Totò critico d'arte

1952 Toto a Colori Arte

Il 15 aprile 1967 moriva uno dei maggiori interpreti del teatro e del cinema italiani. In queste pagine ne ripercorriamo la camera di «pittore» e «scultore»

Il personaggio - Antonio de Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 - Roma, 15 aprile 1967), in arte Totò, di discendenza nobile ma di nascita piccolo-borghese, esordi nel caffè-concerto imitando la «marionetta» di Gustavo De Marco ed è stato interprete di riviste dal grande successo. L'approdo al cinema avviene nel 1937 ( Fermo con le mani!). Tra i numerosi film: Totò cerca casa (1949) di Steno e Mario Monicelli, Totò sceicco (Mario Mattoli, 1950), Guardie e ladri (Steno e Monicelli, 1951), L'oro di Napoli (Vittorio De Sica, 1954), Totò, Peppino e la malafemmina (Camillo Mastrocinque, 1956), I soliti ignoti (Monicelli, 1958), Uccellacci e uccellini (Pier Paolo Pasolini, 1966). Il 6 aprile arriva in libreria Totò. Vita, opere e miracoli di Giancarlo Governi (Fazi, pp. 280, € 15)

I film di Totò. Ho trascorso interi pomeriggi a vederli sulle televisioni locali. Potrei citarne alcuni a memoria. Per molte generazioni di napoletani, Totò è una sorta di «luogo comune»: si ripetono a memoria le sue battute e le sue gag. Insomma, ci sentiamo tutti un po’ totologi. O «totoisti», per riprendere una definizione coniata da Achille Bonito Oliva, autore di Totò Modo, un intelligente found-footage film trasmesso dalla Rai e presentato al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1995. Un curioso blob, basato sul montaggio di sequenze in cui Totò si traveste da artista o parla di arte.

Un divertissement di matrice quasi archeologica, che ha svelato un lato ancora inesplorato della plurale personalità del principe de Curtis, che moriva a Roma il 15 aprile di cinquantanni fa. Non l'inimitabile interprete erede della tradizione della commedia dell’arte, né l’attore amato da cineasti come Pasolini, ma un involontario critico d’arte. Che spesso dedica i suoi sketch ad artisti del passato (Leonardo, Goya), a personalità del Novecento (Picasso, Duchamp, de Chirico), a movimenti (futurismo, dadaismo, surrealismo) e a tecniche ardite (parole in libertà, scrittura automatica, ready made, non-finito), riuscendo talvolta persino ad anticipare esperienze successive (postmodernismo, transavanguardia, anacronismo). Per far affiorare questa trama di rimandi e di profezie, Bonito Oliva aveva accompagnato ogni momento del film con didascalie in cui si indicavano riferimenti più o meno impliciti. Era nata così una specie di delirante «storia dell’arte spiegata ai bambini».

Performer d’avanguardia Sono Marinetti, Bragaglia e Petrolini i confini entro cui occorre iscrivere l’avventura artistica del principe de Curtis

Dunque, ecco Totò-pittore. Basco, grembiule, cravattone a fiocco. Accanto a lui, un improbabile modello per la Gioconda: l’attore Giacomo Furia. Che gli chiede: «Se vuol rifare la Gioconda, perché non fa un salto al Louvre?». La risposta: «A Parigi, io? E perché? (...) Per fortuna io il sorriso ce l’ho tutto qui, in testa, lo (...) dipingo a orecchio». Ecco, poi, Totò-copista. Che viene invitato a Madrid per eseguire una replica della Maja desnuda. Dice: «Lo vorrei vedere qui, il signor Goya! A creare sono bravi tutti. Il difficile è copiare!». Ed ecco ancora Totò-scultore,

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mentre illustra il soggetto delle sue opere: un telaio di ferro rotondo che evoca una Venere («è meglio di quella di Milo perché con questa ci puoi sturare il lavandino»). Poi, brandendo un martello, memore di Michelangelo, chiede a un blocco di marmo: «Perché non parli?». Irritato, parte il colpo di maglio. Si sente un gemito. Cose accaduto? L’attore ha percosso il suo assistente. «Ha parlato!», urla Totò. E mostra la sua statua. Che rappresenta in modo astratto una madre e un bambino che piange. «La mamma è uscita. Perciò il bambino piange ed è andato a cercarla. (... ) La mia è un’arte assenteista».

Altri episodi. Irritato da un dipinto à la manière di Picasso, Totò spalanca un occhio dell’autore di quella crosta: e ci sputa dentro. Infine, la lettera dettata a Peppino De Filippo: un indiretto omaggio alle parole in libertà futuriste ideato da un geniale attore-autore. Che dice di sé: «Sono cubista, astrattista, esistenzialista, romanista democratico, qualche volta tifo anche per il Napoli. (...) Futurista, impressionista, realista? Veramente io sono socialdemocratico monarchico napoletano».

