Pillole di Totò
Le curiosità in pillole della storia di questa grande maschera, lunga quarant'anni: dalla dura esperienza della fame e della disperazione, fino al successo e alla popolarità a livello nazionale e mondiale. Aspetti inediti e poco conosciuti della vita privata di Antonio de Curtis.
I fratelli Cafiero
L'autista personale di Antonio de Curtis, Salvatore Cafiero (foto sin.) , venne rimpiazzato nella mansione dal fratello Carlo (a destra) quando venne licenziato dallo stesso Totò. Il motivo? Una tragicomica circostanza... Dimenticò di fare il pieno di benzina nell'Alfa 1900 e Antonio de Curtis e Franca Faldini in viaggio con destinazione Montecarlo, rimasero fermi varie ore in attesa che provvedesse ad andarla a comprare.
Nel film del 1963 "Il Comandante", Carlo Cafiero, nella vita autista personale di Antonio de Curtis, figura come l'autista dell'auto americana che prende sotto casa il Generale in pensione Antonio Cavalli.
Federico Clemente
Nei primi anni del 1950 venne pubblicato un libretto sponsorizzato dalla ditta Cinzano, il quale conteneva svariate immagini di Totò intento a versarsi un aperitivo in un bicchiere. Le immagini erano ordinate in modo tale da creare l'effetto film: infatti tenendo in mano il libretto e sfogliando rapidamente le pagine con il pollice, veniva simulata una sequenza in movimento. Quelle stesse immagini furono successivamente utilizzate per la campagna pubblicitaria Cinzano.
Peppe, il padrone di casa de Curtis. Peppe era il barboncino nero posseduto da Antonio de Curtis e Franca Faldini. Aveva due fratelli... Nerone e Tito. Nerone abitava a casa di Eduardo Clemente e Tito in quella diCarlo Cafiero.
Buongustaio si, fesso no. «Quante ve ne potrei raccontare. Quei fetenti, col salvietto ci fanno di tutto. Si asciugano le mani, lo stringono sotto l'ascella sudata, se lo passano sulla fronte madida di sudore eppoi ti arrivano davanti sorridenti e ti ci danno una lustrata al piatto. Per carità! E le cucine? Ci avete mai pensato a dare un'occhiata alle cucine di questi localucci pittoreschi con gli agli appesi o le tovaglie a scacchi e gli abatjour? Una zozza, novantanove su cento, un covo di scarafoni, da entrarci con stivali di gomma, maschera e guanti!». Quando proprio era costretto a recarsi appresso a qualcuno con cui non aveva potuto spuntarla, entrava circospetto, poi con un pretesto e l'aria svagata andava a girellare verso la cucina e, se ritornando al tavolo ordinava prosciutto e melone e niente più, il verdetto era estremamente negativo. Mai prosciutto e fichi «perchè i fichi li pelano con le mani ed io le schifo quelle mani dalle unghie listate a lutto di certi cuochi che forse hanno appena toccato chissà che, possono aver anche avuto un'urgenza idraulica, e probabilmente non se le sono neppure lavate!»
Totò, Eduardo, il piccione e la fame atavica. I primi anni di vita artistica Totò li vive quasi in miseria. Da una parte la famiglia di certo non lo incoraggia ad intraprendere questa difficile strada, dall'altra c'è la difficoltà a trovare un ingaggio con cui possa almento racimolare un pasto al giorno. Quasi nelle stesse condizioni è l'amico Eduardo De Filippo, amico di sventura nei primi anni di teatro. Accade che un giorno, in un paese intorno a Napoli, con il compagno Eduardo, adocchiano un povero piccione che svolazza e decidono di trasformarlo in pranzo. Agendo di nascosto, senza farsi notare poichè il misero volatile era appena sufficiente per due persone, decidono di andare in una vicina locanda per farselo cucinare. Quando ormai la "salma" è nel piatto, Totò viene colto da improvvisa compassione. «Povero piccione, stroncato nel fiore degli anni, mentre volava felice. Che pena! Che pena!». «Ma famme ’o piacere», lo zittisce Eduardo, «Co’ ’a dio ’e famme ca tenimmo, tu vaje a chiagnere p’ ’o piccione! Dammillo a ’mme, si te fa tanta pena». Negli anni, Totò non ha mai confessato di aver dato la sua parte di porzione all'amico-collega... Per Eduardo non fu al prima volta. Molto tempo prima, insieme al fratello Peppino, in un teatro di provincia, furono costretti a mangiarsi per cena il piccione e la gallina, loro “compagni” di lavoro.
