Alessi Ottavio

(Cammarata, 1919 – 26 aprile 1978) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano.

Biografia

Dopo aver interpretato la parte di uno studente meridionale nel film del 1956 Noi siamo le colonne ha intrapreso l'attività di regista dirigendo vari film che andavano dal genere sado-comico a quello soft-erotico.


Patria e sesso, Piave e gambe

Questa è la meraviglia del varietà: il riuscire a mescolare Patria e sesso, Piave e gambe, Trieste e seni sussultanti. Da che siamo vivi non abbiamo mai visto mancare l’effetto: il vecchio satiro passa tranquillamente dall’eccitazione per la terza ballerina a sinistra in puntino, all’esaltazione patriottica; la stessa ballerina con lo stesso puntino canta Trieste del mio cuore... e tutti applaudono; forse la destra applaude per la città irredenta, mentre la sinistra applaude per quel cor-picino altrettanto irredento... ma tutte e due fanno il rumore unico e piacevole dell’applauso; il che è gradito a comici, ballerine, cantanti, amministratori, impresari e servi di scena.

“Il pubblico vuole un poco di patriottismo!” dice l’autore, dice l’impresario, dice il capocomico. Il pubblico infatti vuole il patriottismo, ma quello ovvio, quello del giornale che legge ogni mattina. L'autore che aspetta Tappiauso deve ispirarsi all’articolo di fondo del quotidiano di maggiore tiratura. Ricordiamo che, nel periodo in cui ogni italiano mostrava di avere un’opinione diversa da quella degli altri, qualche palcoscenico fu invaso, qualche comico fu picchiato, molti quadri politici furono fischiati. Totò fu schiaffeggiato per una battuta anticomunista, Dapporto per un motivo simile fu diffidato, Riva collezionò bastonate e fischi. Ma una bandiera con o senza stemma poteva dar luogo a successo contrastato; il comico triestino Cecchelin si ebbe applausi perché di fama antifascista, ma non ebbe gli applausi dei monarchici perché le bandiere di cui sovrabbondava il suo spettacolo non avevano lo stemma. Infine Garinei e Giovannini crollavano esausti e felici sotto gli applausi che salutavano una scenetta nella quale un liberale un democristiano e un comunista univano le rispettive bandiere per formarne una sola verde bianca e rossa (resta da chiarire perché i liberali inalberassero una bandiera verde).

Da questa trovata scenica si doveva capire che Garinei e Giovannini avrebbero fatto fortuna; Michele Galdieri infatti — fortunatissimo autore per anni ed anni — fu il maestro del quadretto “politico” o, meglio ancora, “patriottico”. Non staremo qui a ricordare i suoi sketch uno per uno: le scenette con molta patria, tanti bersaglieri e tanto irredentismo sono quelle che più si applaudono e che meno si ricordano. Ma basterebbe un titolo gal-dieriano: Marionette che sanzioni!: ballerine seminude mescolavano lo scintillio dei loro ombelichi alle frecciate contro l’Inghilterra, il sussultare dei loro seni alle accuse contro la Società delle Nazioni; e tutto ciò provocava deliri nel pubblico felicemente altalenato tra “la partaccia fatta all’Italia” e le gambe perfette della soubrette Erszi Paal.

Della stessa epoca è un couplet che elevava l’errore di ortografia a “licenza poetica”:

Sanzionisti del petroglio
per fregare gli Italiani
sanzionategli Badoglio
sanzionategli Graziami

La parola poco ortodossa, quel “fregare” — d’altra parte innalzata sui gagliardetti — non spaventi nessuno! Nelle scene patriottiche, si diceva e si dice ben altro; e tutto vien tollerato per amor di Patria. Durante la guerra etiopica in verità si cantava cosi:

Voglio andare dal Negus Neghesti
dai suoi fedeli chiamato Fifi;
gli piacciono tanto i giovani onesti
e li vorrebbe ben cotti in salmì.
Noi siamo belli ma siamo indigesti;
se tu ci assaggi, barbuto Fifi,
ti toccherà tra dolori molesti,
spararle grosse, ma nel tuo ghebi...

