Alberto Lattuada: «la nostra unione è come un campo minato»

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Così dicono Carla Del Poggio e Alberto Lattuada, sposati ormai da diciotto anni e sempre profondamente legati, nonostante il temperamento irrequieto del regista milanese e la sua proclamata inadattabilità ai legami ed alle responsabilità familiari

Roma, gennaio

Il più famoso scopritore di ninfette del nostro cinema è in cucina a preparare una tazza di tè di rose. Sua moglie — gonna scozzese a pieghe e calze di filanca — saltella sulla moquette come una ragazzina: chissà dove diavolo avrà nascosto i suoi trentott’anni, pur di corrispondere ancora all'immagine dell'adolescente ingenua (o falsa ingenua), la sola che ispiri e pungoli il suo non più giovane marito.

«Non è vero che siamo sposati da diciotto anni, o almeno, è vero solo per il calendario; per me no perchè continuo a scoprire cose nuove: non avevo mai visto mio marito affaccendato intorno ai fornelli» dice Carla Del Poggio mentre Alberto Lattuada entra con un gran vassoio in mano e fa pericolosi equilibrismi per non cadere insieme al servizio di porcellana.

«E’ la sola maniera per sopravvivere in un matrimonio oggi — replica lui — conservare sempre qualche zona intatta, qualche isola da scoprire. Altrimenti è una noia mortale».

«Come definirebbe la sua unione con Carla Del Poggio?», domando.

«Un terreno vulcanico». Deve essere proprio così: tanti piccoli terremoti, lava e lapilli sempre in ebollizione, pronti a spargere il caos, ma nessuna scossa mortale. Più di una volta conoscenti e collaboratori del regista hanno parlato di una sua imminente separazione dall’attrice, ma è probabile che fra qualche anno li vedremo festeggiare felici e contenti le loro nozze d’argento e altre più preziose ancora: naturalmente anche quel giorno avranno un piede sull’orlo del terribile cratere e questa sarà la loro salvezza.

1964 01 11 Tempo Lattuada f1I coniugi Lattuada nello stadio della loro casa romana. Carla Del Poggio e Alberto Lattuada si sposarono nel 1945. Il regista, che è laureato in architettura, girò il suo primo film, "Giacomo l’idealista”, nel 1942. La Del Poggio esordi a quindici anni: con "Maddalena zero in condotta” e ”Un garibaldino al convento” si impose come l’ingenua numero uno del cinema italiano.

«Oggi ho letto un articolo su un giornale inglese che mi è piaciuto molto — riprende Lattuada — diceva, in sostanza, che un sano e costruttivo litigio è la base di una solida unione. D’ora in avanti sarà la mia norma di vita».

«Per quali motivi litigate?».

«Per tutto — risponde lui — perchè Carla non è pronta mezz’ora prima dell’inizio di uno spettacolo, per le persone che frequentiamo, per la servitù...».

«Ma il fatto che lei sia il regista italiano più abile nel lanciare giovanissime attrici non ha mai portato burrasche familiari?».

«Eh sì, un po’ sì».

«Ma come, cosa dici? Se te le segnalo io stessa» dice la Del Poggio.

«Questo è vero — riconosce Lattuada: — bisogna riconoscere che Carla è una meravigliosa talent-scout. Però, quando da parte mia ci sono sbandatine sentimentali un po’ di burrasca in casa devo affrontarla».

«Tutte bugie».

«Del resto le sbandatine sono una conseguenza logica: il lancio di una nuova attrice non è un fatto chimico. Un regista incontra uno sguardo, in strada o all’uscita di un liceo, sulla spiaggia o in tram, ma la scoperta in sè non serve a niente: bisogna intrecciare un dialogo con quello sguardo, vedere qual è la sua storia e quali le sue possibilità di linguaggio, farlp vivere insomma».

«Lei non è d’accordo?», domando a Carla Del Poggio che ha aggrottato la fronte.

«Sì, forse è così. Ma è la prima volta che qualcuno mi fa parlare di queste cose. Io in fondo sono molto borghese».

