Totò trenta anni dopo: la rassegna stampa

Totò 30 anni dopo

1997 04 15 FilmTV intro

Il settimanale specializzato «Film TV» nel numero 17 pubblicato nell'aprile 1997, in occasione del 30° anniversario della morte di Totò ripercorre la vita personale e artistica del grande attore napoletano, con ampi servizi storico-biografici e testimonianze delle persone che hanno lavorato e vissuto con Totò. Riproponiamo qui un sunto di questi interessanti articoli, con le autorevoli firme diGoffredo Fofi, Vincenzo Mollica, Adriana Marmiroli, Emanuela Martini, Stefano Della Casa, Giancarlo Governi, Gabriella Facondo, Gigi Vesigna, G. Comolli, F. Corallo.

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Caro papà, da quando, dopo la tua morte sei stato riscoperto, osannato e mitizzato, ti sono stati dedicati saggi, biografie e tavole rotonde. Lo sforzo di spiegare alla gente il segreto della tua arte e del tuo fascino è stato spesso onesto e parzialmente efficace. Io, da parte mia, ho provato con tanto accanimento a concentrare parte della mia vita dedicandomi a te, con i mezzi che avevo: cioè tanti ricordi. E con il prezioso aiuto di Matilde Amorosi, senza il quale non avrei potuto pubblicare cinque libri in cinque anni. Credo che scrivere su di te sia ormai un’impresa veramente difficile. Ma è arrivato il momento di far sapere che cosa i tuoi amici terreni pensano di te. Così è nata l’idea di pubblicare gli scritti, che sono tantissimi. Ogni volta quando ti vengo a trovare a Napoli nella tua casa, anzi nella nostra casa, al cimitero del Pianto, è veramente emozionante leggere le cose meravigliose che ti scrivono da trent'anni tutti quelli che visitano la tua tomba, e che devono assolutamente essere pubblicate. Desidero farti partecipe che, con l' “Associazione Antonio De Curtis” da me costituita con gli amici Paola Agostini e Giovanni Graia, che stanno intensamente lavorando per la realizzazione di tutti i progetti che sono in programma da oggi per arrivare al gran finale, nel 1998, quando finalmente verrà inaugurato il tuo museo a Napoli, nel tuo quartiere, per il tuo centenario. Penso sia il dovere di una figlia che dal suo papà, da quando è nata a oggi, ha avuto tanto. Voglio ringraziarti ancora per esistere. Perché tu sei vivo e sei sempre vicino a tutti noi. Ti voglio bene

Liliana

La televisione lo rende attuale

Goffredo Fofi 11La sua rivincita sulla critica del dopoguerra, ottusa, idealistica e smaniosa di grandi messaggi democristiani o comunisti, Totò se l'è presa abbondantemente. Ha ritrovato col tempo (dopo pochi lustri di disgrazia) il suo pubblico della grande stagione, anzi accresciuto dal concorso della o delle televisioni. E diventato, diceva Volponi, una sorta di grillo del focolare per ogni famiglia, e naturalmente è l’apparecchio televisivo ad aver sostituito il focolare. Non era focolare la sala d’avanspettacolo in cui era cresciuto artisticamente e aveva imparato a definire e controllare la propria comicità e il proprio stesso fisico - fin quasi a negarne la pesantezza, nella snodata libertà dei movimenti - e non era fecola re il teatro di lusso della grande compagnia di riviste messa su con Galdieri autore, la Magnani soubrette. Non erano focolare neanche le sale cinematografiche di seconda, e neanche quelle di terza visione, quelle delle periferie e dei paesini dove si radunava un pubblico festante, che lo adorava proprio per la sua libertà e, diciamolo, per la sua “volgarità”. La televisione è focolare perché sta in ogni casa; Totò non ha mai avuto tanto pubblico come in morte, grazie alla televisione.

Ma il pubblico è cambiato, non è più lo stesso, e la sintonia tra pubblico e maschera è cambiata. Quello di ieri era povero e frustrato, non aveva abbastanza cibo, sesso, libertà. Quello di oggi ha forse troppo cibo, molto più sesso ma non molto meglio gestito che un tempo, e soprattutto, ha davvero più libertà? Forse per questo Totò continua a esserci vicino, grillo del focolare che fischietta oggi in sordina il suo inno sregolato contro i limiti posti dalla società e dalla natura stessa dell'uomo.

di Goffredo Fofi

giornalista, critico cinematografico, è autore di numerosi testi su Totò, di cui il più famoso è quello scritto a quattro mani con Franca Faldini

L'altro Totò

Vincenzo Mollica 11Sono sempre stato incuriosito dall’altra faccia del pianeta Totò, quella entro la quale mi sono addentrato per anni, con pazienza e tenacia, scoprendo un poeta e un musicista di grande talento.

Canzoni e poesie si possono considerare l’altra faccia di Totò, quella più malinconica, quella in cui dava sfogo alla sua vena romantica e sentimentale. Di Antonio De Curtis tutti conoscono "Malafemmena” ma pochi sanno o ricordano che ha scritto oltre cinquanta canzoni alle quali teneva moltissimo. Delle sue canzoni il grande attore scriveva parole e musica con straordinario senso musicale, dato che non sapeva suonare nessuno strumento, ma solo giocherellare con un dito al pianoforte. Quanto ai suoi versi - i primi apparsi nel 1953 in appendice al volume “Siamo uomini o caporali?” di Ferraù e Passarelli -, Totò era solito scriverli su foglietti variegati o, negli ultimi anni, dettarli al magnetofono, come ricorda Franca Faldini, «spingendo e rispingendo il tasto per andare avanti, indietro, fermare, cancellare, perché il male alla vista gli impediva di scrivere». Furono raccolte nel 1964 (e ripubblicate nel ’71, da Gremese) in “’A Livella”, mentre, dopo la sua morte, Franca Faldini fece pubblicare “Dedicate all’ammore”(1977, Colonnese Ed., Napoli). «Non c’è nessuna discrepanza tra la mia professione che adoro e il fatto che io componga canzoni e butti giù qualche verso pieno di malinconia - aveva detto Totò -. Sono napoletano e i napoletani sono bravissimi a passare dal riso al pianto». Parole che spiegano molto bene il valore che attribuiva loro.

di Vincenzo Mollica

giornalista TV, ha raccolto in tre dischi (più libri), le canzoni e le poesie di Totò, corredate da disegni, vignette e caricature


1997 Toto 30 anni dopo La vita intro

1898-1967. Quasi settant'anni per raccontare la storia e la carriera del comico più famoso d'Italia. La nascita a Napoli, l'ansia e il desiderio di veder riconosciute pubblicamente le origini nobili, le donne, la figlia, la famiglia. Il varietà, la scoperta del cinema, la radio, la TV. Ecco chi era Antonio De Curtis in arte Totò.

1997 Toto 30 anni dopo logoIL NOBILE E LA NUBILE

15 febbraio 1898: Antonio Clemente nasce al rione Sanità da Anna Clemente. nubile, e - secondo la leggenda da Totò stesso alimentata - Giuseppe De Curtis, figlio dello spiantatissimo marchese De Curtis, che si era sempre opposto al matrimonio tra il nobile figliolo e la bella popolana.

IL NASO

Esuberante, Totò cresce nei vicoli di Napoli, che preferisce di gran lunga alla scuola. Finite le elementari, viene mandato in collegio ma non arriva neppure alla licenza ginnasiale. E qui che un insegnante, boxando scherzosamente con lui, gli rompe setto nasale, deviandoglielo.

APPRENDISTATO

Si mette a fare vari lavoretti e si avvicina al teatro, anche se come semplice spettatore. Lo affascinano e colpiscono alcuni personaggi comici, che imita benissimo. E nel 1913/14 debutta in uno dei tanti teatrini napoletani con uno pseudonimo, Antonio Clerment.

SIAMO UOMINI O CAPORALI?

Scoppia la guerra, parte volontario, poi ne ha paura, finge un attacco di cuore e resta nelle retrovie. Conosce però ugualmente le durezze e le stupidità della vita di caserma. Quando finisce la guerra toma al teatro. Comincia a fare “banda” con gente come Eduardo e Peppino De Filippo, Cesare Bixio. Chi faceva prosa, chi componeva canzoni, chi si dedicava al varietà. Antonio continua su questa strada e acquista una certa notorietà.

LE NOZZE RIPARATRICI

La coincidenza vuole che il marchesino suo padre avesse iniziato una sua attività, di agente teatrale, che lo aveva reso economicamente indipendente dalla famiglia e che quindi si fosse riavvicinato ad Anna. E nel 1921, alla morte del marchese padre, si sposa con lei. Antonio diventa Antonio De Curtis (il riconoscimento vero e proprio però sarà del 1928). Una “versione romantica” che la prima moglie di Totò, Diana Rogliani, avrebbe a più riprese contestato.