Il pubblico applaudiva: le battute salaci, ed anche quelle scatologiche, sono sempre piaciute agli spettatori di rivista e di varietà; e in questo caso ben altri e più alti motivi si aggiungevano al piacere spicciolo di ascoltare sconcezze.

Più pulita, anzi certamente scritta con la speranza di seguire la scia della Leggenda del Piave, era la Marcetta colorata di Cesare Santomasso nella quale si faceva la storia d’Italia attraverso le camice: rossa con Garibaldi, nera nel ’22...

ma poi per un destino ch'era umano
a storia dei colori si animò;
vestito giallo-scuro l’italiano
la sua bandiera in Africa piantò.
E canta, canta la canzone dei color
che sa portare la gaiezza in ogni cuor.
Avanti avanti sempre marcia e va
e sempre il bianco rosso e verde vincerà.

Era questa la musica del finalissimo della rivista Il mondo in follia della Compagnia Molinari con Tecla Scarano, Paola Orlowa (allora si scriveva Orlova), Mario Castellani, Mario Siletti; costumi di foggia militare in paillettes nere, rosse, kaki; scenografia composta soltanto di una enorme bandiera tricolore.

Paola Orlowa gh4

In quella situazione eroico-patriottica Michele Galdieri “ci sguazzava”; ed ancora meglio si trovò quando scoppiò quella guerra a tinte romantiche (legionari, volontari, solidarietà ideologica) che si combattè in Spagna: fu memorabile la serata in onore di una delegazione falangista al teatro Quattro Fontane di Roma; il Maestro della rivista aveva ideato uno sketch che, aperto da Franco Coop ed Ermanno Roveri, simboli delle odiate democrazie, in abito da società e cilindro, toccava le punte più alte al momento in cui l’attrice Pina Renzi in mantilla e pettine, tentando di maneggiare le nacchere per raffigurare la Spagna, cantava: “L’albero piccerello aggio chiantato...”; l’albero era in scena e man mano che la canzone andava avanti produceva frutti sui quali era scritto Santander, Bilbao, Siviglia, Madrid... Più ingenui, ma più spontanei, i nuovi stornelli della trasteverina Festa de Noantri:

Trastevere Trastevere
brilli de nova luce:
c’hai la Madonna e er Duce
che penseno per te!

La guerra, quella seria, senza romanticismi ed euforie ebbe canzoni fin troppo note che furono cantate da dicitrici con parenti al fronte o da dicitori felicemente afflitti da tremende malattie che li escludevano dalla chiamata alle armi. Nei varietà si rideva sempre e si applaudiva al comico che assicurava essere Eden un invertito e Chamberlain uno jettatore.

Dopo la guerra venne la Babele di cui abbiamo parlato; inaugurò la serie ancora Michele Galdieri pochi giorni dopo l’arrivo degli Alleati a Roma: un vetturino (Mario Riva, allora non ancora elevato al ruolo di comico) era accusato di aver portato in carrozzella il “nemico invasore”, ma egli, di scatto, teatralmente si levava il soprabito per mostrarsi in camicia rossa e fazzoletto tricolore: anche lui era un Resistente.

Ormai i cuplettisti non cantavano più

Dominatrice barbara
fuggita sei da berbera
non far tanto la burbera
che non ci torni più!

