La morte di Totò: «stateve bbuone!»

Totò morte

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Significa “state bene” ed è un addio alla napoletana. Con questo saluto Totò concludeva ogni settimana la sua trasmissione radiofonica "Il vostro amico Totò", il cui ciclo avrebbe dovuto durare tre mesi.

Roma, aprile

Tra la folla che sabato mattina ha reso omaggio alla salma di Totò, a poche ore dalla morte del grande comico, c’era anche una anonima donnetta: magra, sofferente, vestita di nero, è riuscita a raggiungere la camera ardente, dove si è inginocchiata a piangere. Non era un’ammiratrice del comico, né faceva parte del mondo dello spettacolo, né era legata da vincoli di parentela alla famiglia. Era una donna qualsiasi, beneficata dal principe De Curtis: «Ho dovuto essere ricoverata in ospedale — racconta lei stessa, — Non avevamo un soldo, e mio figlio si è rivolto a Totò, che non conosceva. Il principe non ha chiesto né referenze né garanzie: ha dato a mio figlio 50 mila lire, senza pretendere niente. Stamattina ero ancora in ospedale, quando ho sentito alla radio la notizia della sua morte. Ho chiesto i miei vestiti e sono uscita. Non potevo non venire a ringraziarlo».

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Il racconto di questa anonima donna del popolo mette in luce un aspetto poco conosciuto della vita di Totò: abituato a far ridere — e il pubblico lo conosceva superficialmente proprio soltanto per questo — Totò sapeva quanto triste è la vita, quanta gente, nonostante le sue doti di comico, non potesse godere del beneficio di una risata. E per quanto gli era possibile cercava di rimediare a tutto ciò con pudore, quasi di nascosto con continui atti di beneficenza: rivoli di denaro uscivano ininterrottamente dalla casa del principe De Curtis per giungere in centinaia di famiglie dove la miseria è di casa. E accanto agli uomini, aiutava anche gli animali, i cani soprattutto: ne manteneva, ultimamente, ben 250 raccolti qua e là, sottratti alle camere a gas dei canili municipali e ai laboratori della vivisezione.

Questo era il Totò meno conosciuto. Dell’altro — quello che più di 100 film hanno fatto conoscere praticamente in tutto il mondo — il principe De Curtis parlava quasi con rammarico, come si può parlare di un fratello degenere. E soleva distinguere tra principe De Curtis e comico Totò: «C’è differenza, eccome! Totò è un villano: quando parla agita le mani, fa gestacci, strizza l’occhio. Ha notato come veste? In maniera assolutamente ridicola, devo dire: abiti troppo larghi oppure giacche strettissime, come usavano nei cafè-chantant dell’altra Napoli. Il principe De Curtis è un signore compassato, non troppo loquace, riservatissimo. Il suo sarto ha l’ordine di vestirlo di scuro disdegnando le eccentricità della moda, con un taglio classico che lo rende elegante senza essere vistoso. Totò è volgare anche nella scelta delle donne: gli piacciono formose, cariche di lustrini; va matto per le ballerine dell’avanspettacolo. Il principe De Curtis ama, invece, le creature di classe, sofisticate e un po’ evanescenti».

Il principe sopportava il comico soltanto perché era questi a fornirgli i mezzi per vivere. E per fare del bene. Lontani ormai i tempi dello esordio al caffè-concerto, quelli dell’avanspettacolo e successivamente della rivista, soltanto nel dopoguerra era stato scoperto dal cinema che aveva sfruttato sino all'inverosimile la sua straordinaria vis comica, spesso in film che si potevano vedere soltanto perché lui era corso a salvarli. Negli ultimi tempi, al cinema si era aggiunta anche la televisione: un incontro difficile, per i limiti che la TV impone a ciascun comico, ma che comunque prometteva frutti interessanti. Del resto, ima delle più applaudite trasmissioni di «Studio Uno» fu quella che lo vide «uomo» di Mina. Ed ora, proprio in queste settimane, anche la radio lo impegnava, con la rubrica «Il vostro amico Totò» messa in onda in ora di maggior ascolto (alle 13), una volta alla settimana, per un ciclo la cui durata era prevista in tre mesi.

Ma la sua passione irrinunciabile era la poesia. Napoletana ovviamente. Lui, di solito così riservato, si apriva appena poteva dire i suoi versi agli amici, in casa, o ai compagni di lavoro, in una pausa, sul set. E proprio con la poesia pare abbia voluto dare l’addio ai milioni e milioni di suoi ammiratori. Pochi giorni prima della sua morte, è uscito infatti, (edito dalla Cetra) quello che doveva essere il primo di una lunga serie di dischi. Un piccolo trentatrè giri che portava su una facciata uno dei più famosi sketches di Totò; sull’altra, la poesia «'A livella». Quasi un inno alla morte, che mette tutti sullo stesso piano: e che all’improvviso ha voluto ricordarsi anche di lui, non ancora settantenne, accomunando nella tomba il poeta e la macchietta, il principe e il comico. Ma soprattutto la brava persona, l’amico al quale abbiamo voluto un sacco di bene.


Per tutti era un amico, per tutti un maestro

Gina Lollobrigida (attrice): «Sono addolorata e sconvolta, non solo perché la morte di Totò è una grande perdita per il mondo dello spettacolo, ma perché gli volevo molto bene e lo ammiravo moltissimo».