A ROMA

Anna e Giuseppe si trasferiscono a Roma. E Antonio con loro. La sua vita subisce una radicale modifica. Dopo aver lavorato in vari piccoli di teatri romani, approda da Jovinelli. Ben presto diventa una stella e inizia a viaggiare per l’Italia in tournée. Gli anni della povertà sono definitivamente finiti. Il suo personaggio si è ormai consolidato: è la marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate che conserverà per tutta la vita.

SUICIDIO D'AMORE

Totò va pazzo per le donne e le donne vanno pazze per lui. Era celebre il divano che si faceva mettere in camerino, per eventuali ospiti. Poi conosce Liliana Castagnola, famosa cantante di café-chantant dal destino malinconico e tragico. Una maliarda, ma che di lui si innamora alla follia: gli propone di fare compagnia insieme e al suo rifiuto, la notte del 3 marzo 1931, si suicida. Colto da rimorsi postumi, Totò la fa seppellire nella tomba di famiglia dei De Curtis. E, qualche anno dopo, darà il nome dell’amante alla figlia.

DIANA, LA PRIMA MOGLIE

Sono passati pochi mesi dalla morte della Castagnola e a Firenze Totò conosce una sedicenne fiorentina, Diana Bandini Lucchesini Rogliani, che va a vedere un suo spettacolo, lo trova non brutto ma buffo, “assemblato” in modo inconsueto; si innamora di lui e fugge da casa per raggiungerlo. Sono felici, nel 1933 hanno una bambina, si sposano nel 1935. Ma poi scoppia la gelosia patologica dell’attore, che lo porta a chiedere l'annullamento del matrimonio in Ungheria (sarà ratificato in Italia, nel 1940). Ma malgrado ciò, la famiglia resta in qualche modo unita fino agli anni '50.

DAL VARIETA' AL CINEMA

Nella stagione 1932/33 Totò fonda una propria compagnia, sono per lui gli anni d’oro dell’avanspettacolo. La gente lo ama e lo apprezzano persino critici e intellettuali. Il cinema in piena crescita lo vuole: nel 1937 interpreta “Fermo con le mani!”, cui segue due anni dopo “Animali pazzi”. Ma questi film, stranamente, non hanno molto successo, mentre le sue riviste J non conoscono crisi. Solo nel 1947 con “I due orfanelli” Totò sfonda anche nel cinema. Inizia qui, si può dire, la seconda parte della sua vita professionale, che lo porterà a essere protagonista di quasi un centinaio di film e a trascurare definitivamente il teatro.

PRINCIPE DI BISANZIO

Totò è sempre vissuto con il complesso delle sue origini di figlio di nessuno. E con un mai esaurito desiderio di nobiltà nel sangue. Sulla sua discendenza da Giuseppe De Curtis già si è detto quanto fosse incerta, forse costruita da lui stesso a posteriori (come raccontava Diana Rogliani). Già nel lontano 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi Focas lo aveva adottato, dandogli quindi il suo nome, in cambio di un vitalizio. Alla morte di questi potrà fregiarsi dei titoli araldici tanto sospirati. Una conquista che però arriva solo dopo una battaglia giudiziaria durata parecchi anni e portata avanti con caparbia determinazione dall'attore. Dal 1945 avrà finalmente il diritto di farsi chiamare Antonio Griffo Focas Flavio Angelo, Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, Altezza Imperiale,

Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e di Duraz.

FRANCA, LA NUOVA COMPAGNA

Iniziati all’insegna del successo, dei premi (un Nastro d'Argento per “Guardie e ladri”), gli anni '50 vedono la doppia “pugnalata”, come lui la chiamava, della ex moglie Diana, che si risposa, e di Liliana che si unisce a Gianni Buffardi, figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia, un uomo che a Totò non piaceva (anche se gli darà due nipoti e diventerà suo produttore per alcuni film, Totò aveva visto giusto e il matrimonio durerà molto poco). Ma come al solito nella vita dell’attore, alla ferita segue un momento felice. Nel 1952 conosce e si innamora di Franca Faldini, ancora una volta una giovanissima (ha 21 anni). Si fidanzano ma non si sposano, saranno inseparabili.

LA CECITÀ

Totò moltiplica le attività: oltre a interpretare una media 5/6 film all'anno, e una trasmissie radiofonica, scrive esegue canzoni, 1964 è pubblicata una sua raccolta di poesie. E nel 1956 toma al teatro. Mentre è in tournée a Milano, Totò prende una brutta broncopolmonite, guarisce ma non si cura a sufficienza. Pochi mesi dopo, a Palermo, perde la vista dall’unico occhio ancora sano (all’altro molti anni prima si era distaccata la retina). Malgrado la sua situazione, Totò toma sul set. interpreta altre decine di film e riesce a ingannare mezzo mondo sulla sua cecità.

ADDIO TOTÒ

E il 1967, Totò ha ormai interpretato decine e decine di film apprezzatissimi dal pubblico e snobbati dalla critica, ma anche alcuni capolavori: “I soliti ignoti”, “La mandragola”, “Uccellacci e uccellini” (per cui ha ricevuto un “Nastro d'Argento”, un riconoscimento speciale della giuria al Festival di Cannes, il "Globo d’Oro” della critica straniera in Italia), i corti “La Terra vista dalla Luna” e “Che cosa sono le nuvole?”. Anche la Tv gli dedica un programma, “Tutto Totò”, nel quale vengono riproposti i più celebri tra i suoi sketch teatrali. Patroni Griffi lo vorrebbe in teatro, come protagonista di “Napoli notte e giorno" di Viviani. Sta recitando in “Padre di famiglia” di Nanni Loy, quando il 15 aprile, dopo una serie di crisi cardiache. muore. Sui giornali, insieme al cordoglio di amici e colleghi anche l’annuncio della massoneria, per il “Fratello Antonio De Curtis”. Ora riposa nella cappella di famiglia, a Napoli

Biografia di Adriana Marmiroli


1997 Toto 30 anni dopo Charlot dei poveri intro

Totó non meritava di essere recensito dai "Vice" critici cinematografici e definito perfino un "mimo che parla troppo". Poi negli anni Sessanta gli interventi lucidi e appassionati di Goffredo Fofi restituirono a Totó quello che era di Totó: la vera maschera italiana.

Quando esordisce al cinema, nel 1937, la critica mette immediatamente le mani avanti: regia e sceneggiatura diluite, un’accozzaglia di sketch slegati, «un sistema di riproduzione meccanica che tarpa le smaglianti ali dell’improvvisatore» (Dino Falconi, “Il Popolo d’Italia”), Totò (già divo del teatro di varietà), «spigliato», «pieno di buona volontà» (Fabrizio Sarazani, “Il Giornale d’Italia”). Il film, il primo, è “Fermo con le mani!” di Gero Zambuto, cui seguono, nel 1939, ’40 e ’41, “Animali pazzi” di Carlo Ludovico Bragaglia e scritto da Achille Campanile, “San Giovanni decollato” di Amleto Palermi, dalla commedia di Nino Martoglio, “L’allegro fantasma”, ancora 1997 Toto 30 anni dopo logodi Palermi e sceneggiato da Bragaglia. In pratica, mentre Totò colpisce la fantasia del gruppo di intellettuali, umoristi dell’assurdo dell’immediato anteguerra, che si mettono a scrivere per lui (Campanile, ma anche Zavattini), i critici mostrano molte cautele.

C’è chi lo definisce «Charlot per i poveri» (Gino Visentini, “Cinema”); chi lo mette sullo stesso piano dell’insopportabile Macario (Osvaldo Scaccia, ”Film’’); Vice in “Il Tevere” lo trova «limitatissimo nelle sue trovate ed espressioni» e non regge un’ora e mezza di Totò. Fortunatamente, c’è anche chi, invece, chiede più libertà per Totò, perché la sua carica visiva e la sua lingua immaginosa possano espandersi al di là dei vincoli (spesso mediocri) di una sceneggiatura. Ma Totò toma al teatro e non si riavvicina al cinema fino al dopoguerra. La rivista, la risposta del pubblico, l'infinita possibilità di reiterazione e improvvisazione sono la sua linfa inesauribile. E proprio in questi anni, trova la più grande delle sue partner, Anna Magnani, terragna e popolaresca, che àncora la sua comicità paradossale alla cronaca e alla storia, e con la quale replicherà stracci e malinconie sullo schermo, in “Risate di gioia” di Monicelli (grande il duetto d'avanspettacolo “Geppina Geppi”). Ma il pubblico popolare riempie i cinema, e nel 1947 al cinema ritorna Totò, con un regista mediocre e prolificissimo, Mario Mattoli, che rispetto ad altri ha l’intuizione di mettersi al servizio di Totò, cucendo copioni dalle maglie molto larghe e concedendogli libertà d’improvvisazione anche davanti alla macchina da presa. Un film dopo l’altro, 91 tra il 1947 e il 1967, una media impressionante, dove Totò sta anche a risollevare le sorti di un mondo televisivo e piccolo-borghese che non lo riguarda, affiancato a Mike Bongiomo, Rita Pavone, Johnny Dorelli, Celentano.

