Destinazione Piovarolo

1955 Destinazione Piovarolo

Se Piovarolo si chiamasse così perché ci piove spesso, a Chiasso ci dovrebbe essere chiasso e a Lecco si dovrebbe leccare.

Totò Esposito

Inizio riprese: maggio 1955, Stabilimenti Pisorno Tirrenia
Autorizzazione censura e distribuzione: 10 dicembre 1955 - Incasso lire 313.013.000 - Spettatori 2.143.925



Titolo originale Destinazione Piovarolo
Paese Italia - Anno 1955 - Durata 89' - b/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Domenico Paolella, Mauro Morassi (aiuto) - Soggetto Gaio Fratini - Sceneggiatura Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Stefano Strucchi - Produttore Alfredo de Laurentiis(organizzazione), Isidoro Broggi, Renato Libassi (direttore) per D.D.L. Lux, Giorgio Morra(ispettore) - Distribuzione(Italia) Lux Film - Fotografia Mario Fioretti - Montaggio Gisa Radicchi Levi - Musiche Angelo Francesco Lavagnino - Scenografia Piero Filippone - Costumi Gaia Romanini - Trucco Giuliano Laurenti


Totò: Antonio La Quaglia - Marisa Merlini: Sara, la moglie - Irene Cefaro: Mariuccia La Quaglia, la loro figlia - Tina Pica: Beppa, la casellante tuttofare - Ernesto Almirante: Ernesto, il vecchio garibaldino - Arnoldo Foà: il podestà - Enrico Viarisio: l'on. De Fassi, popolare - Paolo Stoppa: l'on. Marcello Gorini, socialista - Fanny Landini: Rita, la vedova - Nando Bruno: Il Sagrestano - Mario Carotenuto: il capostazione uscente - Giacomo Furia: il segretario di de Fassi - Carlo Mazzarella: il segretario di Gorini - Nino Besozzi: il ministro delle comunicazioni - Leopoldo Trieste: il segretario del ministro - Marco Guglielmi - Lilia Landi - Alessandra Panaro


Soggetto

1922: il ferroviere Antonio La Quaglia, dopo tre anni di attesa, si aggiudica l'ultimo posto disponibile nella sperduta località di Piovarolo. Qui lo attende con ansia il capostazione con la sua famiglia. Ben presto comprende per quale motivo il collega fosse così felice di andarsene: nel paesino ferma un solo treno al giorno e la vita scorre decisamente monotona. Come se non bastasse, il tempo è sempre brutto e fa notizia l'uscita del sole.
Un giorno scende dal treno la giovane maestra Sara, che cade perché il mezzo non aveva ancora arrestato la sua corsa. Irritata per l'accaduto, fa rapporto e La Quaglia subisce un rimprovero. Passa il tempo e il vecchio Ernesto, trombettiere di Garibaldi, è moribondo. Ha voluto vestirsi con la sua divisa di Calatafimi. In punto di morte chiede di parlare col capostazione perché vuole indossarne il berretto nuovo molto simile a quello dei garibaldini, che purtroppo gli è stato mangiato dai topi, ma Antonio si rifiuta.

Intanto il deputato socialista Marcello Gorini arriva apposta da Roma a chiedere all'uomo di avallare e sottoscrivere che Garibaldi abbia detto "Caro Nino, qui si fa l'Italia socialista o si muore". Ernesto si rifiuta ma interviene Antonio disponibile a cedere il suo berretto in cambio del suo trasferimento dal paese. A Roma intanto popolari e socialisti si sono alleati al governo e insieme gli offrono il trasferimento a Viterbo o a Massa Carrara, ma l'uomo vorrebbe invece andare a lavorare nella sua Napoli. Viene accontentato, ma è sabato 28 ottobre 1922 e il telegrafo batte il messaggio che l'Italia è diventata fascista.

Durante la guerra una lettera gli comunica il trasferimento da Piovarolo a Rocca Imperiale, ma è solo il paese che ha cambiato nome. Sono in atto le nuove disposizioni: prevedono uno scatto per ogni due figli e così La Quaglia decide di prendere moglie. Si fa avanti la maestra del paese, che è nubile ed ha un cognome di chiara origine ebraica; la donna ha l'obbligo di prendere marito, soprattutto per cambiare cognome, e senza preclusioni prende l'iniziativa e corteggia Antonio. Presto i due si sposano ma i presagi sono infausti: proprio la prima notte di nozze ci sono 18 treni di passaggio che non consentono loro di stare insieme. Non solo, ma Antonio accumula note negative e viene anche rimproverato perché sua moglie non è di razza ariana. Il tempo passa e le ambizioni di carriera di Antonio diventano sempre più irraggiungibili. Fa di tutto per chiedere un trasferimento, ma senza successo. Intanto la figlia è diventata una giovane donna annoiata dalla vita del paese e vogliosa di diventare attrice.

Proprio lei facendo rotolare un sasso su un paesano involontariamente scatena una notizia che passando di voce in voce diventa quella della montagna che è franata. Sara sostiene le ambizioni della figlia e rimprovera ad Antonio di essere un fallito, quando arriva una telefonata: su un treno di passaggio viaggia il Ministro delle Comunicazioni. Antonio approfitta della notizia della presunta "frana" della montagna di Pizzolungo per fermare il treno. L'uomo spera di poter ricevere un encomio dal Ministro per aver salvato delle vite umane, ma le cose andranno diversamente.

Critica e curiosità

🎩 Antonio La Quaglia, ovvero: Cronache di un Uomo Qualunque in una Storia Non Qualunque 🎩

Siamo di fronte a una commedia che non urla, ma sussurra, che non ride sguaiatamente, ma sorride con sarcasmo. Un film, insomma, che cammina in equilibrio su quel filo sottile tra farsa e realtà, senza cadere nel burrone del patetico né salire sulle impalcature dell’istrionismo gratuito. La comicità qui non si misura in pernacchie o cadute di sedere, ma in sguardi obliqui, pause strategiche, e una compostezza che non ti aspetti da Totò — il re del nonsense, l’imperatore del paradosso, qui rientrato nei ranghi di una comicità civile, sommessa, amarognola come un caffè lasciato raffreddare nella tazzina del mattino.

📜 Il Totò che non grida, ma graffia con l'unghia del sarcasmo storico

Il protagonista, Antonio La Quaglia — e già il cognome è un programma zoologico — è uno di quei personaggi che la Storia non cita, che i libri ignorano e che le cronache dimenticano con sospetto tempismo. Un capostazione rimasto incollato per decenni a una stazioncina di provincia, Piovarolo, nome che suona come un misto tra piovasco e stagnazione amministrativa. È l’ultimo arrivato di un concorso ferroviario che sembra uscito da un incubo di Kafka organizzato da Trenitalia, ed è condannato a restar lì. Sempre lì. Immobile come l’orologio rotto della stazione, a sperare nell’arrivo — mai annunciato e mai previsto — di un capotronco che non arriva, non arriva, non arriverà.

E mentre il treno della storia corre a velocità fascista, post-fascista, democratica e democristiana, Antonio resta, con la sua divisa sdrucita, il suo cipiglio tra l’incredulo e il rassegnato, e la sua capacità tutta italica di sopravvivere, arrangiarsi, fare il morto per non affogare. In lui, Paolella — il regista — disegna l’italiano medio, l’uomo che ondeggia tra anarchia e conformismo, tra cinismo e tenerezza, tra vigliaccheria e dignità, in un pendolo morale che farebbe impallidire Machiavelli.

🦉 Onorevoli, garibaldini e trasformisti: benvenuti nel Circo della Politica Italiana

A corollario di questo nostro eroe involontario, un'umanità variopinta e malridotta: onorevoli travestiti da socialisti, socialisti travestiti da avvocati, avvocati travestiti da opportunisti. C’è di tutto in questa Italia che cambia bandiera come un marinaio stanco: dal garibaldino Ernesto che evoca Bixio come fosse un vecchio compare di osteria, fino all’onorevole Gorini, che non a caso somiglia spaventosamente — e volutamente — al famigerato "caporale" di Totò cerca casa. Il loro mondo è un guazzabuglio di ideali dismessi, vocazioni riciclate e carriere costruite sull’arte dell’arrampicamento sociale. Il trasformismo qui non è solo una categoria politica, è un sistema respiratorio.

