Scarpetta Vincenzo
(Napoli, 19 giugno 1877 – Napoli, 3 agosto 1952) è stato un attore, comico e commediografo italiano.
Figlio di Eduardo Scarpetta, era fratellastro di Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo e Titina De Filippo, oltre che dei meno noti Eduardo Passarelli e Pasquale De Filippo. Vincenzo Scarpetta fu un personaggio di notevole spessore che rimasto schiacciato dall'ingombrante ombra del padre e la successiva affermazione dei fratellastri De Filippo e particolarmente di Eduardo, fu anche uno dei pionieri del cinema napoletano e italiano.
Biografia
Il debutto ufficiale avviene al teatro Mercadante di Napoli il 7 gennaio 1888 nei panni di Peppiniello con la prima rappresentazione di Miseria e Nobiltà scritta espressamente da Eduardo per questa “iniziazione” teatrale.
Negli anni dell’adolescenza approfondisce lo studio della musica acquisendo anche una conoscenza e una padronanza dell’organico orchestrale tali da permettergli di musicare, con grande successo, commedie, riviste e canzoni.
Giovanissimo, appena diciassettenne, comincia a scrivere le sue prime commedie e nel 1896 entra a far parte in maniera stabile della compagnia paterna facendo anche da "maestro" e guida ai fratellastri Titina, Eduardo e Peppino De Filippo.
Agli inizi del 1910 Eduardo si ritira dalle scene e il figlio diventa capocomico e primo attore; alla morte del padre (29 novembre 1925), eredita la Compagnia e, pur continuando a scrivere e a rappresentare lavori sulla scia del repertorio paterno, accoglie anche altri autori come Costagliola e Chiaruzzi di cui rappresenta 'A femmena (1925) e L'agnello pasquale (1926), entrambe tratte dal Boccaccio. Si avvicina, inoltre, a Luigi Chiarelli con Chello che simmo e chello che parimmo (1925) (tratta da La maschera e il volto) e a Pirandello come testimonia la riduzione in napoletano di Liolà (1931) messa poi in scena nel 1935 dai De Filippo.
La compagnia Scarpetta lavora incessantemente in tutta l'Italia e i successi si susseguono grazie alla sua bravura e all’ottima compagine di artisti tra cui i fratelli De Filippo: lo stesso Eduardo si fa le ossa con lui e conosce i primi riconoscimenti come “brillante”.
Dalla metà degli anni venti e per tutti gli anni trenta torna alla rivista musicale, suo amore giovanile, genere che gli consente di esaltare le sue doti di attore raffinato, comico, trasformista e cantante. Dal 1939 diventa lo “scritturato illustre” dalla Compagnia di Raffaele Viviani con cui resterà fino al 1944: celebre è la messa in scena di Miseria e Nobiltà in cui gli viene affidata la parte del cuoco Gaetano Semmolone.
Autore e riduttore di numerose commedie di successo, si ricorda 'O tuono 'e marzo (1911) per la celebre messa in scena del 1957 al San Ferdinando di Napoli e all'adattamento per la Rai di Eduardo De Filippo nel 1975. Scrisse inoltre La donna è mobile (1918), che fu uno dei suoi più grandi successi nonché opera d'esordio della Compagnia di Luca De Filippo nell'ottobre del 1981 con regia di Eduardo.
Vincenzo Scarpetta fu anche uno dei pionieri del cinema napoletano e italiano. Fino a pochi anni addietro, non era sopravvissuta nessuna delle molte pellicole girate nel periodo del cinema muto. Negli ultimi anni, alcuni fortunati rinvenimenti, come quello di un film Il gallo nel pollaio del 1916 e alcune scene di Scarpetta e l'americana del 1918, hanno aperto uno spiraglio sulla sua attività di cineasta. Inoltre, il rinvenimento negli archivi della famiglia Scarpetta di un consistente nucleo di "sceneggiature" di film realizzati in quel periodo, in cui Vincenzo era sia attore e, a volte, "regista" (i termini "sceneggiatore" e "regista" non erano ancora in auge), hanno portato ad una considerazione nuova sulla sua attività cinematografica tanto da farlo ritenere come uno dei primi e originali autori del cinema muto italiano. La sua attività fu infatti precoce con opere realizzate prima del 1908 e proseguì per tutto il periodo del muto. Vincenzo lavorò con le migliori case di produzione italiane, come la Cines, e fu diretto da registi di tutto rispetto, come Enrico Guazzoni. Traspose per il cinema non solo alcune delle celebri commedie del padre, ma fu anche autore di molti dei soggetti che furono realizzati[2].
