Articoli e ritagli di stampa: anni 2000

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Indice degli avvenimenti importanti dal 2000 al 2009

Maggio 2000 Vengono scoperti tre brani musicali inediti di Totò

31 dicembre 2000 La RAI trasmette lo speciale televisivo «Totò 2001», maratona televisiva di 4 ore dedicata a Totò, a cura di Marco Giusti e Roberto Torelli

Gennaio 2001 Nelle librerie esce il volume Totò si nasce (Mondadori Editore, 2001 - Pagine 280 lire 32.000 con videocassetta

27 aprile 2002 Una statua dedicata a Totò verrà collocata a Roma, in Piazza Cavour. Verrà successivamente collocata in piazza Cola di Rienzo, dove sarà inaugurata nel dicembre del 2002

Giugno 2002 Viene venduta ad un'asta, a privati, la casa di Napoli in Via Santa Maria Anteseculae, dove visse e crebbe Totò

Gennaio 2005 Viene pubblicato il libro di Alberto Anile "Totò proibito", ed. Landau

Giugno 2005 Liliana e Diana de Curtis progettano un docufilm sulla vita e l'arte di Totò.

Su iniziativa del quotidiano «Corriere della Sera», il 27 settembre 2008 esce il primo dei cinquanta DVD della collana intitolata «Il grande cinema di Totò - Collezione Oro», a cura di Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi.

8 ottobre 2000 A Cuneo la 3a Adunata dell'Associazione "Uomini di Mondo"

Settembre 2000 per motivi di ordine pubblico, non viene ripristinata la «festa del Monacone» alla Sanità, festa patronale della durata di quattro giorni con ospiti di primo piano, feste e canti. Fu invitato Totò negli anni '50, come ospite d'onore.

19 gennaio 2001 Viene annunciato il primo sito internet dedicato a Totò, a cura degli eredi de Curtis. L'indirizzo è totodoc.it. Attualmente non è online.

Luglio 2001 Viene ufficializzata la decisione del comune di Cuneo di dedicare una piazza ad Antonio de Curtis

Dicembre 2004 Viene promossa un'azione civile da parte degli eredi degli attori protagonisti del film "I soliti ignoti" per un indebito utilizzo delle immagini del film. Parte in causa la famiglia de Curtis.

A Gorizia dall'11 al 19 marzo 2005 all'interno della manifestazione: «Il racconto del film. La novellizzazione: dal catalogo al trailer», viene presentato per la prima volta il primo provino cinematografico realizzato da Totò per la Cines di Pittaluga, nel 1934

15 aprile 2007 Ricordo di Totò in occasione dei 40 anni dalla scomparsa

30 maggio 2009 lcappella nel cimitero di Santa Maria del Pianto, dove riposano le spoglie di Antonio de Curtis, è stata profanata, e dalla facciata in marmo bianco è stato portato via lo stemma nobiliare disegnato dallo stesso Totò.


Altri artisti ed altri temi


2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006 - 2007 - 2008 - 2009


Totò

Articoli di stampa, dal 2000 al 2009

14 Ven Feb

2007 - Io lo conoscevo bene...

IO LO CONOSCEVO BENE: TOTO' (2007) Speciale dedicato a Totò con interviste a Liliana De Curtis, Ninetto Davoli e Giacomo Furia. Vengono mostrati brani tratti da rari cinegiornali, interviste a Totò e…
RAI
3857
14 Ven Feb

2010 - Totò visto da STRACult

TOTO' visto da STRACult (2010) Una visione "trasversale" di un Totò quasi inedito, con immagini di repertorio dai telegiornali dell'epoca, di confessioni fatte davanti a un microfono, spesso davanti…
RAI
3729

Eugenio De Simone, l'avvocato del Principe

Eugenio De Simone, l'avvocato del Principe 0 Eugenio De Simone, l'avvocato del Principe Avvocato Eugenio De Simone ci racconta il primo approccio che ha avuto con il grande comico? Un ricordo lontano…
Alberto De Marco, «Cronache del Mezzogiorno», 10 gennaio 2000
2008

Totò e Macario, guerra per una piazza a Cuneo

Totò e Macario, guerra per una piazza a Cuneo LO SFOGO DI UN FIGLIO E LA TRADIZIONE MIILITARE «UNA SCELTA ASSURDA E PROVOCATORIA»Ecco uno stralcio della lettera Inviata a «La Stampa» da Mauro…
Pierangelo Sapegno, Piero Dadone, Osvaldo Guerrieri, «La Stampa», 27 settembre 2001 - Alberto Gedda, «L'Unità», 4 ottobre 2001
639

Totò & Peppino, italiani si nasce

Totò & Peppino, italiani si nasce I due furono paritetici, non uno spalla dell’altro, e mescolarono i rispettivi ruoli. Nei loro sketch c’è veramente tutta la storia popolare d’Italia Nella…
Nicola Fano, «L'Unità», 26 ottobre 2001
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Totò segreto

Totò segreto A quarant'anni dalla morte del più grande comico italiano del Novecento, canzoni, lettere, poesie, appunti inediti spuntano dai cassetti e dai ricordi di casa De Curtis. Totò…
Maria Pia Fusco e Paolo D'Agostini, «La Domenica di Repubblica», 1 aprile 2007
997
14 Gio Apr

Totò, Peppino e... ho detto tutto (2001)

TOTÒ, PEPPINO E... HO DETTO TUTTO (2005) Titolo originale Totò, Peppino e... (ho detto tutto) Opera composta da un video e il libro «Fratelli d'Italia» edito da Einaudi.Paese di produzione…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
6889

I teatranti e la superstizione

I teatranti e la superstizione I teatranti e la superstizione La gente di teatro ha parecchie bestie nere. In testa a tutte c’è il viola, verso cui nutre un’intolleranza feroce e…
Valentina Pittavina, «Non principe, ma imperatore», Einaudi, 2008
1506
14 Gio Apr

Antologia di Totò (2005)

ANTOLOGIA DI TOTÒ (2005) Titolo originale Antologia di Totò Paese di produzione Italia - Anno 2005 - Durata 90' - B/N - Audio sonoro - Genere Commedia, film di montaggio - Regia di Giuseppe…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
3505

Il grande cinema di Totò sul Corriere della Sera

Il grande cinema di Totò sul «Corriere della Sera» Nessun altro come il principe Antonio de Curtis ha saputo diventare la maschera di tutta l’Italia In ognuno dei suoi cento e passa film ci…
Paolo Mereghetti, Maurizio Porro, Valerio Cappelli, Michele Avitabile, «Corriere della Sera», settembre/ottobre 2008
685

2000

Cristina Taglietti, «Corriere della Sera», 28 aprile 2000


«Le canzoni di Totò: notizie, curiosità e rassegna stampa»


8 luglio 2000 - Approfondimenti in «Totò e la nobiltà: la casta è casta e va sì rispettata»


E in Italia? Il paese che ha dato più di chiunque altro al ciclismo sarà sempre costretto a vedere film altrui? Sembra incredibile, ma il nostro cinema - da sempre, storicamente refrattario allo sport - è vieppiù reticente quando entrano in ballo le due discipline nazionali, il calcio e il ciclismo. È assurdo che l'Italia non abbia saputo realizzare grandi film su Coppi, su Binda, su Bartali, su Girardengo: se simili eroi popolari fossero stati americani, li avrebbero interpretati attori come Kevin Costner, Robert De Niro, Robert Redford, Paul Newman (sono citazioni non a caso: tutti questi divi hanno recitato parte di campioni di baseball, di football o di boxe, gli sport americani per eccellenza).

L'eccezione? C'è, esiste, si chiama Totò al Giro d'Italia. Il famoso film diretto da Mario Mattoli nel 1948 vedeva sullo schermo, accanto al sommo Totò. campioni autentici come Coppi, Bartali. Magni, lo svizzero Kubler e il francese Bobet. Inoltre era un film davvero singolare: l'inizio vedeva Dante Alighieri viaggiare per l'inferno, e Satana in persona concludere un patto con Totò (che gli vendeva l'anima per vincere il Giro e Impalmare, cosi, la bella Isa Barzizza). Era un Faust comico-ciclistico, insomma, che per altro si concludeva con una famosa aria del Barbiere di Sivglla riscritta a tema sulla maglia rosa. 

Raramente, nel cinema italiano, cultura «alta» e cultura «popolare» si sono incontrate In modo cosi proficuo. Ma Totò al Giro d'Italia purtroppo non ha fatto scuola. E per rivedere Fausto Coppi sullo schermo cl siamo dovuti accontentare, anni dopo, di una miniserie tv (per altro discreto) con Sergio Castellato nel ruolo del campione e Ornella Muti in quello della «dama bianca». 

E pensare che il ciclismo, ancora più del calcio, avrebbe Epos a quintali da regalare al cinema. Senza limitarci sempre alla diatriba Coppi & Bartali. cosa c'è di più «cinematografico» della storia di Ottavio Bottecchia. personaggio mitico ma, al tempo stesso, sufficientemente lontano nel tempo da non porre nemmeno, a un eventuale interprete, insormontabili problemi di somiglianza fisica? La storia del proletario che emigra in Francia, diventa un campione, vince due Tour consecutivi negli anni Venti e poi muore misteriosamente. investito da un'auto durante un allenamento in aperta campagna (fu incidente od omicidio?) sarebbe un grande thriller sull'emigrazione italiana agli inizi del secolo. Gianni Amelio ha diretto Cosi ridevano, perché non potrebbe girare Cosi vincevano? 

La tragica parabola di Tom Simpson, l'inglese morto sul Ventoux, il primo uomo a portare la bicicletta alla camera dei Lords, sarebbe stato Invece un bellissimo film del Free Cinema: mentre una pellicola sulla vita e la morte (per suicidio) di Luis Ocana. micidiale e sfortunato rivale di Merckx nel Tour del ‘71. sarebbe una tragedia ispanica per la quale ci vorrebbe forse la penna di Garcia Lorca. 

Queste storie fanno parte della nostra memoria, e il cinema è il principale veicolo per fissare il nostro passato e non dimenticarlo. Ma quasi sempre il cinema va in Rolls Royce, predilige il lusso. E pensare che a volte un giro in bicicletta gli farebbe bene. 

AL. C., 24 luglio 2000


L'attore disse al ministro delle Finanze: «Nella vita ognuno ama essere sopravvalutato ma io lo sono soltanto dal Fisco»

«L'umiltà è una virtù stupenda» scrisse tanto tempo fu Andreotti in un suo inedito "Schema di Dottrina Civica" ma non quando si esercita nelle dichiarazione dei redditi». Anche quarant'anni orsono gli artisti di grido cercavano di non pagare le tasse: e anche allora i ministri delle Finanze si davano da fare per convincerli ad aprire i cordoni della borsa. L'unica differenza è che tutto avveniva nella massima discrezione, magari in una cabina della Wagon-lit, comunque senza feste e senza televisioni.

Uno di questi artisti renitenti era Totò. Il ministro delle Finanze era appunto Andreotti, l'anno poteva essere il 1957. Di sicuro il loro incontro avvenne in un vagone letto, d'estate sulla tratta Nizza-Roma. Quando sentì bussare Andreotti era già in cabina, in pigiama e giacca da camera. Aprì e si trovò di fronte il Principe Totò, in elegante tenuta da yacht man, accompagnato da Franca Faldinì, che volevano augurargli la buona notte.

Un po' si conoscevano. L'attore fu come al solito signorile, cortese e simpatico, ma probabilmente era mosso da una questione che andava un po' oltre la gentilezza. Disse che non avrebbe mai voluto approfittare del ministro in vacanza, o ancora di più in quella inconsueta situazione (un po' come Pavarotti con D'Alema durante la cena coreana del marzo scorso) per porre certi suoi urgenti problemi, ma che avrebbe gradito incontrarlo in ufficio per illustrarglieli. Si lasciò comunque sfuggire una battuta piuttosto eloquente; «Nella vita ognuno ama di essere sopravvalutato, ma io lo sono solo dal Fisco». Andreotti fissò un appuntamento per il lunedì seguente.

Ora, quell'incontro si tira appresso un che di leggendario e cinematografico: nel vagone letto è infatti ambientato uno doi più celebri e spassosi siparietti di Totò, che non a caso ha come spalla un politico, il quale a sua volta ha la sventura di chiamarsi Trombetta. Nel film questo onorevole Trombetta è costretto a dividere la carrozza con Totò, musicista incompreso, autonominatosi «il cigno di Caianiello». I due vengono subito a diverbio. A un certo punto Trombetta, arrogante, si rivela: «Io sono un onorevole!», grida «un o-no-ro-vo-le!». Ed è qui che Totò se lo guarda con aria scettica, aggiustandosi la bombetta che ha in testa. «Un onorevole?» chiede con una smorfia di disgustosa incredulità. «Si!» tuona quell'altro, sempre più altezzoso. «Ma mi facci il favore!» ribatte Totò con surreale potenza. Fine.

Secondo una leggenda cinematografica questa scena sarebbe una vendetta di Totò contro Andreotti, che proprio per via delle tasse gli avrebbe ispirato la figura spregevole dell'onorevole Trombetta. Ma il film è del 1952, mentre Andreotti arriva alle Finanze tre anni dopo.

Nella realtà, il lunedì seguente Totò fu ricevuto al ministero. Come Pavarotti si lamentò per l'esosità del fisco e come Pavarotti provò a chiedere sconti. Come Pavarotti, probabilmente che ha addirittura uno sorta di agenzia per le iniziative di charity il Principe de Curtis rivendicò la quantità di denaro da lui utilizzato per fare beneficienza. Come Pavarotti fece presente l'ingiustizia per un troppo lungo intervallo fra la produzione del reddito e gli accertamenti. Come Povarotti, infine, tirò in ballo altri migliori sistemi fiscali, in primis quello americano. Il ministro Andreotti che ha rivelato il tutto in Visti da vicino, seconda serie e di recente pure in un'intervista al Mattino - lo stette a sentire senza troppo contraddirlo. Ma alla fine, come a Pavarotti, consigliò una rateizzazione della somma. Che Totò scucì, sia pure lontano dai riflettori.

Filippo Ceccarelli, «La Stampa», 28 luglio 2000


Proiettato in aula lo spezzone del celebre film L'attore pedala sulla due ruote del costruttore

«Ogni limite ha una pazienza», avrebbe detto Totò. E probabilmente l'hanno pensalo anche gli eredi del famoso ciclista torinese Giacinto Benotto, fondatore di un'azienda che adesso produce un milione di biciclette all'anno. Stanchi di vedere «usurpato» il marchio Benotto da un'altra ditta, sia pure di proprietà di un lontano parente, vedova e figli hanno quindi promosso una causa civile al Tribunale di Torino per chiedere la nullità di quel marchio. E il giudice ha dato loro ragione.

«Se abbiamo vinto è anche merito di Totò scherza l'avvocato Aldo Frignani, legale della famiglia Benotto dato die fra il materiale prodotto in aula c'era pure uno spezzone del film "Totò al Giro d Italia", nel quale il grande attore inforcava una bici Benotto e indossava una maglietta con il medesimo nome». Lo stesso Giacinto appariva di sfuggita nella pellicola a fianco di colleghi ben più noti come Fausto Coppi, Gino Banali, Kubler e Louison Bobet.

La disfida del marchio è stata lanciata nel '98 dalia «Distribuidora de bicìcletas Benotto» di Città del Messico, l'azienda fondata negli anni '50 quando «Don Giacinto» decise di trasferirsi in America Centrale per ragioni familiari. Nel corso degli anni la ditta ora gestita da moglie e figli si è ingrandita sino a diventare una delle principali case produttrici di biciclette da corsa e mountainbike dell'intera America Latina, con filiali di vendita in Svizzera e Germania. Un successo imprenditoriale al quale hanno giovato le molle vittorie sportive conquistate con bici Benotto: una fra tutte il campionato del mondo del 1977, vinto da Moser a San Cristobal in Venezuela.

L'unico buco nero del piccolo impero a due mole era proprio il Paese natalo dell'imprenditore (morto nel '901, dove fino all'altro giorno non era consentito commercializzare biciclette con il marchio Benotto. Per quale motivo? «Giacinto Benotto aveva autorizzato alcuni parenti a utilizzare il suo nome come insegna per un negozio di biciclette in corso Regina Margherita, a Torino - spiega l'avvocato Frignani - poi quando è emigrato in Messico se n è dimenticato. A metà anni '70, quando l'azienda incominciava a girare piuottosto bene, Benotto ha cercalo di registrare il suo marchio anche in Italia, scoprendo che esisteva già».

L'aveva registrato la famiglia Mazzucco, quei lontani parenti ai quali «Don Giacinto» aveva concesso di usare il suo nome per fare un po' di pubblicità al negozio di bici. La bottega di corso Regina durante gli anni si era trasformata in una piccola fabbrica di biciclette da corsa, naturalmente marchiale «Benotto». La faccenda schiuse li, ma con la mone di Giacinto gli eredi sono tornai i alla carica, anche perchè in ballo ora ci sarebbe la fornitura di migliaia di mountain-bike a un'importante catena di supermercati.

Insomma, la parola è passata alle aule di Tribunale. La Benotto messicana si è affidata al professor Aldo Frignani, docente universitario e noto civilista, mentre la Benotto italiana si è rivolta all'avvocato Sergio Speranza, dello studio Grande Stevens. Una battaglia a suon di carte bollate durata oltre due anni, fino alla sentenza emessa qualche giorno fa dal giudice Silvia Vitro della prima sezione civile: il marcino «Biciclette Benotto srl» registralo a nome di Marco Mazzucco e dichiaralo nullo, quindi l'azienda torinese non può continuare ad usare tale denominazione sociale e la griffe del vecchio ciclista ritorna ai legittimi erodi «messicani». «Ride bene chi ride ultimo e io da ultimo mi voglio scompisciare», avrebbe detto Totò.

Giorgio Ballario, «La Stampa», 31 luglio 2000


Scettico un commerciante: «I poliziotti si faranno vedere per un po' poi spariranno come le altre volte»

Un primo assaggio delle «pulizie straordinarie» di Napoli annunciate dal ministro Bianco l'hanno dato domenica notte centocinquanta poliziotti. Armati non solo di mitra, ma anche di tronchesi, hanno invaso a notte fonda via Taverna del Porro, nel quartiere periferico di San Giovanni a Teduccio, per spezzare lucchetti dei cancelli montali lungo le scale ai piani alti degli edifici-bunker dove abitano i Formicola, famiglia di camorra. Non è ancora l'operazione «Golfo», ma lo scenario è identico: gli uomini in divisa che bussano allo porte dei boss, le fotoelettriche che illuminano le facciate dei fabbricati sfregiate da graffiti) minaccioso o disegni osceni, i posti di blocco nelle piazze più calde della città.

Ma i poliziotti e i parà di Enzo Bianco non controlleranno solo la periferia. Verranno anche qui, nel centro antico, fra gli antichi e cadenti palazzi del rione Sanità, scenario dell'eterna commedia napoletana che alterna miseria e nobiltà, là dove la miseria è il mattone muro finto rustico che arreda le case dei guappi del Duemila, e la nobiltà è lo splendido Palazzo dello Spagnolo, restaurato da poco per ospitare in un futuro non si sa quanto prossimo un museo intitolato al principe Antonio do Curtìs, in arto Totò, che alla Sanità c'è nato.

Ma ora prevale la miseria in questo rione che con i suoi 45 mila abitanti ha assunto le dimensioni di un grande paese. La camorra è entrata sotto la polle dello gente, al punto che nessuno si scandalizza più di tanto nell'apprendere che capiclan Giuseppe Misso e Giulio Pirozzi sono fra gli sponsor di una festa patronale dal passato glorioso, e poi ispirano una rivolta quando le luminarie vengono spente dalla polizia. E' successo giovedì scorso. La storia, così come la raccontano gli inquirenti, narra che Misso, vecchio boss tornato o casa dopo avere scontato dieci anni di carcere, aveva puntato tutto sulla festa del «Monacone», affettuoso soprannome affibbiato dai fedeli a San Vincenzo: quattro giorni di canti e balli offerti alla comunità grazie ai contributi raccolti fra i commercianti della zona avrebbero certamente restituito lustro all'immagine un po' appannata di don Giuseppe. Ma quella festa, secondo la polizia, rischiava di trasformarsi in una tragedia: voci confidenziali e qualche intercettazione ambientale hanno rivelato che i clan rivali meditavano un attentato in grande stile, un'autobomba da fare esplodere in piazza durante le celebrazioni. La rivolta per il divieto di festeggiare il Monacone è stata pilotata da giovani ritenuti amici di Misso. Sono quattro, tutti arrestati.

Gioacchino Savarese, Carmine Pannoffi, Salvatore Ferriero e Domenico Criscuolo sono accusati di danneggiamento, resistenza e lesioni. Nessuno, fra i commercianti della Sanità, ha ammesso di essere stato costretto a versare l'obolo per la festa. «Non siamo camorristi, ci facciamo i fatti nostri», sibila Franco, un salumiere che ha il negozio in vìa dei Cristallini, a due passi dal circolo ricreativo dove due anni fa, in autunno, i sicari dell'«Alleanza di Secondigliano» fecero saltare in aria un'amo imbottita di tritolo: un «regalino» a Giulio Pirozzì, amico di Misso, che scampò all'attentato, «Anche allora il rione fu invaso dai poliziotti: si fecero vedere per una ventina di giorni e poi sono spariti commenta Franco -. Ma che cos'è questa operazione «Golfo»? La solita parata?». «Non siamo camorristi», ripetono i commercianti del rione Sanità, combattuti fra la paura di violare la legge dell'omertà e il timore di essere etichettati come amici dei clan.

Amici no, ma vittime sì; di mille, piccole violenze quotidiane subite in silenzio. Le richieste continue di danaro dei tossicomani, le irritanti smargiassato dei tredicenni in motorino che studiano da boss, Francesco De Marco, da cinciue anni presidente del consiglio circoscrizionale dei quartieri Stella e San Carlo Arena, ammette che «più che la camorra fa paura la microcriminalità», se mai ha un senso distinguere fra i due fenomeni. Qui è famosa la storia dun piccolo emulo di Valentino Rossi noto nel rione per sfrecciare sul ciclomotore sui marciapiedi affollati e coprire di insulti i vigili urbani che tentano di fermarlo. Ma queste, avverte subito De Marco, «sono storie comuni a molti quartieri di Napoli».

La Sanità, aggiunge con foga, è anche altro. E spiega che grazie al piano Urban finanziato dalla Comunità Europea e in misura inferiore da Regione e Comune, sono state realizzate molte opere pubbliche, ed altre sono in cantiere. E la camorra? «Non è un problema nuovo, à un fenomeno che viene da lontano che le forze dell'ordine devono estirpare». Non con l'aiuto della gente onesta del rione? Perchè nessuno ha denunciato la presenza della camorra nell'organizzazione della festa del Monacone? «Per quel che ne so nulla ha mai fatto pensare a interferenze della malavita in quella manifestazione che fa parte della storia del quartiere. Ma se la polizia ha dei sospetti è giusto annullare la festa».

Fulvio Milone, «La Stampa», 19 settembre 2000


8 ottobre 2000: a Cuneo la 3a Adunata degli «Uomini di Mondo» e intitolazione di una via a Totò

In occasione della 3a Adunata dell'Associazione «Uomini di Mondo», Cuneo dedicherà una piazza a Totò


Quello che vedremo a Torino è il Totò meno noto del mondo. Non il Totò degli sketch, delle battute, ma il Totò privato. Il principe Antonio de Curtis che, nel salotto buono della sua casa di via Bruno Buozzi, parla del suo doppio Totò. Che parla della comicità, dei suoi esordi nella commedia dell'arte, di Napoli, del suo amore per Franca Faldini. E parla sul set dei suoi film, «I due colonnelli», «Totò sulla luna», «Il più comico spettacolo del mondo», «Dov'è la libertà», «Uccellacci e uccellini», «Che cosa sono le nuvole». Un Totò costruito con interviste rare della tv e, soprattutto, della radio. Totò che chiama il direttore della fotografia americano Karl Struss «Karl Struns...», mentre tutta la troupe ride. E i ciak meravigliosi del suo ultimo film con Pasolini, «Che cosa sono le nuvole».

Un Totò ripreso direttamente dal suo regista, che non riesce a dire la sua complessa battuta sulla polenta e sulla pentola che la contiene. Metafora di quello che siamo noi a del giudizio che di noi danno gli altri. Ma Totò si incespica, non riesce a chiudere la battuta, fa ridere tutti. Pasolini, con amore, gli sta dietro, e lui, modestamente ripete tra sé e sé la frase. Poi la recita magnificamente e la chiude con la frase che racchiude tutto il senso del film; «Noi siamo in un sogno dentro un sogno». Tutti tacciono per un attimo. Totò, che non ci vede, si domanda, come un principiante, «Come sono andato?». Tutto questo materiale, raccolto principalmente dalla radio, è qualcosa che non abbiamo mai sentito così completo malgrado i tanti omaggi, i libri e le trasmissioni che gli sono state dedicate.

Non so se possa venir fuori un ritratto diverso dal solito del principe e del suo doppio, ma certo, anche per chi è cresciuto con i suoi film, fa un certo effetto. Credo che anche per questo sia giusto raccogliere, numerare, mettere da parte anche i sospiri, anche i nastri poco udibili. Anche gli intrasmettibili.

Marco Giusti

«Totò si nasce» e «Il maresciallo Spacca» sabato 25 dalle 14,30 al Reposi 2 per «Sopralluoghi»

«La Stampa - Torino Sette», 17 novembre 2000


Realizzando il programma tv «Totò 2001», che andrà in onda su Raidue nell'ultimo pomeriggio dell’anno con una maratona dalle 13,45 alle 18, poi replicata in parte dalle 01,15 alle 3, i curatori Marco Giusti e Roberto Torelli hanno scoperto che esiste in qualche magazzino o laboratorio di stampa un film inedito dell’attore, girato per la serie tv «Tutto Totò» realizzata nel 1966 da Sandro Bolchi e Mario Lanfranchi, con la regia di Daniele D’Anza.

La serie comprendeva dieci film e il decimo, «Totò a Natale», fu considerato dalla Rai «non idoneo» per motivi mai chiariti. Il film è sparito, ma, rintracciato a Londra, il produttore Lanfranchi ricorda l’attore sul set, ormai semicieco, e poi, a causa delle condizioni di salute, doppiato da Alighiero Noschese. Sono tuttora in corso le ricerche del negativo di quel prezioso reperto, ma per il programma sono stati recuperati dieci trailer dei film dell’attore, inediti come un «Totò ye ye» su testi scritti da Lina Wertmuller e tanti altri spezzoni e materiali. A esempio, quelli dell’attore e Anna Magnani dietro il sipario di «L’Orlando curioso» su testi di Michele Galdieri, di Pier Paolo Pasolini al suo fianco sui set di «Uccellacci e uccellini» e «La terra vista dalla luna».

Gli aspetti più riservati della complessa personalità dell'uomo saranno svelati da altre riprese, come quella dell’acquisto in blocco di un canile. Totò spendeva cifre da capogiro da appassionato cinofilo per i randagi e, quando morì la benefattrice di un canile privato, andò con Franca Faldini alla periferia di Roma «in compagnia» del mitico cane lupo della polizia Dox. Fu una gran festa e il prezioso documentario la riporta nel sorriso d’affetto che illumina il viso deragliato dell’attore e fantasista, la sua allegrezza anche malinconica, sempre satirica.

Spiegano i curatori del programma: «Per la prima volta sono stati riuniti tutti i materiali di repertorio esistenti con Totò: poesie, interviste alla televisione e alla radio, cinegiornali, dietro le quinte, riprese teatrali di cineamatori come quella effettuata a Livorno, al Teatro La Gran Guardia, in cui Totò interpreta "A prescindere". «Volevamo realizzare un ritratto di Totò... visto da Totò».

Rendono omaggio all’uomo, al macchiettista e al mimo, con scenette appositamente realizzate, Salemme, Pieraccioni & Ceccherini, Iacchetti, Rosalia Porcaro «Creolina» e altri. Tutti dichiarano di amarlo, ma ancora una volta Totò, indossando l’eleganza di Antonio de Curtis, di nobile ascendenza, anche se di nascita piccolo borghese e di formazione sottoproletaria, sembra prendersi gioco di tutti bisbigliando sornione: «Io non amo Totò».

Giovanna Grassi, «Corriere della Sera», 29 dicembre 2000


«Le poesie e le canzoni erano le cose a cui mio padre teneva di più, il suo lato più intimo e malinconico» dice Liliana De Curtis, figlia del grande Totò in occasione di «Totò maschera e mito» la manifestazione che si è aperta ieri con lo spettacolo «Totò parole d'amore» interpretato da Gennaro Cannavacciuolo. In programma mostre, incontri e proiezioni: il 30 alle 19 Ennio Bispuri sarà il protagonista di una serata incentrata sulla «Vita di Totò», mentre il 6 gennaio per i bambini alle 10 prenderà il via «Totò Befana» con tre film: «I due orfanelli» di Mario Mattoli con Carlo Campanini e Isa Barzizza, «Totò le Mokò» di Carlo Ludovico Bragaglia, «Totò e Carolina» di Mario Monicelli con Anna Maria Ferrerò. Il 10 gennaio Marco Giusti presenterà: «Inediti di Totò»: spezzoni cinematografici e televisivi mai mostrati in pubblico.

Ancora per i ragazzi il 17 gennaio il seminario «Evoluzione della maschera di stoffa e di cartapesta: mito, materia, ragione» a cura di Ezio Fiammia (del quale sono esposti oli, acquarelli e sculture in stoffa ispirate al comico).

Altra serata teatrale il 20 gennaio con «Passione - Omaggio a Totò» spettacolo con Carla Galante, per la regia di Stefania Reggiani. «Pensieri, interviste, lettere, canzoni e poesie del grande artista», spiega la regista. La rassegna si chiude il 21 gennaio con «Totò arte», incontro a cura di Achille Bonito Oliva che presenterà il comico come uno degli artisti più moderni del '900.

PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI fino al 21 gennaio. Tel. 06.474.59.03

Marco Andreetti, «Corriere dell'informazione», 29 dicembre 2000


«Una scorrettezza, nessuno mi ha avvertita del programma dedicato a mio padre, Totò. So che ci saranno illustri ospiti, ma chi meglio della figlia può evocare ricordi legati al principe De Curtis?». Liliana De Curtis così a proposito della maratona «Totò 2001» onda oggi dalle 13.45 Raidue.

«La Stampa», 31 dicembre 2000


2001

«In tante famiglie c'è chi nasce gobbo, storto, io sono nato comico», dice di sé il principe Antonio de Curtis, l'indimenticabile Totò. E non è soltanto una battuta «da comico», questa, ma un’efficace sintesi del suo destino di uomo consacrato allo spettacolo. Non si girano cento film in trent'anni se non si ha una sorta di approccio mistico con il lavoro d’attore; non si riempie la scena italiana (cinema, teatro, televisione, ma anche mondo della canzone e della poesia) come lui ha fatto e continua a fare a trentatré anni dalla morte. È stata una buona idea, questa della Mondadori, di mandare nelle librerie un cofanetto contenente un volume e una videocassetta in cui il popolarissimo comico napoletano parla di sé e recita, ricostruendo (il lavoro di ricerca e cucitura è di Marco Giusti) la sua eccezionale carriera d’attore, dall’avanspettacolo al cinema, dalla televisione (i non più giovanissimi ricorderanno le sue gustose apparizioni negli spettacoli bianconero condotti da Mina).

Totò si nasce è il titolo dell’accoppiata libro-video, cui segue una delle più irresistibili battute del comico: «e io, modestamente, lo nacqui». Pescando negli archivi, è venuto fuori un repertorio «Totò» in cui riassaporare le sue gag e i suoi sketch antologizzati assieme alle sue canzoni e poesie. Nel video il contrappunto tra interviste e brani filmati mostra con chiarezza come non ci sia scarto tra la vita del principe de Curtis e la sua attività d’attore; nel libro, invece, l’antologia è strutturata per temi: Totò e il cibo, Comicità, Tristezza, Totò e la guerra, Il teatro, Totò e Peppino, Cinema, Totò e Pasolini («questo Pasolini pasolineggia un po’ troppo. Stiamo a metà del film e io non ho ancora capito che razza, che schifezza di film, stiamo facendo...»), Superstizione, Totò e la morie, I critici («E già, noi siamo il varietà. Da noi iprofessori non vengono. Non abbiamo la critica del Corriere, solo poche righe piccole piccole»). E poi quella straordinaria canzone: «Si avisse fatto a n ’ato / citello ch’e fatto a me...». Grande Totò.

ANTONIO DE CURTIS - Totò si nasce Mondadori Editore, 2001 - Pagine 280 lire 32.000 (con videocassetta)

Matteo Coltura, «Corriere della Sera», 2 gennaio 2001


«Corriere della Sera», 10 gennaio 2001


Nasce il primo sito ufficiale dedicato a Totò. L’indirizzo è: www.totodoc.it. Voluto dalla figlia Liliana de Curtis e dai nipoti Diana e Antonello, sarà attivo dal 15 febbraio, anniversario della nascita di Totò.

«Corriere della Sera», 19 gennaio 2001


Il 15 febbraio, nella ricorrenza del 103° anniversario della nascita di Totò, verrà inaugurato su Internet un sito ufficiale a lui dedicato. Si intitolerà www.totodoc.it e riunirà informazioni e immagini sulla vita privata e artistica di questo personaggio che, a 34 anni dalla scomparsa, ha conservato una grande notorietà, che adesso sta diffondendosi anche in altri Paesi. Non per niente il sito funzionerà anche in francese, spagnolo e inglese.

Sebbene Totò non si sia mai esibito negli Usa, la mostra e la retrospettiva di 15 suoi film allestite nell'ottobre scorso a New York hanno ottenuto un tale successo di pubblico che si è deciso di farle proseguire nelle altre grandi città americane. E cosdal 10 febbraio mostra e retrospettiva saranno a San Francisco e la nuova tournée si concluderà il prossimo Natale ancora a Broadway, per soddisfare le richieste dei cinefili che non avevano trovato posto lo scorso ottobre al Lincoln Center. Il successo si dice sia anche da attribuire alla sottotitolazione del film, opera di un americano residente da anni a Napoli.

Quella della famiglia De Curtis è un'iniziativa a tutela dell'immagine di Totò. «Su Internet dice la figlia Liliana ci sono già altri siti sulla vita di mio padre che rievocano episodi che non corrispondono alla realtà, coscome attraverso altri siti vengono commercializzati manifesti dei film e magliette con la sua immagine. Ma quello che ci ha spinto ad allestire questo "sito ufficiale" è soprattutto il desiderio di soddisfare la curiosità dei giovani, che dimostra come Totò per loro non è morto. Ogni giorno ci arrivano lettere di bambini che lo chiamano "nonno". Il sito "www.totodoc.it" permetterà poi ai fans di mio padre di mettersi in contatto con la nostra famiglia». Da un anno la famiglia De Curtis sta seguendo da vicino a Napoli l'allestimento del Museo Totò che sta sorgendo al Palazzo degli Spagnoli, nel quartiere Sanità. «Speriamo di aprirlo a maggio dice Antonello de Curtis, il nipote e non sarà soltanto un museo di cimeli. Si tratterà di un "museo attivo", con un teatrino, ima sala cinematografica e un'officina per consentire ai professionisti dello spettacolo di fare anche esperienze pratiche». «A Napoli aggiunge Diana, l'altra nipote Totò è un mito nel vero senso della parola e le sue fotografie si trovano ancora oggi sui muri di tutte le tabaccherie, dei bar e delle lavanderie. Soltanto Maradona ha insidiato il mito di Totò, ma ci è riuscito per poco tempo».

Quello di Totò è il secondo «sito ufficiale» di un personaggio italiano dello spettacolo: il primo è quello di Sordi (www.albertosordi. it) che venne inaugurato il giorno del suo 800 compleanno.

Ernesto Baldo, «La Stampa», 24 gennaio 2001


Roma

Totò sempre più principe della rete. Nel giorno del suo compleanno Internet apre un luogo d'incontro tra tutti gli estimatori: nasce il sito www.totodoc.it, promosso dalla famiglia affinché tra le migliaia di siti a lui dedicati, «ve ne sia uno che faccia da punto di riferimento garantito». Il sito, interattivo e in quattro lingue, spagnolo, inglese e francese oltre l'italiano, è costruito sulla doppia identità, Totò-Principe de Curtis e presenta anche materiali inediti (foto, filmati, e tutta la documentazione araldica).

Nel sito ci sarà una chat per appassionati che si candida a leader delle cyber-discussioni, oltre a un forum, per discussioni e interventi, una sezione di giochi, quiz, cartoline che possono essere spedite via email, un calendario di tutte le iniziative, incontri, raduni internazionali, screen-saver e desktop da scaricare, oltre a un virtual-store per magliette, oggettistica, ricordi tutti doc. Il sito così, oltre a soddisfare tutte le curiosità sulla vita (biografia, amori, amici) e l'opera (teatro, film, tv, libri, canzoni, ricette, con le relative recensioni e locandine) sarà anche punto di riferimento per ottenere il marchio di garanzia «Toto-doc», una sorta di certificazione di qualità, come la definisce la figlia Liliana de Curtis, per evitare i tanti errori, inesattezze o abusi che nel nome di Totò spesso di compiono, anche in Internet.

