La Mandragola

Le persone più caritatevoli sono le donne ma sono anche le più fastidiose, per cui chi le scaccia, scaccia il fastidio, è vero, ma anche l'utile. Non c'è miele senza mosche, caro Ligurio...

Fra' Timoteo

Inizio riprese: giugno 1965, Teatri di Posta Istituto Luce, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 5 novembre 1965 - Incasso lire 624.572.000 - Spettatori 2.368.495


Titolo originale La mandragola
Paese Italia, Francia - Anno 1965 - Durata 97 min - B/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Alberto Lattuada - Soggetto Niccolò Machiavelli - Sceneggiatura Alberto Lattuada, Luigi Magni, Stefano Strucchi - Produttore Alfredo Bini - Fotografia Tonino Delli Colli - Montaggio Nino Baragli - Musiche Gino Marinuzzi Jr. - Scenografia Carlo Egidi, Umberto Turco - Costumi Danilo Donati


Philippe Leroy: Callimaco - Rosanna Schiaffino: Lucrezia - Romolo Valli: messer Nicia - Totò: Fra' Timoteo - Jean-Claude Brialy: Ligurio - Nilla Pizzi: Sostrata - Armando Bandini: Siro - Jacques Herlin: il predicatore


Soggetto

La trama è esattamente la stessa della commedia teatrale, sebbene vi siano state aggiunte delle scene o le stesse siano state rese in maniera differente rispetto al corpus originario.

Nel corso di un lungo soggiorno a Parigi, il giovane Callimaco viene a sapere dall'amico Cammillo Calfucci della bellezza di Lucrezia, sposata da quattro anni con il ricco quanto sciocco notaio Nicia Calfucci, da cui non riesce ad avere figli. Tornato a Firenze, egli vede per la prima volta e si innamora della donna, che tenta di incontrare e sedurre ma senza successo. Ad aiutarlo nell'impresa, oltre al suo servo Siro, è il parassita Ligurio, che ha una grossa influenza su Nicia; Ligurio consiglia Callimaco di fingersi dottore e di convincere il notaio di far bere alla moglie un infuso di mandragola, in grado di curare la sua presunta sterilità (è infatti Nicia ad essere impotente). Questa magica cura ha però una controindicazione: chi avrà il primo rapporto sessuale con la donna verrà infettato dal veleno della mandragola e morirà entro otto giorni. Per ovviare al problema e al contempo proteggere l'onore di Nicia, basterà farla incontrare di nascosto con il primo "garzonaccio" di strada, che assorbirà tutto il veleno mortale.
Persuaso Nicia, rimane solo di convincere Lucrezia, che non acconsentirà mai visto il suo carattere pio e devoto. Interverranno questa volta anche la madre Sostrata e il frate Timoteo, che giocando proprio sulla sua devozione cristiana - importante drammaturgicamente la citazione biblica di Lot e le figlie - la convinceranno alla "cura". Quella notte Callimaco si travestirà da mendicante e verrà portato dal marito stesso nelle braccia della moglie, che non si accontenterà di questo fugace incontro ma vorrà reiterarlo nel tempo a venire.

Critica e curiosità

Nel film Totò interpreta Fra' Timoteo. Nell'opera teatrale egli è di origini fiorentine, ma in onore alle origini di Totò, nell'occasione il frate è di origini napoletane. Girato in dieci settimane circa a Urbino (piazza Duca Federico, via San Girolamo, ecc.), a Urbania e a Viterbo, ci furono dei problemi per le riprese nel convento di Urbino tra l'arcivescovo e la produzione, vista la tematica del film. Antonio de Curtis, nelle scene girate all'interno delle antiche cripte funerarie dei frati, ha qualche difficoltà di carattere superstizioso ad accendere lumi e soffiar polvere dai teschi ma alla fine l'inquietante scena risulta tra le più belle del film. Per Lattuada il dialogo con i teschi risulta “una parentesi di follia medianica” ideale per Totò, “una specie di danza degli scheletri come se ne vedono tante nell’iconografia medievale”. La scena in fase di montaggio viene eliminata, troppo intensa e rischia di abbassare il tono di burla che caratterizza il film. Solo successivamente la scena viene reinserita, grazie al personale intervento del suo regista Lattuada.

Riferimenti storico biografici dell'opera

L'antefatto della vicenda e la discussione tra Callimaco e Cammillo sulle donne francesi ed italiane sono rappresentati all'inizio del film, mentre nell'opera teatrale sono raccontati nella scena I dell'atto I da Callimaco. Lo stesso vale per altri avvenimenti fuori scena, come il dialogo tra Sostrata e Nicia e la notte di Callimaco e Lucrezia. Il primo incontro tra Callimaco e Ligurio era antecedente all'inizio della vicenda nell'opera teatrale, mentre nel film avviene quasi a metà dell'opera.
Dopo un'ora di bagno nel pepe indiano, Lucrezia esce esasperata dalla tinozza e dice scherzosamente al marito di rimanere dentro al suo posto, aggiungendo ironicamente che magari sarà lui a divenir pregno. Poco dopo Ligurio stesso conferma altrettanto ironicamente la validità dell'asserzione della donna, mettendolo in parallelo con lo sciocco Calandrino della terza novella della nona giornata del Decameron. Questo riferimento al capolavoro di Boccaccio è totalmente assente nell'opera originaria
Nel film vi è un riferimento all'altra commedia di Machiavelli, la Clizia, che un banditore di piazza pubblicizza il giorno stesso dell'arrivo di Callimaco a Firenze. Questo riferimento è però erroneo, in quanto la Clizia è stata messa in scena per la prima volta nel 1525, precisamente venticinque anni dopo l'inizio della vicenda
Fra' Timoteo non è di origini fiorentine come voleva l'opera teatrale, ma napoletana, in onore alle origini di Totò
Le scene all'interno del convento sono state girate clandestinamente e molto velocemente, in quanto l'arcivescovo di Urbino, appena saputo delle riprese del film, ha intimato alla produzione di stare alla larga dal convento e limitato il loro campo di azione alla città ed alla campagna.


Così la stampa dell'epoca

L'uomo della rivalutazione di Totò si chiama Alfredo Bini; un produttore appassionato, colto, disposto a rischiare e a sperimentare. È lui che produce La mandragola e Uccellacci e uccellini, i due film che riporteranno su Totò lo sguardo annoiato degli intellettuali. Bini aveva conosciuto Antonio de Curtis all'epoca di La legge è legge (1957), interpretato con Fernandel. «Nel '65» ricostruisce oggi l'ex produttore, «Pasolini e io proponemmo alla Rai di fare una collana di teatro con sessanta titoli, tutto il teatro mediterraneo da Eschilo e Sofocle, fino a Verga e Pirandello, D'Annunzio compreso.

Alberto Anile


Una rilettura piuttosto banale della commedia di Machiavelli.

Paolo Mereghetti, 1965


Con un occhio alla moda boccaccesca, quella del film in costume un po' sporcaccione, degli anni '60 e l'altro (quadrato) alla razionalità di Machiavelli, Alberto Lattuada ha fatto un lavoro di discreta eleganza e di raffinato erotismo. Spiccano tra i personaggi il Nicia di Romolo Valli cui il regista e i suoi sceneggiatori prestano un'ambigua consapevolezza, inesistente nel testo originale, e un inedito Totò come Fra Timoteo.

M. Morandini


Ma l'invenzione più gradita è quella di Fra' Timoteo, complice indispensabile dell'intrigo, interpretato da Totò. Stralunato e scaltrissimo, pronto a tutto, ma sempre nell'ombra almeno d'un versetto della Bibbia, Timoteo-Totò è un personaggio di estrosa vis-comica, che impegna le risorse più genuine di questo grande attore.

Alberico Sala, 1965


Così, è stata un'ottima idea quella di affidare il personaggio del frate mal vissuto a Totò, la cui esuberanza macchiettistica viene qui perfettamente bilanciata dal fatto che l'attore più fantasioso deve rispettare il testo del proprio personaggio più fedelmente degli altri.

Ugo Casiraghi, «L'Unità», 1965


Il film comincerà a giugno

Lattuada porta sullo schermo la «Mandragola» di Machiavelli

Si pensa a Totò come Fra' Timoteo. Nel cast Rosanna Schiaffino, Romolo Valli e Philip Laroy

Roma, 14 maggio.

«Il mondo fu sempre ad un modo abitato da uomini che hanno sempre avuto le medesime passioni»: convinto di questa verità, da lui scritta per la politica, ma valida anche in amore. Nicolò Machiavelli ne spinse lo spirito a sconfinare nella estrosa beffa de La mandragola. Accingendosi a portare sullo schermo la commedia. Alberto Lattuada ha approfondito luoghi e caratteri di quella «vacanza letteraria» che Nicoiò si prese da par suo. cioè disegnando con forza magistrale i personaggi della beffarda vicenda. «Cercheremo — ha detto Lattuada circa i propositi suoi e del produttore Alfredo Bini — di fame un film fantastico e realistico insieme: realistico cioè nel modo come i personaggi arrivano alla crisi. fantastico trattando il costume con estrema libertà, non facendo della pittura animata, ma rievocando la vita del tempo attraverso gli elementi che ho studiato: taluni scorci di monumenti fiorentini capaci di dare il senso della floridezza e dello splendore dell’epoca, aspetti intimi di centri minori della Toscana dove esistono ancora frammenti vivi della città rinascimentale, elementi; sorprendenti che ho ricavato da antiche stampe, come un bagno privato che sarà certamente una curiosità per il pubblico».

Da questo giro in Toscana, alla ricerca degli esterni, Lattuada è tornato dopo una rapida puntata a Milano, compiuta per un motivo sentimentale a lui caro: l’intitolazione dell’Auditorio della Scuola civica di musica al nome di suo padre. Felice, del quale egli spera di vedere riportata sulla scena, nella prossima stagione, l’opera Le preziose ridicole. Ora è attivamente al lavoro por la preparazione del film. Come già foce ne fi mulino del Po e ne La tempesta. il regista vuol dare alla Mandragola un carattere tale da porre in risalto l’universalità dei caratteri che non hanno tempo nè luogo: il credulone messer Nicia ansioso di procurarsi un erede, u quale, superando le ombre del dubbio, crede alla necessità che uno sconosciuto giaccia con sua moglie. Madonna Lucrezia, e sia vittima predestinata della pozione, portentosa ma velenosa, che renderà feconda la donna ma ucciderà l’uomo; l’impetuoso Callimaco, ardente e astuto come tutti gli innamorati; Fra Timoteo; il servo Ligurio, genio dell'inganno, il personaggio in fondo più machiavellico. Infine. Lucrezia: e attorno alla protagonista della storia molto lavorano Lattuada e gli sceneggiatori. Nella commedia. ella è il personaggio meno felice, per il brusco rovesciamento psicologico che una notte d’amore porta fra la sua timorosa onestà e lo sfacciato inganno. Nel film, invece Lattuada mostrerà la serie delle torture che nel testo sono solo citate ma non descritte) a cui Nicia sottopone la moglie, attraverso l’opera di dottoroni, per risolverne la sterilità.

Questa serie di tentativi spiegherà il finale ricorso alla Mandragola e consentirà, nello stesso tempo, a Rosanna Schiaffino di vivificare il personaggio di Lucrezia. Nel momento stesso che si lega a Callimaco, la stessa Lucrezia, diventa, a sua volta, «machiavellica». I costumi del film, che comincerà In giugno, saranno di Danilo Donati e le scenografie dì Egidi. Il «cast» vedrà accanto a Rosanna Schiaffino. Romolo Valli come Messer Nicia, Philippe Leroy come Callimaco. Giancarlo Cobelli sarà il servo Siro, mentre per Fra Timoteo, Bini e Lattuada pensano a Totò.

Intanto. Lattuada ha acquistato i diritti di riduzione cinematografica de La spartizione di Piero Chiara; ne ricaverà un film di cui sarà coproduttore in forma associativa, oltre che regista, e nel quale la moglie, Carla Del Poggio, sarà uno dei tre personaggi femminili che nel racconto ruotano attorno al protagonista, Emerenziano Paronzint.

Al. Cer., «Corriere della Sera», 15 maggio 1965


Roma, giovedi sera.

Alberto Lattuada realizzerà la trasposizione cinematografica della « Mandragola» di Niccolò Machiavelli, la cui lavorazione s'inizierà in esterni in Toscana a metà giugno. Gli interpreti principali saranno Rosanna Schiaffino, Romolo Valli, Philippe Leroy e Totò nel panni di Fra' Timoteo, mentre Giancarlo Cobelli, al suo debutto come attore cinematografico, ricoprirà il ruolo di Siro.

«Pur mantenendo un'assoluta fedeltà al testo — ha detto Alberto Lattuada — prenderò libertà per quanto riguarda la condotta narrativa, sia per non' lare del teatro nel cinema sia per dare al film più respiro e colore. La vicenda è collocata nel suo tempo e tutti gli ambienti, esterni ed interni, saranno curati minuziosamente. Nei teatri di posa, ad esempio, ricostruiremo un bagno pubblico dell'epoca ispirandoci alle stampe cinquecentesche che sono state tramandate ai giorni nostri, e con lo stesso metodo saranno .ricostruiti numerosi altri ambienti. Gli esterni saranno girati in varie località, dove sarà ricostruita una Firenze fittizia, ed in Firenze stessa, accanto al Duomo ed al Battistero».