La critica resta distante o tuttalpiù interlocutoria. Il cinema popolare, non solo comico, procede in questi anni in un mondo a parte rispetto alla critica, un mondo di incassi, di lacrime e risate, contro un mondo preso dalla battaglia delle idee e dalla poetica del realismo. In effetti, molti dei film con Totò sono tirati via, spunti affrettati per una parodia, canovacci per sketch successivi, riscoperti solo vent’anni dopo, con la consapevolezza della presa istintiva e immediata che dovevano avere sul pubblico (davvero popolare t davvero di massa) dell'epoca. Eppure, sono proprio questi film che concedono a Totò l’espressione delle sue magnifiche doti di mimica e di comprensione, comprensione della fame, dell’insofferenza, dell'enorme capacità di sberleffo e fantasia della gente. Sono questi che diventano i film “di’ Totò, anche se l’attore non ha mai flirtato con la regia o la sceneggiatura. E Totò non meritava di essere recensito, come tanto spesso è successo, soprattutto dai Vice, di essere definito «un mimo che parla troppo» (Mario Gromo, “La Nuova Stampa’’), o la sua comicità «un misto di lazzi piacevoli e di piccole volgarità gastro-sessuali» (Ennio Flaiano, “Il Mondo”). Tornava grande, per tutti, quando era “nobilitato” da un testo o da un regista importante, Rossellini, De Sica, Monicelli, soprattutto Pasolini (il solo per il quale Totò abbia veramente recitato un personaggio, probabilmente grazie a una sintonia curiosa tra l’intellettuale pieno di dubbi e la sua “coscienza” popolare, racchiusa nella maschera tragicomica dell'attore). Poi, con la metà degli anni '60 e, soprattutto, con gli interventi appassionati e lucidi di Goffredo Fofi, a Totò viene finalmente dato quel che è di Totò: unico nel nostro cinema, la maschera delle radici italiane, irripetibile, perché poi l’Italia è cambiata.

Critica di Emanuela Martini


1997 Toto 30 anni dopo L uomo e la maschera

Curiosità pubbliche e private di Totò. Dal dispiacere di non lavorare più con registi famosi, alla censura politica. Dalle triple esequie, al faticoso esercizio per ottenere quel volto asimmetrico.

1997 Toto 30 anni dopo Stefano Della Casa

ORFANELLI MATURI.Nel 1947 Totò è all’apice della sua fama teatrale, mentre al cinema le cose non vanno altrettanto bene. Mario Mattoli, che conosce bene Totò perché in passato faceva l’organizzatore teatrale, decide di girare un feuilleton, “Il fiacre n. 13”, con tanto di neonati rapiti, carrozze, cavalli e ambientazione nella Parigi ottocentesca. Il film, diviso in due parti, è presto finito ma costumi e scenografie sono ancora là. E allora Mattoli decide di girare la parodia del film appena finito, chiama Totò e Carlo Campanini e li immagina maturi orfanelli sullo sfondo della Parigi 1865, anch'essi perseguitati da avidi parenti e coinvolti loro malgrado in ogni sorta di avventure, compreso l’incontro con l’abate Faria e una guerra in cui Totò imita nientemeno che Napoleone. “I due orfanelli” sarà un grande successo, il primo per Totò; "Il fiacre n. 13”, oggi, è dimenticato.

LE IMITAZIONI. Totò era l’unico a poter lavorare con sceneggiature di poche pagine, che spesso ripetevano: «A questo punto Totò fa alcune gag». Era l’unico che, a partire dal proprio nome, poteva attirare pubblico (e quindi soldi) anche su film fatti in fretta e furia. Come diceva Lucio Fulci, che con Totò ha lavorato tantissimo: «I film di Totò erano un vero riposo perché Totò risolveva il sessanta per cento dei problemi da solo». E questo avveniva anche quando Totò non c’era, ma era solo evocato. In “Bellezze in bicicletta”, uno dei più grandi successi del 1951, dove si immaginano Silvana Pampanini e Delia Scala girare l’Italia per unirsi alla sua compagnia, Totò non appare mai, ma in compenso va in scena un suo imitatore, Dino Valdi, che ancora oggi presta la voce e il volto in teatro e in televisione quando si evoca il principe De Curtis.

L'INTERNAZIONALE O IL PIAVE? Quando i problemi erano però di natura politica, anche Totò non riesce a superarli. Prendiamo “Totò e Carolina”, girato da Monicelli nel 1953 e uscito solo due anni dopo perché bloccato dalla censura. Il motivo? Monicelli - che non a caso aveva come aiuto un nome che si farà strada nel cinema impegnato, Gillo Pontecorvo - dovette rimaneggiare la storia (un poliziotto che adotta una ragazza incinta abbandonata da tutti): e così vediamo alcuni lavoratori in sciopero andarsene a un corteo non cantando l’Internazionale come previsto, ma il più innocuo “Di qua di là dal Piave”, mentre un vecchio anarchico vede modificato il suo “Abbasso i padroni!” nel più universale “Viva l’amore!” e la battuta triste di Totò «Il suicidio è un lusso, i poveri non hanno neanche la possibilità di uccidersi» scompare dalla colonna sonora. Totò aveva simpatie monarchiche ma ebbe un violento litigio con l’onorevole Michelini del MSI quando a Roma si girava "Arrangiatevi!” di Bolognini: il set era una casa di tolleranza appena chiusa dalla legge Merlin e riaperta per l’occasione, l’onorevole tuonava contro lo scandalo di girare un film in quell’ambiente immorale.

IN CERCA DI UN COPIONE. Col passare degli anni Totò pativa per essere stato messo da parte dai registi più bravi. Anche Monicelli, dopo aver diretto alcuni dei suoi film più belli - “Guardie e ladri”,"Totò cerca casa” -, si disinteressava di lui. Così, quando il regista toscano lo volle per la splendida caratterizzazione di “I soliti ignoti” e per il duetto con Anna Magnani in “Risate di gioia”, Totò gli fece notare il lungo e colpevole silenzio. Quando Monicelli imbarazzato tentò di scusarsi lui sbottò: «Beh, andiamo, tu almeno un copione me lo hai sempre scritto». Alludeva ai tanti che si facevano pagare anche le battute che lui inventava sul set.

1997 Toto 30 anni dopo Giancarlo Governi

UNA MASCHERA DI CARNE. Tutti hanno in mente la maschera di Totò, però pochi sanno che Totò, in un certo senso, se la fece da solo, modificando quella che gli aveva dato madre natura. La forma del naso gli fu modificata da un pugno ricevuto a scuola, mentre la deviazione della mascella la ottenne con estenuanti esercizi davanti allo specchio per rendere mobile e disarticolata la mascella, come il resto del corpo. Il risultato fu una particolare forma asimmetrica: il naso e il mento tendenti a destra, gli occhi allineati su due assi diverse e pronti ad agire indipendentemente, la bocca costretta a seguire l’andamento del mento: parte bassa sulla sinistra, si impenna al centro e sulla destra disegna una punta parabolica.

TRE FUNERALI. Totò fu speciale in tutto, anche nella morte. Non ebbe, infatti, come tutti i comuni mortali, un solo funerale, bensì... tre. Il primo glielo fecero a Roma, dove abitava da tanti anni e morì. Il secondo a Napoli, la città in cui era nato, alla chiesa del Carmine, davanti a centinaia di migliaia di suoi concittadini. Il terzo a Napoli ancora, ma questa volta nel Rione Sanità, alcune settimane dopo e a bara vuota. Perché così volle il capo guappo del rione Sanità, dove Totò nato, per riparare un torto. Si può dire che da questo funerale tris sia nato il revival di Totò che in questi trenta anni, lo ha portato ad essere considerato, a ragione, il più importante uomo di spettacolo che abbia avuto l’Italia in questo secolo.

SUPERPRINCIPE. Quando nacque fu iscritto all’anagrafe come Antonio Clemente, con il cognome della mamma. Quando morì, nell’Elenco storico della nobiltà italiana, risultava iscritto come: «Focas Flavio Angelo, Ducas Comneno de Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio Giuseppe di Luigi Napoli, Principe Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, Nobile Altezza Reale...». Alla faccia del bicarbonato di sodio, avrebbe detto l’immortale Principe. Ma come fu possibile una simile trasformazione, da figlio di padre ignoto ad erede al trono di Bisanzio? Resta tutto sommato un mistero nella biografia di Totò e dobbiamo accontentarci della spiegazione ufficiale che l’interessato consolidò nel tempo.

