Scoperta dei De Filippo

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1933 Il Dramma Eduardo De Filippo intro

Me lo aveva detto un illustre attore comico italiano: «Sentirai i De Filippo, e vedrai che artisti sono. A Napoli li adorano tutti, il popolo e i signori; e il loro teatro è sempre pieno così. Ora che finalmente si decidono a muoversi da casa loro, sari la stessa cosa dovunque andranno».

Quel giudizio così lusinghiero e ottimistico era di Armando Falconi, annunciandosi il giro della «Compagnia del teatro umoristico dei fratelli De Filippo, da Napoli a San Remo, e poi a Torino, a Genova» non so a quale altra città dell'Italia settentrionale. Per tale motivo, prendendo il mio posto al teatro del Casino di San Remo la sera della prima rappresentazione di questa Compagnia, ero animato da una dcisa volontà di divertirmi : pessima disposizione di spirito, ordinariamente, per uno spettatore smaliziato che tanto più si aspetta dal palcoscenico, tanto prima, di solito, vien colto dal disinganno.

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Rappresentavano una commedia dal titolo «Chi é cchiù felice 'e me?» di due autori sconosciuti, Bertucci e Molise; e i tre De Filippo, Edoardo, Peppino e Tina li vidi subito in scena appena si apri il velario. Edoardo era il protagonista, un tipo di piccolo borghese da paesino di campagna, un po' ottuso, gretto, egoista, l'avido, che riteneva di aver trovato la felicità in una esistenza piatta ed immobile senza scosse, senza imprevisti, senza passioni. Tina era la moglie di costui, bella donna docile e rassegnata, che intristiva con buona grazia come alle mogli oneste si conviene accanto al consorte imperturbabile. Peppino faceva la parte di una specie di contadino e al tempo stesso domestico zotico, testardo e finto tonto, che continuava a ricordare le sue disavventure coniugali, ma s’imbestialiva se gli altri gliele ricordavano.

Ora io non racconterò l'intreccio della commedia. Che la felicità del protagonista fosse destinata a naufragare di fronte al primo di quegli imprevisti che nessun poveromo potrà mai evitare, me l'aspettavo fin dalle prime battute. Ma per quanto ben prevenuto io fossi verso gli interpreti, non mi aspettavo certo di trovarmi di fronte ad attori straordinari. Dico straordinari riferendomi alla loro qualità di dialettali. La prima cosa infatti che mi venne in mente fu che avrebbero potuto recitare in tutte le lingue del mondo e sarebbero stati ammirevoli lo stesso. Perché dei dialettali essi hanno le ben note virtù della spontaneità, dell'affiatamento, della naturalezza, senza dividerne i soliti comunali difetti della faciloneria, della ricerca dell'effetto comico a ogni costo, dell'abuso di smorfie, lazzi e sgambetti, per cui a lungo andare il pubblico si tedia, e addio incassi. La loro arte mi apparve subito sobria; le loro risorse misurate, contenute dentro precisi limiti di buon gusto; le loro trovate più irresistibili ottenute coi più semplici mezzi. I due fratelli, in qualche momento, non so dir come, mi fecero tornare in mente Charlot; e la sorella, in una scena quasi completamente muta nella quale si inla per la prima volta una tentatrice calza di seta e ne è turbata e sconvolta, mi parve degna d’essere annoverata fra le più espressive attrici di tutti i tempi.

1933 Il Dramma De Filippo f1Eduardo in «Sik Sik, l'artefice magico»

In séguito mi accorsi che pure la commedia era fatta con abilità, che cerano situazioni intelligenti e non volgari, colpi di scena inaspettati e non grossolani. Allora fui curioso di sapere chi bisserò gli autori. Bertucci e Molise, che non avevo mai sentito nominare. E seppi che erano essi stessi, Edoardo e Peppino De Filippo; perché la maggior parte delle commedie che recitano se le scrivon da loro.

Da quella prima volta non mancai più a una sola recita dei De Filippo che per fortuna ogni sera cambiavano cartello. E così potei accertarmi della giustezza della mia impressione iniziale. Osservandoli come autori ed interpreti insieme, ci volle poco a capire com’è che avessi pensato a Charlot. In quasi tutte le loro invenzioni campeggia sua maestà la miseria: miseria pecunaria o fisica o spirituale, dalla quale risultano situazioni grottesche, che fanno ridere ma lasciano la bocca amara. Sono le piccole tragedie buffe dei poveretti, le sproporzioni fra gli avvenimenti e le conseguenze quando si tratta di tribolati, l'accanimento della sorte avversa che gioca coi suoi perseguitati come il gatto col topo, le derivazioni ridicole dai soliti difetti organici, sordità, miopia, balbuzie e simili.

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Nella scelta delle sciagure da cui trarre lo spunto d’una commedia, i De Filippo non guardano pericolo. Son queste certe volte cosi pietose che non si capisce come si faccia a scherzarci sopra. Ma la verità è che essi non ci scherzano punto. Essi fanno sul serio: è la vita invece, cosi come la vediamo tutti i giorni, che suol divertirsi a contornariamente, che li porta sulla scena. Mi pare che su bravissimo a fare il ragazzaccio scapestrato, l'orbo, il finto scemo. Quando e in scena assieme al fratello, allora potete immaginare e «soggetti» che inventano. Come nell’antica commedia dell'arte, è un fuoco di fila di battute, di trovate spiritose che zampillano là per là. Ma anche questo senza darlo a vedere, senza esagerare, come spesso avviene ad altri comici dialettali anche celebri, senza turbare insomma l'equilibrio della rappresentazione.

«Fu un'ora tutta gioiosa e piena e abbandonata quando al teatro Reale andai a sentir recitare la compagnia napoletana dei De Filippo. Se nella mia vita di italiano, come ho detto, ho il vizio di Napoli, nella mia vita napoletana ho il vizio della compagnia De Filippo; e mentre altrove sto anni interi senza mettere piede in un teatro, mai una volta sono rimasto anche due giorni a Napoli senza andarmi a. risentire le commedie e i comici di quella compagnia : perfezione di gusto d'arte, naturalezza e festoso abbandono, Mi domando perché i De Filippo non risalgano mai le vie d'Italia, allegri ambasciatori del più felice e benaugurante spirito di Napoli...».

1933 Il Dramma De Filippo f4Una scena di «Ditegli sempre di si», vana lusinga in due atti di M. Molise

Così scriveva Massimo Bontempelli sul «Mattino» nell'estate dell'anno scorso. E stata questa, forse, la spinta efficace che giovò a smuovere i De Filippo dal loro teatro napoletano? Può darsi. Quando si decisero, dopo qualche tempo, andarono a Roma. E fu un trionfo. Poi tornarono a Napoli. Poi presero il coraggio a due mani, c salirono, salirono fino a San Remo, dove conquistarono subito uno dei pubblici più complessi e difficili al teatro del Casino.

1933 Il Dramma De Filippo f5«Il chiavino», un atto umoristico di C. Mauro

Non so adesso dove si trovino: ma dovunque si presentino il loro successo è sicuro, perchè essi portano in giro non solamente il felice spirito del loro paese, ma pure il loro proprio spirito pensoso e sereno, malinconico e giocondo, spirito di veri artisti che amano sinceramente la loro arte.

Enrico Serretta, «Il Dramma», 1933


Il Dramma
Enrico Serretta, «Il Dramma», 1933