L'attendente del generale. Si racconta che Edurado Clemente, cugino e segretario di Antonio de Curtis, dopo la morte del grande attore fu avvicinato da un famoso produttore cinematografico che gli offrì di lavorare per lui, e che Clemente tagliò corto dicendo: «Aggio fatto per tanti anni l'attendente al generale, mò non posso mettermi a fare l'attendente di un capitano.»
La prenacchia. Croccolo: Principe mi definireste la pernacchia? Totò: La pernacchia, più che uno sberleffo come molti credono, è un suono, una nota musicale, una modulazione di frequenza. Croccolo: Non sarà propriamente uno sberleffo, ma serve sempre a irridere qualcosa o qualcuno. O no? Totò: La pernacchia ha tanti scopi: deride, protesta, esplode come un urlo di dolore, è sommessa come un sospiro, rassegnata come un lamento. Per questo ne esistono di molti tipi. Quella fragorosa, irriverente, oceanica, si fa contro l'arroganza del potente che ne rimane travolto. La pernacchietta a fior di labbra è più delicata e colpisce i comuni mortali, anche loro spesso colpevoli di soprusi e di piccole imbecillità nocive. La pernacchia squillante è un suono gioioso che applaude la sconfitta di un rivale odiato. In questa sinfonia c'è anche la nota amara, quando la pernacchia sancisce un fallimento, sia pure esorcizzato dall'autoironia. Non manca nemmeno la pernacchia liberatoria che esce spontanea dalle labbra come accompagnamento sonoro all'allontanarsi di un nemico. E poi chi più ne ha più ne metta perché le vie della pernacchia sono infinite. Croccolo: Principe, siete grande, grazie a voi potrei scrivere il manuale della pernacchia. Totò: Scrivi, scrivi pure, divulga l'argomento, tanto... spernacchiar non nuoce.
Totò morto di sonno. «È una mia idea, un giochetto che si basa tutto sulla recitazione. Lo spunto me l'ha dato una vecchia commedia francese. Un uomo, giovane e ricco, arriva stanco al matrimonio. Stanco fisicamente: ha sonno, un sonno terribile, ossessionante. Il poveretto fugge qualsiasi iniziativa che la moglie, desiderosa di divertirsi, gli suggerisce. Vaga per le stanze, all'affannosa ricerca di un posticino nascosto. La servitù, i familiari, lo scoprono negli angoli più bui, dietro le tende, a ridosso di una porta e già sospettano di lui cose strane e misteriose. Basta, il giovane si confida con un amico. Allontanarsi per qualche giorno con una scusa e rifugiarsi in un albergo, è il consiglio. Questo povero morto di sonno, così fa, ma la moglie, che suppone il tradimento, lo pedina e irrompe nella stanza mentre egli sta per infilarsi beatamente tra le lenzuola. Grida, minacce, improperi: l'albergo è in subbuglio. Infine il marito confessa ogni cosa: è colpa del sonno, ecco tutto. «E non potevi dirmelo subito?» dice la donna. «Ora ti porto a casa e ti metto io stessa a letto e così potrai dormire tranquillamente». Le ultime inquadrature mostreranno lui che riposa in un grandissimo letto e lei che, dopo aver socchiuso le imposte, gli sussurra: «Buon sonno». Antonio farà ridere nella parte del morto di sonno, ne sono certo».
Il guardiano di Cinecittà. Si racconta che un giorno arrivò molto presto davanti agli studi di Cinecittà trovando, ovviamente, i cancelli chiusi. Un guardiano, però, si accorse della sua presenza e si precipitò ad aprirgli; nel salutarlo, lo chiamò semplicemente “Totò”. L’attore rispose molto cordialmente, me gli chiese, per il futuro, di chiamarlo “principe”. Il guardiano, però, gli rispose: - Di principi ce ne sono parecchi, ma di Totò ce ne stà uno solo! Totò sorrise compiaciuto e, con questa frase, il guardiano si guadagnò la stima incondizionata del grande attore.