Le cose erano andate così: Anna Clemente, di famiglia povera, s’innamora del marchesino Giuseppe de Curtis, spiantatissimo rampollo di un'antica casata decaduta. Dopo qualche amoreggiamento di nascosto fra i due avviene «’o fatto». Anna rimane incinta mentre il marchesino, terrorizzato dalla proibizione del genitore, non si assunse l'onere della paternità. Così Anna aiutata dalla mamma e dai fratelli tira su il piccolo Totò come può, sognando per lui un avvenire come ufficiale di marina.

Soltanto all’età di 30 anni Totò, già affermatissimo attore, quando aveva già avuto tutto dalla vita - fama, denaro e donne - ebbe la gioia di essere riconosciuto da suo padre. Totò finalmente lascia il cognome della mamma e diventa il marchese Antonio de Curtis. Ma non è contento. Per rafforzare il suo già altisonante cognome si mette alla caccia di anziani nobili senza prole da cui farsi adottare


1997 Toto 30 anni dopo Tuttototo

Grande attore e grande fenomeno commerciale. I suoi film (97 accertati) protagonisti nelle videoteche ma anche nelle edicole; le sue canzoni, ora disponibili anche in Cd; i libri a lui dedicati, di taglio sia biografico che critico.


1997 Toto 30 anni dopo La cultura cambia idea

Totò: sull'altare o nella polvere? Parlano esponenti più e meno giovani del panorama artistico e letterario italiano. C'è chi lo ritiene un campione inimitabile, il frutto di un'alchimia irripetibile, una pietra miliare, ma anche... l'oggetto di un culto esagerato.

Quando si fa «zapping» tra un canale e l'altro la parola d’ordine è “cerchiamo Totò». Lo dice Niccolò Ammaniti, il capofila di quei giovani cannibali che a colpi di splatter e pulp hanno messo a ferro e fuoco il mondo delle belle lettere italiane. «Mi sto creando una discreta videoteca su Totò - afferma lo scrittore - ma sono sempre felice, quando becco un suo film in televisione, magari di notte. E una delle poche cose piacevoli rimaste sul piccolo schermo. Di lui mi piace la mimica esasperata, la capacità di giocare con il senso delle parole, un po’ come quando sei sotto l’effetto di una canna...». La comicità bizzarra, macchiettistica di Totò è per Ammaniti una tonalità familiare, «qualcosa che ritrovo in compagnia dei miei amici, un gioco, un modo di intendere la vita in modo surreale, con il suo sottofondo di comicità. Guai a parlargli di eredi di Totò: «Eredi non ce ne sono e non possono esserci. Perché Totò è come Maradona, un campione. Uno che funziona sempre e che fa ridere di più e meglio degli altri».

Emilio Tadini, ritiene che l’arte di Antonio de Curtis rappresenti il prodotto di un’alchimia irripetibile, che sia «il succo distillato di generazioni di comici napoletani, macchiettisti, attori del varietà e dell’avanspettacolo». Pura essenza di comicità, quella che lo scrittore-pittore milanese definisce una categoria straordinaria. Perché il comico non esalta, non loda, ma evidenzia i limiti, i difetti. E quell’occhio sul nulla che ci consente di continuare a guardare, una specie di sublime, se sublime è la capacità di fissare qualcosa che ci soverchia senza arretrare». Sublimi non appaiono, però, a Tadini, tutti i film di Totò e anzi, «più passano gli anni, e più si accentua il dislivello tra le straordinarie gag del comico partenopeo e la banale struttura narrativa di quelle pellicole... Il Totò prima maniera, meccanico, surreale, quasi una marionetta, i cui movimenti assomigliano un po’ a quelli dei ballerini rap, è quello che mi piace meno. Preferisco le interpretazioni successive, in cui la psicologia dei personaggi appare più approfondita».

La grottesca comicità di Totò Vincenzo Cerami l’ha respirata da vicino, sui set di “Ucellacci e Uccellini”, “La Terra vista dalla Luna’’ e "Che cosa sono le Nuvole”. «Ero l'aiuto di Pasolini che adorava Totò. Dovevo stare nella roulotte con lui e leggergli i copioni, perché Totò non ci vedeva quasi più. Mentre lo truccavano io leggevo le sue battute che lui ripeteva ogni volta in modo leggermente diverso. Sul piano personale non mi ispirava grande simpatia. Si faceva chiamare “Principe” e sembrava venire da un altro mondo, una figura del passato... Ma a incantarmi era la sua intensa sensibilità artistica». Che Totò sia stato a lungo relegato negli indefiniti territori della “bassa cultura”, non sorprende Cerami: «Ovunque e soprattutto in Italia, la comicità non è considerata una vera forma artistica. Un film comico raramente riceve premi. Se poi uno va a vedere quali sono le più belle pellicole di tutti i tempi, allora scopre che 5 o 6 sono comiche, Billy Wilder, Charlie Chaplin, Buster Keaton... Il comico è l’arte per eccellenza, un gioco sul nulla». Cerami non ritiene tuttavia che Totò abbia eredi diretti: «I grandissimi sono unici e irripetibili, ma, in un certo senso Totò deve qualcosa a Petrolini, come Benigni a Totò e quindi anche a Petrolini... Esistono tra i maggiori comici, nessi misteriosi, un linguaggio in comune».

Più misurato il giudizio su Totò della napoletana Carmen Covito: «Ho visto tanti suoi film, anche perché negli ultimi tempi è diventata una specie di moda e sembra che non se ne possa più fare a meno... Lo considero grande soprattutto nella sua arte di giocare con gli stereotipi linguistici, svelandone l’assurdità. Ma mi piace molto meno la comicità grezza, la “guitteria" di certe sue interpretazioni e mi sembra francamente un po' esagerato il culto che gli viene tributato». Che Totò raggiunga un pubblico vasto e trasversale è per la Covito indubbio: «Sì, piace ai giovani e agli anziani, ma per motivi diversi. Mio padre, da napoletano, ama Totò perché lo considera parte di una comune tradizione e si diverte molto. Ma è una visione ingenua di quella comicità. Invece un giovane magari resta influenzato da una valutazione critica, per cui essendo un cult, sta male far finta di non divertirsi...». Partire dal successo di Totò, per fare brillanti digressioni sull’essenza e il segreto della comicità è per l’ironica autrice, impossibile: «Non ci sono regole, e anche passando in rassegna tutti i meccanismi comici, l’inversione dei termini, una certa crudeltà, non si va lontano. Esiste comunque una differenza tra una comicità di situazioni, becera, e quella più sofisticata basata sul gioco linguistico. In entrambi i casi conta la perfezione della costruzione»

"A prescindere" di Gabriella Facondo

1997 Toto 30 anni dopo Nicolo Amaniti 1997 Toto 30 anni dopo Emilio Tadini 1997 Toto 30 anni dopo Carmen Covito 1997 Toto 30 anni dopo Vincenzo Cerami

1997 Toto 30 anni dopo Toto battuto a Sanremo

La sua delusione quando, al festival con "Con te", una canzone dedicata alla fidanzata, non vinse. Lo racconta il giornalista che raccolse le ultime interviste.

Totò l’ho visto, per la prima volta intendo fisicamente, perché da ragazzo non perdevo mai uno dei suoi film, il 3 marzo 1949 al Teatro Nuovo di Milano in occasione della prima dell’attesissimo spettacolo di Michele Galdieri, prodotto dal mago della rivista Remigio Paone e intitolato “Bada che ti mangio!”. Ero lì perché, con molti amici studenti, per poter andare a teatro, c’eravamo fatti “scritturare” dal Lametta, uno dei più potenti capo-claque dell’epoca: se accettavi, senza alcun compenso, di andare a battere le mani a teatro, non potevi “bigiare”. Quando uno spettacolo era “suo”, dovevi presenziare a tutte le repliche. E applaudire, con le mani un po’ concave, come ci aveva insegnato lui in modo che facessero più rumore. “Bada che ti mangio!” fu il premio per la mia puntuale frequentazione agli spettacoli del Lametta. Il primo tempo andò bene, ma nel secondo l’esigentissimo pubblico milanese diede segni d’insofferenza, soprattutto quando Totò non era di scena.

1997 Toto 30 anni dopo logoAlla fine della prima il Lametta ci intimò: da domani sera datevi da fare. Eseguimmo l’ordine, ma intanto lo spettacolo, sforbiciato in una notte, acquistò subito un altro ritmo e il nostro lavoro divenne più facile. Fu un successone, e per me una grande gioia. Soprattutto quando, in occasione dell’ultima replica, Totò ci ricevette nel suo camerino per ringraziarci. Fu quella l’unica volta che vidi Totò all’opera su un palcoscenico. Molti anni dopo, nel 1961, sul set del film “Totò, Peppino e... la dolce vita”, incontrai di nuovo Totò. Stavolta però dovevo intervistarlo per il mio giornale. Parlammo a lungo, lui si accorse che sulla “materia” Totò ero davvero preparato e si lasciò andare; soprattutto quando parlammo di canzoni.