Dopo «La Mandragola» Alberto Lattuada realizzerà una trasposizione cinematografica del romanzo di Pietro Chiara «La spartizione». «La Mandragola», sceneggiato da Magni, Strucchi e dallo stesso Lattuada, è prodotto da Alfredo Bini per l'Arco Film. Il film sarà girato in bianco e nero e fotografato da Tonino Delli Colli.

«Stampa Sera», 27-28 maggio 1965


Machiavelli sullo schermo. Il regista Lattuada dirige «La Mandragola»

Interpreti principali : Rosanna Schiaffino, Totò, Romolo Valli, Philippe Leroy

Alberto Lattuada realizzerà la trasposizione cinematografica della « Mandragola » di Niccolò Machiavelli la cui lavorazione si inizierà in esterni in Toscana a metà giugno. Gli interpreti principali saranno Rosanna Schiaffino, Romolo Valli, Philippe Leroy e Totò nei panni di frà Timoteo, mentre Giancarlo Cobelli, al suo debutto come attore cinematografico, ricoprirà il ruolo di Siro.

« Pur mantenendo un'assoluta i fedeltà al testo — ha detto Alberto Lattuada all’ANSA — prenderò libertà per quanto riguarda la condotta narrativa, sia per non fare del teatro nel cinema che per dare al film più respiro e colore, la vicenda è collocata nel suo tempo e tutti gli ambienti, esterni ed interni, saranno curati minuziosamente. Nei teatri di posa, ad esempio, ricostruiremo un bagno pubblico dell'epoca ispirandole alle stampe cinquecentesche che sono state tramandate ai giorni nostri, e con lo stesso metodo saranno ricostruiti numerosi altri ambienti. Gli esterni saranno girati in varie località, dove sarà ricostruita una Firenze fittizia ed in Firenze stessa, accanto al Duomo ed al Battistero».

Dopo la « Mandragola » Alberto Lattuada realizzerà una trasposizione cinematografica del romanzo di Pietro Chiara « La spartizione ». « Considero questo romanzo — lia detto Lattuada — uno tra i più belli che siano stati scritti negli ultimi dieci anni. Sarà particolarmente gradevole per me girare questo film perché molto probabilmente sarà interpretato da mia moglie, Carla Del Poggio. che, dopo tanti anni di assenza dallo schermo, tornerà al cinema ». La lavorazione del film, se tutto' procederà senza intralci, si inizierà in autunno. « L’anno prossimo — ha concluso il regista — mi propongo di realizzare un film dal romanzo di Conrad « L’avventuriero ». Sarà un lavoro molto impegnativo e con molta probabilità sarà necessaria per la produzione la partecipazione degli americani ».

«Il Messaggero», 28 maggio 1965


Alberto Lattuada  inizia le riprese della «Mandragola»

Alberto Lattuada torna a girare. Per circa due anni il regista era rimasto lontano dalla macchina da presa. Non che gli fossero mancate offerte e proposte, al contrario: ma i progetti erano naufragati proprio quando erano sul punto di essere realizzati. Cosi era avvenuto per il film con Soraya, cosi per Casino Royale. Il film dal romanzo di Fleming, per il quale aveva avuto a Londra interminabili discussioni con Feldman, avrebbe avuto un inizio spettacoloso: un uomo che scende dolcemente volando daH'ottantesimo ad uno dei primi piani di un grattacielo, sosta dietro una finestra e fredda un gangster. Ora, non si sa come, la sequenza apparirà in Thunderball, l'ultimo film di Selzman e Broccoli, con Sean Connery. Il cinema, dice Lattuada, è un campo di delusioni e di frustrazioni.

Ma ora non ci sono dubbi: ha già iniziato ad Urbino le riprese. Si tratta della Mandragola, dalla celebre commedia di Machiavelli. La vicenda è nota a tutti: la ridanciana e canagliesca beffa erotica giocata, nella Firenze del Rinascimento, ai danni di messer Nicia, sulla cui bella moglie. Lucrezia, ha messo gli occhi il giovane Callimaco. Il testo conserva ancor oggi una freschezza rara: Lattuada l'attribuisce ai motivi eterni che ne sono al centro, quali l'avarizia, il desiderio disperato di avere un erede a cui lasciare i beni accumulati, la cialtroneria degli esseri umani.

Il regista si è attenuto al principio: assoluta fedeltà allo spirito, assoluta infedeltà al testo. Una battuta può diventare una sequenza, mentre una scena può diventare un gesto. Cosi il film avrà inizio con una sequenza che nel testo era indicata con una battuta ma che vale a dare immediatamente un sapore attuale alla storia: Callimaco, una sorta di dongiovanni dei nostri giorni, sente parlare in una taverna parigina di una bellissima donna che vive a Firenze, cioè Lucrezia, e senza frapporre indugi prepara le valigie e parte.

Ovviamente, il film non poteva avere un andamento teatrale: ha bisogno di un ritmo più rapido, movimentato e incalzante, con trovate, espedienti, invenzioni, in modo da far presa su un pubblico vasto e disparato. Per tali ragioni gli interpreti parleranno un linguaggio usuale, di tutti i giorni, alla portata di tutti, con appena qualche battuta toscaneggiante. Poiché è impossibile, per causa del traffico, girare a Firenze, Lattuada ha ricostruito, fra Urbino e Viterbo, una Firenze allusiva, fantastica, libera, con alcuni dettagli originali. Romolo Valli sarà messer Nicia. Rosanna Schiaffino Lucrezia, Philippe Leroy Callimaco, Totò fra' Timoteo, Jean Claude Brialy Ligurio, Armando Bandini Siro, Nilla Pizzi Sostrata. La sceneggiatura è di Luigi Magni e Stefano Strucchi, con la collaborazione di Lattuada: il produttore è Bini.

In verità, i due ultimi anni non sono stati inutili per Lattuada: è stato un periodo di ripensamenti, ricco di ritorni indietro e di nuovi progetti. Ha ripreso a scrivere elzeviri per Il resto del Carlino e Il giornale d'Italia, ha scritto due soggetti cinematografici, La vedova abusiva e La deb, il primo in collaborazione con Malerba e Curreli e il secondo da solo, ha deciso di portare sullo schermo La spartizione, il romanzo di Piero Chiara. «Si tratta dichiara il regista di uno dei più bei libri apparsi in Italia negli ultimi dieci anni». Realmente è un libro delizioso, scritto con una finezza che ha qualcosa di classico. Ad evitare che i produttori gli potessero chiedere di modificare tale o talaltra parte del libro, il regista ne ha acquistato personalmente i diritti da Mondadori. Il romanzo uscirà in questi giorni in Francia con il titolo di Il trigamo. Parimenti in questi giorni è uscito a Parigi un volumetto su Lattuada comprendente saggi di Filippo Maria De Sanctis e Barthélemy Amengual e una prefazione di Mario Soldati.

Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 10 luglio 1965


Si "gira" il capolavoro di Machiavelli

L'erotismo rispetta la censura nella «Mandragola» di Lattuada

Il regista assicura che non sarà un f"film all'italiana" ma una giusta interpretazione critica dell'opera cinquecentesca. Bene: sarebbe tempo che il cinema rispettasse i classici

Roma, luglio.

Le apparenze del film che abbiamo veduto girare l'altro giorno (limitatamente a una scena, si badi) erano ancora le apparenze di un film all’italiana. C'era, nello stanzone di un antico casale di campagna, una tinozza di legno, vastissima, colma d’acqua: immersi nell'acqua, fronteggiandosi a mezzo busto, stavano un attore, ripreso di spalle, o una attrice, sulla quale gli operatori concentravano il loro fuoco attento. L'attrice, non meno dell’attore, indossava la tenuta che si è soliti indossare facendo il bagno a domicilio nella propria vasca. Era una giovane donna prosperosa cui la nudità donava più d'ogni altra toilette, e aveva occhi neri. Nelle pause, numerose come accade per ogni scena difficile, la donna protestava il suo imbarazzo («Io non sono come tante altre mie colleghe, purtroppo; io detesto girato nuda, forse non so portare il nudo, queste esibizioni mi affliggono»), cosicché, vestita di moralismo, dobbiamo riconoscere che tutelava egregiamente il proprio pudore.

I bagni «spaziali»

E' opportuno aggiungere, per chiarire o dilatare il concetto di film all’italiana, che la scena della vasca da bagno si adeguava abbastanza bene al modello in vigore: i film italiani non sono audacissimi come sembrano ma la loro realtà è appunto quella di sembrare audacissimi.

Il succo della scena, infatti, consisteva in questo: la donna, scambiate poche e maliziose parole con il compagno di tinozza, doveva levarsi in piedi, coprirsi lentamente il seno con un lenzuolo, voltarsi, coprirsi ancor più lentamente la schiena, venir fuori dalla vasca, uscire di campo. La scena, si accennava, venne ripetuta più volte, il che fu giusto trattandosi di una scena scabrosa. Però, da un punto di vista tecnico, il problema che impegnava gli operatori e rendeva pensoso il regista non era quello di far si che (l’occhio è sempre al censori) l'attrice risultasse sempre ma fuggevolmente protetta dal suoi asciugamani, bensì che non trasparisse, attraverso il gioco degli asciugamani, la virtuosa e deludente verità, cioè che non ci si accorgesse come la donna non fosse nuda. La donna, oh sorpresa, non era nuda. Si cautelava con un normale bikini da spiaggia: la qual cosa ci parve possedere una sua forza di apologo.

D'altronde, circostanza di cui eravamo stati avvertiti, il film che guardavamo girare non doveva in nessun modo (nonostante quella scena) definirsi un film all'italiana. Tutto al contrarlo: si trattava di un film culturale. Esaminassimo bene i particolari. La tinozza non aveva nessuna volgarità, contemporanea; e chi fa più il bagno, al giorni nostri, in una grande conca di legno? L’aura e l'ambiente erano cinquecenteschi, di quel nostro secolo raffinato. Testi dell'epoca, opportunamente compulsati dagli sceneggiatori del film, riferiscono che l'uso ammetteva, anzi incoraggiava i bagni a due nelle grandi tinozze di legno purché fossore bagni medicati o «speziati», il cui scopo fosse terapeutico. I pazienti soggiornavano a lungo nella vasca o talora vi consumavano la colazione. Effettivamente un asse era stato collocato fra i due attori, a dividere la circonferenza della tinozza; su quell'asse erano disposti cibi con senso pittoresco, polli arrosto, crostini, un'insalata verde o rossa, olive, caciotte, il vino in due calici sottili. «Una natura morta, sì — ci fu detto — ma tutta cinematografica, alla maniera di Tom Jones».

Presenza impeccabile

Neppure si poteva parlare di scandalo, fosse anche un rispettabile scandalo cinquecentesco imbalsamato dalla storia giacché due amanti affrontavano in comune un bagno in tinozza, medicato o speziato quanto si vuole, i due non erano legati da nessun rapporto illegittimo: orano marito e moglie. Il loro dialogo era ineccepibile, occupandosi di problemi di famiglia e di scienza. «Sapete, madonna — sussurrava l'uomo alla consorte — che le spugne, guardate la spugna con la quale siete solita lavarvi, non sono cose inanimate ma veri animali? Sapete che esistono spugne maschi o spugne femmine?». «Oh, Oh», ridacchiava la bella. Qualcuno ci forniva spiegazioni ulteriori: «Essi, i coniugi, si affidano al bagno speziato e occasionalmente si dilungano sul sesso delle spugne in quanto un assillo li domina, la sterilità della loro unione».

Ci siamo, appunto: stanno girando La mandragola, ed è prima versione filmica, se non erriamo, della commedia di Niccolò Machiavelli. La scena della vasca con tutto il filosofeggiare sul sesso delle spugne, è naturalmente un’interpolazione, un'aggiunto; aggiunto del genere possono anche non apparire arbitrarie se lo spirito dell'opera classica è rispettato. Il regista, Alberto Lattuada, assicura che il rispetto all'amaro Machiavelli sarà fondamentale, non solo, ma corroborato da una giusta interpretazione critica del testo. Interpretazione che sfugge alle maldestre regie teatrali. Nicla il marito, notaio in Firenze, non risulterà cosi goffo e stolido come vuole la tradizione del guitti; lo incarna Romolo Valli, coltissimo fra i nostri attori. Il servo Ligurio, e anche questa è una scelta anticonvenzionale, è impersonato da un attore elegante, Jean-Claude Brialy. Totò fornisce, ci dicono, una prestazione gagliarda nel panni del sinistro frate Timoteo; Callimaco, l’innamorato di Lucrezia, è reso da Philippe Leroy.

