Tutto il cuore di Totò per vincere la battaglia dei cani senza collare

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1961 04 13 Settimana Incom intro

Il villaggio di Via Boccea rischia di essere demolito. Un concerto di festosi latrati saluta l'arrivo del principe e della principessa de Curtis - Un comitato composto dalla Magnani e da Peppino De Filippo.

Roma, aprile.

C'è una guerra in corso per possesso del villaggio dei cani senza collare, una guerra particolare, incruenta. Nella quale il rombo dei cannoni è sostituito dal tuonare degli avvocati, e gli esplosivi dalla carta bollata. Una guerra il cui esito sarà determinato dalla sentenza di un magistrato anziché dal valore e dalla forza dei contendenti. Ma è una guerra vera anche se loro, i cittadini a quattro zampe di quell'incredibile villaggio che sembra uscito dalle illustrazioni di un libro di fiabe, non possono saperlo. Il villaggio conteso sorge ai bordi della via Boccea, alla estrema periferia romana, là dove la campagna non ha ancora del tutto perduta la sua lotta per la sopravvivenza di fronte alla inesorabile avanzata del cemento. Un pezzetto di terra poco più esteso di un fazzoletto, oasi di festoso rumore nella distesa verde di silenzio. Qui vivono i cani senza collare. È difficile stabilire quanti siano in realtà perché il loro numero cresce vertiginosamente con il passare dei giorni: solo due mesi fa erano un centinaio, oggi sono più che raddoppiati. Per ognuno che se ne va verso una nuova casa e con un nuovo padrone, altri due ne arrivano, eppure ogni nuovo cittadino trova sempre una tazza di zuppa e un tetto che lo difende dalle intemperie.

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Storie patetiche

I cani del villaggio hanno tutti nomi buffi che suscitano il sorriso, e storie patetiche che stringono il cuore. Appartengono a razze diverse, e per molti sarebbe arduo risalire a quella di origine; sono piccoli e grandi, giovani e vecchi, sono nati nei salotti o nelle stalle, ma adesso sono tutti uguali dinanzi alla sorte comune dei randagi, che è una fine tristemente prematura nelle celle a gas. Invece vivranno tutti, a lungo ancora, assistiti e nutriti Come più e meglio non potrebbero desiderare. Qualunque possa essere l'esito della guerra, a chiunque dei contendenti il magistrato attribuisca il possesso del villaggio, avranno padroni affettuosi, casette cilestrine per dormire e sognare un mondo popolato da montagne d'ossi da spolpare e dal quale siano banditi per sempre i carrozzoni degli accalappiacani, vasti recinti per scorrazzare al sicuro dai pericoli della strada. Ancora qualche tempo fa molti di loro vagabondavano Invece nelle vie, pronti a fuggire ad ogni rumor di passi e sempre in caccia di un boccone. Altri, fin da allora più fortunati, vivevano in rumorosa promiscuità in giacigli improvvisati su quello stesso pezzetto di terra sul quale oggi sorge il villaggio. Li aveva una donna, una piccola donna sprovvista di beni materiali, ma ricca di un grande affetto per i diseredati a quattro zampe. Giorno per giorno, un po' raccogliendoli personalmente e un po' riscattandoli dal canile municipale, ne aveva messi insieme oltre sessanta. La signorina Elide Brigada aveva preso in affitto il terreno, lo aveva recintato alla meno peggio con travi e rete metallica, vi aveva costruito cucce provvisorie di legno e latta.