Da Internet alla realtà. Stasera alle 19,30, ci sarà una festa di compleanno, il 103esimo, con tanto di torta. L’appuntamento è a Nocera Inferiore, all’associazione donne europee delle Federcasalinghe. Ci sarà anche Benedetto Casillo.

E dalla realtà alla televisione. In onda su CineCinemas e CineClassics, il ciclo di D+ prosegue la programmazione dei film di Totò. Domenica (alle 14,45) e lunedì (alle 14,25) andranno in onda «Totò contro Maciste» (per CineCinemas) e «Totò, Peppino e la dolce vita» (alle 12,15 per CineClassics).

«Il Mattino», 15 febbraio 2001


Laura Martellini, «Corriere della Sera», 24 gennaio 2001


Totò esce dal bosco come un fauno gentile, o svitato. Invece di camminare, balla. Invece di ballare, traballa: come se avesse perso la testa. Ma la testa non l'ha persa affatto, è solo immerso in se stesso, nel compito: che è quello di far rispettare la legge. Egli è Antonio Caccavallo, guardia scelta del corpo di polizia, attualmente impegnato in una retata. Si è addentrato in quel bosco a caccia di prostitute e ne sta portando per mano una, giovanissima, e candida come un agnello sacrificale.

D’altra parte, il bosco non è proprio un bosco: è solo piana di Siena, di cui abbiamo intravisto le scale che portano dagli spalti all'arena, e poi il gruppo d alberi che nelle scorciatoie del montaggio di colpo conducono fino all’uscita di Villa Borghese che affaccia su Valle Giulia. Né la prostituta è una vera prostituta, è solo Carolina, una ragazza di sedici anni, incinta e fuggita dal paese. È stata sedotta e abbandonata: compito della guardia scelta Totò è di riportarla a casa e consegnarla a qualcuno, un parente, o una persona fidata. Inizia così, uno dei film più tartassati della storia del cinema italiano, come documenta Tatti Sanguineti nel volume che ha dedicato a Totò e Carolina che è anche il film d'esordio, nel 1955, di Mario Monicelli. La censura si accani, quasi senza ragione: o perché c'erano le prostitute, o perché c’era quel poliziotto così fuori dalle regole, se non della legge.

Totò è qui; più che mai, Totò il buono: anche se lo rivelò senza mascherarsi, una volta sola in questo road movie, di tipo picaresco. Facilitando il compito a tutti i suoi futuri interpreti una volta il principe Antonio de Curtis disse che Totò era protagonista di due tipi di film: in uno era mezzo scemo e nell'altro mezzo intelligente (cioè buono: si può essere intelligenti senza essere buoni?). In Totò e Carolina, il cui soggetto è di Ennio Flaiano, accade una cosa speciale e tutta romana, quasi belliana: la parte intelligente, razionale e conformista di Totò non è che la maschera del Totò pazzo, il Totò surreale ed estremista che ci fa piangere e ridere. E' il Totò idiota, come il principe Myskin di Dostoevski, che dopo aver subito a causa di Carolina ogni disavventura, la riporterà a casa: cioè nella propria, vedovile casa, accollandosi l’onere, personalmente, di quella giovane e strapazzata vita.

Franco Cordelli, «Corriere della Sera», 8 febbraio 2001


Totò fu scritturato da don Peppe Jovinelli al posto di Gustavo De Marco, ritenuto ormai troppo esoso. Totò accettò di esibirsi la prima volta gratuitamente: solo se il pubblico avesse gradito lo spettacolo, avrebbe ottenuto il contratto. Come andò è immaginabile.

Si chiamava Anna Fougez. Nell'Esquilino dei primi del Novecento, frequentato dal bel mondo capitolino, era nota come la stella del teatro Ambra Jovinelli. Si esibiva fasciata da un abito bianco, avvolta da una nuvola di piume. Sogno proibito per gli spettatori seduti in platea. La sua immagine. rinchiusa per anni nel buio di uno scatolone, torna a vivere nella mostra «I primi cento anni del Teatro Jovinelli», a cura di Nicola Fano, in mezzo a quella di tanti altri che hanno fatto la storia della sala tornata da pochi mesi a ospitare spettacoli. L’esposizione s’inaugura domani alle 19.30 nel foyer del teatro di via Guglielmo Pepe. Raccoglie non solo istantanee sbiadite dal tempo, ma anche oggetti di scena, scritti, costumi. Alcuni dei pezzi in mostra sono stati fortunosamente recuperati nei posti più impensati del teatro. Vanno ad aggiungersi a quelli catalogati e ordinati negli anni. Per l’apertura, alle 21 il grande Nicola Arigliano proporrà un concerto-omaggio a Totò.

Dell’epoca d’oro, quella del varietà, in cui si mescolavano comici, ballerine, contorsionisti e saltimbanchi. in mostra le molteplici, clownesche facce di Raffaele Viviani. «Il mio successo da Jovinelli raggiunse grandi proporzioni - scriveva allora Viviani -. La mia paga da mille lire mensili salì a lire tremila». Ecco il severo profilo giovanile di Totò, i capelli impomatati. Arrivò allo Jovinelli - si legge - nell'interessante e gustosa prefazione di Nicola Fano al catalogo dell'esposizione, dal titolo «Ridendo e scherzando è passato un secolo» - in sostituzione di Gustavo De Marco, l'inventore dello stile marionettistico che ispirò il principe De Curtis. De Marco era divenuto troppo esoso per don Peppe. l'impresario che nel 1909 trasformò in un teatro l'iniziale baraccone delle meraviglie allestito a
via Pepe. Fu. ovviamente, un successo. Ecco Ettore Petrolini. la marsina nera e la bocca serrata in una smorfia, immagine dello sberleffo, e le famiglie d’arte, come i Maggio. I comici facevano molti figli, allora, per formare compagnie autosufficienti.

Ecco anche le soubrette gambe al vento. «Morto il varietà - spiega Fano - sia la rivista che l'avanspettacolo proponevano i consueti numeri, ma nella rivista i balletti ostentavano esotismo e ricchezze. mentre l’avanspettacolo si limitava ad affidare all'efficacia dei comici e alle cosce nude delle ballerine le proprie speranze di successo». Spesso l’avanspettacolo precedeva la proiezione di un film. Di quella fase sono in mostra le immagini di Alberto Sorrentino, che balla il tango con un rosa in bocca, del mago Leandris. nella vita impiegato, in scena comico prestigiatore, del comico Mario De Vico, che sorridendo scopre il dente d’oro. Lo esibiva come segno di ricchezza. Pia Velsi fu tra le prime donne incaricate di far ridere.

Poi i tempi cambiarono. La tv, il cinema, i locali e i ristoranti sottrassero spettatori al teatro, mentre piazza Vittorio stava svilendosi, non era più meta del passeggio dei romani. Le varie Cora Caravelle, Bella Balalayka, Emanuelle, spogliarelliste dai seni e dai sederi prorompenti, pronte a accontentare una platea vogliosa e volgare, presero il posto dei grandi del passato. Fra le quinte, anche le pese dei campioni di boxe. Finchè sul teatro di Don Peppe calò definitivamente il sipario.

Laura Martellini, «Corriere della Sera», 1 aprile 2001


Le locandine raccontano un pezzo di storia di comicità popolare.

Da Viviani allo spogliarello

Una storia centenaria: quella dell’Ambra Jovinelli.il popolare teatro romano che ha visto passare sulle tavole del suo palco-scenico buona parte della storia dell'avanspettacolo e del teatro comico italiano. Una storia rinnovata: riaperta da pochi mesi con l'inaugurazione del ricostruito edificio, dopo anni di degrado e di abbandono. Una storia ricordata: da una mostra dal titolo «I primi cento anni del Teatro Jovinelli» che s’inaugura stasera, alle 19.30 nel foyer del teatro. La mostra, curata da Nicola Fano, passa in rassegna, buona parte della storia di questo teatro, fondato da Peppe Jovinelli, un impresario di Caiazzo, vicino Caserta, arrivato a Roma ai primi del secolo scorso. Quello che in origine era una specie di scatolone di legno, diventò un elegante teatro, pieno di stucchi, mascheroni e colonnine liberty di ghisa. Nella mostra ci saranno foto, oggetti di scena, costumi e memorie perdute della comicitàpopolare. Il pubblico potrà ripercorrere le meraviglie di Petrolini e Totò, di Viviani e dei fratelli Maggio; ma ci saranno anche le immagini dei comici e delle soubrette degli anni Cinquanta e Sessanta, quelli più autenticamente legati allo spirito popolare del teatro: ma anche la memoria erotica e piccante delle spogliarelliste, ultime protagoniste del vecchio Ambra Jovinelli.

Come Dio volle, anche la «ferma» ebbe termine, e io potei finalmente avvicinarmi a quel teatro che, ancora ragazzo, mi aveva affascinato. La mia famiglia, intanto, si era trasferita a Roma. Fu al Salone Elena, in piazza Risorgimento, che io feci la mia prima esperienza. Il Salone Elena era, in realtà, una modesta baracca di legno dove si recitavano soprattutto «La cieca di Sorrento» e «La sepolta viva», «L’ombra del disonore» e «Il capo della camorra». Ma io sapevo che da pochi giorni era stata scritturata la «Compagnia comica diretta da Umberto Capece», che faceva rivivere la maschera del Pulcinella napoletano. E fu Capece che mi consentì finalmente di passare «dall’altra parte». Non era più lo spettatore Antonio De Curtis, ma Totò attore comico. Ebbi subito successo e, quindici giorni dopo, la prima paga: due soldi al giorno. Questo mi incoraggiò, due settimane più tardi, a chiedere un piccolo aumento. Pioveva forte, quella sera, ed io ero fradicio da capo a piedi. «Signor Capece», gli dissi, «mi basterebbe una lira per settimana: almeno i soldi per tornare a casa con il tram. Perché a piedi non ce la faccio più, andata e ritorno». «Andate un po’ a far del bene alla gente!», brontolò Capece. E mi indicò la porta.

Prendendo il coraggio a due mani, anche per non dover ascoltare mia madre che invariabilmente mi rimproverava di non essere diventato ufficiale di marina, decisi allora di presentarmi a don Jeppe Jovinelli che era uno degli impresari più esigenti e più temuti di quel tempo. Peppe Jovinelli, a Roma, lo ricordano ancora oggi: una specie di gigante che, arrivato a Roma da un paese del napoletano, si era fermato in piazza Guglielmo Pepe ripulendola dalla giungla dei «bulli» e costruendovi cinquant’anni fa, un teatro cui diede il suo nome. Fu Jovinelli a lanciare Raffaele Viviani ed Ettore Petrolini, e a valorizzare attori come Armando Gil, Alfredo Bambi, Pasquariello e Gustavo De Marco.

Erano, appunto, le macchiette di De Marco che io conscevo a memoria: soprattutto «Il bel Ciccillo» e «Il Paraguay». Le ripassai per bene davanti a uno specchio e mi presentai a Jovinelli. Non era il momento più propizio perché don Peppe aveva appena finito di scaraventare fuori dal suo ufficio un attore che era arrivato tardi alle prove, tuttavia il colloquio fu abbastanza cordiale, molto più di quanto potessi sperare. «Ah, siete napoletano?»), chiese Jovinelli. «A me piacciono i napoletani. E, ditemi, siete bravo?». «Mah, dicono». «Dicono, dicono e chissà poi se è vero. Comunque vi aspetto domani per le prove». Il giorno dell’esordio, mentre il pubblico batteva ancora le mani, don Peppe si presentò in palcoscenico contrariamente alle sue abitudini. «Giovanotto, siete stato veramente bravo», mi disse stampandomi sulla schiena una pesante manata. La settimana dopo, Jovinelli mi «riconfermava» (come si dice nel gergo del teatro), mentre il mio successo veniva annunciato da nuovi striscioni dove il mio nome era scritto con caratteri alti mezzo metro. Sapete che effetto! Mi sembrava di sognare. Interpretando alla mia maniera le parodie vecchie e nuove, con una buffa disarticolata recitazione (più tardi mi presentarono, sui manifesti, come «l’uomo di gomma»), riuscii ad affermarmi in poco tempo. E, con l’avallo di Jovinelli, non ebbi difficoltà - allo scadere del contratto - a fermi scritturare prima all’Orfeo e quindi al Salone Margherita di Napoli, dove il successo prese proporzioni ancora maggiori.

Tuttavia restava ancora un baluardo da espugnare, il più difficile, quel Teatro Sala Umberto di Roma, che era appannaggio soltanto degli attori arrivatissimi. Gli impresari non badavano a spese pur di assicurarsi i nomi più in vista. «Dovrò fame di anticamera prima di arrivarci», pensavo passando e ripassando davanti a quel teatro. Ma, per merito di un barbiere, la conquista fu assai più rapida del previsto. Il barbiere si chiamava Pasqualino ed era una specie di istituzione dell’ambiente teatrale. Chiunque si presentasse a lui qualificandosi «artista», otteneva la massima considerazione, da uno sconto specialissimo sulle tariffe a un congruo numero di applausi a teatro. Perché Pasqualino non si contentava di servire i suoi clienti di barba e capelli, ma finiva addirittura con l’assumerne la protezione, spellandosi le mani per applaudirli e sfiatandosi per sostenerli in discussioni che si protraevano per ore ed ore.

Il «salone» di Pasqualino si trovava in via Frattina: a due passi, quindi, dal Teatro Sala Umberto che Cataldi e Cavaniglia gestivano in via della Mercede. Fu, appunto, in un afoso pomeriggio di luglio che il cantante Gennarino De pasquale mi portò da Pasqualino. «Artista?», chiese il barbiere, «Riconfermato da Jovinelli», rispose l’altro. Quel «riconfermato», detto con tono di sussiego da Gennarino, valeva più di qualsiasi altro argomento. Se Jovinelli mi aveva rinnovato la scrittura, dovevo essere certamente un artista con la A maiuscola. L’autorevole presentazione di Gennarino ebbe su Pasqualino un effetto insperato: fu l’apriti Sesamo, che dico?, il talismano miracoloso per mezzo del quale il Teatro Sala Umberto non fu più un’aspirazione ma una realtà immediata. Pasqualino lavorò con abilissima diplomazia, strappando una mezza promessa a Cataldi e correndo subito dopo da Cavaniglia come se il contratto fosse già stato firmato. Così ero appena stato liquidato da Jovinelli quando mi trovai da un giorno all’altro a debuttare al Teatro Sala Umberto. Fu un successo strepitoso: praticamente, il lasciapassare per tutti ì grandi teatri».

Totò scrisse, questo articolo nei 1960 per la «Settimana Incom Illustrata»

«L'Unità», 2 aprile 2001


Ela Caroli, Nicola Fano, «L'Unità», 28 giugno 2001


Maggiori approfondimenti nell'articolo «Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo»

La commissione toponomastica del comune di Cuneo ha dato il parere favorevole e martedì la Giunta deciderà di intitolare la piazzetta a fianco del Teatro Toselli ad Antonio De Curtis, in arte Totò. L'anno scorso aveva avuto vasta eco su tutti i giornali la dichiarazione del sindaco Rostagno in proposito ed ora la pratica è giunta in porto. L'inaugurazione della nuova piazzetta è prevista per ottobre in occasione della 4a Adunata Nazionale degli Uomini di Mondo, cioè tutti coloro che hanno fatto il militare a Cuneo.

E' proprio per quella sua famosa frase, che ha portato il nome del nostro capoluogo in giro per il mondo («Sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo»), che l'Amministrazione comunale ha voluto ricordare tangibilmente il grande artista napoletano. Forse Cuneo è la prima città che dedica una piazza a Totò, sicuramente la prima dell'Italia settentrionale. Il presentatore televisivo Michele Mirabella, entusiasta dell'iniziativa, ha lanciato un appello al sindaco di Napoli affinchè ricambi la gentilezza dedicando a Cuneo una strada napoletana. La signora Rosa Russo Jervolino è stata ufficialmente invitata a presenziare alla cerimonia d'intitolazione, insieme alla figlia del Principe, Liliana, ormai di casa nella nostra città. Nella stessa seduta di martedì la Giunta comunale dedicherà i giardini di Cuneo 2 allo scrittore Primo Levi, mentre la nuova arteria delle grandi rotonde che porta da Cuneo a Boves vedrà consacrato il nome che ormai tutti le hanno affibbiato: «circonvallazione bovesana». Numerose sono le pratiche giacenti alla Commissione toponomastica per l'intitolazione di luoghi pubblici a personaggi illustri.

Tra questi la figura di Leonardo Piatti, in predicato fin dal 1989, quando il comune gli dedicò una grande mostra. Si tratta forse del più prolifico scultore che ha operato in Cuneo nel XX secolo e di sue opere sono disseminati i cimiteri della Granda e numerosi edifici pubblici. Proseguendo nel meritorio intento di caratterizzare la zona del teatro Toselli con i nomi di valenti artisti, com'è avvenuto con Totò, si potrebbe intitolare a Piatti la grande scalinata in pietra sul Lungogesso, vicina allo studio dello scultore. Sarebbe anche un modo per valorizzare quella scalinata, tanto cara a generazioni di cuneesi che in quel luogo andavano a fare le foto di gruppo nelle occasioni importanti. Ogni famiglia ha in casa almeno una foto di un congiunto su quei gradini e, facendo appello a tutti, si potrebbe organizzare una mostra cittadina con quelle istantanee. Rappresenterebbe un grande affresco di vita cuneese da l'Ottocento al Novecento, anche solo per farci capire come ci vestivamo e pettinavamo.

Piero Dadone, «La Stampa», 14 luglio 2001


L'estate italiana corre lungo la dorsale del genio, da Cuneo ad Acquaviva Picena, in un emozionante viaggio che unisce l’irresistibile comicità di Totò all'irrefrenabile swing di Fred. Dal poeta de Curtis al sarcastico Buscaglione, protagonisti di eventi che li legano nell’intelligente rievocazione. Del resto i miti non sono destinati al letargo dei sentimenti... Cuneo ha finalmente deciso di rendere ufficialmente omaggio alla genialità di Totò sottolineata dall’affermazione: «Sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo! Le basti questo!».

Un’affermazione che gli ottusi avevano equivocato pensando ad un'offesa da parte del napoletano Antonio Clemente de Curtis (Griffo Focas Angelo Flavio Comneno Paleologo Principe Imperiale di Bisanzio, Conte di Terrazzano. Cavaliere del Sacro Romano Impero) nei confronti di quanti hanno svolto il loro servizio nelle caserme della «provincia granda». Al contrario gli entusiasti goliardi cuneesi che hanno fondato l’Albo d’Onore degli Uomini di Mondo, hanno riaffermato la sagacia di Totò nell’individuare in Cuneo la palestra formativa degli uomini che hanno traghettato al Duemila dischiudendo quindi le porte al nuovo millennio. In città sarà intitolata la piazzetta del teatro civico ad Antonio de Curtis con una festosa cerimonia in programma per il 7 ottobre.

Da domenica prossima, e per una settimana, ad Acquaviva Picena, i riflettori saranno invece accesi per il torinese Fernando «Fred» Buscagliene in un tributo che coinvolge vignettisti, fumettari, musicisti fra mostre e concerti che vedranno anche l’omaggio a Gigi Riva, il celebre bomber «Rombo di tuono».

E pensare che Totò, poco prima di morire (15 aprile 1967) aveva dichiarato: «Chiudo in fallimento, nessuno mi ricorderà»...

Alberto Gedda, «L'Unità», 20 luglio 2001


Sarà inaugurata oggi a Viterbo la mostra «Totò dal Varietà al Cinema», che percorre il periodo della vita artistica di Totò dedicato al teatro ed alle prime esperienze nel cinema. Oltre a presentare gli aspetti e le curiosità letterarie, musicali, araldiche, fotografiche e private del Principe Antonio de Curtis. Attraverso la rassegna, i visitatori potranno respirare l'aria del futurismo, :del varietà, della rivista e dell' avanspettacolo, visti attraverso gli ! inediti, i contratti, gli autografi, le lettere d'amore, il vestiario di scena, le foto anche poco conosciute del grande artista.

MUSEO CIVICO, Viterbo, piazza Crispi, fino al 22 gennaio 2002, ore 9-19, tranne il lunedì e il 25 dicembre e il 1° gennaio. Tel. 0761340810

«Corriere della Sera», 23 dicembre 2001


2002

C’è anche il "Principe della risata" in lista d'attesa per una via della città. Si. proprio lui. il principe Antonio De Curtis, meglio noto come Totò, è stato proposto aU'ufTlcio toponomastica del Comune perché gli venga assegnata una strada, gli venga dedicata una via. A lui e ad altri personaggi, più o meno illustri e conosciuti. Che compongono un elenco. non lunghissimo ma ugualmente "senza speranza", perché in città vie. piazze, vicoli e vicoletti sono esauriti. E sembra anche poco consono al personaggio dedicare magari a Madre Teresa di Calcutta, altra illustre "segnalata" un viottolo di pochi metri.

La lista, come si vede dalla tabella, è piuttosto ridotta. E annovera nomi noti in tutto il mondo a fianco di altri conosciuti prevalentemente nel Biellese e ad altri ancora proposti addirittura da lontano.

È il caso, quest'ultimo, di Amos Zanibelli, deputato e sindacalista per cui è arrivata una segnalazione da Roma. Decisamente biellesl. invece, sono le proposte per l'imprenditore Silvio Cerniti, l’archivista Pietro Vayra (strettissimo collaboratore di Quintino Sella) e infine Cassiano Dal Pozzo, il collezionista a cui proprio in questi giorni viene dedicata la mostra al Chiostro.

Un altro genere di candidatura è quella che riguarda i "gruppi", come i Caduti sul lavoro o di Cefalonia o i Martiri delle foibe. Ma anche per loro di spazio non se ne trova. Nonostante la buona volontà del dirigente del Comune, Mauro Doninl, e dell'assessore competente, Diego Presa.

Spiega quest'ultimo: «In città di vie nuove non se ne aprono cosi di frequente. E cambiare la toponomastica di quelle già esistenti vuol dire causare a chi vi abita una serie di problemi facilmente intuibili per documenti indirizzi e altro. Chissà, se ci sarà un riordino...».

Nell'attesa l'assessore aggiunge che il Comune ora cambierà le targhe, aggiungendo al nome del personaggio a cui è dedicata una via. anche le date di nascita e morte e la "qualifica". Ma per gli altri, quelli che aspettano, c'è poco da fare. Compresa la pace che. In questo periodo, non trova spazio neanche all'angolo di una via

Cesare Maia, «Il Biellese», 22 febbraio 2002


Tradotta in un inglese maccheronico, iperbolico e sfrigolante, la lingua inventata di Totò approda per la prima volta in Inghilterra. Una rassegna di otto film che comprende, tra l'altro, «Miseria e nobiltà», «Siamo uomini o caporali?», «La banda degli onesti» e «I due colonnelli», si inaugura oggi ai Riverside studios di Londra in presenza della figlia di Totò, la principessa Liliana de Curtis. In America, dove la retrospettiva «A Laugh Story», «Una storia da ridere», ha appena finito di trionfare, Totò è stato paragonato a Charlie Chaplin e Buster Keaton.

Ma un problema non era mica da ridere, e cioè quello di rendere in modo appropriato il sapore delle battute di Totò in inglese: i pensi soltanto alla difficoltà di tradurre in italiano. Francesco Gesualdi, direttore di Cinecittà Holding, che insieme con l'Istituto Italiano di Cultura di Londra ha promosso la rassegna spiega che due intrepidi sono arrivati, di loro iniziativa, con la soluzione già in tasca: «Il professore americano Gordon Poole, linguista all'Università di Napoli, è venuto da noi a Cinecittà insieme con Paolo Pistolese, e ci ha sottoposto i dialoghi di 15 film di Totò già tradotti in inglese. Coinvolti lai loro entusiasmo, abbiamo finanziato la rassegna». Liliana de Curtis, che dal padre ha ereditato la passione per l'araldica («Sono l'unico Cavaliere ormai del Sacro Romano Impero», e re) è felice che Totò possa essere apprezzato a Londra e quindi a Edimburgo, Cardiff, Nottingham e Oxford. Il grande comico, rivela, aveva una grande ammirazione per l'Inghilterra.

Il pubblico inglese è difficile, ma l'umorismo inglese ha una forte vena eccentrica e verbale. Crede sarà questo il punto d'incontro con l'umorismo di Totò?

«Penso che il pubblico sia più difficile perché ha la critica nel suo dna. Ma gli inglesi amano molto Napoli, e c'è un'affinità nell'ironia e nel fatalismo». Totò riconoscerebbe oggi la sua Italia? «No! Nel rostro Paese stiamo vivendo momenti tristi e angosciosi: non sappiamo mai quello che succede, ci si sente abbandonati, non protetti. Lui, che invece amava molto la gente ed era sempre molto attento ai problemi degli altri, oggi vivrebbe nel terrore della violenza, dell'abuso di potere, di questa permissività per cui tutto è possibile. Totò non era pessimista in assoluto, ma aveva prudenza e attenzione per la legge, era rigoroso nel rispetto delle regole. In questo penso che fosse molto affine al temperamento inglese: dell'Inghilterra lo affascinava molto il rispetto per chi è a capo del Paese e il sistema di vita tradizionale».

Lo affascinava di più la monarchia inglese o la società civile?

«Era cresciuto sotto la monarchia, ma non era un monarchico sfegatato: diceva che era un monarchico socialista. Ma se Totò fosse stato re, avrebbe governato in mezzo alla strada: per parlare con la gente e occuparsene personalmente. Per lui questo sarebbe stato un grande giorno: arrivare in Inghilterra».

Che cosa prenderebbe in giro Totò dell'Italia di oggi?

«Soprattutto farebbe ironia sui politici: L'ha sempre fatta: basti pensare a "Gli onorevoli"».

Che immagine dell'Italia possono dare oggi all'estero i suoi film? E' un'Italia che non c'è più.

«Totò è moderilo, attuale. In Italia molti usano tuttora il suo linguaggio: tutti i ceti, tutte le categorie. Certo, quella di allora era un'Italia più autentica, più pulita, più sincera;-c'erano i piccoli truffatori, ma sempre a livello di poche lire, non c'erano questa aggressività e spietatezza di oggi. Dal Nord al Sud non ho mai trovato nessuno che fosse in disaccordo con Totò: lui ha unito l'Italia più di Garibaldi. Su Totò non ci sono discussioni, si uniscono tutti, anche Bossi, penso».

Ma come si fa a tradurre: «ho fatto il militare a Cuneo»?

«Gordon Poole è stato eccezionale, ha centrato in pieno la traduzione: è una lingua che non è né italiano né napoletano. La mimica fa il resto: gli americani hanno riso in tutti i punti giusti, anche in una commedia molto del Sud come "Miseria e nobiltà"».

Lei dove vive oggi?

«Risiedo in Sudafrica, ma faccio la spola tra Roma e Napoli, anche perché a Napoli apriremo, in maggio, nel quartiere Sanità dove Totò è nato, il Museo Antonio de Curtis. Sarà installato nel Palazzo dello Spagnolo, che ci è stato messo a disposizione dalla Regione Campania. Ospiterà una raccolta di oggetti, tra cui la camera da letto di Totò. In più ci sarà una rassegna fotografica, una sezione sull'araldica, un teatrino con seminari e laboratori per i ragazzi. Stiamo già collaborando da tempo con la scuola Giovanni XXIII. Inoltre daremo borse di studio ai giovani di quel quartiere a rischio, per rermettere loro, dopo la scuola dell'obDligo, di continuare a studiare o di imparare un mestiere secondo la loro vocazione, che sia quella del pizzaiolo o dell'attore: tutta la nostra famiglia è coinvolta, perché è quello che Totò avrebbe voluto».

Maria Chiara Bonazzi, «La Stampa», 3 marzo 2002


Ridere vi fa venire il senso di colpa? Tranquilli, con una bella curetta, diciamo di dieci puntate di Raieducational tutte dedicate alla comicità, scoprirete che anche questo fa cultura. oltre che buon sangue. «Anche Umberto Eco legge le barzellette, credetemi», imbonisce Serena Dandini. da sempre propagatrice di risate intelligenti e, dal 19 aprile su Raidue. conduttrice di Vieni avanti cretino!, inchiesta-spettacolo sulla comicità popolare, dal teatro di rivista agli studi televisivi Insomma, la cultura non è noiosa e Raieducational si è presa volentieri la briga di dimostrarlo. mentre Carlo Freccero ha addirittura ottenuto di mandare in onda il programma subito dopo Santoro, in seconda serata, invece che a notte fonda dove di solito si relegano in esilio i programmi culturali. «Un'operazione "hard" - la definisce scherzosamente Serena Dandini -, speriamo che non arrivino le guardie dell'auditel e che si possa nominare Freccero senza essere anestati..».

L'appuntamento con Vieni avanti cretino!, dunque, sarà alle 23.20. con un percorso a tappe - con la regia di Sandro Vanadia - alla scoperta di trucchi, tecniche e personaggi del varietà, raccontato con la «complicità» di Nicola Fano, appassionato e studioso di un genere a torto considerato minore. «Qualsiasi attore vi dirà - spiega Fano - che è più difficile far ridere che far piangere. E allo stesso modo, è più diffìcile tracciare una storia del teatro comico rispetto a quello "serio", perché mancano documenti: è sempre stato considerato il fratello "scemo" di quello maggiore». Dal gran baule dell'archivio Rai sono invece e per l'occasione saltati fuori molti brani preziosi di repertorio, utili per ricucire una «risate lunga un secolo», ma anche il racconto di un secolo di storia del costume.

Dalla risate snob della Belle Epoque alla pernacchia liberatrice di Totò, dal sorrisetto del periodo fascista alla risata ulivista o berlusconiana: tutti i registri della vis comica. Scoprendo legami insospettabili fra gli artisti dell'avanspettacolo e i nuovi comici tv. a partire dalla celebre battuta che dà il titolo al programma e che fu inventata dai fratelli De Rege. Di loro non c'è traccia documentata. ma nella memoria collettiva la frase è entrata con l'omaggio che ne fecero Walter Chiari e Carlo Campanini. Proprio la prima puntata sarà dedicata alla figura del «cretino», maschera fondamentale della comicità del Novecento che si riallaccia alla commedia dell'arte. E, a seguire. il dietro le quinte, la «spalla», le attrazioni, i tempi, le donne, le ballerine. le canzoni del varietà. I momenti più emozionanti? Per Dandini è il Fortunello di Petrolini «cinico, aspro, modernissimo». Per Fano ritrovare quei balletti del varietà su musica di Kurt Weill che duravano dieci minuti, non gli attuali trenta secondi delle coreografìe televisive contemporanee. Ecco, proprio il tempo, il senso della velocità è lo scarto più evidente tra come ridevano i nonni e come siamo «incitati» noi. «Oggi tutto va consumato in fretta - commenta Enrico Vaime, presente alla conferenza - e tutto costa: i caroselli di una volta duravano tre minuti e mezzo.

Impensabile fare uno spot oggi di quella durata, costerebbe triliardi». Ma i trucchi, le tecniche, invece, sono sempre gli stessi come svela questa panoramica. con Dandini pronta a interagire su palcoscenici virtuali con gli artisti di ieri. Eccola mentre si presenta con lo stesso abito di Mina e duetta con lei all'intemo della storica scenografia di «Studio Uno» o mentre si intrufola sul set di Luci del varietà accanto a Giulietta Masina e a Luca De Filippo. Dentro e fuori, scorrazzando su e giù dal passato al presente. inframezzando la parabola con interviste e interventi degli artisti contemporanei Una passerella infinita di personaggi che hanno fatto la storia della risaia, da Ettore Petrolini a Ugo Tognazzi, da Raimondo Vianello a Claudio Bisio, da Totò ad Anna Magnani.

«Non è un'operazione nostalgia -, ci tiene a precisare Dandini -, bensì un modo per dire che si possono coniugare gradimento e qualità, con tutto il rispetto per l'auditel che non può diventare il direttore artistico di tutti i programmi». E se f orario resta troppo tardo, niente paura: Raieducational prevede di ricavarne delle videocassette...

Rossella Battisti, «L'Unità», 13 aprile 2002


Per ricordarlo, mostre, una statua a Roma e, oggi una messa a Poggioreale. Retequattro celebra l'anniversario con un film. E una gaffe.

Forse da lassù riderà della gaffe di Retequattro che oggi, con il film «Totò e le donne», renderà omaggio - si legge nei comunicati - al grande comico per i 25 anni dalla morte. Il fatto è che gli anni dalla morte - oggi - sono 35. Ma... quisquilie. Stamattina, per ricordarlo, la figlia Liliana sarà a Napoli, nel cimitero del Pianto, per una Messa. «La cosa bella - esordisce Liliana - è che più passa il tempo, più lui diventa famoso nel mondo».

Quand’era in vita, invece...

«No, guardi, non torniamo su questa storia. Totò è stato sempre amato dal suo popolo. I critici e gli intellettuali lo trascuravano? E chi se ne frega! E la prova l’abbiamo oggi, 35 anni dopo la sua scomparsa. Siamo alla terza, quarta generazione di fans. Io ricevo centinaia, di lettere di bambini di tutta Italia, che gli scrivono paròle bellissime: «”Ti voglio bene come a un nonno”, "sei tu il mio vero papà”, "proteggici da lassù”... Sì, Totò era magico. Ha precorso i tempi. E senza volgarità... Se pensa che oggi per far ridere bisogna mettere una mano nelle parti basse... Totò mai... anzi, una sola volta ha usato una brutta parola, nei "Due colonnelli”, spiegando all'ufficiale nazista che cosa dovesse fare con la "carta bianca” che il Fuhrer gli aveva dato. Ma quella non è volgarità».

E ora la su comicità gira il mondo. La mostra con i suoi film, le foto, le lettere è stata negli Stati Uniti, in Canada, ora è in Gran Bretagna...

«Grazie a Cinecittà Holding presto sarà in Scandinavia, a novembre addirittura a Bangkok, in Thailandia e il mese dopo a Sidney, in Australia. I film sono sottotitolati in inglese, ma stiamo pensando anche a una traduzione in spagnolo per il mercato sudamericano. Pensi, io a San Francisco ho visto "Miseria e nobiltà” assieme agli americani. E loro ridevano nei punti giusti, dove ridiamo noi. Dunque capivano. Forza dei sottotitoli, ma anche di una comicità senza confini».

Ci sono altre iniziative per ricordarlo?

«A maggio il sindaco Veltroni scoprirà a Roma, nella centralissima piazza Cavour, una statua di Totò, proprio vicino al cinema Adriano, dove lui recitò. E a giugno, a Cinecittà, nella "strada americana" ricostruita per il film di Scorsere "Gangs of New York” sarà allestita la mostra di memorabilia, che poi confluirà nel museo alla Sanità».

Che cosa esporrete?

«La sua vita: il servizio da camerino che gli regalò Liliana Costagliola (*), il registratore Geloso su cui incideva le poesie, il manoscritto di "Malafemmena” dedicato a mia madre, la bombetta, la tessera d’artista, foto, lettere, il busto che si fece fare per metterlo nella sua tomba, assieme a quello che fece fare a me... Mentre lo scultore era all’opera scherzava con il mio naso: ”è uguale al mio”... Nel museo di Palazzo dello Spagnolo ci sarà anche la sua camera da letto».

A proposito, c’è una data d’apertura?

«A giugno, credo. Stanno terminando i lavori, poi dovremo riempirlo. C’è anche un teatrino di 70 posti e sale per i laboratori. Perché, vede, quel museo proprio lì, alla Sanità, dove lui nacque, servirà soprattutto ai ragazzi del quartiere: con borse di studio, laboratori e altre attività cercheremo di toglierli dalla strada dando loro un futuro -sano. Per loro stiamo già lavorando assieme a Pina Conte e a suo marito Enzo Imperatore, che dirigono la scuola Giovanni XXIII e ora hanno aperto un'associazione con scopi analoghi a San Gregorio Armeno. D’altra parte, Totò così avrebbe fatto. Io e mia figlia, che tuteliamo la sua eredità, non facciamo che esaudire i suoi desideri».

Luciano Giannini, «Il Mattino», 13 aprile 2002


(*) Liliana Castagnola


Che sono le statue? A vedere i soggetti se ne capisce il senso. Le statue rappresentano il più delle volte la figura umana e, a seconda del tempo in cui furono erette, indicano gli ideali, ovvero i valori, che di sé irrobustiscono una civiltà. In Italia, le statue moderne, che adomano con maggior frequenza le nostre piazze, sono di eroi del Risorgimento. Dopo, altri eroi non ve ne furono o la figura umana perse, nella rappresentazione, credibilità. Le statue divennero astratte. Ma Videa che ve ne sarà una di Totò è strabiliante. Lo è di per sé, lo è per ragioni storiche e, ancora di più, per ragioni toponomastiche.

È strabiliante in sé perché in una piazza d'Italia campeggerà una statua che non sarà di un eroe del Risorgimento o d'altra epoca legata alla magna storia patria. È strabiliante perché accade in un momento in cui più non si crede agli eroi, non si crede alle statue, non vi sono ideali forti e da tutti condivisi.