Fu inoltre attore cinematografico fin dal 1907. Ai tempi del cinema muto interpretò: Il suonatore di Chitarra (1910), Marito distratto e moglie manesca (1910) Tutto per mio fratello (1911), tratto da una commedia del padre, Il gallo nel pollaio (1916), e Scarpetta e l'americana (girato nel 1916 ma uscito nel 1918), entrambi per la regia di Enrico Guazzoni, Le nozze di Vittoria (1917) regia di Ugo Falena, Scarpetta cerca moglie e Scarpetta vuol fumare (1920 c.a. per la Caesar film). Lavorò poi nel film Gli ultimi giorni di Pompeo (1937) e La dama bianca (1938) e Eravamo sette vedove (1938) di Mario Mattoli e nella seconda versione cinematografica di Miseria e nobiltà (1940) con regia di Corrado D'Errico.
Vincenzo Scarpetta muore il 3 agosto 1952 e oggi riposa nella cappella Scarpetta al Cimitero di Poggioreale a Napoli.
Galleria fotografica e stampa dell'epoca
La famiglia Scarpetta e i De Filippo
Toccò a Scarpetta l'eredità di Pulcinella
Vincenzo Scarpetta e i suoi comici
Muore Pulcinella: nasce don Felice Sciosciammocca
25 anni fa moriva a Napoli Don Felice Sciosciammocca
E' morto Vincenzo Scarpetta, "'na criatura sperduta"
Ridono anche loro
Cent'anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta
Perchè in Italia «questo» cinema comico?
Arte Napoletana - Vincenzo Scarpetta
Non come attore dialettale, perchè il Café-Chantant vuol mantenersi nella sua vera orbita, ma come trasformista parodista, o autore di canzonette del genere, Vincenzo Scarpetta merita un posto fra i concertisti. Non so quale fama lusinghi di più il suo amor proprio di artista diligente e studioso; nè se gli siano più graditi gli applausi unanimi con cui il pubblico lo saluta, seralmente, per la sua comica dì buona lega — tale il padre, tale il figlio — o le entusiastiche evocazioni al proscenio, quando, con verità fotografica, ha eseguito il suo Eldorado. Certo, egli non è mono ammirevole; e l’ interesse che desta non è meno giustificato per quest’ultima espressione dell'arte sua multiforme.
Un’ espressione tutta personale, di cui è maestro e dalla quale sa trarre effetti sicuri di umorismo. Specialmente riproducendo il tipo di Fougère che più degli altri si presta al motteggio, è unico. E lo più lievi sfumature di gesto o di mimica della ètoile parigina, ìe più comiche sue pose appaiono evidenti allo sguardo degli spettatori.
E a chi ha visto — magari per una sola volta — la radiosa canzonettista, sembra di ritornare a le provocanti serate in cui ella si fece ammirare... da gli ardenti partenopei!
Come autore e compositore di canzoni, Vincenzo Scarpetta ha un attivo gustosissimo. Basterebbe solo il famoso D. Mimi Ciccilifik , che ha formato il successo di tutte le stelle di prima e media grandezza, per assicurargli un posto degnissimo fra i nostri canzonieri. Ma, ripeto, il suo valore vero, indiscutibile — che lo rende benemerito anche nel concerto e di cui può esser superba l'arte napoletana — è nel genere parodista.
Guido Argeri «Café-Chantant», dicembre 1901
Il Comm. Vincenzo Scarpetta non è soltanto il continuatore glorioso del tipo del don Felice Sciosciammocca, ma nelle sue riduzioni e nelle moderne commedie è l'autentico grande brillante, della scena vernacola. Don Vincenzino — come comunemente lo si chiama a Napoli — esordì verso il '98 nella compagnia del proprio padre, e con quel capolavoro del teatro dialettale « Miseria e nobiltà », che fu il suo primo trionfo. Le cronache del tempo prodigarono inusitati elogi a colui che a giudizio dei critici si presentava come il secondo colosso comico, della eccezionale famiglia.