Lucrezia, moglie di Nicla, colei che prima subisce per poi godere l'intrigo, è Rosanna Schiaffino, colei che si spoglia a malincuore. «Lucrezia è un personaggio più passivo che scavato — avverta Lattuada, — talché la presenza di Rosanna, così serena ed esterna, mi sembra perfetta». Incalza Romolo Valli: «Davvero, quella della Schiaffino, qui, è una presenza impeccabile». Molto bene, molti auguri. Alberto Lattuada e Romolo Valli sanno fino a qual punto ci piacerebbe un film italiano che non fosse un film all'italiana.

Carlo Laurenzi, «Corriere della Sera», 31 luglio 1965


Intrighi e veleni per Rosanna

Isola Farnese è un paesino piccolissimo, arroccato su un’altura. Sul cocuzzolo vi è il Castello Ferraioli, appartenuto in passato agli Orsini e ai Farnese, come tanti della campagna romana. Uno strano castello. Al di là del portale, al di là del cortile si apre la porta di un ascensore. L’interno è degno di un antico maniero, arredato con gusto e sobrietà. Dalle finestre si gode un panorami superbo: giù nella valle c’è Veio, l’antica città etrusca. Qualche rudere sparso tra il verde.

In un salone del Castello Ferraioli, Alberto Lattuada sta girando una scena del film «La Mandragola». Sì, proprio la commedia di Ser Niccolò Machiavelli, la più proibita commedia del teatro italiano e, senza dubbio, una delle più belle.

Alberto Lattuada spiega una scena del film a Totò e a Rosanna Schiaffino

1965 08 07 Noi Donne La Mandragola f2Rosanna Schiaffino e Nilla Pizzi. La cantante interpreta la parte di Sostrata, la madre di Lucrezia

1965 08 07 Noi Donne La Mandragola f3Rosanna Schiaffino nei costumi rinascimentali di Lucrezia

Sarà il cinema a darle una meritata popolarità? Lattuada ha sicuramente in mano buoni elementi per riuscirvi: sceneggiatura, attori, il proprio talento, l’esperienza di tanti film e soprattutto una sicura fiducia nella modernità di un testo a prima vista cosi lontano dal nostro secolo. Il regista ha preferito non portarvi sostanziali modifiche: «Ne abbiamo conservato lo spirito — dice — ma siamo passati dal teatro al cinema. Spesso nella commedia i personaggi raccontano di ”aver fatto una cosa”, riferiscono fatti e parole di altri. Nel film invece si vedranno i personaggi agire».

Vedremo quindi il giovane Callimaco tornare a Firenze dalla Francia, spinto dal desiderio di conoscere la giovane Lucrezia, dopo averne sentito elogiare la bellezza, come vedremo i veri e propri supplizi cui Lucrezia viene sottoposta dal marito, Nicia, nella speranza di avere figli. Poi, come nella commedia, il parassita Ligurio convincerà Messer Nicia che l’unico rimedio alla sterilità della moglie è la Mandragola, una mistura velenosa, con le sue funeste conseguenze: la morte di colui che per primo si accosterà alla donna che l’ha bevuta. Messer Nicia accetta così che un «garzonaccio» qualsiasi trascorra una notte di amore con la bella Lucrezia, dopo che ella avrà ingerito la Mandragola. Lucrezia, moglie fedele e virtuosa, si piega al piano architettato a sua insaputa: frate Timoteo le spiegherà che «deve» farlo, e che sarà innocente anche se passerà la notte con uno sconosciuto. Anche la madre di Lucrezia collabora per convincere la figlia a tradire per una notte il marito. Ma dietro a questo complicato intrigo vi è l’amore di Callimaco per Lucrezia, il suo desiderio di avvicinarla, il denaro che egli ha dato a Ligurio perché lo aiutasse a concretizzare il suo amore per la donna. Callimaco, travestito da «garzonaccio», viene così introdotto nella camera di Lucrezia e la beffa è compiuta.

A differenza della commedia in cui Lucrezia non apre mai bocca, la vedremo nel film parlare e vivere. La sua trasformazione da moglie docile e remissiva a donna forte Machiavelli la rende in questa stupenda battuta di Lucrezia a Callimaco riferita da altri: «Poi che l’astuzia tua, la sciocchezza del mio marito, la semplicità di mia madre e la tristizia del mio confessoro mi hanno condotta a fare quello che mai per me medesima avrei fatto, io voglio iudicare che è venga da ima celeste disposizione che abbi voluto così, e non sono sufficiente a recusare quello che ’l cielo vuole che io accetti. Però io ti prendo per signore, padrone, guida: tu mio padre, tu mio difensore, e tu voglio che sia ogni mio bene; e quello che ’l mio marito ha voluto per una sera, voglio ch’egli abbia sempre». Nel film questa trasformazione ha un più ampio respiro. La nuova Lucrezia non si piega facilmente all’ imbroglio escogitato da Ligurio e suggeritole dalla madre, ma la sua metamorfosi da donna virtuosa e passiva a donna con le redini in pugno avviene durante la notte d’amore con Callimaco. Il mattino dopo la nuova Lucrezia invece del consueto abito scuro indossa un abito bianco e si reca in chiesa con Callimaco, come fosse un nuovo matrimonio. E, invece del pesante velo, mette sulla testa un berrettino bianco da paggio. Un berrettino che è piaciuto tanto a Rosanna.

«L’avevo visto in un quadro e me n’ero innamorata — dice l’attrice. — Allora l’ho suggerito al costumista, Danilo Donati, perché mi sembrava che caratterizzasse bene la trasformazione di Lucrezia: un berretto quasi maschile sulla testa di una donna che ormai ha deciso di scegliere da sola».

Con Rosanna Schiaffino, Lucrezia è diventata il personaggio principale del film; ma non è per questo diminuita l’importanza dèi «tristi» — cioè degli imbroglioni — come Frate Timoteo e Ligurio. Né dell’innamorato Callimaco o del marito Nicia.

La regia di un film comincia con la scelta degli interpreti. Questa volta il regista Lattuada va soprattutto fiero di una scelta, perché è un’idea, una trovata, come si dice spesso .nel gergo dello spettacolo: ha affidato la parte del frate corrotto e «tristo» a Totò. Il che significa dargli di colpo tutte le qualità umane che vanno dalla simpatia alla furbizia, rendendo credibile qualsiasi imbroglio. Ecco dunque Totò, dopo 104 film di ogni genere, alle prese con un classico.

Se non fosse un attore di grande talento e di grande esperienza avrebbe affrontato la nuova parte come un ennesimo ruolo di una carriera fortunatissima. Ma Totò ha capito la differenza; sa che Lattuada gli chiede di abbandonare una gran parte del suo repertorio di gesti. «.Io sono un poco esuberante» dice con la sua voce bassa «mi lascio andare a qualche lazzo». Ma questi lazzi napoletani non dispiacciono al regista, che li lascia volentieri in mezzo a tanto dialogare toscano. «Del resto è la unica imposizione che facciamo al testo di Machiavelli ;— dice Lattuada. — Abbiamo aggiunto una battuta che dice: ”un monaco che venne dal Napoletano dove ha fatto lunga pratica”».

R.R., «Noi Donne», anno XXI, n.32, 7 agosto 1965


Salvo errore questa mandragola dovrebbe essere il ventesimo film di montaggio a soggetto di Alberto Lattuada, un regista tra i nostri più interessanti e che va proseguendo con continuo coerenza dal 1912 un serio discorso stilistico su delle scelte quasi sempre (forse con l'unica eccezione di Anna) culturalmente fondate e ricche di interesse. anche questo film, con il quale egli ritorna sugli schermi dopo un silenzio che risale al 1962, offre la riprova puntamento linguistico e di una sensibilità tra le più ragguardevoli che si possa ritrovare nel nostro cinema e testimonia una fermezza tra le più ammirevoli verso un impegno culturale nostos da esaltazione, non avvilito da rinunce.

E sì che l'impresa cui il nostro regista si era questa volta dedicato, non era davvero un cimento privo di grossi rischi. Il testo letterario - che Machiavelli scrisse intorno al 1525 - è infatti una di quelle opere in cui si riassume, a livello della sintesi artistica, non solo la concezione del mondo di un autore, ma altresì un clima, una temperie, il senso di un'epoca.

Così ne La mandragola v’è, dietro una struttura e dei contenuti apparentemente boccacceschi - sia nel senso specifico che nell'accezione corrente del termine - un e di laica concretezza: l'asprezza amara di una consapevolezza tutta fondata sulla ”realtà effettuale” è negata alle consolanti illusioni della retorica dei sentimenti, all'incanto delle fantasticherie, la liberazione delle certezze ideale. Da Callimaco a Ligurio, da Timoteo a Nicia, da Sostata a Lucrezia i personaggi della commedia vivono ed ed applicano quelle ”cagioni” universali e particolari delle cose - su cui il trattatista Machiavelli era andato discorrendo nel capolavoro suo ”il principe”, nei “Discorsi” o nelle ”Istorie” - che li conducono a perseguire il proprio fine con la coscienza, tuttavia che ”è el vero che non è el mele sanza le mosche” e che “poco bene si truova nelle cose che l'uomo desidera, rispetto a quelle che l'uomo ha presupposto trovarvi”. Tanto che Callimaco ho visto come da personificazione del principe e Ligurio del suo pronto ministro, immersi in una impresa erotica condotta come un'impresa politica, a riprova di quanto il Macchiavelli ritenesse fondata sull'animo umano e le sue leggi l'autoaffermazione, la propria dottrina politica.

Nel trasferire dalla pagina allo schermo la rappresentazione una così lucida e disperata visione del mondo, Alberto Lattuada non ha potuto ritardarne tutti gli elementi, così strettamente legati d'altro canto alla struttura letteraria, alla ricchezza di linguaggio, al dovizioso condensarsi in sentenze e motti del testo; non ne ha operato tuttavia un travisamento e cioè un tradimento, annullandoli in una cornice di fasti erotici, di agitazione, soltanto lussuriose, lasciando invece, sempre - ed anzi a tratti sottolineando con intelligente autonomia dal testo (si veda la bella sequenza d'apertura del film, prima dei titoli, o quella eccellente di Frate Timoteo nell'ossario) - la falsariga di ”malizia amara” senza la quale l'opera perderebbe il suo profondo significato etico.

A tratti Il regista ha avuto una mano meno felice nel dare dimensione filmica ad una pur giusta intuizione( quella predica sul peccato in una Firenze dove ancora alloggia il Savonarola) o si è abbandonato eccessivamente ad interpolazioni marginalmente significative (quella eccessivo soffermarsi sui” bagni termali”); ma la ricostruzione di un clima di Rinascimento maturo e dov'è la discesa degli Dei prenota e già a ribaltamento dell'illuminismo efficace, come la tipologia dei personaggi e funzionalmente impressionata dagli interpreti - specialmente Totò e Romolo Valli - non meno di quanto quel finale con i protagonisti che salgono una scalea di una chiesa sia ironicamente sintetico. Pur senza restituire nella sua pienezza e nel suo vigore il mondo machiavellico e le sue leggi, il film di Lattuada ne suggerisce Insomma con estrema dignità lo schema dei conflitti (intelligenza e stupidità, forza e debolezza, vitalismo dell'autoaffermazione e grettezza dell'autoconservazione, ecc.) ne sottolinea il loro essere sempre solo terreni, ne lascia trasparire quel pur partecipe giudizio morale dello scrittore su una condizione umana da «cui dipende, senza dubio alcuno, - che per tutto tralinga - da l’antica virtù el secol presente».

l.m., «L’Avanti», 20 novembre 1965


Anche a Machiavelli gli onori dello schermo

«La più grande commedia dalla storia letteraria d'Italia». Così Bontempelli sulla Mandragola. E' vero, una «grande commedia»; Il suo autore, però, Niccolò Machiavelli, era un fiIosofo e, in definitiva, un moralista che, anche quando, nel Principe, sembra codificare la scienza della ragion di stato anteponendola a tutto, lo fa con dolorosa amarezza, rattristato da un'epoca in cui la politica e i suoi giochi meschini l'hanno intimamente deluso. Questo moralista, se accetta e sa forse, in apparenza sublima le virtù dell'inganno quando son rivolte a un fine alto e glorioso, quando il fine è umile, basso o addirittura ignobile vi scorge tutti i vizi della frode e vi guarda senza più nessuna apprensione, ansi, con deciso biasimo, dall'alto di un disprezzo che in lui caustico e fiorentino, umanista e uomo di penna, si manifesta soprattutto in chiave di satira la chiave «vera» della Mandragola.

L'intreccio della commedie, infatti, per il Cinquecento, non era nuovo perché il marito anziano e credulone cui un giovane ardente sottrae la moglie troppo bella grazie ad un intrigo ordito da un parassita astuto e da un frate senza fede, l’avevano già proposto la novellistica del tempi del Boccaccio e quel teatro italiano del Rinascimento che ai Romani di Terenzio e di Plauto aveva rubalo da un pezzo schemi e personaggi: Machiavelli. tuttavia, pur scusandosi nel Prologo in versi d’aver trattato una «materia non degna... d'un uom che voglia parer saggio e grave», di questo intreccio che conduceva una famiglia a disgregarsi perché un marito non sapeva essere marito, una madre non si mostrava degna di un tal nome e una moglie, cedendo ai sensi, mancava al propri doveri perché chi doveva mantenervela la indirizzava invece in senso opposto, si era servito per dimostrare «che per tutto traligna de l'antica virtù el secol presente»; una dimostrazione in clima di beffa, ma non per questo meno dura, aspra, realistica; e per di più, intrisa di quella polemica segretamente accorata del moralista che teme inutili tutti i tentativi di moralizzazione, dato che ormai «la gente... non s'affatica e spasma per far con mille suoi disagi un'opra che 'i vento guasti o la nebbia ricuopra».