All’autore di “Malafemmena” proprio non era andata giù la sua unica partecipazione al Festival di Sanremo dove aveva presentato la canzone “Con te”, parole e musica sue, che aveva dedicato alla fidanzata Franca Faldini, che sedeva accanto a lui nella platea nel Salone delle feste del Casinò. «Ero convinto di vincere il Festival - mi confessò - perché gli applausi in sala e l’interesse dei giornalisti mi avevano illuso. Mi ricordo quei giorni come un ragazzino che andava a scuola. Poi mi fregarono le mamme, le canzoni da due soldi, le barche e i baveri color zafferano...». Ridacchiava ma si capiva che, anche tanti anni dopo, gli rodeva di esser sta to battuto, come aveva argutamente sintetizzato da “Tutte le mamme”, “Canzone da due soldi”, “E la barca tornò sola” e “Aveva un bavero”. La sua delicata dichiarazione d’amore a Franca Faldini si piazzò quinta.

Altri incontri, altre interviste. L’ultima, al Teatro delle Vittorie, a Roma, dove Totò stava registrando per la Tv “Tutto Totò”, una passerella dei suoi sketch più famosi. Al Delle Vittorie Totò aveva già duettato con Mina in un memorabile momento di “Studio uno”. Trovai Totò stanco, svogliato. Aveva problemi alla vista e portava degli occhiali dalle lenti scurissime. «Nessuno mi ricorderà, chiudo la mia carriera con queste spettacolo che la riassume, ma per me è stata un fallimento!» Era uno dei primi giorni dell’aprile 1967. Il quindici di quel mese un infarto lo stroncò. Quando ripenso a quell’ultimo incontro non riesco a capire come mai Totò fosse tanto pessimista. Ormai la critica non gli era più ostile e nessuno più metteva in discussione il suo talento. Eppure quel discorso l’ho ritrovato, molto più sviluppato, nel libro di Franca Faldini “Roma-Hollywood-Roma-Totò ma non soltanto” uscito a marzo (Baldini e Castoldi).

Ricorda Franca: «Dei miei film - ripeteva Totò - ne salvo una decina: il resto è da buttare. Io sono attaccato a “Yvonne La Nuit”, “Guardie e ladri”, “Napoli Milionaria”, “L’oro di Napoli” per il ruolo da pazzariello.

E in “Totò cerca moglie” c’è uno sketch che mi è riuscito bene. Poi “Siamo uomini o caporali?” e “Totò Peppino e la... malafemmina”. E “La mandragola” e “Uccellacci e uccellini”, che ho fatto più tardi!»

Ricordi di Gigi Vesigna


1997 Toto 30 anni dopo Visto da vicino

Totò nel ricordo di attori e registi che durante la sua lunga carriera hanno lavorato con lui. Da Risi e Lattuada, che lo diressero rispettivamente in "Operazione San Gennaro" e "La mandragola", a Croccolo e Delle Piane che gli fecero da spalla in molti film.

1997 Toto 30 anni dopo Visto da vicino logo

C'è chi lo ha conosciuto, chi ha lavorato con lui o lo ha solo ammirato sul grande schermo da ragazzo. Da tutti, comunque, parole di affetto e stima, ammirazione e riverenza. Ecco cosa ci dicono giovani e meno giovani personaggi dello spettacolo su Antonio de Curtis in arte Totò.

DINO RISI «Ho avuto la fortuna di lavorare con Totò una sola volta, nel ’66, in “O-perazione San Gennaro”. Totò aveva serissimi problemi con la vista, ma davanti alle luci dei riflettori il suo istintaccio geniale riusciava a farlo essere inappuntabile (qualche problema in più ci fu in fase di doppiaggio, perché aveva difficoltà a disitinguere le immagini sullo schermo). Sapevo anche prima di lavorarci che era un grandissimo comico, lo sapevamo tutti: non è vero che non avessimo capito il suo enorme talento. Nella vita l’avevo incontrato solo una volta, a un pranzo con Franca Faldini, ma lo conoscevo benis simo come artista fin dai tempi in cui correvo a vederlo a Milano al Teatro Esperia e morivo dal ridere. Quando ho lavorato con lui era puntuale e professionale, credo che avesse vissuto sempre per il suo lavoro e che fosse destinato a morire in scena come Molière».

IAIA FORTE «Ho scoperto Totò da piccola: papà mi portava da bambina a vedere i suoi film. A Napoli è un’istituzione e il suo culto si tramanda di generazione ir generazione. Credo senza retorica che sia un genio assoluto. È stato un vero rivoluzionario: ha saputo applicare una legge che ogni artista dovrebbe adottare, e cioè quella di creare un nuovo linguaggio, autonomo e libero, rivoluzionando quelle preesistente. Ancora oggi, quando rivedo i suoi film, scatta in me quella sensazione di appagamento infantile che ti viene dalle risate libere e viscerali: risate di gioia».

CARLO DELLE PIANE «Ho recitato cor Totò in “Guardie e ladri”, “Totò e Cleopatra” e “Totò contro i 4”. E ho, per questo ricordi molto lontani: è inutile soffermarsi sulle straordinarie doti d’attore, preferisco mettere in risalto come fosse generoso e premuroso. Si informava su quello che facevo ed era affettuoso e amichevole nonostante fosse notoriamente schivo. Il suo fascino e la sua grandezza, infatti, erano nella sua strabiliante capacità di sdoppiarsi e diventare un altro quando recitava, spesso improvvisando dal nulla. Non l’hc frequentato fuori dal set, l’ho incontrato solo qualche volta uscendo con Aldo Fabrizi di cui ero amico. Era nota la sua generosità con la gente: ogni giorno, quando usciva di casa per andare sul set trovava ad aspettarlo in strada compagni di lavoro sfortunati, comparse, generici che gli chiedevano aiuto, inventando situazioni disperate, sfratti e rovine in agguato: e lui dava a tutti mance molto generose».

LUCIANO DE CRESCENZO «Tra i miei pochi rimpianti c’è quello di non aver conosciuto Totò. L’ho incontrato una sola volta, durante gli anni dell’Università, quando ottenni dei biglietti omaggio per il teatro. Alla fine dello spettacolo andai in camerino a salutarlo e lo vidi, serissimo e spiritosissimo al tempo stesso, mentre si allontanava salutato da una custode di nome Concetta col rituale: “Principe, che la Madonna vi accompagni”. Quella volta Totò si fermò e le disse: “Concè, ma secondo voi San Giuseppe non si scoccia che la Madonna mi accompagna tutte le sere?”. Mi sono consolato attraverso i racconti dei miei amici che hanno lavorato con lui. La grandezza di Totò stava nel fatto che lui andava oltre la parola, non contava quello che diceva, ma quello che trasmetteva nell’aria. Era unico e inimitabile».

CARLO CROCCOLO «Era un professionista rigoroso, con un’idea tutta sua dell’improvvisazione: e cioè non era ammissibile nulla, né un gioco, né uno scherzo, a parte quelli che aggiungeva lui nel copione. Severissimo con se stesso e con gli altri, un’ora prima di andare in scena ci faceva provare nella sua roulotte le battute che aveva riscritto per noi. Poi tutto doveva andare come stabilito. Una sola volta non fu così: in “Totò lascia o raddoppia”, se ne uscì a sorpresa con la battuta: “Questa non è una domanda pertinente, ma imper finente!” Scoppiai a ridere, e pensai che avremmo rifatto tutto. Invece il regista ci disse di continuare, andava bene. E l’unica vera improvvisazione che potete vedere in un film di Totò».

UGO GREGORETTI «Gli ho voluto bene per la simpatia, la capacità di fondere l’animo popolaresco napoletano con un contegno principesco, per la straordinaria dignità. Abbiamo fatto un episodio del film “Le belle famiglie”: era già quasi cieco; ma sul set era perfetto. Arrivava con il suo autista, sempre puntualissimo. Tranne una volta: era il giorno del funerale di Togliatti. Quando arrivò, pallido, mi prese da parte e mi disse “Ugo mio, Roma invasa dalle bandiere rosse... Dove andremo a finire?!”. Faceva tenerezza».

LELLO BERSANI «Aveva dentro l’antico “sacro fuoco” napoletano, che gli ha permesso di essere uno dei più grandi protagonisti moderni della commedia delfarte, nel teatro e poi nel cinema, con un dono innato per la comicità dei gesti, delle parole, della mimica. Era uno di quegli attori che possono fare tutto: anche commuovere. Solo il fatto di essere italiano e dialettale gli ha impedito il paragone con Chaplin all’estero. Forse è morto troppo presto...».