«Ci si chiede se non sarebbe bello vedere Totò diretto da un sommo regista: da Fellini, per esempio. Chissà? Forse non darebbe niente di più. Forse sarebbe peggio; sarebbe come congelato dal genio altrui. Ma varrebbe la pena di provare, no? Fa cinque film all’anno. Possibile che nessun produttore veda la convenienza commerciale, la novità pubblicitaria, la probabilità artistica dell’abbinamento? Andrà come andrà. Caro Totò, in ogni modo, grazie. Grazie di averci tanto divertito. Nella tua carriera e nell’esattezza del ritmo del tuo più piccolo lezzo, c’è qualche cosa di indomito: un esempio per tutti, e una lezione. Anche di questo, grazie».
Mario Soldati
Pasquale, il guanto e il calzascarpe. Questo guanto in similpelle, oggi conservato da Federico Clemente nel baule di scena di Totò, apparteneva a suo padre Eduardo Clemente, cugino di Antonio de Curtis, che è stato per molti anni "l'ombra" di Totò. Era il 18 giugno 1966 e come sappiamo, fu ospite di Mina nella trasmissione televisiva, in prima serata, Studio Uno. Nell'occasione Totò, all'interno degli Studi della Rai, se ne impossessò prima di andare in scena, per utilizzarlo subito dopo. Interpretò, con al suo fianco Mario Castellani, il famoso sketch "Pasquale", usando a modo suo il guanto e il calzascarpe.
Totò, Fabrizi e... le donne. Ironizzando per la passione di Totò per il gentil sesso, il suo amico Aldo Fabrizi gli dedica una sua fotografia in abiti femminili firmandosi "Alda". Totò ride fino alle lacrime e dice: "Aldo, come uomo non eri un granchè ma come donna, lasciamelo dire, fai veramente schifo!"
La riconoscenza del ladro di polli. Era la fine degli anni '50 quando Antonio de Curtis si soffermò su una notizia comparsa su un giornale. Un uomo, colto in flagrante fu arrestato mentre rubava un pollo; agli agenti dichiarò di aver commesso il furto per raccogliere fondi per acquistare un loculo alla figlia da poco deceduta. Profondamente commosso, l'attore telefonò al suo avvocato di fiducia, Eugenio De Simone, dando il mandato ufficiale di assistere il poveretto e provvide inoltre ad inviare alla famiglia del ladro denaro e viveri. La sera stessa in cui conquistò la libertà, il ladro di polli rubò la valigia dell'avvocato De Simone.
Gli oggetti di Totò. Amava talvolta far comparire i propri oggetti personali nei suoi film. È la volta del baule grande contenente la bombetta, che usò nelle varie scene del wagon lit di "Totò a colori" e del "Grande maestro" della serie Tuttototò, e nel film "Totò e i re di Roma". Nella foto grande vediamo uno dei contenitori, quello più piccolo, contenente la bombetta di Totò esposta nella Mostra "Un Principe chiamato Totò" presentata nel Maschio Angioino di Napoli curata dall'Associazione "Antonio de Curtis" (eredi de Curtis)
La scatola del trucco. Totò, che non teneva granché ad avere camerini ampi ed eleganti ("mi basta uno sgabello per sedermi e uno specchio per truccarmi"), era però molto legato alla vecchia scatola di latta per il trucco, usata fin dall'inizio della carriera. In quella scatola, diceva, "c'è tutta la mia vita". Non è un caso che in Yvonne la nuit, partendo per la guerra e vestito da fantaccino ("mi spediscono in trincea, sotto la pioggia, senz'ombrello",improvvisò Totò sul set), il fantasista Nino lascia "in eredità" a Yvonne proprio la sua scatola per il trucco ("tu sai che significhi, per un artista").
Il volto diventa maschera. La particolare mimica facciale di Totò che trasforma il volto in maschera: nel film "Dov'è la libertà?" (1952), gli occhi e l'espressione, nella scena in cui viene ripreso in primo piano mentre esce dal carcere, volgono al sorriso per poi ripiegare in una sorta di angoscia e di smarrimento, ritrovandosi dopo molti anni in qual mondo da cui poi vorrà fuggire. La sintesi di uno stato d'animo raccolta in pochi attimi.