Attraverso i secoli, in teatro, questo testo è stato l’oggetto non poche interpretazioni, talune anche piuttosto arbitrarie, a cominciare da quelle della critica laica ottocentesca che, fingendo di dimenticarne le applauditissime rappresentazioni in Vaticano, alla corte di Leone X, si era affannata a cercarvi e a trovarvi una sorta di «J’accuse» alla Chiesa, come tentò di dimostrarci anche vent'anni fa un'edizione «Impegnata» in senso addirittura anticlericale andata in scena proprio a Roma (resta di Stefano Landi, interpreti Lombardi, Besozzi, Capodoglio, Almirante, Tumiati, De Giorgi). La sua interpretazione più autentica, però, rimane quella satirica e implicitamente moralistica, pur sotto i veli della commedia quasi carnascialesca, e a questa interpretazione si sono sempre attenute, in Italia e all'estero, le messe in scena più colte e più severe riuscendo ogni volta a dare il giusto rilievo pan solo ai significati polemici del testo, ma anche alla sua alta qualità teatrale, testimoniata in ogni pagina dalla felice precisione psicologica dei personaggi, dalla logica serrata dei loro redi, dalla preziosa perfezione «parlata» del loro dialoghi. Oggi ecco la Mandragola sullo schermo e ad opera di uno del nostri più coltivati ad attenti registi, Alberto Lattuada. Quale interpretazione egli ne ha tentato? Grosso modo, di fronte a sé, aveva due strade, tenuto conto di quello che è lt cinema e di quello che è il pubblico di oggi: la soluzione rigorosamente culturale, sul tipo di quelle adottate da Laurance Olivier per Shakespeare, sema arbitri nel confronti del testo, espresso alla luce di tutti i suoi significati. anche i più profondi e difficili, nel clima delle sue polemiche più autentiche, in una chiave spettacolare che riuscisse a tenersi in sicuro equilibrio tra le giocose rappresentazioni mondane del tempi del Machiavelli e la «lettura» intelligente e consapevole della battuta scritta. E, per un altro verso, la soluzione addirittura farsesca, sulla scorta dei suggerimenti più esteriori e più facili dell'intreccio, da una parte sulla linea di quelle commedie del Cinquecento cui Ia Mandragola aveva preso in prestito almeno certi schemi e, da un’altra parte, sull'esempio di quelle sboccate farse all'italiana che sono, oggi, uno degli elementi tipici del nostro cinema.

Questa seconda soluzione, per fortuna, Lattuada l'ha scartata subito, ma, anziché adottare la prima fino in fondo, se n'è fatto soprattutto guidare per la interpretazione del testo In funzione di satira colta, preferendo, per il resto, un canovaccio in cui l’amaro del Machiavelli si addolcisce in una cordialità ammiccante che smussa le asprezze, le ribalderie e i toni laidi dei personaggi, divenuti, anziché oggetto di riprovazione motivo soprattutto di sorriso (se non proprio di riso).

La «cifra» di questa versione ce la dà in modo particolare Frate Timoteo che da quel personaggio atroce di uomo di Dio senza più Dio, dedito solo a se stesso e ad alcuni vuoti formalismi, si è trasformato qui In un vecchio fraticello meridionale intriso di furbizie quasi patetiche e di un tornacontismo molto più ingenuo e sempliciotto che non arido e cinico. Gli altri seguono un po’ più da vicino gli schemi del Machiavelli, ma la luce sotto cui ci appaiono è, più o meno, la stessa di Frate Timoteo, soprattutto in quelle scene che Lattuada ha Immaginato ex novo non volendo e non potendo attenersi soltanto alla maceria dei cinque atti e che, in genere, ha risolto sul piano lieve della commedia, ora con pennellate quasi veristiche di costume, ora con invenzioni amabili e garbate.

Certo, la soluzione più rigorosamente culturale sarebbe stata preferibile perché, oltre a tutto, avrebbe impedito che, nelle parti riscritte, si sentisse sensibilmente la differenza di mano rispetto a quelle originali. ma il film, anche cosi, può Interessare e convincere. Al suoi meriti in questo senso si aggiungano un‘ambientazione e dei costumi ad un tempo preziosi e realistici delle piacevoli musiche in siile d'epoca e un’interpretazione tenuta meritoriamente lontana dal lazzi della Commedia dell’Arte e Indirizzata invece di preferenza lungo linee sobrie ed asciutte, a cominciare da quella di Totò che nel panni di Frate Timoteo, è riuscito a comporre, pur in breve spazio, una caratterizzazione perfetta in ogni sua più ghiotta e colorita sfumatura.

Gli altri sono Rosanna Schiaffino, nella ritrosia presto mutata in ardore di Lucrezia, Romolo Valli, un messer Nicla tutto sapienti balordaggini, Philippe Leroy, il bollente Callimaco, Jean-Claude Brisly, più incline al marivaudage che non alle diaboliche astuzie di Ligurio, Nilla Pizzi, la madre, Armando Bandini, il servo Siro, Pia Fioretti, l'austera e materna governante.

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 20 novembre 1965


Raccontare la trama de «La mandragola» di Niccolò Machiavelli, cioè della maggiore opera drammatica del Cinquecento italiano? Ebbene si, non sarà inutile. Il glorioso testo ha subito infatti un lungo e ridicolo ostracismo dalle nostre scene, su cui è riapparso occasionalmente solo negli ultimi lustri. Vi si narra dunque la storia della seduzione della bella fiorentina Lucrezia, sposa dello sciocco messer Nicia, da parte del giovane e irruento Callimaco giunto apposta dalla Francia. Seduzione difficilissima: Lucrezia è un modello d'onestà, contro la quale ogni irruenza si spezza. Occorre l'astuzia. E poi cioé Callimaco ne fa difetto, ecco sopravvenire in suo aiuto, opportunamente assoldata, quella del piacevole bellimbusto Ligurio, il quale insegna all'innamorato come sfruttare, con la complicità di Sostrita, madre compiacente, e di Timoteo, frate corrotto e ipocrita, la poca avvedutezza del marito. Vuole Nicia a tutti i costi il figlio che Lucrezia non ha potuto mai dargli? Gli si faccia credere che per rendere fertile la consorte occorra una pozione di mandragola, l'infernale radice degli alchimisti, e che il primo uomo a giacere con lei dopo quella libagione sia destinato a morte certa. Ed è appunto cosi che Nicia cede a un giovinastro rapito dalla strada una notte nel proprio talamo, senza riconoscere nel giovinastro in tal modo beneficato il «dottor» Callimaco sotto mentite spoglie. Sé Lucrezia lascerà più l'amante tra le cui braccia l'hanno spinta marito, madre e confessore. Sotto , i ciechi occhi di Nicia la tresca tanto fortunosamente avviata continuerà senza problemi.

L'onore di portare «La mandragola» sullo schermo è toccato ora ad Alberto Lattuada. E bisogna dire che la scelta è stata felice, perché Lattuada, pur cercando di dare al racconto un'articolazione più propriamente cinematografica. non ha mancato di rispettarne sostanza e spirito, interpolando nel linearissimo contesto solo dò che i dialoghi di Machiavelli autorizzavano. Appena un paio di volte l'amore all argomento prende la mano al regista: quando, per esempio, egli accetta per buona la leggenda della mandragola. in contrasto con l'acuto razionalismo machiavelliano: o quando, verso la fine, indulge a qualche romanticismo, mentre il testo avrebbe voluto Lucrezia più indurita che addolcita dall'awen-tura. Ma per lo più il film è fedele alla commedia: nel sardonico spirito come nella raffinata spregiudicatezza. Inoltre, le immagini in bianco e nero sono bellissime, l' ambientazione accurata al massimo negli interni come negli esterni (per i quali Urbino sostituisce la Firenze dell'epoca). E molto brillante è l’interpretazione dell'intero cast, che va da un Philippe Le Roy aitante e smanioso nei panni di Callimaco ad un Jean Claude Brialy sottilmente ripugnante in quelli di Ligurio, passando per il sempre eccellente Romolo Valli, delizioso Nicia, la giustissima Nilla Pizzi, mamma Sostrata. Totò, un Fra' Timoteo tutto chiaroscurata ipocrisia, e la statuaria Rosanna Schiaffino, una Lucrezia con più scrupoli che veli.

Bir., «Il Messaggero», 20 novembre 1965


Le grandi occasioni di Rosanna Schiaffino

Il suo nome di inserisce tra quelli delle attrici più popolari. Se con "La sfida" ha imposto il "suo", tipo, con "La Mandragola" ha affrontato la prova più impegnativa della sua carriera, dando vita ad un personaggio classico. Attualmente lavora a Londra, assieme a Tony Curtis, in una paradossale commedia brillante “"You Just Hill Me" - Un avvenire fitto di molti impegni di lavoro

LONDRA, novembre

Ogni attrice è come una pianta, per dare il meglio di sé deve continuare a crescere e dar tratti, altrimenti, anziché pianta, è roccia che non genera, il cinema certo non è sempre il palcoscenico ideale per crescere e dar frutti. Tuttavia, quando c’è stoffa e volontà, si arriva quasi sempre a sfondare.

Rosanna Schiaffino, partita da Genova con molte sperale, dopo solo otto anni di attività cinematografica è riuscita, con una testardaggine che la distingue, a diventare un'attrice di rango internazionale. A valorizzarla, per primo, è stato Francesco Rosi con «La sfida», poi, a distanza di anni, Bolognini con «La corruzione», con la quale aveva posto una seria candidatura al Nastro d'Argento. Dopo il matrimonio con il produttore Bini, la sua carriera non ha avuto sussulti, ma ha continuato a salire di quota fino ad affrontare una specie di verifica decisiva del suo talento con il personaggio di Lucrezia ne «La Mandragola» di Macchiavelli, diretta da Alberto Lattuada.

Anche l’attrice più sprovveduta può, se ben guidata, diventare un bell’animale cinematografico (per usare il linguaggio di Castellani) in j un film moderno, la cui sceneggiatura è onera di scrit-I tori contemporanei. Ma quando il personaggio da affrontare è il frutto della fantasia di uno scrittore e storico come Macchiavelli, allora la attrice deve avere non solo coraggio ma anche una adeguata preparazione. Non solo. La Schiaffino, diretta da Lattuada, si è trovata intorno attori teatrali del calibro di Romolo Valli, di J. C. Brialy e Philippe Leroy, inoltre c’era anche quella gran maschera che è Totò.

Chi ha visto «La Mandragola» parla di una Schiaffino perfettamente a suo agio, di una Lucrezia spontanea, per nulla preoccupata di allinearsi con la recitazione dei suoi colleghi in quanto è riuscita a rendere il personaggio inventato dal grande fiorentino. Qualche collega ha, manifestato il pensiero che la Schiaffino con «La Mandragola» porrà una seria candidatura al Nastro d’Argento. Il che vorrebbe dire che ciò che non le è riuscito con «La corruzione» lo potrà con Donna Lucrezia.

Ma anche «La corruzione» ha contribuito a far salire le sue quotazioni, tanto che Tony Curtis, dopo averla vista in questo film, ha chiesto e ottenuto dal produttore che gli mettesse al suo fianco la Schiaffino.

Qui a Londra, negli studi di Shepperton, la nostra Rosanna sta lavorando da circa due mesi con il bel Tony nel film «You Just Kill me» (che pare sia il titolo definitivo del film), una vicenda tanto paradossale quanto gustosamente maliziosa. Si tratta di due Barbablù del nostro tempo, uno maschio e l’altro femmina, i quali cercano, ognuno per proprio conto, di far soldi sposandosi in continuazione. Un giorno i due si incontrano, ignorando ciò che sono in realtà, per questo si assiste come all’esplodere di tanti fuochi di artificio, in quanto i due cercano di eliminarsi a vicenda, senza esclusione di colpi. Una vicenda che richiede, da parte di Rosanna Schiaffino, una assoluta padronanza mimica.

A questo punto, bisogna riconoscere alla nostra attrice una intelligenza pronta e versatile, una grande capacità di assorbimento se riesce con prontezza e potenza a rendere personaggi di epoche cosi lontane come quello di Lucrezia nella «Mandragola» e questo del film «You Just Kill me».

