Una di quelle

1953 Una di quelle 7

Parlo solo la lingua madre perché mio padre morì quando ero bambino.

Rocco Bardelli

Inizio riprese: novembre 1952 , Stabilimenti Ponti - De Laurentiis
Autorizzazione censura e distribuzione: 1 agosto 1953 - Incasso lire 247.200.000 - Spettatori 2.259.953



Titolo originale Una di quelle
Paese Italia - Anno 1953 - Durata 98 min - B/N - Audio sonoro - Genere romantico - Regia Aldo Fabrizi - Soggetto Giorgio Bianchi, Aldo De Benedetti - Sceneggiatura Aldo De Benedetti, Aldo Fabrizi - Fotografia Gabor Pogany - Montaggio Gabriele Varriale - Musiche Carlo Innocenzi - Scenografia Piero Filippone


Lea Padovani: Maria Rossetti - Totò: Rocco Bardelli - Peppino De Filippo: Martino Bardelli - Aldo Fabrizi: Il dottore, Ubaldo Mancini - Mara Landi: L'entraineuse - Giulio Calì: Guardamacchine - Nando Bruno: Il tassista - Mario Castellani: Il farmacista - Laura Gore: Annie - Antonio Vaser: Il portiere d'albergo - Alberto Talegalli: Un burino - Pina Piovani: La portinaia


Soggetto

Rocco e suo fratello Martino sono due ricchi tenutari di campagna che scendono in città in cerca di avventure. Maria è una vedova con un figlio a carico, indebitata col padrone di casa, che cerca di tirare avanti con piccoli lavori di sartoria. Un giorno riceve la visita di una vicina di casa, prostituta, che le chiede un favore di sartoria. Elogiando la bellezza di Maria, e capendo le sue difficoltà economiche, la prostituta le suggerisce di tentar la stessa professione, a suo parere l'unico modo per una donna sola di trovare il denaro per poter vivere.Disperata dalla situazione personale ed economica e prossima allo sfratto, Maria accetta a malincuore il consiglio e il giorno seguente si reca in un locale notturno, imbattendosi proprio nei due benestanti uomini di campagna. Il suo fascino discreto e sfuggente fa immediatamente colpo su Rocco, che la corteggia e la invita a uscire dal locale per andare in un albergo, chiedendo a Martino di aspettare il suo turno con la donna e di seguirli a distanza.

Dopo aver cercato inutilmente di affittare una camera d'albergo, i due vanno a casa di lei. L'uomo, credendo di avere a che fare con una prostituta esperta, le espone chiaramente le sue intenzioni, ma Maria, ancora combattuta e riluttante, non vuole lasciarsi andare. D'un tratto un vicino di casa suona alla porta, consegnando a Maria il figlio che presenta difficoltà a respirare e febbre alta. Rocco, assistendo alla preoccupazione della madre, corre in una farmacia notturna alla ricerca di un dottore.

Uscendo, incontra Martino, ma non gli dice nulla di quanto sta accadendo in casa, lasciandogli credere che si stia piacevolmente intrattenendo con la donna. Trovato il dottore e accompagnatolo alla casa, si scopre che le condizioni del piccolo sono gravi e Rocco viene mandato a comprare alla farmacia un vaccino per la difterite, in modo da fermare l'infezione ed evitare al piccolo un intervento d'urgenza di tracheotomia. Durante l'assenza di Rocco, Maria è disperata sia per paura di perdere il figlio, sia nel timore che l'uomo non mantenga fede all'impegno, andandosene via. Dopo alcune difficoltà e ostacolato dal maltempo, Rocco riesce a trovare la medicina e torna giusto in tempo per evitare il peggio. Passato il pericolo, il dottore, che scambia la strana riservatezza tra Rocco e Maria per un rapporto conflittuale tra marito e moglie, li invita ad andare maggiormente d'accordo e prescrive una cura per il figlio.

