Collaboratori e autori: Daniele Palmesi, Orio Caldiron
Totò e... Giacomo Furia
Si divertiva sul set
Quando ero nella compagnia di Eduardo, alla fine del nostro spettacolo noi giovani ci struccavamo e scappavamo per andare a vedere Totò che facendo la rivista finiva sempre un'ora dopo la prosa. Arrivavamo in tempo per vedere lo sketch del sotto finale e poi la famosa passerella, la marcia dei bersaglieri con cui inesorabilmente chiudeva. Ho fatto poi molti film con Totò, erano film che si giravano in venti giorni, anche meno. I produttori avevano interesse a girarli nel minor tempo possibile e a sfornarli uno appresso all'altro. "Il medico dei pazzi" lo girammo addirittura in dodici giorni. Ma bisogna tener conto del fatto che Totò arrivava sul set verso le tre e finiva verso le otto, non c'era molto tempo.
Qualche volta non sono neppure sicuro se in un certo film c'ero o non c'ero, per certi film ho lavorato un giorno, due giorni, anche tre: si dimentica, non si può dire ho fatto un film, ma ho fatto una cosa. Mi ricordo che Mattòli si rivolgeva a Totò dicendogli: "Principe, tu devi fare così", mi faceva un po' ridere, ma lui accettava quello che Mattòli gli diceva, andavano d'accordo. Nei suoi film ci sono un po' sempre gli stessi attori, Totò aveva bisogno di stare sempre con gli stessi, non gli piacevano i cambiamenti. Quando andò a fare un film in Spagna si trovò malissimo con l'operatore, che voleva fargli fare determinati passi per riprenderlo con una certa illuminazione. Totò gli diceva: "No, i passi no", si sentiva legato, impacciato, aveva bisogno di muoversi liberamente, altrimenti si limitava a dire la battuta e non rideva più nessuno.
Il suo problema sono sempre stati gli occhi, all'inizio ci vedeva pochino, e poi alla fine non ci vedeva quasi più. Non potendosi divertire come una volta sulle tavole del palcoscenico, Totò si divertiva sul set. Quando tra una scena e l'altra riuscivamo a giocare a scopone, era contento di stare a guardare, sosteneva una volta un gruppo e una volta un altro. Era un uomo adorabile, molto generoso. Qualche volta mi diceva: "Buono, buono, ma perché l'hai detta così, si può perfezionare ...". Secondo me, perfezionare la battuta divertente di un altro, per un comico è il massimo del sacrificio, della generosità.
Quella che Age e Scarpelli consegnarono al regista per La banda degli onesti era già in partenza una signora sceneggiatura. L’ossatura del film è tutta loro. Totò e Peppino l’hanno infarcita ulteriormente durante la lavorazione. Succedeva che prima di una scena Totò convocasse Peppino e me in un angolo del set, e lì, come costumava ai tempi della commedia dell’arte, uno diceva una cosa, uno un’altra e si inventavano delle gag fuori dal copione. Quindi al ciak ognuno dava un ulteriore contributo personale così come gli veniva in mente. L’idea, per esempio, di velocizzare la sequenza dei soldi la ebbe Totò lì per lì. Sbaglia, però, chi definisce Peppino la spalla di Totò, perché Totò era un grande comico e Peppino era un grande attore comico. E tra una dote e l’altra corre una bella differenza. Sul piano umano Totò era una persona davvero eccezionale, ha fatto del bene a piene mani a tutti. Lavorarci era inoltre un andare a divertirsi. Comunque, era tanto spassoso sul set quanto pacato appena smetteva i panni della scena. La prima volta che mi invitò a casa sua mi trovai d fronte un gran signore che, sebbene affabile, incuteva soggezione.
La stampa dell'epoca
Io, Sofia e una risata torrenziale
Furia, compagno della Loren pizzaiola: «Totò sul set come uno studente burlone»
«Totò? Il computer della comicità! Sofia Loren? Perfezionista già a vent’anni!». Giacomo Furia, 83 anni e il bagaglio di 140 film alle spalle (16 al fianco del principe della risata), non ha dubbi. Per lui «L’oro di Napoli», sei episodi con un cast d’eccezione, è un pezzo di storia del cinema. «L’atmosfera di quel set è indimenticabile — esordisce Furia —. De Sica alla regia, io e la Loren a dare l'anima nei panni di due pizzaioli, nell’episodio "Pizze a credito". Certo gli spunti per sorridere non mancavano. Io, don Rosario, marito geloso e cornuto. Lei, donna Sofia, una moglie che incantava con i suoi "promemoria" ben in vista Anche se, per la verità lei aveva pochi motivi per essere divertente».
Perché, la Loren aveva litigato con qualcuno?
«Chi, Sofia? Ma scherziamo? È sempre stata una compagnona La verità è che arrivò sul set con una fastidiosa bronchite. Ma De Sica aveva previsto una scena dove, sotto la pioggia, cercavamo l’anello scomparso. A Napoli, però, non pioveva Così, Vittorio chiamò i vigili del fuoco. Ma i pompieri presero troppo alla lettera il loro ruolo. Tanto che fummo investiti da un diluvio. La Loren? Impassibile, da navigata professionista. Eppure aveva solo vent’anni».