Infatti con l’attuale Scarpetta, una super-natura atavico-comica, prosegue, dilaga, irrompe tumultuosa attraverso scene di folklore paesano, e quadri, ove dal fulcro delle beghe popolari, guizzano quei tipi strani e curiosi che sono le macchiette del teatro dialettale napoletano, anime sognanti, fantasiose, infarinate d’arie Ciranesche, argute e sottili d’ironia, per tutto ciò che rappresenti la esistenza, presa sul serio.
Nella maschera di questo grande attore si alternano con verità impressionante il carattere e le sensazioni d’ogni singolo personaggio, in tratti cosi decisivi e caustici da oltrepassare i limiti delle possibilità espressive, gesti che dicono tutto, che parlano e si esprimono come forse pochissimi assi della cinematografia sanno e possono fare.
Indubbiamente grandi ed infiniti risultati avremmo avuto se egli si fosse indirizzato in pieno ai teatro italiano, ove le sue doti di brillante, in un campo più vasto, più omogeneo alla sua cultura ed al suo ingegno, lo avrebbero collocato fra i maggiori attori comici della scena moderna. Con Vincenzo Scarpetta si possono ripetere i famosi versi che Cantpardon scrisse in onore di uno dei più celebri attori comici del secolo scorso, il Benozzi.
"Le fameux docteur Benoszi nous instruit en nous faisant rire c'est la bonne facon d'instruire mais elle n'appartien qu’a lui"
Napoli ha con questo suo tìglio predi-letto, non il comico che al primo sole della primavera scioglie le proprie attitudini, dovute ad un capriccio della natura, ma l’attore di razza, l’uomo che studia i soggetti, che attinge alle fonti della vita paesana i suoi tipi strampalati, ^circuendoli di un attento esame, nei gesti e nel linguaggio, onde plasmarli nel cervello, che gli dà vita, colore, spirito, vivacità, fedeltà e supremazia. L’arte così intesa, rivela come Vincenzo Scarpetta oltre l’affidamento che ha nella propria natura comica, sia animato dal desiderio di non sfuggire allo studio di questi fatui, passibili della consacrazione scenica.
Artista coltissimo, musicista, e poeta dialettale d’ampio respiro, molti dei suoi versi letti a Roma a giornalisti, critici ed artisti meritarono calorose ovazioni e lodi sincere.
Ogni anno Vincenzino Scarpetta varca la villa di San Rossore, espressamente invitato dalla famiglia reale, che nutre per lui una speciale deferenza. Là, egli rievoca le sue maggiori interpetrazioni ed illustra al real consesso, la forza preponderante di quel suo teatro, ameno e ricco di sincerità, rivelandosi artista e direttore di primo piano, comico principe, ed assoluto esponente della scena dialettale partenopea. Diceva Guyeu : «Il teatro è una specie di tribunale ove ogni attore è tenuto a produrre delle prove visibili e tangibili per essere creduto».
Guyeu, non conosceva questo nostro grande attore, la cui arte vive all’ombra di tali prove, e quantunque essa sia ristretta alle palestre dell’ arte regionale, purtuttavia sconfina su pei cieli di una eccezionale comicità, che diffonde benessere e gioia, realtà ed illusione, palpiti di vita spensierata e moschettera, virtù che formano la potente ossatura dello inimitabile repertorio scarpettiano, che Dio conservi a noi per lunghi anni ancora.
Alfredo Chimenti, «Varietà», dicembre 1929
Quando Napoli rideva
Vincenzo Scarpetta don Felice Sciosciammocca
Figlio del geniale don Eduardo, Vincenzino fu un vero enfant prodige. Imitazioni di una stella dell'epoca e successi enormi
Come nel tempo si sprofondano e si annullano le cose! Chi avrebbe mai ricordato che Vincenzo Scarpetta, il degno seguace del geniale don Eduardo, creatore singolarissimo della comicità di Felice Sciosciammocca, fosse stato il prototipo del macchiettista apparso alle ribalte napoletane? Macchiettista. propriamente, nel significato che ne dava il Caffè-concerto di allora non lo si sarebbe detto, non essendoci ancora la macchietta, cioè quel generi di canzonetta parlata, satirica, a doppio senso, e non eseguendo il piccolo Vincenzino di otto anni — Sciosciammocca in miniatura — che delle specie di cavatine, scrittegli espressamente da suo padre; il quale si piaceva pure di truccare personalmente Il suo legittimo erede in erba, appunto, da Felice, cosi come si sarebbe divertito, questa volta non senza emozione, ad abbigliare e colorare un bamboccio.