Il regista Kenneth Hughes ci ha parlato con entusiasmo della bravura e della docilità della Schiaffino:

— Ha la morbidezza della plastilina, si lascia plasmare plasmandosi contemporaneamente. Ecco) credo proprio che Rosanna Schiaffino sia soprattutto una donna intelligente, a parte naturalmente il talento e la preparazione culturale. Punta in alto ma con coscienza delle proprie qualità e delle proprie possibilità. E le scelte, nel mondo del cinema, sono decisive per la carriera di una vara attrice. Ho visto «La Mandragola» che è il suo film italiano e sono rimasto molto impressionato. Conoscevo la commedia di Machiavelli e perciò mi sono reso conto della straordinaria capacità della Schiaffino di capire i testi e i personaggi.

Negli studi di Shepperton c’è molta più quiete che nei nostri, qui c’è, come dire, un silenzio professionale che nessuno è disposto a violare. Eppure in questa quiete si avverte la simpatia di cui gode Rosanna Schiaffino, anche il più umile macchinista è pronto a farsi in quattro per farle una gentilezza.

— E’ un’esperienza eccitante lavorare con Tony Curtis — ci dice Rosanna Schiaffino — perchè la sua recitazione è piena di brio effervescente da grande commediante...

— Mi diceva Tony Curtis, poco fa, che farete un secondo film insieme, dopo questo... — diciamo alla Schiaffino e attendiamo la sua conferma.

— Si è vero, ma noti sappiamo ancora che film sarà.

— Finito questo film, tornerà in Italia?

— Certamente. Devo studiare le proposte che mi sono arrivate in questo periodo...

Adesso degli auguri, Rosanna Schiaffino non ne ha proprio bisogno, ormai naviga a vele spiegate sull’infinito oceano del successo. Ma questo successo è frutto della sua tenacia. Lo gusterà doppiamente, di questo possiamo esserne certi.

Franco Tosi, «La Gazzetta di Mantova», 25 novembre 1965


La Mandragola tra amore e denaro

Mario Soldati lo definì «un ardente pignolo». E tale doveva apparire l’architetto Alberto Lattuada, milanese, quando calò a Roma per lavorare nel cinema. Aveva alle spalle una fervida attività come animatore di movimenti artistici e letterari, si era battuto fra i primi per la conservazione dei film d’archivio, professava sulla sua vocazione idee chiare e distinte. Roma città aperta e Sciuscià erano ancora di là da venire quando Lattuada proclamava: «... si spera di parlare ormai a tutti gli uomini, per lo meno a tutti gli europei. Che se così non fosse, se dovessimo ridurci a una cultura paesana, sarà meglio fare hara kiri».

Sono passati vent’anni, anziché hara kiri Lattuada ha fatto oltre venti film: una buona media, anche se la sua filmografia è ricca di progetti non realizzati. E benché all’intransigenza un po’ quacchera degli anni giovanili sia subentrato un ragionevole possibilismo, il regista raramente ha scelto le soluzioni comode, quasi mai si è arreso senza combattere. La prova è che La Mandragola è il primo suo film che esce da tre anni a questa parte, dai tempi del grande successo di Mafioso: ed è tipico di Lattuada questo rifiutarsi alle operazioni ovvie, come il pretendere un massimo rigore anche nella realizzazione dei cosiddetti film commerciali.

A cinquant’anni Lattuada è oggi uno dei pochi professionisti del nostro cinema, un realizzatore che non teme confronti per impegno e serietà. Con lui i produttori dormono sonni tranquilli, certi che il piano di lavorazione è rispettato e la qualità del materiale sarà sempre eccellente; e gli attori, anche quelli più noti, avvertono la sua autorità, gli obbediscono senza riserve. Non c’è da meravigliarsi, insomma, che anche La Mandragola sia un film pulito, onesto, costruito pressoché impeccabilmente.

Fino a qualche anno fa La Mandragola, considerata sotto il profilo ottocentesco un pezzo forte dell’anticlericalismo a teatro, era addirittura vietata dalla censura. E’ bene che i divieti siano caduti, che un vento di maggiore libertà spiri nei corridoi del Ministero dello spettacolo. Anche se la decisione di portare la commedia sullo schermo ci sembra da attribuire, più che a un deferente omaggio a Machiavelli, al dilagare di una moda impropriamente chiamata boccaccesca: quella del film in costume un po’ grasso e sporcaccione. All’origine del filone c’è Tom Jones, splendente di ribalderia libertina: ed è proprio il film di Tony Richardson la falsariga per tante operazioni nostrane fondate sulla battuta pecoreccia e sulla scollatura generosa.

Un occhio alla cassetta e un occhio all'autore del Principe, senza poter permettersi di dimenticare né l’una né l’altro, Lattuada ha fatto un buon lavoro. La Firenze del ’500 non esiste più, sopraffatta dal traffico e dalle antenne dei televisori: e il regista l’ha ricostruita andando a sceglierne gli scorci campagnoli nell'Italia meno conosciuta, da Urbino a Isola Farnese. Ha posto nella scelta dei luoghi un rigore assoluto, che ricorda il suo libro fotografico Occhio quadrato. La Mandragola è un film di muri antichi, di stradine medioevali, di pareti lignee invecchiate dal tempo: un Rinascimento ancora legato al basso Medioevo, popolaresco, vissuto. L’unica concessione sono i costumi di Danilo Donati, alcuni dei quali bellissimi, che integrano con fasto deliberato la nudità della scenografia. Dal punto di vista delle immagini, insomma, il film si propone come un agile viaggio attraverso il passato remoto dell'Italia centrale: e conserva a tratti il fascino della scoperta.

Il limite dell’impresa, coscientemente accettato anche se invalicabile, è l’impossibilità di trasferire il linguaggio della commedia sullo schermo. Cesare Cases ha scritto di recente sulla Stampa: «... il più potente strumento creativo di Machiavelli è il linguaggio. Quando si diverte e ci diverte con i discorsi di Nicia, nuovo Calandrino, o con gli ingannevoli sdottoramenti di Callimaco, egli segue una tradizione teatrale che svariava dal falso popolaresco al latino maccheronico dei maestrucoli. Per lo più, però, la sua è una caratterizzazione interiore, che riproduce la velocità delle intuizioni, la proverbiosità dell’egoismo ammantato, l’arte sillogistica delle false coscienze. Le battute dei personaggi sono, infine, azioni degli animi... Per questo ogni minima variazione al testo... può avere una risonanza non trascurabile...».

Un Machiavelli contemporaneo

Di questo linguaggio ci viene scodellata nel film una soluzione diluita: ma si poteva fare diversamente? Del resto non siamo di fronte a una messinscena di Machiavelli, piuttosto a una variazione sul tema: una specie di «digest» messo insieme con indubbio gusto, anche se molte situazioni voltate in italiano corrente mancano di sale. A questo vizio d'origine si può riportare una certa opacità che rivela il racconto cinematografico prima di entrare nel vivo della burla.

Gli attori sono molto bravi e ben diretti, da Philippe Leroy che è un Callimaco estroverso e divertito a Jean-Claude Brialy, che dà toni insinuanti al prosseneta Ligurio e a un inedito Totò, assai godibile nello schizzare la figuretta del frate: che tuttavia ha perso forse troppo la componente sordida e demoniaca, è diventato un fraticello sventato. Più interessante il rilievo che dà Romolo Valli al personaggio di Nicia, il marito tradito, un po’ l’ambiguo perno del film. La burla è fatta alle spalle di Nicia che vuole a tutti i costi un figlio, ma per ragioni di conservazione della proprietà più che per la frustrazione dell’orgoglio paterno: e non è detto che il beffato stesso, nella sottile analisi che ne fa l’attore, non sia complice più o meno consapevole dell'intrigo. Voglia cioè un figlio anche a costo di passare per stupido. Il denaro è la molla che fa scattare la commedia nelle direzioni indicate dai vari personaggi e crea il vuoto morale in cui affonda la virtù di Lucrezia.

Dalla distruzione della morale del denaro nasce però, nell’intimo della moglie di Nicia, una nuova etica vitalistica e gioiosa che accetta sorridendo i doni dell’esistenza. Ci sembra che Lattuada abbia reso assai bene questo cambio di registro inserendo Machiavelli in una tematica contemporanea. E nella notte d'amore fra Callimaco e Lucrezia, raffigurata da una splendente Rosanna Schiaffino, ritroviamo dietro la macchina da presa l’antico ammiratore di Sternberg e di Pabst. Ecco un pezzo da proiettare agli allievi del Centro per spiegare la differenza che passa, al cinema, tra erotismo e pornografia.

Tullio Kezich, «La Settimana Incom Illustrata», 12 dicembre 1965


Rosanna Schiaffino antidoping

A giudizio di molti «La mandragola» di Niccolò Machiavelli è fra i massimi capolavori del teatro comico di ogni tempo e Paese (per Voltaire addirittura superiore alle opere di Aristofane). E mi pare non le tolga nulla il De Sanctis affermando che si tratta di una commedia «che ha fatto il suo tempo» : esatto, ha fatto il suo tempo, ma resta un capolavoro di straordinaria forza e perfezione se la consideriamo, appunto, rigorosamente inquadrata nel suo tempo. Perciò, a mio parere, è operazione in ogni caso disperata tentare di separarla dalla sua scabra dimensione teatrale e dal suo crudo linguaggio cinquecentesco, per farne un piacevole film spettacolare : per quanto bravo sia il chirurgo, cioè il regista, il paziente, cioè l'acre genio satirico di Machiavelli, dovrà comunque soccombere.

Ho ii sospetto che il produttore Alfredo Bini abbia fatto questo film, non per anelito culturale, ma per il gusto beffardo di approfittare di un solido alibi per smerciare una grassa vicenda blasfema e inoltre rivelare le più intime bellezze di sua moglie Rosanna Schiaffino, costringendo alla cuccia i ringhiosi censori bigotti (chi oserebbe infatti mostrarsi tanto retrogrado da condannare come inutilmente triviale un film tratto dal sanguigno capolavoro di Machiavelli?, nessuno, certo, tranne lo stesso Machiavelli se fosse vivo).

Avvalora l’alibi, inoltre, la regia di Alberto Lattuada, il più colto dei nostri registi. Lattuada, a parte alcuni film «suoi», genuini, che restano fra i più validi del cinema italiano, ha sempre raggiunto, anche quando ha affrontato senza intima partecipazione imprese decisamente commerciali, buoni risultati, almeno formali, senza mai perdere la misura di un gusto e di un ingegno sicuri. Di fronte a questa sua ultima fatica, quindi, viene spontaneo, capovolgendo il famoso motto di Machiavelli, porre il quesito se il mezzo giustifica i fini, se, cioè la regia di Lattuada riesce a riscattare i fini di grossolana speculazione, dandoci un film valido e decoroso.

Da un punto di vista formale, sì, tutto sommato. Nel film ci sono sequenze bellissime e non poche invenzioni squisite. Ma ha pur dovuto arricchire di spunti comici il troppo essenziale intreccio della commedia. Il risultato è che alla fine si ha l'impressione che di Machiavelli sia rimasta, forse, la sguaiata ribalderia, ma non il sarcasmo feroce e la disperata amarezza. Quando Romolo Valli ( che è messer Nicia) pretende da Rosanna Schiaffino (la sua consorte Lucrezia) il liquido organico da sottoporre alle analisi del falso medico Callimaco, ci scordiamo di Machiavelli e ci ricordiamo, non senza disagio, dei grotteschi controlli «antidoping» cui sono sottoposti i calciatori dopo le partite. La cura dei mattoni arroventati è soltanto un pretesto perchè Rosanna Schiaffino si esibisca in una specie di danza del ventre che, l’avesse fatta la pudica Lucrezia di Machiavelli, sarebbe morta di vergogna. Quando Callimaco paga per vedere Lucrezia al bagno attraverso una fessura ci vengono in mente le squallide barzellette sulle cabine coi buchi (nonostante la sequenza del bagno sia cinematograficamente stupenda ).

Il film, comunque, è realizzato con grande abilità. Al punto che uno spettatore sprovveduto, che ignorasse la esistenza della commedia da cui è liberamente ricavato, potrebbe giungere a questa paradossale considerazione : il regista è bravo, peccato che avesse fra le mani un soggetto grossolano e inverosimile, quindi diamo un bel sette a Lattuada, ma quattro a quel certo Machiavelli che ha scritto il soggetto.

E gli attori? Totò, nel ruolo di fra Timoteo, fa ridere (e non dovrebbe assolutamente far ridere). Romolo Valli, pur bravo, ha un’aria troppo intelligente e smaliziata perchè si possa credere al suo agire da babbeo. Il più a posto è Philippe Leroy, nel ruolo di Callimaco, proprio perchè Callimaco, nella commedia, è personaggio inconsistente mentre nel film acquista una sua autonoma dimensione (una sorpresa è Nilla Pizzi, bravissima nel ruolo di Sostrata, la madre della pudica Lucrezia).

Ma e Rosanna Schiaffino? E’ bellissima. Ma come attrice? Bah, al massimo posso dire che è più brava di Claudia Cardinale (speriamo che lo prenda per un complimento).