Rovistando nel baule... Totò amava talvolta far comparire i propri oggetti personali nei suoi film. Qui vediamo la borsetta in cartone pressato nero che faceva parte, insieme alla parrucca, del costume originale di scena ispirato al personaggio di "Otello". Il costume fu indossato da Totò nel 1956 per interpretare il personaggio di “Otello” nella sua ultima rivista rappresentata “A prescindere”. Viene qui utilizzata come "bagaglio" del Maestro Mardoccheo Stonatelli, nell'episodio "Il grande maestro" della serie TV "Tuttototò".
Totò e i bambini. Abbastanza marcato fu l’affetto che nutrì per i due nipoti nati dal matrimonio di Liliana, anche se caratterizzato da una scarsa espansività. I bimbi, in genere, gli incutevano soggezione, non sapeva come divertirli o dialogarci e la loro vivacità lo esasperava. Avrebbe voluto tenerseli accanto muti, tranquilli, ragionevoli e vestiti come barboncini. D’altra parte, se la loro carica di irrequietezza gli urtava i nervi, gli risultò ancora più ostica la compostezza tutta orari e ineccepibili maniere imposta da una governante tedesca assunta per suo preciso desiderio che li intristiva in un atteggiamento artefatto. La governante si imponeva come una SS, li comandava con le buone o con le cattive, nessuno poteva più sfiorarli neppure con una carezza perché, secondo i suoi principi, gli adulti contaminavano i piccini. Il giorno in cui si vide comparire davanti il nipote, di ritorno dai giardini, avvitato in un cappottino rosso dai bottoni d’oro e un cappelluccio di velluto calato sulla fronte che, invece di abbracciarlo, si tolse il copricapo e lo salutò con un rigido cenno della testa e un mezzo inchino, esclamò: "Mamma del Carmine, sembra una scimmia sull’organino!” e con ciò, optando per una educazione più spontanea, la governante tedesca venne subito sostituita da una bambinaia italiana.
Mosè, il cane a rotelle. Totò aveva trovato per caso, lungo la via Aurelia. La povera bestiola, che venne chiamata «Mosè», era stata travolta da un’auto e stava per morire: la fece curare e quindi l’accolse nel 'Rifugio dei poveri trovatelli', il canile che Totò fece allestire a Roma nei pressi della Via Boccea e che dava assistenza a circa 250 cani randagi. Ma questa foto venne pubblicata su molti giornali e i commenti provocarono tanta amarezza in Antonio de Curtis. «Con tanti uomini privi di gambe, il principe di Bisanzio pensa agli apparecchio ortopedici per i cani», fu scritto con sarcasmo. Facilmente Antonio de Curtis avrebbe potuto replicare spiegando che lui, oltre ad innumerevoli opere di carità alle quali adempiva quotidianamente, mensilmente inviava all'Istituto Cottolengo, che accoglieva persone con disabilità psicofisiche e, da gran signore qual'era, preferì non pubblicizzare mai i suoi atti di disinteressata generosità.
Gli spot per la Star. Nel 1967, a pochi mesi dalla sua morte, Totò registra uno spot per Carosello destinato a entrare nella storia della pubblicità italiana. A volere a tutti i costi il grande caratterista napoletano per pubblicizzare i propri prodotti è la Star, fondata nel 1948 dall’intraprendente industriale brianzolo Danilo Fossati. La scena si svolge in un seminterrato, dove Totò esercita in maniera alquanto singolare e poco ortodossa la professione del calzolaio. Il malcapitato cliente, interpretato da Gino Ravazzini (attore poliedrico già comparso in numerosi film con Totò), cerca di farsi risuolare una scarpa dal maldestro e stralunato ciabattino, che pare proprio non combinarne una giusta. L’acustica della scenetta è di scarsa qualità: Totò era ormai praticamente cieco e quindi incapace di doppiare la propria voce in postproduzione, era quindi necessario registrare l’audio in presa diretta. Luciano Emmer, che degli spot della Star con Totò curò la regia, racconta che gli spot dovevano essere tre (allora uno spot era girato in un solo giorno). Il primo appunto è Totò cassiere alle prese con un improbabile rapinatore che, di fronte alle obiezioni del cassiere (“conosce qualcuno in questura che possa certificarmi che lei è un rapinatore?”) rinuncia all’impresa. Poi c’é quello che vede Gino Ravazzini fare da spalla ad un impagabile Totò ciabattino. E poi ancora Totò cameriere, Totò superstizioso. Il materiale girato è stato conservato fino a che non è stato rubato durante un furto ai magazzini della casa di produzione. Nell'autunno del 1966 Totò girò nove sketch pubblicitari per la RAI, che andarono in onda su Carosello; oggi di questi ne sopravvivono solo due (Totò cassiere e Totò calzolaio), probabilmente gli altri sono andati perduti.