E mi raccordano che la primissima sera proprio quella del varo, da la... banchina del teatro «Rossini» — nella qual sera il ragazzino si vide camuffato, fu tale la sua gioia che, finito il suo entusiasmante numero, in camerino non si voleva più svestire; e non si svestì. Così conciato, con la sciassetella e il rosso alla punta del nasino, come un sigillo di ceralacca volle andare a casa, e voIle andare a letto: cosi vestito. Si addormentò vicino al suo papà, come il figurino, in piccolo, del grande comico.
Nell'86 Edoardo Scarpetta scrisse Miseria e Nobiltà, per utilizzare nella sua Compagnia il prodigioso rampollo, che allora aveva nove anni, e già diventava l'indimenticabile ragazzo della popolarissima cantilena: Vicienzo m'è paté a mme... Ma da i tredici a i diciott'anni, essendo grande per rappresentare i piccoli e piccolo per rappresentare i grandi, studiò musica: e la sua natura, proprio quella di un fanciullo prodigio, gli permise facilmente. non solo di leggere a pianoforte, ma, in seguito di adattare commenti musicali a quasi tutte le Riviste scritte dal padre.
A vent'anni al «Fiorentini», dopo la commedia, si presentava nell'arguta ed audace imitazione di Eugenie Fougère, sfolgorante Etoile de Paris, che allora si sbrigliava al «Salone Margherita», dal quale, ogni sera, dopo che gli ammiratori l'avevano tanto sospirata e festeggiata, andava lei ad applaudire, con le sue manine luminose, da un palchetto del «Fiorentini», la sua incredibile in incarnazione, per giunta, fatta da un uomo, attore brillantissimo pieno di versatilità, e possibilità, nella gonna breve e palettata di una diva profusa di anguillanti seduzioni con pronuncia montmartroise. Eppure tutto parea che fosse della Stella, per una suggestiva imitazione perfetta; ma una sola cosa era sua realmente: i gioielli, che ella prestava ogni sera al temerario decolté del suo impertinente imitatore. Che più tardi, perdeva la testa anche per... Fregoli. Entusiasta e multiforme com’era volle cimentarsi ancora in un'ardua imitazione; quella del diabolico trasformista. Onde attrezzato di un vestiario fulmineo ed a sorpresa. meravigliò il «Bellini», non si sa più per quante sere consecutive. In una di quelle, affollatissime, una bella signora, fine, bionda, occhi gentili, pagò il palco cento lire (a quell'epoca) per bagarinaggio, allora praticato sfacciatamente da 1imammamia a gli spettacoli eccezionali. Dicono che la dama, dal velluto cremisi del palco, applaudisse tutta scintillante, le pupille incantate, come quelle di una bambola: era la amante di Fregoli, che però non volle conoscere Vincenzino; chi sa perchè? Doveva essere molto sensibile.
La scena commovente fu quando una sera Eduardo Scarpetta, prima che il sipario si levasse su la commedia Tettilo Bebé, presentò al pubblico suo figlio che, per la prima volta, vestiva il ruolo paterno di don Felice Sciosciammocca. Don Felice il vecchio si approssimava all’addio. E quando si congedò da la scena divenne come l’assiduo abbonato al palco lettera del teatro in cui, a capo de l’antica Compagnia, recitava suo figlio; il quale ancora rammenta con che trepidazione giuncava la sua parte, con l’immancabile maestro in teatro, che ne l’intervallo di ogni atto andava in palcoscenico a fare i suol rilievi severi e autorevoli. Ma a la prima di 'A cammarera nova (fu tanto raro il caso che Vincenzino non lo dimenticò mai più) alla abituale incontentabilità del genitore successe finalmente un moto d'entusiasmo in cui abbracciò il figlio esclamando: «Questa sera mi hai rubato il respiro!».