L'aiuto dei vicini

Per molti mesi aveva tirato avanti con le sue scarse risorse a prezzo di pesanti sacrifici e con l'aiuto di qualche buon vicino che un tozzo di pane e una scodella di avanzi non glieli rifiutava mai: ma le esigenze sempre crescenti dei suoi protetti l'avevano infine costretta alla resa. Per i cani senza collare si profilava nuovamente la fine cui erano appena sfuggiti, quando la sorte venne loro in aiuto indossando i panni eleganti di una giovane e bella signora e di un gentiluomo il cui sguardo buono era nascosto sotto un grosso paio di lenti affumicate. Erano Totò e Franca Faldini, il principe e la principessa de Curtis, che impietositi dalla misera storia divulgata dai giornali erano accorsi in aiuto. In pochi giorni, una grande trasformazione avvenne sul piccolo lembo di terra ai margini della via Boccea. Squadre di operai e di falegnami lo invasero: gettarono colate di cemento per eliminare la polvere e il fango, costruirono recinti per delimitare i settori e casette di legno dipinto d'azzurro e, al centro, un piccolo edificio di mattoni bianchi con una croce rossa disegnata sull'uscio per l'ambulatorio. Il villaggio era nato. Da quel momento, divisi a seconda del sesso e dell'età, gli ospiti cominciarono una nuova vita. Ebbero un custode, un giovanotto di nome Fiorenzo, che dedica loro tutta la pazienza e la comprensione che ha appreso lavorando in un circo come ammaestratore. Perfino un veterinario si mise al loro servizio: il dottor Mascia, che quotidianamente tralascia per qualche ora gli infiocchettati clienti a quattro zampe del suo elegante ambulatorio veterinario per assistere e curare i cani del villaggio. Ma la gioia maggiore dei trovatelli di via Boccea è l'affetto dei loro protettori. Quando di lontano sentono il rombare del lucente macchinone nero che hanno imparato a distinguere fra tutti, un festoso concerto di latrati si leva dal villaggio. Salutano come possono e a modo loro invocano una carezza e un bocconcino prelibato che non manca mai nella capace borsa di stoffa che Franca Faldini porta con sé durante le visite frequenti. E Totò, benché siano tanti, li conosce tutti e risponde alle loro effusioni chiamandoli per nome. Quando entra nei recinti sembra un generale che passa in parata il suo esercito: distribuisce carezze e pezzi di focaccia come decorazioni, sorrisi e affettuosi rimbrotti, esige dal guardiano una dettagliata relazione sulle condizioni di salute di ciascuno e impartisce quindi le disposizioni per la giornata. La passione con la quale Totò affronta il suo nuovo ruolo di protettore dei cani senza padrone rivela un vecchio e profondo amore per gli animali. Un lupo, di nome Dick, gli morì di acciacchi mentre lui era ricoverato in clinica per le prime manifestazioni del male agli occhi che, ancora oggi, lo costringe a ricorrere allo schermo protettivo dei grandi occhiali neri. Adesso, nel suo appartamento dei Parioli, ha il barboncino nano Peppe e il pappagallo Gennaro, un pennuto fenomeno che canta « Arrivederci Roma », rifà il verso agli urlatori e chiama i padroni per nome. Sono entrambi animali di razza pregiata che potrebbero ben figurare in ogni concorso, eppure da qualche tempo Totò li trascura un poco perché, non appena glielo consentono i suoi impegni e la sua attività artistica, scappa da casa per trascorrere qualche ora accanto ai poveri abbandonati del canile modello di via Boccea.
E sempre, al suo arrivo, è assediato da una folla di visitatori. C'è chi è mosso dal desiderio di collaborare all'iniziativa e sì offre di adottare qualcuno degli ospiti del villaggio o ne porta dei nuovi sottratti appena alla vita randagia; e c'è chi, invece, è richiamato da semplice curiosità e vuole vedere da vicino l'attore, che qui però tutti chiamano «il signor principe», e magari ascoltare dalla sua voce le storie patetiche dei cani senza collare.

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Totò si commuove

Totò le conosce tutte e quando le racconta si commuove. La sua aspirazione, adesso che l'iniziativa ha avuto successo, è quella di estenderla sempre più. Vorrebbe ingrandire il villaggio o costruirne addirittura un altro per raccogliere e salvare dalla camera a gas tutti i cani randagi di Roma. Ha costituito un comitato chiamandovi gli amici, che si sono impegnati con lui a sopportare l'onere della vita del rifugio: Gino Cervi e Anna Magnani, Peppino De Filippo e il regista Mattoli, la moglie di un alto ufficiale dei carabinieri e l'ambasciatrice di Cuba, e tanti altri ancora i cui nomi figurano in una lista che potrebbe diventare più lunga. Ma proprio questa passione e l'impegno profuso nella iniziativa sono stati le cause indirette della guerra che oggi si combatte a colpi di citazioni e di carta bollata. Perché la signorina Brigada, ritenendosi estromessa dalla vita del villaggio che, tutto sommato, lei stessa fondò, è ricorsa agli avvocati per ottenere dal magistrato il riconoscimento dei suoi diritti di unica proprietaria del canile e dei cani. Un primo tentativo del pretore di Roma per conciliare le parti non ha avuto esito positivo e la battaglia proseguirà senza esclusione di colpi. A meno che i due contendenti non trovino nel prossimo futuro quei motivi per un accordo, fino ad oggi mancati, nel pericolo che incombe sull'intero villaggio e sui suoi abitanti: la minaccia dello sfratto che la proprietaria del terreno vorrebbe intimare per destinare il suo fondo ad area fabbricabile.

Francesco D'Agostino, «La Settimana Incom Illustrata», 13 aprile 1961


Grazia
Francesco D'Agostino, «La Settimana Incom Illustrata», 13 aprile 1961