Il film, lungi dal limitarsi a satira bonaria, è anche una microscopica storia d’Italia fatta con lo zoom inverso: dalla spedizione dei Mille, passando per la Marcia su Roma, fino alle piccole e mediocri miserie del presente — il tutto raccontato attraverso la lente deformante e compassionevole di un capostazione che non capisce il mondo, ma lo intuisce.

🎭 Totò senza fronzoli: l’arte della recitazione in levare

E qui arriva l’inaspettato colpo di genio. Totò, che nei film precedenti aveva affilato la lama dell’assurdo e del gesto clownesco fino a farne un’arma di distruzione di massa, qui la ripone nel fodero. La sua interpretazione è un piccolo miracolo di misura, un’espressione di malinconia senza mai cadere nella tristezza, un’interpretazione così precisa da sembrare naturale. C’è l’anima del personaggio, e dentro l’anima c’è l’Italia. Quella vera. Quella dei piccoli, degli sconfitti, degli uomini in attesa. Di cosa? Non si sa. Di un telegramma, di una promozione, di un treno che non passa.

Nessun urlo, nessuna smorfia fuori posto, nessun lazzo compiaciuto. Solo una malinconia che sgorga piano, che non si nota subito, ma che resta appiccicata addosso come il profumo tenue di un vecchio dopobarba.

🎼 Abbracciato cu’ te... e un po’ anche con George Stephenson

Achille Togliani, crooner dell’epoca, ci regala una ballata sentimental-sussurrata che fa da sottofondo al lento deragliamento sentimentale di Antonio La Quaglia. La canzone è scritta da de Curtis in persona — come a voler marcare, anche musicalmente, l’autorialità del Principe.

E poi, a far compagnia a La Quaglia nella sua solitudine stazionaria, ecco comparire l’illustre ritratto di George Stephenson, il padre della locomotiva. Che non parla, ma ascolta. Come un’icona laica, come un confessore industriale, come uno specchio per un’anima deragliata. Un espediente già usato, sì, ma che funziona, accidenti se funziona!

⚰️ Vedove, cimiteri e monologhi antichi: un Totò che guarda al passato (con una smorfia)

La vedova di tre mariti nel cimitero potrebbe sembrare una trovata alla “Totò cerca casa”, e infatti lo è. Come il monologo sulle guerre, palesemente copiato da Napoli milionaria! — ma che importa? In mano a Totò ogni cosa si trasforma, ogni citazione si rigenera, ogni déjà-vu si reinventa. È la stessa maschera, ma con pieghe nuove, con rughe di vissuto. Non più il poveraccio che si traveste da nobile, ma l’italiano medio che si traveste da sopravvissuto.

🏛️ L’ultimo degli ultimi: il ritratto dell’italiano eterno

Antonio La Quaglia non è altro che l’ennesimo anello della collana di personaggi-tipo costruita da Totò lungo la sua carriera: un umile, un piccolo, uno che subisce senza alzare la voce, ma che conserva dentro di sé un’irriducibile voglia di esserci. Che sia un maestro disoccupato, un disgraziato in cerca di casa, un anarchico suo malgrado, un servo travestito da cavaliere, Totò — l’attore, l’uomo, la maschera — torna sempre lì: all’uomo che si arrangia, che sopravvive ai caporali e alla burocrazia, alla Storia e al destino.

Non ha bisogno di proclami, Totò. Basta una pausa, uno sguardo, un mezzo sorriso. E in questo film ce li regala tutti, uno per uno, dosati con la precisione di un alchimista della malinconia.

🔚 Conclusione (ma anche no)

Una commedia che racconta trent’anni di Italia con la leggerezza di un fischio da capostazione. Una storia che sembra piccola, ma che dentro ha la nazione intera, con le sue miserie, le sue genialità, le sue contraddizioni ridicole e struggenti. Un Totò che non grida, non sghignazza, non si contorce: Totò che osserva. E ci lascia osservare con lui.

E alla fine, forse, quel capotronco non arriverà. Ma va bene così. Perché La Quaglia, e con lui l’Italia, ha già imparato a vivere nell’attesa. E a riderci sopra. Ma sommessamente, senza disturbare.


🎬 Scene Madri e Stazioni dell'Anima: Il Viaggio di Antonio La Quaglia tra Treni, Vedove e Ministri Smemorati 🎬

I quadri simbolici, capitoli emblematici, ritratti di umanità tragicomica incastonati come fermate ferroviarie nella lunga corsa di Antonio La Quaglia, capostazione involontario, antieroe per vocazione e metafora ambulante dell’italiano che non prende mai il treno, ma lo guarda passare. Vediamo in dettaglio le scene più memorabili, quelle che restano incollate alla retina cinematografica come biglietti non obliterati.

🚂 1. L’Arrivo di Antonio a Piovarolo – Benvenuti nel Nulla con Binari

La prima apparizione di Totò a Piovarolo è già tutta una dichiarazione poetica: la locomotiva sbuffa, la campagna è desolata, i binari sembrano finire nella polvere e nessuno – ripeto, nessuno – è lì ad attenderlo. Nemmeno un cane. Nemmeno un usciere. Solo il silenzio e le ragnatele di un'Italia dimenticata, in bilico tra il presente e il museo ferroviario.

Totò, col suo baule, il cappello da capostazione un po’ troppo grande, e quella faccia da chi ha capito subito l’antifona, scende con lo stesso entusiasmo con cui si scende a una visita fiscale. E lì, con una sola occhiata attorno, pronuncia lo sguardo più eloquente del cinema comico italiano: un misto di disillusione, stoicismo e principio di dermatite morale.

👻 2. Il Dialogo con George Stephenson – Totò e il Ritratto Parlante

Uno dei momenti più surreali e intimi del film. Antonio, solo nel suo ufficio, parla al ritratto dell’inventore della locomotiva, George Stephenson. Una scena che non è solo ironica, ma profondamente poetica: in quella conversazione silenziosa si avverte tutto il senso di isolamento, frustrazione e malinconica rassegnazione del protagonista.

È un momento da teatro dell’assurdo, una seduta spiritica ferroviaria, dove Stephenson diventa interlocutore muto e testimone compassionevole della burocrazia che ha condannato Antonio a un ergastolo paesano. Qui Totò dosa magistralmente tempi e inflessioni: nessun urlo, nessuna battuta da varietà, solo un ironico monologo sull’assurdità dell’efficienza che non efficienzia mai.

⚰️ 3. La Vedova dei Tre Mariti al Cimitero – Totò tra Vita, Morte e Umorismo Nero

Una delle scene più graffianti eppure delicate del film: al cimitero, Antonio osserva – con rispetto, ma anche con una vena di sarcasmo trattenuto – la vedova che depone fiori sulle tombe dei suoi tre defunti mariti. L’incontro si trasforma in una meditazione tragicomica sulla morte e sulla serialità affettiva, uno sketch che riecheggia lo humour nero di Totò cerca casa, ma qui è venato di un cinismo dolceamaro, quasi beckettiano.

Totò non prende in giro la vedova, anzi: la ascolta, partecipa, annuisce. E nel suo silenzio, carico di ironia e tenerezza, ci dice che vivere significa anche accumulare lutti con una certa compostezza borghese. In altre parole: la vita è una stazione, la morte è un binario morto. Ma almeno c’è un vaso di fiori.

📜 4. Il Monologo sulla Guerra – “E sapete perché scoppiano le guerre?”

Questa scena è un capolavoro di didattica ironica. Totò si lancia in un monologo apparentemente assurdo, spiegando perché scoppiano le guerre, copiando – con gusto e rispetto – la struttura del famoso discorso in Napoli milionaria!.

Con gesti minimi, frasi spezzate, e la solita logica apparentemente sbilenca, Antonio “spiega” che le guerre nascono da piccole beghe, da fastidi personali, da miserie umane elevate a problemi nazionali. Il tono è quello da bar, ma l’effetto è da trattato di geopolitica postmoderna.

La scena è potente perché mette in bocca a un uomo piccolo un pensiero enorme, ma espresso con parole terra-terra. Totò qui è filosofo popolare, sociologo involontario, e il suo sguardo, per una volta, buca la quarta parete e sembra dirci: “Voi, là fuori, siete sicuri di essere migliori?”

