Totò e il cinema
Totò è il teatro. Il cinema, nel migliore dei casi, lo ha dimezzato. Nel peggiore, che era poi la norma, lo ha puramente e semplicemente tradito.
Mario Castellani
🎬 Totò e il Cinema: Una Storia di Amore e Resistenza Cinematografica 💔
Ah, Totò… che personaggio unico, che legame indissolubile con il teatro, e che, in un angolo nascosto del suo cuore, abbia sempre sentito il cinema come un tradimento. Non uno dei tradimenti divertenti che il comico napoletano era solito scherzare nei suoi sketch, ma un tradimento serio, profondo, che lo ha segnato per tutta la sua carriera. Per capire l'arte recitativa di Totò nel cinema, bisogna fare una premessa fondamentale: a lui il cinema non piaceva. E non parliamo solo di una semplice preferenza per il palcoscenico, ma di un amore viscerale per il teatro, il suo habitat naturale, la sua arena sacra. Se il cinema era freddo, meccanico e ripetitivo, il teatro era il regno della vitalità, dell’immediatezza, e, ammettiamolo, dell'odore di polvere che solo un palco può offrire. Totò non voleva rinunciare a quella magia.
Un Incontro Casual con il Cinema: Il "No" (e il "Sì") di Totò 🎭🎥
Il suo incontro con il cinema non fu il frutto di un'ambizione, ma una serie di eventi casuali e quasi forzati. Nel 1937, in mezzo a una serie di tentativi infruttuosi e quasi rocamboleschi, Totò si vide costretto a fare il grande salto dal teatro al cinema. Ma tutto iniziò molto tempo prima, già nel 1930, quando il grande produttore Stefano Pittaluga lo chiamò per un provino. Totò, libero come un cavallo selvaggio, si presentò senza copione e si esibì in un’imitazione di una gallina con tanto di sillogismo filosofico: «Con la meningite o si muore o si rimane stupidi. Io non so’ morto». Un debutto cinematografico che possiamo definire "memorabile", non tanto per la sua riuscita, ma per la sua improbabilità. Questo fu solo il primo di una lunga serie di tentativi falliti. Pittaluga gli aveva dato carta bianca, ma il risultato non fu esattamente quello che ci si aspettava da una star teatrale.
Nel 1931, il secondo tentativo, questa volta per un film dal titolo Il ladro disgraziato, naufragò anch'esso. Nonostante Totò fosse amato nei teatri italiani, i produttori continuavano a non vederlo come l'eroe cinematografico di cui il grande schermo aveva bisogno. Poi, nel 1934, arrivò l’ennesima proposta da parte del regista Mario Camerini per il film Darò un milione. Totò fu chiamato a interpretare un mendicante ingenuo che salva un magnate dal suicidio. Ma, ahimè, il regista lo trovò troppo surreale e "astratto" per un ruolo tanto concreto. Nessuno sembrava capire che Totò non era fatto per essere ridotto a un personaggio di supporto in una storia di realistico eroismo.
Nel 1936, la sua "resistenza" fu messa ancora più alla prova quando il regista Carlo Ludovico Bragaglia lo scelse per interpretare un personaggio sciocco e credulone tratto dal Decamerone. Totò, però, non ci stava: rifiutò di interpretare il ruolo, temendo che lo avrebbe riportato ai suoi inizi, troppo lontano dalla sua vera essenza teatrale, quella irriverente e dinamica. Si rifiutò, convinto che la sua identità fosse legata a un altro tipo di teatro, ben lontano dalle "macchiette" o dalle "comiche di basso livello". Ma, ahimè, il destino lo stava preparando per qualcosa di ben diverso.
La Resistenza di Totò: "Io Non Voglio Essere Charlot!" 🎩💥
Totò, con il suo temperamento di uomo di teatro, sembrava destinato a rimanere un eroe del palcoscenico. La sua filosofia? "Il cinema è per i traditori, io sono un attore teatrale". La sua ritrosia si alimentava anche di sentenze più autoritarie, come quella di Alessandro Blasetti, che sosteneva che gli attori teatrali, quanto più grandi sul palco, tanto più pallidi e insignificanti sarebbero stati sullo schermo. Un'affermazione che sembrava confermare ogni paura di Totò. Eppure, nonostante questa diffidenza, il cinema stava bussando sempre più insistentemente alla sua porta. Ogni nuovo film lo vedeva come protagonista, ma il teatro, il suo amore eterno, non lo lasciava mai completamente.