Luigi Cavicchioli, «La Domenica del Corriere», 12 dicembre 1965


Machiavelli sullo schermo

Anche a Machiavelli, dunque, gli onori dello schermo: per opera del regista Alberto I.attuada, La Mandragola è diventata un film in bianco e nero, che da oggi viene presentato a Torino. Non occorre specificare le caratteristiche d'un testo teatrale cosi noto: basterà ricordare che in esso il Machiavelli narra da par suo la storia di Nicia, notaro ricco quanto ingenuo della Firenze rinascimentale, sulla cui bellissima sposa, Lucrezia, ha posto gli occhi Callimaco, play-boy del secolo XVI.

Con l'aiuto di un astuto parassita e d'un frate senza fede, il giovane ordisce un boccaccesco intrigo grazie al quale la virtuosa Lucrezia, con raffinata furberia, è sottratta al talamo coniugale. I ruoli sono così distribuiti: Lucrezia, Rosanna Schiaffino; Nicia, Romolo Valli; Callimaco, Philippe Leroy; il frate: Totò; la madre di Lucrezia, Nilla Pizzi; il parassita, Jean-Claude Brialy.

«Stampa Sera», 13-14 gennaio 1966


«Il Messaggero» - 8 marzo 1966 - Candidatura di Totò ai Nastri d'argento come "attore non protagonista" nel film «La mandragola»


Visto uno straordinario Totò in un'antologia di Lattuada
Era in una sequenza della «Mandragola» tagliata dal regista stesso in sede di montaggio

Alghero, giovedì sera.

Valeva la pena di partecipare al meeting di Alghero del cinema — a parte la cordialità della riunione e la bellezza del luogo — per avere l'occasione di vedere, una sequenza inedita, contenuta nell'antologia dedicata a Lattuada, che il regista dovette tagliare da La mandragola per ragioni di ritmo.

Si tratta del «dialogo della morte» ed è uno straordinario monologo, detto da Totò (Fra Timoteo) in una cripta di mummie, tutti frati. Il frate si pente del male che ha fatto e chiede perdono a Dio, salutando i fratelli morti prima di uscire con un «a presto» che a noi ora tuona profetico. Lattuada ha voluto stampare tre copie di questo brano e regalarle alle cineteche di Parigi, Bruxelles e Milano. Abbiamo chiesto al regista — arrivato con la moglie, Carla Del Poggio (è straordinario averla vista nell'antologia di film di 20 anni fa e rivederla fra noi, snella, giovane, truccata con gran sobrietà: — quale dei brani avrebbe salvato. «Difficile dirlo, sono tutti miei figli. Certo, rivedendoli, penso che avrei potuto far meglio, ma sono lo stesso felice dei miei 25 anni di cinema».

«Stampa Sera», 29-30 giugno 1967


Vietato ai minori

Uno sterile moralismo e la paura del sesso, che paralizzano i censori al momento di decidere se un film sarà vietato o meno ai minori, portano a delle sentenze illogiche ed indiscriminate, che vietano ai ragazzi quasi tutte le migliori opere italiane e straniere, lasciando loro l'accesso a film di scarso interesse, di nessun costrutto e privi di legami con il mondo e la vita che li circonda.

Nella parte di Lucrezia, una donna che nell’amore trova la forza di uscire da una rete di ipocrisie e inganni, Rosanna Schiaffino vive una delle più emozionanti esperienze della sua carriera di attrice.

Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXIII, n.12, 6 aprile 1968


La censura

La Commissione di revisione, previa eliminazione di due scene, autorizza il rilascio del nulla osta con il divieto di visione per i minori di 18 anni; il medesimo giudizio verrà confermato in sede di appello.

"La IV Sezione della Commissione di revisione cinematografica preso atto che sono stati effettuati i tagli suggeriti al regista Alberto Lattuada ed Enzo Ocone nella seduta del 29.10.1965 di cui alla lettera 2.11.1965 e precisamente:

1) scena in cui si vede, attraverso una camicia incollata sul corpo, dall'acqua, il seno di una donna;

2) scena in cui attraverso una porta che si apre sì scorge una donna completamente nuda, esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico, con il divieto ai minori dei diciotto anni, in considerazione della trama del film e delle singole scene del film stesso, controindicate alla particolare sensibilità di detti minori."

Domanda di revisione 45944 del 8 novembre 1965


Sono state eliminate le seguenti scene:

1) scena in cui si vede, attraverso una camicia incollata sul corpo, dall'acqua, il seno di una donna;

2) scena in cui attraverso una porta che si apre sì scorge una donna completamente nuda, esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico, con il divieto ai minori dei diciotto anni, in considerazione della trama del film e delle singole scene del film stesso, controindicate alla particolare sensibilità di detti minori."

Roma, 11 novembre 1965


Poiché però la proiezione del film è stata vietata ai minori di anni diciotto, e tale divieto limita notevolmente l'esito dello sfruttamento del film ci permettiamo ora rivolgere appello onde ottenere che il divieto sia limitato ai minori degli anni quattordici. Facciamo presente che il testo classico di Machiavelli entra nelle scuole medie quale lettura usuale e che il film non è che l'esatta illustrazione di tale testo, e non ne amplifica e non ne sfrutta i temi erotici impliciti nel racconto originale.

Il film, per il tono burlesco e grottesco adottato nei punti più scabrosi della storia, non mette in evidenza alcun compiacimento di carattere sessuale, riducendosi ad una garbata satira di costume di un tempo assai lontano dal nostro presente. Tutto ciò anche considerando la unanime opinione del pubblico e della critica che approva i valori culturali dello spettacolo sottolineando inoltre come, "...i valori culturali, critici e gli intenti moralistici dell'opera di Machiavelli, sono messi in luce dal film di Lattuada con particolare serietà e finezza di gusto senza mai slittare sul facile terreno, dell'erotismo....".

Per tutte queste ragioni e per quelle ancor più valide che una nuova visione del film potrà suggerire, rivolgiamo il presente appello. Il produttore ed il regista del film si tengono a disposizione della On.le Commissione per convalidare di presenza i suesposti motivi di appello.

Soc. ARCO FIlm

Roma, 22 novembre 1965


Sì fa riferimento alla domanda presentata da codesta Società in data 22 novembre 1965 intesa ad ottenere, avverso la decisione della Commissione dì 1° grado - ai sensi della legge 21.4.1962, n.161 - il riesame del film in oggetto da parte de la Commissione di revisione cinematografica di II grado. In merito si comunica che, in conformità al seguente parere espresso dalla predetta Commissione di II grado, con decreto ministeriale del 2 dicembre 1965 è stato confermato al film "La Mandragola" il nulla osta di proiezione in pubblico col divieto delia visione per i minori degli anni diciotto.
Si trascrive qui di seguito il citato parere:

"La Commissione di II grado composta dalle Sezioni riunite V e VI riscontrando che la trama del film, di per sé scabrosa, tradotta in linguaggio cinematografico, costituisce spettacolo inadatto ai minori, a maggioranza, conferma la decisione della Commissione di primo grado."

Roma, 6 dicembre 1965


La II Edizione vedrà prima ridotto il limite di età ai minori di 14 anni, poi definitivamente revocato in sede di appello.

Il rappresentante di "Reteitalia" spa [...] CHIEDE

al Ministero del Turismo e dello Spettacolo, al fine di consentire anche ai minori degli anni 18 la visione del film ,"LA MANDRAGOLA", di realizzare, una nuova edizione, attraverso ulteriore alleggerimento della scena nel bagno pubblico femminile, per un totale di metri 8,20 che vanno ad aggiungersi ai tagli per metri 10 disposti nel 1965 dalla stessa Commissione di 1° grado. Come noto, il film - realizzato nel 1965 dal regista Alberto Lattuada - è la trasposizione cinematografica della famosa commedia di N. Macchiavelli, il cui contenuto è ben noto ai minori degli anni 18, in quanto trattasi di testo correntemente adottato nei programmi scolastici come supporto allo studio della letteratura italiana del '500.

Tenuto conto della vetustà del film e degli elementi di giudizio espressi nel 1965 dalla Commissione di 1° grado, si ritiene che gli ulteriori tagli effettuati abbiano depurato completamente il film delle componenti narrative che, a suo tempo, determinarono il divieto, così da consentire oggi - a distanza di quasi 30 anni dalla sua prima uscita in pubblico - la visione della nuova edizione anche ai predetti minori.

Nel merito, è stata ulteriormente alleggerita la scena - già parzialmente tagliata nella prima edizione del film - in cui Callimaco, in compagnia di altri uomini, osserva attraverso uno spioncino alcune dame che fanno il bagno. Talché, in virtù dei complessivi tagli effettuati, la nuova edizione di "LA MANDRAGOLA" può ricondursi, più obiettivamente, nel vasto filone delle opere cinematografiche italiane degli anni '80, la cui visione, data la loro vetustà e la mancanza di elementi scenico/narrativi particolarmente pregiudizievoli, consentita, ormai, comunemente anche ai predetti minori degli anni 18, attraverso i canali del cinema e della televisione.

Al riguardo, inoltre, si ritiene opportuno esprimere le seguenti considerazioni:

- a seguito dei complessivi tagli effettuati, la nuova edizione di ,"LA MANDRAGOLA" ha perduto la maggior parte delle immagini che, all'epoca, determinarono sostanzialmente il divieto; cosicché, il nuovo impianto narrativo privilegia gli aspetti più manifestamente comico/farseschi della trama e dei personaggi in essa rappresentati;

sotto il profilo scenico/narrativo, la vetustà del film - che risale come già detto al 1965 - lo rende superato (a maggior ragione dopo i complessivi tagli effettuati) rispetto alle numerose opere cinematografiche italiane attuali dello stesso tenore, la cui visione è consentita correntemente anche ai predetti minori - si vedano al riguardo, i tanti film interpretati dai vari Benigni, Troisi, etc. tra i quali segnaliamo "Non ci resta che piangere" ugualmente ambientato nel ’ 500 - e nei quali situazioni analoghe a quelle descritte in "LA MANDRAGOLA" (approcci erotici, tradimenti, etc.) vengono rappresentate, spesso con indulgenza e compiacimento di immagini e di dialogo, attraverso scene ben più articolate e realistiche;

- parimenti, la vetustà del film lo rende superato - a maggior ragione dopo i tagli effettuati - rispetto ai profondi mutamenti di costume intervenuti in questo lunghissimo lasso di tempo, con la conseguente evoluzione dei concetti di "buon costume" e "comune senso del pudore";

Alla luce di quanto sopra, tenuto conto della vetustà del film e dei complessivi tagli effettuati, si chiede l'eliminazione, o in subordine l'abbassamento, del divieto di visione deliberato nel 1965.

Roma, 27 luglio 1992


RISPETTO ALLA PRECEDENTE EDIZIONE SONO STATE APPORTATE LE SEGUENTI MODIFICHE:

1a Parte: - ulteriore alleggerimento scena in cui Callimaco, in compagnia di altri uomini, osserva da uno spioncino alcune dame che fanno il bagno seminude.

TOTALE TAGLI METRI 8,20 35mm

TOTALE FILM DOPO I TAGLI METRI 2684 IN 35mm

Domanda di revisione 87918 del 18 dicembre 1992


Si fa riferimento alla domanda presentata da codesta Società il 27-07-1992 intesa ad ottenere - ai sensi della legge 21.4.1962 n. 161 - la revisione del film in oggetto da parte della Commissione di revisione di 1° grado. In merito si comunica che in esecuzione del parere espresso dalla predetta Commissione, parere che è vincolante per l'Amministrazione (art. 6, terzo comma, della citata legge n. 161), con decreto ministeriale del 18-12-1992 è stato concesso al film "LA MANDRAGOLA" 2a edizione il nulla osta di proiezione in pubblico con il divieto di visione per i minori degli anni quattordici.

Si trascrive, qui di seguito, il citato parere:

"La Commissione di revisione cinematografica, visionato, il film, presentato in 2a edizione, considerati gli ultimi tagli apportati, esprime all'unanimità parere favorevole al nulla osta con divieto per i minori degli anni quattordici, ritenendo pur sempre controindicata la trama del film (sia narrativa che immaginativa) alla particolare sensibilità di detti minori".

Roma, 18 dicembre 1992


La II Edizione vedrà definitivamente revocato in sede di appello.

La sottoscritta RETEITALIA spa, come rappresentata, propone appello avverso il citato decreto per i seguenti motivi:

- il parere con cui è stato deliberato il divieto di visione per i minori degli anni 14 appare oggettivamente punitivo rispetto a quello del 1965 con cui il film fu vietato ai minori degli anni 18. Esso, infatti, fa riferimento ad un elemento strutturale del film, quale rimpianto narrativo, che incentrato, come noto, sulla beffa ordita ai danni di un ingenuo marito da parte di un gruppo di persone, non risulta dissimile da quelli di numerose commedie all'italiana di oggi, la cui visione è consentita comunemente anche ai predetti minori degli anni 14 e nelle quali situazioni di racconto analoghe a quelle rappresentate in "LA MANDRAGOLA" (scherzi, incontri amorosi, etc.) vengono descritte attraverso scene ben più articolate e realistiche, spesso con indulgenze e compiacimenti di immagini e di linguaggio;

- il citato parere risulta, inoltre, incomprensibile laddove fa riferimento ad una non meglio individuata "trama immaginativa" soprattutto dopo che, a seguito dei tagli effettuati, risulta assente l'elemento visivo rappresentato dalle immagini di nudo femminile, oggettivamente ben più turbativa per la sensibilità dei suddetti minori;

- la Commissione, infine, non sembra aver tenuto conto alcuno della vetustà del film e dei profondi mutamenti di costume intervenuti nella società italiana in questo notevole lasso di tempo - quasi trenta anni dalla prima uscita in pubblico del film - con la conseguente evoluzione dei concetti di "buon costume" e "comune senso del pudore" anche in riferimento ai minori predetti.