Altri argomenti più «caldi chiedeva il pubblico: Trieste soprattutto, e la satira della politica interna, le navi date in riparazione... Si udirono quei fischi di contrasto dei quali abbiamo parlato, ci furono le invasioni del palcoscenico. Nel frattempo, 1945, a Parigi una caricaturista di cabaret faceva un suo numero applauditissimo: disegnava il profilo di Pétain (l’Eroe della Marna o il bieco traditore, a scelta) e quello di de Gaulle sulle due mezzelune sorelle di una ballerinetta che volgeva le spalle al pubblico; nessuno gaullista si sentiva offeso e nessun Resistente prendeva a schiaffi il pittore o il “quadro” stesso (per sua naturale destinazione schiaffeggiabilissimo). Se un disegnatore italiano avesse fatto lo stesso al Sans Souci di Milano o al Belisario di Roma con i profili di Mussolini e di Luigi Longo non sappiamo come se la sarebbe cavata!

Placatesi le acque, ritornati i giornali ad essere quelli di prima con il pacifico tono di prima, il pubblico si calmò; e gli autori di couplets ebbero le idee chiare su quel che dovevano scrivere. Malgrado una vecchia strofetta dica

Ma nessun di voi lo sa
ch’é tanto generoso l’Italiano
che per vendetta adopera il perdono,

malgrado questo, una scenetta sulle navi cedute in conto riparazioni “funziona sempre”, come funziona l'Inghilterra che non ci vuol concedere neppure “l’acqua di colonia” e — soprattutto — le campane di San Giusto.

Il delirio di un pubblico popolare di fronte a un quadro coreografico con campanile, campane e ballerine vestite da soldati è indicativo: marinarette, alpine, bersagliere, tutto il corpo di ballo con cappelli piatti, con la penna nera, con il piu-metto, ma sempre con le gambe nude fino all’inguine sfilavano in passerella salutate con applausi scroscianti e — stranissimo — da gridi: “Viva gli alpini, viva i bersaglieri!”; le campane di legno luccicanti di porporina dondolavano tirate da un macchinista dietro le quinte mentre la sarta di compagnia dava colpi di martello a una vera campana.

Nei teatri di classe, nei grandi teatri, è ancora Galdieri a portare la marcetta dei bersaglieri e Trieste; durante la rappresentazione della rivista di quest’anno, La piazza, l’arrivo di un finanziatore per interposta persona, un finanziatore impersonale ma potentissimo, rappresentato sulle fotografie di compagnia da un giornalista grasso e conformista, riscaldò i sentimenti patrii dell’autore il quale scrisse alcuni couplets con i quali benevolmente si invitava il pubblico a non dir male del Governo; e scrisse un lungo sketch nel quale i turisti stranieri rubavano tutto quel che capitava loro sottomano, compreso un fazzoletto alabardato che al finale era sciorinato tra seni prosperosi e fianchi prepotenti. Da parte sua Spadaro cantando a Trieste ha modificato il finalino della sua famosa canzone:

...io porto i bacioni a Trieste
di tutti gli Italiani che incontrai.

E, in gergo di palcoscenico, è venuto giù il teatro.

Sissignore, la Patria è una bellissima cosa; è un piacere levarsi il cappello quando passa la Bandiera; un brivido corre per la schiena quando la fanfara dei bersaglieri lancia i suoi squilli o quando la banda dei carabinieri intona l’Inno del Piave... ma il comico che fa la morale ad Eisenhower, in versi e sul motivo di Signorinella pallida ci fa soltanto pena, le ballerine che ancheggiano inneggiando a “Trieste benedetta” ci danno un senso di malinconia, la Patria che irrompe dai seni scoperti e sussultanti delle soubrettine ci rattrista.

Ottavio Alessi


Filmografia

Regista

Che fine ha fatto Totò Baby? (1964)
Top Sensation (1968)

Sceneggiatore

Juke box - Urli d'amore, regia di Mauro Morassi (1959)
Adulterio all'italiana, regia di Pasquale Festa Campanile (1966)
Incontro d'amore, regia di Paolo Heusch e Ugo Liberatore (1970)
Nella misura in cui..., regia di Piero Vivarelli (1979)

Attore

Noi siamo le colonne, regia di Luigi Filippo D'Amico (1956)
Nella misura in cui..., regia di Piero Vivarelli (1979)


Riferimenti e bibliografie:

  • "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980