Casa de Curtis: il personale di servizio. Una seccatura da schivare per Totò, erano i licenziamenti del personale zoppicante a cui magari aveva fatto una cazziata e non era più disposto a tollerarselo davanti. Il compito veniva delegato a Edoardo Clemente (suo cugino e segretario personale, n.d.r.), con l'ordine che se ne liberasse subito, pagando tutto quello che volevano e anche più, purché facessero fagotto all’istante, perché altrimenti "quando quelli sanno che debbono andarsene e gli fai fare i quindici giorni in casa sono capaci di sputarti nel piatto, per sfregio." E per evitare di essere coinvolto in qualche tiritera verbale, se il licenziamento per un’infrazione grave avveniva la sera era capace di andarsene a dormire in albergo.
Macché Principe, chiamatemi Eccellenza. Racconta nel 1962 il giornalista e attore Vincenzo Talarico sulle pagine di "Vie Nuove": «Una volta, quando una sentenza della magistratura aveva ormai stabilito definitivamente che gli appartenesse il titolo di Principe, durante la lavorazione di un film diretto da Rossellini (Dovè la libertà...?, scritto da me in collaborazione con Vitaliano Brancati e Antonio Pietrangeli), capì che qualcuno della troupe si divertiva a chiamarlo “Principe” anche quando l’uso dell’imponente appellativo non era strettamente necessario. Sulle prime Totò fece finta di niente, ma “Principe qua”, “Principe là”, a un certo punto si seccò. Ma da signore qual è e, soprattutto, da uomo intelligente, non pensò nemmeno lontanamente di mettere a posto gli importuni in modo convenzionale. “Amici miei”, disse, durante una pausa, come se continuasse a recitare la scena, “qua siamo tutti lavoratori, qua non ci sono né principi né baroni... qua siamo tutti amici... Lasciamo stare il Principe... Chiamatemi solamente Eccellenza!”».
Il domatore e le settantacinquemila lire. Il 12 aprile 2017 a Napoli presso il Palazzo Reale, durante l'allestimento della mostra "Totò Genio" allestita in occasione del 50° anno dalla sua morte, nella tasca interna di questo costume indossato da Totò nel film "Il più comico spettacolo del mondo", furono trovate una banconota da 50.000, due da 10.000 ed una da 5.000 delle vecchie lire... Chissà Totò a chi avrebbe voluto darle!...
Testimonianza di Federico Clemente, maggio 2017
Carlo Croccolo e i pattini a rotelle. Con Carlo Croccolo, il principe de Curtis talvolta si trasforma in un allegro compagno di lavoro con la vocazione del buontempone. «Amava fare scherzi anche abbastanza feroci, naturalmente li faceva a chi voleva bene, alle persone amiche. Allora avevo ventotto anni ed ero fissato coi pattini a rotelle, e giravo per Cinecittà, al bar, al ristorante, dappertutto. Questo rumore terribile faceva impazzire i tecnici, dava enormemente fastidio, e allora Totò si mise d’accordo con il direttore di Cinecittà: mi fece fare una lettera dove si diceva che avevo procurato danni a un film, che dovevano rifare la colonna sonora, e mi fece arrivare un’imposizione di pagamento di un milione. Naturalmente era uno scherzo, non era vero niente».