Franco Cordelli


Il bronzo alto 2,50 metri è stato realizzato dalla scultrice Maria Stifini

Totò e Cavour. Il principe della risata e il conte Camillo Benso insieme a piazza Cavour. Il busto in bronzo del grande attore, realizzato dalla scultrice Maria Stifini, è già pronto, custodito in un antico laboratorio della Magliana. «Per fine maggio — dice Alberto De Marco dell’associazione "Amici di Totò...a prescindere" — dovrebbe affiancarsi a quello del grande statista». E così, entro l'estate, la strana coppia dominerà la piazza. E se la statua del conte di Cavour guarda il Palazzaccio, quella del principe Antonio de Curtis avrà invece lo sguardo rivolto al cinema Adriano, che agli inizi della carriera di Totò era un prestigioso teatro, «quello a cui papà — racconta la figlia Liliana — era più legato. Lì ha portato in scena, negli anni Quaranta, riviste come Bada che ti mangio o C'era una volta il mondo in cui impersonava Pinocchio recitando con Anna Magnani. Mi ricordo il teatro pieno e tutt'intomo le 18 mascherine: donne bellissime. Il busto lo raffigura come un elegante signore quale era fuori dal palcoscenico. Il fatto poi, di essere affiancato a Cavour lo riempirà di legittimo orgoglio, anche perché, considerando il suo amore per i titoli nobiliari, gli piacerebbe molto trovarsi in compagnia di un conte. E poi — aggiunge — la piazza che ospita il Palazzac-cio gli sarà doppiamente cara anche per la sua fissazione con la legge: lui che girava col codice penale in tasca e che di sera invitava gli amici a casa per mettere in scena processi famosi come quello di Lucrezia Borgia: papà impersonava sempre il pubblico ministero e al suo avvocato di fiducia Eugenio De Simone (il penalista che gli risolveva le cause delle molte persone che rubavano per fame), toccava sempre la parte del difensore».

Il busto in bronzo sarà alto — compresa la base — 2 metri e mezzo, e ricorderà il 35esimo anniversario della morte di Totò, avvenuta il 15 aprile del 1967 (era nato nel 1898). «La collocazione della statua — spiegano dall’ associazione — doveva avvenire il 13 aprile scorso, ma ha subito dei rinvii per intoppi burocratici, visto che serve il parere della Sovrintendenza ai Beni Culturali per lo scavo necessario all’installazione del piedistallo che reggerà il busto. E il parere sembra positivo". L'espressione che la scultri-ce Maria Stifini ha voluto per Totò (priva di ghigni o smorfie) è stata ripresa dalle molte foto private del principe della risata.

La figlia Liliana è entusiasta: «Mio padre — racconta — diceva di sé: "non ho combinato niente di buono: come Petrolini sono un venditore di chiacchiere e tra qualche anno nessuno si ricorderà di me". E invece oggi è acclamato in tutto il mondo, a Londra una rassegna di suoi film con sottotitoli in inglese sta avendo un grande successo. La stessa rassegna andrà in America e poi in Canada». A luglio lo ricorderà anche Roma, a Cinecittà, con lo spettacolo Siamo tutti figli di Totò.

Quella per Totò è una passione che gli anni non indeboliscono per la nipote Diana, cui il nonno volle dare il nome della prima moglie, Diana Bandini Rogliani, che ora ha 86 anni. Diana lo ricorda come un nonno presente e premuroso. Quando nel 1933 nacque la figlia Liliana, Totò fu avvisato in scena: bloccò lo spettacolo avvisando gli spettatori di essere diventato padre, corse a vedere Liliana ed esclamò: «È me riflessa in un cucchiaio».

Anna Merola, «Corriere della Sera», 27 aprile 2002


«Nell'entusiasmo mi tiravano sul palcoscenico tutto quello che avevano a portata di mano Durante la mia carriera lirica, quanti ne ho visti portare al manicomio... Queste cose sono soddisfazioni» - Un testo del grande comico per una trasmissione in onda nel 1952, di cui si è perduta la registrazione «A prescindere», «modestamente» «l'ippopodromo di Londra»: un florilegio di battute, tormentoni, tic verbali nati a teatro come improvvisazioni

Maurizio Assalto, «La Stampa», 13 maggio 2002


C'è stato un tempo in cui i paparazzi, più che ladri di immagini, erano cronisti capaci di raccontare attraverso i loro scatti interi romanzi. Un tempo in cui il fotogiornalismo aveva dignità di professione e d’intenti, ed era spesso contiguo ai territori dell’arte. Una forma di espressione artigianale e sapiente concessa ai quotidiani e ai rotocalchi, che meglio di mille articoli si prestava a rivelare emozioni, decifrare pensieri, dipanare enigmi. Sembra un secolo fa, e invece erano gli anni Cinquanta e Sessanta, l’epoca d’oro del bianco e nero, del repentino passaggio dall’Italia raffazzonata e dolente del dopoguerra alle magie di Cinecittà e dei suoi miti di celluloide, specchio di un paese in cui tornava prepotente la voglia di sognare. Mentre a Milano sfilano i Volti della storia dell’inarrivabile Robert Capa, a Mogliano Veneto, a pochi chilometri da Mestre, scopriamo una galleria di volti del cinema italiano rubati dalle reflex di professionisti che certo non possono competere con Capa sul piano della genialità pura ma che sotto il profilo della professionalità nulla hanno da invidiare ai loro più celebrati colleghi della Magnum.

Volti del cinema italiano presenta 130 immagini scattate dai reporter dell’agenzia Cameraphoto tra il 1947 e il 1976 (ed ora parte integrante dell’Archivio Bianconero diretto da Vittorio Pavan). Curata da Casimiro Di Crescenzo, la mostra offre inediti ritratti dei personaggi più amati del nostro cinema, convenuti alle Mostre degli anni Cinquanta e Sessanta. La dolce vita felliniana trasportata in Laguna, piccole verità raccontate attraverso gli scatti di questi fotografi da strada, gente abituata a non separarsi mai da ingombranti Rolleiflex dai negativi quadrati 6x6. [...] C’è innanzitutto un Totò al trucco o dietro le quinte, assorto nella lettura di un copione. E accanto al principe De Curtis troviamo una Lauretta De Lauri (attrice in Totò sceicco, 1950) che in camerino indossa un copricapo piumato. [...] Ma poi ci sono anche la Magnani, Germi, Lattuada, Pasolini, Virna Lisi, Claudia Cardinale, una stupenda Lucia Bosè, Antonioni, De Sica... Un come eravamo che, nelle espressioni talvolta stupite, negli abiti e negli atteggiamenti, riguarda tutti noi.

Marco Bevilacqua, «L'Unità», 17 maggio 2002


Chissà cosa avrebbe detto Totò, a sentire che adesso la chiamano «finanza creativa». È l'ultima novità, della quale io, da bravo letterato, non è che abbia capito granché, se non che, da buon conterraneo del principe De Curtis, mi è parso di intuire che si tratti dell'ultimo modello di «economia castello di carta», l'ultima novità in fatto di suicidio economico, insomma. Ma torniamo a Totò, il quale se ben ricordate, in una celeberrima gag di un suo film riusciva a vendere Colosseo e Fontana di Trevi a questo o quel ricchissimo turista americano di passaggio. Era una barzelletta, ovviamente. Ed era un'Italia assai diversa da questa d’oggi, piena di golpisti, ma col Partito Comunista più forte e fiero d'Europa, dove era inimmaginabile qualsiasi Revisionismo storico e in cui la Costituzione era una roba seria, tanto seria che c'era chi provava a organizzare colpi di stato e stragi pur di liberarsene. Era un'Italia nella quale il solo immaginare di poter alienare una parte dei beni artistici e storici della collettività per risanare il bilancio non poteva che essere una barzelletta. O una bestemmia.

Povero Totò, che pensava di far umorismo surreale... Ma, a dimostrargli che, come sempre, la realtà - pirandellianamente -può superare di gran lunga la fantasia, ci ha pensato il Ministro Tremonti, alla faccia di Sgarbi e del suo baby sitter Urbani. Con la Patrimonio SPA.. Che è una società appositamente costituita per la gestione, la valorizzazione e l’alienazione - insomma la vendita - dei beni dello Stato, spiagge e boschi inclusi. Tutti. Come si dice in gergo: disponibili, indisponibili e demaniali. Compresi gli scavi di Pompei, il David di Michelangelo, Palazzo Madama e il Quirinale. Che potranno essere passati alla società gemella, la Infrastrutture SPA, quella che farà il Ponte sullo Stretto, che potrà, a sua volta, venderli a privati. Con buona pace di turisti, cittadini ed attuali e futuri inquilini. Che volete farci, sono le Riforme, è l'Italia che cambia e, d'altra parte, è uno spreco tenere tutta sta roba artistica che abbiamo, la metà di tutto quello che c'è al mondo, e non trasformarla in Profitto Che è l’unica cosa che realmente ci necessita... Altro che memoria, valori, arte, democrazia e menate del genere... Così magari venderemo il Colosseo a Previti per far costruire il ponte sullo Stretto a Lunardi.

Si dirà: ma che centra, quella di Totò era una truffa, perché Totò mica era il padrone del Colosseo o della Fontana di Trevi, Tremonti invece è Ministro della Repubblica.... Ministro, appunto, mica proprietario.

Lello Voce, «L'Unità», 17 giugno 2002


La vendita a Napoli, per poco meno di 25 mila euro, della casa di Totò, in via Santa Maria Antesaecula, ha sollevato polemiche. La piccola abitazione, dove da anni vive un’anziana coppia, sarebbe stata acquistata all'asta da un professore. Liliana De Curtis, impegnata per aprire fra breve il museo dedicato al padre, commenta «con vivo dispiacere» la vendita.

«Corriere della Sera», 28 giugno 2002


 

NAPOLI

Adesso rischia di scolorire in una mesta vicenda immobiliare, con due vecchietti in odore di sbratto e la nuova proprietaria dell'appartamento che, a sua volta, reclama un tetto sotto il quale campare. E invece questa storia è tutta un’altra storia perché dentro quelle due stanzette di via Santa Maria Antesaecula 109, venuzza d’asfalto che attraversa il cuore antico del Rione . Sanità, nacque Antonio de Curtis, in arte Totò.

Ebbene, quello che in qualunque altra città sarebbe un luogo gelosamente custodito dalle istituzioni, a Napoli viene venduto all’incanto. Anzi, è già stato venduto all’incanto. E mica d’improvviso. Per ben dieci volte, infatti, l'asta è andata deserta: una volta all’anno da quando, nel 1990, è stata avviata la procedura giudiziaria. La base d’asta era di 16 mila euro, poco più di 30 milioni di vecchie lire. Eppure mai che sia giunta un’offerta: né
dal Comune, né dalla Regione, né da un qualsiasi altro ente. Alla fine, il 21 maggio scorso, s’è fatta avanti una signora di 55 anni, Amelia Canoro, attrice amatoriale. E, senza incontrare alcun ostacolo, ha acquistato l’appartamento per 18.461 euro (circa 36 milioni di vecchie lire).

«Io non lo sapevo che quella era la casa del principe de Curtis — racconta ora la donna. L’ho comprata perché non posso continuare a vivere con mia figlia, il marito, la loro bambina di cinque anni e l’altro mio figlio». Poco hanno da sorridere anche Giulio e Maria Barbella, l’anziana coppia che da tempo abita le due stanzette di via Maria Antesaecula 109 e che, con le offerte di turisti e curiosi, arrotonda il magro bilancio familiare. «Apriamo la porta a qualunque ora, perché siamo noi i primi "devoti" di Totò — spiegano —. Se ci sfratteranno dove andremo? Lontano da qui non potremmo vivere».

E. d’E., «Corriere della Sera», 29 giugno 2002


Per la prima volta nella storia della tv di Stato un evento è stato giudicato degno di essere visto in tutte le regioni dell’arco alpino (compresa la Liguria). Decisione presa dal terzo canale in nome di una identità culturale stabilita solo da Bossi, che su questo assunto ha basato molta della sua propaganda

Maria Novella Oppo, «L'Unità», 8 luglio 2002


«Me li ricordo così: una mattina, a Roma, che attraversavano il quartiere Parioli, vestiti di scuro, eleganti, con il cappello sugli occhi e l’espressione dura, arrabbiata. Sembravano due gangster». Alberto, primogenito dei due figli di Erminio Macario, era un bambino. Ma sapeva che suo padre e «quell’altro» erano attori comici. Quando sentì l’altro, che era Totò, dire: «Maca’, per tanto che uno faccia, tu resti sempre il numero uno» e Macario rispondere: «Ma cosa dici? L'Italia ha due numeri uno», Alberto pensò a una battuta per lui incomprensibile. «Come possono esistere due numeri uno? — mi chiedevo —. Poi, col tempo, ho capito quanto bene si volessero quei due. E perché».

Sono passati cento anni dalla nascita di Erminio Macario (Torino 1902 -1980). Di lui, come attore e personaggio pubblico forse è stato detto tutto. Anche l’altro suo figlio, Mauro, lo ha ricordato con un bel libro, Macario, un comico caduto dalla luna (Baldini & Castoldi). Ma con il figlio maggiore Alberto, pittore, autore di cinema e di teatro, e per alcuni anni in scena insieme con il padre, i ricordi si spingono fin dietro le quinte, escono fuori dai teatri e arrivano dentro ciascuna delle case, trentadue in quarant'anni, in cui Macario portò a vivere i figli e la moglie, Giulia Dardanelli. «Traslocavamo sempre, una vera sofferenza — dice Alberto —. Otto volte nella sola Santa Margherita Ligure, le altre ventiquattro fra Roma, Torino, Genova e Milano.

Ma, sempre, mio padre "isolava" la famiglia da tutto il resto, perché era molto geloso della sua vita privata. Per lui, finito lo spettacolo, cominciava un’altra vita. E lui stesso diventava un’altra persona».

Alberto Macario ha deciso di recuperare la memoria del padre, «anche di quello privato, segreto, nostro, che ci siamo goduti poco», dando vita a un’associazione culturale che per i cento anni allestirà una grande mostra itinerante su Erminio Macario e gli intitolerà un premio. Documenti, locandine, testimonianze, con cui il figlio ricostruisce la figura del padre. «Un bisogno, forse una necessità, perché con noi papà si è aperto soltanto negli ultimi anni della sua vita. Ma è anche una cosa molto divertente e tenera al tempo stesso. Come, per esempio, scoprire che portava cucite sotto la camicia, lui che non era per nulla bigotto o superstizioso, quattro figurine. Aveva, tutte insieme, quella di Don Bosco, di sua mamma Albertina, di Angela Mo, un’attrice che considerava il suo angelo custode, e di Padre Pio, che lo aveva definito "missionario del sorriso"».

Macario però faceva ridere gli altri, il pubblico, «che era la sua seconda famiglia, anzi la prima, quella che lui possedeva e dalla quale era posseduto». In casa, fuori dalla scena, quello stesso Macario, che pure in greco significa «felice, beato», era come Totò. «Un po’ meno triste, forse — dice Alberto —. Ma era serio. Cupo. Determinato. Saldo. Rigoroso. Calcolatore. Sì, proprio nel senso che faceva i conti, contava il denaro degli incassi, era in grado di stabilire subito quanto potesse costare uno spettacolo. Non era avaro. Tutt’altro. Semplicemente, aveva fatto la fame e sapeva quanto fosse importante il denaro». Figuriamoci se poteva negarlo al suo amico Totò. Verso la fine degli anni ’40, Totò gli chiede un prestito per mettere su una compagnia teatrale e Macario gli regala un milione di lire, il compenso più alto che avesse mai ottenuto con il cinema, per il film campione d’incassi Come persi la guerra.

«Totò per lui era speciale. Insieme a Isa Bluette, che aveva scoperto Macario e, come diceva lui, "era la donna che mi ha insegnato a insegnare ad altre cento donne", Totò era l’unico di cui ci parlava con un entusiasmo che andava al di là dell’apprezzamento professionale. Sì, c’erano Metz, Steno, Maccari, Fellini, Tognazzi, Sordi, Bramieri. Però a Macario tutti davano del "lei", persino la sua mitica "spalla" Carlo Rizzo. A dargli del "tu" erano soltanto Ugo Tognazzi, Nino Taranto, Eduardo e Pepino De Filippo, Totò, perché Macario incuteva soggezione, era un capocomico anche nella vita e quindi anche in famiglia. Doveva essere lui a gestire, ad assegnare le parti, a decidere. E fargli cambiare idea non era facile, dovevi prepararti allo scontro. Ma non era ottuso, capiva e rispettava le scelte che non condivideva. Però era inflessibile. Una volta ho ritardato di pochi secondi l’ingresso in scena e mi ha multato. Voleva che non solo lui, ma tutta la compagnia avesse successo. L’invidia e la competizione non lo sfioravano nemmeno». Se non fosse stato così, avrebbe fatto finta di non accorgersi di Totò. Invece, era il 1927, quando lo adocchiò in un café chantant di Milano, che faceva la sua imitazione, Macario si arrabbiò con gli impresari: «Ma porco cane, a questo qui non dovete fargli fare Macario. Lui deve fare Totò».

Nacque un’amicizia, che con gli anni diventò un’intesa profonda, un patto ferreo, un continuo riconoscersi dell’uno nella vita dell’altro. Il napoletano Totò del rione Sanità e il torinese Macario di Porta Palazzo, entrambi cresciuti tra mariuoli e tagliaborse, entrambi senza padre. «Mio padre — ricorda Alberto — aveva dieci anni quando mio nonno Giovanni, un pittore-decoratore, lasciò moglie e quattro figli per andarsene in America, nel Massachusetts, a cercar fortuna. Sette anni dopo, giunse la notizia che nonno Giovanni lo avevano trovato morto a Santiago del Cile. Ma per anni papà, quando gli chiedevamo del nonno, ha evitato di parlarcene. "Voi siete ragazzi fortunati, ripeteva, avete il dovere di apprezzare quello che avete". E poi si rituffava nella lettura dei copioni, con la tazzina del caffè, una sigaretta e un goccio di Punt & Mes. Spesso quei copioni lo irritavano, sosteneva che erano scritti "in festivo", cioè con un linguaggio che aveva pretese letterarie. E allora esponeva la sua teoria, "Per essere efficaci, i dialoghi devono essere rapidi e pensati in dialetto. Poi, nella traduzione in italiano, va mantenuta la costruzione dialettale"».

Con chi, se non con Totò, avrebbe potuto esaltarsi su questa strada? Quando, agli inizi degli anni ’60, comincia a lavorare con Totò per il cinema, Macario tornava a casa entusiasta: «Abbiamo inventato battute a ripetizione — diceva —. Sul copione, come quelle, non ce n’era neanche mezza». Ma poi diventava subito triste e aggiungeva: «Totò ormai mi vede solo come un’ombra». Racconta Alberto: «Totò stava diventando cieco e Macario accettò di affiancarlo sul set per dirigerlo. Papà gli suggeriva come muoversi, da che parte girare la testa e lo sguardo. "Più su, più a destra, ora voltati", gli sussurrava e Totò era bravissimo. Infatti nessuno si è mai accorto di nulla. Che grande lezione di vita». Quando le riprese finivano, Totò abbracciava l’amico: «Maca’, pure oggi ’sta schifezza è terminata».

E insieme se ne tornavano a casa, con le facce scure e gli abiti da boss.

Carlo Vulpio, «Corriere della Sera», 6 agosto 2002


Successo di pubblico per la 13" Rassegna cinematografica nazionale di Borgio, quest'anno dedicata al grande Totò. Al teatro Gassman questa sera due proiezioni: alle 21 l'episodio «La terra vista dalla luna» da «Le streghe» di De Sica-Pasolini (1966), con Ninetto Davoli e Silvana Mangano, a seguire «La Mandragola» (Lattuada, 1965) dall'omonima commedia di Machiavelli, con Rosanna Schiaffino, Philippe Leroy, Romolo Valli, Nilla Pizzi e altri. Lunedì sera tutto dedicato a Pasolini, con la proiezione di «Uccellacci uccellini» (1966) preceduto dal cortometraggio «Totò al circo», episodio medito originariamente inserito in un film e poi non montato, recuperato dalla Fondazione Pasolini e trasmesso unicamente nel 1995 da Retequattro.

Martedì, ultimo giorno, è in programma una tavola rotonda momento dell'approfondimento di Totò sia dal punto di vista artistico (teatro e cinema), sia umano. Saranno presenti il curatore della rassegna e della mostra Claudio Bertieri, Alberto Anile (autore di alcuni fra i più bei libri su Totò), Eugenio Buonaccorsi, docente di storia del Teatro presso l'università e il Dams di Imperia e Sergio Colomba, giornalista e critico autore fra l'altro di un breve saggio su Totò teatrale. Franca Faldini, fedele compagna di Totò nei suoi ultimi quindici anni di vita, ha dovuto declinare l'invito a partecipare a causa di problemi familiari. La tavola rotonda sarà seguita dalla proiezione dell'episodio «Che cosa sono le nuvole?» tratto da «Capriccio all'italiana» di Pasolini (1967). si tratta di un cortometraggio drammatico ma bellissimo ispirato all'Otello di Shakespeare con la partecipazione, fra gli altri, di Ninetto Davoli, Laura Betti, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Domenico Modugno (che ha composto anche la colonna sonora dell'episodio). Sino al 27, dalle 16,30 alle 23, è aperta al pubblico nella sala principale del teatro la mostra composta da 22 pannelli che riprendono attraverso splendidi manifesti cinematografici originali, disegni, caricature, bozzetti, fotografie, la lunga carriera di Totò.

[a. r.], «La Stampa», 25 agosto 2002


Novantasette film, tanti ne interpretò Antonio De Curtis, in arte Totò, tra il 1937 e il 1968. Un forziere di giochi linguistici, battute, figure retoriche, che Fabio Rossi, studioso di linguistica, analizza in questo saggio. Non l'ennesimo «libro su Totò», ma un’analisi serissima, e dai risultati a volte sorprendenti, della rivoluzione verbale, grammaticale e sintattica che Totò perseguì mentre ci faceva ridere. Dall'umorismo surrealista dei primi film al funambolismo verbale degli anni Cinquanta, dal pastiche di lingue straniere deformate e dialetti alla famosa lettera di «Totò, Peppino e... la malafemmina», dall’irrisione dell’arcaismo e del linguaggio burocratico allo stravolgimento dei nomi propri, il percorso di un artista della parola. Nella prefazione, Tullio De Mauro parla di un Totò «grande drammaturgo e onomaturgo».

«L'Unità», 31 agosto 2002


Roma dedica una statua a Totò. Tra poco più di un mese, il busto in bronzo del «Principe della risata» dominerà piazza Cola di Rienzo, dalla parte del cinema Eden. Il via libera al progetto che, inizialmente prevedeva l'installazione del busto a piazza Cavour, vicino allo statista piemontese, è stato dato nei giorni scorsi dal presidente del XVII municipio Roberto Vemarelli dopo un sopralluogo e la riunione di una Commissione del Comune.

«Finalmente — dice il poeta Alberto De Marco dell'associazione "Amici di Totò...a prescindere" — il "principe" avrà una statua nella città che tanto amava e dove decise di vivere e lavorare. La scelta di Prati non è casuale visto che proprio da questo quartiere pieno di storici teatri come l'Adriano, il Principe e lo Smeraldo, Totò mosse i suoi primi passi d'attore».

Intanto resta custodito in un antico laboratorio della Magliana il busto in bronzo del grande attore, realizzato dalla scultrice Maria Stifini alto, compresa la base, due metri e mezzo e che ricorderà il trentacinquesimo anniversario della morte di Totò avvenuta il 15 aprile del 1967 (era nato il 15 febbraio del 1898). L'espressione contemplativa e austera, priva di ghigni o smorfie, che l’artista ha voluto per Totò è stata ripresa dalle foto private dell’attore.

«L'opera — spiega con soddisfazione la figlia Liliana de Curtis — lo raffigura come un elegante signore, qual era fuori dal palcoscenico. Papà era grato a Roma per come lo aveva accolto e per tutto quello che gli aveva dato. Per questo è straordinario che proprio in questa città si sia deciso di dedicargli una statua. In Prati, poi, papà cominciò a lavorare e a vivere. La nostra prima casa infatti si trovava in via Tibullo e solo più tardi ci trasferimmo ai Parìoli».

Non nasconde la sua soddisfazione anche l'assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna, grande estimatore di Totò: «Un busto del grande attore in Prati ricorderà anche la sua importante attività artistica. Il progetto iniziale di piazza Cavour era purtroppo impossibile da realizzare, visto che la piazza è tutelata dallo Stato».

E dopo Roma, toccherà a Valmontone. Il sindaco Angelo Miele ha deciso di installare una replica del busto che andrà in piazza Cola di Rienzo in una piazzola antistante la stazione che si chiamerà Largo Totò. La statua guarderà un grande albero che alla fine della seconda guerra mondiale fu sradicato dai bombardamenti. Totò, che si era rifugiato per un breve periodo a Valmontone, lo fece subito ripiantare. Ma non è tutto: a Totò, il 28 settembre prossimo, verrà intitolato anche un cinema che ospiterà una rassegna dei suoi film più famosi.

Anna Merola, «Corriere della Sera», 20 settembre 2002


RASSEGNA Omaggio a Totò, il prìncipe della risata

Un mese dedicato a uno dei grandissimi della risata. Si inaugura stasera a Valmontone, in provincia di Roma, «Un principe chiamato Totò», una rassegna con mostre, proiezioni e spettacoli teatrali, dedicata al grande attore napoletano che durante la seconda guerra mondiale fu ospitato per qualche tempo proprio nel centro della Casilina. Stasera Liliana De Curtis, unica figlia dell'artista, e i due nipoti, interverranno alle ore 18 all'inaugurazione della mostra a Palazzo Doria Pamphilj. Attraverso la ricostruzione dell'itinerario artistico di Totò, le curatrici dell'evento, Gianna Licchetta e Diana De Curtis, intendono narrare la dimensione di autore e ; personaggio oltre alla dimensione privata del comico. Durante la mostra, saranno proiettati alcuni dei più popolari film del comico.

La rassegna sarà accompagnata dall'esposizione di alcune opere ispirate a Totò realizzate dall'artista Andrea Petrone. Fra gli appuntamenti in calendario, il 19 ottobre andrà in scena al Cine Teatro Valle l'adattamento del film «Totò, Peppino e la malafemmena», versione diretta e interpretata da Antonello Avallone. Le celebrazioni si chiuderanno il 27 ottobre con l'inaugurazione di un busto raffigurante Totò.

VALMONTONE da oggi allo 18 fino al 27 ottobre, Palazzo Doria Pamphilj

«Corriere della Sera», 28 settembre 2002


Totò «doppiato»? Un fatto forse noto agli addetti ai lavori, addirittura uno choc per i tantissimi fan del principe de Curtis. Eppure è cosi: Totò, dal 1961 in poi, fu doppiato in una grande quantità di scene, in particolare girate all'aperto, quando i rumori esterni impedivano la presa diretta del sonoro. Problemi alla vista impedivano all'attore di sincronizzare il movimento delle labbra con le immagini e si rese così necessario affidarsi a un doppiatore.

La «rivelazione» è del famigerato trio della First National Longobardi-Quagliotti-Bassi, forse i maggiori esperti di storia del doppiaggio in Italia. Al «Festival nazionale del doppiaggio cinematografico e televisivo» di Finale Ligure hanno presentato un omaggio alle voci che dall'ombra hanno fatto parlare il grande comico napoletano. Nell'edizione scorsa della manifestazione era toccato a Stanlio e Ollio, venti minuti di gag comiche attraverso tutti gli attori italiani che a Crick e Crock hanno prestato la voce, a cominciare da Alberto Sordi nei panni di Ollio e Mauro Zambuto in quelli di Stanlio. Quest'anno è toccato al principe Antonio de Curtis, in arte Totò.

«Con il lavoro fatto per Stanlio e Ollio abbiamo capito che eravamo sulla strada giusta - spiega Franco Longobardi -. Non un collage di spezzoni, ma un vero e proprio film breve che potesse divertire il pubblico, non un discorso per soli cinefili. Fra le oltre cento pellicole girate in trent'anni da Totò abbiamo selezionato le 18 in cui era stato doppiato e ne abbiamo fatto una serie di sketch compiuti di dodici minuti con, in ordine cronologico, tutte le voci che gh erano state "imprestate". Il miglior doppiatore rimane comunque Carlo Croccolo, grandissimo attore tuttora in attività, che con Totò ha lavorato moltissime volte come spalla o comprimario».

A scegliere Croccolo - che già aveva interpretato Oliver Hardy Ollio come proprio doppiatore fu lo stesso de Curtis, talmente ben «imitato» da non riuscire egli stesso a capire, in fase di proiezione, quando fosse la propria voce a parlare e quando quella del doppiatore. Alla fantasia e alla tecnica di Croccolo è attribuita una geniale intuizione in «Totò Diabolik». Travestito da donna, Totò rivelò un'inaspettata somiglianza con Tina Pica. Croccolo, allora, inventò una voce che era esattamente una via di mezzo fra quella del principe de Curtis e quella della grande attrice napoletana.

Ma non fu solo Carlo Croccolo a prestare la voce a Totò. In «Totò a Parigi», il comico interpretava due parti, la propria e quella di un gangster francese. Per questo secondo ruolo fu scelta la voce di Emilio Cigoli, doppiatore di Jean Gabin in «Grìsbi».

Il lavoro di ricerca di Longobardi-Quaghotti-Bassi ha però rivelato episodi ancora più inattesi. Come l'unico caso in cui Totò fu a sua volta doppiatore, e non un oscuro episodio di inizi carriera, ma un lavoro degli anni di maggior fulgore del grande comico napoletano. Il titolo era, in Italia, «La vergine di Tripoli», film americano d'avventura mal nato e mal riuscito. Visto il poco glorioso risultato, gli stessi produttori decisero di accentuarne l'aspetto comico e a tale scopo introdussero la figura di un cammello parlante. Ebbene, la voce del cammello in Italia fu nientemeno che quella del principe Antonio de Curtis, universalmente noto come Totò.

Giorgio Destefanis, «La Stampa», 30 settembre 2002


«Cerco di entrare nell’intimo del personaggio, anche attraverso filmati e testimonianze»

Segreti, pensieri, poesie, testimonianze dirette e tre canzoni inedite: «Nel cuore di Totò», si intitola lo spettacolo di cui c protagonista Mariangela D'Abbraccio, accompagnata da un gruppo di musicisti (Giamoco Zumpano al pianoforte, Roberto Valle chitarra, Giovanni Pieri violoncello, Mauro Colavecchio percussioni, ricerche musicali di Vincenzo Mollica) da oggi al 3 novembre al Teatro Sala Umberto, con la drammaturgia e la regia di Marco Mattolini.

Spiega l'attrice, che insieme a Luca De Filippo sta lavorando a una nuova edizione di «Napoli milionaria», che dovrebbe debuttare al San Carlo di Napoli con la regia di Francesco Rosi: «Canterò solo 20 canzoni delle oltre cinquanta che Totò ha scritto. Ma lo spettacolo intende attraversare tutta la vita soprattutto privata del grande attore. E, nella sua vita, anche gli incontri fondamentali che egli ebbe: al primo posto le donne importanti, poi alcuni personaggi come Fellini, Pasolini, naturalmente la Magnani...».

Cominciamo dalle donne.

«Uno spazio particolare è riservato a Liliana Castagnola, la soubrette che morì suicida per amore di lui: proprio la sua storia drammatica, ma carica di passione, funge da filo conduttore di tutta la rappresentazione. Liliana, infatti, si innamorò perdutamente di Totò e fu per lui il primo grande amore, ma purtroppo l'allora giovanissimo Antonio de Curtis non riusciva a essere sereno in questa relazione. Lei era già famosa, gli uomini impazzivano per la sua bellezza, compiendo delle vere e proprie follie. Totò era gelosissimo e non credeva che Liliana fosse realmente innamorata, ne aveva paura, la avvertiva come una donna pericolosa. Questa mancanza di fiducia portò la donna al gesto estremo di togliersi la vita: e di questo Totò si pentì amaramente per tutta la vita. Per omaggio a lei, chiamò Liliana la figlia che poi ebbe dalla moglie Diana».

A proposito di donne pericolose, per chi Totò scrisse veramente la canzone «Malafemmina»?

«Non fu scritta per la Pampanini, come è stato detto. Fu proprio Totò che una volta disse alla sua seconda importante compagna Franca Faldini: "Silvana è una ragazza tanto per bene, non potevo certo darle della malafemmina...". La canzone fu dedicata in realtà a Diana: la separazione da lei fece soffrire molto Totò che, quasi di getto, compose il brano. E proprio con questo brano ebbe un incredibile successo: con i soldi che guadagnò, per i diritti d’autore, comprò un appartamento che poi regalo proprio alla ex moglie, dicendole "Questi soldi ti appartengono"».

Quali sono le canzoni inedite?

«"Me diciste ’na sera", "Me so’ scurdato ’e te", "Dincello mamma mia". Ma lo spettacolo cerca di scoprire anche altri inediti pensieri, di entrare nell'intimo, avvalendosi di testimonianze, di materiali cinematografici, oltreché di ricerche musicali».

Fra cinema e letteratura, lei è impegnata anche in un altro importante progetto: lo messinscena teatrale di «Memorie di una ladra», romanzo di Dacia Marami che l’autrice sta adattando al palcoscenico e da cui fu tratto il film «Teresa la ladra» con Monica Vitti. In che modo il testo viene ricondotto al teatro?

«Il testo diventa un bellissimo pretesto per raccontare, attraverso la storia di una donna, le vicende d’Italia dal dopoguerra a oggi. La protagonista nasce nei primi anni del secolo scorso e la sua avventura esistenziale, per lo più drammatica, percorre un bel pezzo della nostra storia, fino agli anni Settanta. Quella di Teresa e una storia di emarginazione, di carcere, di manicomio, ma sullo sfondo sfilano anche il costume, le mode italiane attraverso gli anni. Insomma, lo spettacolo racconta soprattutto vicende popolari di gente comune».

Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 15 ottobre 2002


È morto ieri, all’età di 93 anni, l’avvocato Eugenio De Simone, il penalista grazie al quale Totò potè aggiungere al nome plebeo di Antonio De Curtis il titolo di principe di Bisanzio. Nato a Torre Annunziata (Napoli) il 3 gennaio 1909, De Simone non era sposato e viveva nel quartiere Prati.

«Corriere della Sera», 25 novembre 2002


Oggi a Roma sarà la giornata di Totò. Si comincia a mezzogiorno con una prima cerimonia dove verrà scoperta, a piazza Cola di Rienzo, la statua del Principe della risata. Prima, la figlia di Totò, Liliana de Curtis, e Carlo Croccolo, Mario Monicelli, Riccardo Pazzaglia, Luciano De Crescenzo, il sindaco Veltroni, l'assessore alla Cultura Gianni Borgna e molti altri estimatori di Totò, si daranno appuntamento al cinema Eden per ricordare il grande artista napoletano con uno spettacolo. «L'omaggio a Totò - dice il poeta Alberto De Marco dell'associazione "Amici di Totò...a prescindere" e promotore dell'iniziativa - continuerà nel pomeriggio».

Alle 15.30 l'omaggio andrà in diretta dalla piazza per Telethon, e alle 18.30 la statua si coprirà e si riscoprirà. Il motivo? Ai funerali di Totò seguirono altre due celebrazioni per ricordarlo e, soprattutto, per ospitare tutte le persone che L’immagine di Totò volevano salutarlo l’ultima volta. «Così noi, certi di accontentare i romani, inaugureremo la statua due volte».

Il busto in bronzo della scultrice Maria Stifini dominerà piazza Cola di Rienzo, dalla parte del cinema Eden. L’espressione contemplativa e austera, priva di ghigni o smorfie, che l’artista ha voluto per Totò è stata ripresa dalle foto private dell’attore. L'opera ricorda il 35esimo anniversario della morte di Totò avvenuta il 15 aprile del 1967. «La scelta di Prati - spiega la figlia dell'attore Liliana de Curtis -non è casuale, proprio da questo quartiere pieno di storici teatri come l Adriano, il Principe e lo Smeraldo, papà mosse i suoi primi passi d'attore. Era grato a Roma per come lo aveva accolto».

A. M., «Corriere della Sera», 14 dicembre 2002


Totò, il grande «linguista» (così lo hanno definito ieri il sindaco Veltroni e l'assessore Borgna) ha ricevuto un grande omaggio da Roma: una statua in una piazza importante della città, un tributo che nella capitale viene concesso di rado, ma per il Principe della risata, lascia intuire l’assessore alla Cultura Gianni Borgna ricordando gli intoppi burocratici che nacquero a Trastevere per apporre una piccola targa sulla casa natale del romanissimo Claudio Villa, si è fatta un'eccezione.