Tuttavia, fu proprio questo cinema che, alla fine, lo costrinse a capitolare. Non era una semplice "tentazione", ma una vera e propria invasione della sua vita. La fine degli anni Quaranta segnò l'inizio della sua totale immersione nel mondo della celluloide. I film di Totò cominciavano a dominare le classifiche d'incasso, e il teatro di rivista, quel teatro che lo aveva consacrato, stava per entrare in crisi. I produttori lo inseguivano come un oggetto da collezione, uno di quei pezzi rari che non potevano perdere. Tra le pressioni economiche e le continue proposte cinematografiche, il vecchio Totò cedeva, ma mai completamente: restava sempre quel "totò" teatrale che recitava anche davanti alla macchina da presa, senza mai svendere totalmente la sua essenza.
Totò e il Cinema: Un Personaggio Fisso o una Maschera Immortale? 🤡🎭
Nel frattempo, il cinema lo ingessava in una routine ripetitiva. Ormai era il "Totò" che doveva essere messo in ogni titolo, dalla Totò al giro d'Italia a Totò nella fossa dei leoni. La macchina cinematografica, alla ricerca di successi facili, lo incasellava come "Totò", il personaggio iconico con bombetta e fiacchino. Un trucco efficace per attrarre il pubblico, ma che riduceva la sua arte a un cliché, a un'etichetta da vendere sul grande schermo. Dall'altro lato, Totò si trovava ormai prigioniero di un personaggio che lui stesso aveva creato per il teatro, un "totò" che non smetteva mai di esserlo, persino quando i contesti cambiavano.
Questa insistenza nel rimanere sempre "Totò", in ogni film e in ogni contesto, stava a significare una sorta di gabbia, una gabbia dorata che il cinema gli aveva cucito addosso. I suoi film divenivano, dunque, un riflesso del suo passato teatrale, con le gag e gli sketch che, ormai, sembravano un ineluttabile destino cinematografico.
La Fine di un Mito: Totò come Prodotto Commerciale 🛍️🎥
Arriviamo agli anni Sessanta. Totò, ormai simbolo di un'epoca d'oro, diventa ciò che non aveva mai voluto essere: un "prodotto di consumo". I suoi film cominciano a perdere smalto, trasformandosi in una ripetizione di modelli già visti, un susseguirsi di gag e battute che i registi continuano a proporgli, consapevoli che il pubblico li avrebbe comunque amati. Totò è ormai il simbolo della comicità nazionalpopolare, un'immagine da vendere, da esibire in ogni angolo del mercato cinematografico.
In questo contesto, Pasolini, sempre un passo avanti, capisce che Totò è diventato la Marilyn Monroe del nostro paese: una maschera che la cultura di massa ha consumato fino all'osso, ma che, in qualche modo, si rifiuta di scomparire. Totò non è più un attore, è diventato un'icona, un simbolo, un mito che però rischia di scomparire dietro le sue stesse ombre.
Conclusioni: Totò, L'Indimenticabile Comico Napoletano 🎭🌟
E così, tra alti e bassi, battute, gag e risate, Totò rimane un mistero. Una maschera che non può essere abbattuta, ma che nemmeno può sfuggire all'ingranaggio del sistema cinematografico. Il Totò teatrale sopravvive al Totò cinematografico, e, forse, è proprio questo il vero miracolo della sua arte. Un uomo che, pur capitolando al cinema, non ha mai smesso di essere il genio della risata, il re del palcoscenico.