La riconoscenza. Ricordo che Andrea De Pino, strampalato giornalista del "Momento Sera" e attore per raggranellare qualche soldo, non aveva la macchina da scrivere. Totò lo seppe. Qualche giorno dopo una fiammante macchina da scrivere faceva bella mostra in casa del De Pino. Il primo articolo di De Pino per riconoscenza, fu proprio contro Totò. Il peggiore mai dedicatogli. Il Principe fu il primo a saperlo e a riderne di gusto. E alla gente che stupita gliene chiedeva il perché, rispondeva: «Ha fatto bene! Se avesse tessuto i miei elogi avrebbe mancato di dignità. Domani per ringraziarlo, lo inviterò a pranzo.» (Giacomo Furia, ricordando un divertente episodio accaduto ad Antonio de Curtis).
La prodigalità di Totò. Gli spettacoli andavano benissimo ma io ci rimettevo ugualmente soldi, perché sa, per fare il capocomico bisogna essere duri, bisogna avere un po’ di cuore duro, mentre io quando vedevo che per un artista la paga era scarsa, gli davo di più, e di più a quello, di più a quello, così non andava avanti. Agli inizi degli anni '30 Antonio de Curtis, sensibile alle richieste di anziani attori e persone bisognose in genere, ma soprattutto alle inarrestabili ricerche dell’avvocato Bizzarro (suo curatore legale della questione sulla discendenza nobiliare, ndr), provocano continue emorragie di denaro che mettono la compagnia in serio rischio. Antonio de Curtis ci tiene a pagare con puntualità i propri scritturati ma spende tanto, è molto generoso con gli amici (e le donne); così a volte resta al verde, deve mercanteggiare per affittarsi una camera, perfino per nutrirsi. Pure adesso che è a capo di una propria compagnia continua a chiedere anticipi al suo amministratore Giovanni Vianello, e a nulla serve ripetergli che sono soldi che il Totò attore sta chiedendo a Totò capocomico, cioè a se stesso. Una sera, poco prima di uno spettacolo, mette l’amministratore di fronte a un aut aut: “Sentite, Viane’, se non mi date cinquecento lire di anticipo io questa sera non recito”. E Vianello deve scappare a prelevarle alla cassa del teatro. Qualche mese dopo, l’amministratore rifiuta un’offerta di rinnovo per quindici giorni al Teatro Principe di Roma per andare a conquistare un contratto più vantaggioso a Napoli; nel frattempo Totò riceve una nuova richiesta di danaro dall’avvocato Bizzarro, e pur di farsi mettere subito in mano 5000 lire di anticipo approfitta dell’assenza di Vianello per mettersi d’accordo sulle due settimane aggiuntive al Principe; l’amministratore dovrà fare miracoli per annullare il contratto napoletano senza pagare penali.
Gaetano Curatola
Cavaliere si, fesso no... E' il 1942, l'"Orlando curioso" è in tournée a Milano e spesso la compagnia deve interrompere lo spettacolo per correre verso i rifugi a causa dei continui bombardamenti. Gli attori, con i costumi di scena, si precipitano fuori così abbigliati. A parte la tragicità del momento, Totò fila veloce vestito da paladino bardato di armatura e pennacchio. Clelia Matania glielo dice, nel timore che l'artista possa rendersi ridicolo:
- Principe, ma almeno il pennacchio ve lo potevate levare...
- E secondo voi i' songo accussì fesso da fini' acciso sott' 'e bombe pe' colpa 'e nu pennacchio? - risponde Totò scatenando l'ilarità di tutti quelli che insieme a lui hanno cercato riparo da quel finimondo...
Il rimpianto di non aver lasciato niente. A proposito dell'ultimo lavoro di Totò, la serie televisiva "Tuttototò", realizzata tra il 1966 e 1967, pochi mesi prima della sua morte, l'amico Mario Castellani racconta: Fui io ad avere l'idea di quel programma, e mi dispiace parlarne male... L'unica cosa buona di quella trasmissione è stata che Totò non fece in tempo a vedersi sul piccolo schermo, altrimenti si sarebbe guastato il sangue dalla rabbia. Ma ancora una volta avrebbe dovuto incolpare soltanto se stesso, la sua apatia, la sua mancanza di fiducia negli uomini. Era convinto che della sua arte non sarebbe rimasto niente, perché questo è il destino degli attori, e ritenne inutile affaticarsi per smentire il suo fondamentale pessimismo. Del resto, lo interessava solo il teatro vero, quello che lui inventava sera per sera davanti al suo pubblico: nel cinema e nella televisione vedeva unicamente delle macchine per far soldi, per pagarsi i suoi vizi e la sua dorata tristezza di principe venuto al mondo in un secolo sbagliato.
