Ugo Tognazzi con i capelli grigi

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Il film “La voglia matta” di Luciano Salce racconta le avventure di un uomo maturo che non avverte il ridicolo cui si espone gettandosi in imprese amorose al fianco dei ventenni

Roma, febbraio

E’ l’ora dei comici convertiti. Lasciano a casa i gags e le "uscite” sicure, buttano in un angolo le smorfie e gli strabuzzamene d’occhi e si gettano sul "genere serio" con una voluttà che lascia capire con quanta tristezza nel cuore abbiano finora fatto ridere la gente. Sordi dopo una serie di leggere conversioni incappa nel personaggio del giornalista in "Una vita difficile ”, Manfredi si ricorda di aver cominciato con Shakespeare, Rascel pensa a Kafka, Chiari scappa a Broadway per non essere costretto a tingersi la faccia di nero, Tognazzi indugia con un piede al di qua e uno al di là del fosso, ma è chiaro che anche lui sogna il giorno in cui non gli chiederanno più la barzelletta e il travestimento bensì quali difficoltà si incontrano per interpretare Amleto.

Il fatto è che il genere comico da noi è rimasto ancorato (salvo rare eccezioni) all’avanspettacolo e alla farsa, cioè al lato più facile e meccanico. E gli attori, dopo un po’, si stufano, scalpitano e cercano di uscire dall’occhio di bue; diventano seri. O, almeno, tentano di saltare il fatidico fosso. Dispostissimi a rompersi una gamba, a rinunciare a tante comodità e anche a un po' di soldi.

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L’operazione conversione di Ugo Tognazzi è iniziata lo scorso anno con "Il federale” diretto da Luciano Salce. Comico e patetico erano ancora miscelati. Ma le precauzioni si dimostrarono saggie: pubblico e critica, concordi, ammisero che l'esperimento era riuscito e che sarebbe stato interessante vedere Tognazzi alle prese con un personaggio più spinto verso il genere serio. Così è nato "La voglia matta” che Luciano Salce sta terminando proprio in questi giorni.

«Tognazzi è ancora da scoprire — dice il regista — è un attore originale che ha un suo modo di essere vero e di non essere "attore”. Per questa ragione gli ho affidato il ruolo dell’ingegnere Antonio Berlingheri in questo film piuttosto amaro».

”La voglia matta” di cui parla il titolo è quella che assale novantanove volte su cento i quarantenni che non si sentono tali: la voglia di dimenticare l’anagrafe e lo stato civile e di rituffarsi nell’età remota e affascinante della gioventù. «E’ pericoloso fare i giovani solo perchè ci si sente tali», dice Salce. E questa è un po’ la morale della storia che ha raccontato con la sua macchina da presa.

Antonio Berlingheri, è un milanese con la testa sulle spalle. Ha alle sue dipendenze tremila operai, s’intende di laminati e di forni elettrolitici come pochi. Fa la spola fra la capitale lombarda e Roma per incrementare i suoi commerci con l’estero. E’ un arrivato. E ha appena trentanove anni. Marcia in ”spider”, ha un’amica a Roma, un figlio in collegio a Pisa e molti soldi da spendere per le sue non impegnative ''ricreazioni”. Una situazione normale nella sua eccezionalità. La sua avventura comincia un sabato. Sta ritornando a Milano, via Pisa, quando per una serie di coincidenze si trova in balia di una comitiva di ragazzi e ragazze che si preparano a trascorrere il week-end in un "cottage” sul mare.

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Il ” matusalemme” non ha nessuna intenzione di cambiare i suoi piani di viaggio, calcolati con meneghina precisione («media settantacinque, pranzo al Girarrosto, sosta a Pisa di mezz’ora, alle diciannove e trenta imbocco corso Lodi e sono a casa»), ma gli avvenimenti lo tirano per i capelli. L’ingenua sfrontatezza di una sedicenne che si chiama Francesca, gli dà il colpo definitivo. Ed eccolo nel "tucul” in riva al mare, prigioniero di lusinghe che gli sembrano maliziose e non lo sono.

Antonio è conscio di tutto questo equivoco, ma continua a sperare nel miracolo. Sente di non aver nulla da spartire con quei giovani che sfuggono alle sue catalogazioni, ma il desiderio dell’avventura è più forte della ragione che ogni tanto si fa viva per suggerirgli di andarsene, di non perdere tempo, di non rischiare il ridicolo.