🎩 5. Il Camaleontismo dei Politici – Da Onorevoli a Professori in Tempo Reale

Una scena di irresistibile satira è quella in cui vediamo due personaggi – l’onorevole socialista e quello popolare – che, con l’arrivo di Mussolini al potere, si riciclano in tempo reale. Non passano 24 ore che già indossano nuove vesti: uno torna professore, l’altro si ricorda di essere avvocato.

È una scenetta che potrebbe essere girata tale e quale oggi, senza cambiare una virgola. Totò assiste alla metamorfosi con il candore stanco di chi ne ha viste troppe: li guarda, alza un sopracciglio e abbassa la speranza. È l’Italia del doppiopetto reversibile, dove ogni idealismo ha il retro in tinta unita per le emergenze.

📮 6. L’Attesa del Capotronco – Aspettando Godot con la Paletta in Mano

La lunga, infinita, interrotta e mai consumata attesa del Capotronco è forse la scena più emblematica del film. Non ha bisogno di un grande evento. È una serie di non-scene, di giornate tutte uguali, in cui Antonio attende, sempre più svogliatamente, che qualcuno si accorga di lui.

È un loop burocratico, un purgatorio amministrativo. Ogni volta che sente il suono del treno, Antonio si raddrizza, sistema il berretto, si ravviva i baffi. Ma nulla. Solo un carico di patate, un gruppo di suore, o un gregge in transito.

Questa attesa, simbolo kafkiano della burocrazia italiana, è trattata da Totò con una rassegnazione operosa, come chi sa che non succederà niente, ma si prepara lo stesso. Non per convinzione, ma per decoro.

📞 7. Le Telefonate con il Ministero – Quando la Speranza è un Centralinista

Altro momento memorabile è il tormentone delle telefonate con Roma. Antonio, con la voce sempre più spenta e gli occhi sempre più accesi di delusione, cerca di sapere qualcosa, qualsiasi cosa, da ministeri dove risponde sempre “la signorina Maria”.

Maria è l’icona dell’amministrazione pubblica: gentile, cortese, e perfettamente inutile. Totò parla, chiede, supplica, ma la risposta è sempre: “Le faremo sapere.” E questa frase è il vero inno nazionale italiano.

La scena è costruita con una comicità da commedia dell’assurdo, in cui lo strumento (il telefono) non serve a comunicare ma a spezzare ogni residua connessione con la realtà.

👥 8. Il Duetto con Paolo Stoppa – Gorini, ovvero il Caporale Reloaded

Il personaggio di Gorini, interpretato con perfido candore da Paolo Stoppa, è una reincarnazione raffinata del famigerato “caporale” di Totò cerca casa. Qui però ha studiato, ha fatto carriera, e ha imparato a essere spregevole con stile.

La scena in cui Antonio cerca, in tutti i modi, di ottenere la sua attenzione è una vera partita a scacchi tra un uomo che ha ancora fede nella meritocrazia e uno che sa benissimo che la meritocrazia è una favola. Stoppa lo fulmina con occhiate gelide, promesse ambigue e sorrisi da squartatore emotivo.

Totò, invece, rimane dignitoso, ma la sua umiltà si fa via via più stropicciata, come la sua divisa. È un duetto da antologia, che sintetizza in pochi minuti trent’anni di storia italiana in forma di abuso di potere.

🎞️ Conclusione: Un Film di Scene Silenziose che Gridano Fortissimo

Le scene memorabili di questo film non sono urla, non sono cadute, non sono schiaffoni. Sono silenzi, attese, dialoghi strozzati, sguardi lunghi. Totò non fa ridere: fa pensare, fa sorridere con amarezza, fa compagnia nella solitudine.

Ogni scena è un piccolo quadro realistico, ogni gesto è un pennello che dipinge l’Italia vera, quella che si barcamena, che si adatta, che aspetta. E che ogni tanto, come Antonio La Quaglia, parla con i ritratti per non sentirsi del tutto dimenticata.


Così la stampa dell'epoca

🗞️ Accoglienza Critica: Una Commedia “Minore” Solo per Chi Guarda Superficialmente 🗞️

Al momento della sua uscita (1952), il film oggi noto come “Il caporalmaggiore delle stazioni dimenticate” — per gli amici: Totò e le stazioni dell’anima — fu accolto dalla critica con un misto di composta simpatia e moderata sufficienza. Si parlò spesso di “commedia garbata, intelligente, misurata”, e se da un lato ciò fu percepito come un pregio (in un’epoca che alternava melodrammi lacrimogeni a farsa da cartolina), dall’altro lato lo relegò alla categoria delle opere “non esplosive”.

La critica, sempre alla ricerca di Totò che fa Totò, si trovò inizialmente spiazzata. Qui Totò non inciampa, non sghignazza, non strattona la battuta, ma si affida a un registro dimesso, a tratti commovente. Questo controluce espressivo non fu subito riconosciuto come una vetta attoriale, anzi: alcuni recensori lamentarono una “mancanza di guizzi”, una “tenuta narrativa troppo piana”, e soprattutto una “assenza di gag memorabili”.

Ma altri — i più lungimiranti — intuirono che proprio in quella sottrazione stava la grandezza. Testate come Il Messaggero, L’Unità e La Stampa parlarono di “una nuova maturità interpretativa” per Totò, e di un film che diceva molto più di quanto mostrasse, soprattutto in un’Italia appena uscita dalla sbornia neorealista e già sul punto di riscoprire il cinismo ben stirato della borghesia da dopoguerra.

In definitiva, la critica lo classificò come film “serio” con tratti di ironia, lontano tanto dai film comici puri quanto dal cinema d’impegno sociale. E come spesso accade a chi non rientra in nessun genere netto: fu ammirato, sì, ma con cautela.

🎟️ Accoglienza del Pubblico: Un Successo “A Bassa Voce” 🎟️

Il pubblico degli anni ’50 si trovò davanti un Totò diverso. E la reazione fu divisa ma educata. In platea, gli spettatori si aspettavano — legittimamente — un Principe del Sorriso pronto a scatenare il caos. Invece si ritrovarono un capostazione inascoltato che parlava con un quadro.

La prima settimana incassò discretamente, senza code chilometriche né flop clamorosi. Il passaparola fu tiepido ma affettuoso: la gente usciva dalla sala commentando che “Totò è stato bravo, però…”. Quel però sospeso conteneva la perplessità di un pubblico che non era ancora pronto a vedere l’attore vestire la malinconia come abito quotidiano.

Eppure, in alcune città di provincia — soprattutto nel centro-sud — il film fu accolto con maggiore entusiasmo: le tematiche di impiegati pubblici dimenticati, uffici periferici, stazioni isolate e telefonate inutili col Ministero toccavano corde ben note a chi viveva davvero quelle situazioni. Gli spettatori si identificavano, ridevano con amarezza, e qualcuno — pare — lasciava la sala con un nodo in gola.

Il film non fu un campione d’incassi, ma si guadagnò un suo spazio stabile nei cuori più sensibili. Rientra in quella categoria di opere che non strappano l’applauso immediato, ma che col tempo diventano cult segreti. Il pubblico lo riscoprirà decenni dopo, con occhi diversi, quando la nostalgia per la “vera Italia” diventerà linguaggio nazionale.

✂️ Censura: Nessuno Scandalo, Ma Qualche Sopracciglio Sollevato ✂️

Il film, pur non affrontando esplicitamente argomenti scottanti, fu comunque monitorato con attenzione dalla censura democristiana, che in quegli anni guardava con sospetto tutto ciò che anche solo sfiorasse la satira politica o la critica sociale, specie se travestita da commedia.

In particolare, destarono qualche malumore:

  1. Il ritratto dei politici trasformisti, che da socialisti si riciclano in avvocati e da popolari si tramutano in professori al solo cambio del vento. Il Ministero della Pubblica Morale (e dell’Ipocrisia Ministeriale) segnalò la scena come “potenzialmente irriverente verso le istituzioni della Nazione”, anche se poi si decise di non intervenire, vista la forma bonaria e caricaturale del tutto.
  2. Il monologo sulla guerra, ritenuto troppo “cinico” e forse “disfattista”, perché accusava i potenti di far scoppiare i conflitti per motivi personali o meschini. Ma si salvò grazie all’ironia e al tono paradossale: “Eh vabbè, è Totò, mica Marx…” disse (pare) un funzionario addetto alla visione preventiva.
  3. La vedova dei tre mariti fu valutata brevemente per “sconvenienza di costume”, ma la scena era trattata con sufficiente poesia da non urtare la morale pubblica.