1937-1949
Fermo con le mani! (1937)
Animali pazzi (1939)
San Giovanni decollato (1940)
L'allegro fantasma (1941)
Due cuori fra le belve - Totò nella fossa dei leoni (1943)
Il ratto delle Sabine - Il Professor Trombone (1945)
I due orfanelli (1947)
Fifa e arena (1948)
Totò al Giro d'Italia (1948)
I pompieri di Viggiù (1949)
L'imperatore di Capri (1949)
Totò cerca casa (1949)
Totò le Mokò (1949)
Yvonne la nuit (1949)
1960-1967
Chi si ferma è perduto (1960)
Letto a tre piazze (1960)
Noi duri (1960)
Risate di gioia (1960)
I due marescialli (1961)
Signori si nasce (1960)
Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960)
Sua Eccellenza si fermò a mangiare (1961)
Totò, Peppino e... la dolce vita (1961)
Tototruffa '62 (1961)
I due colonnelli (1962)
Il giorno più corto (1963)
Lo smemorato di Collegno (1962)
Totò contro Maciste (1962)
Totò di notte n.1 (1962)
Totò Diabolicus (1962)
Totò e Peppino divisi a Berlino (1962)
Gli onorevoli (1963)
Il monaco di Monza (1963)
Le motorizzate - Il vigile ignoto (1963)
Totò contro i quattro (1963)
Totò e Cleopatra (1963)
Totò sexy (1963)
Che fine ha fatto Totò baby? (1964)
Il comandante (1963)
Le belle famiglie (1964)
Totò contro il pirata nero (1964)
Totò d'Arabia (1965)
Gli amanti latini (1965)
La Mandragola (1965)
Rita, la figlia americana (1965)
Operazione San Gennaro (1966)
Uccellacci e uccellini (1966)
Le streghe (1967)
Capriccio all'italiana (1968)
1950-1959
47 morto che parla (1950)
Figaro qua, figaro là (1950)
Le sei mogli di Barbablù (1950)
Napoli milionaria (1950)
Totò cerca moglie (1950)
Totò sceicco (1950)
Totò Tarzan (1950)
Guardie e ladri (1951)
Sette ore di guai (1951)
Totò terzo uomo (1951)
Totò a colori (1952)
Totò e le donne (1952)
Totò e i Re di Roma (1952)
Il più comico spettacolo del mondo (1953)
L'uomo, la bestia e la virtù (1953)
Dov'è la libertà? (1954)
Totò e Carolina (1955)
Un turco napoletano (1953)
Una di quelle (1953)
I tre ladri (1954)
Il medico dei pazzi (1954)
L'oro di Napoli (1954)
Miseria e nobiltà (1954)
Questa è la vita - La patente (1954)
Tempi nostri - La macchina fotografica (1954)
Totò cerca pace (1954)
Destinazione Piovarolo (1955)
Il coraggio (1955)
Racconti romani (1955)
Siamo uomini o caporali (1955)
Totò all'inferno (1955)
La banda degli onesti (1956)
Totò lascia o raddoppia? (1956)
Totò, Peppino e i fuorilegge (1956)
Totò, Peppino e... la malafemmina (1956)
Totò, Vittorio e la dottoressa (1957)
Gambe d'oro (1958)
I soliti ignoti (1958)
La legge è legge (1958)
Totò a Parigi (1958)
Totò e Marcellino (1958)
Totò nella luna (1958)
Totò, Peppino e le fanatiche (1958)
Arrangiatevi! (1959)
I ladri (1959)
I tartassati (1959)
La cambiale (1959)
Totò, Eva e il pennello proibito (1959)
🎥 Il cinema: pensieri, citazioni e riflessioni di Totò
Fermo con le mani, il mio primo film, è del 1937. Poi dal 1950 ho fatto soltanto cinematografo. Però ci sono dei motivi. Allora il teatro cominciava un po’ a zoppicare, e poi viaggi e debutti che mi stancavano, mentre invece il cinematografo era più comodo, andavo a lavorare come un impiegato la mattina, la sera ritornavo a casa e mi piaceva; e anche l'aspetto finanziario era più favorevole. Dei miei film ne salvo una decina al massimo, il resto è tutto da buttar via. Io sono attaccato a Guardie e ladri, a Yvonne la Nuit, Napoli milionaria, L'oro di Napoli con lo sketch del pazzariello, questi sono dei bei film. E in Totò cerca moglie c’era uno sketch che mi riuscì molto bene. Poi Siamo uomini o caporali?, Totò, Peppino e la malafemmina... E più tardi La mandragola e Uccellacci e uccellini.
Embè, e vabbè, quando c'è la salute ... C'agg' a fa' mo'? [il primo provino di Totò]
Il mio incontro con il cinema avvenne in un ristorante. Due signori e una signora mi guardavano ridendo da un altro tavolo. Stavo per alzarmi e litigare quando seppi che uno di quei signori era Gustavo Lombardo.
Gli inizi miei del cinema a differenza di quelli del teatro furono leggermente scabrosi. Fui chiamato alla Cines di Pittaluga ed esegui il regolare «provino». Soltanto, un regista ebbe la brillante idea di dirmi che sarebbe stato bene che, con la faccia che Iddio mi aveva data, facessi tutto il possibile per imitare... Buster Keaton. Presi cappello in senso proprio ed in senso figurato, dichiarando che mi sentivo soltanto di fare... il Totò. Così ripresi il mio fardello di Pellegrino e tornai al mio varietà, formando la compagnia di riviste che agisce ormai da cinque anni.
