«Vietato ai minori»: moralismo e sesso nel mirino dei censori

Censura

Uno sterile moralismo e la paura del sesso, che paralizzano i censori al momento di decidere se un film sarà vietato o meno ai minori, portano a delle sentenze illogiche ed indiscriminate, che vietano ai ragazzi quasi tutte le migliori opere italiane e straniere, lasciando loro l'accesso a film di scarso interesse, di nessun costrutto e privi di legami con il mondo e la vita che li circonda.

«Vietato ai minori di anni...». L'etichetta è inevitabile per i film che sono stati giudicati, a torto o a ragione, non adatti al pubblico dei più giovani. La legge è severa a questo riguardo: i trasgressori, cioè gli esercenti che non assolvono agli obblighi di sorveglianza, vanno incontro a drastiche penalità. Chiunque ammetta un minorenne alla visione di un film interdetto corre il rischio di pagare una dura ammenda o di finire in galera. D'altro lato, la delimitazione chiaramente stabilita dalle disposizioni legislative in materia di censura è temuta dai produttori perché si traduce immancabilmente in un danno economico. Un film «vietato» perde, infatti, in partenza una parte del suo pubblico potenziale costituito da adulti e ragazzi. Tanto per cominciare, un padre, che desideri recarsi al cinematografo insieme con la moglie e i figlioli, è costretto a condizionare la scelta del film e a propendere per quella pellicola che gli consenta di non frantumare il nucleo familiare, disperdendolo in varie sale cinematografiche. E poi ci sono i giovani e i giovanissimi che si recano al cinema da soli e anche essi non sfuggono alla regola del gioco: nonostante tutto, i loro desideri saranno subordinati alla classificazione dei film. Difficile è calcolare l'entità del mancato incasso, di cui un film «vietato» può soffrire, ma. grosso modo, gli esperti dell'esercizio reputano che si aggiri attorno al 10 e al 20 per cento.

Alcuni produttori pensano che, in fondo, rinunciare all'uso di certi ingredienti pur di non incappare nelle maglie del divieto, non valga la pena; altri, invece, sono di diverso avviso e fra questi i dirigenti di modeste ditte che fanno soprattutto affidamento sugli introiti del mercato interno e dei circuiti periferici. Generalmente, però, domina il criterio della compensazione. Là dove, per forza di cose, diminuiscono gli acquirenti di minore età aumentano i fruitori maggiorenni. tanto più che questi affluiscono nei cinematografi che praticano i prezzi più alti e assicurano ampi margini di rendimento. Tuttavia, il problema esiste e non è di scarsa incidenza.

«La caccia», il film di Arthur Perni — lo stesso regista di Gangster Story — ispirato alla tragedia di Dallas e il cui pregio maggiore era di mettere in evidenza quanto la violenza negli Stati Uniti stesse diventando una abitudine e una follia collettiva, è tra le opere che la censura italiana ha vietato ai minori di quattordici anni.

Esperti e navigati come sono nell‘industria filmica, gli americani se ne sono accorti immediatamente e hanno compreso che dalla sua risoluzione dipendono le sorti di un importante settore dello spettacolo. L’affermazione sembra gonfiata ad arte e non corrispondente alle proporzioni del fenomeno, eppure le statistiche dimostrano che i giovani sono la chiave di volta del prossimo ventennio cinematografico. La MPEA. l'associazione degli industriali cinematografici americani, ha varato nel 1966 una inchiesta sulla composizione del pubblico, che è stata ultimata nel '67. I risultati emersi invitano a riflettere e confermano la giustezza delle premure e delle ipotesi che serpeggiano negli ambienti affaristici di oltre Oceano. Sono state intervistate 2.500 . persone di diversa estrazione sociale e culturale e 400 gruppi appartenenti a 18 comunità. Ne è sortito che gli spettatori in età superiore ai 15 anni acquistano mensilmente 107 milioni di biglietti e che il recente raddoppio delle frequenze negli Stati Uniti è ascrivibile in gran parte alle giovani generazioni e al loro accresciuto livello di istruzione. Il particolare non è irrilevante, poiché — come tutti ormai sanno — in America e in Europa, nell'ultimo decennio, il cinema ha subito un salasso progressivo di spettatori, in taluni casi al limite di un radicale ridimensionamento nel quadro dell'implego del tempo libero.

Addentrandosi nel labirinto delle cifre, gli inquirenti americani hanno scoperto che quasi la metà (il 48%) del totale degli spettatori cinematografici comprende persone fra i 16 e i 24 anni, una riserva ingente trasformabile in un bel mucchio di quattrini e che promette di giungere a traguardi stuzzicanti. Le previsioni relative a un futuro vicino allettano gli industriali: si presume che. con lo stesso ritmo dell'ultimo biennio, nel 1975 i due terzi degli spettatori rientreranno nel gruppo fra i 16 e i 30 anni e più della metà del totale (ol 52%) sarà stretto at tomo al gruppo fra i 16 e i 24 anni.