Ieri è stata festa grande a piazza Cola Di Rienzo per l'inaugurazione, organizzata dall'associazione «Amici di Totò.. .a prescindere», del busto di Totò realizzato dalla scultrice Maria Stifini. Carabinieri a cavallo, saluti di antichi romani (centurioni, senatori, legionari, pretoriani e vestali) con rulli di tamburo all'entrata al cinema Eden del sindaco Veltroni e tanti ricordi commossi nel quartiere dove Totò ha lavorato e vissuto.

La figlia Liliana de Curtis. cogli occhi lucidi, non ha smesso di abbracciare personaggi noti, ma soprattutto gente comune. «Grazie, grazie di cuore per le risate che mi ha regalato tuo papà». «Sei uguale a Totò, posso farti una foto?». «Lui sì che era un grande e sta statua se la merita proprio, bravo Veltroni». E il sindaco ha spiegato che il suo genio pari a quelli di Charlie Chaplin e Buster Keaton, «era giusto ricordarlo con qualcosa che rimanesse nel tempo anche se Totò c'è in ogni momento della nostra giornata, quando ci scappa all'improvviso un'espressione tutta sua».

«Parli come badi», «Ogni limite ha una pazienza», «Ma mi faccia il piacere...» Ieri nessuno ha resistito a non accennare un termine, un'espressione dei suoi film. Riccardo Pazzaglia ha ricordato gli inizi di Totò nei teatrini di Foria, quando il capocomico gli raccomandava di non far ridere per non rubare la scena e più lui stava serio, più la gente rideva. «Ma il guaio - ha detto Luciano De Crescenzo - è che Totò è stato scoperto dopo perché la critica, si sa, è allergica alla risata, perciò non vedo l'ora di morire...»

Anna Merola, «Corriere dell'Informazione», 15 dicembre 2002


2003

Sdoganato criticamente (ma a volte con altrettanta superficialità di quando veniva ignorato e stroncato), Totò non ha ancora finito di svelarci i tesori della sua arte. La collana dvd della Ripley (in vendita a 19,99 € l'uno) sembra intenzionata a colmare un bel po’ di lacune, specie sul piano della filologia (con delle belle copie, restaurate anche nel suono) e dell'analisi storica. Questa parte, supervisionata da Alberto Anile, è forse la sorpresa migliore della collana, con molti e curiosi extra, su cui spiccano le interviste. Come quella a Carlo Croccolo (per 47 morto che parla) dove l'attore rivela come Totò preparasse i duetti; o alla compagna Franca Faldini (per Gli onorevoli) che sfata le simpatie monarchiche del principe De Curtis; o ancora a Isa Bellini, già componente del Trio Primavera, che ripercorre la lavorazione di L’allegro fantasma. E poi molti estratti dai cinegiornali dell'epoca, trailer originali (che a volle erano modificati a secondo che fossero pensati per il pubblico del Nord o del Sud: vedi Gli onorevoli) e tante curiosità, come il «pesce democristiano» che oscura la visione della Barzizza nuda in Fifa e arena.

Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera», 4 gennaio 2003


E’ un giorno, quello del 20 settembre, che ha segnato in modo indelebile la storia d’Italia, ma nel nostro caso ci riferiamo sia chiaro non al 20 settembre 1870, quello di Porta Pia a Roma che sancì la fine del potere temporale dei Papi, ma al 20 settembre 1958, quello che vide la chiusura delle case di tolleranza gestite dallo Stato, i casini, secondo quanto stabilito dalla legge Merlin, così chiamata dal nome della sua prima promotrice, la parlamentare socialista Lina Merlin. Ma allora perché siamo nel 1959?

Semplicemente perché “Risveglio” passò sotto silenzio, e non riusciamo a spiegarcene il perché, quell’evento che pure determinava un vero scombussolamento esistenziale nelle abitudini del maschio italiano e che pure a Domodossola ebbe i suoi effetti. E dire che il giornale un anno prima, e precisamente nel numero del 6 novembre 1957, pubblicava nella cronaca domese una lettera, titolo “Troppo baccano intorno a... quella casa”, dove il lettore D.C. dava sfogo al suo disagio di cittadino abitante nei pressi, appunto di quella casa a Domodossola: «Individui, provenienti dalla città e dalle valli infestano (mamma mia!) giorno e notte la locale casa di tolleranza, specie a fine settimana, creando nelle famiglie abitanti nei pressi della suddetta casa situazioni imbarazzanti e insostenibili. Non solo si assiste quotidianamente a vocianti e indiscrete combriccole di frequentatori, ma non di rado si creano piccoli assembramenti (...) i quali incuranti di ogni forma di civiltà innalzano canti e urla irripetibili...».

Erano queste però le rimostranze di un cittadino che non aveva nulla contro il più antico mestiere del mondo. Infatti aggiungeva: «Sono d'accordo sulla libertà di frequentare quelle case, su questo punto vorrei non essere frainteso, in quanto non intendo affatto tramutarmi in emulo della senatrice Merlin o provocare una questione di fondo». Quello che interessava a D.C. era il decoro della convivenza: «E’ l'indiscretissima sfacciataggine di numerosi clienti che intendo colpire, perchè essa può anche influire negativamente sulla moralità dei giovani così come offende pudore e dignità nei maggiori». La problematica, come si direbbe oggi, era quindi ben presente a “Risveglio", il quale però tornò sulla faccenda solo nel 1959, il nostro anno, con un ponderoso articolo in difesa della legge e paradossalmente titolato "Tutta colpa della Merlin".

Lo spunto era la relazione del ministero degli Interni e le reazioni registrate a pochi mesi dall'entrata in vigore della legge. Questo potevano leggere gli ossolani sul loro giornale nel numero del 3 giugno: “L'attacco concentrico al quale ci è dato di assistere in questi giorni contro la legge Merlin e contro colei che per più di un decennio ne è stata la strenua assertrice (...) rivela soprattutto il sopravvivere di torbidi complessi di provincialismo, di gallismo, di timore del nuovo, di paura della libertà, dietro i quali si nascondono grossi interessi e forse pure vergognose complicità».

Ma cosa sosteneva il ministero degli Interni nella sua relazione? In essa erano esposti i timori che l’applicazione della legge Merlin potesse provocare un aumento delle malattie veneree (l’Aids era di là da venire): che l’immissione sul mercato libero delle “signorine" delle case chiuse potesse accrescere i pericoli per la pubblica moralità; e si evidenziava che dopo l’applicazione della legge vi era stato un pauroso aumento dei delitti a sfondo sessuale. Di fronte a queste preoccupazioni degli organi della polizia “Risveglio", nel suo articolo, accusava i governi italiani di aver fatto ben poco per rendere possibile un sistema di assistenza e di aiuti e non fletteva dalla sua posizione assolutamente favorevole ad una legge che aveva portato «all'abolizione di uno dei più orribili residui del sistema di avvilimento e di sfruttamento noto sotto la designazione di regolamentazione della prostituzione».

E’ evidente la posizione alta del giornale, da muro contro muro, che non era disposto ad accettare nessuna delle obiezioni, giuste o sbagliate che fossero, sollevate dai critici della legge e difendeva a spada tratta la senatrice Merlin dalle contestazioni (“plateali ingiurie”) rivoltele da una certa parte della stampa che «sono l'espressione di uno spirito inguaribilmente schiavista e forcaiolo, ma sono anche l’espressione di un basso grado di civiltà, di una incapacità di discutere seriamente i problemi, tutto sommato di una cattiva coscienza». A stemperare i toni di una polemica che nasceva da effettive situazioni di disagio sociale, ci pensava per fortuna il cinema, e così, come ci informa "Risveglio", per le festività natalizie del 1959, sullo scottante tema dell'abolizione delle case chiuse, arrivava anche a Domodossola al Catena il successo dell’anno, la commedia di Mauro Bolognini “Arrangiatevi!” con Totò e Peppino De Filippo.

Da riderci su, insomma, anche se, dati i tempi, quel film fosse vietato ai minori di 16 anni.

Giuseppe Manera, «Eco - Risveglio di Ossola», 13 febbraio 2003


Non solo dipinti, mobili antichi, lampade d'epoca. Da oggi le vetrine di via dei Coronari si arricchiscono per la manifestazione «Antiquariato, Arte e non solo», annuale appuntamento cui parteciperà Liliana de Curtis, la figlia del grande Totò. Locandine originali dei tanti film di Totò saranno esposte e messe in vendita: i proventi saranno devoluti alla CSI, associazione impegnata per liberare i bambini schiavi nel Sudan.

VIA DEI CORONARI orario continuato sabato e domenica, info: 06.3612322

«Corriere della Sera», 10 maggio 2003


E se Francesco Rosi decidesse di fame un film? Pochi, più di lui ne avrebbero il diritto: in quanto napoletano, in quanto appassionato uomo di teatro e di spettacolo, in quanto cineasta attento al valore arile e politico dei film, in quanto testimone di quei tempi (è nato il 15 novembre del ‘22). Sarebbe una bella idea, fermo restando che un film da Napoli milionaria esiste già: lo diresse lo stesso Eduardo nel 1950 ed è uno dei più curiosi episodi di una storia discontinua, importante, istruttiva. La storia del difficile rapporto fra Eduardo e il cinema. Volendo riassumere tutto in uno slogan, Napoli milionaria è il film in cui Eduardo incontra Totò. I due non si conoscevano, se non a distanza e di fama, è ovvio. Galeotto fu il produttore del Blim, Dino De Laurentiis, che convinse il sommo drammaturgo a includere nel testo una parte per il sommo comico.

I due si incontrarono e, stando alle testimonianze d'epoca, si piacquero: pare che Eduardo abbia raccontato a De Laurentiis di essersi «inginocchiato» davanti al principe. In fase di sceneggiatura, Eduardo praticamente «sdoppiò» il proprio personaggio, quello di Gennaro Jovine, e regalò a Totò la geniale gag del finto morto, che l'attore interpretò da par suo. Rimane un esempio, praticamente unico, della collaborazione fra i due massimi geni dello spettacolo napoletano del ‘900: i due figurano assieme anche nel cast dell'Oro di Napoli, emetto da Vittorio De Sica nel ‘54, ma recitavano in episodi diversi (Totò in quello del «pazzariello», Eduardo in quello, giustamente mitico, del «pemacchio»), Il film da Napoli milionaria, uscito subito dopo l'inizio della guerra di Corea (e in piena guerra fredda), mantenne intatte le suggestioni politiche del testo, facendo capire a chi voleva capire che la «nudata» era tutt'altro che «passata». Oltre a Totò e a Eduardo, il cast comprendeva svariati fuoriclasse: Leda Gloria, Delia Scala, la grande Titina e i rappresentanti di altre illustri dinastie napoletane, come Dante Maggio ed entrambi i fratelli Giufìré, Aldo e Carlo. C'era anche, nella piccola parte del ragioniere Spasiani, un altro maestro del cinema e della letteratura: Mario Soldati.

Era la terza regia cinematografica di Eduardo dopo i tentativi di In campagna è caduta una stella (1939) e Ti conosco, mascherina! (1943). Come attore, invece, Eduardo ama cominciato a frequentare gli studi cinematografici fin dal 1933 (Tre uomini in frack, di Mario Bonnard). Nel ‘37 il film Sono stato io!, di Raffaello Matarazzo, ama offerto ai tre De Filippo (Eduardo, Peppino e Titina) una rara occasione di far cinema in squadra prima della traumatica separazione tra i due fratelli. Si può dire che da Napoli milionaria in poi il rapporto fra Eduardo e il cinema si infittisce, ma non diventa mai d'amore: era soprattutto una cospicua fonte di guadagno. Alla fine diresse 13 titoli, episodi compresi senza mai trovare una vera «cifra» personale come cineasta. Il film dell'Eduardo regista che meriterebbe di essere rivisto è Napoletani a Milano, del ‘53, sorta di utopica e agrodolce riconciliazione fra le due uniche metropoli italiane, cosi diverse e cosi spesso costrette, per motivi di emigrazione e di pregiudizi, a confrontarsi l una con l'altra.

Mentre per quanto concerne l'Eduardo attore ci piace sempre ricordare Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli (1961), deliziosa commedia spiritica dalla quale esala una serena accettazione della morte che ha pochi eguali nel nostro cinema (strepitosi cammei, accanto al nostro, di Marcello Mastroianni, di Vittorio Gassman, di Lilla Brignone e di Tino Buazzelli). È lì die Eduardo legge un «noir» americano, prima di addormentarsi e si impappina sulla celebre frase «che fa Bob a Malibu?». Pronunciata alla napoletana, con tutte le «b» doppie, diventa uno dei più buffi scioglilingua del nostro cinema. Al livello di «hello hello America me senti?» di Sordi. O di «Aritanga romba cojota» di Manfredi in Riusciranno i nostri eroi. O di «s-s-stròzzatecevene» di Gassman nei Soliti ignoti. Borbottìi che sono sepolti nella nostra memoria, e che per fortuna non l'abbandoneranno mai.

Alberto Crespi, «L'Unità», 1 giugno 2003


I giochi di parole e le figure retoriche nei film di Totò, l'infrazione della frase fatta, il fraintendimento: «ai postumi, l'ardua sentenza», «non tutti i mali vengono per suocere».

Ricordo che Totò in un film sta per sposarsi ed avere una suocera, che nell'eventualità che muoia, gli fa dire "non tutti ì mali vengono per suocere". Amava infinitamente giocare con la lingua. Nei suoi film sì possono cogliere le figure retoriche più complicate. Il gioco consisteva anche nello sfruttare moltissimo, come del resto ogni comico, alcuni elementi distintivi del parlato. Tipico l'effetto d'eco, che sì riscontra a volte in lingua o nei dialetti quando uno stesso enunciato viene concluso con la ripetizione della sua parte iniziale, spesso spezzata, un fenomeno ancora corrente nel romanesco; noi lo chiamiamo "foderamento" o "frase foderata" o "frase ad eco", tipo romano "si t'acchiappo, sitta", che Totò richiama in "mi ci costringi mici", "il babbo non si frega nonsi".

Da una parte il rispecchiamento, dall'altra l'allontanamento dai modi di dire correnti, l'infraziohe ("È meglio cento giorni di galera che un sol giorno con il leone"), il discostarsi dall'automatismo della frase fatta, dal modo normale dì parlare, ora invertendo l'ordine della collocazione ("Desto o son sogno?"), ora sostituendo vocali, consonanti ("volare è potare"; "i pacchi sono pacchi") o una parola (una "sedia a gas", le "mutande dì forza", "in maniche di mutande"). A Peppino che chiede una penna biro, "chi usa biro campa cent'anni" risponde, a Lucia Zoppelli che gli dice "lei è senza alcun vìncolo" intendendo che non è sposato, Totò risponde "sono in un vincolo cieco", e di un tale Totò riferisce che è morto dì "infarto maligno", e dì un altro "Lei per me rappresenta un caso chiuso. E se vuole ricorra pure alla senatrice Merlin", oppure "Ai postumi, l'ardua sentenza".

Ma qui sì tratta già dì fraintendimento. Perché da quando c'è commedia, sulla scena si cerca sempre di non far funzionare la conversazione. Sì mettono continuamente in gioco le figure dell'ambiguità e del fraintendimento. Tipico caso, l'interpretare in senso traslato quello che l'interlocutore interpreta in senso reale. Quando in un film Carlo Ninchi dice a Totò "Mi ha messo una pulce nell'orecchio", Totò risponde "ma che so' scherzi che sì fanno. Si mette la pulce nell'orecchio a un signore galantuomo. [...] La pulce può forare il timpano e va sulla tromba d'Eustachio"; così quando Gino Cervi dice "soprassediamo" Totò subito risponde, benissimo, "sediamoci sopra", e al sentir l'espressione "due miliardi e rotti" Totò domanda "chi lì ha rotti?", e quando Nino Taranto gli chiede ma "perché hai menato il can per l'aia?" Totò stupito subito chiede "quale cane?". Fraintendimenti continui: quando in Le sei mogli di Barbablù il padrone illustra la dignità storica della propria dimora, "un castello dei Medici" dice, Totò immediatamente: "era un ospedale?".

Gian Luigi Beccaria, «La Stampa», 21 giugno 2003


Da una ricerca statistica è emerso che l'italiano rìde mediamente cinque minuti al giorno. Persin troppi, verrebbe da dire, a guardarsi intorno nella disperazione di quest'era del Cavaliere, ma in realtà troppo pochi perché - ci dicono gli scienziati - si dovrebbe rìdere almeno mezz'ora al giorno per stare bene: e cioè prevenire l'infarto, digerire, stirare le rughe, dormire sereni, guidare rilassati... Ben venga quindi «Culinaria Risinterra», originale viaggio gastro-umoristico nell'arte in corso sino a domenica 24 agosto a San Salvo, località di mare dell' Adriatico, da cinque anni Bandiera Blu. Fra grigliate di pesce e succulente pesche (delle quali sarebbe ghiotta la Regina d'Inghilterra...) qui è successo e succede di tutto. Ad iniziare dal doveroso omaggio ad Aldo Fabrizi con la mostra di vignette «Aldo al caldo» realizzate da noti autori come Dario Ballantini, Massimo Bonfatti, Franco Bruna, Corrado Mastrantuono, Beppe Mora, Giuseppe Palumbo, Danilo Paparelli, Achille Superbi... allestita nella «Casa della cultura», con un catalogo che propone i disegni alternati alle ricette in forma di poesia di Aldo Fabrìzi.

«Dopo l'esordio di San Salvo - spiega il vulcanico organizzatore Michele Rossi - la mostra sarà in viaggio in Italia per celebrare il grande attore romano del quale ricorrerà il centenario della nascita nel 2005». Momento di grande goduria è stata la serata che ha visto la ricomposizione della celebre, inarrivabile, coppia formata da Aldo Fabrìzi e Totò, complici sullo schermo di irresistibili vicende e grandi amici nella quotidianità. Liliana de Curtis, l'adorata figlia di Totò, ha presentato con la giornalista Matilde Amorosi il libro Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà che, edito da Rizzoli, è un'antologia che raccoglie le ricette della famiglia de Curtis. Un bell'incontro caratterizzato dal grande gusto del raccontare che caratterizza gli appuntamenti con Liliana nel segno dell'immortalità di Totò esaltata dall' intelligenza della parola e del gesto.

Come ha dimostrato, se ancora ce ne fosse il bisogno, la proiezione del film Totò, Fabrìzi ed i giovani d'oggi, realizzato nel 1960 dal regista Mario Mattoli, divertente reinterpretazione del dramma Giulietta e Romeo per lo scontro fra i padri dei due fidanzati: Totò è il pasticcere Cocozza e Fabrizi il ragioniere D'Amore sempre in lite fra loro sino al giorno delle inevitabili nozze in un festival di gag. Alla coppia dobbiamo, riconoscenti, altri spassosissimi film come I Tartassati (con De Funés) del 1959, La legge è legge (1958) e soprattutto Guardie e ladri del 1951 nel quale ci sono dialoghi entrati nella storia del cinema. Liliana De Curtis ha presieduto la giuria che, all'unanimità, ha assegnato il premio «Gastrhoinoridens» (ovvero il primo concorso italiano per comici rigorosamente a tema eno-gastronomico) a Claudio Fois di Roma che parteciperà quindi di diritto all'undicesima edizione del festival nazional del cabaret «BravoGrazie» in programma a gennaio a Saint Vincent (Aosta). Con Fois è stato premiato anche del vincitore del concorso di letteratura umoristica «Penne comiche», il senese Alessandro Valenti. E come se non bastasse, i ristoranti della zona propongono piatti tratti dai ricettari di Aldo Fabrizi e Totò. Insomma, se proprio non si vuole ridere e star bene, è bene evitare San Salvo... Info: 0873.3401

Alberto Gedda, «L'Unità», 22 agosto 2003


Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 5 ottobre 2003


Chissà come avrebbe reagito il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, a vedere questa mostra un po' paradossale, che vede le sue gigantografie in bianco e nero sparpagliate tra i gessi candidi delle statue dentro un museo di arte classica. Il grande comico napoletano, con l’immancabile bombetta e i pantaloni alla saltafosso, fa capolino tra un Apollo e una Cleopatra, mentre al centro delle varie sale sono state montate delle teche che racchiudono i suoi cimeli. In una è esposta una lettera con l'intestazione del Senato della Repubblica: è datata 2 febbraio 1957 ed e firmata da Umberto Terracini. «Rientrato ora da un lungo viaggio nella Cina - scrive a Totò il senatore - ritengo di fare cosa che Le tornerà gradita inviandoLe due riviste cinematografiche di quel paese nelle quali il film italiano "Guardie e ladri”, di cui Ella è stato creatore felicissimo in uno con Aldo Fabrizi, figura al posto d'onore e cioè in copertina, oltre naturalmente le pagine interne che gli sono dedicate. Unisco anche un’istantanea di Chung King che riproduce l’esterno del cinematografo nel quale lo stesso film è stato proiettato per molti giorni, annunziato al pubblico da un grande cartellone a colori issato sull’edifìcio».

Farebbe piacere saperne di più su questa storia del successo dei film di Totò in una Cina che era già da dieci anni sotto il governo comunista di Mao Tse Tung. Purtroppo non esistono guide, né cataloghi, né pannelli esplicativi. I materiali sono stati raccolti e presentati alla rinfusa.

«Avremo un catalogo fra tre anni» - fa sapere Carlo Molfesce l'imprcsario napoletano che ha organizzato l'esposizione insieme alla figlia di Totò, Liliana, alla nipote Diana e a Gianna Licchetta. Perché fra tre anni? «Perché soltanto allora la mostra, che gira per Pltalia dal 2001), sarà conclusa. Liliana e Diana stanno mettendo in ordine i materiali che hanno ereditato».

Nell'attesa non resta che osservare quello che viene offerto, e non è poco: dai documenti che testimoniano i tentativi di Totò di vedersi riconosciuto il titolo di principe al «diploma» ottenuto per «un'opera di poesia», dall'ultima lettera scritta dalla chanteuse Liliana Castagnola, suicida nel 1930 per amore del comico, alla patente di guida con la foto che lo mostra con l'eterna sigaretta tra le dita. E poi un’infinità di immagini di scena e di manifesti cinematografici e una raccolta dei disegni che Federico Fellini dedicò all'«omino lunare».

Lauretta Colonnelli, «Corriere della Sera», 7 ottobre 2003


Totò e le donne, un titolo di un film e un rebus: chi le ha create è stato un grand’uomo, non voglio saper chi è stato, forse 'u Padreterno, scriveva l'attore. Ecco che un nuovo libro entra nell'universo segreto, tutto da scoprire, degli incontri ravvicinati del principe de Curtis col genere femminile, iniziando dal più classico e controverso dei rapporti, quello con la madre (invece che Napoli sembra la Stoccolma di Bergman), per continuare con le due adorate compagne della sua vita. Diana Rogliani e Franca Faldini, una donna che per lui si suicidò, l'amata figlia Liliana e i tre nipoti. Dice la primogenita che le donne furono le fondamenta del suo universo, il senso di molte sue interpretazioni, «adorate, divinizzate, tiranneggiate, tradite, raggelate con una battuta».

Lunghi e brevi incontri, ma anche rimorsi, rancori, dolori a cominciare dal rapporto con mammà. In fondo al cuore giacciono per sempre due amori veri, forti, duraturi; c una tragedia, quella di un'amante che si uccise perché non resistette all'abbandono del principe, la bellissima Castagnola, la prima Liliana della sua vita, ma nella famiglia de Curtis i nomi si rincorrono nel tempo. E forse da vecchio, nella sua poltrona ormai cicco, Totò proprio alle sue donne ripensava, facendo i bilanci sentimentali di un uomo che aveva molto dato c ottenuto. Di tutto un po', c’è anche un capitolo di scappatelle dietro le quinte, in un'epoca però non tanto permissiva, in cui le signorine Pampanini Silvana e Barzizza Isa erano accompagnate sul set tutti i giorni da padri severi e accigliati, mentre con la Magnani fu solo un rapporto conflittuale di primedonne, una lotta continua, ma con Franca Gandolfi, poi sposa di Modugno, fu come un padre generoso e con l'adorata Milly fu costretto a tirarsi indietro davanti a Umberto di Savoia che stazionava nel suo camerino.

Il nocciolo della questione di Totò femmene e malafemmine scritto dalla figlia Liliana con l'indispensabile apporto di Matilde Amorosi (Rizzoli, pagg. 232, euro 12,50), che contiene anche un racconto inedito dell'artista, sta in Anna Clemente. Detta Nannina, una delle bellezze del rione Sanità, era la madre di Antonio, figlio naturale nato il 15 aprile 1898 (potenza del caso: morì il 14 aprile del 1967) del marchese «sfasulato», Giovanni de Curtis, che solo in un secondo tempo sposò la dorma. Il primo tempo del film fu infelice: il bimbo che, come nell’inizio della Recherche proustiana (tutto il mondo delle mamme è paese), osserva la madre incipriarsi e profumarsi per uscire col presunto padre. Totò, innamorato di lei come vuole Edipo, resta con la nonna, ma quando resta solo, il transfert è così forte che il piccino, già con le membra snodate, il collo lungo e le gambe magre, si metteva gli abiti materni, primo passo dell'esibizionismo del futuro attore, che la madre avrebbe voluto prete, «perché gli artisti sono dei morti di fame». «A me piace o' teatro» ribatteva il ragazzo, e pregava la Vergine di metterci una buona parola.

Seguono alterchi, urla, scarpe lanciate di tacco, una forchetta nello zigomo. Eppure Totò amava e odiava moltissimo quella bella madre, di cui apprezzava le forme dietro la vestaglia leggera. Ma lei non lo capiva e ne apprezzava solo l'innato galateo: «Si vede» diceva «che tiene il sangue blu nelle vene». Ma aggiungeva: «Meglio se te fai prete». Negato come chierichetto (alla prima Messa disse: ora pro nobis, linoleum, linoleum..., già uno sketch), Totò insisteva che gli piaceva 'o teatro. Quando andò soldato, la madre gli fece l'affronto di vendergli l'unico vestito buono: furibondo, comprò al mercato un tight di seconda mano, definendosi anch'egli un figlio di seconda mano. E fu così merito suo se il marchese, nel '24, convolò a giuste anche se tardive nozze riparatrici, inaugurando un menage in cui la signora Nannina era la marescialla di casa, come l’Ave Ninchi dei film.

Buona parte di questo prologo di una vita difficile divenne materia del suo cinema, lo sport di casa era chiedersi perdono reciprocamente. Totò ormai era un attore che stava a Roma e la madre passava la giornata con lui cucinando ragù e sfamando una tribù di gatti randagi, loto diceva che la madre aveva fatto di tutto per rovinargli l'esistenza, e ci era riuscita. Ma gli resta nel fondo il senso di un'occasione perduta, il rimpianto di un affetto vagheggiato e perduto, in un mondo in cui manca la figura maschile. E nella novella che Totò scrisse sull'argomento, egli sdoppia freudianamente la sua personalità, un classico, dando alla madre una patente di nobiltà e immaginando che sul letto di morte della poveretta egli incontri un prete che l'avrebbe spronato a continuare a far ridere, perché questo era anche il suo sogno: perché ridere fa bene, c’è bisogno. Ed è democratico.

«Livella», dice il futuro principe comico, ci rende tutti uguali.

Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 29 ottobre 2003


Il festival del cinema mediterraneo di Montpellier ha festeggiato il 25° anniversario e lo ha fatto concedendo molto spazio ai due paesi che da sempre costituiscono il punto focale di questa manifestazione: l’Italia e la Spagna. È questa una rassegna nata un quarto di secolo fa come settimana del cinema italiano, organizzata dal Cineclub Jean-Vigo, poi allargata alle cinematografìe dei sedici paesi che si affacciano su questo mare. La particolare attenzione nei confronti del nostro paese si è concretata, quest'anno, in un omaggio a Totò, che comprendeva alcuni fra i film più importanti della carriera del comico napoletano e una mostra a lui dedicata con oggetti d’uso, fra cui il baule che lo accompagnava nelle recite teatrali, fotografìe e documenti.

Fra questi ultimi ci sono due reperti davvero curiosi: la copia dell'atto di nascita, in cui la giovane madre dichiarava la nascita del figlio, nato dal rapporto «con un uomo importante» di cui si cela il nome, e la ricevuta per il porto di pistola, datato poco prima della morte avvenuta nel 1967. C’è da chiedersi da chi si sentiva minacciato l’attore e a che cosa gli servisse la pistola, giacché era già semicieco. La presentazione dei film interpretati da Totò è stata collegata alla visita di Mario Monicelli che ha anche potuto assistere, per la prima vota, alla presentazione del suo cinèmatton, girato molti anni or sono dal regista Gérard Courant. I cinèmatton sono brani, di tre minuti ciascuno e rigorosamente muti, che da venticinque anni questoregista dedica agli intellettuali europei.

Sono stati molti i italiani presenti nelle varie sezioni, fra cui le serate d'apertura e chiusura in cui sono stati proiettati «Ricordati di me» di Gabriele Muccino e «La finestra di fronte» di Ferzaiì Ozpetek. Per quanto riguarda il concorso ha trionfato «Uzak» (Distanti) di NuriBilge Ceylan che ha aggiunto questo un premio ai molti già ottenuti, in patria e all'estero, ad iniziare dal Gran premio e la Palma per la migliore interpretazione al Festival di Cannes proseguendo con i riconoscimenti di Chicago, San Sebastian, Manila, Dehli, Istanbul, ... Altri tre titoli hanno raccolto consensi: «Ilposto dell'anima» di Riccardo Milani, che ha vinto il premio del pubblico, «Le soleil asassiné» (Ilsole assassinato) d'Abdelkrim Bahloul. coronato dalla giuria del pubblico giovane, e «Kordon» (Il cordone) del serbo Goran Markovic. «Il sole assassinato» è dedicato al poeta Jean Sénac, un francese che scelse di rimanere in Algeria dopo l'indipendenza del 1962.

Dieci anni dopo, diventato scomodo per il potere, fu assassinato dai servizi segreti. La storia è ricostruita attraverso gli occhi di due studenti e fa luce su una personalità e un regime ben poco indagati. «Il cordone» segue una pattuglia di poliziotti che si spostano su un autobus per le strade di Belgrado inseguendo i manifestanti che, all 'inizio del 1997, protestano contro il regime di Shbodan Milosevic È il ritratto di un gruppo di repressori, frustrati, irretiti dalla violenza dei superiori, distrutti nel fìsco e pronti a sfogare la loro ferocia sui dimostranti. Il film ha un preciso connotato temporale, ma lo supera consegnandoci il ritratto di una pattuglia d'aguzzini in divisa che vale bel oltre i confini della capitale serba Non è un caso se quest'opera, sebbene realizzata né 2002, non ha ancora trovato la strada degli schermi belgradesi

Umberto Rossi, «L'Unità», 4 novembre 2003


Il cinema italiano del 1956 è al centro dell'ormai tradizionale rassegna organizzata da giovedì 13 a domenica 16 novembre al Massimo Tre (via Verdi 18) dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. Prosegue, quindi, il viaggio dell'Archivio attraverso la nostra cinematografia: questo «Millenovecento56» ne propone i titoli più significativi, come le due commedie di Camillo Mastrocinque con Totò mattatore «Totò lascia o raddoppia?» e «Totò, Peppino e... la malafemmina», il celeberrimo «Il ferroviere» di Pietro Germi o il lavoro italiano di Jean Renoir «Eliana e gli uomini» con Ingrid Bergman. Per questa rassegna l'Archivio pubblica un catalogo antologico con schede e recensioni della stampa dell'epoca su tutti i film italiani del 1956, arricchito dai dati di affluenza del pubblico al cinema e da una cronologia storica.

Il programma della prima giornata: alle 16,30 e 20,30 «Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo» di Mauro Bolognini con Alberto Sordi e Peppino De Filippo; alle 18,30 e 22,30 «Totò lascia o raddoppia?» di Camillo Mastrocinque. Due i film anche venerdì 14: «Totò, Peppino e... la malafemmina» (ore 16,30 e 20,30) e «I giorni più belli» di Mario Mattali (ore 18,30 e 22,30). L'ingresso è libero.

(d.ca.), «La Stampa» (Totino Sette), 7 novembre 2003


Non male, davvero niente male la copertina del nuovo disco di Mina: dal loggione del teatro San Carlo di Napoli si affacciano il Totò vestito da donna di Figaro qua Figaro là (con meravigliosa espressione furbetta), Titina de Filippo e Tina Pica. Tre icone partenopee rigorosamente impellicciate per l’occasione. Sul palco difatti, anche se non si vede - ma fa capolino dal sipario - si esibisce la tigre, che miagola «in lingua» il meglio della canzone napoletana: da un jazzatissimo ‘O cielo ce manna ‘sti ccose di Fred Bongusto e Armando Trovatoli, alla classica Napul' è di Pino Daniele arrangiata con grande eleganza e chiusa da un bel coro di bambini. Napoli secondo estratto, nuovo disco di Mina, suona qua e là da night, ma da night dove si serve champagne, non lo spumantino, e la scelta dei compagni di viaggio gioca la carta
vincente dando un tocco di sofisticatezza che non guasta.

Non sono nomi da poco: un ottimo quartetto jazz composto da Danilo Rea alle tastiere, Alfredo Golino alla batteria, Andrea Braido alle chitarre, Massimo Monconi ai bassi, più Gabriele Mirabassi al clarinetto. Poi c’è anche l’orchestra, dall’andamento romanticissimo ma mai lacrimevole sul classico dell’amore profano Te voglio bene assaje, e una versione sbancatutto di ‘O sole mio (centocinque anni di vita e non sentirli!), una scelta scontata che Mina si sarebbe potuta anche risparmiare, ma che certamente «farà cassetta» in questa riproposizione jazz essenziale e molto diversa da quella del 1968 che appariva ne Le più belle canzoni italiane cantate da Mina. Il resto della scaletta è pescato tra l’Ottocento e il Novecento napoletano: i classici di Libero Bovio Tu ca nun chiagne! e Guapparia (composte nel 1915 e nel 1914), e poi Carmela (Palomba-Bruni), Maria Mari! e I’ te vurria vasà! (entrambe di Russo-Di Capua), Canzona appassiunata (di E A. Mario), Era de maggio (Di Giacomo-Costa), oltre all’inedito Cu 'e mmane, scritto appositamente dagli Audio 2, già cloni di Battisti, e una rielaborazione da Crisantemi di Giacomo Puccini, che qui prende il nome di ‘O cuntrario ‘e Vammene con il testo firmato da Maurizio Morante. Finalmente non la solita riproposizione melodrammatica del meglio della canzone napoletana, ma un vero e proprio album di standard, che ha il pregio di essere suonato (e cantato) in maniera elegantemente sobria.

Alla premiata ditta Mina, lassù in Svizzera, sono maestri nel confezionare prodotti di qualità perfetti per far bella mostra di sé sotto l’albero di Natale, e anche questa volta riescono a fare bingo, ma l’operazione è quanto mai gradita. Almeno concorrerà a ridare dignità e compostezza ad una grande tradizione musicale infestata di questi tempi da pseudo neo-melodici per i quali il talento non è la dote migliore.

Silvia Boschero, «L'Unità», 16 novembre 2003


«Una spiegazione razionale non c’è». Oppure, la sorpresa del vigile del fuoco, sul posto: «Come fate ad essere vivi, è un mistero. O un miracolo». Liliana de Curtis, suo figlio, l’altra figlia Diana, suo marito, un cameriere e due cani: tutti salvi, sfuggiti a un incendio che li ha sorpresi nel sonno. all’alba di ieri. E che li avrebbe uccisi. «Se nonno non ci avesse messo una mano in testa». Nonno è Antonio de Curtis. A fiamme spente, la famiglia è sotto choc: «Se volete dice la nipote di Totò, Diana, 45 anni — possiamo parlare di una serie di coincidenze. Ma non una, tante». Così loro sono vivi e i cimeli del principe intatti. La sua bombetta, lo smoking, le lettere di Eduardo De Filippo. Fossero stati dove sono sempre, ora sarebbero cenere.

Coincidenze, dunque. Che salvano dal fuoco la famiglia, in un residence elegante in via Cassia. Così: «Mio marito si è svegliato alle quattro del mattino, fatto per lui quantomeno insolito — racconta Diana — e dopo pochi passi si è reso conto di ciò che stava accadendo». Il salotto era in fiamme. «Quella porta resta sempre aperta, invece era chiusa». Fattore decisivo, questo, «perché non solo ha rallentato le fiamme, ma soprattutto ha impedito al fumo di arrivare alle camere». Quella barriera, poi, ha permesso loro di fuggire. «Sì, ma non è tutto».

I cimeli del principe, da sempre in salotto. «Invece no. Dieci giorni fa è terminata una mostra dedicata a nonno. Come sempre, la mia assistente stava lavorando per far tornare a casa gli oggetti più cari. Lettere, il cappello del bel Ciccillo, la cappelliera dello sketch del vagon lit». E il manoscritto di Malafemmina. «Valore affettivo inestimabile». Anche per coloro che continuano a visitare le mostre dedicate a Totò: trentamila a Genova, successo a New York e San Francisco, a Montpellier, ovunque.

In fumo, sono andati mobili, parte dei documenti araldici e il presepe del Settecento. «Ma gli oggetti salvi sono tanti, otto teche. La mia assistente continuava a chiedermi perché non volevo farli tornare a casa. Non lo so, risposi». Adesso, ha un'altra risposta.

