo repertorio» cioè sul suo repertorio, e tornava a difenderlo con un infinito amore paterno.
«Il pubblico voleva divertirsi, voleva ridere, ma cominciava a pretendere che la comicità avesse un certo fondo di verità. Essa doveva pascere dall’ambiente, dalla situazione scenica, dal personaggio. E questa comicità, quando la si cerca, la si trova , dappertutto, anche fra il dolore e le lagrime. Ma io credo di aver avuto le mie buone ragioni di averla cercata sopra tutto nella «borghesia», dove essa zampilla più limpida e più copiosa. La plebe napoletana è troppo misera, troppo squallida, troppo cenciosa per poter comparire ai lumi della ribalta e muovere il riso. Il vizio, che germoglia come un’erbaccia parassita negli intimi strati del nostro popolo, rendo quasi sempre doloroso anche il sorriso. E rivoltando quella melma fangosa si potrà scrivere un bel dramma passionale, un acuto studio sociale, ma non mal una commedia brillante».
Tutto sommato, se i contemporanei spassandoci alle sue commedie e alle sue riduzioni, non gli davano torto, non gli dava torto nemmeno la storia. «Napoli — scriveva Benedetto Croce — non può vantare nò la splendida fioritura della commedia toscana del Rinascimento, nè l’affermazione di realismo artistico del Goldoni, nè quel grido di riscossa dello spirito nazionale che fu la tragedia del piemontese Alfieri. L’importanza che Napoli non ha avuta nel teatro letterario, l'ha avuta invece nella commedia popolare e dialettale, nell’opera buffa, nelle rappresentazioni all'improvviso, negli attori e personaggi comici che ha messi in circola zione. Sulla fine del cinquecento o ai principi del secolo seguente nascevano qui in folla e a gara i Coviello, i Pascariello, i Policinella, gli Scaramuccia e tanti altri personaggi che, incarnati da attori quali Silvio Fiorello, Andrea Calcese, Ambrogio Buonomo, portarono per tutta Italia e anche all'estero la giocondità, i balli, le canzoni e la fantasia satirica napoletana».
Scarpetta autore fu dunque fedele alla tradizione e non fece, sebbene sia tutt’altro che poco, che espellere da quella elementi invecchiati agglungendovene di nuovi e di freschi. Le sue commedie originali come Miseria e nobiltà, La nutriccia, e qualche altra sono ancor vive e vitali ad attestare nello Scarpetta un solido scrittore di teatro e un profondo conoscitore del costume napoletano e della parlata paesana. Le sue riduzioni — e sono moltissime — confermano, e valorizzano anche più, queste sue qualità, in quanto egli, trasportando nell’ambiente parteno peo comiche e buffo vicende del teatro francese, le rinnovò spesso, le rinverdì le avvicinò alla realtà e alla umanità, infondendo cosi ad esse una vitalità che talvolta gli originali non ebbero o ebbero labile e fugace. Esempio: Li nepute de lu sinneco, tratto da una operetta di Franceschini, fischiata in tutta Italia, Lo scarfalietto, preso dalla Botile di Méilhac e Halevy, data con scarso successo al Palais Hoyal; 'Na criatura sperduta, riduzione di una commedia che per la sua povertà non ebbe mai l’onore di una versione italiana, nemmeno quando in Italia tutto si rappresentava che venisse di Francia.
Giova però dire che al successo del repertorio scarpettiano — di cui parecchie commedie superarono presto la millesima rappresentazione — contribuiva l'opera dell’attore, superiore, senza dubbio alcuno, nella scala dei valori artistici, a quella del commediografo. Gli fu rimproverato di aver creato. succedendo al Pulcinella nel famoso «Teatro San Carlino», un’altra maschera: quella del don Felice. Era esatto, ed essa fu indubbiamente un trapasso fra la tradizione e quello che egli pensava dovesse essere il teatro comico napoletano. Certo è che chi ha seguito nella sua lunga carriera Eduardo Scarpetta sa che a poco a poco il personaggio di don Felice diventò nella sua recitazione più vivo ed umano, sicché verso gli ultimi anni, certo i più belli, don Felice non era più una maschera ma un tipo e don Eduardo Scarpetta un grandissimo attore che attingeva alla sobrietà c alla naturalezza le ragioni della sua irresistibile comicità.
Aveva cominciato a recitare a quindici anni nel 1869 al teatro «San Carlino» con la paga di diciassette lire mensili e assumendo, nella scrittura, anche questo impegno: «sono parimenti obbligato di ballare, volare, sfondare, tingermi il volto, esser sospeso in aria, se qualche produzione il richiedesse, ed infine fare tutto ciò che mi verrà imposto, come anche cantare nei cori, e a solo, nei vaudeville». Pochi anni dopo la sua popolarità raggiungeva quella del maestro: don Antonio Petito.