Suggerisce poi alla madre, anemica, di mangiar di più e a recarsi in campagna. Rimasti soli, Maria e Rocco parlano ancora per il poco tempo rimasto prima che il treno riporti l'uomo a casa. Maria le confessa di non essere una prostituta e la sua situazione, ringraziando Rocco per la bontà e dolcezza dimostrate e per quanto fatto nonostante fossero estranei. L'uomo, che già aveva intuito la situazione, poco dopo la invita elegantemente insieme al figlio nella sua tenuta di campagna, facendole con eleganza intendere che lì conosce "un uomo solo", desideroso di aver una donna a casa ad attenderlo. Infine, mentre si allontana, oltre alla quota lasciata la sera prima sotto una scatola di cioccolatini per la "prestazione", aggiunge di nascosto vari altri biglietti da mille lire. All'alba, i due si salutano insieme al bambino che si è svegliato e sembra guarito: Rocco e Martino si incamminano verso la stazione, salutando la donna al balcone e invitandola ancora a Campo Fiori.

Critica & curiosità
Il film è diretto da Aldo Fabrizi, che lo produce con la sua Alfa Film XXXVII. Il film fu girato tra il novembre 1952 e il gennaio 1953, ed è stato il secondo film della coppia Totò-Peppino, nonché il secondo che Totò e Fabrizi girarono insieme, reduci dal grande successo di Guardie e ladri (1951). Il film mostra come, già molto prima dell'entrata in vigore della Legge Merlin, diverse donne si prostituissero al di fuori delle case di tolleranza.


Così la stampa dell'epoca

Totò ha spremuto dal personaggio ogni minima occasione per costruire una figura non labile , la cui comicità si colora di una vena crepuscolare, la quale può valere, ancora una volta, di indice delle enormi possibilità, pur sempre vergini, di questo straordinario commediante [...]

Giulio Cesare Castello, 1953


La vena di Aldo Fabrizi regista di cinema non è diversa da quella cui si rifanno nessuno calde virtù di interprete: da una parte, farsa e comicità, dall'altra - secondo le tradizioni più antiche della letteratura romanesca - sentimento e malinconia. Nel film di oggi sono i temi sentimentali a prevalere, ma l’ umorismo, come sempre non è dimenticato. [...]

Questa lineare favoletta ha trovato in Fabrizi un narratore cordiale l'umano, a volte piuttosto semplice, ma sempre tutto cuore, affetto e buoni sentimenti e il pubblico, così, lo ha seguito con interesse e affettuosa commozione. gli interpreti, impegnati e sicuri, sono Lea Padovani, Totò, Peppino De Filippo e lo stesso Fabrizi in una fugace apparizione. la fotografia è di Gabor Pogany: le si debbono alcuni scorci di Roma piovosa e notturna di felicissimo effetto.

«Il Tempo», 9 ottobre 1953


[...] Aldo Fabrizi ha raccontato questa patetica storia con circostanziata prolissità alternando le note sentimentali a quelle comiche e cercando soprattutto di sfruttare le risorse di una facile commozione e di un compiacente ottimismo. Totò e Peppino De Filippo sono i due provinciali e i loro duetti sono assai divertenti. Fabrizi nella parte del medico è il bonario e accomodante deus-ex-machina della vicenda. Lea Padovani è la vedova umiliata, offesa e ricompensata.

«Il Messaggero», 9 ottobre 1953


Niente paura; non è «una di quelle». Il titolo dice il contrario di quanto espone il film. La nostra Lea Padovani, attrice autentica che viene poco sfruttata dai nostri cineasti, è si una certa sera una «solitaria» di un dancing... da perdizione, ma lo è perchè la miseria spinge lei, vedova e sola, a cercare un po’ di denaro. Ma donne perdute si nasce — par dire il film — non si diventa, e allora mentre Peppino de Filippo e Totò, ciociari venuti a Roma per passare una sera in... perdizione, l'adocchiano, ella se ne esce da quella bolgia e i due la seguono. [...]

Dobbiamo rimproverare Fabrizi per aver pensato e diretto questo film? Manco per idea. La conclusione è cosi bella e sana che non possiamo che applaudire, tuttavia l'ambiente del dancing, e parte del seguito, non è per tutti gli occhi. Ci vorrà un po’ di prudenza nell’avviare il pubblico giovane d’ambo i sessi a questo film. La mano di Fabrizi si rivela, quale regista, come quella di un uomo che oramai conosce il mestiere e alcune cose sono belle come bella è la fotografia.