Come comportarsi di fronte a una massa così imponente di spettatori? Quale politica perseguire? A questo punto, si dipartono linee divergenti. C'è chi al quesito ribatte auspicando la realizzazione di film prevalentemente destinati ai ragazzi e ai giovani e pertanto ispirati a particolari premesse e a una serie di precauzioni; c'è chi crede che sarebbe più proficua una produzione accessibile al contempo sia a un pubblico di adulti che a un pubblico di minorenni; c'è chi paventa che. intraprendendo questa via. si miri a ridurre a uno stadio infantile gli adulti e a sprofondare la gioventù nella melassa dei buoni sentimenti, sempre esaltati nei film che si rivolgono al cuore della famiglia: c'è. infine, chi ritiene che se un film esprime valori artistici non fa differenza se lo spettatore sia alla soglia del servizio militare o frequenti la scuola media. Per quanto anche in Italia si discuta delle diverse e possibili alternative. da noi fino ad oggi ha prevalso l'esercito di coloro che hanno avuto come preoccupazione preminente quella di difendere i giovani e i ragazzi dal cinema. E purtroppo a niente sono valse le assicurazioni di eminenti sociologi e psicologi che hanno più volte provato che il grado di pericolosità contenuta nello spettacolo cinematografico. ivi incluso il più discutibile (il cinema della violenza, ad esempio), è pressoché nullo, salvo l'eccezione rappresentata dai soggetti patologici.

«C’era una volta», con Sofia Loren, per la regia di Franco Rosi, è la trasposizione di una favola popolare del seicento napoletano, ed è tra le opere presentate dal Centro Nazionale Film alla gioventù. I ragazzi però hanno dimostrato di preferire film di maggiore impegno, come, ad esempio, «Il Vangelo secondo Matteo», di Pasolini.

Come sempre accade allorché imperversano le ragioni del moralismo più gretto, la censura ha avuto la meglio mentre nessun progetto che implicasse una prospettiva costruttiva del problema è riuscito a concretarsi nonostante le molte chiacchiere profuse e i molti soldi spesi dallo Stato per una cinematografia specializzata, rimasta fantomatica.

Fino a qualche anno fa. approfittando di una legge piuttosto elastica e indulgente, produttori senza tanti scrupoli si erano gettati in imprese truffaldine che consistevano nell arrangiare mediometraggi di nessun valore artistico e culturale contrabbandati come film per ragazzi e che ben pochi ragazzi, per loro fortuna. hanno visto. Si trattava, a onor del vero, di una vera e propria scandalosa speculazione. cui è stato posto fine stabilendo che d'ora Innanzi un ente statale, l'istituto Luce. sarebbe stato annualmente dotato di 150 milioni per produrre film diretti alla gioventù. Inoltre la nuova legge del cinema, entrata in vigore nel 1965. ha previsto sensibili alleggerimenti fiscali per gli esercenti disposti a proiettare film italiani e stranieri giudicati da una commissione ministeriale come rispondenti a caratteri specifici. Stando all'esperienza che se ne è ricavata. non diremmo che gli esiti siano stati brillanti. Due soli film. «Testa di rapa» di Giancarlo Zagni e «Un amico» di Ernesto Guida sono stati prodotti ma, malgrado la loro indiscussa dignità, si ha motivo di temere che non raggiungeranno il fine che si proponevano. Va notato, fra l'altro, che il primo di questi due film non ha ottenuto nemmeno il riconoscimento che meritava, poiché i commissari chiamati a vagliarlo vi hanno intravisto elementi di offesa alla magistratura e alle forze dell'ordine.

Bisogna aggiungere una considerazione: che la buona volontà dei legislatori interessati alla nascita di una cinematografia per i ragazzi e i giovani cozza contro le leggi e la dinamica del mercato. Invogliare gli esercenti, concedendo loro facilitazioni fiscali, infatti, non serve a gran che se poi i film per ragazzi programmati totalizzano magri incassi, poiché l'incentivazione si risolve in uno sgravio su biglietti Invenduti.