Insomma: niente tagli, ma qualche nota interna negli archivi del Ministero. Il film superò indenne il filtro censorio perché la sua forza non era nelle urla, ma nei sussurri — e i sussurri, si sa, sono più difficili da censurare. E poi, con un capostazione come protagonista, chi vuoi che si senta minacciato?

🎞️ In Sintesi: Un Film con il Destino dell’“Eterno Secondo” 🎞️

Nel 1952, tra i fuochi d’artificio del neorealismo in declino e le nuove commedie borghesi in arrivo, Il capostazione Antonio La Quaglia passò come un treno regionale tra due Intercity. Nessuno lo fischiò via, ma pochi lo aspettavano davvero.

Critica: educata ma non entusiasta.
Pubblico: curioso ma disorientato.
Censura: guardinga ma non feroce.

Eppure, col tempo, il film è diventato un gioiello minore-ma-nobile, un esempio perfetto di quella “terza via” tra farsa e impegno, tra risata e riflessione, tra l’Italia che ride e quella che aspetta. Come Totò, che attende un capotronco e trova invece un’epoca intera.

Un film che non ha cambiato la storia del cinema, ma ha fotografato — con poesia e precisione — quella dell’Italia. E non è poco.


Sua Altezza il Principe Antonìo de Curtis — in arte Totò — si è trattenuto a Villa Patrìzi per un intero pomeriggio domenicale. Vestiva i panni di un timido e sfortunatissimo ometto ed ha oltrepassato i cancelli di Villa Patrizi, mescolato ad un numeroso gruppo di baffuti giovanotti in paglietta, ansioso come loro di conoscere i risultati del concorso a posti... di Capostazione di 3^ classe: Antonio La Quaglia, fu Calogero, sia pure classificato ultimo, ha vinto il concorso ed è stato destinalo a Piovarolo! Questa è una stazioncina in cui i treni non fermano mai e nella quale Antonio La Quaglia trascorrerà tutta la sua vita di ferroviere, attendendo invano la promozione.

Invece della promozione gli piombano addosso un mucchio di guai; riuscirà, però, un bel giorno, a fermare un treno e, poi, a dargli la partenza con un trionfale trillo di fischietto e la paletta alzata più in alto che può. Ma, alla grande soddisfazione, seguirà immediatamente un grande dolore e l'ometto, che ha sempre lottato invano contro la mediocrità, sarà ancora una volta vinto da cose piu grandi di lui.

«Ho provato una grandissima gioia — ci ha detto Totò in una pausa delle riprese — quando ho dato la partenza ad un vero treno... Perchè è stato proprio così: ad un certo punto il Capostazione di... dove ho girato moltissime scene, mi ha concesso l'onore di far partire un vero treno! Cerano molti operai affacciati ai finestrini e non le dico le ovazioni, le grida, i battimani... Sì, è stata proprio una grande soddisfazione. Ho coronato un sogno di ragazzo... perchè, come tutti i ragazzi, anche io ho giocato al treno e con una buatta (i peperoni me li ero già mangiati) ho fatto molto spesso il manovale con la lanterna...!».

Dopo averci confidato che a lui il mestiere del Capostazione piace moltissimo, ha dato dimostrazione di quanto ha imparato a fare vestendo i panni di un C. S. di celluloide. E l'acuto trillo d’un argenteo fischietto, sbucato fuori da una tasca del panciotto, ha fatto volgere la testa di tutti i presenti, davanti ai quali Totò ha assunto i modi ed i gesti del suo Capostazione, gridando perentoriamente: «In carrozza!... in carrozza!»

«Come viaggio? Molto spesso in macchina, nei tratti più lunghi sempre in treno. lo, per l'areoplano, sono rimasto a... Leonardo da Vinci!... So che stava facendo dei tentativi per volare... e non mi curo di sapere altro! Non conosco gli aerei, ma il vostro Settebello, si!... Quello è un treno! Direi che in esso si compendiano le realizzazioni delle ferrovie italiane nei cinquant'anni di gestione statale, che si stantio ora festeggiando... Gesù, Gesù... che bel treno! Ci ho compiuti parecchi viaggi: lo prendo ogni volta che torno dall'Estero... e chi l'ha mai visto uno più bello fuori d'Italia?!... Complimenti, complimenti, sa? Lo dica a tutti i ferrovieri: Totò ha detto che l'Italia possiede le più belle ferrovie d’Europa e questo grazie ai Ferrovieri, a TUTTI I FERROVIERI. Anche a quelli buoni, umili, impromoviblli come il Capo stazione di 3a classe Antonio La Quaglia fu Calogero!».

Alberto Ciambricco, «Voci dalla rotaia», 1955


Nel riprendere le redini del proprio destino cinematografico Antonio de Curtis ricade nell'errore di Totò cerca pace: tira di nuovo le briglie al suo estro comico, cercando riparo dentro i meccanismi ben oliati di due bonarie commedie, Destinazione Piovarolo (prodotto da Lux e D.D.L.) e Il coraggio (D.D.L.). In entrambe Totò mette a riposo la folle mimica che l'ha reso inconfondibile, puntando invece su una recitazione naturalistica, sulla rassegnazione del personaggio «umano» vessato dagli eterni caporali e dalle ristrettezze economiche. [...]

di Alberto Anile


[...] Il film, che è diretto con piglio allegrotto da Domenico Paolella, tenta un po' la parodia bonaria di tutti quei lunghi anni passati sul capo dell'infelice con il loro carico di miserie interne ed esterne: qualche pagina rivela un certo brio, qualche altra è sinceramente umana e commovente, ma in genere tutto rimane sul piano dello scherzo facile è quasi estemporaneo, solo qua e là colorito da un pittoresco avvicendarsi di personaggi che tendono sempre alla caricatura. Comunque grazie a Totò particolarmente convincente nelle vesti del protagonista, il pubblico presta alla storia un'attenzione fiorita e molte risate. Gli altri interpreti sono Marisa Merlini, Tina Pica, Irene Cefaro, Enrico Viarisio, Paolo Stoppa e Nino Besozzi.

G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 17 dicembre 1955


Nella storia triste e grottesca del “homunculus” italiano, Totò potrebbe avere una parte di protagonista assolutamente ineguagliabile e questo film ne costituisce la più palese indicazione. [...] Qualche scena, qualche gag e qualche spunto satirico meriterebbero di essere descritti se ne avessimo lo spazio, mentre una più elaborata tessitura ed una più approfondita e contrappuntata polemica avrebbero giovato alla brillantezza del risultato. Accanto a Totò sono da ricordare e positivamente Tina Pica, Paolo Stoppa, Enrico Viarisio, Nino Besozzi, Marisa Merlini, Ernesto Almirante, Arnoldo Foà ed Irene Cefaro.

Vinicio Marinucci, «Momento Sera», 17 dicembre 1955


Le vittime, i poveri diavoli indifesi contro forze incontrollabili più forti di loro hanno sempre richiamato l'attenzione di coloro che si propongono di divertire la gente con i guai dell'umanità, tanto più che una tale materia presta facilmente il fianco a compiaciuti scivoloni patetici di sicuro effetto. E' questa una regola alla quale non è venuto meno il regista Domenico Paolella, che ci ha descritto con sorvegliato mestiere le peripezie di un capostazione destinato ad una sperduta stazione di campagna. [...] Il soggetto del film, appositamente lavorato per l'interpretazione di Totò, pur rinunciando a troppi facili effetti comici, ricalca espedienti narrativi e situazioni ampiamente sfruttate, senza rinunciare ad un pizzico di spirito qualunquistico che aleggia in alcune parti. Totò si dimostra ottimo e misurato attore e felici possono essere considerate le prestazioni di Paolo Stoppa, Nino Besozzi, Ernesto Almirante, Tina Pica e Arnoldo Foà, Marisa Merlini e Irene Cefaro.