Il pubblico ride, perchè Totò sa far ridere e cosi Peppino. Fabrizi truccato da.... Giosuè Carducci, come dice Totò, ci dà un bel tipo di medico buono e generoso condannato alla fatica di medico di «Notturna». In complesso un film divertente e fatto in guisa da scontentare tutti.

c. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 10 ottobre 1953


Un film realizzato da tre attori comici di temperamento differente, quali Totò, Fabrizi, Peppino De Filippo e che denunciano il titolo l'audacia di affrontare, sia pure indirettamente, uno scottante tema sociale da tutti conosciuto, attrae istintivamente il pubblico. la protagonista femminile e Lea Padovani, la quale rinnova, nella sua interpretazione, il successo della personalità estetica, della sensibilità e della coscienza che distinguono sempre da sua recitazione. Altri interpreti del film sono Laura Gore, Nando Bruno, Alberto Talegalli, Giulio Calì, Pina Piovani, Mario Castellani. [...]

«Momento Sera», 10 ottobre 1953


Il film italiano Una di quelle, diretto da Aldo Fabrizi, si annuncia invece assai gaio e ricreativo: basti pensare che con Fabrizi, regista e interprete, vi figurano Totò e Peppino De Filippo. [...] Le interpreti femminili sono Lea Padovani - Maria - e Laura Gore - Silvia.

«L'Avanti», 17 ottobre 1953


"Una di quelle" attesta che, di tutte attività, la più difficile e complessa, in cui non si ottengono apprezzabili risultati senza un coscienzioso tirocinio, è quella della dissolutezza. Onesti si nasce e scioperati e viziosi si diventa. Aldo Fabrizi, che ha diretto questo film da un soggetto che De Benedetti ha sceneggiato, ha cercato di far centro sui toni patetici. [...]

A tratti, specie nella prima parte, nei duetti Totò-De Filippo, prevale la comicità che è nella natura del due attori e del loro regista. Si sa che Fabrizi, come autore di film, ha dato allo schermo ilari opere sulla buffa famiglia Passaguai. Ma stavolta ha cercato, con assillo, gli struggimenti; tutta la seconda parte di "Una di quelle" gioca sul contrasto sorriso-lagni, ma trasformando una licenziosa impresa in un casalingo e pudico idillio. Psicologia epidermica, senza nemmeno il tentativo dell'approfondimento: figure convenzionali come in una canzonetta; sviluppi scontati sin dal principio. E tuttavia, grazie agli interpreti, tutti bravi — e specialmente bravo Totò, che noi preferiamo in queste parti da uomo piuttosto che in quelle da marionetta — la pellicola non spiace interamente. Si avverte l’Intenzione di rifarsi, nel bozzetto, al clima del fortunato film "Guardie e ladri". Ma quanto piove, in "Una di quelle". Si dice: per le strade non c’é che acqua, questo novembre è cominciato sei mesi fa, andiamo a ripararci al cinema. E invece, anche al cinema ombrelli, impermeabili e dolori reumatici. L’operatore Clabor Pogany ha fotografato cosi bene gli acquazzoni che capita di starnutire, guardando lo schermo.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 4 novembre 1953


Si tratta di un film di attori. Uno di essi, Fabrizi, s'é incaricato bonariamente della regia; gli altri, Lea Padovani, Totò, Peppino De Filippo, gli danno valorosamente una mano con amabilità di buoni compagni. Erede, sotto molti aspetti, della commedia dell’arte, il cinema è anche questo: uno spettacolo creato assieme da specialisti che cercano, senza darsi troppe arie, di combinare qualcosa di divertente e, soprattutto, di non noioso. Si é ovviamente lontani con "Una di quelle" dalle pellicole originali e profonde, che tutti discutono, che i critici ricordano, e che, come anche si dice, lasciano il segno. Ma il cinema, come ogni altra forma di spettacolo, ha pur bisogno di cose non troppo impegnate, purché gradevoli e di buon gusto, per riempire i vuoti e per offrire una continuità di produzione. Film come" Una di quelle" sono opere feriali; divertono e sono subito dimenticate. [...]

