Aroldo Tieri: «io e Totò, legionari sulla spiaggia di Fregene»

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L'attore, 82 anni in agosto, racconta l’amicizia con il grande De Curtis, conosciuto sul set mezzo secolo fa: «Pretendeva sempre un ruolo per me»

1998 07 26 Il Messaggero Aroldo Tieri Toto f1ROMA - «Scusi, avvocato, ero distratto... Chi è questa Giulia?».

«Ma no, ho detto iniuria. E’ latino questo!» «Scusi, scusi, l’avevo preso per siciliano... Sa, vengo dalla Siberia».

Malmesso, ancora con la divisa da soldato stracciata e la faccia raggrinzita dalla fatica, Totò disperso per quindici anni in Russia, è appena tornato a casa e parla con il suo avvocato, Aroldo Tieri. Sono a casa della moglie, che si è risposata con Peppino: Totò è piombato giusto in tempo per guastare l’anniversario di matrimonio con il nuovo marito. Letto a tre piazze è uno dei dodici film che Tieri ha girato con il principe De Curtis, una commedia degli equivoci firmata da Steno, in cui il mellifluo avvocato (che si fa largo a base di illuminanti sentenze: «Non basta essere vivi, bisogna dimostrarlo») riesce a inserirsi fra i due litiganti e a conquistare la bella e procace Nadia Gray.

A 81 anni («quasi 82 anni, perché li compio ad agosto») Aroldo Tieri, grande attore del nostro teatro, ricorda con affetto quei tempi frenetici di cinema artigianale: «A volte giravo anche cinque Film al giorno. Era fantasticone inebriante. Nel 51 ne ho totalizzati tredici. Un giorno mentre ero sul set di Ok Nerone, a Cinecittà con Buazzelli, Tognazzi e Walter Chiari, mi chiamarono d’urgenza dalla Titanus. Volevano che recitassi un pezzo del Miles gloriosus in Elena, regina di Troia. Presi una macchina, feci il mio ciak e tomai a Cinecittà. Tra le comparse c'era Sofia Loren, schiava procace alla sua prima apparizione».

Erano film semplici, anzi filmetti spesso «ma erano anche una grande scuola professionale: sfido chiunque oggi a girare senza interruzione scene che durano un quarto d’ora come facevamo noi sui set con Totò e Peppino. Dei veri atti unici. Come accadeva in Letto a tre piazze. Steno piazzava la macchina e noi quattro andavamo avanti senza interruzioni».

In «47 morto che parla», nel cast c'era Silvana Pampanini: nessuna storia d'amore tra loro. E’un falso

A braccio?

«Macché! Era tutto scritto. E da grandi autori, gente come Marcello Marchesi, come Jurgens e come Metz. Non è affatto vero che si improvvisava. Tutt’al più, prima di girare, ci vedevamo nel camerino di Totò e ripassavamo le battute».

Nessuna aggiunta o correzione?

«A volte veniva in mente qualche ritocco a Totò o a Peppino. E, naturalmente, lo facevamo. Lavorare con loro è stato formidabile. Mi ha dato un senso dei tempi comici che non ho più dimenticato. Totò era fantastico e Peppino aveva dei momenti di vera genialità. Un attore irresistibile, come in quella famosa scena della lettera in Totò, Peppino e la malafemmina. Totò conduceva, ma Peppino si inseriva negli spazi con una precisione, con una mimica, uno sguardo fantastici».

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Tieri, come è finito sul set assieme a Totò?

«Merito di Carlo Ludovico Bragaglia. E’ stato lui a scoprirmi a teatro, dove io facevo compagnia sul finire degli anni Trenta con Cervi, la Morelli, Stoppa e Andreina Pagnani. Recitavo all’Eliseo I giorni felici. Ero il fidanzato geloso della Pagnani che veniva insidiata da Gino Cervi. Bragaglia venne da me e mi chiese di ripetere quel personaggio nel suo film Fuga a due voci, dove la colonna sonora era la canzone Vieni, c’è una strada nel bosco cantata da Gino Bechi. Ricordo che soffiai la parte a Maurizio Gucci (il papà del Paolo Gucci, ucciso a Milano) che faceva l’attore con lo pseudonimo D’Ancora».

In «Totò cerca moglie» fu la prima volta che lavorammo insieme, grazie a Bragaglia, che mi scoprì in teatro. Con noi c’erano Marisa Merlini e Ave Ninchi

Così, il fidanzato geloso è stato il suo ruolo più frequente al cinema.

«Si, in molti dei miei 126 film. Ma non per colpa mia. A volerlo erano i produttori a loro volta condizionati dai noleggiatori che, allora, erano i veri proprietari del cinema. Erano loro a anticipare i soldi, ottenendone in cambio l'affitto. E, siccome i miei film andavano bene, chiedevano ancora me fidanzato nevrotico e geloso».

Come in "Totò sceicco".