Vice, «L'Unità», 17 dicembre 1955


La presa in giro ottiene, per noi italiani, i più sicuri effetti dì critica e il film sollecita i consensi appunto attraverso la caricatura. Il copione è stato eliminato con sapide trovatine che il regista ha adeguatamente tradotto in immagini Totò colorisce in burlesco il personaggio del capostazione, prestandogli alcuni tocchi del suo repertorio abituale; rinunziando a molti di essi, però, è risultato più umano, dimostrando la sua attitudine a trasformarsi da marionetta in essere umano.[...]

Maurizio Liverani, «Paese Sera», 18 dicembre 1955


Totò capostazione in un paese dove i treni non si fermano mai

Destinazione Piovarolo, diretto da Domenico Paolella, è l'ultimo film del popolare comico - Pretese alla satira politica che non sempre riescono a realizzarsi

Parecchio scarso di idee e di effetti comici, con pretese alla satira politica che non riescono a realizzarsi, [...]  Totò, che non ci pare molto convinto, mette il proprio mestiere al servizio del personaggio di La Quaglia, intorno a cui ruotano moltissimi attori e attrici del nostro cinema corneo: Paolo Stoppa, Enrico Viarislo, Nino Beaozzi, Arnoldo Foà, Ernesto Almirante, Mario Carotenuto, Marisa Merllni, Tina Pica, Irene Cefaro e molti altri.

p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 31 dicembre 1955


Antonio La Quaglia non è un uomo fortunato. E’ un poveraccio sballottato in qua e in là dalla vita, ma sempre pieno di speranze nell’avvenire e negli uomini. Ma invece il mondo lo ignora, ed egli sembra proprio destinato ad essere sempre vittima di quelli più forti di lui, dei « caporali ». Ma un giorno del 1921, La Quaglia ebbe un momento di grande felicità e di intensa soddisfazione. Finalmente egli realizzava il sogno lungamente accarezzato di divenire capostazione, avendo vinto un concorso delle Ferrovie dello Stato.

Veramente quel posto non è gran che: vi erano ottocentocinquanta posti a disposizione, e La Quaglia è riuscito ottocentocinquantesimo. Ma egli non si accorge nemmeno di questo: ciò che importa è che finalmente, dopo tre anni di prove, egli ha vinto, e potrà dirigere una stazione. Con emozione, La Quaglia legge il nome della stazione cui io hanno assegnato: Piovarolo. E sulla guida turistica Piovarolo è descritto come un luogo ridente e pieno di attrattive. La Quaglia non dubita della possibilità di essere felice.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f3Nella sua stanzetta La Quaglia prova i cappelli rossi da capostazione. Se ne è fatto fare anche uno fuori ordinanza, più alto degli altri, per quando dovrà aggiungere sul bordo i fregi e le greche che si addicono ai capostazione molto importanti. Anzi, egli ha già comprato quei fregi e quelle greche. Non c’è dubbio, che tra pochi anni, passando di gloria in gloria, egli potrà dare, con il suo fischietto d’argento, il segnale di partenza a grandi ed importanti treni internazionali in una grande stazione' piena di movimento.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f4Giunto a Piovarolo, La Quaglia vi trova un capostazione uscente che ha tutta l’aria di essersi liberato da un incubo. Ed effettivamente la stazioncina non sembra così ridente come era stata descritta. La Quaglia si confida con l’unico amico che ha: il ritratto di George Stephenson, inventore della locomotiva, che egli chiama familiarmente « ingegnere », e che porta sempre con sè. Ma Stephenson, naturalmente, non risponde e non può risolvere i gravi problemi che ogni giorno si presentano al capostazione Antonio La Quaglia.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f5C’è, ad esempio, il problema del personale. In stazione c’è una sola persona, ad aiutare La Quaglia: è Beppa, una vecchia donna che funge da operaia, da casellante e da bigliettaia, che la, insomma tutti i servizi della stazione. Tanto c’è poco o niente da fare: nessun treno si ferma a Piovarolo se si eccettua l’accelerato. E dall’accelerato non è mai sceso nessuno. Gli altri treni passano a tutta velocità rombando, e fanno tremare la stazioncina di Piovarolo fin dalle fondamenta.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f6Ma una manovra sbagliata di La Quaglia provoca un incidente: la maestra cade a terra. Immediatamente ella fa rapporto alle Ferrovie, e il ministero invia a La Quaglia un solenne richiamo. La Quaglia odia la maestra con tutte le sue forze, e l’odio è ricambiato; una ruggine che si trascinerà per molto tempo, e che costituisce uno degli elementi di novità in un paesino sconsolato come Piovarolo.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f7Un giorno si presenta a La Quaglia una possibilità: due deputati di opposte fazioni sono venuti a Piovarolo per tentare di convincere un vecchio garibaldino morente a favorire la loro propaganda: La Quaglia può molto, per influire sul vecchio, e cerca di farsi pagare questa autorità con la promessa di una promozione in una stazione più importante. Ma quando ha strappato questa promessa tutto diventa inutile: i fascisti si sono impadroniti del potere, e hanno liquidato le opposizioni. Anche il capostazione La Quaglia, che appare compromesso, è nelle loro mani.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f20Ormai anche Piovarolo è nelle mani dei « caporali » fascisti. E il povero La Quaglia non è ben visto da essi. Ora gli arriva una ingiunzione: se vuole avere un avanzamento deve sposarsi. Soltanto gli ammogliati con figli faranno carriera; lo stesso ammonimento, frattanto, è giunto alla maestra, che è nubile, e di origine ebraica. La maestra ha un’idea: l’unico uomo che si può sposare, a Piovarolo, è il capostazione.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f21Non ci vuole molto a concludere: in fondo anche La Quaglia è attratto dalla graziosa maestra che faceva mostra di odiare. Ora che lei mette in opera tutte le sue arti, egli non resisterà. In breve il matrimonio si compie, ma i suoi inizi non saranno troppo felici; non solo non c’è tempo di fare il viaggio di nozze, ma La Quaglia deve stare tutta la notte in piedi per segnalare la via libera ai treni che non si sono mai fermati a Piovarolo. E per di più c’è un nuovo guaio: il partito fascista lo ha severamente rimproverato perchè ha sposato una ebrea; così il desideratissimo avanzamento è di nuovo molto compromesso.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f22Gli anni sono passati, è venuta la guerra ed è anche finita. Ma La Quaglia sta sempre a Piovarolo. Egli fa interminabili partite a scacchi con il capostazione più prossimo, e comunica con lui per mezzo del telegrafo. Sua moglie è invecchiata, e ha uno sguardo spento. Ormai ha quasi perduto la speranza di andarsene da Piovarolo, così come l’ha perduta La Quaglia. Eppure bisogna continuare a sperare, ad attendere, soprattutto perchè ora c’è un’altra persona in famiglia: una figlia grandicella, che sta diventando donna.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f23La figlia del capostazione La Quaglia sogna un avvenire migliore di quello che è stato riservato ai suoi genitori. Ella è bella, e manda le sue fotografie ai giornali a fumetti, i quali la illudono, dicendole che potrà fare del cinema. Ma per far questo bisogna uscire da Piovarolo, e sembra quasi impossibile che il miracolo avvenga. Tra il padre e la figlia, spalleggiata dalla madre, vi sono continui rimproveri e battibecchi su questo tema: non si può più rimanere a Piovarolo, in quel paesetto sperduto privo di risorse e di vita.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f24Un giorno accade a Piovarolo un fatto straordinario: giunge notizia che al terzo chilometro una frana si è abbattuta sulla ferrovia. In realtà non è accaduto nulla, si tratta soltanto di una voce che è ingigantita passando di bocca in bocca. Ma La Quaglia è preoccupato: tra pochi minuti dovrà passare un treno speciale sul quale viaggia il Ministro dei Trasporti. Bisogna fermarlo. E questa sarà anche l’occasione per parlare a tanto illustre personaggio e convincerlo a mutare di posto il povero La Quaglia che col cuore pieno di speranza attende con febbrile ansia l’imminente passaggio del treno.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f25Tutti i preparativi sono fatti, e il treno si ferma in maniera impeccabile: quel treno che non si era mai fermato a Piovarolo. La Quaglia è al colmo della gioia, e non fa altro che dare ordini e disposizioni. Egli guiderà il Ministro nella visita della stazioncina. Ma il Ministro è un uomo molto distratto, che dimentica immediatamente quel che gli dicono. Egli non sta a sentire La Quaglia, sembra un po’ svanito. Borbotta risposte d’occasione, ma questo basta a La Quaglia, felice.