ALBERTO LATTUADA «La collaborazione con Totò, per “La mandragola”, è stata splendida. Lui aveva già problemi di vista, ma si imponeva di fare tutto. Era un professionista straordinario, un’adorabile creatura, ottimo ascoltatore e acuto osservatore, sempre garbato nel riferire impressioni e suggerimenti. Voleva sapere tutto, non avrebbe mai tollerato di essere colto di sorpresa da qualche ritocco nel copione. Avevamo in testa un altro film, in cui sarebbe stato una sorta di “Mattia Pascal”. Era entusiasta, ma non c’è stato tempo...».

PIERO TOSI «Un signore educato e riservatissimo, silenzioso, che come prima impressione sembrava malinconico e sempre un po’ distante. Si lasciava vestire come un manichino, docile, quasi disinteressato. Poi, al momento del ciak, si trasformava e si vedeva l’istrione che conosciamo dai film».

PAPPI CORSICATO «Ho imparato a conoscere Totò da bambino, ma da poco ho scoperto in lui qualcosa che andava oltre il puro divertimento, qualcosa che trascende il suo talento di attore e di comico geniale e riguarda la sua persona, come se avesse un’aura speciale intorno, qualcosa di non razionale e di non tangibile che mette d’accordo tutti e che in Italia non ha avuto nessun altro. Per me Totò incarna questo tipo di magia e di qualità, una combinazione speciale, un’alchimia misteriosa, qualcosa di subliminale che rappresenta la naturalezza ed il puro spirito, una leggerezza unica a cui ogni artista dovrebbe tendere nel suo lavoro».

DIEGO ABATANTUONO «La mia infanzia è stata costellata dei suoi film. Ma devo dire che ho iniziato ad apprezzarlo ancora di più man mano che crescevo e mi si affinava il senso delfumorismo. La sua grande dote è stata non solo quella di far ridere tutte le generazioni, ma anche quella di essere sempre originale»

"A prescindere" di G. Comolli e F. Corallo


1997 04 10 Corriere della Sera Liliana intro

San Totò facci la grazia. A trent'anni dalla morte (il 15 aprile del '67) il più comico dei comici, la maschera più maschera, si mette a far concorrenza a San Gennaro. La sua tomba, al Cimitero del Pianto di Napoli, è diventata meta di pellegrini, appuntamento fisso di tanta gente comune che va a trovarlo, gli porta doni, gli chiede consigli, gli consegna lettere di supplica. «Caro Totò, fa' che tra me e Alfredo vada sempre bene. Elvira», «Prega per noi, spero che godi in Paradiso con la mia diletta figlia Patrizia che tanto t'ammira. Armando». «C’è una tua poesia in cui mi ritrovo ed è "Felicità”. Spero un giorno d’incontrarla anch'io. Adele». «Caro Totò, adesso che lassù è arrivato anche Troisi, chissà che risate vi farete insieme...»

Sicuramente sì. Ovunque si trovi, Totò certo se la ride per quest'epilogo, un po' grottesco un po' surreale, che potrebbe benissimo essere scambiato per un suo film postumo. E invece è realtà. Del resto, qualcosa del genere lui se Io immaginava. Quando nel '51. sedici anni prima di morire, si fece costruire la cappella funebre, di travertino bianco con su scritto «Per il principe Antonio de Curtis Gagliardi Ducas Comneno di Bisanzio e i suoi cari», decise di far posto, oltre che per sé, per altri 46 «ospiti». Quarantasette in tutto, numero che secondo la cabala sta per «morto che parla».

E stavolta il libro dei sogni non ha mentito. A conferma che, come Totò stesso diceva nello struggente «Che cosa sono le nuvole» di Pasolini, tra morte e vita non ce differenza, tra il «fu» Totò e il resto dei «vivi» il dialogo se fatto sempre più fìtto. Bigliettini, messaggi, poesiole ma anche piccoli doni, fotografie, a testimoniare un via vai di «fedeli», tra breve registralo in un libro a cura della figlia, Liliana De Curtis (nata dal primo matrimonio con Diana Rognoni), che sarà pronto per l’anno prossimo, quando di Totò ricorrerà il centenario dalla nascita (per celebrarlo, anche un film tv in 2 puntate: ambientato alla fine dell'800 non sarà una biografia, ma racconterà la storia di un ragazzo innamorato del teatro che potrebbe avere il volto di Castellino).

Racconta la signora De Curtis «Papà era così: sapeva parlare con tutti, dare speranza e gioia a chiunque. Ed evidentemente continua a farlo, non solo a Napoli, Per lui arrivano da tutto il mondo. Pullman di giapponesi o di messicani fanno tappa alla sua cappella. Con gran lavoro di Ciro, il guardiano del cimitero».

Ma non mancano devozioni più vicine. «Da Palermo, tutti gli anni il 15 febbraio, data del suo compleanno, arriva un gruppetto di fedelissimi con un vassoio di dolci siciliani e una bottiglia di champagne per brindare con lui. Dal rione Sanità, dove l'anno prossimo nel Palazzo dello Spagnolo si aprirà un museo dedicato a Totò, vengono delle donne a pulire la cappella, a lucidare, a spolverare la testa di marmo che lo ritrae. Tante coppie appena sposate posano lì una bomboniera. Altri portano una sigaretta, un cioccolatino...».

Ma oltre a lui. chi è sepolto lì dentro? «Il nonno, il piccolo Massenzio, nato dal suo secondo matrimonio con Franca Faldini e Liliana Castagnola, la bellissima soubrette che per lui si uccise nel '30. Papà, che pur l'amava ma, tradizionalista com'era, non avrebbe mai pensalo a una cosa "seria’" con una donna molto "vissuta" come lei, non si dette pace. Io mi chiamo Liliana per onorarne la memoria. E lei riposa nella cappella».

Come mai Totò decise con tanto anticipo di farsi costruire la tomba? «Forse per esorcismo, forse per abituarsi all'idea... Lui ci scherzava su: è l'unica spesa che mi servirà per sempre, diceva. Ne era orgoglioso, andava ad ammirarsela. Magari facendo, da buon napoletano, gli scongiuri dietro la schiena».

Giuseppina Manin

1997 04 10 Corriere della Sera Liliana intro1

NAPOLI

Sono cinquant'anni che lavora al cimitero, e da trenta è il guardiano della cappella dove è sepolto il principe imperiale di Bisanzio, in arte Totò. E tutti i giorni, che splenda il sole o piova a dirotto, Ciro Cuccurollo lo trovi li, dalle 8 alle 13, a prendersi cura della tomba. Ma anche a regolare il flusso dei tanti visitatori e stare attento che nessuno manchi di rispetto alla memoria di Antonio De Curtis. Potrebbe anche non occuparsi più di fiori e candele votive, Ciro Cuccurullo, visto che da vent'anni è andato in pensione per colpa di una brutta operazione alle corde vocali. Ma lui si sente qualcosa di più di un semplice guardiano, e ogni mattina si presenta al cimitero degli uomini illustri e si avvia verso la cappella di Totò. «Tranne qualche volta, che mi sostituisce mia moglie», spiega con difficoltà il signor Cuccurullo, 6S anni, padre di quattro figli.

«La domenica mi riposo — continua — e ad aprire la cappella ci pensano Antonio e Antonietta. marito e moglie che vivono sui Quartieri Spagnoli». Questi ultimi e Ciro Cuccurullo sono gli unici a possedere le chiavi del piccolo monumento, che Totò fece costruire nel 1951 «per sé e per i suoi». «Nemmeno la figlia di Totò, Liliana, ha le chiavi della cappella — racconta Ciro —. Quando vuole andare a trovare il padre mi chiama da Roma e prendiamo un appuntamento davanti al cimitero. Il più delle volte è di pomeriggio, ma per la signora Liliana faccio uno strappo alla regola».

Prima di Ciro Cuccurullo cera un altro signore che si occupava della tomba di Totò: «L’incarico era stato affidalo a Raffaele ’o Russo e Portacapuana. Poi un giorno mi chiamò Mino Taranto, che dal primo momento si era assunto il compito di vigilare sulla cappella, e mi consegnò le chiavi». Nessuna investitura ufficiale, ma senza Ciro Cuccurullo si resta fuori dal cancelletto d'ottone principale. Perché alle spalle ce n'é anche un altro, nascosto da alcuni monumenti, preso di mira da grafomani innamorati di Totò. O meglio, da innamorati che chiedono ad Antonio De Curtis di vigilare sulla loro storia. Invocano Paolo e Rosa: «Totò sei grande e sarai per sempre nei nostri cuori, e fa si che il nostro amore sia eterno». Come quello dei napoletani (e non solo loro) nei confronti del Principe della risata.