Alessandro Capponi, «La Stampa», 28 dicembre 2003


2004


Quella di coinvolgere Giuni Russo nel recupero di un film per lungo tempo considerato perduto - Napoli che canta, realizzato nel 1926 da Roberto Leone Roberti, il padre del grande Sergio Leone - è stata un'idea davvero felice e bisogna renderne il giusto merito a Paolo Cherchi Usai, direttore della George Eastman House di Rochester, nello stato di New York. È grazie a lui se questa vecchia pellicola, ora disponibile in un DVD della Sony, ha una colonna sonora straordinaria. Con l'eleganza, la bravura e la passione che tutti le riconoscono, Giuni Russo ha affrontato un'impresa difficile: cantare canzoni note e meno note della tradizione napoletana senza cadere nella retorica di tante interpretazioni. Senza contare che A' cchiù bella cosa, musica di Giuni Russo su una poesia di Totò, si candida fin d'ora allo status di classico senza tempo.

Questo disco sembra l'avverarsi di un sogno, non le pare? Lei la vede così? È un'altra pietra miliare nella mia vicenda artistica, perché ogni tanto qualcosa di diverso, che uno non si aspetta - e non me l'aspettavo neanch'io - la faccio. A casa di Ida Rubinstein chi se l'aspettava? lo non penso mai alle classifiche. Sono una donna libera e libera in tutto.

Ha scelto subito le canzoni che non sono indicate nelle didascalie del film o ha pensato a brani scritti per l'occasione?

Dall'America mi hanno fatto almeno venti telefonate lunghissime per convincermi a fare questo film, ma io non avevo in mente un disco napoletano. Non lo volevo fare. Poi, Paolo Cherchi Usai mi ha parlato della sequenza in cui c'è una donna che canta in una barca e saluta una nave che passa e questo mi ha ricordato mia madre. Lei mi aveva rac-
contato un episodio simile: quand' era giovane, al festino di Palermo, aveva cantato Piscatore 'e Pusilleco, con mio padre e tutti gli amici, e la nave che partiva per Napoli e poi andava in America le aveva suonato la sirena. Cherchi Usai mi ha toccato nel sentimento e gli ho detto di mandarmi il film. Quando l'ho visto, l'ho trovato delizioso.

Dicevamo delle canzoni indicate nelle didascalie.

Quando ho letto O sole mio, mi sono sentita male! Mi sono detta «Come la faccio? È la canzone più cantata del mondo, l'hanno fatta tutti. Io che personalità gli dò?» E non potevo tagliarla. Poi cerano quelle sconosciute. All'inizio non pensavo proprio a niente. Dovevo far passare il film e vedere che cosa era giusto fare.

Come si fa allora a cantare delle canzoni così popolari?

Anche da qui nasceva la mia confusione. Io non parto mai da una presunzione, ho sempre paura. Dicevo di no per paura. Prima di accettare un lavoro, ho mille timori. Poi sono della Vergine e sono molto
pignola. Mi sono fatta aiutare nella ricerca dei brani sconosciuti.

D'altra parte la canzone napoletana è un patrimonio di tutti noi italiani.

Essendo siciliana, ho sentito mia madre cantare un sacco di canzoni napoletane. Certe volte le sentivo per radio o per strada, sa come nel sud. Tutte queste cose son venute fuori.

Il momento più toccante è la canzone che lei ha scritto su una poesia di Totò.

È stata un dono. Il tempo di leggerla ed è nata la canzone. Ero all’ ospedale e mi sono messa in poltrona con questo libro. Dovevo fare il lavoro per il film e mi serviva per la lingua. A un certo punto leggo Tu si' 'a cchiù bella cosa ca tene sto paese e l’ho cantata subito così. Quando l’ho finita, mi sono chiesta «Perché questa l'ho cantata e le altre no?» Mi sono guardata un po' intorno, ho fatto un sorriso con me stessa. Mi sono commossa. Forse è stata la voglia interiore della vita oppure è stato Totò, che mi ha mandato una caramella, un dono.

Giancarlo Susanna, «L'Unità», 27 aprile 2004


Tormentoni, paradossi e calembour, il tutto organizzato per temi Un'appendice riporta le trame dei film e i giudizi critici d'epoca «Questo è uno strumento insostituibile per le tribù dei totò-logi»

«Avrei preferito lavorare al tempo del cinema muto», aveva confessato una volta Totò, «perché tutto quello che ho da dire mi viene meglio con la faccia» («la faccia, le orecchie, il naso, le mani, tutto»). E in un'altra intervista aveva lamentato che «il nostro cinema comico, siccome è povero, è basato sulle battute», quasi asfissiato da un ipertrofico accumularsi di «parole, parole, parole».

Eppure quel (molto) che resta di Totò, nella nostra vita di tutti i giorni, sono anche, soprattutto, le parole, i tormentoni, i tic verbali, i paradossi fulminanti, i calembour surreali, le esplosioni nonsense. «Sono un uomo di mondo: ho fatto tre anni di militare a Cuneo» ; «Una mano lava l'altra. E tutt'e due lavano la faccia»; «Ogni limite ha una pazienza»; «Audax fortunajuventus»; e poi: «chicche e sia», «eziandio», «tampoco». Quante volte le abbiamo sentite ripetere, quante volte le abbiamo citate, magari inconsapevolmente? Una buona scelta delle «battute» (ma il termine, ripetiamolo, è riduttivo) di Totò è raccolta nel volume «Parli come badi» (altro tormentone) che «La Stampa» offre ai suoi lettori per lanciare la nuova collana «ComicaMente».

Curato da Matilde Amorosi con la collaborazione di Liliana de Curtis, la figlia del grande comico, il libro (uscito la prima volta dieci anni fa da Rizzoli) è una sorta di full immersion in pillole nel magma ribollente del Totò-pensiero, organizzato per temi, con un'appendice che riporta le trame dei film e i giudizi critici d'epoca. Uno strumento utile per le tribù di totòlogi-totòfili, da usare come guida, come spunto per rammemorare quella mimica facciale, quella voce, quelle pause nella cui azione combinata con il gioco verbale deflagra l'ordigno comico.

Ed è un'esplosione devastante, una fissione nucleare che riproduce a catena i suoi effetti nella coscienza del pubblico che sa capire. La gag, e corrispondentemente la risata, sono soltanto il punto di partenza. «Il rigido, il bell'e fatto, il meccanismo in opposizione all'agile, a ciò che è perennemente mutevole, al vivente, l'automatismo in opposizione all'attività libera, ecco ciò che il riso vorrebbe correggere», ha scritto un secolo fa Bergson. Con i suoi giochi di parole, apparentemente stucchevoli («Moet Chandon? Mo' esce Antonio»; «Se a Milano quando c'è la nebbia non si vede, come fanno i milanesi a vedere se c'è la nebbia?»; «È una piccola forca, è carina, è ima forchetta»), con i suoi lazzi discendenti direttamente dalla tradizione etrusco-latina dell'atellana, dei fliaci, degli «iocularia», Totò mette in crisi le nostre tronfie certezze, a partire da quelle linguistiche, le più innocue. Scava dall'interno luoghi comuni, giudizi e pregiudizi, come un tarlo implacabile, li riduce in polvere, poi ci soffia sopra e la disperde.

Come succede al povero Mario Castellani, alias onorevole Trombetta, nel celebre sketch del wagon-lit (nato a teatro e poi, via via improvvisando, dilatato fino a diventare uno spettacolo a sé, quindi trasportato di peso in un paio di film). Incocciato con tutta la ridicola supponenza del proprio ruolo nel terribile maestro Totò-Scannagatti, viene aggredito nella sua prosopopea, disseminato di microcariche esplosive che sono fatte brillare una dopo l'altra fino a dissolvere, con la rispettabilità sociale e la dignità politica («Onorevole? Ma mi faccia il piacere!»), la stessa identità del malcapitato. Alla fine l'«onorevole» non è più nessuno, non esiste più. È ridotto a una figuretta isterica e penosa, ormai inutile, di cui non resta che sbarazzarsi in fretta: «In galera! In galera!» invoca Totò, tosto accontentato.

Il Genio Comico prende per le corna una situazione consolidata, ne individua il punto critico e la fa saltare in aria. Un'operazione squisitamente eversiva, da «bombardo» appunto. Ma un bombarolo benefico, perché rovesciando le apparenze ne mostra l'intima insussistenza, spazza via dalla nostra mente le incrostazioni e le inerzie intellettuali, fluidifica gli irrigidimenti, ci indica che nessuna realtà è mai definitiva e un'altra interpretazione è sempre possibile. Rimette tutto (e ci rimette) in discussione. E ci restituisce così una straordinaria prerogativa: «Terribile è la potenza del riso», ha scritto Leopardi in ima pagina dello Zibaldone. «Chi ha il coraggio di ridere è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire».


LA GUERRA

Il danaro fa la guerra, la guerra fa il dopoguerra, il dopoguerra fa la borsa nera, la borsa nera rifà il danaro, e il danaro rifà la guerra. Guerra era un corridore ciclista, perciò noi gridiamo in coro: via Girardengo! evviva Edison, che scoprendo la bussola disse: eppur si muove! («I due orfanelli»)

Hai perso un occhio per la causa? Mi dispiace, ma chi te lo fa fare di perdere tempo con le cause? Vanno sempre per le lunghe, e poi gli avvocati costano cari. Non fare il causillo! («Totò sceicco»)

UOMINI E CAPORALI

L'umanità io l'ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali: La categoria degh uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, la minoranza. I caporali sono coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l'autorità, l'abilità e l'intelligenza, ma con la sola bravure deUe loro facce toste, della loro prepotenza («Siamo uomini o caporali?»)

LE DONNE

La donna è mobile e io mi sento mobiliere («Signori si nasce»)

Signora, sono a sua completa disposizione: corpo, anima e frattaglie («Totò cerca moglie»)

LA MORTE

Avete fatto caso che l'ultima domenica di Carnevale i cimiteri sono un mortorio? («Totò cerca pace»)

Abbiamo vegliato la salma tutta la notte: è stato un veglione («Il monaco di Monza»)

DUBBI

Le manca un polmone? Un altro se ne sta andando? E lasciamolo andare, mo' ci mettiamo a correre dietro a un polmone! Piuttosto, mi tolga una curiosità: lei è vivo? («Gli onorevoli»)

Che mani meravigliose che ha? Ma, mi dica, sono proprio le sue? («Totò lascia o raddoppia?»)

CONSIGLI

Sono tre anni che lei dice di essere un perito, ma non perisce mai. Ma perisca una buona volta, mi faccia il piacere! («Chi si ferma è perduto»)

Terra ai contadini, ferrovie ai ferrovieri, cimiteri ai morti («Totòtarzan»)

OFFESE

Lei è un cretino, si specchi, si convinca («Totò le Mokò»)

Lei è un cretino, s'informi («Totò, Eva e il pennello proibito»)

Maurizio Assalto, «La Stampa», 6 maggio 2004


10 ottobre 2004: a Cuneo la 5a Adunata degli «Uomini di Mondo»


E' tornato apposta da Caracas, dove abita, a Somma Vesuviana, dov’è nato e dove abitano ancora la sorella e i nipoti. A 82 anni, quanti ne ha appena compiuti, il marchese Camillo de Curtis ha deciso di scrivere una storia della sua famiglia e di sgombrarla di una presunta parentela che gli fu imposta, suo malgrado, in gioventù. Quella con Antonio De Curtis, in arte Totò.

Eleonora Bertolotto, Ferruccio Fabrizio, «Repubblica», 20 ottobre 2004

In attesa dell'omaggio a Volontà, morto nel '94, va in onda domani alle 19.50 su Sky Classic il quinto documentario della serie Sky-Cinecittà: Lei non sa chi è Totò! regia di Katia Ippaso e Marco Ferrari. Con l'appoggio degli eredi de Curtis e del Fondo Pasolini che ha concesso i 7 minuti muti, inediti, mai montati, conservati da Laura Betti, dell'episodio del Circo di Uccellacci e uccellini, il film di Pasolini dove i titoli di testa erano cantati da Modugno. In questa parte Totò domatore si trasformerà in aquila: lo commenta con affetto il Ninetto Davoli di oggi. Non ci sono anniversari, è un ricordo variopinto e interessante del talento di un artista riscoperto in parte postumo e che anche gli americani ci invidiano.

Uniti nella lode filosofi come Cacciali, critici d’arte come Bonito Oliva («è il Socrate della società contemporanea»), letterati come Asor Rosa. La figlia Iiliana de Curtis affronta la privacy del Principe «sciupafemmine», la sua «doppia» vita tra famiglia e lavoro, l'accanita ricerca sull'araldica. E ci sono le belle, sincere parole dei colleghi: da Ben Gazzara, suo partner in Risale di gioia, allo scrittore Enzo Moscato, da Lucio Dalla (che arriva a paragonarlo a Tarzan e Rock Hudson) a Ernesto Mahieux e a Mike Bongiorno che, ai tempi di Totò lascia o raddoppia? confessa che rimase intimidito dal suo carattere schivo, quasi altezzoso. Fino all'appassionata arringa di Renzo Arbore che lo definisce «patrimonio dell' umanità perché ha nullificato tutto il palcoscenico napoletano» e difende la sua libertà comica non d'autore, ricordando cosa raccontava Nanni Loy: «Totò diceva che partiva sempre dalla fame, il comico non può avere la pancia piena».

Totò parlava spesso della miseria frequentata di persona: «Un comico deve aver fatto la guerra con la vita e conoscere la fame, il freddo, il dolore e la solitudine». E poi via con il comico in Tv che bacia Mina, i duetti con Poppino («noio volevon savuar»), la scena del vagone letto con l'on. Trombetta. Un identikit di 55 minuti in cui il clown del Rione Sanità si imparenta conia commedia dell'arte, la Fame Atavica delle maschere, mentre lo paragonano a Chaplin e a Picasso nell'astrattezza deviata del suo profilo surreale. A Napoli, Totò è oggi considerato quasi un santo (fu Fellini il primo a perorare questa causa per meriti di buon umore) capace di far miracoli. E' invece inaspettata la passione di Murray Abraham, ex Salieri di Amadeus: «Per far conoscere l'umanità di Totò mi piacerebbe fare un film americano con Scorsese e Al Pacino nel ruolo di Totò: siamo tutti orgogliosamente italo americani». Tutti lo vogliono, lo cercano, lo amano, si scopre che forse è eterno. Ha ragione la figlia: «Lui è qui, è sempre con noi, con tutti».

Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 22 novembre 2004


«La Voce», 25 novembre 2004


Totò con la paglietta in testa, che strizza l’occhio all’obiettivo; Totò a torso nudo e in pantaloni bianchi, sotto il pergolato della villa di famiglia a Somma Vesuviana; Totò che rema sul canotto nel mare di Capri; Totò in costume sulla spiaggia di Viareggio, che tiene per mano una bambinetta, la figlia Liliana. Scene di vita vissuta, di vita privata. Scene inedite non del celebre attore, ma dell’uomo, del marito, del padre. Immagini domestiche fermate nel tempo e ora pubblicate su una nuova agenda, edita dalle Edizioni Interculturali, presentata ieri dalla famiglia De Curtis, con Renzo Arbore, Gisella Sofio e Achille Bonito Oliva. Un’agenda che, come un libro, ha un titolo: «Un anno con Totò», coniugandosi con la recente uscita in libreria del volume, edito da Rizzoli, «Sostiene Totò», ovvero «Le migliori battute del principe della risata sull’Italia di oggi».

Spiega Diana de Curtis, nipote del grande artista, che ha curato l’agenda insieme alla madre Liliana e a Matilde Amorosi: «Abbiamo voluto pubblicare quelle particolari foto, dove sono fissati i momenti più intimi della vita di mio nonno: i rari momenti in cui era rilassato, sorridente. Sì, perché Totò, che pure ha fatto ridere intere generazioni, tra le pareti di casa non era un gran ridanciano».

Non era ridanciano, ma sapeva essere un nonno premuroso. Racconta Diana: «Vicino a lui, mi sentivo sicura e poi, come tutti i nonni, mi viziava: non facevo in tempo a desiderare un giocattolo, che lui correva a comprarmelo. Avevo solo 12 anni quando è morto: mi manca la sua umanità, la sua saggezza, la sua capacità di comprendere gli errori degli altri, senza giudicare».

Un nonno premuroso, un padre apprensivo e severo. Rivela Liliana, che tuttavia è legatissima al ricordo del padre: «Avrei voluto fare l’attrice, ma me lo impedì. Mi consentì solo, quand’ero bambina, una breve apparizione nel suo film “San Giovanni decollato”. Per ricompensa, mi regalò una bambola».

Emilia Costantini, «Corriere della Sera», 7 dicembre 2004


Oddio è finita, anche il prof. Alberto Asor Rosa recupera Totò: «Io non ci credo tanto che ci siano due Totò. Il principe è una sua costruzione tardiva, che lui crea nel momento in cui il successo gli permette di staccarsi dal cliché burattinesco». Così il principe De Curtis è sistemato. Aveva appena detto di Totò: «E un pagliaccio, fa l'attore, io sono una persona perbene. Io vivo alle spalle di Totò, lo sfrutto. Lui lavora e io mangio». Totò non è doppio, e nemmeno triplo: «E come la Cappella Sistina, come Picasso, come Charlot. Signori, Totò è patrimonio dell'umanità».

Con queste parole l'attore Ernesto Mahieux introduce «Lei non sa chi è Totò!» (Sky Cinema, a rotazione), documentario a cura di Katia Ippaso e Massimo Ferrari. A celebrare l'arte del Principe sono stati chiamati Renzo Arbore, Asor Rosa, Mike Bongiorno, Achille Bonito Oliva, Massimo Cacciati, Murray Abraham, Lucio Dalla, Ninetto Davoli, Antonio Monda, Enzo Moscato, Ben Gazzarra e Liliana De Curtis. Spiega Cacciati che la particolarità della maschera di Totò risiede nel «non essere» mai padrone di sé, ma nell'«essere» un terremotato nel volto e nei movimenti, un insieme di tanti io che suscitano la risata. Totò e la parola.

Sostiene Bonito Oliva: «E'un comico che lavora sullo strabismo. Le parole hanno un perbenismo, il suo corpo le smaltisce. Totò è un punto interrogativo». Totò e Pasolini. Arbore: «Il Totò migliore è quello che ha fatto quello che voleva, quello non guidato da grandi registi. Il Totò di Pasolini mi piace, però è un Totò minore, è un attore». Dice Totò (o il Principe?) di sé stesso: «E'bella la notte, è bella quanto il giorno è wlgare. Io amo tutto ciò che è scuro, tranquillo, senza rumore. La risata fa rumore, è come il giorno». Come Asor Rosa.

Aldo Grasso, «Corriere della Sera», 12 dicembre 2004


«L'utilizzo dell'immagine di Totò nella pubblicità»

Gli eredi de “I soliti ignoti” reagiscono indignati al cialtronesco scippo della federazione romana di Alleanza nazionale e Azione giovani. Quel manifesto (che riproduciamo a fianco) illustrato con un fotogramma del famoso film di Mario Monicelli con il quale si propaganda una squallida polemica contro l’idea della giunta Veltroni di far pagare 36 euro l’anno ai residenti del centro storico di Roma per i parcheggi, potrebbe anche finire in Tribunale. La figlia di Totò, Liliana De Curtis, non lo esclude: «In questo momento mi trovo a Napoli per presentare il mio libro “Sostiene Totò”, appena avrò preso visione del manifesto deciderò un’eventuale azione legale, ma già adesso mi chiedo con quale diritto si acchiappa la figura di Totò e ci si fa campagna elettorale contro Veltroni. Non è solo per il colore, ma soprattutto perché, così facendo, si tradisce la sua leggerezza, la sua ironia. Totò era un genio comico al di sopra delle parti». Cercare l’ironia a destra è come cercare il classico ago in un pagliaio.

Il manifesto di AN affisso sui muri di Roma

E debolmente prova a difendere l'"iniziativa" Roberta Angelilli, coordinatore di An del Lazio. «Mi dispiace che qualcuno si sia indignato per un manifesto che ha il solo torto di sdrammatizzare e far sorridere rispetto ad una iniziativa assai abborracciata della Giunta comunale». Non ha sorriso la figlia di Totò e non sdrammatizza la vedova di Vittorio Gassman che manifesta così la sua indignazione: «Sono veramente sorpresa - dice Diletta D’Andrea - è una cosa che mi indigna e mi offende. Mi riservo di parlare e di confrontarmi con gli altri eredi di Vittorio Gassman prima di adire ad ogni via legale».

Deciso ad andare fino in fondo anche Tiberio Murgia, il popolare “ferribotte” (Ferry boat) che per primo ieri sulle pagine della nostra cronaca di Roma era insorto contro l’uso della sua (e dei suoi amici) immagine. E “Ferribotte” lo aveva fatto con l’orgoglio delle sue radici popolari. Al cinema ha sempre fatto il “siciliano”, ma lui è sardo dalla lunga memoria. E non dimentica la povertà vista in faccia e il volto lugubre del fascismo che ha oppresso la sua giovinezza sull’isola. È antifascista a pelle Tiberio Murgia che prima del “colpo” cinematografico ha fatto l’apprendista falegname, il bonificatore di paludi, il lavapiatti e il minatore in Belgio. Ai “creativi” del partito di Fini gli è andata a buca. E qui c’è una analogia con il “buco” ideato dalla sgangherata banda del film di Monicelli. Convinti di buttare giù il muro dell’appartamento attiguo, dopo una notte di “duro lavoro” si ritrovano nella cucina dello stesso appartamento dove avevano dato il via al loro esilarante “rififì”. E anziché mettere le mani su ori e gioielli si riducono, stanchi e amareggiati, a spartirsi la pasta e ceci sulla quale aveva messo le mani il mitico “Capannelle”. Con Gassman (er Pantera) che “scientificamente” sentenzia: «È perfetta», per rendere omaggio alla abilità culinaria della servetta (Carla Gravina) con la quale si era “fidanzato” per mettere a segno il furto. Subito rimbeccato da un surreale Mastroianni che lo “smonta” con un: «Se ci avesse messo un altro goccio d’olio... ». Ai destrorsi creativi manca, invece, un po di sale in zucca.

Si potrebbe concludere con una scena del film, quella girata nell’allora borgata romana di Don Bosco nella quale “Capannelle” va alla ricerca di “Mario” (Renato Salvatori). «Sto cercando Mario», dice “Capannelle” e un ragazzino con la faccia da impunito gli risponde: «Mario? Qui de Mario ce ne stanno cento... ». «Sì, ma questo è uno che ruba», precisa “Capannelle”. E il ragazzino, ancora più beffardo: «E sempre cento so’».

Destra in doppiopetto, Alleanza nazionale con la Fiamma del Msi che resiste, anche se rimpicciolita, nel loro simbolo... «Sempre fascisti sono», sentenzia in “siculo” il sardo “Ferribotte”.

Ronaldo Pergolini, «L'Unità», 9 dicembre 2004


2005

«Presentazione del libro di Alberto Anile "Totò proibito"»


Ranieri Polese, «Corriere della Sera», 28 gennaio 2005



Maurizio Assalto, «La Stampa», 17 febbraio 2005


«Il primo provino per il cinema»


Gianni Rondolino, «La Stampa», 8 marzo 2005


«Il Piccolo di Trieste,» 30 marzo 2005


Monicelli si vanta d'aver co-diretto nel 1949 l'unico «film politico» di Totò. Tra tutti i film seguenti del comico prodigioso (Totò cerca moglie, cerca pace, contro, contro il Pirata Nero e contro Maciste, a Parigi, all'Inferno e al Giro d'Italia, Totò e Cleopatra e Carolina e i re di Roma e le donne, Totò che visse due volte, di notte, Diabolicus, lascia o raddoppia?, Totò le Mokò e Peppino e Marcellino, Totò d'Arabia, Totò sceicco eccetera), nessuno è più legato all'attualità, al realismo e ai guai del suo tempo.

In Cerca casa, Totò senzatetto di guerra, impiegato statale, vive prima in un'aula scolastica, poi al cimitero, nello studio d'un pittore, al Colosseo. La eccellente sceneggiatura (di Age, Scarpelli, Metz, Marchesi) sostiene un Totò grandioso, rissosamente antigovernativo, affamato di cibo e di giustizia, che rispecchia le ansie di milioni di italiani che la guerra aveva privato d'ogni cosa. Come capitava sempre nei film di Totò, al suo fianco figuravano un gruppo di caratteristi usuali e preziosi: Alda Mangini, Aroldo Tieri, Mario Riva, Luigi Pavese, Mario Castellani, Folco Lulli, Marisa Merlini. Sono queste le ragioni per cui Cerca casa è uno dei film migliori di Totò.

In genere, bisogna dirlo, i film di Totò, con il loro protagonista straordinario, erano davvero brutti, tirati via, mal fatti, realizzati cialtronescamente con pochi soldi: i critici di professione. che non hanno mai sottovalutato il talento di Totò, hanno sempre (giustamente) notato la bruttezza dei suoi film. Se Totò non fosse stato risucchiato da un ambito di sfruttamento e autosfruttamento, se non avesse avuto un certo disprezzo per il cinema insieme a una appassionata ammirazione per il teatro, se non avesse perduto così presto e quasi completamente la vista, costringendosi a ripetere le mimiche, i lazzi che conosceva a memoria, tutto sarebbe andato meglio per l'attore bravissimo, senz'altro degno di una notorietà internazionale.

Lietta Tornabuoni, «La Stampa», 21 maggio 2005


Totò cercasi. O meglio giovane attore che dia il volto al film sulla storia di Antonio De Curtis, cercasi. Al progetto stanno lavorando la figlia Liliana e la nipote Diana che lanciano l’appello: «Cerchiamo un produttore». Anche se pare che qualche contatto già ci sia. Raccontano le due donne: «Ci piacerebbe fare una co-produzione internazionale, per distribuire il film anche in Europa e negli Usa, dove sono moltissime le persone che amano Totò».

Il lavoro è lungo perché, sceneggiatura a parte, (una sorta di diario, Siamo uomini o caporali scritto dallo stesso Totò), manca tutto. In primis fattore: «lo vogliamo giovane e sconosciuto, mai visto» confidano Liliana e Diana. Quanto al ruolo degli altri protagonisti, qualche vaga idea provano a lanciarla: «La donna che si suicidò per mio padre, la Castagnola, bella e tormentata potrebbe farla Laura Morante — suggerisce la figlia —, la moglie di Totò, cioè mia mamma potrebbe essere una Bellucci giovane; infine la mamma di Totò, potrei farla io. Perché no?».

L’occasione per parlare del progetto, è arrivata ieri poiché le due donne hanno ricevuto il primo Sky Cinema Award. Ovvero un premio che la paytv ha dato sulla base di un sondaggio svolto tra i propri abbonati. II film più amato è «Totò, Peppino e la malafemmina», che vince a pari merito con «Mystic River». Un premio anche per la migliore battuta: quando Totò e Peppino, a Milano, chiedono al vigile: «Noios volevan savoir...»

Sky tv - Ai telespettatori Totò piace di più

Altro che grandi block-buster. Per gli abbonati di Sky, il miglior film trasmesso tra giugno 2004 e maggio 2005 è «Totò, Peppino e la malafemmina». Ex «aequo» con «Mystic River» di Clint Eastwood, d’accordo. Ma al principe de Curtis va anche il premio per la miglior battuta: «Noio vulevom savuar, per andare dove dobbiamo andare, dove dobbiamo andare?» Sempre Totò sarà tra i protagonisti della programmazione estiva di Sky. In compagnia di 80 anteprime e 150 nuovi film.

Maria Volpe, «Corriere della Sera», 23 giugno 2005


2006

Il Principe Totò recitò "A prescindere" nel maggio del ’57 al teatro Verdi di Firenze, fu l'ultima volta. Non solo per Firenze, per il teatro.

Fu in quei giorni che seppe della grave malattia agli occhi. Qui nel ’31, durante uno spettacolo alle Follie estive conobbe Diana Bandini Lucchesini, fiorentina di 16 anni: per farle la corte affittò una carrozza e si presentò a casa della fanciulla in via Lambertesca, Totò era uomo, mica caporale! La famiglia di lei rimase contraria. Che si poteva fare allora se non scappare di casa? E così fece Diana. Totò torna oggi a Firenze, alla Pergola, in una straordinaria mostra piena di suggestioni curata da Diana de Curtis nipote del principe. Foto, tante, che raccontano l'infanzia di Antonio de Curtis, il teatro, i viaggi, le tournée, il cinema, le vacanze.

In una, tenerissima, Totò tiene in braccio a Viareggio la piccola Liliana, la figlia che ieri ha accompagnato Diana nella presentazione della mostra che sarà ospitata, fino al 30 marzo, nel Foyer e nella Sala d'oro del Teatro della Pergola. Liliana testimonia accoratamente quanto sia viva ancora la popolarità di Totò, come finisca per essere il principe de Curtis spesso mia parte della famiglia di tutti, come ancora in tanti scrivano al cimitero indirizzandogli lettere, come sia popolarissimo anche all'estero se «un ragazzo irlandese di 25 anni, incontrato in America in occasione di un’altra mostra, conosca ed ami Totò al punto di farsi accompagnare per vedere la sua tomba».

Fotografie, si diceva, ma anche contratti, ricerche araldiche, documenti autografi, lettere d'amore e non, oggetti di scena fra i quali la corazza che indossò per girare, nel ’63, Totò e Cleopatra con Magali Noel e gli immarcescibili Moira Orfei e Carlo Delle Piane e il costume di Pinocchio di tante esibizioni in teatro. Testimonianze e attestati di stima e affetto fra i quali la bella lettera che Edoardo De Filippo volle scrivergli. Anche partiture musicali in mostra, e manoscritti originali di canzoni e poesie, targhe e premi, oggetti del tutto privati fia i quali il servizio da toilette che gli regalò Liliana Castagnola, sciantosa genovese che perse la testa per lui al punto che al suo rifiuto di intrecciare le loro vite artistiche e sentimentali si avvelenò: Liliana de Curtis si chiama così proprio in ricordo della povera sua amante suicida. «Totò visto attraverso il tratto grafico di Federico Fellini» è un momento particolare della mostra, come lo è «Totò e Pier Paolo Pasolini» che raccoglie i disegni che il poeta e regista friulano fece per spiegare le scene di Uccellacci e uccellini. E ancora «Totò e il grande amico Aldo Fabrizi» e i materiali relativi a San Giovanni decollato, il film sceneggiato nel '40 da Cesare Zavattini.

Lei non sa chi è Totò è l'azzeccato titolo di un video, lungo 52 minuti, realizzato da Sky Cinema Classic. Vi si trovano immagini inedite, spezzoni dei suoi film e documentazioni della carriera, sono qui gli 8 minuti di girato per Uccellacci e uccellini durante i quali Totò da uomo cattivo diventa capace di prendere il volo. Pasolini poi non volle inserire la scena nel film.

«Un principe chiamato Totò» teatro della Pergola. Orario: 19-23 - ingresso libero

Gianni Caverni, «L'Unità», 9 marzo 2006


Il 7 ottobre 2006 a Cuneo si tiene la 7a Adunata Nazionale degli Uomini di Mondo»


2007

I grandi dello schermo rendono omaggio a Totò in una serata speciale che la Festa del Cinema di Roma dedicherà al Principe della risata, in occasione del quarto decennale della morte, avvenuta 15 aprile 1967. Un omaggio sentito e non convenzionale, sottolineano gli organizzatori che annunciano la testimonianza di narratori celebri come Ben Gazzara, Murray Abraham, oltre a quella della figlia Liliana de Curtis e di tanti protagonisti del cinema italiano. Racconteranno la vita del grande artista in «Un principe chiamato Totò», film documentario realizzato da Barbara Calabresi e Diana de Curtis, che verrà presentato in anteprima nell’edizione della Festa prevista al parco della Musica dal 18 al 27 ottobre prossimi.

Il documentario è una sorta di album di famiglia che scorre rivelando fatti fino ad ora sconosciuti, come una preziosa raccolta di 15 fumetti del 1954, che vedono protagonista Totò, che ne ha scritto i testi e diretto la realizzazione, o come il suo primo provino per il cinema; ma ci sono anche manoscritti, lettere d'amore, poesie e canzoni mai pubblicate e fotografie messe a disposizione, per la prima volta, dalla famiglia.

«Attraverso i luoghi che ha amato (Capri, Viareggio, Napoli, Roma, Costa Azzurra) - dicono Diana de Curtis e Barbara Calabresi - gli spettatori scopriranno gli aspetti più segreti e privati dell'uomo Antonio de Curtis, principe serio e malinconico e di Totò, artista immortale. La Festa del Cinema è un'occasione unica per dare voce a lui, Totò, e ascoltare le voci che hanno riempito la sua vita».

Il film contiene anche materiale delle teche Rai con tutte le apparizioni di Totò in televisione, un omaggio musicale, una sorta di videoclip cinefilo, creato da Lucio Dalla, spezzoni inediti di film che hanno subito il taglio della censura, a cura della Cineteca di Bologna, e un montaggio di sue scene curato da Enrico Ghezzi. «Si tratta di un omaggio», dice Mario Sesti, direttore artistico della Festa del Cinema, che cura la sezione Extra, «costituito da una sorta di scia di presenze mediatiche, dalla tv al cinema, dal teatro al fumetto alla musica, che dimostra innanzitutto come Totò sia stato forse il più grande autore multimediale dello spettacolo contemporaneo: un uomo-orchestra, per citare una gag che gli era particolarmente cara».

«La Stampa», 6 aprile 2007


15 aprile 2007, 40 anni dalla scomparsa di Totò

L'emozione per la morte di Totò - espressa a Roma dalla grande fortuna delle proiezioni dei suoi film (quell'epoca quasi senza tv e senza dvd) al cinema Farnese - a Napoli aveva assunto forme totali, capaci di coinvolgere, in forme diverse ma tutte della stessa intensità. Ci furono processioni, messe, forme di devozione quasi religiosa, dibattiti di intellettuali. Perché i ceti, le zone, le culture, le identità di Napoli Totò le aveva assorbite ed espresse tutte, nobiltà e pregiudizi, intere come si deve mangiare l'ostrica. E spesso ho avuto l'impressione che la città di Napoli filtri perfino Pasolini attraverso Totò. Pasolini arcaico, Totò uomo d'avanguardia, nonostante i suoi sentimenti lo portassero ad apprezzale il titolo «principe di Bisanzio». 

Totò assorbiva ed esprimeva tutto, nobiltà e pregiudizi interi come si deve mangiale l'ostrica. Tutto questo in esplicito in contrasto tra loro, uniti dal culto di Totò quanto litigioso nella diversità delle motivazioni. Achille Bonito Oliva ha espresso forse meglio di tutti, in un film di montaggio di spezzoni di film di Totò sul filo della critica d'arte, una cosa gioiosamente duchampiana, questo carattere di Totò: «parte-nopeo e parte-napoletano». Una cosa unica, condannata a dividersi per manifestarsi. L'imperatore di Capri, il titolo del bel film dell'allora giovane Luigi Comencini (1951, sceneggiatura di Metz, Marchesi e Comencini) assume quasi un valore simbolico. Il «limes» (il confine) dell'impero di questo anomalo successore di Tiberio non oltrepassa il regno di Napoli e regna sui costumi, sulle feste, sulla moda e sull'effimero. 

Forse in conseguenza di questo modo anomalo di appropriazione dell'eredità di Totò da parte della città, il trentennale del '97 non portò a soluzione i diversi problemi aperti. Un gruppo di teatranti ha titolato a Totò una sala non lontana dal San Ferdinando (con cui avrebbe potuto fare sistema se il Ferdinando avrebbe riaperto); nell'atrio del Teatro Totò ha trovato posto un suo monumento rifiutato dagli spazi pubblici; è stato aperto un museo Totò ai Vergini; e altre cose. Speliamo nel quarantennale. Totò è davvero, in questo, metafora di Napoli, spesso vittima del proprio autoritratto provinciale, inconsapevole della grandezza di una città capitale dai tempi di Boccaccio e della novella di Andreuccio. 

r.n., «L'Unità», 11 aprile 2007


RICORDI Il 15 aprile 1967 moriva Antonio De Curtis e la sua partner artistica per eccellenza ricorda: «Dal nord al sud, stendeva sempre il pubblico dalle risate. Per lo sketch del wagon-lits a teatro la gente si sentiva letteralmente male dal ridere»

La più brava? La più bella? La più simpatica? La più spiritosa? Chissà, il dibattito è aperto e comunque la risposta di Isa Barzizza sarebbe «no», perché è una signora modesta, che non se la tira anche se potrebbe farlo. Ma sicuramente «la», senza ulteriori aggettivi: «la» partner femminile di Totò per eccellenza, semplicemente perfetta, perché accanto al principe reggeva le sue battute e le sue improvvisazione come un'autentica principessa. Con Totò, Isa Barzizza ha girato 11 film e ha interpretato numerose riviste sui palcoscenici di tutta Italia. Ha stregato molti cuori, ricevuto numerose proposte di matrimonio («Da qualche grande industriale, e da qualche aristocratico» - ma non da Totò), gestito con classe un'eredità ingombrante (è la figlia di Pippo Barzizza, sommo musicista e direttore d'orchestra della musica leggera italiana) e mostrato le proprie grazie con un'ironia che le ha permesso di superare le censure del tempo, molto «occhiute» quando c'era di mezzo qualche centimetro di pelle di troppo («Ero terribilmente ingenua, ma facevo tutto con un'innocenza educata che forse mi rendeva accettabile. Non ero una bonazza, ero piena di complessi ma in palcoscenico, o sul set, passava tutto: la prima volta credevo di morire, dalla seconda in poi sono diventata serenamente impudica»).