«Lei in sostanza non ammette di essere gelosa?».

«Sono gelosissima ma non nel senso comune della parola: non sopporto nessuna intromissione per quello che riguarda le nostre cose, i nostri figli. Ecco, non ammetterei mai che lui avesse due ména-ges, come usa spesso oggi, specie nel nostro ambiente. Questi sistemi mi rivoltano: io sono molto borghese».

«E lei signor Lattuada?».

«Ripugnano anche a me. E poi sarebbe troppo faticoso correre da una casa all’altra. Meglio il metodo cinese: una sola moglie legittima e tante altre illegittime che vivono però sotto lo stesso tetto, governate a bacchetta da lei».

«Le piacerebbe questo sistema, signora Del Poggio?».

«No. Io sono molto borghese».

«Ma ammette che suo marito possa concedersi qualche evasione?».

«Se sono solo flirt senza importanza che non intaccano la stabilità della casa...».

«Ma certo: le piccole evasioni sono una valvola di sicurezza per non cadere nella quieta noia che uccide la felicità coniugale. Il mio segreto è l’ulissismo: questo continuo andare e tornare, fughe e ritorni... La casa resta il centro dell’esistenza ma è necessario viaggiare verso terre sconosciute per amarla di più. Sì, io mi sento molto Ulisse. Me lo ha detto anche una chiromante: la linea della vita sentimentale sulla mia mano è complicatissima: c’è un amore grande, sicuro che mi accompagna per tutta la vita e tanti trattini brevi, spezzati, che sembrano graffi di piccole gatte».

1964 01 11 Tempo Lattuada f2La famiglia Lattuada al completo sulla terrazza dell’appartamento ai Parioli: i due bambini, Francesco e Alessandro, hanno rispettivamente tre anni e sette anni. Alberto Lattuada si sta preparando a girare due film: il primo, una commedia brillante, sarà ambientato a Napoli, tra la media borghesia, e avra per protagonista Soraya; il secondo sarà girato alla periferia di Milano ed avrà per interprete l’ultima scoperta del regista, Lilly Bistrattili, una ragazza svizzera di 17 anni

«Lei potrebbe ammettere le stesse evasioni senza importanza da parte di sua moglie?» chiedo.

«Se rinunciandovi lei si sentisse prigioniera, limitata, lo farei volentieri. Piuttosto che finire con l’annoiarsi l’uno dell’altro, meglio queste iniezioni vivificatrici».

Carla dice: «Lo pesterei centocinquanta volte al giorno in un mortaio ma mi piace perchè non è un uomo comune».

«Per quale ragione, soprattutto, lo ammira?».

«Perchè non era nato per sposarsi: è il tipo meno adatto al matrimonio che abbia mai conosciuto, eppure la famiglia non gli pesa».

«E che cosa gli rimprovera?»

«Sto scoprendo delle novità fantastiche: da domani tutto cambia in questa casa», grida Carla Del Poggio con voce di trionfo. Ma il suo viso resta imbronciato come quello delle tante ragazzine di buona famiglia che impersonava sullo schermo, vent'anni fa, nel periodo della cinematografia tutta caramelle di zucchero e giovinette innocenti. Cerca di nascondere il suo disappunto perchè ha ricevuto un’educazione perfetta nel collegio dell’ Asuncion, uno dei migliori del regno, ma si capisce che la storia delle ninfette non le va giù. E neppure il fatto che suo marito finga di non essere geloso. Coi suoi occhi sgranati e la faccetta tonda è il tipo che ripete ad ogni frase «sono molto borghese», segno che ha il complesso di esserlo e non si accorge come sia importante conservare ima struttura tradizionale quando si ha una personalità leggermente e fortunatamente sfasata rispetto ai tempi e all’ambiente. Alberto Lattuada invece beve con voluttà sette tazze di tè di rose e sorride convinto sotto i baffetti. Il sorriso si allarga senza complessi verso le orecchie tremendamente a sventola: la parte di Don Giovanni gli piace quanto quella di Ulisse e la gelosia della moglie, così mal simulata nonostante gli insegnamenti del Centro Sperimentale, solletica il suo amor proprio. E’ piacevole fare il bilancio di una vita punteggiata di film di successo stando seduti comodamente nel salotto bello della propria casa pariolina, con la incrollabile sicurezza di chi si perdona da solo i peccatucci passati presenti e futuri e non chiede indulgenza alla bella moglie ma da lei esige soltanto di riconoscere la ferrea logica della loro necessità, anzi dei loro vantaggi. Sorride ancora più apertamente - e c’è da temere che il suo viso si spacchi in due - quando Carla dice: «Lo pesterei centocinquanta volte al giorno in un mortaio ma mi piace perchè non è un uomo comune».