«Dove mi arruolo per delusione d’amore nella Legione straniera. E Totò, il mio maggiordomo, mi insegue nel deserto. Ricordo che quel deserto non era altro che la spiaggia di Fregene dove avevano piantato un paio di palme finte per dare un po’ di sapore d’oriente».

In ”47 morto che parla” si trovò sul set sia con Totò che con la Pampanini.

«Ma non ci fu nessuna storia d’amore. E’ un falso».

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Per tornare a come incontrò Totò...

«E’ stato Bragaglia a farmi lavorare con lui in Totò cerca moglie con Marisa Merlini e Ave Ninchi che faceva la zia ricca di Totò che toma dall’Australia. Era il 48, come dire, celebro proprio in questi giorni il cinquantenario di quell’incontro».

Un incontro fortunato, visto che poi avete lavorato insieme per tanti film.

«Evidentemente gli sono stato simpatico. Era lui che chiedeva di me e, se il copione era ancora da scrivere, pretendeva che ci fosse una parte per me. Credo che a lui attore venuto dall’avanspettacolo facesse piacere avere al suo fianco uno abituato a recitare Shakespeare e Molière. Come se vedesse in me un piccolo salto di qualità. Credo, comunque, di essere stato uno dei pochi ad essere invitato a casa sua, quando viveva già a viale Bruno Buozzi con Franca Faldini. Quando terminava di lavorare staccava completamente la spina e non voleva sapere più nulla di cinema e di attori. Era una persona malinconica».

E sul set come era?

«Generosissimo con tutti. Quando finiva un film chiamava il suo segretario che arrivava con un pacco di bigliettoni da mille, quei lenzuoli di una volta, e cominciava a distribuirli agli operai e ai tecnici. Non dimenticava, neppure, di fare un regalo al regista o ai colleghi, la generosità era una sorta di riscatto. Ma era molto attento a non offendere nessuno. Al ristorante Il Moro, dove andava spesso, pagava il conto e lasciava la mancia sulla sedia e non sul tavolo. Questo per non umiliare il cameriere».

Tieri, ma lei attore di teatro già di discreto successo si vergognava a fare quei film che, allora, erano considerati di serie B?

«No, affatto. Ho lavorato, non ho rubato. Ho sempre detto di aver fatto cinema per i soldi. Sono figlio di un giornalista, Vincenzo Tieri, e giornalista, ai miei tempi, era sinonimo di povertà. Il teatro mi dava soddisfazioni ma non i soldi. Così ho cominciato a fare film».

Che le hanno dato grande popolarità.

«Enorme. Assieme alla televisione dove ho fatto sceneggiati e commedie, una Canzonissima del 60 accanto a Alberto Lionello e Lauretta Masiero, e anche il presentatore di uno show, Mare con mare, una sorta di sfida fra Adriatico e Tirreno che si svolgeva sull’Andrea Doria».

Poi Totò è diventato un attore quasi di culto.

«La rivalutazione è arrivata con Pasolini e Uccellacci e uccellini. E’ normale. Se io avessi fatto un film con Fellini, la mia vita sarebbe stata diversa. Ma quelli del cinema mica venivano a teatro...».

Così ha chiuso con il cinema.

«Si, più di trent’anni fa. Eppure, ho avuto tante proposte. Chissà, forse ora ho trovato qualcosa che mi piace».

In «Letto a tre piazze», Steno piazzava la macchina da presa e noi, senza interruzione, giravamo scene lunghe un quarto d'ora: sfido chiunque a farlo adesso

Intanto, i film su Totò continuano a passare in tv con enorme successo.

«La gente mi ferma per strada tutti i giorni. Ricordo qualche tempo fa a Bologna. Era una notte nebbiosa sotto le due Torri. Mi si è avvicinato un tipo su una bicicletta arrugginita e con un cappello calato sugli occhi: "Signor Tieri lei che ha lavorato tanto con Totò, com’era?”. E lanciando la domanda si sbottono la camicia e mi mostra un enorme medaglione appeso al collo con il ritratto di Totò».


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Miracolo in TV

ROMA - E’ festival Totò sulla tv. Un’invasione, un bombardamento felice. Raiuno, approfittando della ricorrenza del centenario della nascita, ha praticamente riservato il primo pomeriggio a una retrospettiva dei film del Principe De Curtis, intitolata Totò cento e curata da un esperto come Giancarlo Governi. Un’operazione a costo zero (i film sono di proprietà dell'azienda pubblica) che ha praticamente triplicato gli ascolti della fascia, che nella stagione piena con Cara Giovanna viaggiava intorno al sette per cento di share. Un vero miracolo, visto che si tratta di film passati sul video un’infinità di volte. E se non è la Rai a puntare sul grande comico napoletano è Mediaset (ieri è andato in onda su Canale 5 I due colonnelli). Mentre Retecapri, uno dei network privati, quotidianamente propone vecchi film di Totò. Insomma come dire che Totò sul video è un ciclo continuo. E che non stanca mai.

Marco Molendini, «Il Messaggero», 26 luglio 1998


Il Messaggero
Marco Molendini, «Il Messaggero», 26 luglio 1998