Per questi motivi, si chiede che la Commissione di 2° grado voglia riesaminare più serenamente la nuova edizione di questa trasposizione cinematografica della nota e popolare commedia di N. Macchiavelli e decretare l'eliminazione del divieto di visione ai minori degli anni 14. Con osservanza.

Roma, 13 gennaio 1993


Si fa riferimento alla domanda presentata da codesta Società il 13.1.1993 intesa ad ottenere - ai sensi della legge 21/4/1S62 n. 161 - la revisione del film in oggetto da parte della Commissione di II grado. In merito si comunica che in esecuzione del parere espresso dalla predetta Commissione, parere che è vincolante per l'Amministrazione (art. 7 della citata legge n. 161), con decreto ministeriale del 30 maggio 1994 è stato concesso al film: "LA MANDRAGOLA" 2a edizione il nulla osta di proiezione in pubblico senza limiti di età.

Si trascrive, qui di seguito, il citato parere:

"....La Commissione di revisione cinematografica di II grado, visionato il film, presentato in 2a edizione, all’unanimità, considera che la trama raccontata peraltro in forma satirica, evidenzia una realtà che non va nascosta all'essere umano di qualsiasi età, che anzi può essere istruttiva per regolarsi per una identificazione futura, al di là di ogni immaginazione Ciò porta a ritenere che la sensibilità dei minori, oltretutto nell'epoca attuale ad usi a conoscere fatti di cronaca quotidiana più che satirici tragici, non potrà essere influenzata negativamente dalla visione del film in una situazione di normalità. In conclusione esprime parere favorevole alla concessione del nulla osta per la visione in pubblico senza limiti di età".

Roma, 31 maggio 1994


La III Edizione, nella quale è inserita una nuova scena, sarà nuovamente autorizzata senza alcuna limitazione.

Il legale rappresentante della MEDIASET SPA con sede a Cologno Monzese (MI) V.le Europa, 44 - titolare dei diritti di sfruttamento del film "LA MANDRAGOLA” NUOVA VERSIONE (come da contratto che si allega) CHIEDE al Ministero per i Beni e le Attività Culturali la revisione della NUOVA VERSIONE del film “LA MANDRAGOLA” nella quale, rispetto alla edizione del 1965, è stata inserita la scena inedita:

- soliloquio di Toto’ con le mummie nel sepolcreto - circa l’,21” (inserito a T.C. 1:03’:10” circa).

Al riguardo la istante si chiede che la Commissione di Revisione - a distanza di ben 37 anni dalla prima uscita del film nelle sale - voglia concedere il nulla osta per la visione in pubblico senza limiti d’età in considerazione dei seguenti elementi:

- dei profondi mutamenti di costume intervenuti nella società italiana in questo sensibile lasso di tempo;

- l’assenza nella NUOVA VERSIONE del film di elementi scenico\narrativi suscettibili di recare turbamento alla sensibilità dei minori in età evolutiva dell’epoca che volge.

Cologno Monzese, 5 ottobre 2002


RISPETTO ALLA PRECEDENTE EDIZIONE E' STATA INSERITA LA SEGUENTE SCENA - soliloquio di Totò con le mummie nel sepolcro - circa 1'21"

Domanda di revisione 96612 del 9 ottobre 2002


Documenti censura del film La mandragola, 1965 - I Edizione - Direzione Generale Cinema

1965 La mandragola 2Documenti censura del film La mandragola, 1965 - II Edizione - Direzione Generale Cinema

1965 La mandragola 3Documenti censura del film La mandragola, 1965 - III Edizione - Direzione Generale Cinema

1965 La mandragola 4Documenti censura del film La mandragola, 1965 - Presentazione I Edizione - Direzione Generale Cinema

 


I documenti

1965 La mandragola set 001 L


La predica: Un frate predica veementemente contro il peccato di lussuria e la corruzione della carne, con le divertenti reazioni di un macellaio ed un vecchio moribondo.
Le terme: Callimaco viene a sapere da Siro che Lucrezia è solita andare alle terme ogni venerdì pomeriggio e fare il bagno nuda. Il giovane vi si reca e paga il bagnino Ugolino per accedere ad un corridoio segreto che separa i bagni degli uomini e quello delle donne, con tanto di buchi nel muro per i guardoni. La nudità di Lucrezia causa tanta ilarità nei bagnanti che essi finiscono per sfondare la parete, finendo dritti nel bagno delle donne
Le cure mediche: Contrariamente a quanto avviene nell'opera teatrale, vengono rappresentati gli strambi tentativi per guarire Lucrezia dalla sterilità, quali il sasso bollente o il bagno nel pepe indiano.
L'androgino: Per evidenziare la credulità della gente comune a cui Nicia appartiene, Lattuada rappresenta il falso miracolo di una donna trasformata per metà in uomo da Dio per salvarla da uno stupratore. Questo falso miracolo è in realtà l'inganno di un truffatore per estorcere denaro dalla folla

Il negromante: L'idea di Ligurio di utilizzare la storia della mandragola è giustificata nel film dall'incontro in campagna con un negromante, che estrae la pianta e ne descrive le virtù terapeutiche e magiche
L'urina di Lucrezia: Svuotata erroneamente l'ampolla di urina per le analisi mediche, Callimaco la utilizza per dare maggiore credibilità a Nicia assaggiandone il nuovo contenuto: del vino di cattiva annata versato poco prima da Siro
Il ritrovamento: Prima dell'incontro con fra Timoteo, Lucrezia e Sostrata assistono al ritrovamento di una statua di Apollo. Questa scena mette in risalto il tema del corpo come scoperta e miglioramento dell'individuo contrapposto alla condanna cristiana del corpo come peccato
Il poeta e l'incappucciato: Il conflitto amoroso della scena IV dell'atto IV viene ad essere sostituito da una scena giocosa che contempla la presa in giro di un rimatore di piazza ed un povero incappucciato, che crede essere il destinatario dei trecento fiorini per fra' Timoteo
Totò e i teschi: Fra' Timoteo scende nelle catacombe ove sono conservati i suoi vecchi fratelli, a cui parla ed accende diverse candele. Questa scena - della durata originaria di due minuti e mezzo - è stata inizialmente scartata in fase di montaggio e poi reinserita molti anni dopo in forma ridotta.
La notte del travestimento: Se nell'opera teatrale il "rapimento" di Callimaco avviene senza problemi, nel film passa attraverso due incidenti: l'aggressione ad un passante e l'incontro col bargello, che viene evitato facendo credere Callimaco un indemoniato.


Premi e riconoscimenti

1967 - Premi Oscar
Nomination Oscar ai migliori costumi a Danilo Donati
1966 - David di Donatello
Targa d'oro a Rosanna Schiaffino
1966 - Nastro d'argento
Nomination Migliore attrice protagonista a Rosanna Schiaffino
Nomination Migliore attore non protagonista a Totò
Nomination Migliore attore non protagonista a Romolo Valli


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Commedia in costume girata da Alberto Lattuada con grande eleganza, tradisce in parte lo spirito originale del capolavoro teatrale di Machiavelli. Viene infatti in parte perduta la sottile e raffinata critica dei costumi del tempo per diventare in parte una commedia boccaccesca in cui i tempi comici superano quelli puramente ironici e satirici. Il film è comunque molto gradevole grazie al carisma e alla bravura di quasi tutti i suoi interpreti da Romolo Valli, a Leroy fino al grande Totò bravo nella parte di fra Timoteo.
    I gusti di Galbo (Commedia - Drammatico)

  • Versione contenutisticamente fedele della celebre commedia di Machiavelli, ma di fatto impoverita da un'idea di raccontino para-boccaccesco, con molti inserti aggiunti banalizzanti, e soprattutto con una narrazione estenuante e per nulla incisiva. Lo sforzo per la ricostruzione non è male, ma un tale dispendio di bravi attori e professionalità avrebbe meritato una sceneggiatura più rigorosa e una regia più incalzante, insomma un film più bello. Nella mediocrità complessiva si staglia Totò, a cui basta uno sguardo o una smorfia per incantare.
    I gusti di Pigro (Drammatico - Fantascienza - Musicale)

  • Còlto nei suoi aspetti più licenziosi e beffardi e riportato fedelmente nel lessico e in taluni dialoghi, il testo di Machiavelli è eletto a nobile progenitore del filone boccaccesco, per il quale Lattuada inventa sorridenti scene erotiche destinate a far scuola: dalle donne seminude spiate alle terme fino alla ripresa dell’intimità del talamo. I personaggi originali rivivono in interpreti capaci e coinvolgenti – un misurato Totò, il gagliardo Leroy, l’astuto “pappatore” Brialy, il credulone Valli - mentre l’elegante b/n e arditi primi piani magnificano la carnosa anatomia della Schiaffino.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Fra’ Timoteo/Totò dialoga con gli scheletri dei confratelli.
    I gusti di Homesick (Giallo - Horror - Western)

  • Bella trasposizione del capolavoro teatrale di Machiavelli che ben si adatta alla visione estetica e materiale (carnale) del suo autore. Gradevole e divertente, vive alcuni momenti molto buoni e può contare su una confezione particolarmente riuscita: in particolare merita un plauso la fotografia di Tonino Delli Colli. Notevole la prova di Totò che interpreta frà Timoteo.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena delle mummie.
    I gusti di Cotola (Drammatico - Gangster - Giallo)

  • Dal capolavoro cinquecentesco di Machiavelli, L. ricava una commedia all'italiana in costume in cui gli aspetti boccacceschi prevalgono su quelli satirici ma senza che sfumi del tutto l'amara morale/immorale della storia. Schiaffino, assai bella, risulta un poco impacciata, nel ruolo della moglie virtuosa costretta con un raggiro a cornificare il marito, ma il resto del cast è assai funzionale, con le punte di diamante costituite da Romolo Valli e Totò, rispettivamente lo sciocco messer Nicia e lo scaltro Frà Timodeo.
    I gusti di Daniela (Azione - Fantascienza - Thriller)

  • Piacevole commedia che anticipa, per temi, atmosfere e ambientazioni, il filone decamerotico che prenderà il via qualche anno più tardi (non a caso la commedia di Machiavelli da cui è tratto il film riprende in gran parte una novella del Decameron di Boccaccio). Lattuada non riesce a sfruttare l'ambientazione (potenzialmente affascinante) della Firenze rinascimentale, ma dirige il tutto con abilità, rendendo il film svelto e divertente. Discreto Philippe Leroy, bravi Rosanna Schiaffino e Romolo Valli, ottimo Totò. Niente male.
    I gusti di Deepred89 (Commedia - Drammatico - Thriller)

  • Commedia in costume simpatica e briosa, che sembra quasi anticipare il filone decamerotico degli anni settanta, sebbene con più classe e meno volgarità. Il cast poi è in stato di grazia: i francesi Leroy e Brialy sono due mascalzoni perfetti, Valli gigioneggia nel ruolo dello sciocco da far becco e la Schiaffino è all'apice della bellezza. A tutto questo si aggiungono la divertente partecipazione di Totò, i bei costumi e la buona ricostruzione storica. Da vedere.
    I gusti di Rambo90 (Azione - Musicale - Western)

  • Partendo dall’opera omonima di Machiavelli e con l’aiuto di una compagine di attori di sicuro valore, Lattuada si cimenta in un compito non facile. Chi conosce il testo di partenza probabilmente si accorgerà che qualcosa manca all’appello, mentre gli altri troveranno modo di apprezzarne i contenuti, anche se il registro si avvicina alla farsa (alleggerita, pertanto, del peso originale). Ruolo insolito per Totò che non demerita affatto, malgrado abbia smesso la maschera di comico per un personaggio dall’animo non proprio integerrimo.
    I gusti di Minitina80 (Comico - Fantastico - Thriller)

  • Insieme a L'arcidiavolo di Scola (e, in misura minore, a Le piacevoli notti di Crispino e a "Una vergine per il principe" di Campanile) questo di Lattuada è senz'altro uno dei migliori film "boccacceschi" degli anni '60 (e uno dei meglio riusciti tout-court). Regia elegante, scenografie e costumi molto curati, interpreti affiatati (la Schiaffino è al massimo della sua bellezza) e un Totò come ciliegina sulla torta nel ruolo di frà Timoteo. Da recuperare assolutamente in dvd.
    I gusti di R.f.e. (Avventura - Azione - Erotico)

  • Pre decamerotico d'autore, nobilitato dalla finezza di tratto con cui Lattuada riesce abilmente ad evitare più di un possibile scivolone nella commediaccia. Certamente, tolta l'elegante confezione, cui contribuiscono il bel bianco e nero di Tonino Delli Colli e l'appropriata musica di Marinuzzi, non c'è molto altro: non si va al di là di una maliziosa commedia degli equivoci con l'alibi del riferimento culturale "alto" all'omonimo testo del Machiavelli. Da togliere il sonno la Schiaffino, bravi Leroy, Valli e Nilla Pizzi, straordinario Totò.
    I gusti di Ronax (Drammatico - Erotico - Thriller)

La mandragola

Il testo teatrale

Il film

Canzone iniziale. Prologo.