E allora? Allora tornano a primeggiare le commissioni di censura che operano in base a presupposti difensivi peraltro assai discutibili. Abbiamo sotto gli occhi un lungo elenco comprendente i film vietati ai minori di 16 anni, nonché quelli proibiti ai minori di 14 e 18. le due età-limite fissate dalla nuova legge di censura approvata, se la memoria non c'inganna, nel 1963. La lettura di questa sorta di Indice a uso e consumo dei minorenni è istruttiva e rivela l'estrema contraddittorietà dei criteri che guidano la selezione censoria. Ci si rende immediatamente conto, ad esempio, che alcuni fra I migliori film italiani e stranieri sono stati vietati ai minori di 16 anni; citeremo «Accattone» di Pasolini, tutte le opere di Antonioni e di Ingmar Bergman, «Il grande coltello» di Robert Aldrich (trasmesso dalla televisione), «Orizzonti di gloria» di Stanley Kubrick, «Salvatore Giuliano» di Francesco Rosi, «Rocco e i suoi fratelli» di Luchino Visconti, «Siamo tutti assassini» di André Cayatte (contro la pena di morte). «E l'uomo creò Satana» (una lancia spezzata a favore della tolleranza) di Stanley Kramer, «Senso» di Visconti. «Umberto D» di De Sica, «Zazie nel mètro» di Louis Malie. Strana coincidenza, non scarseggiano nel novero dei messi al bando i film d’intonazione antifascista: da «Cronache di poveri amanti» a «Kapo» (successivamente irradiato dalla TV), da «La lunga notte del '43» ai documentari «Il dittatore folle», «Notte e nebbia» e «Il processo di Norimberga», per non ricordare il fresco episodio di «I 7 fratelli Cervi» di Gianni Puccini escluso per i minori di 14 anni. Persino film innocui e zuccherati, come «Terza liceo» di Luciano Emmer, non hanno avuto l'imprimatur.

Peter Sellers, in una esilarante inquadratura del film «Il dottor Stranamore». Questo ed altri cinque film, tra cui «Il Vangelo secondo Matteo» e «Le stagioni del nostro amore», sono stati presentati a 127 giovani, dal Centro Nazionale film per la gioventù, per sondarne le reazioni.

Quanto alla sfilza dei «vietati» ai quattordici anni, vi troviamo di tutto un po', da «Africa addio» a «La battaglia di Algeri», da «Il buono, il brutto e il cattivo » a «La caccia», da «Lolita» a «Il caro estinto», da «Rivoluzione a Cuba» a «Uccellacci e uccellini», da «Un uomo da bruciare» a «L'uomo di Alcatraz», da «Il vizio e la virtù» a «Zorba il greco». Infine, la repressione si accanisce nella categoria dei vietati ai diciottenni, sui film in cui il sesso gioca un ruolo problematico: «Agostino», «Il balcone», «Il bandito delle 11», «Chi lavora è perduto», «Ciao Pussycat», «Il collezionista», «Comizi d'amore», «Darling», «Il diario di una cameriera», «Il Faraone», «Freud, passioni segrete», «La guerra è finita», «Jules e Jim», «Gli indifferenti», «La Mandragola», «I misteri di Roma», «Mondo nuovo», «Onibaba», «Il servo», «Il silenzio», «Le soldatesse», «L'uomo del banco dei pegni», «Vaghe stelle dell’Orsa», «Viridiana», ecc. Anche uno scherzo innocente, come «Irma la dolce», non è risparmiato dai giudici che lo hanno equiparato al volgare e dozzinale «Le bambole».

Dalla esemplificazione segalata, ed evidentemente incompleta e indicativa, si trae una conclusione: quando «Notte e nebbia» di Alain Resnais è messo sullo stesso piano di «Africa addio», e «Dracula, il vampiro» accoppiato a «Cronache di poveri amanti»; quando «Umberto D» e «Salvatore Giuliano» sono associati ad «Anonima cocottes» e a «Balletti rosa»; quando «La battaglia di Algeri» è accomunato a « Canzoni in bikini» e «Leon Morin prete» affiancato a «I Don Giovanni della Costa Azzurra»: quando «Il processo» di Orson Welles è apparentato a «I proibiti amori di Tokio» e «I pugni in tasca» a «Oltraggio al pudore», è segno che si fa una confusione enorme. E' segno, anzitutto, che coloro i quali giudicano non soppesano la sostanziale diversità dei valori artistici e conoscitivi dei film esaminati. E' segno che il giudice fa di ogni erba un mazzo, animato da un unico assillo: evitare che i giovani, attraverso il cinema, entrino in contatto con gli aspetti meno vellutati di una realtà che rosea non è mai. Da qui, in ultima analisi, derivano pregiudizi a iosa, sintetizzati dall'errato convincimento pedagogico che ai ragazzi e ai giovani si debba nascondere quanto non si inserisce in una raffigurazione dolciastra, anonima, mielata del reale, a prescindere dal grado di onestà intellettuale o di disonestà dei registi, degli sceneggiatori e dei produttori.

Totò e Rosanna Schiaffino sono i protagonisti della «Mandragola», di Alberto Lattuada. Il film, tratto dalla commedia di Machiavelli, è stato realizzato con tanto buon gusto da non urtare il più sensibile dei ragazzi. Ma la censura ha detto no. Mentre attraverso le sue maglie passano indenni film scurrili e diseducativi come «Brutti di notte».