Signora Barzizza, come ha conosciuto Totò?

«Ero in un camerino del Quirino di Roma per Le educande di San Babila, rivista con Macario. Entrò un signore grasso, con la feccia tonda. Era Mario Mattoli. Mi chiese se volevo fare un film con Totò. Nessuno mi crede quando lo racconto oggi, ma non sapevo chi fosse Totò, però dissi sì, fare un film mi interessava molto. Scoprii solo successivamente che era un «recupero», un film girato in quattro e quattr'otto per ottimizzare i set di Fiacre n.13, un titolo produttivamente molto più ricco... il nostro filmetto si chiamava I due orfanelli e il primo giorno sul set conobbi finalmenteTotò».

Come fu l'incontro? Veramente non l'aveva mai sentito nominare?

«Oggi è difficile crederlo, ma nel 1947 l'Italia era ancora quasi divisa in due: Totò era una leggenda da Roma in giù, ma al Nord non aveva ancora sfondato. In più, senta, io avevo 17-18 anni, e non c'era la tv, e forse non leggevo i giornali... Insomma, no, non lo conoscevo. Al primo ciak mi sembrò un signore molto anziano. In fondo aveva 30 anni più di me. Ero molto intimidita, ma mi passò subito. Girammo I due orfanelli, lui si trovò bene e mi propose di far compagnia con lui in teatro. Così partimmo per la tournée di C'era una volta il mondo, e da lì in poi lavorammo tantissimo insieme».

Lei passò da un capocomico come Macario a uno come Totò. Differenze, somiglianze?

«Come passare da un collegio a una scampagnata. Macario era molto autoritario, lui e sua moglie tenevano insieme la compagnia col pugno di ferro. Totò non si occupava per nulla della disciplina: demandava tutto a Rudy Bauer, un suo direttore di scena tedesco, bravissimo e cattivissimo. Era lui a fere il lavoro "sporco". L'atmosfera era molto rilassata».

Era l'epoca d'oro della rivista...

«Era l'epoca d'oro di tutto il teatro, sia leggero che serio. La compagnia dei Giovani, Visconti, la Osiris, Totò e la Magnani... Grande pubblico dovunque: più «fanciullesco» e pronto a ridere al Nord, più esigente a Roma e soprattutto a Napoli, la piazza più difficile. Ma Totò li stendeva tutti. Guardi, io non ho mai visto ridere come per lo sketch del wagon-lits, quello che poi abbiamo rifatto -Totò, Castellani ed io - in Totò a colori. Dal palcoscenico vedevo la gente sentirsi letteralmente male. Quello sketch, alla «prima», durava 8 minuti. Verso la fine della tournée ne durava 50. Totò aggiungeva qualcosa ogni sera, Castellani gli andava dietro con una sapienza e un tempismo geniali, io stavo lì, mi facevo guardare e cercavo di non scoppiare a ridere. E devo dire che non mi è mai successo. Ero sveglia, e una certa professionalità l'avevo acquisita... e poi, le svelo un segreto: difficilmente noi attori, in scena, ridiamo per una battuta. Chi lo fa, oggi, lo fa apposta: per coinvolgere il pubblico o, peggio, per paura che non rida. Semmai può succedere di ridere per un errore, o per un gesto imprevisto. Ricordo una volta in tv, con Sandra Mondaini: lei doveva aprire una porta e trovarmi impalata sulla soglia, e chissà perché questa cosa, durante le prove, le suscitava un'ilarità irrefrenabile. In diretta, tale fu lo sforzo per rimanere seria che si fece la pipì addosso».

Undici film con Totò: il più bello?

«Forse Fifa e arena e Un turco napoletano, e anche lo sketch di Sette ore di guai».

In «Fifa e arena» c'è la famosa scena del pesce democristiano...

«Se la ricorda? E una di quelle scene che, come suol dirsi, hanno un po' spostato in avanti i confini del comune senso del pudore: Totò mi osserva attraverso un acquario mentre io sto in un bagno turco e quando ne esco, ovviamente senza vestiti, un pesce gli passa davanti e lo «impalla»... un pesce, appunto, «democristiano». Fu una scena faticosissima perché io, chiusa in quel bagno turco, dovevo fumare: a fine riprese avevo fumato 90 sigarette!»

Le piace ancora il cinema?

«Amo tutti i film, tranne i miei. Vado al cinema appena posso. Mi ha molto colpito Alpha Doge non vedo l'ora di vedere Le vite degli altri. Ho appena girato Sette chilometri da Gerusalemme, la storia di un pubblicitario che va in Israele, oggi, e incontra Gesù. È un film strano, un po' pazzo: c’è una scena in cui Gesù beve da una lattina di Coca-Cola e il pubblicitario pensa: però, che testimonial! Chissà se il Vaticano avrà da ridire?...»

Alberto Crespi, «L'Unità», 11 aprile 2007


Se foste arrivati a Napoli il pomeriggio del 17 aprile 1967, avreste trovato difficoltà a entrare in città: c'erano i funerali di Totò e 100.000 persone radunate davanti alla basilica del Carmine Maggiore. Il grande attore era morto a Roma, dove viveva da molti anni, alle 3.25 del mattino del 15 aprile. Aveva 69 anni: era nato a Napoli il 15 febbraio 1898. Le ultime parole furono per la compagna di vita, Franca Faldini: «t'aggio voluto bbene, proprio assai». Poi il cuore, provatissimo, se lo portò via. Totò era in cattive condizioni di salute da anni: quasi cieco, si era rovinato gli occhi per colpa delle luci necessarie a illuminare i set in technicolor. Quel giorno la sua città lo pianse come era giusto. 

Nino Taranto lesse una toccante orazione funebre, in piazza diverse persone svennero credendo di vedere Totò vivo (era la sua abituale controfigura, l’attore Dino Valdi, addolorato quanto gli altri). Il 22 maggio del ‘67 ci fu un secondo funerale, voluto da un capo guappo della Sanità che pretese di rendere omaggio a Totò nel quartiere dove era nato: tutti sapevano che la bara era vuota ma vennero in tanti. Per un grande come Totò, morire due volte era il minimo. In fondo, per chi lo ama come noi, non è mai morto. 

Alberto Crespi, «L'Unità», 11 aprile 2007


Senza il teatro non avremmo mai avuto il Totò più conosciuto Ha attraversato generi partendo dal varietà ed era davvero moderno.

Totò non sarebbe Totò senza il teatro, senza la flessibilità di interpretazione che il rapporto col pubblico sa dare. Il teatro di Totò è un teatro moderno, liberato dalla soggezione ottocentesca al testo, che invece deforma, piega alle proprie intenzioni, contamina. L'avanguardia degli anni Sessanta lo aveva riconosciuto. Leo De Berardinis gli ha sempre reso omaggio, fino a portare in scena Totò, principe di Danimarca. Totò era per lui il maestro - Charlie Parker partenopeo - delle sue improvvisazioni jazz.

Totò ha attraversato i generi teatrali, partendo dalle forme più elementari, l'avanspettacolo, il varietà, la rivista... Raffaele Viviani ha fissato il canone di questo percorso di formazione in due testi, la Bohème dei comici ed Eden teatro, la dimora ai tavoli della galleria in attesa di scrittura, poi la guerra teatr ale senza esclusione di claque dei protagonisti dei numeri che compongono una serata. Enumerare le riviste di Totò non ci restituisce forse il loro significato. Se fossi un Don Giovanni (1938); L'ultimo Tarzan (1938); Belle o brutte mi piacciono tutte (1942)... Questo si rivela, almeno parzialmente, quando si sappia che il celebre sketch dei manichini, quello in cui Totò si finge manichino per sfuggire a un marito geloso, è stato recitato la prima volta in Se fossi Don Giovanni; che l'esilarante sketch del dentista (Totò, per un errore dell'agenzia, si presenta come aspirante marito in casa di una donna che invece cerca cameriere, e che è sposata con un dentista gelosissimo) proviene da Belle o brutte... E soprattutto che C'era una volta il mondo (Michele Gallieri, 1946) è l'origine della celebre scena del wagon lits. L'avventura di Totò con l'onorevole Cosimo Trombetta (Renato Castellani) e la «signora in fuga» (Isa Barzizza) è infatti diventata simbolica di una perplessità verso i privilegi della politica che non è finita con gli anni Cinquanta («Chi siete voi?» «L'onorevole» «Ma chi?» «Io!» «Ma mi faccia il piacere!!!»)...

Totò attore di cinema è la prosecuzione dell'attore di teatro con altri mezzi; soprattutto l'attore di avanspettacolo, del teatro che piaceva a Marinetti (che amava Napoli mentre avrebbe ucciso il «chiaro di luna» veneziano) e ai futuristi. Totò, ovviamente, non era così radicale; al contrario, apprezzava le altre forme di teatro - come Petrolini, ima cui commedia è all'origine di 47 molto che parla - o come Scarpetta (la trilogia cinematografica di Mattoli: Miseria e nobiltà; Il medico dei pazzi; Il turco napoletano). Ma la sua anima - lo ha capito il Pasolini dell'episodio Dove sono le nuvole - è nella forma più semplice di teatro, il teatro delle marionette, dove l'assenza di psicologia, il movimento agile ma a scatti, la docilità meccanica dell'esecutore, risalgono fino a Kleist e Hoffmann, cioè alle origini del teatro moderno.

Renato Nicolini, «L'Unità», 11 aprile 2007


«Totò è stato l'Arlecchino del '900»: così Dario Fo ai microfoni di Radio Città Futura ha ricordato la figura di Antonio De Curtis di cui domani ricorrono i 40 anni dalla morte. «Per lui avevo stima e ammirazione fin dai tempi del liceo. La prima volta l’ho visto recitare a Milano mi ha sconvolto per la magia e la follia che riusciva ad esercitare. Si divertiva a inventare di continuo situazioni nuove. Ma dietro le sue gag c'era sempre un discorso di moralità e di politica».

«Corriere della Sera», 14 aprile 2007


Quella che segue è una lettera che Totò scrisse alla moglie Diana, da Brescia, il 13 gennaio 1943. Un documento inedito.

Cara Diana che successi!

Cara Diana,

ho ricevuto la tua lettera con la specifica dei conti, potevi risparmiarti questo lavoro, tanto, tu lo sai bene, che io non la leggo nemmeno. Quello che tu hai speso è ben speso. Tu sai che io ci tengo che a voi non manchi nulla, che viviate bene. Ti segno l'itinerario delle tante piazze che dobbiamo fare, certo è una vitaccia farla d'inverno.

Mercoledì 13 e 14 Teatro Nuovo Verona, venerdì 15 al 17 Teatro Verdi Padova, lunedi 18 al 20 Teatro Malibran Venezia, sabato 23 al 24 Teatro comunale Treviso, lunedì 25 al 26 Teatro Verdi Vicenza, sabato 30 al 7 febbraio Politeama Rossetti Trieste, mercoledì 10 febbraio Gorizia, giovedì 11 Rovigo, venerdì 12 al 14 Teatro Verdi Ferrara, lunedì 22 al 28 Teatro Medica Bologna. Poi sette giorni al Verdi di Firenze. Indi Roma. Gli sbalzi di date che trovi sarebbero giorni che ancora si devono definire con i teatri.

lo in salute sto bene. I successi sono clamorosi ovunque, io miglioro sempre. Mi auguro che mio padre si sia completamente rimesso, mi raccomando di curarsi. La mamma sta bene? Tu come stai? Liliana mia adorata come sta? Vi abbraccio a tutti, miei cari, a Liliana in special modo e anche a te ti bacio forte forte. Se vuoi scrivermi regolati tu. Fai Espresso, però, che arriva prima. Baci.

Totò

«Il Mattino», 14 aprile 2007


ROMA

«Quando ho cominciato a fare cinema, Totò è stato per me veramente un grande lancio»». Così Sophia Loren ricorda la figura del principe Antonio De Curtis, universalmente noto come Totò, a 40 anni dalla morte. Giunta a Roma da Ginevra per i festeggiamenti dell’80° compleanno di Papa Ratzinger, l’attrice ha aggiunto: «Totò è stata la prima persona che ho conosciuto a Cinecittà. E proprio lui mi ha dato una mano con la prima comparsata al cinema. Da lì, poi, sono andata avanti». La Loren, che con Totò ha lavorato in Totò Tarzan (recitava ancora come Sofia Lazzaro, ndr) e Miseria e nobiltà, ha precisato: «Fuori dal set non l’ho mai conosciuto. E sul set poco, perché ero una generica, non un’attrice». Si è detta poi d’accordo con il governatore della Campania, Antonio Bassolino, nel definire Eduardo De Filippo, Totò e Troisi la commedia di Napoli e «molto, ma molto entusiasta e onorata»» della sezione a lei riservata nel II Festival del Cinema di Roma dal 18 al 27 ottobre, proprio dedicato a Totò.

«Corriere della Sera», 16 aprile 2007


Moncalieri

Totò alla Multisala Ugc Ciné Cité (via Postiglione, frazione Vado; ingresso 2 euro), con cinque film e altrettanti appuntamenti da gustare, anche letteralmente. Così “Cineborgate” rende omaggio a Antonio de Curtis, nel quarantesimo anniversario della morte: è infatti dedicato al principe della risata e al suo rapporto con il Piemonte “Totò e i piemontesi”. Perché Totò era napoletano sì, ma non solo recitò più volte a fianco dei torinesi Erminio Macario e Carlo Campanini e dell’astigiano Luigi Pavese, ma teneva anche a dire di essere uomo di mondo per aver fatto il militare a Cuneo. Il tributo al più grande comico italiano è anche l’occasione per rendere omaggio a personaggi piemontesi di spicco e dare risalto all’importanza del Piemonte nella storia del cinema italiano, che ebbe in Torino una delle sue capitali.

I film proposti: martedì 3 luglio “Totò al Giro d’Italia” (la cui vicenda prende il via a Stresa, sulle sponde del lago Maggiore), di Mario Mattoli; martedì 10 “Totò contro Maciste”, di Fernando Cerchio (nativo di Lusema San Giovanni, in provincia di Torino, e recitato tra gli altri da Luigi Pavese); martedì 17 “Totò e Cleopatra”, di Fernando Cerchio; martedì 24 “I due orfanelli”, di Mario Mattoli (con Carlo Campanini a fianco di Totò); martedì 31 “Totò contro i quattro” di Steno (con Macario tra i mattatori).

Precedono le proiezioni, gli appuntamenti di “DegustaCinema”; cinque lezioni-degustazioni di registi torinesi (Davide Ferrario,Dario Migliardi, Franco Diaferia, Daniele Gaglianone e Massimo Scaglione) sui film di Totò in calendario. Le dissertazioni saranno accompagnate da assaggi di prodotti tipici regionali.

«Corriere di Chieri», 17 aprile 2007


2007 07 04 La Voce del Popolo Toto Peppino e la malafemmina

Antonio De Curtis, o più semplicemente Totò, nell’arco della sua carriera, ha girato un centinaio di film. Tutti preziosi, sublimi e poetici, tutti quanti, dai suoi capolavori a quelli più imperfetti. Sono il ritratto di un grande artista. Lo specchio della sua umanità. Quest’anno ricorre il 40° dalla sua morte. Un film esemplare, per ricordarlo, è «Totò, Peppino e la malafemmina». La storia, poco più di un pretesto per inanellare una serie di situazioni comiche memorabili: i fratelli Totò e Peppino, che sono piccoli proprietari terrieri, hanno un nipote, Gianni, all’ultimo anno di medicina all’università. Ma il giovane presto si fa distrarre dall’amore per Marisa, un’attrice di varietà. Ai fratelli Caponi, Totò e Peppino, tocca quindi andare a richiamare all’ordine il nipote, riportandolo ai suoi doveri di studente. Gianni è Teddy Reno che, giustamente, viene sfruttato per le sue qualità di cantante, all’epoca, di grande successo: tra le altre, esegue «Malafemmena» e «Chella ‘llà».

Totò e Peppino confezionano alcuni dei loro «numeri» più celebri. I due, in calesse, cantano: Totò, invariabilmente, frusta il cavallo e colpisce ad un occhio il distratto Peppino. Peppino che, a corto d’argomenti di conversazione, conclude dicendo «...ho detto tutto!», in realtà non avendo detto proprio nulla e non essendo stato affatto capito dagli astanti. I due fratelli sulle tracce di Gianni arrivano a Milano, dove «fa freddo» e c’è la nebbia che «non si vede», arrivano vestiti da cosacchi pur essendo in piena estate. I due che preparano la lettera per questa misteriosa amante del nipote, per dissuaderla («Veniamo noi con questa mia addirvi una parola...»).

È la celebre «scena della lettera». L’affiatamento dei due attori è perfetto, il divertimento è di testa e di cuore, e si rinnova ogni volta che si rivede, da spettatori, la sequenza. Davvero da manuale. La rifaranno poi Benigni e Troisi, anni dopo, in «Non ci resta che piangere». Briosa anche questa, ma i maestri restano insuperati. Totò e Peppino, quindi, alla ricerca di Gianni, si ritrovano in piazza Duomo «per vedere il Colosseo». Ad un «ghisa», che scambiano per un ufficiale asburgico, chiedono in un improbabile gramelot, «Scùsmi, bìttescen, nòio vulevòn savuàr l’indirìss...».

Il ritratto di una Italia semplice e ingenua, questa del film. Una perfetta esemplificazione della coppia comica. Lezioni d’arte interpretativa. Divertimento puro. Cari Totò e Peppino: «salutandovi indistintamente», grazie.

Pietro Caccavo, «La Voce del Popolo», 4 luglio 2007


Il festival «Le parole dello schermo» rende omaggio al grande Totò. A ricordare il principe Antonio De Curtis, a quarant'anni dalla sua scomparsa, attori, critici, registi che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui. Momento clou della giornata, la proiezione di «Totò e Carolina», alle 22 in Piazza Maggiore, presentata da Mario Monicelli. Il film, stravolto dai tagli della censura, sarà proposto nella sua interezza, grazie al recupero compiuto dalla Cineteca, mentre l'attore Carlo Croccolo - sul set con Totò in alcune memorabili interpretazioni - "doppierà" dal vivo le scene ritrovate prive del sonoro. Prima della proiezione, alle 21.45, Franca Faldini - compagna di De Curtis dal 1954 fino alla morte, ora sua biografa - leggerà un testo dello stesso Totò.

E sempre Faldini e Croccolo incontreranno il pubblico nel pomeriggio, alle 17.30 al Cinema Lumière in via Azzo Gardino 65. Insieme a loro, i critici Goffredo Fofi, Tatti Sanguineti, Giuseppe Montesano e Isa Barzizza, entrata nella memoria per il ruolo dell'affascinante ladra di «Totò a colori». In serata, le proiezioni dei film di Monicelli interpretati da Totò: «Totò e i re di Roma» (ore 20, Sala Mastroianni), «I soliti ignoti» (ore 20.30, Sala Scorsese), «Totò e le donne» (ore 22.15, Sala Mastroianni) e «Guardie e ladri» (ore 22.30, Sala Scorsese). L'ingresso è gratuito.

f.c., «L'Unità», 15 luglio 2007


Cara Maria Latella,

da sempre ho nel cuore Totò. E spesso recito la sua «Livella», che suscita emozioni e applausi. Ma il più grande applauso è quello che proviene da tutti coloro che hanno vissuto, subito dopo la 11 guerra mondiale, nel tempo di un'Italia che rispecchiava il suo modo di essere e di sentire. E aveva bisogno di ridere, di accantonare perdite e delusioni c di tuffarsi nella speranza. Tra i tanti comici (parola forse riduttiva, perché sarebbe meglio dire «artisti del sorriso») Totò è stato forse il più bistrattato dalla critica del tempo. A causa anche di film allora considerati di basso livello. Ma per capire quanto invece fosse grande basta rivedere alcune scene rimaste impresse praticamente a memoria nel cuore e nella mente di milioni di spettatori di almeno tre o quattro generazioni.

Qualche esempio? La celebre lettera scritta con la sua grandissima «spalla» di allora, Peppino De Filippo, nel film «Malafemmena». Oppure, la scena della discesa dal treno a Milano, tratta dallo stesso film, o ancora tutto il film «Miseria e nobiltà», tratto da una celebre commedia di Eduardo Scarpetta, che Totò riesce a rendere alla perfezione. E ancora, per citare solo qualche indimenticabile titolo, «Un turco napoletano», «47 morto che parla», «Totòtruffa», «Signori si nasce» e tutta la serie, a partire da «Guardie e ladri», girata in coppia con un altro grandissimo attore, Aldo Fabrizi, troppo rapidamente dimenticato. Unico, grande, irripetibile Antonio de Curtis, vero «principe della risata»: vorrei esprimere attraverso la rubrica la mia commossa gratitudine a Totò. E consigliare a chi è solo, triste e depresso di avere sempre a portata di mano qualche suo film: che più di tante pillole e pillolette riporta il buonumore, il sorriso e soprattutto la riflessione. E, amara e dolce che sia, lascia dentro il meglio e il bello della vita. Grazie Totò.

Nicoletta Cinipanelli

E' vero, l'arte di Totò è unica, gentile signora Campanelli. Riesce sempre a strapparci almeno un sorriso: che è un'impresa, in questi tempi, non sempre facile.

«Corriere della Sera», 20 luglio 2007


ROMA

C’era Totò la maschera e poi c’era Antonio il Principe. «Quando mio padre arrivava a casa, lasciava fuori dall’uscio quel carattere che l’aveva reso tanto famoso e diventava un uomo come tutti gli altri. Diceva: "Sono un operaio dello spettacolo, mi levo la tuta e rientro nei miei panni"». Liliana, figlia del grande Antonio de Curtis, lo ricorda così in occasione della presentazione di principe chiamato Totò, diretto da Fabrizio Berruti e scritto da Diana de Curtis, figlia di Liliana e nipotina di Totò, con Barbara Calabresi. Un documentario che getta luce sugli aspetti più privati e segreti di quel genio della comicità, un album di famiglia con foto, immagini, poesie. E testimonianze di amici e colleghi, da Sofia Loren a Gigi Proietti, da Massimo Ranieri a Giulio Andreotti, da Renzo Arbore a Lucio Dalla, che ha musicato un testo inedito di Totò, «Principessa».

E poi Lino Banfi, anche lui ieri alla presentazione del filmato insieme con Alessandro Gassman, che nel film presta la voce come narratore. E assicura che farlo è «un onore e un dovere». L’anno prossimo a Napoli si aprirà un Museo-scuola di spettacolo intitolato a Totò e destinato ai ragazzi del Rione Sanità. «I figli di Totò. Per dar loro una speranza di un futuro migliore».

G.Ma., «Corriere della Sera», 24 ottobre 2007


2008

2008 01 28 Trubuna Novarese Cafe Chantant Toto intro

Nella grande stagione del cinema western americano, il caffè, la cui preparazione veniva eseguita per bollitura, viene consumato al crepuscolo, davanti ad un fuoco acceso nella prateria quasi come fosse una liberazione, dopo una giornata di scorribande contro gli indiani. Il connubio John Ford - John Wayne lo dimostra piu’ volte.

Lo si consuma all'alba a Fort Apache (ne "I Cavalieri del Nord Ovest"), lo si consuma per smaltire una sbornia (in "Ombre Rosse"), lo si consuma semplicemente come bevanda in "Un Dollaro D'Onore", dove prende il posto del whisky; lo si consuma, ancora, per spegnere un falò, come accade in "Cowboy". Oppure in un altro grande classico, quale "Johnny Guitar", Sterling Hayden sembra realizzare il primo spot pubblicitario quando recita "Niente di meglio che una fumata ed una tazza di caffè". Al contrario di Kevin Costner ne fa merce di scambio in "Balla Coi Lupi".

Nella filmografia italiana, risalendo al neorealismo, si mette in luce la moka ottenendo, al contrario che nelle pellicole americane, una bevanda corposa, profumata e consistente.

Testimonianze evidenti si hanno soprattutto nel dopoguerra con Totò in "Totò Terzo Uomo" in cui il principe De Curtis ordina un caffè corretto al cognac. In "Miseria e Nobiltà" si parla di “caffelatte senza caffè ...e senza latte”. In "La Banda degli Onesti" c’è un'intera scena dedicata al caffè; ne "I Tartassati" con Totò che sostiene "Prendo tre caffè alla volta per risparmiare due mance".

La tazzina domina ancora la scena in "Sua Eccellenza si fermò a mangiare", "Totò, Peppino e la dolce vita", "Guardie e Ladri", in cui il protagonista sorseggia il caffè direttamente dalla moka e ne "I Due Marescialli", nel quale ne contesta alla cameriera il sapore.

«Tribuna Novarese», 28 gennaio 2008 - Pagina 1


Perché tanto accanimento contro il film che Mario Monicelli cominciò a dirigere nel settembre del 1953, ma che riuscì ad arrivare sugli schermi solo nel marzo 1955, continua a restare un mistero. È vero che la Rosa Film, la società produttrice di proprietà di Carlo Ponti, ma gestita dal marchese Altoviti, non aveva voluto chiedere il «giudizio preventivo» sulla sceneggiatura (pratica andreottiana che di fatto equivaleva a un vaglio censorio sul film prima ancora che si iniziasse). È vero che il celerino interpretato da Totò non aveva certo la statura dell' eroe, ma piuttosto quella del «povero fesso» (come ribadisce anche l'ultima battuta del film) che finisce dentro a un ingranaggio più grande di lui e che cerca di cavarsela alla meno peggio, chiedendo ora una mano ai manifestanti comunisti (per trascinare la sua camionetta fuori da una scarpata), ora a un ladro (Maurizio Arena, non ancora povero ma bello).

Ma la storia dell' agente «dell' Urbe» Caccavallo Antonio che deve ricondurre a Poggio Falcone l'infelice Carolina, arrestata a Villa Borghese e decisa a togliersi la vita perché incinta di un mascalzone che l'ha piantata, non sembra certo uno di quei soggetti così anticonformisti da scatenare le ire della censura. Eppure il film fu davvero massacrato, togliendo battute e allusioni (come quella sui poveri che non hanno nemmeno la libertà di suicidarsi «perché è roba da ricchi»), «obbligando» un gruppo di manifestanti a non cantare «Bandiera rossa» ma «Di qua, di là del Piave» e sostituendo il troppo nostalgico «dell' Urbe» con «di Roma». L' edizione in dvd della FilMauro rende finalmente disponibile il lavoro filologico fatto da Tatti Sanguinetti e dalla Cineteca di Bologna che hanno ricostruito la versione originale prima degli interventi censori, praticamente battuta per battuta e scena per scena. Manca solo, rispetto al testo pubblicato da Sanguinetti all' interno della ricerca Italia Taglia, la lunga scena con il parroco e il sor Torquato, che però Monicelli sostiene di aver tagliato per ragioni di ritmo. Peccato che l' assoluta mancanza di extra o di testi di spiegazione renda d' impossibile comprensione per il pubblico normale un lavoro di ricostruzione filologica davvero straordinario.

Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera», 17 marzo 2008


A tutti è noto che Antonio De Curtis, in arte Totò, è stato il più grande comico italiano. Forse però, non tutti sanno che era un gran collezionista di ogni cosa che trovava, ritagliava tutto e conservava: aveva sempre con sé un misterioso baule con chissà quale tesoro racchiuso dentro. In realtà al suo interno c’erano: un vestito di scena, un codice civile, una macchina da scrivere, foto della famiglia, numerosi oggetti portafortuna e un vestito da donna perché quando alloggiava solo nelle camere d'albergo voleva che nella stanza ci fosse profumo di donna. Questa è solo una delle curiosità poco note svelate venerdì 11 aprile dal critico cinematografico Mauro Gervasini. La serata, svoltasi presso il plesso comunale a Sesto Calende è stata organizzata dal Fotocineclub Verbano in collaborazione con l’associazione culturale La Robinia di Castelletto sopra Ticino (www.larobinia.it).  

«È la più straordinaria maschera comica italiana, Totò è nazionale perché racconta di noi, ma con il lavoro svolto sulla sua fisicità potrebbe benissimo gareggiare con altri grandissimi personaggi a livello internazionale;» afferma Gervasini. Antonio De Curtis era orfano, ma si faceva passare per nobile e la nipote, Diana De Curtis, conferma che il nonno, pur non avendo titoli nobiliari, era una persona veramente aristocratica nei modi di fare. Non amava stare in mezzo alla gente e ha dilapidato un patrimonio in cani. Adorava questi animali e ha costruito per loro tre canili. Una delle persone che conosceva meglio Totò, anche al di là della finzione scenica, è stato Mario Castellano, sua spalla in alcuni film. Probabilmente c’è chi lo ricorderà nell’ indimenticabile scena del vagone del treno in Totò a colori. «Bisogna sapere che Totò improvvisava almeno il cinquanta per cento delle battute che pronunciava. Quindi grande merito hanno anche le spalle che riuscivano a stargli perfettamente dietro. La scena del vagone è stata replicata in alcuni teatri e a volte la durata dello scambio di battute, dai dieci minuti del lungometraggio, è arrivata a cinquanta minuti. Alla fine Castellano, per essere riuscito a stare dietro a una mitragliata di battute improvvisate da Totò “dovevano portarlo via in barella"!» così Gervasini ha introdotto l’esilarante scena del vagone del treno prima di mostrala al pubblico presente in sala. 

Gervasini ha poi voluto sfatare un mito: «Non è vero che Totò è stato stroncato dalla critica. Oggi viviamo in una realtà in cui la figura dell'intellettuale è vista come poco più che spazzatura e quindi si tende a dire che anche gli intellettuali del tempo non lo avevano capito. In realtà esistevano meno mezzi tecnici e critici per comprendere la comicità di allora con la consapevolezza attuale.» Totò era un uomo molto intelligente il primo comico italiano che ha la consapevolezza della tragicità della sua maschera. I suoi sketch rappresentano la situazione di estrema precarietà in cui si trovava l’Italia fra gli anni Trenta e Cinquanta. Esprimeva quell’ironia che si nasconde dietro gli istinti e i bisogni primari che alla gente in quegli anni mancavano.

Paola Orioli, «L'Azione», 17 aprile 2008


Venerdì 16 maggio, la Cena letteraria del Kiwanis Club. Poesie d'amore, napoletanità e cibi a tema per la tradizionale serata 

ALESSANDRIA

Con il patrocinio della Provincia di Alessandria, dell’E-ditrice Taro di Giuseppe Danielli e della Libreria “Nuova Terra” si svolgerà, il prossimo 16 maggio, la cena letteraria intitolata A tavola con Totò. La Cena, occasione per "condividere, godere insieme, trovarsi” è organizzata già da alcuni anni dal Kiwanis International club di Alessandria, presieduto da Augusto Sensi, su un'idea di Mariavittoria Delpiano ed è diventata un appuntamento sempre più ricco di proposte. Le iniziative non hanno un filo conduttore, ma cercano di celebrare ricorrenze, anniversari, attualità con letture di racconti, riflessioni, brani, poesie come è successo per la Cena letteraria dedicata a Federico Fellini o a quella dedicata alla fiaba “Una cena di favola... tra fiabe e favole” con letture tratte dal “Diario di un gatto con gli stivali” di Roberto Vecchioni e da Maria di Francia.

L’argomento scelto per quest’anno è legato alla napoletanità e in particolare ad Antonio De Curtis, in arte Totò, con letture di poesie d’amore, tema dominante della sua poetica. Altri aspetti rilevanti delle Cene letterarie del Kiwanis International sono quelli di abbinare i menu quali trasposizioni degli argomenti o dei personaggi protagonisti della serata e di scegliere ogni anno ristoranti diversi per valorizzare l’estro e la bravura degli chef locali: dal ristorante “Il Mulino” di San Michele a “Le Cicale” di Spinetta Marengo dove è stato possibile ammirare le belle immagini fotografiche di Carla Lombardi. Non è possibile infine dimenticare la presenza nelle passate edizioni di Grazia Pierallini quale lettrice allenta nella scelta dei brani, precisa quale voce narrante, sensibile nell’interpretazione, magistrale nella recitazione. Quest’anno la Cena letteraria si ripropone quindi con “A tavola con Totò” la lettura di poesie di Antonio De Curtis a cura di Domenico Sorrentino del Cenacolo “La Fenice” e con ricette tratte da "Racconti di cucina” di Lorenzo Totò, chef Domingo Schingaro. presso il ristorante Alli Due Buoi Rossi di via Cavour, alle ore 20.

S.I., «Il Piccolo», 9 maggio 2008


Stasera a Vinchio si conclude la rassegna cinematografica. Nella piazza del Castello sarà proiettato “La Terra vista dalla Luna”

È ormai in corso l’edizione 2008 di “Cinema pagano”, la rassegna cinematografica che quest’anno ha per sottotitolo “Scivolare sul mondo: Keaton/Beckett, Totò/Pasolini”, voluta a compendio dei festeggiamenti vinchiesi dall’assessore alla cultura Si-mone Laiolo e quest’anno curata da Matteo Bisaccia.Già due sono stati gli appuntamenti: “The balloonatic”, “Neighbors”, “One week”, “The boat” di e con Buster Kealon e “Convict 13” e “The high sign"di Buster Keaton e “Film” per la regia Samuel Beckett con Buster Keaton. Afferma Matteo Bisaccia: “Ci ha guidata nella scelta la volontà di offrire un esempio di quella comicità che Charles Baudelaire definisce propria del comico innocente, che prende la sua arte diretta-mente dalla natura, la vive e la trasforma, così da diventare come un musicista che suona il mondo e lo trasforma a suo piacimento, facendolo diventare tutto musica e colore". 

Keaton e Totò apparterrebbero a questa categoria; il primo, con il suo talento di grande regista e di acrobata, riesce a ribaltare la situazione, sollevandosi sopra le regole del mondo e a scampare a disastri costruiti come una bomba a orologieria imperturbabile, con in viso una maschera inespressiva, senza emozione, di pietra. L'altro, invece, nei momenti più telici riesce a mutare il suo viso fino a diventare maschera, a trasformarsi in un burattino. 

Questa sera alle 21,30, sulla piazza del castello, è in programma l'appuntamento conclusivo con “La Terra vista dalla Luna” e “Che cosa sono le nuvole" per la regia di Pier Paolo Pasolini che dirige Totò e Nino Davoli. “In questo film, - afferma Bisaccia - troviamo l’apice dell’arte di Totò che si esalta nell’incontro con il poeta Pier Paolo Pasolini; questi vede nel comico la tradizione della commedia della maschera; liberato dai ruoli del furbetto simpatico, del piccolo borghese - ruoli che gli avevano “dato da mangiare ”negli anni '50 e '60 - Totò nei film di Pasolini, sempre seguito dal “figlio” d’arte Ninetto Davoli, si muove come un burattino innocente, saggio e spensierato. “Che cosa sono le nuvole” e “La Terra vista dalla Luna” sono due storie moderne, che hanno il sapore di favole antiche”. 

Di. Esse. Bi., «Gazzetta d'Asti», 6 settembre 2008


2008 09 27 Corriere della Sera Toto intro1

Nessun altro come il principe Antonio de Curtis ha saputo diventare la maschera di tutta l’Italia

2008 09 27 Corriere della Sera Toto f1Si può fare a meno di Totò? Negli anni Cinquanta una certa Italia, ideologica e supponente, ne era convinta. Ma siccome «ogni limite ha una pazienza», l’altra Italia piano piano ha preso la sua rivincita dimostrando nei fatti (negli incassi, nelle battute che diventavano patrimonio di tutti, nel piacere di lasciarsi andare ai suoi lazzi e ai suoi sberleffi) che di Antonio de Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, duca di Macedonia e d'lliria, principe di Bisanzio eccetera eccetera, non si poteva proprio fare a meno.

Perché nessun altro come lui ha saputo diventare la maschera di un Paese tutto, complesso e nello stesso tempo lineare come l'ltalia, capace di arrangiarsi quando serviva, e insieme rispettoso della più autentica generosità, che non nascondeva ipocritamente la sua fame di cibo e di sesso (come invece cercava di fare una certa Italia altezzosa e fintamente libertaria) ma disposto a riconoscere i dritti binari della morale e dell’onestà, convinto che divertirsi fosse un diritto di tutti ma sensibilissimo al dolore e alla sofferenza... La sua complessità, a volte lunare e surreale a volte lancinante e metafisica, lo ha reso «contemporaneo» a ben più di una generazione, ognuna riconoscendovi quello di cui aveva bisogno: nell'immediato dopoguerra la forza di rivendicare i bisogni per troppi anni repressi, negli anni Cinquanta la capacità di irridere le due grandi «chiese» del Paese — Dc e Pci —, nei Sessanta la capacità eversiva di chi non si fa mai ingabbiare da nessun potere, nei Settanta il distacco ironico dalla cupezza del pensiero dominante. E poi ancora la rivolta contro i «caporali» di ogni tempo, i supponenti, i tracotanti, i furbi, i prepotenti...