Sui titoli di testa: Parigi1500. Inuna festa goliardica Callimaco ha saputo di Lucrezia, della sua bellezza e della sua serietà.

 

Callimaco e il servo Siro tornano a Firenze. Sono tempi di predicazione e di inviti a pentirsi per i peccati. Callimaco tenta inutilmente di accostarsi a Lucrezia.

Callimaco racconta al servo Siro le sue pene d'amore. Ha saputo a Parigi di Lucrezia, se n'è invaghito, sta cercando di farla sua con la complicità dell'astuto Ligurio.

 
 

Il servo Siro suggerisce di tentare l'approccio ai bagni termali. Tra l'altro, pagando, è anche possibile spiare nel reparto in cui fanno il bagno le donne. Nicia scopre il gruppo dei guardoni e provoca la caduta della parete divisoria e il caos.

 

Callimaco spia gli inutili tentativi di Nicia (sassi roventi sul corpo) per la gravidanza della moglie.

 

Lo scroccone Ligurio promette a Callimaco un aiuto dietro adeguata ricompensa.

Ligurio sta cercando di convincere Nicia sul beneficio che la moglie, che non riesce a rimanere incinta, può avere andando in qualche luogo d'acque termali.

Ligurio cerca di convincere Nicia sul beneficio che la moglie può avere andando in altri luoghi d'acque termali.

 

Ligurio e Callimaco s'imbattono in un dottore ricercatore di mandragola. Sentono da lui gli effetti miracolosi della pianta.

Ligurio medita l'inganno nei confronti di Nicia.

Ligurio medita l'inganno nei confronti di Nicia.

Con la complicità di Ligurio e Siro, Callimaco finge di essere un dottore e dà a Nicia il consiglio di fare bere alla moglie una pozione di mandragola..

Con la complicità di Ligurio e Siro, Callimaco finge di essere un dottore e si reca a casa di Nicia.

 

Nicia procura al "dottor" Callimaco l'urina di Lucrezia.

Per evitare il pericolo di morte, Nicia deve far giacere uno sconosciuto al posto suo.

Ligurio e Callimaco consigliano Nicia: deve fare bere alla moglie una pozione di mandragola.

Per evitare il pericolo di morire entro sette giorni deve far giacere uno sconosciuto al posto suo.

Ligurio si rivolge alla madre di Lucrezia: bisogna coinvolgere fra Timoteo per convincere Lucrezia.

Ligurio e Nicia si rivolgono alla madre di Lucrezia: bisogna coinvolgere fra' Timoteo per convincere Lucrezia.

Ligurio si mette in contatto con Fra' Timoteo, il quale, pur di entrare in possesso di 300 ducati, si sta prestando a fare abortire una ragazza.

Ligurio si mette in contatto con Fra' Timoteo, che sta spillando denari ad una vecchietta.

 

Espediente della "sordità" di Nicia.

Ligurio coinvolge Fra' Timoteo "per un fine migliore": fare avere figlioli a Lucrezia.

Ligurio coinvolge Fra' Timoteo "per un fine migliore": fare avere figlioli a Lucrezia.

 

Lucrezia e la madre si recano da Fra' Timoteo. Lungo il tragitto si fermano ad osservare il ritrovamento di una statua antica.

Fra' Timoteo convince Lucrezia al rito della mandragola.

Fra' Timoteo convince Lucrezia al rito della mandragola.

Ligurio porta la notizia a Callimaco: fra' Timoteo è riuscito a convincere Lucrezia.

Ligurio porta la notizia a Callimaco: fra' Timoteo è riuscito a convincere Lucrezia.

Nuovo problema: come farà Callimaco a sostenere il ruolo del viandante se deve fare parte della comitiva?

Intuizione di Ligurio: mascherarsi tutti e fare interpretare a Fra' Timoteo la parte di Callimaco.

Nuovo problema: come farà Callimaco a sostenere il ruolo del viandante se deve fare parte della comitiva?

Intuizione di Ligurio: mascherarsi tutti da frati e fare interpretare a Fra' Timoteo la parte di Callimaco.

 

Fra' Timoteo nel cimitero del convento. Promette "ceri per tutti".

Callimaco manda Siro da Nicia con la pozione di mandragola.

Callimaco manda Siro da Nicia con la pozione di mandragola.

Convegno tra Ligurio, Callimaco, Siro e fra' Timoteo travestito.

Ligurio e fra Timoteo vanno da Callimaco, già travestito da poveraccio.

 

Nicia, con enorme difficoltà, riesce a convincere la moglie. Lucrezia beve un'innocua tisana.

L'arrivo di Nicia travestito e la sua dabbenaggine. Non riconosce Fra' Timoteo travestito da Callimaco.

L'arrivo di Nicia travestito e la sua dabbenaggine. Non riconosce Fra' Timoteo travestito da Callimaco.

 

I quattro attraversano la città. S'imbattono in alcune prostitute.

 

Agguato ad un poveraccio: è l'uomo sbagliato. L'uomo fugge, sbatte la testa, muore.

L'agguato a Callimaco travestito da garzonaccio.

L'agguato a Callimaco travestito da garzonaccio.

 

L'incontro imprevisto con le guardie. Messa in scena di Callimaco indemoniato.

 

Callimaco è condotto da Lucrezia.

 

Vari stati d'animo nella notte. L'attesa di Nicia e della madre di Lucrezia, l'abbuffata di Ligurio e Siro, le schermaglie d'amore di Callimaco.

 

Callimaco rivela l'imbroglio a Lucrezia.

I due diventano amanti.

 

Siparietto di Fra' Timoteo nella sagrestia mentre rimprovera i chierici.

Il giorno dopo: il garzonaccio-Callimaco è sbattuto fuori dalla casa di Nicia.

Il giorno dopo: il garzonaccio-Callimaco è sbattuto fuori dalla casa di Nicia.

Nicia racconta come si sono svolti i fatti la notte precedente. E' felice.

Nicia è felice. Sua moglie sembra completamente guarita.

Callimaco racconta come si sono svolti i fatti durante la notte. La sua intesa con Lucrezia.

 

Tutti vanno in chiesa a ringraziare Dio

Tutti vanno in chiesa a ringraziare Dio.

 

Incontro con Callimaco. Invito a pranzo da parte di Nicia. Meglio: su proposta di Lucrezia, Nicia consegnerà a Callimaco la chiave di casa.

Fra' Timoteo accoglie tutti e licenzia gli spettatori.

 
   

Tra la "discreta eleganza" e la "rilettura banale" sembrerebbe inutile cercare di trovare una via di mezzo. Eppure, se si legge la commedia di Machiavelli e, in rapida successione, si vede il film di Lattuada, si nota come i due giudizi critici riportati possano, per aspetti diversi, essere entrambi condivisi.

In massima parte, come si può notare dal confronto sopra riportato, i due testi coincidono. Le divergenze del film, che Mereghetti giudica "rilettura banale", sono per Morandini "un'ambigua consapevolezza". In realtà, invece, siamo di fronte a due testi che rivelano il diverso mestiere degli autori. Machiavelli non può permettersi, in un testo da realizzare con povertà di mezzi, né troppe scenografie, né veloci cambi di scena. Per questo deve ricorrere al "racconto" dei personaggi (Callimaco che racconta a Siro le sue pene d'amore, Nicia e Callimaco che raccontano le due versioni dell'incontro d'amore) e lasciare la ricostruzione dei fatti alla fantasia degli spettatori. Lattuada, invece, ha dalla sua parte la possibilità di "far vedere" quello che avviene e quello che si può supporre che sia avvenuto (la predicazione a Firenze, l'incontro con il ricercatore di mandragola, l'incontro d'amore tra Callimaco e Lucrezia). La libertà di trasposizione lo porta, poi, ad inventare scene inesistenti nel testo: la scena dei bagni termali, l'espediente della sordità di Nicia, il ritrovamento della statua antica, l'agguato all'uomo sbagliato.

Una nota a parte merita, infine, il personaggio di Fra' Timoteo.

Machiavelli non aveva a disposizione un attore come Totò; se lo avesse avuto, probabilmente, l'avrebbe sfruttato come Lattuada: creandogli deliziosi siparietti, tic, soliloqui spassosi come quello al cimitero del convento dove promette "ceri per tutti" se l'operazione non proprio in linea con la sua missione di religioso andrà a buon fine.


A casa de Curtis si discute del copione

Foto © Archivio Famiglia Clemente


Le incongruenze

  1. "La mandragola" del Macchiavelli è ambientata nel XVI° secolo, quando ancora il vaiolo non si sapeva che cosa fosse... ma in questa versione si presenta la Protagonista femminile ROSANNA SCHIAFFINO con visibile, notare il braccio incriminato, la cicatrice del vaccino antivaiolo !Tuttavia, mi preme fare, ad onor del vero, una precisazione. Ho parlato, per motivi di ricerca, con la segretaria di edizione del film in questione. Ella mi spiegava che non sfuggì il problema, ma per motivi tecnici, si scelse, a malincuore, di mantenere visibile l'errore (infatti per 30 anni il pubblico non se ne è accorto anche se è ben evidente), perchè, nessuna soluzione di effetto speciale, trucco, od altro, avrebbe "coperto" la cicatrice senza danneggiare l'insieme dei fotogrammi fotografati dall'operatore di macchina.

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo.

1965 La mandragola 02

Il muro del palazzo dove abita Lucrezia (Schiaffino) e dal quale salta Callimaco (Leroy) dopo aver spiato la donna mentre questa usciva di casa nella finzione è a Firenze mentre nella realtà si trovava in Via Santa Chiara ad Urbino (Pesaro-Urbino). Demolito, oggi al suo posto c’è il lato di Piazza Pompeo Gherardi aperto su Via Santa Chiara. Fra i tre fotogrammi non ci sono stacchi; la chiesa che si vede sullo sfondo dell'ultimo oggi non si nota perchè nascosta dalla vegetazione.

1965 La mandragola 03

1965 La mandragola 04

Infine segnalo che il muro non è posticcio, perchè il primo fotogramma evidenzia dei mattoni posti a cavallo del muro e del palazzo con la porta B

1965 La mandragola 02

1965 La mandragola 02

La piazza di Firenze dove avviene il finto rapimento di Callimaco (Leroy), travestitosi da mendicante per far credere a messer Nicia (Valli) che a congiungersi con la moglie Lucrezia (Schiaffino) sarebbe stato un pezzente e non Callimaco stesso è Piazza San Pellegrino a Viterbo

1965 La mandragola 02

1965 La mandragola 02

Nella stessa piazza, ripresa dalla prospettiva opposta, è stata girata una scena secondaria, la predica in piazza alla quale assistono anche Lucrezia e Callimaco.

1965 La mandragola 02

1965 La mandragola 02

La piazza fiorentina dove, il mattino successivo la fatidica notte di sesso tra Callimaco (Leroy) e Lucrezia (Schiaffino), il baldo giovanotto ritrova la donna assieme al marito messer Nicia (Valli), che lo ringrazierà per aver guarito la moglie dalla sterilità è Piazza Duca Federico ad Urbino (Pesaro-Urbino). Leroy attendeva l’arrivo di messer Nicia e dei congiunti sotto il porticato del duomo (A)

La mandragola (1965) - Biografie e articoli correlati

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Riferimenti e bibliografie:
  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • L.,L.,M. Morandini, Il Morandini Dizionario dei film, Zanichelli
  • Paolo Mereghetti, Dizionario dei film, Baldini & Castoldi
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
  • Foto © Archivio Famiglia Clemente

Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:

  • Ugo Casiraghi, «L'Unità», 1965
  • Al. Cer., «Corriere della Sera», 15 maggio 1965
  • «Stampa Sera», 27-28 maggio 1965
  • «Il Messaggero», 28 maggio 1965
  • Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 10 luglio 1965
  • Carlo Laurenzi, «Corriere della Sera», 31 luglio 1965
  • R.R., «Noi Donne», anno XXI, n.32, 7 agosto 1965
  • l.m., «L’Avanti», 20 novembre 1965
  • Gian Luigi Rondi, «Il Tempo», 20 novembre 1965
  • Bir., «Il Messaggero», 20 novembre 1965
  • Franco Tosi, «La Gazzetta di Mantova», 25 novembre 1965
  • Tullio Kezich, «La Settimana Incom Illustrata», 12 dicembre 1965
  • Luigi Cavicchioli, «La Domenica del Corriere», 12 dicembre 1965
  • «Stampa Sera», 13-14 gennaio 1966
  • «Stampa Sera», 29-30 giugno 1967
  • Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXIII, n.12, 6 aprile 1968