«La sua nuova semimaschera — scriveva il Di Giacomo — era capitata a tempo tra i vecchi caratteri già muffiti all’umido dell'antico fosso di Piazza del Castello per risollevare le sorti della commedia popolare». E le risollevò. La sua fama di attore superò i confini comunali e dilagò in tutta Italia come accadeva di quelle del Bonini e del Ferravilla. Accanto a quest’altro indimenticabile attore apparve Scarpetta la prima volta a Milano nel 1880, sul palcoscenico del Teatro Milanese. Don Eduardo aveva scritto per l’occasione una commediola in due atti: Nu milanese a Napoli nella quale Ferravilla rappresentava la parte di un vecchio zio venuto a Napoli per assicurarsi dei progressi di un suo nipote che e! dava bel tempo invece di sgobbare sui libri, e la deliziosa Emma Ivon, la parte d’una servetta. «Il Teatro Milanese — narra lo Scarpetta nelle sue Memorie — risuonò di applausi e di risate e ai finale del primo atto l’ilarità giunse a tal punto che scappò a ridere anche al Ferravilla ed a me e si fu obbligati ad abbassare la tela».
L’aneddoto non deve meravigliare. La comicità dello Scarpetta era di effetto cosi immediato e sicuro che egli passava per le vie dì Napoli e di Roma, dove era amato quanto a Napoli, suscitando l'iarltà della folla ora con uno sguardo ora con un motto. La sua arguzia, anche fuori del palcoscenico era inesauribile e talvolta d’una causticità sconcertante.
Ricordo che al famoso processo seguito alla sfortunate parodia della Figlia di Jorio, Scarpetta por difendersi disse: — «Signor giudice, noi abbiamo parodiato persino Dante». — «Ma Dante — ribattè un avvocato — è mortoI». Al che Scarpetta replicò: «Prufessò, pe' me Dante non è morto mai!» E chi rimase male fu l’avvocato.
«Corriere della Sera», 1 dicembre 1925
Opere
1875 - Gelusia ovvero Ammore spusalizio e gelusia
1876 - Ov'è mammà?
1876 - 'Na commedia 'e tre atte
1876 - Quinnice solde so' cchiù assaie de seimilalire
1876 - È buscia o verità?
1877 - Felice maestro di callegrafia ovvero Lu curaggio de nu pompiere napulitano
1879 - Feliciello e Feliciella
1879 - Li testamenti di Parasacco
1879 - La collana d'oro
1880 - L'Accademia disturbata
1880 - Le treccia dell'Imperatore
1880 - La Presentazione de 'na compagnia ovvero Felice direttore di compagnia
1880 - Tetillo (da Bebè di A. N. Hennequin)
1880 - Mettiteve a fa l'ammore cu me! (da Fatemi la corte di Salvestri)
1880 - Li Piscivinnole napulitane
1880 - Tric Trac (da Tric Trac di Guarino)
1880 - Lu pescecane
1880 - 'Nu zio ciuccio e 'nu nepote scemo (da Il finto medico di F. Cerlone)
1880 - Duje marite 'mbrugliune (da Les Dominos roses di A.N. Hennequin e Delacour)
1880 - Bazzicotto
1880 - Il non plus ultra della disperazione ovvero La Battaglia del Rigoletto; I duelli; Lu Pagnottino.
1881 - Lo scarfalietto (da La Boule di Meilhac e Halévy)
1881 - Vi' che m'ha fatto freteme
1881 - Tetillo 'nzurato
1881 - Le Bravure di Don Felice
1881 - La posta in quarta pagina
1881 - Tre pecore viziose
1881 - L'amico 'e papà
1881 - 'No pasticcio
1881 - La casa numero sette
1882 - Il romanzo di un farmacista povero
1882 - 'A fortuna 'e Feliciello
1882 - Nun la trovo a mmaretà
1882 - La nutriccia
1882 - Fifì
1882 - 'No quartino a lu quinto piano
1882 - 'Na commedia a vapore
1883 - 'Nu frongillo cecato
1883 - Amore e polenta
1883 - Na paglia 'e Firenze
1883 - 'Na furnata de paura
1883 - 'Na tombola 'e duemila lire
1883 - 'Nu buono giuvinotto
1883 - S'ha da dì o no?