«Per quale ragione, soprattutto, lo ammira?».

«Perchè non era nato per sposarsi: è il tipo meno adatto al matrimonio che abbia mai conosciuto, eppure la famiglia non gli pesa».

«E che cosa gli rimprovera?»

«Di essere un ansioso e un pignolo confusionario: vuole sempre pianificare il futuro, fare programmi quinquennali. Cosi finisce per diventare anche tirchio: certi giorni ha paura di spendere mille lire».

«Si, la miseria è l'unica cosa che mi spaventa».

«Di essere un ansioso e un pignolo confusionario: vuole sempre pianificare il futuro, fare programmi quinquennali. Cosi finisce per diventare anche tirchio: certi giorni ha paura di spendere mille lire».

«Si, la miseria è l'unica cosa che mi spaventa».

«Deve essere un’ossessione: pensi che prima di sposarmi mi chiese: "Saresti disposta a venire ad abitare con me in una capanna, con una capra?”. Io risposi di no, che idea assurda...».

«Crede che molte differenze del vostro carattere siano dovute al fatto che lui è milanese e lei napoletana?».

«No, anzi per molto tempo ho creduto di aver sposato un siciliano. Non ha niente del milanese».

Come una bambina che passa facilmente dai bronci ai sorrisi radiosi, l’attrice sembra aver dimenticato le nuvole di poco fa: adesso è tutta proiettata nel passato, sedici anni, le trecce bioode e un viso-simbolo per la buona borghesia degli anni quaranta che sta scoprendo la forza dei miti cinematografici. Saltella sul divano, consapevole del suo personaggio e degli sguardi deliziati del suo consorte.

«Quando ha sposato Alberto Lattuada sapeva che sarebbe stato un marito difficile?».

«Cosa vuole che sapessi... Era il mio primo amore. L’aveva capito vero? Lo so di avere la faccia di quella che sposa il primo amore».

«Questa faccia le dà così fastidio?».

«L’ho accettata ormai. E poi non è altro che il riflesso dell’educazione che ho ricevuto, in assoluto contrasto con l'ambiente del cinema in cui ho dovuto vivere. Il mio è un caso forse unico nella storia delle giovani attrici: anche quando ero già diventata abbastanza famosa io restavo sempre "la figlia del colonnello”. Andavo sul "set” come si va a scuola; del resto ero appena uscita dalle mani delle monache. Mi creda, ero una autentica oca giuliva: pensi che le poche volte che riuscivo a vedere un film, di nascosto da mio padre, s’intende, dicevo: "Che stupidi questi innamorati dello schermo; perchè continuano a baciarsi se nella vita non ci si bacia mai?”».

«Allora i suoi personaggi di ragazza candida non erano altro che l'interpretazione di se stessa?».

«So solo che sono maturata tardi perchè la sorte mi ha sempre viziata: ho avuto successo quasi senza muovere un dito, ho sposato il primo amore senza neppure affrontare le classiche lotte in famiglia...».

«E’ vero — interrompe Lattuada —. Carla ha saltato molte fasi: non ha avuto il tempo di passare, come le altre ragazze, attraverso i flirtini e le piccole delusioni, le infatuazioni e le incertezze».