In ognuno dei suoi cento e passa film ci sono una pillola di saggezza, una gemma di intelligenza, un giacimento di ironia. E naturalmente una montagna di risate. Perché far ridere, in un mondo che per troppo tempo aveva dimenticato come si faceva, diventò per Totò una specie di missione umanitaria, un imperativo categorico, un obbligo morale. Per questo è impossibile fare a meno di rivedere e rivedere ancora la dettatura della lettera in Totò, Peppino e la malafemmina, il numero del finto morto in Napoli milionaria, il furto della valigia di De Sica nei Due marescialli, la lezione di scasso con destrezza (e col buzzichino) nei Soliti ignoti, la costruzione del busto in mollica del commissario in Totò e Carolina, la vendita della fontana di Trevi in Tototruffa '62, lo spaccio delle diecimila lire false/vere in La banda degli onesti, il direttore d’orchestra-fuoco d’artificio di Totò a colori (e il numero del wagon lit e quello degli esistenzialisti di Capri, e il Pinocchio disarticolato e le composizioni di .Aristarco Scannagat-ti...) e poi l’imitazione della gallina che ha fatto l’uovo in Totò cerca casa, il proclama agli italiani mammoni e sessuofobi in Arrangiatevi, le battute in arabo-napoletano di Totò sceicco, gli sguardi alle forme procaci delle sue partner, dalla Loren alla Pampanini, i duetti con Peppino, con Fabrizi, con Castellani, con chiunque gli capitasse a tiro.

L’idea di una collana di dvd con Totò nasce proprio da qui, dal bisogno di confrontarsi ancora una volta con la sua genialità, il suo estro, la sua fantasia. Per verificare che non è vero che nessuno lo apprezzasse in vita (i dvd sono accompagnati da un libretto scritto per l’occasione, con testi, interviste, commenti e soprattutto le testimonianze di chi seppe apprezzarne da subito l’intelligenza e la bravura, da Bontempelli a Moravia, da Corrado Alvaro a Filippo Sacrili, da Palazzeschi a Flaiano a Pasolini), ma anche per scoprire che la sua modernità non è ancora finita e che in un cinema che ha scambiato lo sberleffo con la volgarità, la satira con l’insulto, l’ironia con il cinismo, i film di Totò — perché prima che dei suoi registi e dei suoi sceneggiatori tutti i suoi film sono intimamente e Istintivamente di Totò — sono uno dei momenti più alti e più sfavillanti del cinema italiano e della storia culturale del nostro Novecento.

Paolo Mereghetti, «Corriere della Sera», 27 settembre 2008


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Incollocabile. «Rispondeva solo al suo estro, era incollocabile, era un’esplosione anarchica senza generi né ideologie»

2008 09 27 Corriere della Sera Toto f2Per Silvio Orlando, neo vincitore della Coppa Volpi a Venezia col Papà di Giovanna, attore dalla duplice natura comica e drammatica, Totò è stato un mediatore generazionale di marca, qualcosa di cui non possiamo più fare a meno: «Con mio padre eravamo in disaccordo quasi su tutto ma quando arrivava un film con Totò, e le tv libere ne trasmettevano di continuo, scoppiava il pieno accordo si rideva e lui immancabilmente finiva dicendo: "Ma quanti film avrà fatto questo qui?"».

Il principe de Curtis ha rappresentato molto per gli attori ora cinquantenni perché aveva qualcosa di speciale, qualcosa di atavico e di arlecchinesco come diceva Fellini, la maschera: «Era incollocabile, era im esplosione anarchica senza generi né ideologie, rispondeva solo al suo estro. Il boom dei suoi film in tv ci ha fatto capire la sua complessità di attore. Io lo preferisco nella maschera del 50enne quando faceva il borghese avido, egoista, meschino che martirizzava i suoi partner, tra cui Peppino De Filippo che io reputo il suo più grande antagonista comico».

Silvio Orlando ha sentito dire che a teatro il comico Totò valeva una fortuna, faceva correre nelle riviste la compagnia in passerella al ritmo dei bersaglieri. «Non so cosa sceglierei se mi proponessero un remake di un suo film. Io amo molto Guardie e ladri per il suo aspetto sociale e trovo che Totò, Peppino e la malafemmina sia perfetto, non abbia un tempo morto, ma mi fa impazzire anche Totò, Peppino e i giovani d’oggi, e devo confessare anche che considero un capolavoro La banda degli onesti. Ma in verità nessuno può pensare di diventare Totò: lo si può citare, ma non imitare. Io solo in teatro mi sono permesso di recitare alcuni suoi sketch, erano testi scritti». Orlando nella sua carriera in palcoscenico ha spesso fatto con successo Eduardo e Peppino, ma non ricorda esattamente il suo primo incontro da spettatore con Totò: «Non ce la faccio ad isolare una scena, un titolo, ricordo una marea di sensazioni che ci cascavano addosso dallo schermo tv negli assolati pomeriggi estivi napoletani. Perciò noi ricostruiamo volentieri la sua carriera in un collage perché nei suoi film c’è sempre un momento esemplare, e allora si fa un puzzle col meglio del meglio».

Eppure quando Orlando stava in casa a scoprire il Totò in tv il gusto radicai chic imponeva ben diverse scelte culturali: «Erano i momenti in cui i colleghi impazzivano per i grandi profeti Barba, Kantor, Grotowski, mentre io me ne stavo con papà a ridere col principe de Curtis. Alla fine per evitare rimproveri mi inventai lo stile Totowski, un perfetto e indigesto mix tra il pensoso Grotowski e il nostro comico».

Maurizio Porro, «Corriere della Sera», 27 settembre 2008


2008 10 04 Corriere della Sera Toto intro1

Emozioni. «Ho visto piangere mio padre due volte: per la morte di Longanesi e quando Totò ritirò un premio. Del mondo del cinema c’era solo lui»

2008 10 04 Corriere della Sera Toto f2Sulla scrivania, Enrico Vanzina ha una sua foto con Sordi e un’altra accanto a Totò in «Guardie e ladri», durante la scena dell’inseguimento di Aldo Fabrizi all’Acqua Acetosa. «Cè Totò che mi tiene per mano. Avevo due anni». Non è mai stato sulle sue ginocchia. «Ma l’ho conosciuto bene, andavo con mio fratello Carlo sul set dei suoi film, negli ultimi anni della sua vita ci invitava nella casa ai Monti Parioli, a prendere il tè. Era già cieco. Ci toccava come uno che ha paura di toccarti. Era un rapporto formale, borghese. In quei momenti non era Totò, nella vita era un signore elegante, garbato, spiritoso certo, però ti metteva in soggezione».

Totò non era per loro, come lo era Alberto Sordi, un amico di famiglia. «Era un amico di papà», ricorda Enrico, figlio di Steno, il regista legato ai film d’oro di Totò, tra gli Anni 50 e Finizio degli Anni 60. «Anche se papà fece "Un americano a Roma" con Sordi, era Totò il suo attore prediletto, a casa con noi parlava come lui: "Ma mi faccia il piacere". Oppure, guardando la cameriera: "La serva serve"». Terrence Malick, il regista di culto noto per i suoi silenzi e che non si stacca mai dalla sua ombra, rivelò alla Festa del cinema a Roma che «Totò a colori» è il primo film italiano che ha visto, e gli ricorda Chaplin e Buster Kea-ton. Enrico non si scompone: «Da buon ultimo, parla bene di Totò. Non ho ricordi di quel film, papà però diceva che i colori più belli erano il bianco e nero, rimase colpito dai primi colori sullo schermo, così forti e vivaci, così realistici; per lui il cinema era finzione».

Racconta che una volta Steno papà andò a Napoli per uno dei pochi premi che prese Totò. E disse che era una triste serata, non solo perché fuori pioveva, ma perché a festeggiarlo del mondo del cinema c’era solo lui, che sarebbe diventato un eroe nazionale. «Totò soffriva di questo. Ho visto piangere mio padre due volte: quando morì Leo Longanesi si chiuse nello studio, chiuse le tapparelle e restò al buio. Poi nell’occasione di quel premio a Totò. Lui amava molto papà, sul set alle sue battute rideva come un bambino e per Totò questo voleva dire che il film funzionava. Papà non dava quasi mai lo stop».

Si è tanto parlato delle improvvisazioni di Totò. «Erano meno di quelle che si pensa, le scene erano provate e riprovate in camerino con gli altri attori che facevano da spalla, era tutto studiato, improvvisava solo nei finali. Diceva che non si fa ridere al mattino, girava in quello che si chiama l’orario francese, dalle 13 alle 21. Non andava mai a vedere i giornalieri, il lavoro del giorno. Ogni tanto si vestiva da principe De Curtis, col blazer e il foulard, e si rivedeva in sala di proiezione: il principe era il primo ammiratore di Totò».

Enrico è lo sceneggiatore dei film di suo fratello Carlo. «Le nostre famiglie sono legate a filo doppio. Anche mio fratello ha debuttato al cinema con Totò. Il film era "Totò e le donne", c’è una voce che dice che fin da piccolo era ossessionato dalle donne, in un flashback lo si vede sbaciucchiato da vecchie zie. Era mio fratello Carlo, aveva un anno. Ha esordito facendo Totò da piccolo. La prima volta che lo vidi io, invece, fu per strada, mi fece effetto, girava con un macchinone americano».

Totò e Sordi insieme? «Una volta sola, per il film "Totò e i re di Roma". Era una scena tutta a favore di Sordi, Totò gli andò dietro e gii sputò sul collo. Voleva rubargli attenzione. Capì che Sordi era bravissimo e s’inventò qualcosa, aveva paura di lui». Eppure i loro sberleffi non sono mai volgari. I due hanno qualcosa in comune? «Sì, hanno inventato e fotografato un modo di essere italiani mettendo alla berlina una certa cialtroneria che tuttora esiste e ci appartiene. E poi ci fanno ridere con una comicità non sofisticata, andando sui grandi topos della farsa: l’invidia, la fame, il sonno, la balbuzie, l’avarizia Cose semplici».

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Che cosa c’è da imparare nel 2008 dalla maschera di Totò? «Lui, Sordi, De Sica, erano attori talmente bravi... Non importava che facessero film importanti o meno importanti per i motivi più vari, per mangiare, per contratto, ma ogni volta davano il meglio di sé, non sottovalutavano nessun progetto, non avevano mai la puzza sotto il naso. E infatti è raro trovare un film in cui Totò non è bravo. Ecco, questa forse è, al di là del talento, la lezione più grande che ci lascia».

Valerio Cappelli, «Corriere della Sera», 4 ottobre 2008


2008 10 11 Corriere della Sera Toto intro

2008 10 11 Corriere della Sera Toto f2«Totò? Il computer della comicità! Sofia Loren? Perfezionista già a vent’anni!». Giacomo Furia, 83 anni e il bagaglio di 140 film alle spalle (16 al fianco del principe della risata), non ha dubbi. Per lui «L’oro di Napoli», sei episodi con un cast d’eccezione, è un pezzo di storia del cinema. «L’atmosfera di quel set è indimenticabile — esordisce Furia —. De Sica alla regia, io e la Loren a dare l'anima nei panni di due pizzaioli, nell’episodio "Pizze a credito". Certo gli spunti per sorridere non mancavano. Io, don Rosario, marito geloso e cornuto. Lei, donna Sofia, una moglie che incantava con i suoi "promemoria" ben in vista Anche se, per la verità lei aveva pochi motivi per essere divertente».

Perché, la Loren aveva litigato con qualcuno?

«Chi, Sofia? Ma scherziamo? È sempre stata una compagnona La verità è che arrivò sul set con una fastidiosa bronchite. Ma De Sica aveva previsto una scena dove, sotto la pioggia, cercavamo l’anello scomparso. A Napoli, però, non pioveva Così, Vittorio chiamò i vigili del fuoco. Ma i pompieri presero troppo alla lettera il loro ruolo. Tanto che fummo investiti da un diluvio. La Loren? Impassibile, da navigata professionista. Eppure aveva solo vent’anni».

Quali doti hanno reso Sofia un mito del cinema internazionale?

«Innanzitutto un perfezionismo raro. Durante "L’oro di Napoli" era instancabile. Prima di girare, fino all’ultimo minuto, diceva: "Giacomo, dai, proviamo ancora!". E poi ha un talento innato. Una determinazione da primato. Sofia aveva un sogno e l’ha realizzato. Anzi, è andata oltre i suoi sogni. Un esempio per chi vuole fare il buon cinema». Ne «L’oro di Napoli» ce anche l’episodio «Il guappo», dove Totò veste i panni di un tragicomico «pazzariello». Che ricordi ha di quella interpretazione?

«Non ero sul set quando lui girò. La sua fu un’interpretazione cosi realistica che spiazzò gli spettatori, abituati alla maschera comica. Seppi poi, che si amareggiò con De Sica. Vittorio, per rendergli omaggio, decise di iniziare il film con il suo episodio. Totò, invece, pensò che fosse uno sgarbo. Era abituato alla rivista, dove ai grandi è riservata la passerella finale».

Lei ha recitato con il principe della risata in tante pellicole. Com'era lavorare con lui sul set?

«Lavorare? Ma recitare con Totò era puro divertimento! Perché, per far ridere il pubblico, doveva divertirsi prima lui. Immaginate uno studente in vena di scherzi e di prese in giro. Ecco, Totò sul set era cosi. Una volta fitto un aereo da turismo per lanciare volantini sugli studi De Laurentiis. Prendeva in giro Pasquale De Filippo, figlio di Scarpetta, "esperto" di scopone. Pensate che prima di arrivare in palcoscenico, diceva: "Stasera li farò ridere con le vocali: aah, eeh, iih, ooh, uuh. E puntualmente accadeva. Poteva leggere l’elenco telefonico e la gente rideva I suoi tempi comici erano unici: un vero computer della comicità! Certo adesso è facile parlare bene di Totò. Ma farlo negli anni '50 era andare controcorrente».

Sembra assurdo a raccontarlo oggi...

«Eppure fu così. Lo conferma un episodio. In quel periodo c’era un giornalista, Andrea De Pino, in difficolta economiche. Tanto che non aveva neanche la macchina per scrivere. Totò lo seppe e con la sua grande umanità cercò di aiutarlo. Gli comprò una "portatile" e gliela fece recapitare a casa. Indovinate De Pino come ricambiò tanta generosità’ Scrivendo uno degli articoli più terribili contro Totò. Gli amici del principe si arrabbiarono: "Hai visto? Questa è la riconoscenza!". Totò, invece, scoppiò ridere e rispose: "Ha fatto benissimo. Se mi avesse elogiato non l’avrei apprezzato. Chiamatelo, voglio invitarlo a cena!».

Michele Avitabile, «Corriere della Sera», 11 ottobre 2008


2008 10 11 Corriere della Sera Toto f1

2008 10 11 Corriere della Sera Toto intro1

Ci sono film in cui è facilissimo scegliere la scena più bella. Qualche esempio. «Apocalypse Now»? La cavalcata degli elicotteri. «Ultimo Tango a Parigi»? Quella del burro. «Il Grande Dittatore»? Il palleggio, stile Maradona ante litteram, con il mappamondo. Poi c’è un film, «L’Oro di Napoli» appunto, in cui le scene più belle sono tante, troppe. Non è la più bella forse la scena del pernacchia al Duca Alfonso Maria di Sant’Agata dei Pomari con Eduardo grande maestro concertatore? E la scena del funeralino con i ragazzini che rompono le righe della fila scolastica per raccogliere da terra i confetti dove la mettiamo? E la scena notturna di Silvana Mangano anti-Filumena Marturano? E i pezzi di bravura di Totò, Sofia, Paolo Stoppa? In questi casi bisogna gettare il cuore oltre l’ostacolo. E il cuore è per il Conte, il giocatore accanito interpretato da Vittorio De Sica (e nessun altro avrebbe potuto interpretarlo perché in realtà è il Conte, il personaggio, che interpreta l’attore in un gioco di specchi tra vita e scena, in una vertigine di autoironia che è solo dei grandissimi, della vita e della scena).

La scena, appunto, della partita a scopa tra il Conte, interdetto a causa del suo demone, e il figlio del portiere, che vorrebbe giocare per strada con i suoi coetanei e invece è costretto a sedersi in cucina a misurarsi con l'aristocratico, che nella sua follia gli dà del voi e del barone. Il bambino stravince. Il Conte dice che è tutta fortuna. Il bambino ribatte dicendo: «La carta sa dove deve andare». Il Conte dà fuori di matto. Un grande pezzo di cinema con un gioco delle parti alla rovescia. Perché alla fine il bambino, che frigna e fa le bizze, è l’adulto, il Conte. E l'aristocratico, l’adulto vero è Io scugnizzo che, a partita finita, accarezza malinconicamente il micino di casa, fantasticando, forse, sulla favolosa tenuta di Sparanise (compresi frutteto e vigneto) che il Conte si era giocato e che lui aveva vinto.

Antonio D'Orrico, «Corriere della Sera», 11 ottobre 2008


2008 10 18 Corriere della Sera Toto intro1

Ottantadue tagli per ventitré minuti in meno di pellicola, un anno e mezzo privo di visto censorio, nessuna distribuzione nelle sale, e cinque anni di veto all’estero in quanto il film avrebbe potuto ingenerare «errati dannosi apprezzamenti sul nostro paese». È la sorte toccata a «Totò e Carolina», girato da Mario Monicelli nel '53 — soggetto di Ennio Flaiano — e che racconta le peripezie dell’agente di Pubblica sicurezza, Antonio Caccavallo (Totò) incaricato di riaccompagnare al proprio paese Carolina (una giovanissima Anna Maria Ferrerò), incinta e con alle spalle un tentato suicidio al commissariato. Il film è per la prima volta in edicola nella versione senza tagli. Merito del restauro effettuato su una copia del film, vicina a quella originale, trovata, una decina d’anni fa, alla Cineteca di Roma.

Ma perché censurare Totò? «È il destino di tutti i grandi comici dell’epoca, da Aldo Fabrizi a Macario a Nino Taranto, che non risparmiò neppure Totò, il quale, con la censura, aveva già avuto a che fare ai tempi della rivista, in pieno regime fascista», risponde il critico cinematografico Goffredo Fofi, autore, con Paolo Mereghetti, della parte scritta della collana del Corriere dedicata al principe della risata. «Bisogna risalire a Leopoldo Zurlo, tra i più grandi censori teatrali, il quale racconta come Totò arrivasse nel corso dei suoi monologhi a ironizzare perfino sul severo divieto fascista del Lei al posto del Voi — osserva Fofi — a tal punto da costruire una gag su Galileo Galilei trasformato in Galileo Galivoi». In platea non poteva mancare il solito gerarca, serio, pignolo e in orbace: per Totò scattò subito la denuncia.

2008 10 18 Corriere della Sera Toto f1

Lo stesso Fofi ricorda di avere trovato, scartabellando fra storici e polverosi faldoni censori, il fascicolo di quel procedimento, per fortuna «graziato» addirittura da Benito Mussolini, estimatore di Totò, con il commento lapidario: «Fesserie». Se capitava di saltare il fossato — Totò e Carolina sarà considerato «offensivo del decoro e del prestigio dei funzionari e degli agenti della forza pubblica» — si rischiava di restare comunque al palo: un progetto non realizzato e con tanto di processo alle intenzioni. «Nei primi anni '50, guai a toccare, anche solo a parole, il perbenismo nazionalista — aggiunge Fofi —. Renzo Renzi, per esempio, tra i più grandi critici cinematografici, quando scrive L'Armata s’agapò", storia dell’invasione italiana in Grecia («s’agapò», «ti amo» in greco, era il modo con cui gli abitanti della Grecia chiamavano gli italiani occupatoti, n.d.r.), pubblicandola sulla rivista Cinema nuovo di Guido Aristarco, è accusato di vilipendio alle forze armate e condotto, insieme allo stesso Aristarco, nel carcere di Peschiera».

Rischi e imbarazzanti punizioni sfiorate da Totò in tutta la sua carriera. «Un attore coraggioso, Totò, basta andare a leggersi i suoi copioni teatrali finiti sotto l’occhio della censura», dice il critico: «Un episodio su tutti: gli americani sono sbarcati ad Anzio, ma Roma è ancora occupata dai nazisti, quando Totò, alla fine di un suo spettacolo, si presenta con una sedia sul palco e inventa la scenetta di un uomo ansioso che guarda sempre l’orologio come se stesse aspettando qualcuno, facile il rimando agli americani». Il coraggio della battuta ritorna in Totò a colori, — conclude Fofi — «facile intravedere nell’onorevole Trombetta il tipico poli -fico democristiano», in Totò cerca casa l’eterno problema dell’alloggio nell’Italia del Dopoguerra, o «negli appetiti sessuali simboleggiati nella battuta "Pesce democristiano", perché l’animale che nuota nell’acquario ostacola la visione della donna nuda nel film Fifa e arena».

Peppe Aquaro, «Corriere della Sera», 18 ottobre 2008


2008 10 18 Corriere della Sera Toto intro2

A spingermi verso Totò, a incontrarlo, frequentarlo, diventargli amico, servì un efferato titolo che un critico (ne taccio il nome per pietà) sparò su un suo articolo, a varie colonne. Era appena uscito un film di Jacques Tati e quel critico intitolò: «Tutto Totò non vale un etto di Tati». Un becero giochetto di parole per sancire un madornale, crudele errore di giudizio.

Sono stato il primo scrittore, che nonostante l’età (avevo ventisei anni) già godeva di una credibilità culturale, a entrare in casa di Totò e a offrirsi di elaborare un saggio su di lui, sulla sua opera e le sue interpretazioni (altri seguirono più tardi, molto più tardi). Bersagliato dalla critica, Totò cercò di mettermi in guardia: «Ma, caro Bevilacqua, non crede di perderci la faccia?».

In un’Italia del genere — gli risposi — si perde sempre una parte di faccia quando si difendono valori veri, il vero talento: «È un’Italia che, tramite certi professori della noia, detesta il talento dei poeti, quando esce dalla norma». Mi rispose (pensate, allora, e ho la prova scritta della risposta): «Qui le teste son di legno / ch’è proibito avere ingegno». / Chi ragiona in questo regno/non è degno di cam-pa’/Qui il pensiero più profondo /è di fare il girotondo / proprio in mezzo alla città! / Girotondo / girotondo/girotondo e llariulà!». Di Totò diventai amico. Mi voleva spesso con sé. Lo vedevo esibirsi sul set, avendo appena sfogliato il copione. Improvvisava lì per lì. Senza un’inceppatura, un vuoto.

Con genialità esilarante, ci travolgeva tutti. Ma, lasciato lo studio, cadeva in una malinconia che definiva «il mio sarcofago». Diventava l’esatto opposto del mimo che, poco prima, ci aveva esaltato.

Mi trovavo seduto di fronte a un altro, che chiedeva a me, proprio a me: «Raccontami qualcosa di spiritoso». Quando parlavamo di Totò a colori, ripeteva: «È giusto dipingere il burattino. Perché, vedi, siamo tutti burattini, burattini in libertà». Per la precisione, il volumetto con il saggio su Totò, con tanto di data e inediti fomiti dall’autore e interprete inimitabile, ha per titolo «Totò Bonaventura». Si apre con Totò che, nei panni di Bonaventura, confessa testualmente: «La fortuna mi ha sempre pigliato per il collo, per il naso,per il... Ah!... se la potessi tenere, un minuto solo, adesso, qua... le strapperei la benda dagli occhi e le direi "Guardami bene in faccia: lo vedi come mi hai ridotto?... 'Tutto vestito di verde. E dicevi di volermi bene?... Tu... Sgorbio di una fortuna!"».

Alberto Bevilacqua, «Corriere della Sera», 18 ottobre 2008


2008 10 19 L Unita Tototruffa 62 intro

Come Totò con la Fontana di Trevi, ma non proprio per finta, un truffatore tedesco di 57 offriva in vendita prestigiosi immobili a Roma: ambasciata Usa e Fao, tra le "perle" che ha provato a vendere ad un imprenditore, suo connazionale, senza naturalmente, averne alcuna disponibilità. Il truffatore era già riuscito a farsi dare dall'ignaro imprenditore tedesco 650mila euro per un mandato in esclusiva per la «impossibile» vendita dei centri commerciali «Porte di Roma» nella capitale e di quello «Auchan» di Cesano Boscone, Milano. Ma ieri il truffatore internazionale è stato arrestato a Roma dagli agenti della squadra mobile romana: in manette un cittadino tedesco, Wolfgang Kroll, di 57 anni, colpito da un mandato di arresto europeo richiesto dalla Germania per truffa aggravata e uso di documenti falsi.

Lo scorso settembre Wolfgang era già stato denunciato in stato di libertà, sempre dal mobile di Roma, per una truffa milionaria ai danni di un imprenditore tedesco residente nel principato di Monaco. Sì, quello a cui il truffatore aveva inizialmente proposto il mandato in esclusiva per la vendita immobiliare dei centri commerciali «Porte di Roma» e di quello «Auchan» di Cesano Boscone, ottenendo in cambio 650mila euro. Poi si era aggiudicato l'esclusiva per la vendita di altri due immobili di prestigio: ovvero l'Ambasciata americana e la Fao. Una Totò-truffa ben riuscita.

«L'Unità», 19 ottobre 2008


2008 10 25 Corriere della Sera Toto intro

2008 10 25 Corriere della Sera Toto f1Se due amici fraterni, come Totò ed Eduardo, s’incontrarono sul set nel 1949, fu grazie a un complice di lusso: il produttore Dino De Laurentiis. Fu lui che, prima di allestire il cast di «Napoli milionaria», film tratto dal capolavoro teatrale di De Filippo sulle miserie morali di una famiglia napoletana durante la guerra, parlò chiaro a Eduardo: «Chiama Totò. Convincilo ad accettare una parte». Il principe della risata non ebbe esitazioni: «Accetto, ma per te lo faccio gratis!». In segno di riconoscenza, De Filippo gli scrisse una delle più toccanti lettere della storia dello spettacolo italiano: «Caro Antonio, ogni qual volta penso a te, Amico, te l’ho detto a voce e voglio ripeterlo per iscritto, ho l’impressione di non essere più solo nella vita!». E accompagnò quelle righe con un regalo per Diana, la moglie del principe: una collana d’oro, tempestata di brillanti. Nacque un film con Eduardo e Totò nei panni di due tranvieri. Quest’ultimo, con moglie e figli a carico, costretto a fingersi morto pur di sbarcare il lunario.

Liliana De Curtis, lei è l’unica figlia di Totò. Come reagì suo padre al gesto di Eduardo?

«Papà rimase commosso dalle sue parole. Nel suo cuore pesava più la lettera che la collana di Bulgari. Ma non c’è da meravigliarsi Erano due sopravvissuti alla guerra. Due specchi, che quando si incontravano, riflettevano le difficoltà vissute insieme. Conoscevano il vero significato della parola fame, quando pane e frittata era un pranzo extralusso».

Eduardo, però, ricordava anche quando, negli anni ’20, Totò lo aveva curato come un fratello...

«Beh, come poteva dimenticare che papà, dopo i suoi spettacoli, con infinita dolcezza gli stirava le pezze calde e gliele poggiava sul petto. Per distrarlo, poi, cantava "Il portavoce", una "macchietta" napoletana. Eduardo si divertiva così tanto che una notte gli disse: "Totò, vattene! Mi fai troppo ridere, mi sento male!"».

La generosità del principe è proverbiale. Al punto che, raccontando i suoi gesti, la realtà stupisce così tanto da sembrare finzione.

«Lo pensavano anche tanti capifamiglia napoletani del quartiere Sanità, dov’era nato. Soprattutto quando al mattino trovavano sotto l’uscio una busta piena di diecimila lire. All’inizio erano pazzi di gelosia, ma poi scoprirono che era Totò, accompagnato di notte in Cadillac dall’autista Cafiero, a donare soldi ai più bisognosi. Lui faceva tutto in silenzio. Anche la sua auto non doveva far rumore: andava a 40 all’ora, anche per evitare incidenti».

Ma a volte, però, c’è chi in pubblico dispensa generosità e in privato lesina aiuto. Chi era il principe De Curtis?

«Un uomo che amava il silenzio, la notte e parlava a voce bassa. Con la famiglia, poi, è sempre stato sorprendente. Soprattutto con i nipoti. Pensate che a mio figlio Antonello donò la prima Ferrari elettrica e a mia figlia Diana il primo pupazzo parlante. Aveva un sesto senso. Percepiva subito i nostri desideri. Si preoccupava persino di comprare personalmente pigiami e maglie di lana per i nipoti. Un nonno ideale».

È vero che era innamorato del mare?

«Per lui era fonte di tranquillità e ispirazione. Appena poteva, passeggiava sul lungomare napoletano. O a Nizza. Ma davanti a un problema, fermava il mondo! Una volta, in vacanza a Rapallo, scoprì che il marinaio della sua barca aveva la moglie prossima al parto. Gli disse: "Corri da lei e falla partorire. Ti aspettiamo". Tornato da papà, il marinaio non credette ai suoi occhi. Totò aveva già acquistato una carrozzina e un set per la prima infanzia».

Michele Avitabile, «Corriere della Sera», 25 ottobre 2008


2009

«Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui...». Vagamente puntigliosa, questa, tra le migliaia di battute di Totò che ci soccorrono quasi in ogni occasione della vita, è quella che meglio ci permette di ricordare l'anniversario della sua nascita. Una nascita da trovatello, tenacemente rifiutata che lo spinse con costosissima ostinazione a cercare le sue principesche origini bizantine. Del resto, quel titolo rivendicato se lo portava benissimo, facendolo irresistibilmente convivere col profilo del poveraccio, della
marionetta disarticolata. Del principe-pagliaccio Totò è stato detto e scritto tutto. E a noi oggi piace ricordarlo con le parole di Flaiano «...Totò ha potuto fingersi tutto, gentiluomo, ladro, generale, soldato, mondano, spia, ballerino, avventuriero, dottore, pazzo, uomo d’affari, sonnambulo, proprio perché la sua sola presenza caricaturale smentiva tutte le possibili attribuzioni».

Giovanna Gabrielli, «L'Unità», 15 febbraio 2009


Incontri - La figlia di Totò rievoca in un libro la tormentata storia d'amore tra i suoi genitori. Liliana de Curtìs: «Diana Rogliani, non la Pampanini, ispirò la canzone»

«Peggio 'e ’na vipera» ma «ddoce comme ’o zucchero»: la vulgata ci ha abituato a immaginare la Malafemmena di Totò con gli occhi verdi e le gambe lunghe di Silvana Pampanini. «Invece era mia madre» afferma Liliana de Curtis, unica figlia dell’attor-principe e della moglie Diana Rogliani, tenendo in mano lo spartito originale della canzone con la dedica «A Diana, la mia Mizzuzzina». «Con i diritti d’autore di quel brano, quando da anni già vivevano separati, mio padre comprò a mia madre un appartamento ai Par ioli dicendole: sono soldi tuoi, la canzone me l’hai ispirata tu».

Ora «Malafemmena» è diventato un libro (edito da Mondadori) che trasforma la storia di un matrimonio (e di un divorzio bulgaro) in un feuilleton in piena regola, con tanto di scene erotiche, ripicche, tradimenti e dialoghi da romanzo rosa che uno difficilmente assocerebbe al re della risata. «Ho voluto rendere giustizia a una donna discreta — mai avrei potuto scrivere questo libro se mia madre fosse stata viva ! — e celebrare una grande passione, a metà stra-
da tra un film di Truffaut e una sceneggiata napoletana».

Totò conobbe Diana durante una recita di «Follie d’estate» a Firenze. Lui aveva 33 anni, lei 15. «Fu amore a prima vista: lui, colpito dal sorriso bellissimo di questa ragazza seduta tra il pubblico, la chie-
se in moglie la sera stessa» rievoca la nipote Diana, che porta lo stesso nome della nonna. In realtà il matrimonio si celebrò un paio d’anni dopo, una cerimonia sotto tono, presenti solo i testimoni e la piccola Liliana, che allora aveva due anni «La mamma non è mai stata la "principessa de Curtis" — nota Liliana — per tutti era semplicemente "la signora Totò" e lei era contenta così».

L’unione ufficiale coincise con le prime crisi del rapporto. «Nell’intimità i nonni erano molto teneri» prosegue la nipote Diana. «La mattina si svegliavano sfiorandosi le gambe e si salutavano con un "buongiorno piedi". Però poi avevano entrambi un temperamento sanguigno. Totò era un gran donnaiolo, ma anche un uomo divorato dalle ossessioni e dalla gelosia. Mia nonna a un certo punto si stufò e se ne andò di casa. Lui chiese il divorzio (che ottenne in Bulgaria) ma non smise mai di pensare a lei come alla sua legittima moglie e lei, che pure a un certo punto si risposò (con l’avvocato Michele Tufaroli, ndr), morì bisbigliando il suo nome».

Carlotta Niccolini, «Corriere della Sera», 12 marzo 2009


Napoli Incursione al cimitero di Santa Maria del Pianto. Spariti anche i candelabri dal sepolcro di Caruso

NAPOLI — Ci sono cose che sembravano inviolabili, a Napoli. Anche dalla criminalità. Su quanto fosse sacrilego rubare il tesoro di San Gennaro, per esempio, realizzò nel 1966 un indimenticabile film Dino Risi, con Nino Manfredi e Senta Berger, e una piccola partecipazione di Totò, il principe che nel cuore di tanti napoletani viene dopo San Gennaro — ma poco — e prima di Maradona. Pure Totò apparteneva di diritto all’elenco degli inviolabili, ma le cose cambiano, cambiano anche le logiche del crimine e non c’è ammirazione e stima che tengano. Cosi adesso hanno derubato pure Totò. La sua tomba, per la precisione. La notizia era riportata ieri in prima pagina sul «Mattino»: la cappella nel cimitero di Santa Maria del Pianto, dove riposano le spoglie di Antonio de Curtis, è stata profanata, e dalla facciata in marmo bianco è stato portato via lo stemma nobiliare disegnato dallo stesso Totò.

A Napoli le principali aree cimiteriali sono due, quella di Santa Maria del Pianto e quella di Poggioreale, molto vaste e poste una di fronte all’altra A Poggioreale c’è il «quadrato degli uomini illustri», dove sono sepolti tra gli altri Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, E. A. Mario e Vincenzo Gemito. La tomba di Totò è invece nell’altra area, e a poca distanza ci sono anche quelle di Nino Taranto e di Enrico Caruso. Ora si scopre che anche quella di Caruso è stata visitata dai ladri, che hanno portato via candelabri e altri oggetti. Lì non è la prima volta che accade, nella tomba di Totò invece sì. La figlia Liliana, che è stata informata telefonicamente mentre si trova in Sud africa, è sdegnata, e dice di essere pronta a chiudere il sepolcro, che invece solitamente è aperto per quei tanti appassionati di Totò che ogni giorno vanno lì a pregare e anche a lasciare doni. «Lo hanno tradito. Mio padre ha amato Napoli più della sua stessa vita e ha sempre lottato per difenderla.

Non dovevano fargli questo», dice. E racconta che di quella tomba Antonio de Curtis seguì personalmente il progetto e la realizzazione, in una trasposizione reale e seria di una straordinaria gag — in tandem con Peppino De Filippo — contenuta nel film «Signori si nasce». Anche il sindaco Iervolino si dice molto colpita dalla profanazione, e esprime il suo dispiacere e quello della città. Ma è inevitabile la polemica sulla mancanza di controlli, che il Comune — gestore di tutti i camposanti napoletani — ha affidato alla polizia municipale. Prova a spiegare i problemi il vicesindaco Sabatino Santangelo, che ha anche la delega ai cimiteri: «È la vastità delle aree che rende difficile la sorveglianza. Ma non c’è incuria».

Fulvio Bufi, «Corriere della Sera», 1 giugno 2009


2009 06 01 Il Piccolo di Trieste Profanazione tomba Toto intro

NAPOLI Prima Enrico Caruso, poi Totò. Le loro tombe sono state oggetto di raid vandalici, a Napoli, al cimitero di Santa Maria del Pianto. La città si dice sdegnata. Ma, intanto, c’è chi denuncia che in quel cimitero, dove sono sepolti anche Nino Taranto ed Edoardo Scarpetta tra gli altri, regna l'incuria. Totale. La figlia del «principe della risata» punta il dito proprio contro Napoli: la città che «ha tradito» suo padre.

E dire che sulla tomba di Totò, Napoli, ogni giorno, lascia «pezzi di cuore». Da anni. Lettere, foto, perfino bomboniere del matrimonio. I napoletani affidano proprio a Totò desideri, speranze, anche un semplice saluto. Questa volta, però, il gesto lasciato non è stato d'affetto: ignoti

hanno portato via lo stemma nobiliare che lo stesso Totò realizzò. Liliana De Curtis si dice «indignata, sconcertata». «Napoli non può fargli questo, ora chiuderò il sepolcro» annuncia. «Mio padre ha amato Napoli più della sua vita, ha lottato per difenderla - dice -; quella tomba se l'è costruita con le sue stesse mani, ha scelto i marmi, persino il luogo dove riposare per sempre. E adesso lo hanno tradito in questo modo». Anche il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino esprime «estremo dispiacere» per quanto avvenuto, mentre l’amico e compagno di lavoro, Carlo Croccolo, parla di «gesto ignobile».