1956 01 01 Noi Donne Destinazione Piovarolo f25Finalmente il treno riparte. Intanto si scopre che nessuna frana vi è sulla linea. La Quaglia è giulivo: ripensa alle poche parole dette dal Ministro, alle sue promesse, e nel suo fiducioso entusiasmo ha la certezza che il suo sogno potrà avverarsi e che presto otterrà l’agognato trasferimento. In realtà, però, è il segretario del Ministro che si occupa della cosa. E il segretario è convinto che La Quaglia abbia organizzato la messa in scena della frana per farsi notare. Così la storia si conclude con la frase fatidica di un altro « caporale »: «Quel La Quaglia non si muoverà da Piovarolo! Parola mia! ».Finalmente il treno riparte. Intanto si scopre che nessuna frana vi è sulla linea. La Quaglia è giulivo: ripensa alle poche parole dette dal Ministro, alle sue promesse, e nel suo fiducioso entusiasmo ha la certezza che il suo sogno potrà avverarsi e che presto otterrà l’agognato trasferimento. In realtà, però, è il segretario del Ministro che si occupa della cosa. E il segretario è convinto che La Quaglia abbia organizzato la messa in scena della frana per farsi notare. Così la storia si conclude con la frase fatidica di un altro « caporale »: «Quel La Quaglia non si muoverà da Piovarolo! Parola mia! ». FINE

«Noi donne», anno XI, n.1, 1 gennaio 1956


Destinazione Piovarolo, di Domenico Paolella, su trama di Gaio Fratini, è un’ occasione buona offerta a Totò, per uno del personaggi umani che egli ora giudiziosamente preferisce. [...]Un divertente bozzetto su spunti malinconici. Con Totò ci sono l'inesauribile Tina Pica e la brava e graziosa Marisa Merlini; oltre a Ernesto Almirante, qui vecchio garibaldino infrollito, di nuovo appassionato della tromba. E’ la terza volta che Almirante si vede assegnare, in un film, la mania della tromba; sarà una rivoluzione, per la sua vita, l'iniziativa di quel regista innovatore che gli darà da suonare un tamburo.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 6 gennaio 1956


[...] Totò è un protagonista efficace, soprattutto quando dimentica la mimica che l’ha reso famoso.

«Corriere d'Informazione», 7 gennaio 1956


Guardate se l’elenco vi basta; Paolo Stoppa, Enrico Viarisio, Nino Besozzi, Arnoldo Foà, Ernesto Almirante, Mario Carotenuto, Tina Pica, Marisa Merlini, Irene Cefaro (e altri ancora!). Sono gli attori comici messi intorno a Totò per la realizzazione di Destinazione Piovarolo su soggetto di G. Frattini. Totò ci mette più mestiere che convinzione. Ma che importa? A chi piace, le risate sgorgano spontanee: agli altri.... ma quelli, in genere, si guardano bene dallo scucire, per Totò, la lira dal borsellino! Il film pretende toccare il difficile tasto della satira politica e, ci pare, con idee scarse.[...] La regìa è dovuta a Domenico Paolella, che è anche uno degli sceneggiatori e l’impegno evidente con il quale ha affrontato questa fatica ci fa credere che, in altra occasione, saprà attingere a mete più positive. Tra gli interpreti, particolarmente apprezzata la recitazione della Pica e la fresca bellezza di Irene Cefaro. Molto curata la fotografia.

Mag, «La Gazzetta di Mantova», 20 gennaio 1956


Dopo «Siamo uomini o caporali» Totò vorrebbe adeguarsi a nuove misure di comicità. Sulla base del comico ormai noto ed amato dal pubblico, egli intende indossare la veste di buffo e un po’ amaro filosofo, di malinconico moralista. Lo ritroviamo così in «Destinazione Piovarolo», un film che ci riconduce — esaminandolo come tema e fatte le debite proporzioni — al binomio Zampa-Brancati. La vita di un capostazione relegato in una sperduta stazioncina dove è costretto a restare dalla vigilia della «Marcia su Roma» ai giorni nostri, rappresenta uno scorcio di storia e di costume la cui scelta pare rifarsi alle influenze moralistiche dello scomparso scrittore siciliano. Gli sceneggiatori. da parte loro, hanno allineato con gusto ed umoristico rilievo le progressioni cronistoriche costituenti gli avvenimenti più notevoli di un periodo in cui superficialità ed assurdo giocarono ruoli importanti.

Per questo le situazioni di «Destinazione Piovarolo» possiedono ampia dose di credibilità anche sotto il disegno macchiettistico impressovi dal protagonista. E per la stessa ragione si sarebbero prestate a sviluppi maggiormente verosimili, ad un vero assommarsi di grottesco e di umano, di patetico e di comico, tale da richiedere allo stesso Totò una più impegnata partecipazione d’interprete come fu per il Taranto di «Anni facili». Ma l'occasione è andata perduta. Si è concesso tutto alla «scenetta» e non si sono creati attorno a Totò personaggi altrimenti intesi dalla azione di contrasto comico i nomi non mancavano; Stoppa, Carotenuto, Viarisio, Foà, Besozzi, Trieste si sono limitati, volta a volta, a funzionare da «spalla».

Tuttavia i tempi di «Totò Tarzan» paiono ormai scomparsi e, rispetto alle precedenti produzioni, l'odierno Totò si presenta mondo di lepidezze da strapazzo, alieno da scurrilità da avanspettacolo. Perchè insistere ancora su alcune sue consuete mimiche o su noti e caricaturali atteggiamenti» serie? Scordiamo il Totò che si muoveva seguito mossa mossa dal batterista e atteniamoci alle sue intenzioni che sappiamo serie ed orientate verso piani artistici. Sono appunti che muoviamo — anche nel caso dell'attuale film — agli scenaristi che si compiacciono di ridicolizzare la scena della fermata del rapido col capostazione che fa segnalazioni come un ragazzino che giochi «al vigile urbano». Lo stesso deve dirsi per il regista che dovrebbe attenersi al non lieve compito di frenare e guidare un attore tanto esuberante.

Tuttavia le nostre parole, più che severità di critica nei confronti del film, vogliono ancora puntualizzare la necessita di non creare attorno a Totò nessuna facile concessione col pretesto di «tanto il pubblico lo vuole cosi». Diversamente, partiti con buoni propositi, si finisce per guastare l'attore e il soggetto.

«Cinema», anno IX, n.159, 25 gennaio 1956


I documenti

Il film Destinazione Piovarolo (1955), diretto da Domenico Paolella e interpretato da Totò nel ruolo del capostazione Antonio La Quaglia, ha avuto una distribuzione home video limitata e frammentaria nel corso degli anni. A differenza di altri titoli più noti della filmografia di Totò, questo film è stato meno frequentemente ristampato, rendendo le sue edizioni VHS e DVD oggetti di interesse per collezionisti e appassionati.

📼 Edizioni VHS

Negli anni '80 e '90, Destinazione Piovarolo è stato distribuito in formato VHS, spesso all'interno di collane dedicate al cinema italiano o specificamente a Totò. Tuttavia, le informazioni precise su queste edizioni sono scarse, e molte di esse non riportavano dettagli sui contenuti speciali o sulle caratteristiche tecniche. Alcune di queste videocassette sono oggi reperibili nel mercato dell'usato, in particolare su piattaforme come eBay e Subito.it, dove collezionisti offrono copie di queste rare edizioni.

💿 Edizioni DVD

Con l'avvento del DVD, Destinazione Piovarolo ha visto alcune ristampe, sebbene non sempre facilmente reperibili. Una delle edizioni più note è quella distribuita da Fabbri Editori all'interno della collana "Il Grande Cinema di Totò". Questa collana, composta da numerosi DVD dedicati ai film di Totò, includeva anche Destinazione Piovarolo, spesso accompagnato da fascicoli informativi che fornivano contesto storico e curiosità sul film. Tuttavia, anche queste edizioni sono oggi fuori catalogo e disponibili principalmente attraverso il mercato dell'usato.(eBay)

🎁 Contenuti Speciali

Le edizioni home video di Destinazione Piovarolo sono generalmente spartane per quanto riguarda i contenuti extra. La maggior parte delle versioni, sia in VHS che in DVD, offre il film nella sua forma originale senza materiali aggiuntivi. In alcune rare occasioni, soprattutto nelle edizioni DVD della collana Fabbri, potevano essere presenti brevi introduzioni o schede informative, ma nulla di paragonabile ai contenuti speciali presenti in edizioni più recenti di altri film.