1883 - La signorina Piripipì
1883 - 'Nu casino sotto a lu Vesuvio
1884 - 'Na capa sciacquata
1884 - La calamita
1884 - 'Nu brutto difetto
1884 - 'Na matassa 'mbrugliata
1885 - 'Na società 'e marite
1885 - Un'Agenzia di matrimoni
1885 - Li nepute de lu sinneco (da Le Droit d'un aîné di Burani)
1885 - Lu Marito de Nannina (da 115, rue Pigalle di Alexandre Bisson)
1886 - 'O viaggio 'e nozze
1887 - 'Nu bastone 'e fuoco
1888 - Miseria e Nobiltà
1888 - 'Nu turco napulitano (da Le Parisien di A. N. Hennequin)
1889 - Lu Miedeco de li femmene ovvero Il dottor Suricillo
1889 - 'Na Santarella (da Mam'zelle Nitouche, di Henri Meilhac e Albert Millaud)
1889 - Girolino e Pirolé
1890 - Pazzie di Carnevale (da Le Metamorfosi di Pulcinella (Scenario dell'Arte) di Antonio Petito)
1890 - Il Matrimonio di stella
1890 - Casà Bignè
1890 - 'Na stampa e doje figure
1891 - Il capitano Saetta
1892 - Guerra agli uomini
1892 - Cocò
1893 - 'Na mugliera scurnosa
1893 - Lu Cafè Chantant
1893 - Li Cafune a Napule
1893 - Lily e Mimì
1894 - 'Nu ministro mmiezzo a li guaie (da I fastidi d'un grand'uomo di Eraldo Baretti)
1894 - Li mariuole overo La Contessa tre cape
1894 - Farfariello
1894 - Tre cazune furtunate'
1895 - 'Na bona Guagliona
1895 - La casa vecchia
1896 - La Bohème
1896 - I Tre soci
1896 - L'Albergo del Silenzio
1897 - Le due stelle
1897 - Casa Pipiton
1897 - La Belle Sciantose
1897 - Zetiallo, vidovo e nzurato
1897 - 'Na mascatura inglese
1898 - Nina Boné
1898 - Nu cane bastardo
1899 - Madama Ficcarelli
1899 - 'Na creatura sperduta
1899 - La Pupa mobile
1899 - 'A cammerera nova
1899 - Duje chiapparielle
1899 - 'Na figliola romantica
1900 - 'A figlia 'e don Gennaro
1900 - 'A Nanassa
1901 - Cane e gatte
1901 - Tutti in viaggio
1901 - Il debutto di Gemma
1902 - Carcere e Matrimonio
1902 - 'A Mosca
1902 - Madama Rollè
1902 - Madama Sangenella
1902 - 'O Balcone 'e Rusinella
1903 - 'Na mugliera africana
1903 - 'Nu figlio a pusticcio
1903 - Il processo fiaschella
1903 - Li Mmale lengue
1904 - 'Nu core d'angelo
1904 - Il figlio di Iorio
1905 - La geisha
1907 - 'Na mugliera zetella
1907 - 'Na brutta pazzia
1908 - 'O miedeco d'e pazze
1909 - La coda del diavolo
1915 - Tre epoche
1923 - Nu disastro ferroviario
1924 - Woronoff
Film tratti da sue opere teatrali
Tutto per mio fratello! (1911), tratto dalla commedia Vi' che m'ha fatto frateme (1881)
Miseria e nobiltà, regia di Enrico Guazzoni (1914), tratto dalla commedia omonima (1888)
La nutrice, regia di Alessandro Boutet (1914), tratto dalla commedia La nutriccia (1882)
Un antico caffè napoletano, regia di Gino Rossetti (1914), tratto dalla commedia Il non plus ultra della disperazione (1880)
Tre pecore viziose, regia di Gino Rossetti (1915), tratto dalla commedia omonima (1881)
Lo scaldaletto, regia di Gino Rossetti (1915), tratto dalla commedia Lo scarfalietto (1881)
Miseria e nobiltà, regìa di Corrado D'Errico (1940), tratto dalla commedia omonima (1888)
Ti conosco, mascherina!, regìa di Eduardo De Filippo (1943), tratto dalla commedia Il romanzo di un farmacista povero (1882)
Sette ore di guai, regìa di Vittorio Metz e Marcello Marchesi (1951), tratto dalla commedia 'Na criatura sperduta (1899)
Agenzia matrimoniale, regìa di Giorgio Pàstina (1952), tratto dalla commedia 'N agenzia 'e matrimonie (1885)
Un turco napoletano, regìa di Mario Mattòli (1953), tratto dalla commedia 'Nu turco napulitano (1888)
Miseria e nobiltà, regìa di Mario Mattòli (1954), tratto dalla commedia omonima (1888)
Il medico dei pazzi, regìa di Mario Mattòli (1954), tratto dalla commedia 'O Miedeco d'e pazze (1908)
Maria Scarpetta, Felice Sciosciammocca mio padre, Napoli, Morano, 1950;
Mario MANGINI, Eduardo Scarpetta e il suo tempo; prefazione di Eduardo De Filippo, Napoli, Montanino, 1961;
Eduardo De Filippo, Quattro commedie di Eduardo e Vincenzo Scarpetta, Torino, Einaudi, 1974.
Eduardo SCARPETTA, Cinquant'anni di palcoscenico: memorie; introduzione di Renato Carpentieri; prefazione di Benedetto Croce, Roma, Savelli, 1982;
Eduardo SCARPETTA, Il teatro di Scarpetta, Napoli, Bellini, 1990;
Eduardo Scarpetta, Romualdo Marrone (a cura di), Scarpetta Tutto il teatro, 1ª edizione, Roma, Newton Compton [1992-11-25].
Salvatore Tolino, Mostra storica permanente della Poesia, del Teatro e della Canzone Napoletana, Istituto Grafico Editoriale Italiano, 1999
Antonio Pizzo, "Scarpetta e Sciosciammocca. Nascita di un buffo", Roma, Bulzoni, 2009;
Riferimenti e bibliografie:
- Altra biografia teatrodinessuno.it
- Sito ufficiale
- Archivio Multimediale Attori Italiani
- «La Stampa», 30 novembre 1925
- «Corriere della Sera», 1 dicembre 1925