Come regista, Fabrizi ha saputo dosare accortamente la parte faceta e quella sentimentale della vicenda. Totò fa appena il minimo per ricordare il comico caro a tutte le platee per le sue lepidezze, e mostra di poter essere, quando vuole, interprete misurato ed efficace.»

P. B., «Corriere d'Informazione», 5 novembre 1953

«Settimana Incom Illustrata», anno VI, n.42, 17 ottobre 1953



A Roma sono stati conferiti gli annuali «Nastri (l'Argento» del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici ai migliori film italiani della stagione. Un produttore (meglio tacerne il nome perché non siamo sicuri che scherzasse) si è lamentato che non ci fosse anche un «Nastro» per il film peggiore: gli sarebbe toccato di diritto. Ecco un punto di vista interessante in tanto discutere di premi e di sovvenzioni. Quel produttore si vantai di fare brutti film e ne vorrebbe il riconoscimento ufficiale, convinto com'è che con i bei film si guadagnano premi ma non soldi. Oltre a tutto, un film artisticamente valido non è mai né conformista né anodino, e quel produttore (e come' lui tanti, ahimè!) non è tipo da battagliare con la censura. È uno che sa vivere. Per aumentare il successo commerciale dei suoi brutti film, tenta di contrabbandare all’occasione un po’ di pornografia: se gli riesce, bene; se non gli riesce, tanto peggio.

Con simili chiari di luna, c’è da stupirsi che esista ancora chi s’intesti di realizzare film con intenti d'arte e, quanto meno, con decoro. Con l’occasione dei «Nastri», fermiamoci dunque un momento con questi paladini che hanno la sensibilità di commuoversi ricevendo pochi grammi d’argento sui quali però c’è scritto che hanno bene meritato. (L’«Oscar» William Holden, intervenuto alla serata, ha detto al microfono: «Lo so come ci si sente in certi momenti. È una gran bella emozione. E sono lieto di trovarmi a Roma proprio in questa circostanza».)

Fra i tredici «Nastri» troviamo premiati, per una ragione o per l’altra, I vitelloni (il produttore Pegoraro, il regista Fellini e Alberto Sordi), Cronache di poveri amanti (il musicista Zafred e lo scenografo Pek Avolio),Pane, amore e fantasia (Gina Lollobrigida), Magia verde (Gian Gaspare Napolitano e l’operatore Craveri), Anni facili (gli scenaristi Brancati, Amidei, Talarico, Zampa e il protagonista Nino Taranto), Il sole negli occhi (il regista Pietrangeli), Tempi nostri (Elisa Cegani). E Lea Padovani, distintasi soprattutto in «Una di quelle» e in Tempi nostri, ha avuto un «Nastro d'Argento» speciale per il complesso delle sue interpretazioni.

Forse Cronache di poveri amanti meritava un maggior riconoscimento e, dal punto di vista della qualità, allo scenario di Anni facili è preferibile quello de II sole negli occhi o quello di Pane, amore e fantasia; ma, in complesso la premiazione ha indicato i migliori della stagione e può dirsi soddisfacente.

Particolarmente lieta era la Lollobrigida. «Per molto tempo», ha detto, «la stampa mi ha considerato solo una "maggiorata fisica ”...» (Risa e applausi.) «Il premio», ha ripreso, «significa che la stampa ha cambiato idea e questo mi fa un enorme piacere.» Elisa Cegani, Nino Taranto e Lea Padovani erano veramente commossi; tanto più commossa e al settimo cielo la Padovani che aveva appena ricevuto la comunicazione che a Saint Vincent un’altra giuria le aveva attribuito la «Grolla d’oro». Bisogna dire che essa merita questi premi. Semmai c’è da osservare che li avrebbe meritati molto prima. E lo stesso rilievo si può fare per Elisa Cegani.