Poi don Eduardo si ammalò a Napoli — Vincenzino recitava a Roma con la Compagnia, e quella sera, a fine spettacolo, gli fecero capire che suo padre «era grave». Egli ancora accaldato di scena e impiastricciato di trucco si precipitò alla Stazione ove per un capello riuscì ad aggrapparsi al treno semovente di mezzanotte e venti, in partenza per Napoli. Giunse a l’alba al palazzo di via del Mille. Il Grande Ufficiale giaceva livido, le palpebre appannate parean di cera. Papà!... Papà!... Song'io. So' Vicenzino.... Aprì a stento l'occhio che si velava di opaco. — Papà!... — si... te... cunosco... Tu si’ ’o figlio mio fatiatore.... E la ribalta della risata si spegneva; e si accendevano le candele del nulla...
Francesco Cangiulo, «Il Tempo», 5 dicembre 1949
E' morto Vincenzo Scarpetta. La fine di "Sciosciammocca"
Testimonio di un'epoca facile e felice - Era colto, musicista garbato, attore brillante - Serate tempestose per una parodia dannunziana - L'ultima recita in "Miseria e nobiltà" con la Compagnia Viviani
Roma, 4 agosto.
La prima firma nel registro funebre nella portineria del palazzo di Vincenzo Scarpetta l'ha messa Gennaro Pasquariello, il vecchio interprete napoletano della canzone. Vincenzo Scarpetta giaceva su, al terzo piano, sul letto di morte, circondato dalle fotografie dei più illustri personaggi della storia italiana: da Giovanni Bovio a Giacomo Puccini, da Francesco Crispi a Matildo Serao, da Paolo Tosti ad Ermete Novelli, da Salvatore Di Giacomo a Roberto Bracco. Tutto un mondo scomparso. Un'epoca felice, liberale, fortunata nella politica e nelle arti; un mondo facile alle lacrime e al sorriso.
Vincenzo Scarpetta, con i suoi 75 anni, porta nella tomba un patrimonio di cose buone e oneste. Egli era figlio di Eduardo Scarpetta, creatore, nel teatro dialettale napoletano, di quell'indimenticabile personaggio, Felice Sciosciammocca, che ammodernò, in una più umana maschera, il «Pulcinella», già impersonato da Antonio Petito e poi da Raffaele Vitale.
Vincenzino, come da tutti era chiamato, nacque nel 1877. Il padre Eduardo aveva 24 anni ed era già valente artista nella compagnia del Vitale. Poi diede vita a «Miseria e nobiltà», e alla figura dolente, comica, affannata, fatalista di Felice Sciosciammocca. A trent'anni, e Vincenzino ne aveva nove, il padre volle che il suo bambino debuttasse proprio in «Miseria e nobiltà». In quella particina di «Peppiniello» (il figlio che Sciosciammocca è costretto ad abbandonare per la miseria), parte che ancora oggi recitata da tardi ma non meno valorosi epigoni del teatro scarpettiano, suscita ilarità e commozione nelle platee. Eduardo aveva scritto «Miseria e nobiltà» sospinto anche dal viso espressivo del suo figlioletto e per lui scrisse anche «Il capitano Saetta».
Fu un periodo di splendore del teatro scarpettiano. Fu scritto, di Eduardo, che egli «rappresentava a Napoli la crisi del liberalismo espressa attraverso l'ironia deliziosa della sua arte». Ma Eduardo, dopo il successo del figlio al «Mercadante», volle che Vincenzino studiasse, diventasse colto e, poiché il ragazzo aveva disposizione alla musica, volle che si diplomasse al Conservatorio di San Pietro a Maiella.
Cosi Vincenzino si formò colto, fine musicista, disegnatore, attore brillante: era bello, conteso dalle donne, disputato da capocomici insigni quali Ermete Novelli e la Galli, ma seguì invece la tradizione paterna, non riuscì a sottrarsi alle esortazioni del padre suo, specialmente quando Eduardo, a soli 56 anni, nel 1909, volle ritirarsi dalle scene in quel palazzo della «Santarella» al Vomero dove appose la scritta famosa «qui rido io».