Siamo, dunque, nel più anacronistico e sterile moralismo contraddetto da una evoluzione che galoppa nelle giovani generazioni e, se non appropriatamente assecondata e incrementata, minaccia, allorché se ne limita la libertà, di indirizzare in direzioni sbagliate legittime curiosità, legittimi interrogativi. La paura del sesso e della violenza, insomma, si riconferma pessima consigliera portando a sentenze stupide e indiscriminate che consentono ai ragazzi e ai giovani l'accesso a film di scarso interesse, di nessun costrutto e affatto privi di legami con il mondo, con la vita che li circonda e di cui sono parte integrante.

Bene inteso, questo non significa che la lettura di un film non reclami una distinzione basata sul grado di comprensione dell'opera proposta, ma siamo, a tale proposito, già in un altro ordine di idee imparagonabile agli imperativi cui obbedisce la censura. Pertanto come uscire dall'apparente inestrica-cabile ginepraio? Anzitutto convincendosi che i ragazzi e i giovani sono di gran lunga più maturi di quanto si finge di non sapere. Un convegno, svoltosi a Roma per iniziativa del Centro Nazionale Film per la gioventù e dalla rivista - Vie assistenziali», ha fornito indicazioni confortanti. 127 giovani dai 15 ai 20 anni hanno assistito alla proiezione di sei film scelti da una giuria presieduta da Roberto Rossellini, in pieno accordo con il Provveditorato agli studi: «il Vangelo secondo Matteo» di Pasolini, «David e Lisa» di John Berry, «Farenheit 451» di Francois Truffaut, «Le stagioni del nostro amore» di Florestano Vancini, «C'era una volta» di Francesco Rosi, «Il dottor Stranamore» di Stanley Kubrick. Questo piccolo repertorio ha raccolto larghe preferenze: 773 punti per «Il Vangelo secondo Matteo», 758 per «David e Lisa», 721 per «Farenheit», 703 per «Le stagioni del nostro amore», 700 per «C'era una volta», 671 per «Il dottor Stranamore». Invitati a pronunciarsi, gli spettatori-cavia hanno mostrato di prediligere film impegnativi e non specificamente impostati per una platea giovanile. Forse a una risultanza ancor più illuminante si sarebbe pervenuti se nella rosa dei film presentati fosse stato incluso qualche esemplare «vietato».

«Salvatore Giuliano» è forse una tra le opere migliori di Franco Rosi, a cui dobbiamo anche «La sfida» e «Le mani sulla città». In quest’opera la mafia, l’ambiente siciliano, la figura del bandito sono stati trattati con grande potenza e realismo: eppure il film — che affronta una pagina della nostra storia — è stato vietato.

Comunque sia, i paladini di un asettico e scialbo cinema per l'infanzia e la gioventù hanno ricevuto una solenne smentita. Ma una smentita l'hanno anche I fautori di una netta demarcazione fra film per adulti e film per giovani e ragazzi. In altre parole — e gli stessi studiosi convenuti al convegno sopra menzionato lo hanno ribadito con argomenti nobili e inoppugnabili — ferma restando la necessità di una produzione per gli spettatori più piccoli, l'accento è caduto e cade sull'obbligo di introdurre la gioventù al buon cinema, osservando una metodologia che affondi le sue radici nella massima libertà accompagnata da un'azione che incoraggi la riflessione sui film. Se ne deduce che bisognerebbe smettere di ricorrere a censure ridicole e ad espedienti infruttuosi, illudendosi che il problema del cinema e dei suoi rapporti con i giovani sia affrontabile puntando sulle leggi di mercato e su incentivi finanziari agli esercenti. Se ne deduce che molto più redditizio e concreto sarebbe, dotare la scuola dei mezzi necessari a diffondere il meglio della produzione cinematografica italiana e straniera, indipendentemente dalla originaria connotazione produttiva dei film. Una rete di cineclubs scolastici, la formazione di animatori reclutati fra gli insegnanti, l'economico e agevole impiego del passo ridotto permetterebbero di sviluppare un'azione formativa capillare ed estesa e di educare i ragazzi e i giovani alla meditazione critica, al dibattito, a un rigoroso gusto estetico, al linguaggio cinematografico e alle sue immense risorse. Cosi non solo si awierebbe a soluzione un annoso problema. ma si getterebbero le fondamenta su cui far maturare lo spettatore di domani, uno spettatore pensante, soggetto anziché oggetto passivo dello spettacolo cinematografico.

Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXIII, n.14, 6 aprile 1968


Noi Donne
Mino Argentieri, «Noi Donne», anno XXIII, n.14, 6 aprile 1968