Per manifestare la sua soddisfazione, Alberto Sordi ha scritto una poesia e l’ha declamata alla folla che stipava la «Villa dei Cesari». S’intitola «Nastro d’Argento». È una di quelle sue poesie drammatiche popolate di steppe, di tenebre, di nonnette, poesie che dalle parole e per l’accento commosso col quale sono dette, dovrebbero strappare pianto e gridi di dolore. Dovrebbero, dico; perché in effetti l’assurdo delle parole e dell’accento è in tal modo combinato che la gente ride a crepapelle. Credo che di Sordi piaccia soprattutto questo: che sia discolo, dispettoso e bravo ragazzo.

Due soli assenti fra i premiati : Amidei, in Germania con Rossellini, e Craveri che sta girando Continente perduto in Indonesia. Fra i non premiati, assenti i delusi. Il record degli applausi è toccato alla Lollobrigida.

D.M., «Epoca», anno V, n.199, 29 luglio 1954



La censura

Viene imposto un divieto alla visione per i minori di anni 16, divieto che influisce negativamente negli incassi del film.


I documenti


Nel corso di un film Fabrizi finisce col litigare con tutti. Ebbe anche un diverbio con Totò quando lo diresse in Una di quelle perché – in una scena di pioggia artificiale scrosciante – una comparsa che doveva dare uno spintone a Totò dicendo una battuta continuava a sbagliare e Totò, stufo di infracicarsi, gli aveva detto che scritturasse per il ruolo qualcuno minimamente in grado di recitare invece di una schiappa. Lui, tra le altre frasi pittoresche, gli rispose che la smettesse di fare il burattino e accadde il finimondo. Totò lasciò il set e non vi rimise piede che dopo due giorni e solo quando Fabrizi gli aveva presentato le sue scuse. Tutto questo però lo fa solo per via del suo caratteraccio che si accende come un cerino. Altrimenti non c’è persona migliore di Aldo. E nessuno che abbia tenuto Totò in più considerazione di lui, come del resto lo teneva Totò che di Fabrizi aveva una stima immensa come attore. Nella vita, poi, erano molto amici, Aldo era una delle poche persone dell’ambiente che Totò vedeva fuori scena.

Dante Maggio


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Uno dei miei film preferiti con Totò e Peppino, nonostante si tratti di un film prevalentemente drammatico (dove De Filippo appare poco), l'ho trovato comunque un ottimo prodotto. Fabrizi (anche attore nel ruolo del medico) riesce a fondere bene la comicità e i duetti della coppia con situazioni più lacrimose dove il grande Totò risulta pienamente credibile e convincente. Da vedere per trovare un Totò leggermente diverso dal solito.

  • Strano innesto quello della coppia Totò-Peppino De Filippo, in un film dove al centro c'è una vicenda di povertà e di solitudine enfatizzata al massimo, anche con l'improvvisa malattia del bambino. Devo dire che però funziona abbastanza, merito soprattutto di un Totò capace di cambiare velocemente registro. La regia di Aldo Fabrizi è Fabrizi stesso, comico di razza, ma capace di parti altamente drammatiche, e qui ha alzato i toni del dramma (con una Padovani che più triste non si può) per contrapporli a quelli leggeri della famosa coppia.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La ingannevole locandina.

  • Gli eccezionali protagonisti mal si adattano al tono agrodolce della commedia. Il personaggio di Totò suona un po' forzato, quello di Fabrizi prevedibile, col suo altruismo da borborigma; l'unico a convincere a pieno è De Filippo, testimone ignaro di un atto di santità laica. Da lodare, invece, la regia, specie nel finale, con la coppia comica ad allontanarsi in una periferia anonima e gigantesca, simbolo di un'Italia nuova e ingiusta.

  • Fabrizi riesce nell’intento di trasmettere tutta la sofferenza e l’angoscia di una povera madre che nel tentativo di sopravvivere finisce col cadere in disgrazia. Fortuna che ci sono Totò e Peppino che regalano qualche ventata di ilarità, sebbene la situazione sia drammatica. Un esempio forse minore ma comunque efficace di neorealismo, con la differenza che lascia un flebile barlume di speranza.