Lo sdegno compare anche su Facebook, con un gruppo che chiede la restituzione dello stemma di Totò. Ma intanto l'episodio non è unico. Vandali, infatti, hanno profanato anche la cappella del tenore Enrico Caruso, noto in tutto il mondo per le sue interpretazioni della canzone napoletana: hanno scassinato l'ingresso della tomba e hanno portato via alcuni arredi della cappella.

L'assessore alla Pianificazione e Manutenzione delle aree cimiteriali del Comune di Napoli Sabatino Santangelo, prova a spiegare tutto ciò. «Non si tratta di un problema di incuria - dice - ma di dimensioni. Abbiamo il Cmitero monumentale, quello del Pianto e 11 camposanti di periferia, con queste grandi estensioni abbiamo difficoltà nel controllare tutto».

«Il Piccolo di Trieste», 1 giugno 2009


Lo stemma della tomba di Totò, rubato per essere portato in una villa al Nord

Ritrovato lo stemma nobiliare rubato dalla tomba di Totò. Rubato su commissione, lo stemma stava per lasciare la Campania ed essere trasferito. Destinazione, una villa privata presumibilmente nel nord Italia. «Napoli non ha tradito Totò», ha ribadito il sindaco, Rosa Iervolino Russo. Il questore di Napoli, Santi Giuffrè: «Siamo arrivati in tempo». Lo stemma è stato ritrovato in un nascondiglio provvisorio a Marianella, nella periferia di Napoli, in una zona di campagna. Come ha annunciato la nipote di Totò, Diana De Curtis, la cappella che ospita i resti dell’attore d'ora in poi sarà aperta ad orario, sempre alla presenza di qualcuno.

«Corriere della Sera», 4 giugno 2009


Era in un rifugio di passaggio. L’ipotesi degli inquirenti: furto su commissione per arredare una villa

NAPOLI - Hanno scritto da Hong Kong, da Parigi, dalla Francia per esprimere lo sdegno. E ieri non solo Napoli ha sorriso quando si è saputo che lo stemma nobiliare rubato dalla tomba di Totò era stato ritrovato. «E' stato fatto il miracolo», ha esordito la nipote Diana de Curtis. E per la verità ci è mancato davvero poco per dire addio ad un pezzo della storia di Napoli e non solo: lo stemma, rubato su commissione, stava per lasciare la Campania ed essere trasferito al Nord. La destinazione? Una lussuosa villa privata. Ieri lo stemma è ritornato al suo posto, tra gli applausi. «Napoli non ha tradito Totò», ha ribadito il sindaco.

Rosa Iervolino Russo. Il questore di Napoli, Santi Giuffrè, lo ha detto senza mezzi termini: «Siamo arrivati in tempo». Ed infatti lo stemma è stato ritrovato in un nascondiglio di passaggio, in una zona della periferia di Napoli, a Marianella. Era stato lì momentaneamente collocato - forse anche per il clamore suscitato dal furto - in una zona di campagna, in un terreno privato (per gli inquirenti non ci sono gli estremi per emettere provvedimenti a carico del proprietario), in un rifugio dove erano presenti anche altri fregi, quasi sicuramente appartenenti alla tomba di Enrico Caruso, oggetto di un raid nello stesso cimitero di Santa Maria del Pianto. Il furto era su commissione ed era, dunque, pienamente inserito nel mercato illegale delle opere d'arti. Un mercato che parte dal Sud, con ladri napoletani, e che arriva al Nord, con commercianti, antiquari, compratori privati. Gli agenti della squadra mobile di Napoli che hanno ritrovato lo stemma ci sono arrivati grazie alle innumerevoli indagini fatte in questo settore. Lo stemma non ha riportato danni, solo una scalfìtura in un angolo. «Abbiamo dato la priorità affinchè si ritrovasse questo importante pezzo della storia di Napoli. E' un bel risultato, un riconciliarsi con la città», ha detto il questore, Santi Giuffrè.

Nessun rammarico, solo gioia anche da parte della nipote di Totò, Diana De Curtis: «Il mondo intero ci ha fatto sentire la sua vicinanza - ha detto -. Tantissime lettere ci sono arrivate da ogni angolo del mondo. Devo dire grazie alle istituzioni perchè hanno riportato a casa un pezzo di famiglia, una cosa per la quale abbiamo molto sofferto e per la quale anche nonno avrà sofferto. Un gigantesco ringraziamento anche alla questura di Napoli». A chi le chiede dell' incuria che secondo alcuni ci sarebbe nel cimitero, la De Curtis risponde: «Ogni volta che sono andata, non ho mai trovato una carta a terra».

La cappella sarà aperta ad orario, sempre alla presenza di qualcuno. In tanti, in questi anni, su quella tomba hanno lasciato di tutto: attraverso lettere a Totò hanno chiesto un posto di lavoro, un amore.

Ora, forse, lasceranno anche un grazie: per aver restituito al principe della risata un pezzo della sua vita.

Dopo l'apposizione dello stemma della famiglia de Curtis, il sindaco Rosa Russo Iervolino si è recata nella cappella del tenore Enrico Caruso. «Cosi come è stato fatto per il presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, se ce ne fosse bisogno il Comune si potrà occupare anche del decoro della tomba di Caruso». La Iervolino è entrata con il suo staff nella cappella dell'artista, poco più in basso di quella di Totò, riscontrando agli angoli superiori della struttura macchie verdi, tipici segni dell'umidità.

«La Prealpina», 4 giugno 2009


Recuperato lo stemma di Totò

Recuperato, nascosto nella zona di Marianella alla periferia di Napoli, lo stemma nobiliare della famiglia De Curtis rubato dal cimitero di S. Maria del Pianto il 31 maggio. Un furto su commissione: per la polizia l'effige era destinata a una villa del Nord. Con lievi danni in un angolo, è tornato alla nipote di Totò, Diana de Curtis.

«L'Unità», 4 giugno 2009


Chi l’avrebbe detto, quel 7 settembre 1956, quando il film fu stroncato con summo gaudio da tutti i «vice», che Totò, Peppino e la... malafemmina sarebbe diventato cult? Regista fedelissimo al principe de Curtis, Camillo Mastrocinque, ex architetto con la passione per la lirica, diresse per sua maestà Totò cinque film no stop; questo, ispirato alla nota canzone scritta da Totò per rimuovere l’amore infelice per la bellezza in bicicletta Silvana Pampanini, incassò 682 milioni e fu tra i quattro del '56, primo in cui sul titolo sedevano insieme Totò e Peppino, strana coppia garanzia di risate.

Storia quasi da sceneggiata; due zii, i fratelli Capone, con la mamma del giovane, affrontano un viaggio a Milano per convincere una ragazza del varietà a lasciar perdere il «disonorato», ma innamorato, nipotino. Da qui equivoci a raffica, ma finale col cuore in mano: amor omnia vincit, tutti al paesello. Nel corso del tempo il film è diventato amatissimo e citatissimo per la scena proverbiale della dettatura della lettera: punto due punti, abbondiamo. È l’Italia anni '50, dove Nord e Sud sono separati in casa, e Totò e Peppino arrivano coi colbacchi temendo la nebbia del Nord e incontrano un vigile in Piazza del Duomo. È la sintonia tra i comici che è eccezionale anche se Peppino, nella Avvento rosa storia del cinema italiano di Fofi e della Faldini che la Cineteca di Bologna sta ristampando, racconta quanto fosse divertente e faticoso lavorare con Totò che arrivava sul set dopo le 14 perché aveva orari notturni, da teatrante, e fa presente che lui invece era in prosa. Il film prova quanto le fondamenta del cinema comico siano nella rivista: lo prova la presenza di Dorian Gray ex soubrette di Tognazzi, da anni misteriosamente scomparsa ma ricercata da Gianni Amelio e altri fans d.o.c.: è lei che, truccata fellinianamente, ruba il cuore al triestino Teddy Re no che la sera nel musical L’adorabile Giulio cantava «Simpatica» a Delia Scala, ma pensando a m.me Vania Traxler.

«Corriere della Sera», 18 agosto 2009


Sottovalutato dalla critica. Di più: sbeffeggiato, osteggiato, vilipeso dai «vice» di turno perché i critici titolari non si sporcavano le mani (e lui, geniale, chiedeva: ma chi è ‘sto Vice che ce l’ha con me e che scrive su tutti i giornali?). Ma amato, adorato, dal pubblico: Totò. La rivalutazione partì dal basso, dalle «altre visioni» che negli anni 70 riproposero i suoi film a raffica. Poi se ne accorsero anche i critici. E oggi Totò non si discute, si ama. Ma che fatica!

AL.C., «L'Unità», 21 agosto 2009


E' andato in onda su Raitre il film Gli onorevoli (1963), di Sergio Corbucci, in cui Totò interpreta il ruolo del noto Antonio La Trippa, aspirante onorevole di destra, monarchico, falso ex combattente, ma onesto. In altri episodi sfilano invece grotteschi esponenti di un mondo politico disposto a tutto pur di raggiungere l’agognato ‘cadreghino’. Come dicono i leghisti, che conoscono bene la materia. Il film, pur dotato di scene irresistibili, risulta piuttosto sgangherato e qualunquista, ma a suo modo anticipatore nella satira della deriva televisiva. Anche per merito di Peppino De Filippo, nel ruolo di un fasci-stone che finisce imparruccato e travestito da ballerina di fila, pur di apparire in tv. Ma, purtroppo, il film non riesce neppure a sfiorare il clima attuale, con il boss della tv commerciale che diventa capo del governo e gareggia coi peggiori dittatori in trucco, parrucco e uso della spazzatura contro gli avversari politici.

«L'Unità», 2 settembre 2009


Per approfondimenti leggi «L'uso dell'immagine di Totò nella pubblicità»

Le elezioni della Comunità montana nello stile ironico del celebre film di Totò. I carabinieri sequestrano il cartone con le foto del film di Totò e la scrttta «Vota Antonio».

Antonio La Trippa, il popolare protagonista di un celebre film di Totò, è stato personaggio principale anche nel giorno delle elezioni per il presidente ed i componenti dell’organo rappresentativo del nuovo ente nato dall’accorpamento della Comunità montana valli Curone, Grue e Ossona, con la Comunità montana valli Borbera e Spinti. 

Sabato mattina una delegazione partita da Grondona a bordo di un fuoristrada tappezzato di cartelli inneggianti ad Antonio La Trippa e con gli altoparlanti che diffondevano l'audio del celebre film, ha solcato le strade della vai Borbera dando sostanza alla più pacifica delle ironie ed invitando a votare per Antonio La Trippa A dare lo spunto per la pacifica e goliardica iniziativa ha certamente contribuito l'assenza di tensione elettorale dovuta al fatto che il voto era diventato una formale (e qualcuno aggiunge ipocrita) espressione di democrazia per la presenza di un solo candidato a presidente e di una sola lista dei 30 componenti dell'organo rappresentativo il cui presidente era stato individuato ancora prima del voto in Carlo Balduzzi di Borghetto Borbera. Si sapeva che l'esito delle votazioni di sabato non avrebbe inciso nemmeno nella scelta degli assessori della nuova comunità montana perché la vai Borbera aveva indicato Giorgio Storace di Rocchetta Ligure e Roberta Daglio di Gabella Ligure.

Il fuoristrada tappezzato di pannelli innegianti ad Antonio La Trippa

Qualche dubbio in più per gli assessori espressi dalle valli Curone, Grue e Ossona perché i papabili, Natalino Ornielli di Garbagna e di Pierangelo Marini di Monleale devono fare i conti con la Lega Nord che oltre al presidente dell’organo rappresentativo chiede un assessore. Trovatasi senza candidati ad entrare in giunta, la valle Spinti ha puntato su Antonio La Trippa. La trovata ha suscitato simpatia in vai Borbera ma il viaggio dei nostalgici di Totò non è stato compreso da qualcuno che appellandosi al fatto che non può essere fatta propaganda elettorale nel giorno delle votazioni, ha chiesto l’intervento dei carabinieri che sono intervenuti per far interrompere l’invito a “Vota Antonio. vota Antonio, vota Antonio". Fermato il veicolo con a Bordo Antonio Pratolongo ed Umberto Bagnasco, i militari hanno sequestrato il “corpo del reato", ovvero il cartone con tre foto dell’attore napoletano e la scritta “Vota Antonio”. 

Il messaggio, però, era ormai recepito e, tra le schede nulle imbucate nelle urne di Cantalupo Ligure parecchi hanno indicato proprio Antonio La Trippa. Si il protagonista del film di Totò. Non entrerà in giunta, ma lo meriterebbe. Lui aveva capito tutto con cinquant'anni d’anni d'anticipo. 

Luciano Asborno, «Il Piccolo», 9 novembre 2009 - «L'uso dell'immagine di Totò nella pubblicità»


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390

2000

Cuneo - Sabato 12 e domenica 13 febbraio va in scena al Toselli "Miseria e nobiltà" con Carlo Croccolo, per la regia di Daniela Condotti. Il testo è di uno dei grandi della letteratura italiana dialettale, Eduardo Scarpetta, un autore che ha una ricca e copiosa produzione letteraria, ed è stato certamente uno dei più grandi commediografi a cavallo tra di due secoli. Molte delle sue opere sono state riprese dal cinema italiano e atte conoscere al grande pubblico, proprio come è avvenuto per "Miseria e nobiltà’’ un autentico capolavoro interpretato al cinema da Totò, Sofia Loren, Valeria Moriconi e lo stesso Carlo Croccolo che oggi torna sul palco del teatro cuneese.

Scarpetta sposa Rosa De Filippo il 16 marzo del 1876; debutta a quindici anni nel 1868, si ritira dalle scene nel 1909; muore nel 1925, il 29 novembre. Da Rosa De Filippo ha tre figli: Eduardo, Peppino e Titina, che però non riconosce. I tre figli continueranno la grande tradizione teatrale del padre raggiungendo successi a livelli internazionali, in particolar modo quel grande del teatro napoletano che è Eduardo De Filippo. La sua vita è segnata tutta da una serie incredibile di successi teatrali, tra cui proprio il capolavoro “Miseria e nobiltà” andato in scena per la prima volta il 7 gennaio del 1888 al Teatro del Fondo di Napoli.

La sua fama cresce con un ritmo senza sosta, passando da un teatro all'altro: dal “Partenope” al “San Carlino", dove debutta nel 1871 e che ristruttura nel 1880. Nel “San Carlino", messo a nuovo, debutta il primo settembre con la 'Presentazione di una compagnia di comici”, cui segue “Tetillo”, ridotto dall’originale francese di Najac e Hennequin, spettacolo che inaugura la lunga serie delle '‘riduzioni’ scarpettiane. La commedia è il racconto della vita della famiglia di Felice Sciosciamocca, al cinema il grande Totò, scrivano squattrinato. La famiglia abita con un altra povera famigliola, quella ael fotografo Pasquale. Tutti patiscono la fame e sono continuamente minacciati dallo sfratto. Il miraggio del cibo si traduce in realtà quando sono tutti assoldati come falsi parenti aristocratici per un combino matrimoniale tra il marchese Eugenio e la figlia di don Gaetano ricco borghese napoletano. Scambi di persone, sotterfugi, colpi di scena incredibili per una commedia che combina il gioco degli equivoci con il tema della fame secolare che fu di Pulcinella.

Insomma il travestimento, tradito dal linguaggio sempre in bilico tra il dialetto e un ibrido italiano, a cui sono costretti a volta i popolani per riempire la pancia. “Miseria e nobiltà” è una commedia indiscutibilmente comica, dove i giochi linguistici sono a getto continuo, un linguaggio che oscilla fra il dialetto e un italiano ibrido, convenzionale e di maniera, e dove ogni personaggio, anche il più piccolo è guardato con grande ironia, in un gioco che alla fine la miseria e la nobiltà sono inglobati all’interno dell'area borghese. Sarà difficile anche a teatro non ricordarsi di quell’immortale inno alla pasta che è la scena cinematografica in cui Totò e compagnia ballano sulla tavola divorando spaghetti e ficcandoseli in tasca per paura che qualcuno se li porti via.

La prevendita dei biglietti, che vanno dalle 40 alle 15 mila lire, fino a giovedì 10 febbraio si effettua con orario continuato dalle 9 alle 16, venerdì 11 febbraio dalle 9 alle 12 presso la Sala delle Colonne nel Palazzo Civico in via Santa Maria, oppure la sera dello spettacolo, direttamente alla cassa del Teatro Toselli a partire dalle ore 20.

Massimiliano Cavallo, «La Guida», 8 febbraio 2000


Fabio Gallina, «Gazzetta d'Alba», 9 febbraio 2000


Giusi Raspani Dandolo, che si è spenta ieri a Roma, era nata a Trani nel 1911, era stata battezzata Giuseppina, e si era iscritta all'Accademia d'Arte Drammatica nel 1937, con, tra gli altri, Antonio Battistolla e Marcello Morelli, che poi avrebbe ritrovalo al Piccolo di Milano. In Accademia partecipò a saggi poi entrati nella leggenda come il «Re Cervo» di Gozzi diretto da Alessandro Brìssoni, e «Questa sera si recita a soggettoi di Pirandello, tinello da Ettore Giannini.

Dotata caratterista, provvista di una forte presenza con la sua voce chioccia e aggressiva e la sua risata di scherno, trovò la sua parte più congeniale nella signora Peachum deir«Opera da ire soldi» di Brecht, nella prima versione diretta da Giorgio i Strehler (1956), e in quelli occasione si contermò come i una delle colonne di alcune delle più gloriose stagioni del Piccolo di Milano, avendo già figuralo per esempio nella «Casa di Bernarda Alba» di Garcia Lorca (1955) e nel i «Nost Milan» di Bertolazzi (1956). Affrontò altri classici in seguilo, in particolare quando fece ditta con Mario Scaccia («Delirio a due» di lonesco, «L'avaro» di Molière), ma brillò anche nel teatro leggero, sia con pochades di Courte line e di Feydeau, sia al Sistina in commedie musicali di Garinei e Giovannini, come «Ciao Rudy» con Marcello Maslroianni e «Angeli in bandiera» con Gino Bramieri.

Era un'attrice moderna, intelligente e caustica, ironica e a suo agio anche col comico, specialista di personaggi cinici e negativi, molto a suo agio anche col repertorio del nuovo teatro. Nel 1964 vinse il premio San Genesio apparendo nella «Fastidiosa» di Franco Brusati. La si vide in molti film, ma maggior spicco ebbe in televisioni', con la prosa nei tempi eroici, e in sceneggiali come «La cittadella» e «David Copperfield», senza contare varietà radiofonici come «La bisarca».

Masolino D'Amico, «La Stampa», 15 gennaio 2000 - Tutta la cronaca in rassegna stampa


2 febbraio 2000, la scomparsa di Pablito Calvo - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2001

«Signori si nasce e io, modestamente, lo nacqui». Citazione storica che, immediatamente, richiama alla memoria il grande Totò, la sua ironia, il suo personalissimo stile, in magico equilibrio tra miseria e nobiltà. A quello stile, alle battute e gags che ormai sono patrimonio della memoria collettiva, si ispira «Signori si nasce», farsa musicale di Castellano e Pipolo, che il napoletano Carlo Croccolo, affiancato da folto cast (c'è anche Cosimo Cinieri), porta in scena al Teatro Superga di Nichelino sabato 6 gennaio alle 21 e domenica 7 alle 16 (tel. 011/68191). Lo spettacolo è tratto dal film omonimo che fu campione d'incassi e che registra come tutti i film di Totò, d'altronde, numerosissimi passaggi televisivi.

Croccolo firma anche la regia. La trama prende spunto dalla guerra dichiarata e perenne tra il barone Zazà, spalleggiato dal fido maggiordomo e il fratello del barone: tal Pio degli Ulivi, ecclesiastico tirchio e bacchettone. Due ruoli che al cinema furono, rispettivamente, di Totò e Peppino, e che rappresentano, in chiave comica, l'eterna lotta tra il bene e il male, tra Abele e Caino. Un «bene» che, in questo caso, suscita parecchia antipatia e un «male» che, al contrario, diverte e incuriosisce. Tanto che il vero protagonista di una girandola di situazioni farsesche, è proprio Zazà/Caino: sfaticato, scroccone, donnaiolo, bugiardo e scialacquatore. Sempre preso a escogitare imbrogli e raggiri per sbarcare il lunario: oltre che, naturalmente, per divertire il pubblico.

Silvia Francia, «La Stampa», 5 gennaio 2001


Mario Monicelli sarà oggi alle 14 all'associazione Filmstudio. «Steno e la commedia all’italiana» il tema dell'incontro, organizzato dagli studenti e ncolaurcati della facoltà di Lettere della «Sapienza», ma aperto a tutti. «Sono poco abituato a fare relazioni, non sono un insegnante. Mi sottoporrò però volentieri alle domande del pubblico» spiega Monicelli, che ha scritto tante pagine illustri del nostro cinema, creando soggetti c sceneggiature, curando la regia di una sessantina di film. Pellicole memorabili come «Totò cerca casa» del 1949 e «L'armata Brancaleone» (1966), «La ragazza con la pistola», del '68, e i due «Amici miei» (1975 e 1982).

«Su Steno spero non mi chiedano aneddoti, non ricordo i singoli episodi. Ma parlerò sicuramente della necessità di rivalutare una figura straordinaria. Steno era nato con la penna in mano. La sua era una scrittura molto fine.

Basta andare a rivedere le rubriche pungenti c i gustosissimi ritratti dei grandi del cinema di allora, pubblicati su giornali e riviste come “Marco Aurelio", o “Bertoldo”. Consiglierò ai ragazzi un suo bellissimo libro, “Sotto le stelle del ’44", appunti autobiografici dov'è presente tutta la sua acutezza di spirito. Si trovava Mario Monicelli più a suo agio curvo su un tavolino a mettere nero su bianco i suoi pensieri, che nel tumulto di un set». Epoca irripetibile, quella della commedia all’italiana, di cui Monicelli c stato l'inventore, insieme con Dino Risi, Pietro Germi, Luigi Comencini, anche Alberto Lattuada. Lo dirà oggi, il regista, ai ragazzi che vogliono tentare la difficile arte del far ridere: «Vedo parecchia superficialità e poche idee in quanti scelgono la strada della Commedia. Ci sono comici che rendono benissimo nei loro one man show a teatro, ma perdono carisma e incisività alla prova del cinema. Noto anche una certa tendenza a fare film tutti uguali, toscancggianti e napoletaneggianti in maniera eccessiva. Bisognerebbe andare oltre certi steccati».

Laura Martellini, «Corriere della Sera», 12 febbraio 2001


12 febbraio 2001, la morte di Tiberio Mitri - Tutta la cronaca in rassegna stampa


20 maggio 2001, la scomparsa di Renato Carosone - Tutta la cronaca in rassegna stampa


«La Grande Guerra», «C' eravamo tanto amati», «I Mostri»: ne basterebbe uno, invece li hanno fatti tutti.

«L'Unità», 11 luglio 2001

14 maggio 2001, la scomparsa del regista Mauro Bolognini - Tutta la cronaca in rassegna stampa


3 giugno 2001, la morte di Anthony Quinn - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2002

Venticinque anni senza il regista che ci ha regalato «Germania anno zero» Una lezione di storia uno stimolo a seguire i suoi passi. A partire dal Risorgimento

Alberto Crespi, «L'Unità», 2 giugno 2002

2003

Quella volta al suo bar, quella volta che ragionava della nascita dell’universo, quella volta che raccontava di Pasolini e di Keaton, quella volta che... ricordi personalissimi di un grande attore

Fulvio Abbate, «L'Unità», 5 gennaio 2003

24 febbraio 2003, la scomparsa di Alberto Sordi - Tutta la cronaca in rassegna stampa


ROMA. È stato il più inglese dei romani Fiorenzo Fiorentini. Non per temperamento, ma per chiamata d'arte. L'attore è morto ieri, a 83 anni, in una clinica della sua città. Era malato, e la malattia gliela vedevi stampata in faccia, gliela leggevi nel corpo divenuto così magro da sembrare diafano. Quel corpo così sottile, così pieghevole ma non cedevole, era un suo elemento espressivo, insieme con la vocetta che ne usciva secca e stizzita, oppure ondulata nell'accènto che Fiorentini metteva al servizio del Belli o di Trilussa. È stata lunga l'avventura artistica di Fiorenzo Fiorentini. Lunga, complessa e mai del tutto riconosciuta. «Mi riscoprono e mi risotterrano», amava dire delle proprie fortune. Aveva cominciato come giornalista nel giornale radio diretto dal padre di Walter Veltroni. Aveva proseguito come attore di teatro e di cinema. Quando arrivò la televisione, fu attivo anche lì, con la sua maschera risentita e a volte allibita («Villa Arzilla», «L'avvocato Porta», «Distretto di polizia», dove interpretava il padre sarto di Ricky Memphis, «Un medico in famiglia»).

Se il cinema lo ha utilizzato (anche come sceneggiatore) in un centinaio di film, il teatro gli ha offerto le occasioni più succose. Beckett, certo. Indimenticabile quel suo «Aspettando Godot», ma anche «I ragazzi irresistibili» di Neil Simon, o «Rappaport» di Gamer. Qui Fiorentini era il partner di Mario Scaccia. Insieme interpretavano due vecchietti che. sulla panchina di un parco, giorno dopo giorno, trapestavano e battibeccavano con deliziosa crudeltà. L'anima di Fiorentini era tuttavia radicata a Roma. Le rese omaggio con «Cento campane», una canzone di grandissimo successo interpretata da Landò Fiorini, ma soprattutto la recitò andando a ripescare Petrolini e il suo repertorio. Petrolini era per lui una specie di ascendente astrale, la maschera di Gastone era l'incunabolo della sua arte, e non a caso, nel 1980, ha fondato il Centro Studi Ettore Petrolini per valorizzare il teatro popolare romano, nel cui segno ha istituito anche una scuola. E stata l'ultima, importante avventura della sua vita; una scommessa per salvare quanto aveva di più caro.

Osvaldo Guerrieri, «La Stampa», 28 marzo 2003


Una buffoneria istintiva trasmessa al pubblico senza sforzo apparente: gli bastava una impercettibile vibrazione di quei baffetti a spazzola capaci di mille trasformazioni

Si toma a parlare di Peppino De Filippo. Sono i cent'anni della sua nascita. Ma in attesa delle celebrazioni ufficiali, che avranno nel 23 agosto il loro giorno fatidico, e in attesa del Pappagone che Mondadori manderà in libreria con corredo di videocassetta verso la fine dell'estate, ecco l'Università Federico II di Napoh battere tutti sul tempo. Da oggi ricorderà l'attore scomparso il 26 gennaio 1980 con il convegno «Peppino De Filippo e la comicità del Novecento», che in tre giorni impegnerà una trentina di oratori. Nell'aula Spinelli di Scienze politiche (oggi), nell'Istituto per gli Studi filosofici (domani) e negli spazi di Villa Bruno di San Giorgio a Cremano (dopodomani) si potrà assistere a un fittissimo confronto sulla complessa fisionomia di un figlio d'arte che non è stato soltanto attore, ma, obbedendo alia tradizione di famiglia, ha voluto farsi anche autore di una cinquantina di commedie, memorialista e persino poeta.

E il primo sguardo retrospettivo posato sull'attore che, con Totò, è stato il più ricco di buffoneria istintiva trasmessa alla platea con sforzo apparentemente minimo. Dei grandi comici Peppino aveva la faccia impassibile, al limite dell'inespressività. Al centro del suo volto - lo ricordate - aveva quéi baffetti a spazzola, impercettibilmente vibranti. La, sua emotività comica partiva da lì, da quel piccolo segno che pareva nascondere una frustrazione, un tremore, una timidezza; ma subito, quei baffetti impauriti e magari impacciati diventavano, secondo il caso, carogneschi, furbastri, tiraschiaffi. Ma senza perdere mai quell'aria di complicità con il pubblico, quasi una richiesta di comprensione. Quante cose è stato Peppino. Gettato sul palcoscenico fin dall'infanzia, ha costituito con i fratelli, nei primi anni Trenta, la mitica Compagnia del Teatro Umoristico che, dopo i successi al Sannazzaro di Napoh, ha conquistato Roma, Milano, Torino. Cioè l'Italia. Sembravano inseparabili e imprescindibili. Poi, nel '45, Peppino si mise per conto proprio e a molti sembrò che non sarebbero più tornati quegli spettacoli scatenati, giocati tra lingua e dialetto, quel repertorio un po' pazzo che da Pirandello passava ad Armando Curcio e a Paola Ricora. Peppino, che era il fratello cattivo di Eduardo, l'alter ego odiosamato (Titina era un discorso a parte). scelse la sua strada.

Fece il suo teatro dirompente, si dedicò al cinema dove il mamo canagliesco di tante commedie scarpettiane trovò un partner irripetibile in Totò. Negli anni Sessanta arrivò la televisione e qui, per il varietà Scafo reale, Peppino inventò la maschera di Pappatone, che penetrò anche nel linguaggio degli italiani («Eqque qua...»). Era, Pappagone, la riscoperta r^1 marno al livello più elementare; era pura idiozia, tonda, ocebi a palla, sopracci- ;lia arcuate, il ciuffetto di capeli che s'impennava a gancio: lontanissimo dal personaggio tartufesco che Fellini gli cucì addosso per il film Boccaccio 70. Però, che successo, che popolarità. Ecco, oggi a Napoh si comincerà a parlare di tutto questo. Si racconterà un fenomeno a suo modo unico: un attore che, nato dall'ultima memoria delle atellane, ha saputo riempirci la vita con una risata bianca e clamorosa durata più di mezzo secolo.

Osvaldo Guerrieri, «La Stampa», 24 marzo 2003


23 luglio 2003, la scomparsa di Yvonne Sanson - Tutta la cronaca in rassegna stampa

A vent’anni sognava di fare il regista. Poi è stato costretto a fare l’attore dai soldi che gli davano, molti. E diventato un principe d’attore e con un principe ha lavorato: Totò, sua eccellenza. Siamo andati a intervistarlo per conto del festival «Le vie del cinema»

Alberto Crespi, «L'Unità», 30 giugno 2003

2004

Wladimiro Settimelli, «L'Unità», 24 maggio 2004


MILANO Una personalità dotata di una voce difficile da dimenticare. E di ironia. Capace di cantare Battiato, Totò e l’opera. È morta la notte scorsa nella sua abitazione di Milano la cantante Giuni Russo. Era da tempo malata di tumore. I funerali si terranno oggi a Milano alle 14.45 presso il Monastero delle Carmelitane Scalze di via Marcantonio Colonna dove l’artista ha chiesto di venire sepolta.

Nata a Palermo il 10 settembre del 1951, Giusi Romeo (questo il suo vero nome) era cresciuta in una famiglia in cui si respirava la musica lirica e fin da piccola studiò canto e composizione. Trasferitasi nel capoluogo lombardo a 15 anni, entrò nell'ambiente discografico e iniziò il suo itinerario professionale nel 1967 vincendo il Festival di Castrocaro. [...]

Fra le canzoni di quel Dvd (e del Cd che l'accompagnava) riascoltiamo ora con particolare commozione A 'cchiù bella cosa, che la stessa Giuni aveva composto su una lirica di Totò proprio mentre si trovava in ospedale per tentare di sconfiggere la sua grave malattia. «È stata un dono. Il tempo di leggerla ed è nata la canzone. Ero aU'ospedale e mi sono messa in poltrona con questo libro. Dovevo fare il lavoro per il film e mi serviva per la lingua. A un certo punto leggo "Tu si' 'a cchiù bella cosa ca tene sto paese" e l'ho cantata subito cosi Quando l'ho finita, mi sono chiesta "Perché questa l'ho cantata e le altre no?" Mi sono guardata un po' intorno, ho fatto un sorriso con me stessa. Mi sono commossa. Forse è stata la voglia interiore della vita oppure è stato Totò, che mi ha mandato una caramella, un dono». A' cchiù bella cosa, arricchita dalla sua splendida voce e dalla sua spiccata musicalità, ci resta ora come l'ultimo frammento di un'eredità preziosa e insostituibile.

Giancarlo Susanna, «L'Unità», 15 settembre 2004

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4 giugno 2004, la scomparsa di Nino Manfredi - Tutta la cronaca in rassegna stampa


Tra i tanti argomenti di Come inguaiammo il cinema italiano. La vera storia di Franco e Ciccio, c'è il coinvolgimento di Franchi in un'inchiesta per mafia che si risolse nell'archiviazione del caso. Così ricorda la vicenda il giudice Giuseppe Ayala nell'intervista del film della quale pubblichiamo un estratto (per concessione di Ciprì e Moresco).

Accadde questo. Noi in quel periodo, siamo agli inizi degli anni 80, andavamo mettendo in piedi forse la prima grande indagine sulla mafia che poi, grazie all’avvento di Buscetta e gli altri collaboratori di giustizia, portò al maxiprocesso, ma noi non lo sapevamo che sarebbe accaduto questo... Quindi l’indagine era certamente legata a individuare responsabilità personali, perché la responsabilità penale è personale, quindi non era un problema di un’indagine ambientale, quello non è compito dei magistrati e noi non abbiamo mai perso di vista questa coordinata; per cui capitava che persone che non hanno la notorietà di Franco Franchi, meritatissima notorietà di Franco Franchi, e delle quali nessuno parla, risultava dalle indagini avessero rapporti con mafiosi e con capimafia e queste persone tecnicamente dovevano essere indagate.

... Ripeto, quando questo riguarda persone non conosciute non succede niente, quando questo riguarda personalità come Franco Franchi, ripeto meritatamente famosa, evidentemente c’è un impatto mediatico che dilata la notizia, punta i riflettori, è fatale che ciò avvenga. Ecco perché ancora oggi parliamo della vicenda di Franco Franchi... C’era solo il nostro dovere di fare quello che abbiamo fatto. Dovere che abbiamo portato a compimento rendendoci conto che non c’era niente e quindi la vicenda fu archiviata.

In sostanza quello che emergeva erano dei rapporti soprattutto con la famiglia di Michele Greco, che non dobbiamo dimenticare al tempo era soprannominato il «papa», nel senso che era il vertice di Cosa Nostra di quel periodo e Franco Franchi aveva partecipato a occasioni conviviali e poi aveva partecipato a un film, credo non meritevole di premi, il cui ideatore era il figlio di Michele
Greco... Questi elementi ci indussero a vedere se, come poi abbiamo accertato, a questo si limitavano i rapporti o se questi episodi fossero sintomatici di un rapporto diverso. Noi avevamo il dovere di approfondire.

...Quello che mi sento di poter dire è questo: l’estrazione sottoproletaria di Franco Franchi, che poveretto aveva conosciuto prima della fama la fame, cosa ben diversa, e cosa della quale lui non si vergognò mai giustamente, anzi forse la rivendicava... credo però che naturalmente la formazione subculturale gli sia rimasta...

... Allora il capomafia che rappresenta il comando, il potere, esercita un fascino su chi non è attrezzato culturalmente per valori, educazione, formazione... e Franco Franchi partiva da lì, quindi probabilmente quando Michele Greco lo avrà invitato a casa sua, non gli sembrava vero, malgrado lui fosse già un famoso attore. Questa è la spiegazione forse più probabile, non voglio rubare il mestiere agli antropologo ai sociologi, agli storici, ma con un po’ di esperienza, da siciliano non si fa fatica a ricostruire la vicenda in questa maniera.

«L'Unità», 27 agosto 2004

2005

2005 03 12 LUnita Aurelio Fierro morte intro

11 marzo 2005, la scomparsa di Aurelio Fierro - Tutta la cronaca in rassegna stampa


2005 04 27 L Unita Mario Monicelli intro

Alberto Crespi, «L'Unità», 27 aprile 2005


2005 07 04 CDS Alberto Lattuada morte intro

3 luglio 2005, la scomparsa del regista Alberto Lattuada - Tutta la cronaca in rassegna stampa


2005 11 16 La Repubblica Age morte intro

15 novembre 2005, la scomparsa dello sceneggiatore Agenore Incrocci - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2006

2006 12 30 L Unita Aroldo Tieri intro

28 dicembre 2006, la scomparsa di Aroldo Tieri - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2007

2007 01 11 CDS Carlo Ponti morte intro

9 gennaio 2007, la scomparsa del produttore Carlo Ponti - Tutta la cronaca in rassegna stampa

6 aprile 2007, la scomparsa del regista Luigi Comencini - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2008

2008 07 29 CDS Marisa Merlini morte intro

28 luglio 2008, la scomparsa di Marisa Merlini - Tutta la cronaca in rassegna stampa

2009

2009 10 18 CDS Rosanna Schiaffino morte intro

17 ottobre 2009, la scomparsa di Rosanna Schiaffino - Tutta la cronaca in rassegna stampa


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