«Però sono stati tutti molto severi con me: sono sempre stata abituata all’obbedienza di tipo militaresco, prima dal "colonnello” poi dal "regista”».

1964 01 11 Tempo Lattuada f3Un altro interno familiare: i Lattuada intorno al pianoforte con i bambini. Carla Del Poggio sta attualmente lavorando per la televisione: è la protagonista della ”Certosa di Parma” di Stendhal e interpreterà anche una riduzione televisiva del famoso film di David Lean, "Breve incontro”. Prenderà parte infine ad una trasmissione leggera. ”I proverbi”, e a un giallo a puntate.

«Allora sposandosi è passata da un padre all’altro?».

«Proprio così. Ma non potevo fare la figlia per tutta la vita: a un certo punto mio marito ha detto: "Bambina cara, è ora di svegliarsi”. Però non è stato il mio Pigmalione. Peccato, in fondo era proprio questo che volevo: me ne accorgo adesso».

«La differenza di età non le è mai pesata?», domando al "papà" Lattuada.

«Dodici anni di distacco sono appena appena sufficienti per un vero accordo».

E’ una risposta-alibi? Non credo: a giudicare dalle graziose smorfiette di Carla Del Poggio e dallo sguardo indulgente di Alberto Lattuada, il rapporto padre-figlia non è ancora del tutto cancellato oggi, dopo diciotto anni di vita coniugale e dopo la nascita di due bambini. Probabilmente nè l’una nè l’altro desiderano veramente la sua fine perchè è sempre stato il sale e il pepe della loro intesa sentimentale, fin dal primo incontro, quando lui la fermò per strada per proporle il ruolo di protagonista ne "Gli indifferenti” e la fece arrivare in ritardo alla lezione di greco. Ma, almeno per lei, non fu certo un amore-colpo di fulmine.

«In principio, Alberto l’ho addirittura odiato. Mi si parò davanti, dicendomi: "Io non sono soltanto un suo ammiratore ma anche un giovane regista”. Un cafone terribile. Lo mandai al diavolo. Lui, cocciuto, continuò a farmi la posta ogni volta che andavo a lezione. Gli dissi che non potevo accettare quel ruolo: era troppo spinto, interpretandolo avrei distrutto per sempre il personaggio che piaceva tanto al pubblico. E Alberto rispose: "Lei è una piccola borghese vigliacca, finora ha interpretato solo se stessa, non potrà mai impegnarsi in un ruolo così importante perchè non ne è all’altezza". Come ho potuto sposare un presuntuoso simile?».

Dice invece Alberto Lattuada: «Ho visto Carla per la prima volta in "Un garibaldino al convento" e subito ho detto "Che ragazza!”. Per avere occasione di starle vicino, ho pensato di affidarle la parte della contadinotta in "Giacomo l’idealista” ma il produttore ha rifiutato: secondo lui non era un tipo "rustico”. "Cosa c’entra” insistevo io, "le mettiamo un bel grembiulone”». Invece era destino che Lattuada dovesse prima portare all’altare Carla Del Poggio e soltanto dopo diventare il suo regista. Ma l’esperienza non si rivelò poi tanto positiva se, al quarto film insieme, "Luci del varietà”, l’attrice si buscò un memorabile esaurimento nervoso e decise di lasciare il cinema per un periodo indeterminato e soprattutto di non accettare più ruoli nelle pellicole di suo marito.

«Lattuada nei suoi confronti era un regista-carnefice?».

«Era esigente all'eccesso: pretendeva da me molto più che dagli altri e questo mi metteva in uno stato di continua tensione: non ero abituata ad assumermi certe responsabilità. Un giorno, durante una pausa de "Il mulino del Po", feci una corsa in bicicletta senza togliermi il costume che indossavo nel film: ci fu una scenata terribile. Una delle tante».

«Certo, lei avrebbe dovuto dare il buon esempio a tutta la "troupe” invece di fare simili bambinate», si difende Lattuada.

«In quel periodo gli scontri sul piano professionale ci portarono a una crisi abbastanza grave».