Vincenzino non si sottrasse alia volontà paterna: «Succede 'a rivoluzione dint' 'a casa, si nun faccio ’o Sciosciammocca», soleva ripetere agli amici. Il suo estro tuttavia si estrinsecò anche in interpretazioni di personaggi del tempo caricaturati da Rocco Galdieri, creatore della rivista satirica in Italia, fra le quali rimase famosa la
«Ommo che vola» in contrapposizione satirica al dannunziano «Forse che sì forse che no» ispirata alla sorgente aviazione. Vincenzino fu impareggiabile nel tratteggiare un D'Annunzio sapidamente caricaturale. In «Il figlio di Jorio», scritto da Eduardo Scarpetta, ebbe tempestose serate al Sannazaro e provocò beghe giudiziarie a non finire tra D'Annunzio e gli Scarpetta.
Le scene del vecchio Teatro Nuovo lo videro protagonista e direttore delle prime famose stagioni di riviste. L'arte innata dell'imitazione, il senso della «maschera», l'abilità nel sapersi truccare permisero a Vincenzo Scarpetta di ricreare qualsiasi personaggio: da Maurice Chevalier (al quale in realtà somigliava anche fisicamente) a Leopoldo Fregoli. Il padre suo, che mori nel 1925, lo seguì passo passo sulle scène del «Mercadante». Si sedeva in un palco di proscenio e seguiva il figlio battuta per battuta e, se qualche volta notava una omissione anche veniale, una pausa non dosata, un tono di voce non giusto, il vecchio famoso attore si recava nel camerino a muovere dolci rimproveri al diletto Vincenzino. Ma concludeva dicendo con affetto: «Vincenzi, tu se' patte a me!».
L'ultima recita di Vincenzo Scarpetta, in «Miseria e nobiltà», nelle vesti di caratterista, fu a Napoli nel 1940, nella compagnia di Raffaele Viviani. «Me so fatto gruosso», diceva l'attore insigne. Poi il ciclo si chiuse. Si ritirò nel palazzo di via Vittoria Colonna coi suoi ricordi e i suoi rimpianti. La guerra, il mal di cuore, la morte, nel 1916, della idolatrata sorella Maria mentr’ella suonava il violino: una serie di dolori, e l’ultima scena si è conclusa ieri mattina alla presenza dei congiunti in lacrime: la moglie Amelia Bottone, bella e brava attrice, i figli Eduardo e Vincenzo, le nuore, i nipotini.
d. m., «La Stampa», 5 agosto 1952
Riferimenti e bibliografie:
- Eduardo Scarpetta, Cinquant'anni di palcoscenico: memorie; introduzione di Renato Carpentieri; prefazione di Benedetto Croce, Roma, Savelli, 1982;
- Francesco Cangiulo, «Il Tempo», 5 dicembre 1949
- Eduardo De Filippo, Quattro commedie di Eduardo e Vincenzo Scarpetta, Torino, Einaudi, 1974.
- M.Beatrice Cozzi Scarpetta, Vincenzo Scarpetta - Teatro (1910-1920) vol.1°, Napoli, Liguori Editori, 2015
- M.Beatrice Cozzi Scarpetta, Vincenzo Scarpetta - Teatro (1900-1910) vol.2°, Napoli, Liguori Editori, 2016
- Pasquale Iaccio e M.Beatrice Cozzi Scarpetta, Pionieri del cinema napoletano - Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta, Napoli, Liguori Editori, 2016
- Le vosi di dentro: Vincenzo Scarpetta
- Succede oggi - L'altro Scarpetta
- Identità Sorgenti - Alla Fondazione Eduardo De Filippo si presenta il terzo volume sul teatro di Vincenzo Scarpetta
- Guido Argeri «Café-Chantant», dicembre 1901
- Alfredo Chimenti, «Varietà», dicembre 1929
- Francesco Cangiulo, «Il Tempo», 5 dicembre 1949
- d. m., «La Stampa», 5 agosto 1952
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- La Stampa
- La Nuova Stampa
- Stampa Sera
- Nuova Stampa Sera
- Corriere della Sera
- Corriere d'Informazione