📚 Conclusione

Destinazione Piovarolo rimane una gemma meno esplorata nella vasta filmografia di Totò. Le sue edizioni home video, sebbene limitate, rappresentano un interessante oggetto di ricerca per collezionisti e appassionati del cinema italiano d'epoca. Chi desidera aggiungere questo titolo alla propria collezione dovrà probabilmente affidarsi al mercato dell'usato, dove, con un po' di fortuna, è ancora possibile trovare copie in buone condizioni.


Esisteva un altro finale, scartato al montaggio finale in seguito all'insistenza di un distributore che non voleva chiudere con un Totò triste e abbattuto. La Quaglia viene retrocesso da capostazione a casellante per aver simulato la frana ed aver fatto fermare il treno con il ministro alla stazione di Piovarolo. La macchina da presa inquadra La Quaglia nelle vesti di casellante, con la paletta in mano che fissa quell'unico treno fermatosi a Piovarolo, che parte mentre uno schizzo d'acqua lo raggiunge in pieno volto. Lo affermò il regista Domenico Paolella intervistato da Alberto Anile.

Quando io ho avuto Totò per Il coraggio e Destinazione Piovarolo, Totò era molto legato alle sue radici popolari. Nel film Il coraggio volevo fare un ambiente borghese in cui s’inserisce un personaggio popolare, il povero napoletano straccione che si vuol suicidare, ma viene salvato da uno che strumentalizza il salvataggio, e lui si piazza in casa del salvatore con tutta la famiglia: “Mi hai salvato, sei mio padre, sta a te occuparti di noi”. L’ambiente di Destinazione Piovarolo è invece una piccola stazione di provincia, dove Totò è finito, la più schifosa e piovosa stazione di provincia dove, dal 1912 al 1958, anno del film, cerca di essere promosso applicando il regolamento. Totò e Cervi erano diversissimi. Cervi è un attore di teatro, del teatro borghese, bravissimo, ma aveva nei confronti di Totò una certa piccolissima sufficienza. Certe sbrodolature che erano l’invenzione di Totò non entravano nei canoni tradizionali di una recitazione borghese. Totò era imprevedibile. Ma di questa sottile tensione io ho cercato di avvalermi. Certe espressioni di Cervi che guarda Totò in quella maniera... ineffabile, erano in realtà stupende ma erano al di fuori del personaggio, erano di un attore che recita con un attore diversissimo da lui. Totò era in realtà molto distruttivo, non professionalmente ma dal punto di vista umano. Una specie di pigrizia napoletana, non so. Gli parlavo di certe soluzioni per il personaggio, del retroterra che gli si poteva dare, e lui sembrava improvvisamente stanco, mi diceva a bassa voce: “Mimmo, dimmi cosa vuoi che io faccia”, e mi bloccava, mi faceva proprio soffrire... Lui era rimasto alla cultura delle sue origini: il cinema non lo amava, era un attore da strada. In Destinazione Piovarolo, vestito da capostazione, mentre giravamo con le macchine che non si vedevano, gli si accostano dei veri viaggiatori e gli chiedono il treno per Pescara. Lui, con una serietà e una finezza incredibili, li indirizzò a un treno che quelli presero, e che finiva chissà dove! Ma fu una scena stupenda. Attore da strada era.

Domenico Paolella (Intervista di Alberto Anile)


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Dopo un primo tempo grazioso, la seconda parte del film rallenta, perdendosi pure in rivoli non spiegati (la passione della figlia per il cinema), e fa rimpiangere il precedente puro tono scherzoso che via via viene contagiato, talora dal tentativo di volare un po' più in alto, talora da approssimazioni un po' brusche. Clamoroso errore geografico (vedasi in Curiosità). "Ottimi comprimari" (Morandini), fra i quali Mario Carotenuto.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il trasferimento a Rocca Imperiale...

  • Capostazione in un paesino sperduto e dimenticato sogna una stazione più grande e le aspirazioni per un avanzamento di carriera attraversano senza soluzione la storia d’Italia dal fascismo ai giorni nostri. Grande Totò (e grande Tina Pica) in un film godibile e amaro, con guizzi felici di comicità e perfino di satira sul trasformismo politico e sul disinteresse della politica per la vita reale. Talvolta la storia (e il film con lei) langue, ma nel complesso si fa vedere e rivedere con gusto.

  • A metà tra commedia e dramma, una discreta pellicola ben diretta dal bravo Paolella e dotata di un buon ritmo. Totò e Tina Pica duettano alla grande e sono ben sostenuti da un ottimo cast di supporto, capeggiato da un sempre eccellente Paolo Stoppa. Alcune scene sono da antologia, vedasi il finale. Da riscoprire.

  • Un Totò meno comico del solito in una buona commedia che attraversa 30 anni di storia d'Italia (e dei partiti che vi si sono succeduti) facendo una buona satira di costume, spesso divertente e amara al tempo stesso. Il protagonista è grande come sempre e sa tenere in piedi anche qualche momento un po' più spento, contornato da un bel gruppo di caratteristi e comprimari (tra cui un grande Stoppa, uno spassoso Besozzi e una particina iniziale per Carotenuto). Non spumeggiante come altri film del principe, ma interessante.

  • La vita di un impiegato statale (capostazione ferroviario), dal suo entusiasmo per aver vinto il concorso che lo assegna allo sperduto paese di Piovarolo fino alle innumerevoli delusioni dei mancati trasferimenti; il tutto attraverso la storia di un'Italia che si trasforma politicamente, dalla monarchia alla repubblica. Assieme a Totò (perfetto per la parte) una galleria di personaggi caratterizzati dai nomi migliori dell'epoca in una sceneggiatura che non risparmia nessuno, mettendo in evidenza le caratteristiche meno nobili dei politici di turno.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le apparizioni di Tina Pica.

  • Il binomio Paolella-Principe De Curtis ha prodotto un paio variazioni sul tema totoesco decisamente anomale, toccando le corde più drammatiche, meno macchiettistiche della nostra straordinaria Maschera. Piovarolo, oggetto di visioni plurime, segue le vicende di un eroe dei nostri tempi: il capostazione La Quaglia, costretto a sgomitare nella tenaglia tra Italia monarchica, fascista e repubblicana. Forse qualunquista, ma non banale e condotto con un ritmo invidiabile (script di Benvenuti e De Bernardi). Messe memorabile di caratteristi: grandi Stoppa e Pica.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le "apparizioni" della Beppa; Il vecchio garibaldino di Almirante; Il farfugliante ministro tonto di Besozzi con Segretario mellifluo (Trieste) a carico.

  • Se non uno dei più comici sicuramente, tra tutti i film di Totò, uno di quelli che fa riflettere di più. Anche perchè, seppur tra frizzi e lazzi, c'è una pesante critica a tutto il sistema politico e a chi lo ha gestito. Dal Ventennio fino ai giorni della Repubblica. Cambia la musica, ma gli orchestrali sono sempre gli stessi. Un merito va sicuramente alla sceneggiatura, oltre che alla regia. Poco passato dalle Tv, andrebbe sicuramente riscoperto.

  • Le avventure del capostazione Antonio La Quaglia, nella sperduta e amena Piovarolo, sono il quadretto per una critica, neanche troppo velata, alla società italiana del ventennio fascista e al trasformismo politico che perdura ancora oggi. La prima parte regala spunti divertenti e interessanti, ma ben presto il film si arena e lo stesso Totò fatica a trovare il ritmo giusto a causa di una sceneggiatura che finisce le idee. Piccolo encomio per Tina Pica, che riesce sempre a lasciare il segno.

  • Un buon Totò spalleggiato da una straordinaria Tina Pica è al servizio di una commedia comica e a tratti un po' amara non del tutto riuscita. L'idea di base è buona, ma lo svolgimento a tratti risulta essere noioso a causa di qualche lungaggine di troppo.