Non è vero ma ci credo. Antonio de Curtis era molto superstizioso. Lo iettatore in fondo è un povero disgraziato, un invidioso, un frustrato che rovescia sugli altri la propria insoddisfazione. Tuttavia è pericoloso e allora bisogna debellarlo. Come? La prima regola è quella di non irritarlo, di dimostrargli sempre la massima cortesia. Lui vi guarda storto? E voi rispondetegli con un sorriso. Lui vi dice una frase maligna? E voi replicate: «Amico mio, quanto sei caro. Dimmi che cosa posso fare per te». Lo so, è dura, ma la guerra è guerra e non si può andare troppo per il sottile. Un'altra preoccupazione importante è quella di ridurre al minimo i contatti col menagramo di turno: a volte anche una stretta di mano può essere pericolosa.
Questo viso non mi è nuovo... Si chiamava Margaret, era una ballerina inglese, di una bellezza imbarazzante... una volta stava parlando con me e, con un costume di scena succinto, volgeva le spalle a Totò. Fu allora che nacque una battuta famosa: 'questo viso non mi è nuovo...'. La soubrette girandosi con sguardo serio e interrogativo chiese spiegazioni e io le dissi: 'no, it's your face'. Scoppiò a ridere e se ne andò. Totò esclamò risentito: 'come, io ho detto viso e si è risentita, tu hai detto fessa e si è messa a ridere?'...
Mario Di Gilio
Il primo attore e Totò. Un giorno Edoardo Passarelli, attore che gli faceva da spalla nei primi anni del teatro di rivista, prese un’impuntatura proprio per una questione di camerini. Totò per un po’ ascoltò le sue pretese, gli offrì il suo, poi lo interruppe dicendogli: “Voi non siete il secondo, ma il primo attore”. “Per carità Principe” – rispose turbato il Passarelli – “il primo attore siete voi!”, ma la risposta che ottenne gli spense ogni altra velleità: “Io non sono il primo attore, io sono Totò. E’ un’altra cosa”, ribatté il Principe.
Le foto segnaletiche di Peluffo. Gli album pieghevoli contenenti le varie "foto segnaletiche" di Antonio Peluffo, visibili nel film "Totòtruffa '62", pubblicate poi integralmente nel libro "Totò" di Vincenzo Mollica, sono oggi conservate da Federico Clemente all'interno del baule di scena di Totò.
Un povero cieco. Antonio e Franca, negli anni 60, amavano villeggiare in Svizzera, precisamente a Lugano. I ricordi di Franca Faldini: «Oggi, ogni volta che passo di fronte alla Farmacia Internazionale in piazza Riforma (a Lugano, n.d.r.), mi riviene immancabilmente in mente Antonio in un giorno poco lieto. Scendeva di macchina, gli dissi che un gruppo di italiani lo avevano riconosciuto, lo osservavano sorridendo e, anzi, ora si avvicinavano. Orgoglioso, ribattè subito che non voleva essere aiutato, sarebbe andato solo ad acquistare quanto gli occorreva. E si avviò, disinvolto quasi come se ci vedesse. Ma non ci vedeva e, inciampando su uno scalino del marciapiede cadde. Un incidente da nulla. Si rialzò subito, tornò in macchina e ordinò di mettere in moto. "Che vergogna!" mormorò. "Adesso avranno ragione di dire che sono un povero cieco. E io non voglio ridurmi un essere che suscita pietà!". Guardandolo di sguincio, notai che i suoi occhi erano colmi di lacrime. Quella fu una delle rare volte in cui lo vidi piangere»
La caldarrostaia del Lungotevere. Roma, inverno tra il 1921 e 1922. Cacciato in malo modo dal teatrino di Umberto Capece per aver "preteso" due soldi al giorno per attraversare la città in tram anziché a piedi, tornò a casa e si incamminò nel freddo pungente sul Lungotevere dei Mellini dove, assorto nei più cupi pensieri, incontrò la vecchia delle caldarroste. Si avvicinò fingendo di acquistarne qualcuna ma con l'intenzione di scaldarsi solo un po' le mani infreddolite. «Voi siete l'attore che fa la macchietta di Don Ciccillo, non è vero? Sono venuta a vedervi e mi avete fatto tanto ridere con quelle mosse a burattino e con quel buffo cappello», disse la vecchia. «Da stasera non lavoro più lì, mi è scaduto il contratto», rispose Totò. La vecchia, commossa, gli porse una manciata di caldarroste bollenti che Totò accettò volentieri dicendo, in cuor suo, che un giorno sarebbe tornato a ripagarle. Questo episodio, che è lo stesso Totò a raccontare, fa capire in quale baratro stava precipitando l'artista in quel rigido inverno, squattrinato, deluso e angosciato. Verso la metà degli anni '30 del 1900 Totò, ormai famoso in tutta Italia e ricco, tornò a trovare la caldarrostaia in segno di riconoscenza per sdebitarsi e per ricompensarla adeguatamente. La donna, divenuta ormai molto vecchia, non riuscì a riconoscerlo e non si ricordò di aver scaldato il cuore di quel giovane disperato, quella triste sera d'inverno fredda e piovosa.