Alberto Moravia (scrittore): «Totò era un grande comico, e la qualità della sua arte si riallacciava alla tradizione culturale del teatro napoletano».

Giorgio De Chirico (pittore): «La morte di Totò mi addolora: l’ho conosciuto personalmente e posso dire che non era solo un attore d’eccezione, ma anche un gentiluomo nel senso classico della parola».

Ugo Tognazzi (attore): «Lavorare con Totò era un'evasione gioiosa. La sua morte così improvvisa addolora e stupisce chi lo ha 'conosciuto e gli ha voluto bene».

Wanda Osiris (soubrette): «Ho provato un grandissimo dolore: il mio debutto avvenne infatti proprio accanto a Totò, in «Piccolo caffè». Fin da allora conobbi e apprezzai la sua bontà, la sua generosità e le sue alte qualità umane oltre che artistiche».

Alberto Lattuada (regista): «In tempo di scetticismo, di crudeltà, di indifferenza, Totò era il simbolo insostituibile di una partecipazione totale alla vita sotto l’aspetto più profondo di un umorismo malinconico e gonfio di affetti non corrisposti».

Renato Rascel (attore): «Rimango ammutolito: Totò, anche alla sua età, era così giovane e attivo. Perdiamo un grandissimo attore, un poeta della risata e del divertimento buono».

Walter Chiari (attore): «Non c’è aggettivo elogiativo che non si possa scomodare per Totò come artista e come uomo. Secondo me, solo i criteri commerciali del cinema italiano hanno impedito che Totò stabilisse un mito anche superiore a quello di Chaplin».

Silvana Pampanini (attrice): «Ho lavorato con Totò nei miei film, e sono fra i ricordi più belli della mia carriera. Totò era un vero amico, lavorare con lui era come trovarsi in famiglia».

Alighiero Noschese (imitatore): «La morte di Totò diventa anche la morte di una parte di me, che lo avevo imitato tante volte. Totò mi fu amico anche in situazioni difficili».

Garinei e Giovannini (autori): «La morte di Totò ci colpisce profondamente. Totò fa parte del mondo della nostra giovinezza. E’ riuscito in una cosa importante e difficile, come farci ridere, recando gioia a tutti. Non resta nessuno, in teatro, come lui. Nessuno forse avrà mai la forza che aveva lui».

Cesare Zavattini (sceneggiatore): «Totò è stato un attore straordinario, particolarmente per me, per la sua partecipazione alla vita cinematografica e per essere stato
il provocatore di tante mie iniziative».

Franca Valeri (attrice): «Totò era un sofista della comicità italiana tradizionale. Credo che sostituirlo sia impossibile».

Alberto Sordi (attore): «Totò era il massimo che un attore comico potesse rappresentare in tutta la storia del teatro e del cinema italiano. Adesso ci ha lasciati. Di Totò non ce ne saranno altri.

Mario Castellani (la sua più fedele «spalla»): «Da molti anni Totò lavorava esclusivamente per il cinema, ma il suo grande amore era rimasto il teatro; stava scrivendo una commedia, e mi aveva fatto leggere il canovaccio: con quell’opera avrebbe voluto dare il suo addio al teatro».

Nino Manfredi (attore): «Totò era un nobile personaggio, indipendentemente dal suo titolo nobiliare: il titolo più appropriato, per il grande attore scomparso, era quello di uomo».

Vittorio De Sica (regista): «Totò rappresenta molto, nella mia vita e nel mio passato. Oltre che un grande gentiluomo. Totò deve essere considerato uno dei più grandi attori comici mondiali».

Nino Taranto (attore): «Con Totò scompare una parte insostituibile del teatro italiano. Io credo, personalmente, di aver perduto un punto di riferimento, un uomo che aiutava tutti innalzare il prestigio de} nostro teatro».



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Gennaro, il mio pappagallo. M’è simpatico però so che campa più di me. E questo mi fa un sacco di rabbia.

Una delle sue ultime interviste Totò la concesse alla «Tribuna», che la pubblicò sul n. 41 dell’ottobre 1966. Da alcune sue risposte traspare il senso di angoscia che afferrava il grande comico al pensiero della morte.

D. - Di che cosa ha paura?
R. - Di tutto. Sono un salutista e ho paura delle malattie. Sto bene in salute, sono sanissimo in tutto e per tutto, ma ho paura delle malattie. E poi, dei ladri. Perché io in casa sono armato, e se viene un ladro di notte io gli sparo. Mi seccherebbe ammazzare un uomo. Ho paura degli incendi, ho paura dell'aeroplano, ho paura dei funghi, dell'ascensore, dell'automobile. Paure sane, paure coscienti.
D. - Quanti anni ha Gennaro, il suo pappagallo?
R. - Forse cento. Non lo so con precisione. So che campano fino a centocinquant’anni. Più di me. E mi fa una rabbia!


Carlo Galimberti, «Tribuna Illustrata», anno LXXVII, n.17, 23 aprile 1967


Il Piccolo
Carlo Galimberti, «Tribuna Illustrata», anno LXXVII, n.17, 23 aprile 1967