Non mi faccio capace che la gente, per vedere un mio film, esca di casa, lasci le comode poltrone, calzi un paio di scarpe, magari pure strette, e paghi il biglietto. Ci penso spesso e mi commuovo. Umilmente ringrazio il mio pubblico, con la promessa che cercherò di fare sempre meglio.
La sceneggiatura: voi mettete solo frizzi e lazzi. Al resto penso io.
Se fossi regista vorrei far imparare le parti a memoria, come si usa in teatro. E pretenderei che il film fosse recitato come una commedia. Anticiperei il lavoro tutto nella fase delle prove. Quando lo spettacolo fosse stato messo a punto in ogni dettaglio, comincerei a girare. Sul canovaccio io ricamo, improvvisandole giorno per giorno, le mie battute. Sul palcoscenico questo è reso più facile dalla presenza stimolante del pubblico e dopo un certo rodaggio si impara quale è l'intonazione che ha maggior effetto, quale dev'essere la durata di una pausa. In cinema tutto avviene a freddo, non c'è la possibilità di verificare la validità di una frase. Con il mio sistema, il giorno che mi decidessi a fare il regista, l'attore, prova e riprova, riuscirebbe a mettere a fuoco la comicità improvvisata.
Faccio tanti film in cui sono costretto a inventarmi tutto; il mattino arrivo sul set e trovo che non c'è niente, debbo creare i lazzi, le battute, tutto da zero.
Molti miei film vengono proiettati nell' America del Sud, in Portogallo, in Egitto, in Svizzera e ora, anche in Francia. L'America del Nord, purtroppo, costituisce un circuito chiuso. Un po' di pazienza: chi va piano, va sano e va lontano.
La macchina da presa nei miei primi film io l'ignoravo. Recitavo come se fossi stato in scena. Certo, lo so, ero meno cinematografico di oggi, ero più teatrale. Ma non mi emozionavo durante le riprese. Mi impressiona il microfono: mi mette a disagio, mi viene la pelle d'oca, insomma mi fa paura.
Nel cinema la cosa scocciante sono i riflettori. Perché i riflettori, vedete, i riflettori incocciano, e io, io ho i capelli neri e lucidi e allora è un disastro. Poi l'attesa è snervante: quando si fa del cinema sembra che l'attesa - e il bello è che non si sa che cosa si attenda - rappresenti la parte più importante e necessaria del lavoro.
Io sono entusiasta del cinematografo, purtroppo non cosÌ dei miei film. Allora, secondo me, dei ritocchi andrebbero fatti all' organizzazione per guadagnare temmpo e col tempo tante altre belle cose. Vedete, in fondo, il mio grande amore è ancora il teatro. Mi dovete credere, le più grandi soddisfazioni è stato il teatro a darmele e sapete perché? Perché il teatro è molto ma molto più difficile del cinematografo e quassù, su queste tavole, giochetti e finzioni non se ne possono fare.
Sono commosso, veramente sono lusingato e, come si dice a Napoli, questo premio che mi viene tra 'o capo e 'o cuollo cioè fra la testa e il collo, mi ha un po' commosso Sono veramente riconoscente alla critica cinematografica che me lo ha assegnato e a tutta la gente che è intervenuta. [Dopo aver ricevuto il «Nastro d'argento» per il migliore attore in Guardie e ladri]
Dei miei quarantadue film, sono rimasto soddisfatto di pochissimi. Giustamente la critica è stata spesso dura con me; se per l'avvenire sbaglierò, reciterò il mea culpa... ma spero proprio che questo non accada. Ho «chiuso» molto bene con la rivista e intendo fare altrettanto con il cinematografo. Non voglio più fare film «vietati ai minori di sedici anni», çome non voglio più interpretare soggetti scadenti e di pessima lega ... Quando ho potuto, mi sono rifiutato di lavorare in film non di mio gusto. In questi ultimi tempi ho rifiutato diversi contratti: mi sono state fatte offerte per film come Totò e la balia, Totò-calcio, Pane, burro e marmellata... Ma, lo ripeto, non ho più nessuna intenzione di continuare la mia carriera cinematografica interpretando lavori dove non mi è offerta la minima possibilità artistica. Cercherò di profondere tutte le mie energie nella nuova produzione con la speranza di finire il mio capitolo cinematografico in bellezza.