La Cadillac sul set. Nella scena della foto, tratta dal film "Totòtruffa 62", sullo sfondo, è visibile parcheggiata la Cadillac nera di proprietà di Antonio de Curtis, presente sul set durante le riprese. Totò era solito raggiungere il set in auto, accompagnato dall'autista Carlo Cafiero e le sue auto talvolta comparivano in alcune sequenze dei film da lui realizzati. Qui un video con alcune scene più significative.
Entra Totò, la vera attrazione. Totò fu un direttore di compagnia un po’ moscio, che delegava i testi e anche le prove, fidando unicamente nella propria capacità di tenere in pugno la platea, senza mostrare grande interesse per tutto il resto. Quando però entrava in scena l'attenzione si spostava su di lui. Era una vera indemoniata marionetta, Totò, e talvolta anche noi, suoi compagni di lavoro, ci sorprendevamo incantati ad ammirarlo. Il grosso pubblico rideva, pur senza capire; ma gli intellettuali più aperti, che già incominciavano a venire ad assistere ai nostri spettacoli, rimanevano anche pensosi.
Wanda Osiris
La gelosia. All'inizio della storia con Totò la Faldini recitò in suoi alcuni film, per poi abbandonare il cinema di sua spontanea volontà. Totò non le impose mai sacrifici perché, avendo piena fiducia in lei, non era geloso, o, almeno, aveva ridimensionato la possessività di un tempo. Però ogni tanto ritrovava la grinta giovanile e si levava il gusto di mettere a posto con una battuta caustica qualche ammiratore troppo invadente. Come quando, durante un viaggio, notando nel vagone lo sguardo troppo insistente di un passeggero affascinato da Franca, lo gelò con una domanda: “Scusi lei fa il fotografo?”. E alla risposta negativa, replicò: “Dall’insistenza con cui studiava la signora ne avevo dedotto che volesse farle il ritratto, altrimenti solo un vero cafone potrebbe avere un tale atteggiamento”.
Il 4 aprile 1946 Totò è a Parma in occasione dell'incontro di calcio tra giornalisti e artisti. Questa la cronaca della giornata.
Calcio: Giornalisti - Artisti 5:3
L'incontro tra i Giornalisti e gli Artisti è terminato sul risaltato di 5 a 3, poi è avvenuta un’invasione di campo da parte di alcune attrici entrate in soccorso dei loro colleghi e la cosa è finita con una mischia generale durante la quale i giornalisti perdevamo ogni restante velleità di l'combattimento. Assisteva al nuovo tipo di calcio rugbystico numeroso pubblico, il calcio d'inizio è stato dato da Totò cui hanno reso gli onori di casa Cilien, in tenuta da centauro e tutti i giocatori in campo. Ha rallegrato gli spettatori al suono di marce... funebri una banda non meglio identificata.
«Gazzetta di Parma», 25 maggio 1947
Riferimenti e bibliografie:
- "Totò, femmene e malafemmene", Liliana de Curtis e Matilde Amorosi, RCS Libri, Milano, 2003