Ma — occorre chiedersi — in che modo l’autore di ’A livella entra in contatto con l’arte? Certo, egli ha un istinto da cleptomane: orecchia e assimila figure e atmosfere colte, trasformando soprattutto alcune intuizioni dello sperimentalismo primo novecentesco in motti di spirito e in battute esilaranti. Che (purtroppo) hanno contagiato anche tanti critici d’arte di mestiere: epigoni che lo hanno imitato affidandosi a calembour da avanspettacolo.

Ma c’è di più. «Non sarebbe esagerato affermare che col volto di Totò, col solo volto, si potrebbe fare un “tre minuti” di avanguardia», aveva sottolineato negli anni 50 Mario Verdone, alludendo a una segreta relazione dell’attore napoletano con il secondo futurismo, nelle cui file milita, tra gli altri, Carlo Ludovico Bragaglia, regista di due suoi film (Totò cerca moglie e 47 morto che parla). Forse è proprio attraverso Bragaglia che Totò entra in contatto con testi di notevole rilievo teorico come il manifesto sul teatro di varietà redatto nel 1913 da Marinetti, dove si auspica la liberazione dello spazio scenico dal sentimentalismo e dal gusto per la contemplazione, per sancire il trionfo di categorie alternative: illogicità, grottesco, stupore, sorpresa, meraviglioso.

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Il teatro deve diventare territorio di un sorriso che fa «distendere i nervi», dell’ironia, del ridicolo, «della stupidaggine, dell’imbecillità, della balordaggine e dell’assurdità che spingono inesorabilmente l’intelligenza fino all’orlo della pazzia». Decisivo il ricorso ad artifici come il paroliberismo, che favorisce la liberazione delle parole dai legamenti sintattici abituali, scuotendo il pubblico dall’indifferenza. Tra i più alti interpreti di questa filosofia, Petrolini. Che, secondo Marinetti, impersona la più efficace — vivente e simbolica — sintesi dell’idea futurista di teatro, pensata come evento totale e, insieme, come tecnica attoriale raffinata e intensa.

Il giudizio dello scrittore «Egli era in un certo senso l’equivalente, nel suo campo, delle figure di Picasso e della musica dodecafonica»

Marinetti, Bragaglia e Petrolini disegnano l’orizzonte dentro cui occorre iscrivere l’avventura di Totò, che non si limita a citare l’arte di Picasso o di Duchamp in divertenti gag, ma agisce egli stesso da performer d’avanguardia. Come dimostra in modo particolare il suo originale uso della lingua, del corpo e del volto. Parlando di lui, lo scrittore Sandro De Feo, in un articolo del 1967, disse: «Egli era in un certo senso l’equivalente, nel suo campo, delle figure di Picasso e della musica dodecafonica».

Totò ha un talento raro: riesce a rendere popolari e comiche alcune trovate sperimentali. Sulle orme delle poetiche futuriste, dadaiste e surrealiste, abita le geografie dell’assurdo e del surreale: ricerca il non-sense («è la somma che fa il totale»); propone arbitrari giochi fonetici («parli come badi», «bazzecole, quisquiglie, pinzellacchere»), inversioni verbali («ogni limite ha una pazienza»), sinestesie («Guarda Omar quante bello!»), scomposizioni sintattiche e grammaticali («Punto, punto e virgola, abbondiamo, così non dicono che siamo tirati»).

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Inoltre, in lontana sintonia con le riflessioni sul riso di Palazzeschi, è maestro di «lazzi, frizzi, girigogoli e ghiribizzi». Infine, probabilmente influenzato ancora da Marinetti (e in linea con i Fratelli Marx), predilige le irriverenze: tratta le sceneggiature come canovacci da personalizzare, consegnandosi a sfrenate improvvisazioni; ama i gesti rapidi, incoerenti, spregiudicati; mira a distruggere la quiete, a decostruire le situazioni ordinarie. Mettendo in scena sovente se stesso come una specie di marionetta (alla Gordon Craig), con una mimica facciale densa di rinvii (dalle maschere plautine a Capitan Fracassa, a Pulcinella) e con un corpo snodabile, le cui parti possono muoversi in autonomia e in asincronia violando quasi le leggi fisiologiche, come un burattino o un automa.

Ecco: accanto al critico d’arte inatteso, c’è un altro Totò. Che assegna un’assoluta centralità alla dimensione puramente visiva. E che, sulle orme delle avanguardie, intende la sua azione come pratica di attenta e continua invenzione. Pasolini: «La sua opera di inventore continua, non cessa quando si inserisce dentro l’invenzione di un altro. (...). Egli è sempre inventore, è sempre un creatore, sempre un artista in qualsiasi film si trovi».

Vincenzo Trione, «Corriere della Sera», 5 marzo 2017



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Vincenzo Trione, «Corriere della Sera», 5 marzo 2017