Pasquale Elia


1997 04 10 Corriere della Sera Liliana intro2

Tutto Totò su Internet. Il sito curato da Domenico de Fabio è una piccola enciclopedia che racchiude la vita, le opere, gli amori del grande comico. La prima pagina esordisce con uno dei celebri «detti» del principe De Curtis: «Signori si nasce... ed io lo nacqui». Ed elenca i titoli delle successive: l'infanzia, primi successi, l’avanspettacolo, le grandi riviste, primi film, Liliana, Diana, Franca. Ma c’è anche la filmografia completa, la tv, le poesie, le canzoni, i fumetti, i «modi di dire».

Riguardo alle sue donne, si narra di Liliana Castagnola, la «chanteuse» ligure che portò la tragedia nella vita del comico; della prima moglie Diana Rognoni Serena di Santa Croce (madre di Liliana), alla quale, dopo la separazione, Totò dedicò «Malafemmena»); dell'attrice Franca Faldini, che sposò in Svizzera, segretamente perché «ho il senso del ridicolo». Una sorpresa per molti potrebbero essere le sue poesie, tra le quali una dedicata al cane «Dick»: «Crisciuto comm'a ’nu guaglione, con zucchero, biscotte e papparelle».

Infine i «modi di dire», che furono sulla bocca di tutti: da «A prescindere» a «Bazzecole, quisquilie, pinzellacchere», «Non sono mica fiaschi che si abbottonano», «Siamo uomini o caporali», «I suoi modi sono interurbani», «Io sono parte-nopeo e parte-napoletano».

«Corriere della Sera», 10 aprile 1997

010 Dov e la liberta

1997 04 10 L Unita Sette ore di guai Retrospettiva Cinema intro

ROMA

«Cosa fa grande Totò? La sua capacità di essere comico, a prescindere». Ride il quarantunenne Francesco Paolantoni citando una delle più celebri battute del principe Antonio De Curtis. Perché, forse non tutti lo sanno, ma per il popolare Robertino di Mai dire gol Totò è una sorta di «santo», nel culto del quale è cresciuto fin da bambino. E al quale ha dedicato una versione tutta sua de La livella che sta portando in giro nello spettacolo teatrale The School of the Art of De Lollis. Ed è per questo che Paolantoni stasera presenterà Sette ore di guai, il primo dei due film «introvabili» (l'altra è Fermo con le mani, il primo film di Totò) che L'Unità spedisce in edicola dopodomani in videocassetta. L'occasione? Il trentennale della scomparsa dell'attore napoletano. L'appuntamento è a Roma (ore 21.00) presso la libreria Bibli di via dei Fienaroli, dove a presentare il film di Vittorio Metz e Marcello Marchesi (pellicola praticamente inedita, mai trasmessa in tv e della quale è andato distrutto il negativo) saranno la figlia di Totò, Liliana de Curtis, l'attrice Isa Barzizza, per lungo tempo al fianco del comico napoletano nel ruolo della «prosperosa», e Giancarlo Governi, funzionario Rai e appassionato «totologo».

«Sette ore di guai non l'ho mai visto - prosegue Paolantoni - e questa sarà davvero una bellissima occasione per scoprirlo. I film di Totò li conosco tutti a memoria, li andavo a vedere da quando ero un ragazzino. E penso che tra tutti il migliore sia Guardie e ladri: Totò affiancato da un grande come Aldo Fabrizi diventa ancora più strepitoso». La passione per Totò, Paolantoni la ricorda come una passione di famiglia. «Il suo spirito aleggiava in casa ed io sono cresciuto a pane & Totò - racconta -. Del resto a Napoli è idolatrato da tutti. Per me poi è più grande di qualunque comico, anche di Chaplin. E se ho deciso di fare questo mestiere è perché lui me lo ha fatto amare».

È proprio nella comicità di Totò che Paolantoni cerca le sue radici. «Una comicità pura - dice -che non ha bisogno di costruzioni. Gli altri si dovevano preparare le gag, le battute, lui niente: gli venivano fuori naturali, sul nulla. La sua era un'ispirazione mentale, un modo di essere, una maniera di giocare...». Una comicità, insomma, immortale, che riesce a vivere al di là delle mode. «La capacità dei più grandi - sottolinea l'attore napoletano - è proprio quella di far ridere restando fuori dal tempo: non amo la comicità legata alla cronaca». E la satira? «Quando è fatta bene mi piace. Penso ai Guzzanti, mentre come esempio negativo a quella del Bagaglino. La satira tra i giovani comici è parecchio gettonata, mentre pochi cercano la comicità pura, quella che piace a me. In Mai dire gol c'è, per esempio: la praticano Aldo, Giovanni e Giacomo. Ma in questa direzione va anche il lavoro di Antonio Albanese, dello stesso Corrado Guzzanti quando non fa satira, di Giobbe Covatta e di Enzo Iacchetti».

Questa comicità, però, secondo Paolantoni, «soprattutto a teatro soffre di molti pregiudizi. È considerata di serie B. Di rango inferiore, insomma. Eppure la risata è curativa, fa bene al corpo e alla mente. Lo diceva anche La gente vuole ridere, lo spettacolo di Vincenzo Salemme che ho interpretato nelle passate stagioni nei teatri italiani. Attraverso la comicità ci si rigenera. E quella che amo io è quella fine a se stessa, quella carica di tormentoni che quando la senti ripetere alla gente per strada ti fa un gran piacere. Di comicità c'è e ci sarà sempre bisogno. Anche se non tutti subito lo riconoscono. Del resto, per quanti anni fu bistrattato Totò prima di essere rivalutato dalla critica?».

Gabriella Gallozzi, «L'Unità», 10 aprile 1997


1997 04 15 Corriere della Sera Celebrazioni trentennale intro

Sul suo anniversario, lui, ci avrebbe riso sopra. Questa settimana, invece, le reti televisive si sono mobilitate in grande stile per celebrare degnamente il trentennale della scomparsa del prìncipe Antonio de Curtis, il popolare Totò, avvenuta il 15 aprile del 1967. Oggi, giorno della ricorrenza, Retequattro trasmette tre suoi film («Totò, Peppino e la dolce vita» alle 15.35, «Tototruffa '62» alle 23.30 e «Totò nella fossa dei leoni» alle 2 di notte), e a «Ci vediamo in tv...» (su Raidue alle 14) Paolo Limiti intervista Franca Faldini, ultima compagna detrattore (dal 1952 alla morte).

E giovedì su «Tv Sette», il magazine televisivo del «Corriere della Sera», Renzo Arbore ricorda il comico napoletano che sessantanni fa incominciava la sua carriera cinematografica. «Totò è ancora attuale — afferma Arbore — perché ha un umorismo eterno, che passa dalle movenze degli animali all'uso della migliore intelligenza umana, come il doppiosenso o il non senso. Non credo che abbia dato il meglio di sé nel cinema d'autore. Totò è grande per la sua maschera, calata in film semplici».

Sempre giovedì, Telemontecarlo dedicherà la puntata di «Cinema & cinema» (ore 22.50) integralmente a Totò e alle 23.20 trasmetterà «Fifa e arena». Un altro suo film venerdì su Retequattro, «Uccellacci e uccellini» di Pierpaolo Pasolini (ore 1.20), mentre martedì 22, su Raiuno, verrò trasmesso «Dov’è la libertà...?» (ore 9.35).

«Corriere della Sera», 15 aprile 1997


1997 04 15 L Unita Celebrazioni Trentennale intro2

«Il mio incontro con il cinema avvenne in un ristorante. Due signori e una signora mi guardavano ridendo da un altro tavolo...» Cosi ricorda l'inizio della sua carriera il grande artista che - dopo «Sette ore di guai» mandato in edicola la settimana scorsa - avremo modo di rivedere nel documentario «A prescindere». Il filmato, inedito, sarà allegato al primo film da lui interpretato «Fermo con le mani» (1937, bianco e nero): tutte e due saranno in vendita nei prossimi giorni per le iniziative dell'Unita (lire 15 mila lire). La storia del film - conia regia di Gero Zambuto, da un soggetto di Guglielmo Giannini e prodotto da Gustavo Lombardo - è molto semplice: Totò è un vagabondo perennemente in bolletta e affetto da una fame cronica. Pur di trovare un lavoro, si traveste da donna in un salone di bellezza e sostituisce la massaggiatrice dedicando le sue cure a una bella cliente. Ma l'Inganno dura poco: la sua vera identità viene scoperta, scoppia uno scandalo e la cliente protesta con il fidanzato perché non ha saputo proteggerla da colui che crede un maniaco. Per riconquistare il rispetto dell'amata, il fidanzato convince Totò a farsi schiaffeggiare in pubblico, ma le disavventure del vagabondo non finiranno qui...