Ottantaquattresimo film... purtroppo. Perché sono pochi ottantaquattro film. lo voglio arrivare per lo meno a duecento, duecentocinquanta... adesso vediamo.
Avrei potuto fare qualcosa di molto meglio di quello che ho fatto e invece, vede, ho fallito per aver fatto film troppo dozzinali, mentre credo di avere una vis comica non dico unica, ma rara. lo con la faccia posso esprimere tutto, invece ho trascurato questo e mi sono buttato a fare dei filmetti dozzinali che non mi hanno permesso di poter diventare internazionale. E ho fatto male. Un po' per pigrizia, un po' per i produttori italiani, i quali vogliono andare a colpo sicuro, perché quando il film incassava poco, cinquecento milioni, loro guadagnavano sempre perché rientravano bene nei costi. Quindi siccome i miei film andavano, loro giocavano sul sicuro. Poi un'altra cosa: noi non abbiamo i mezzi che hanno gli americani, i quali fanno i film comici con i mezzi meccanici. Noi no, il nostro cinema comico, siccome è povero, è basato sulle battute, sulle parole, sulle situazioni che non possono aver successo all' estero perché nella traduzione i significato si perde. E siccome il film deve durare un'ora e mezza, e si deve chiacchierare sempre, a un certo momento non si sa più cosa fare. Viceversa mi ricordo i simpaticissimi Stanlio e GIlio, che andavano a finire con i piedi nella pece, l'aeroplano cadeva quando uno era sopra e l'altro sotto, il somaro suonava il pianoforte, insomma tutte queste cose che in Italia non si fanno, perché da noi è tutto parole, parole, parole, con sceneggiatori da tre soldi i quali credono che sia sufficiente buttar giù delle pagine.
I produttori pare che abbiano trovato la formula per far quattrini: mettiamo Totò e tutto andrà bene. Per chi fa l'attore comico in Italia si cerca di sfruttare la situazione del momento, perché questo è il carattere della nostra comicità, il lazzo gratuito, lo spirito da fare sugli altri, su una situazione criticabile... Proprio perché la nostra comicità è di «attualità», giro film legati al tempo con un filo sottilissimo: basta poi la forza di qualche anno che passa e questo filo si spezza, e il fatto vissuto comicamente perde la sua carica di divertimento.
Sono vittima di una situazione poco simpatica. Produttori senza scrupoli, soggetti decadenti, sceneggiatori improvvisati hanno creato il Totò dalla risposta facile. Quando ho voluto lamentarmene, c'è sempre stata una levata di scudi contro di me. Senta, lasciamo perdere, perché voglio restare amico con tutti ... Ma come si può dire che non avevo la buona volontà di fare dei buoni film? Ero il produttore, il regista? Quando Age e Scarpelli hanno scritto Guardie e ladri sono stato ben contento di interpretarlo. La critica dapprima non fu favorevole neanche a quello, e poi dovette cambiare parere.
Adesso il pubblico è molto più facile. Una volta si sudava sangue sui palcoscenici per strappare un applauso. Oggi mi sembra invece che ci siamo abituati a una certa mediocrità. Quel che è successo in fin dei conti anche in altri campi dello spettacolo. A molti cantanti attuali vent'anni fa non gli avrebbero neppure lasciato aprire la bocca, li avrebbero arrestati. Questa facilità, questa mediocrità non sono colpa del pubblico. Siamo noi che l'abbiamo provocata. Prendiamo il mio caso. È stato il successo troppo facile a rovinarmi. Sono stati i produttori che hanno incassato un sacco di soldi con i miei film. Non ho mai avuto grandi attrici al mio fianco o buoni soggetti, per anni. Facevano delle porcherie e guadagnavano milioni, quindi non hanno mai pensato a fare meglio. Mi hanno detto che potevo diventare uno Charlot italiano. Li ringrazio, ma di Charlot ce n'è uno solo. È vero però che io sono un mimo nato, lavoro con la faccia senza trucco. Avrei potuto andare per il mondo con la mia faccia, far ridere tanta gente, com'è accaduto con L'oro di Napoli di De Sica o con Napoli milionaria di Eduardo. Mi hanno ridotto invece al ruolo di attore regionale: copioni creati soltanto per l'Italia, film che non costavano una lira. Sono stato male amministrato, il mio patrimonio di attore mi sembra che sia stato sciupato. Questo è il mio rimpianto.