Quali doti hanno reso Sofia un mito del cinema internazionale?
«Innanzitutto un perfezionismo raro. Durante "L’oro di Napoli" era instancabile. Prima di girare, fino all’ultimo minuto, diceva: "Giacomo, dai, proviamo ancora!". E poi ha un talento innato. Una determinazione da primato. Sofia aveva un sogno e l’ha realizzato. Anzi, è andata oltre i suoi sogni. Un esempio per chi vuole fare il buon cinema». Ne «L’oro di Napoli» ce anche l’episodio «Il guappo», dove Totò veste i panni di un tragicomico «pazzariello». Che ricordi ha di quella interpretazione?
«Non ero sul set quando lui girò. La sua fu un’interpretazione cosi realistica che spiazzò gli spettatori, abituati alla maschera comica. Seppi poi, che si amareggiò con De Sica. Vittorio, per rendergli omaggio, decise di iniziare il film con il suo episodio. Totò, invece, pensò che fosse uno sgarbo. Era abituato alla rivista, dove ai grandi è riservata la passerella finale».
Lei ha recitato con il principe della risata in tante pellicole. Com'era lavorare con lui sul set?
«Lavorare? Ma recitare con Totò era puro divertimento! Perché, per far ridere il pubblico, doveva divertirsi prima lui. Immaginate uno studente in vena di scherzi e di prese in giro. Ecco, Totò sul set era cosi. Una volta fitto un aereo da turismo per lanciare volantini sugli studi De Laurentiis. Prendeva in giro Pasquale De Filippo, figlio di Scarpetta, "esperto" di scopone. Pensate che prima di arrivare in palcoscenico, diceva: "Stasera li farò ridere con le vocali: aah, eeh, iih, ooh, uuh. E puntualmente accadeva. Poteva leggere l’elenco telefonico e la gente rideva I suoi tempi comici erano unici: un vero computer della comicità! Certo adesso è facile parlare bene di Totò. Ma farlo negli anni '50 era andare controcorrente».
Sembra assurdo a raccontarlo oggi...
«Eppure fu così. Lo conferma un episodio. In quel periodo c’era un giornalista, Andrea De Pino, in difficolta economiche. Tanto che non aveva neanche la macchina per scrivere. Totò lo seppe e con la sua grande umanità cercò di aiutarlo. Gli comprò una "portatile" e gliela fece recapitare a casa. Indovinate De Pino come ricambiò tanta generosità’ Scrivendo uno degli articoli più terribili contro Totò. Gli amici del principe si arrabbiarono: "Hai visto? Questa è la riconoscenza!". Totò, invece, scoppiò ridere e rispose: "Ha fatto benissimo. Se mi avesse elogiato non l’avrei apprezzato. Chiamatelo, voglio invitarlo a cena!».
Michele Avitabile, «Corriere della Sera», 11 ottobre 2008
Una sera degli anni ’50, a casa di Giacomo Furia, il «Pinturicchio» squattrinato della «Banda degli onesti», una partita di scopone vedeva coinvolti: Pasquale De Filippo – cugino di Eduardo e Peppino – il produttore Gilberto Carbone, gli attori Aldo Giuffrè e Armando Curcio. Alle tre e qualcosa, tra pizze fritte e primiere, il gioco fu interrotto da una telefonata. «Di scatto – ricorda Furia nel libro di Michele Avitabile «Le maggiorate, il Principe e l’ultimo degli onesti» – osservammo l’apparecchio impauriti e sconvolti. Chi mi chiamava a quell’ora? “Pronto, qui è la Questura centrale – disse una voce – abbiamo saputo che state gestendo una bisca clandestina!”. Un brivido freddo m’attraversò il corpo. Durò un attimo, per fortuna. Una risata di divertimento mi liberò dall’incubo. Era Totò. “Giacumì, state ancora giocando? Volevo sapere come se la cavava Pasqualino”».
Chiamato a lavorare per un solo giorno per il film Totò cerca casa, Giacomo Furia vede il suo ruolino lievitare a uno sketch: "Ero stato chiamato per dire proprio due battutine, dovevo solamente andare all’anagrafe e denunciare la nascita di un mio figlio. Invece venne fuori una cosa molto carina sulla difficoltà di trovare il nome giusto perché il personaggio di Totò bocciava ogni nome che proponevo. Capii che Totò andava cercando da me dei nomi che potessero dare dell’imbarazzo... Chiamandosi Paimiro, per esempio, poteva essere solo di sinistra per via di Togliatti, e roba del genere. Totò rispondeva ‘No no no, per carità...’, e così andammo avanti per un bel po’. Fu fatto tutto ‘a soggetto’, non era scritto sulla sceneggiatura".
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Daniele Palmesi, Federico Clemente
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Riferimenti e bibliografie:
"Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
"Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
Giacomo Furia, intervista di Alberto Anile, "I film di Totò", cit., p. 79.
Michele Avitabile, «Corriere della Sera», 11 ottobre 2008
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