  • Operina patetica che Fabrizi diresse rifacendosi al neorealistmo e ottenendo invece di sciupare la presenza di Totò e Peppino in un film sbagliato, considerato da molti estimatori del Principe come uno dei suoi peggiori. L'unico personaggio salvabile è proprio quello interpretato da Peppino: mostra di non aver capito nulla della "triste vicenda" e, con ineffabile laidezza, vuole credere fino all'ultimo di star lì soltanto per, ehm, "quella cosa". Grande Peppino, sei tutti noi! Un vero demistificatore occulto dell'ipocrisia dell'intera operazione.

  • Una pagnottella saporita piena di tante buone, questo film. C'é, formata per la prima volta, la coppia dei “cafoni” Totò e Peppino che calano alla conquista di Roma e dei suoi piaceri proibiti; c’è Fabrizi che si ritaglia, come attore, un ruolo intenso alla Orson Welles di un medico ricco di umanità; c’è la storia melodrammatica della povera vedova cstretta dal bisogno a diventare “una di quelle; ”c’è la Roma squallida delle periferie vista come un allucinato quadro metafisico di De Chirico; c'è Fabrizi che filma col cuore in mano e con un sorriso amaro.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Magnifico il ruolo di Peppino De Filippo, così comicamente ottuso e tetragono nella sua convizione che la Padovani sia davvero una prostituta.

  • Tra i meno noti e apprezzati lavori del Principe, credo abbia meno demeriti di quanti gliene si attribuiscono. Certo, vedendo Totò e Peppino (e contando anche la presenza di Fabrizi) ci si aspetterebbero le solite risate, invece il film è molto serioso, quasi forzatamente melodrammatico. Il lato più comico è affidato a Peppino, che continua a vivere nell'equivoco sul rapporto tra il cugino e la Padovani, inscenando gustose gag anche con Fabrizi. Totò dà una buona prova, anche se in alcuni momenti soffre chiaramente il taglio del film.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Peppino quasi scaraventato fuori dalle scale da Fabrizi, Totò che mette in bocca il cucchiaio del bimbo malato.

Le incongruenze

    1. Aldo Fabrizi, nel ruolo del medico, inietta per via intramuscolare una dose di siero antidifterico al bambino di Lea Padovani e gli salva la vita,utilizzando una siringa in cui ci sono appena due o tre cc. di liquido. Chi però abbia avuto, come il sottoscritto, il discutibile privilegio d'essersi un tempo sottoposto a sieroterapia antidifterica conosce e ricorda benissimo l'enorme volume d'ogni somministrazione, dai 10 ai 20 cc. a seconda delle U.I. necessarie alla terapia.
    2. Il doppiaggio (dell'epoca) è troppo spesso fuori sincrono, ed anche sbagliato. Per fare un solo esempio,quando Totò batte col manico del suo ombrello sul tassì, per svegliare il tassinaro dormiente, i colpi iniziano a sentirsi prima che il legno tocchi la carrozzeria, e sono in numero di 4, mentre Totò batte due volte sole: subito dopo, anche la chiusura d'uno sportello è preceduta di circa 1/2 secondo dal rumore corrispettivo.
    3. Poco dopo l'inizio del film, la vicina di casa che suona alla porta di Lea Padovani tiene tra le mani un vestito: inquadrata in primo piano di 3/4 da dietro (alla sua sinistra) ha entrambe le mani e l'oggetto all'altezza del torace. Al cambio di scena,controcampo con rotazione oraria della camera di circa 140°, la donna ha istantaneamente abbassate le mani, che non sono più visibili, malgrado la ripresa sia effettuata dal basso verso l'alto.

www.bloopers.it


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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
  • Sebastiano A. Giuffrida, "Roma, esterno giorno", Biblioteca dello spettacolo Brufo Editori - Perugia
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Giulio Cesare Castello, 1953
  • «Il Tempo», 9 ottobre 1953
  • «Il Messaggero», 9 ottobre 1953
  • c. Tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 10 ottobre 1953
  • «Momento Sera», 10 ottobre 1953
  • «L'Avanti», 17 ottobre 1953
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 4 novembre 1953
  • P. B., «Corriere d'Informazione», 5 novembre 1953
  • «Settimana Incom Illustrata», anno VI, n.42, 17 ottobre 1953
  • D.M., «Epoca», anno V, n.199, 29 luglio 1954