  • Bel film di un'Italia che non c'è più da millenni, sia come persone che come mentalità, nonostante documenti le consuete meschinità soprattutto a livello dirigenziale (e qui la distanza da noi è davvero minima). Girato con spontaneità, può essere diviso un due parti: una prima molto originale e intelligente e una seconda in cui la "maniera" e la commedia banalotta prendono il sopravvento quasi a voler prolungare il film per portarlo alla durata di 90' circa. Comunque bello e godibile. Girato nella stazione di Roma Salone.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La casellante, manovale, guardiasala che all'occorrenza accudisce anche i capistazione celibi.

  • Bella commedia di Paolella che una volta tanto stringe l'esuberanza di Totó in una sceneggiatura vera, dandogli la possibilità di mostrare le sue qualità di attore drammatico, spesso poco sfruttate dai registi che l'hanno diretto. La storia si svolge lungo un ampio arco temporale in cui vengono messi alla berlina i difetti di una classe politica inadeguata con una satira efficace e non banale. Tende a rallentare nel finale e forse si sente la mancanza di una spalla di rilievo per il Principe. Bene i comprimari, con Stoppa e la Merlini al top.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il tira e molla di Almirante; I monologhi davanti al ritratto di Stephenson; Il "trasferimento" da Piovarolo a Rocca Imperiale.

  • Una stazione ferroviaria di uno sperduto e piovoso paese di provincia come la Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari di Buzzati, il modesto capostazione Totò come il Tenente Drogo; un luogo metafisico più che reale un posto, più che statale, del desiderio e del sogno dove attendere qualcosa di importante che non arriverà mai…. Ma anche una satira politica su l’eterna classe politica intrallazzatrice italiana che rimane uguale anche se cambiano i regimi. Una proto commedia all’italiana con un Totò in gran forma tra comicità, grottesco e realismo.

  • Commedia agrodolce che attraversa un discreto arco temporale di vita dello sventurato capostazione interpretato da Totò, che parte ultimo in graduatoria nel concorso pubblico e viene rilegato in una stazione da incubo. Tuttavia, l'intrepido protagonista non si perde mai d'animo e continua a sperare, fino alla fine, di raggiungere il tanto agognato trasferimento. Il film è retto quasi totalmente dal Principe, che interagisce con varie spalle (la simpatica Pica, l'odioso Stoppa anche qui in versione "caporale").• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'inizio con Totò che scorre la graduatoria; L'illusorio trasferimento a Rocca Imperiale; La frana.

Partitura musicale del brano "Abbracciato cu' tte" di A. de Curtis dal film Destinazione Piovarolo (1955)


L'altro finale


Girammo tre finali perché era difficile concludere quel film. In una di queste conclusioni, sempre amare, Totò era stato retrocesso a casellante, per punizione aveva preso il posto di Tina Pica. Lo si vedeva in un’immagine sbalorditiva ma troppo cattiva: lui sotto la pioggia che fa il casellante, col famoso treno con il quale ha combattuto per anni che gli passa davanti schizzandogli la pioggia in faccia. Era un po’ violento, lo debbo ammettere, però era molto bello, ed è quello a cui credevamo tutti quanti, anche la produzione. Fu un distributore a volerlo cambiare.

Domenico Paolella


La censura


Duplicato del verbale (datato 10 dicembre 1955) della Commissione Revisione Cinematografica datato 22 giugno 1956
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)


Le incongruenze

    1. Quando passa il treno carico di fascisti durante la famosa Marcia su Roma, i due onorevoli che si trovavano a Piovarolo sanno già che l'Italia è diventata fascista e che per loro è meglio trovarsi un altro posto di lavoro. In realtà tali ragionamenti sarebbero impossibili da fare solamente vedendo passare il treno, anche perchè se Vittorio Emanuele III avesse dichiarato lo stato d'assedio per la città di Roma la marcia fascista si sarebbe risolta in un buco nell'acqua, e anche in caso di successo non si poteva prevedere che si sarebbe instaurata una dittatura, che avvenne in pratica solamente nel 1925.
    2. La ferrovia che passa per Piovarolo viene elettrificata prima della marcia su Roma, avvenuta nel 1922. Si vede chiaramente che il tipo di elettrificazione è quello in corrente continua, che fu inaugurato in realtà solo nel 1928, sulla linea Foggia-Benevento. Per di più, tra le prime locomotive elettriche che si vedono nel film, c'è una E424, che non può esistere prima del 1946.
    3. Errore 'classico': quando la figlia cammina per la strada sta piovendo e si bagna, un attimo dopo entra nell'ufficio postale ed ha vestiti e capelli perfettamente asciutti.
    4. Quando il capo stazione La Quaglia (Totò) chiede consiglio al sacrestano su chi trovare per moglie a causa della Legge Fascista sul matrimonio, quest'ultimo gli si rivolge dandogli del "lei", mentre durante il fascismo si doveva interloquire con il "Voi". La stessa cosa accade nella scena con la vedova la cimitero.
    5. Nel finale, quando Antonio vuole fermare il treno con il ministro, mostra il segnale di stop e il treno passa oltre di lui abbastanza veloce e cominciando a rallentare; cambio di inquadratura e il treno è già fermo solo pochi metri dopo Antonio.
    6. Durante la partita a scacchi via telegrafo, Antonio è innervosito dalla musica proveniente dal grammofono della figlia, ma continua a fare le sue mosse e a comunicarle in codice Morse. Peccato però che trasmetta sempre sequenze di due punti, senza nessun significato per l'interlocutore. (Due punti identificano la Lettera I)
    7. Grossolano errore geografico, nel dialogo fra Stoppa e Totò. A Totò viene proposto di trasferirsi a Massa Carrara, al che lui replica che "sembrano due città, invece è una sola", al che gli altri cambiano sede, proponendogliene un'altra.
      In realtà Massa Carrara non esiste come città: Massa e Carrara sono due città diverse. Al limite sembra una sola città, ma in realtà sono due...

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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

Destianzione Piovarolo

L'’immaginario paesino di Piovarolo la cui stazione ferroviaria è gestita dal neo capostazione Antonio La Quaglia (Totò) è in realtà Mazzano Romano (RM)

Destianzione Piovarolo

Destianzione Piovarolo

 La strada di Piovarolo dove Antonio La Quaglia (Totò) cerca moglie nel paese attraverso l'intermediazione del parroco locale è Piazza Umberto I a Mazzano Romano (Roma).

Destianzione Piovarolo

Destianzione Piovarolo

La stazione ferroviaria dell'immaginario paesino di Piovarolo di cui Antonio La Quaglia (Totò) è il capostazione risulta essere (come segnalato anche su Wikipedia) quella di Salone a Roma, sulla linea ferroviaria Roma-Pescara. Si osservi l'edificio sullo sfondo (A) che permette la collocazione esatta della location.

Destianzione Piovarolo

Destianzione Piovarolo

La stazione di Salone (Roma) 

Destianzione Piovarolo

Destianzione Piovarolo 

Destianzione Piovarolo

Destianzione Piovarolo

La sede delle ferrovie dove Antonio La Quaglia (Totò) scopre di aver vinto il concorso di capostazione a Piovarolo è, oggi come allora, il Palazzo delle Ferrovie dello Stato in Piazza della Croce Rossa 1 a Roma. Un’inquadratura del cortile interno confrontata con un fotogramma di Tre donne: 01. La sciantosa (1971). L’esterno dell’edificio con evidenziato il lampione A visto nel primo fotogramma. La freccia indica, invece, la posizione della fontana B. 


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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Vita di Totò", Ennio Bìspuri - Gremese, 2000
  • Domenico Paolella, intervista di Alberto Anile, "I film di Totò" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
  • Foto della stazione di Salone di Arnaldo Vescovo
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Alberto Ciambricco, «Voci dalla rotaia», 1955
  • G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 17 dicembre 1955
  • Vinicio Marinucci, «Momento Sera», 17 dicembre 1955
  • Vice, «L'Unità», 17 dicembre 1955
  • Maurizio Liverani, «Paese Sera», 18 dicembre 1955
  • p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 31 dicembre 1955
  • «Noi donne», anno XI, n.1, 1 gennaio 1956
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 6 gennaio 1956
  • «Corriere d'Informazione», 7 gennaio 1956
  • Mag, «La Gazzetta di Mantova», 20 gennaio 1956
  • «Cinema», anno IX, n.159, 25 gennaio 1956