«L'Unità», 15 aprile 1997


1997 04 15 L Unita Celebrazioni Trentennale intro3

Franca Faldini non poteva dire come Jessica Rabblt: «Sto con lui perché mi fa ridere». Il principe della risata, fuori dal palcoscenico era un tipo serio. Nel suo nuovo libro «Roma Hollywood Roma -Totò, ma non soltanto» (Baldini & Castoldi), la Faldini racconta il primo incontro con Totò: «E' difficile descrivere il mio sconcerto quando, avendo dato per scontato l'incontro con un personaggio sfrontato ed esilarante, mi trovai di fronte una persona sobria nell'eloquio, nei modi, nel vestire, che non gli somigliava neppure nei connotati fisici». Non è la prima volta che la Faldini scrive sul celebre compagno di 15 anni (con Goffredo Fofi, «Totò» e «L'avventurosa storia del cinema italiano»), e non è facile riportare alla luce aspetti inediti sul «principe». Ma dal libro emerge comunque il ritratto accattivante di un Totò «domestico», insofferente delle ipocrisie, «libero e folle quanto e più dei giovani ». E consapevole del proprio incalcolabile valore: «I produttori sanno che, rischiando poco, con me, comunque, realizzano incassi strepitosi. Caspita, la più sgangherata delle mie pellicole gli ha portato a casa cinquecento e passa milioni!».

R. Ch., «L'Unità», 15 aprile 1997


1997 04 15 L Unita Celebrazioni Trentennale intro

Nelle celebrazioni di questi giorni serpeggia un interrogativo a cui è difficile dare una risposta: perché l'immagine di Totò è così cresciuta in questi trenta anni? Qualcuno potrebbe dire (in verità, nessuno l'ha fatto) che in Italia, in mancanza di certezze sul presente, continuiamo a coltivare il passato. Ma Totò è oggetto di culto da quasi trent’anni, si può dire quasi ogni giorno, e non soltanto nelle celebrazioni legate agli anniversari. Quindi non ci troviamo di fronte a un tema di comodo, suggerito periodicamente dagli almanacchi, di quelli che fanno scattare i mass media alle scadenze. Totò infatti è da molti anni l'unico personaggio (ed anche l’unico argomento) intorno al quale registriamo una piena e totale unanimità, in un paese a cui sembra venire a noia tutto ciò che, in qualche modo, appartenga alle sue radici. Persino Garibaldi, a cui vengono rimproverati i suoi meriti (l'aver fatto l'Italia), persino Gramsci al quale la sinistra sembra rimproverare di averle condizionato la cultura e il pensiero per decenni.

Totò, oggi, a trentanni dalla morte, è più vivo di prima. Tutti lo conoscono -vecchi, adulti e bambini - e il suo nome passa al di sopra delle generazioni e del tempo. Sembra sia diventato il Nume Tutelare, il Vecchio Nonno, a cui questa Italia di oggi fa riferimento e si confida. I suoi film vengono visti e rivisti, la gente ripete le sue battute e vi trova sempre di più riscontro con la vita di tutti i giorni. La bibliografia che lo riguarda ogni anno si arricchisce di articoli, di volumi, di studi. Le facoltà universitarie tengono corsi e seminari, e molti studenti chiedono la tesi di laurea sul «Principe della risata».

Il revival di Totò cominciò, paradossalmente, il giorno della sua morte, quando il capo guappo del Rione Sanità di Napoli pretese di bissare il funerale che si era tenuto alla Chiesa del Carmine, perché si doveva mettere riparo allo sgarbo che era stato fatto al rione dove Totò era nato. Continuò negli anni successivi, quando alcuni cinema di Milano e di Roma presero a programmare i film (a Roma, il Mignon continuò a farlo per anni). Poi arrivò il libro di Goffredo Fofi che, tra l’altro, fece luce sul numero dei film interpretati da Totò, il quale alcuni anni prima di morire festeggiò il suo centesimo film. Visse ancora tre o quattro anni, ne fece ancora una decina e la conta finale si fermerà a... 97. Ci sarà la ricca e completa filmografia di Orio Cladiron, ed infine ci sarà Il pianeta Totò (e Vita di Totò, la prima biografia critica) con cui il sottoscritto ricostruì per il grande pubblico della televisione la vita e l’opera del Principe Antonio de Curtis. Dall'inizio degli anni Ottanta le tv, pubbliche e private, hanno sottoposto a sfruttamento intensivo i suoi film, che alla ventesima trasmissione, anche i più scadenti, ottengono gli stessi alti indici di ascolto. Totò unico, inimitabile e anche indistruttibile. Ma perché a lui è successo ciò che non è successo neppure a Charlie Chaplin né alla coppia Stan Laurei e Oliver Hardy e neppure ai film di Walt Disney la cui riproposta è sapientemente dosata? Tutto questo perché Totò è un grande, immenso comico? Perché è una maschera moderna e inimitabile? Non basta a spiegare il fenomeno.

In tanti anni di studio ho cercato di darmi delle risposte ma la più convincente è quella della arcaica italianità di Totò che lo connota presso le generazioni (ora cominciano ad essere maggioranza) che non lo hanno vissuto, al di là della storia e dello spazio. Tanto che questa marionetta disarticolata ma ancora di più quest’omino sbucato fuori dagli anni della ricostruzione del nostro Paese e del boom economico, è diventato agli occhi degli spettatori di oggi - che non riconoscono neppure come familiari quei luoghi, quelle città, quelle automobili, quei vestiti quegli stessi volti - un personaggio universale, metastorico e metageografico. Ma nello stesso tempo sentono che appartiene alla loro cultura, alle loro tradizioni, alla loro storia. Un personaggio che nasce dalle ceneri della marionetta protagonista delle farse più scatenate (tipo Totò Tarzan, Fifa e Arena, Totò a colori...) e che in Guardie e ladri (1951) abbandona la divisa da comico (la sciammeria, i pantaloni a zampafosso e la bombetta) per vestire i panni dei personaggi che gli vengono suggeriti dalla realtà. La svolta fu resa obbligata dall'età che avanzava e dalla semicecità che lo afflisse negli ultimi dieci anni della vita, per cui si trovò a inventare e a costruire un personaggio di grande significato: quello dell'italiano che viene da un mondo arcaico, preindustriale e preconsumistico e che deve inserirsi (e soprattutto sopravvivere) in un mondo a rapida trasformazione, che non capisce e non condivide. E lo fa usando la saggezza che gli deriva dagli avi che «hanno fatto la lotta con la vita» e che gli hanno segnato i cromosomi e, soprattutto, ritorcendo contro il potere e il suo stesso linguaggio, fatto di oscure frasi fatte, di latinorum.

Nel nostro cinema c’è un altro attore-personaggio che può essere accostato a Totò, ed è Alberto Sordi, che in un certo senso si connota come l'italiano medio che appartiene alla generazione che sta facendo il miracolo economico e che del miracolo economico vuole essere protagonista.

Totò, Invece, cerca di sottrarsi agli schemi della nuova civiltà, o, almeno a limitare i danni, passando da vittima predestinata a carnefice, da distrutto a distruttore. E il pubblico, soprattutto quello di recente acquisizione, sta dalla sua parte e ammira estasiato il suo modo di combattere, senza arrendersi mai, in una progressione di tocchi e di ritocchi, di ammesso e non concesso, di ogni limite ha una pazienza. Coloro che in qualche maniera hanno dovuto subire la rivincita di Totò cercano di limitarne il valore affermando che i suoi film migliori sono quelli che fece con Pasolini.

Ma il pubblico continua ad amare il Totò che la critica chiamava con disprezzo le totoate, perché capisce che è quello il Totò che appartiene alla loro cultura, alle loro tradizioni, alla loro storia. Sente che nel passato di questa strana Italia, così profondamente cambiata, c'è anche questo Italiano, questa Marionetta e questo Omino, tenero e cattivo, dolce e vendicativo, ignorante e saggio, vincitore e vinto.

Giancarlo Governi, «L'Unità», 15 aprile 1997


1997 04 30 La STampa Toto trentennale L

«La Stampa», 30 aprile 1997


Film TV

«Film TV», anno V, n.17, 20-26 aprile 1997

Corriere-della-Sera

 Giuseppina Manin, Pasquale Elia, «Corriere della Sera», 10 aprile 1997 - «Corriere della Sera», 15 aprile 1997


L-Unita

Gabriella Gallozzi, «L'Unità», 10 aprile 1997 - R. Ch., Giancarlo Governi, «L'Unità», 15 aprile 1997


Riferimenti e bibliografie:

  • Goffredo Fofi, Vincenzo Mollica, Adriana Marmiroli
  • Emanuela Martini, Stefano Della Casa, Giancarlo
  • Governi, Gabriella Facondo, Gigi Vesigna
  • G. Comolli, F. Corallo

Illustrazioni e grafica © «Film TV»