Giravo quei film pensando che il mio successo sarebbe durato poco: un anno, due, tre. Se nonché la cosa è andata avanti parecchio, nonostante tutto, e io sono rimasto così, con il desiderio di aver voluto fare qualcosa di più impegnativo sul piano artistico.
Spesso mi sono sentito dire che dovrei fare l'attore drammatico, ma io non sono d'accordo. Rappresento la vita, che è un mistero di comicità e tragedia, e quindi non capisco perché dovrei convertirmi da un genere all'altro. La vita non si sceglie, si accetta.
Non mi sono provato mai a fare il regista, e non mi proverei mai. Fare il regista è tutta un'altra cosa. Si può essere un grande regista e un modesto attore. Abbiamo tanti esempi, il più grandioso è quello di Tulli che come attore era un cane, ma era un grande metteur en scène. Non ci ho mai pensato. E poi c'era un altro motivo: io sono un pigro, sono un uomo pigro, e invece il regista deve alzarsi la mattina presto prima degli altri, poi gli altri vanno a casa a divertirsi o a riposarsi e invece lui deve studiarsi il copione, le inquadrature ... Però per il cinema ho scritto qualche sketch, qualche cosa ... Ho scritto qualche film, ma non porta il mio nome, perché l'ho sempre ritenuto controproducente. E poi molto spesso il nostro pubblico è cattivo, crede che uno voglia darsi delle arie ... Tutti i co .. miei scrivono qualche cosa da sé e sono i migliori autori. Anch'io ho fatto qualcosa, senza che il mio nome figuri, ad esempio Totò Peppino e la ... malafemmina, Siamo uomini o caporali? e altri ancora...
Recitare, lavorare è la mia vita. E quando recito sono paziente: appena terminata una scena corro dal regista per sapere se sono stato bravo. Lo so che non ho fatto dei bei film; alcuni sono addirittura bruttissimi. Ma sono un attore, uno strumento in mano a un regista.
La colpa, soprattutto, è mia. Perché io sono stato un indolente... A me mi davano il copione, io non lo leggevo nemmeno, andavo a lavorare così... e quindi sono stato sfruttato un po' commercialmente, ma, ripeto, la colpa è mia.
Alcuni produttori poi sfruttavano il filone di successo. Per esempio, dopo "Divorzio all'italiana", c'è stato "Matrimonio all'italiana", "Ménage all' italiana", "La zia all' italiana", "Il battesimo all'italiana" e tante altre cose. Poi è venuto 007,008,009,010, doppio zero. Quell'altro film, "Un pugno di dollari", "Un dollaro falso", "Due dollari e mezzo", "Tre dollari e 75 centesimi", fino a stancare il pubblico e, magari, rovinare il povero attore, meschino... Non vado mai al cinema: primo perché lo faccio, e secondo perché ci vedo ormai così poco che, per distinguere le immagini sullo schermo, dovrei mettere una sedia proprio sotto al telone.
Chiudo in fallimento, caro amico. Avrei potuto diventare un attore internazionale... Credo di avere una vis comica naturale... Ma non ho fatto niente... Sono un uomo sconfitto...
Sono ormai all'età in cui si tirano le somme e non ho fatto nulla. Sarei potuto diventare un grande attore e invece su cento e più film che ho girato, ve ne sono di degni non più di cinque. Ma anche se fossi diventato un grande attore, cosa sarebbe cambiato? Noi attori siamo solo venditori di chiacchiere. Un falegname vale certo più di noi: almeno il tavolino che fabbrica resta nel tempo, dopo di lui.
Riferimenti e bibliografie:
- "La tragedia del comico", Giovanni Guerrieri e Tiziana Paladini, Luca Torre editore, Napoli, 2003
- "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
- "Tutto Totò" (Ruggero Guarini) - Gremese, 1991
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1930-1945: l'estro funambolo e l'ameno spettro" (Alberto Anile), Le Mani-Microart'S, 1997
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Che cosa ne dice lo psicologo - AMIAMO IN LUI L’UOMO TUTTO LIBERO - Pier Angelo Morlotti, 1971
- "Siamo uomini e caporali - Psicologia della disobbedienza" (Salvatore Cianciabella), Franco Angeli, 2014
- "Totò, l'uomo e la maschera" (Franca Faldini - Goffredo Fofi) - Feltrinelli, 1977
- "Totò si nasce e io, modestamente, lo nacqui" (Marco Giusti) - Mondadori, 2000