«Allora la decisione di non fare più film con suo marito è ancora valida?» chiedo.

«Forse adesso sono più matura per affrontare questo rischio. Ma per il momento preferisco risalire la corrente da sola: voglio che il mio rientro nel cinema dopo otto anni avvenga senza spinte».

«Non ha nulla contro la decisione di sua moglie?», domando al regista.

«Sono anni che critico la sua rinuncia: non posso che rallegrarmi di questo ritorno. Ma cerco di non influenzare le sue scelte: capisco che è arrivato per lei il momento di fare da sola», risponde Lattuada.

Carla Del Poggio accende nel suo viso di porcellana levigata un sorriso smagliante: è sicura che sta per aprirsi una nuova fase della sua carriera, forse la più importante. Ritornando sul "set” sente di avere vinto la sua personalissima guerra di indipendenza, non nei confronti del marito o dei figli, ma contro se stessa. E’ come se, diventando maggiorenne a trentotto anni, dicesse ai familiari e ai conoscenti increduli: «Vedrete di cosa sono capace». In realtà la sua parte di storia Carla Del Poggio l’ha avuta anche negli ultimi anni, come collaboratrice-ombra del marito. Ma è una parte che non le piace fino in fondo.

«Alberto è un uomo dalle idee estremamente chiare: di rado ha bisogno di consigli. Io mi limito a intervenire quando lui me lo chiede».

«Però nell’ultima sceneggiatura che ho scritto — quella del film che sarà interpretato da Soraya — ci sono molte correzioni tue».

«Certo, ma sei stato tu a pregarmi di rileggerla».

«Segue anche la realizzazione dei film di Lattuada?».

«No, non vado mai sul set quando Alberto gira. Non mi piace fare la "donna del regista": ho conosciuto molte mogli di registi odiose e invadenti e ho capito quanto può essere pericoloso pretendere di sorvegliare il lavoro del marito. Un artista deve essere libero».

«E’ vero — conferma lui — però le critiche di Carla mi stimolano. E’ la stima incondizionata che mi fa paura. Se dovessi piacerle in tutto, mi affioscerei in poco tempo: potrei diventare perfino un pantofolaio».

Muovendosi leggero nelle eleganti pantofole di cinghiale biondo, Alberto Lattuada adesso mette un po’ d’ordine, da bravo pignolo confusionario, perchè è arrivata la signorina inglese con la quale si intrattiene ogni giorno per un’ora di conversazione. Poi scompare nello studio accanto, «The hook is on the table. The cat is under the table...». Le parole arrivano ovattate e scandite attraverso la parete. L’attrice ha un sorriso d’intesa: si diverte al pensiero che anche il suo maturo regista va a scuola, come un vero bambino. L'ilarità risveglia la sua malizia napoletana e rende più scorinoli le confidenze. Probabilmente so già che suo marito è un buon collezionista di quadri astratti — dice — e che anche in fatto di pittura rivela la sua stoffa di scopritore di giovanissimi talenti, ma forse non conosco il suo passatempo segreto: scrive poesie, niente affatto ermetiche perchè cantano le doti delle sue attrici-Lolite. E di certo non sono al corrente neppure della sua mania in fatto di eleganza: vorrebbe che tutte le donne, sua moglie compresa, si vestissero alla marinaretta, con giacche blu, tanti bottoni d’oro, fischietto e berretto col pompon.

La lezione è finita e l’Humbert-Humbert del nostro cinema toma in salotto accompagnato dalla sua istitutrice anglosassone: è una Catherine Spaak in edizione bruna, con frangia enorme, labbra senza rossetto, occhioni un bo’ bistrati, un corpo falsamente acerbo, un cucciolo di razza sempre in braccio e l’aria sicura di chi ha il mondo spalancato davanti a sè, forse anche le porte del cinema.

Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.2, 11 gennaio 1964


Tempo
Marisa Rusconi, «Tempo», anno XXVI, n.2, 11 gennaio 1964