Come può lui, trentanovenne, giocare con i liceali a Mister Universo o agli indiani che ballano la macumba? Come può capire la leggerezza con cui ascoltano un discorso di Hitler alternato a un cha-cha-cha? E che cosa può rispondere a delle ragazze che ora dicono* di voler andare in Africa a curare i lebbrosi nell’ospedale di quel "tipo con i baffi” che poi sarebbe il celebre dottor Schweitzer, e un momento dopo gli chiedono di sposarlo e di andare in viaggio di nozze a Disneyland? Tutte le loro azioni rispondono alle regole di una assoluta gratuità: il confine morale fra bene e male, lecito e illecito, giusto e ingiusto, non esista ancora nel loro orizzonte. C’è la giovinezza e basta: una giovinezza che giustifica e lava tutto.

«Per carità — dice Salce — non creda che questo film sia una ennesima inchiesta sulla gioventù. Siamo pieni fino al collo di inchieste e di documenti. Il personaggio principale è lui, Antonio. Gli altri gli girano intorno con la loro realtà che è in contrasto con la sua. Lungi da me l’idea di fare un quadro, o come si dice oggi, un affresco sui giovani...

”La voglia matta” è la storia di un quarantenne. Questo naturalmente non esclude la verità dei ragazzi e delle ragazze che Antonio incontra. I giochi, le battute del dialogo, le situazioni sono assolutamente "veri”. Spesso sono stati gli stessi interpreti a suggerirmeli. E quando si trattava di ricostruirli davanti alla macchina da presa si sentivano a loro agio».

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Gli interpreti che Salce ha scelto sono per lo più degli avventizi, cioè ragazzi della buona borghesia romana che si sono divertiti a giocare al cinema anche quando le regole del "piano di lavorazione” non erano piacevoli. Si sono alzati per molte settimane alle sei di mattina, hanno dovuto fare il bagno in novembre quando il mare non era certo ”un brodo”, si sono sottoposti al massacrante gioco delle ripetizioni di una scena. Ogni tanto qualcuno scappava dall’albergo Sabaudia dove era concentrata la troupe per non mancare a una festa o a un avvenimento mondano. Ma ritornavano in tempo per le scene del giorno dopo. A loro modo erano, dunque, disciplinati e pieni di buona volontà. A loro modo cercavano di collaborare alla buona riuscita del film.

Alcune delle situazioni più divertenti e delle battute più gustose le hanno proprio suggerite loro a quei "matusa” di Salce e di Tognazzi. La scena della lettura del libretto in cui una delle ragazze segna scrupolosamente: «Oggi baciato M», oppure «Oggi fatto X con Z», e tutti gli altri peccatucci veniali o no «se no me li dimentico e col confessore faccio una figura da cani», è difficile da inventare. Fa parte di una mentalità "vera” ma legata a una precisa età.

«Con voi non si ragiona!» esclama durante le ventiquattro ore che passa nel cottage l’ingegner Antonio. Ed è qui tutto il succo del discorso: con i ragazzi, con quei ragazzi, non si ragiona. L’istinto comanda una danza imprevedibile che richiede una elasticità mentale che a quarant'anni non si può più avere.

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Antonio Berlingheri capirà questa verità alla fine del suo strano week-end quando si ritroverà solo sulla spiaggia, abbandonato da quella tribù di scalmanati. «Un’avventura sciocca» dirà a se stesso mentre la spider corre verso Pisa. Ma, per fortuna, innocua. Facendo la media dei settantacinque all’ora, fermandosi mezz’ora dal figlio e ripartendo, alle diciannove e trenta sarà all’imbocco di corso Lodi, a Milano. Con ventiquattro ore di ritardo, ma anche con una preziosa esperienza in più. Un ruolo particolarmente adatto a Tognazzi quello dello spavaldo che. non s’arrende sino a quando non batte con il naso contro la realtà. Lo abbiamo già visto, prima invincibile e poi distrutto, nella figura del federale, il film che ha dato a questo attore la possibilità di rivelare tutte le sue non poche risorse.

F. C., «Tempo», anno XXIV, n.9, 3 marzo 1962


Tempo
F. C., «Tempo», anno XXIV, n.9, 3 marzo 1962