Totò può fare da sé: nasce la sua società cinematografica D.D.L. (1955)

Totò fonda la società cinematografica D.D.L. nel 1955: autonomia artistica e controllo produttivo


Perché Totò fonda la D.D.L. nel 1955

Il bisogno di autonomia produttiva e artistica. Collaboratori, soci e rete professionale

Nasce la sua società cinematografica D.D.L., nuovo marchio dai cognomi dei fondatori Antonio de Curtis, Alfredo De Laurentiis (fratello di Dino) e Renato Libassi (amministratore dell’attore)


Totò, produttore più per forza che per vocazione: cronaca semiseria di un'emancipazione artistica

Capitolo 1: Libero, ma con riserva (mentale)

Nel 1954, Antonio de Curtis, in arte Totò, decide che è giunta l'ora di dire addio alla premiata ditta Ponti-De Laurentiis, una combo produttiva che lo aveva reso celebre ma anche artisticamente prigioniero. Il film che segna la rottura delle catene è Destinazione Piovarolo, che suona già come un presagio meteorologico della sua carriera futura.

Per l’occasione nasce la DDL (no, non il Decreto Legge, ma la casa di produzione con le iniziali di De Curtis, De Laurentiis – il fratello, non Dino – e Renato Libassi). Totò si presenta alla stampa come l’uomo nuovo: produttore, libero, raffinato selezionatore di copioni. Basta film per under-16, basta soggetti di "pessima lega", basta pagliacciate con marmellata e palloni da calcio. Sembra la fine del vecchio Totò e l’alba di un artista consapevole. Peccato che la realtà sia più complessa – e un po’ più comica.

Capitolo 2: L’indipendenza condizionata

Dietro l’annuncio trionfale si nasconde un dettaglio non trascurabile: Totò aveva già firmato da un anno un contratto blindato con la neonata DDL. Altro che produttore indipendente! È, semmai, un attore con qualche potere in più – la scelta del regista, il diritto di dire “no grazie” a copioni demenziali – ma sempre inserito in un sistema che non può garantire né soldi né una vera macchina produttiva. Insomma, si passa dalla gabbia dorata di Ponti-De Laurentiis alla roulotte di DDL.

Totò fonda la società cinematografica D.D.L. nel 1955: autonomia artistica e controllo produttivo

Capitolo 3: L’artista navigante

Finito il film, Totò si prende una vacanza meritata a bordo dell’Alcor, uno yacht comprato in un momento di noia (c’è chi compra piante grasse, lui si regala uno scafo da crociera). Con la compagna Franca Faldini sparge la voce di un presunto matrimonio – strategia comunicativa ante-litteram per mettere a tacere i gossip. La crociera lungo la Liguria e la Costa Azzurra è un sogno ad occhi aperti per uno che da piccolo doveva fare l’ufficiale di marina ma ha finito per comandare solo... le comparse.

La vacanza, però, è più un intermezzo poetico che una fuga: ogni pomeriggio scappa a Roma per lavorare come un forsennato ai progetti della DDL. Sente il bisogno di “riconciliarsi con la critica” e con se stesso, dopo essere stato accusato (spesso giustamente) di partecipare a film di bassa qualità. La sua difesa è disarmante: “Alla ventesima ho detto no, ma alla ventunesima ho ceduto.” È la confessione di un attore ostaggio del mercato.

Il coraggio 00001

Capitolo 4: coraggio tanto, incasso poco...

Il primo film interamente targato DDL si intitola, con una certa ironia cosmica, Il coraggio. Girato a Tirrenia, nei vetusti studios fascisti della Pisorno, è una “libera riduzione” (cioè: libera davvero) di un atto unico di Augusto Novelli. Il nome di Totò campeggia ovunque, ma alla sceneggiatura lavorano in sei. Come a dire: l’indipendenza è bella, ma meglio in compagnia.

Peccato che i due film realizzati da Paolella con Totò facciano meno incasso di Siamo uomini o caporali? da solo. Risultato? La DDL ridimensiona le sue velleità, e i progetti ambiziosi – Don Pietro Caruso, Don Chisciotte, Pinocchio – vengono archiviati con la stessa disinvoltura con cui si richiude un armadio pieno di sogni troppo costosi.


Ombre e luci dello schermo

Totò può far da sè

Il noto attore interpreterà i film che desidera e forse lo vedremo in una riduzione del «Don Chsciotte»

La decisione di Totò di diventare il produttore di sè stesso per poter fare finalmente i film che desidera non può non essere accolta con vivo piacere. Totò è stato fino ad oggi una delle grandi occasioni mancate del nostro cinematografo: sottratto a suon di milioni al palcoscenico, gli si chiese soprattutto di ripetere davanti alla macchina da presa le battute e le mossette che avevano fatto sganasciare i pubblici del varietà. Sia che fosse sceicco o tarzan o turco napoletano, Totò ha ripetuto sempre il medesimo personaggio che solo la sua straordinaria ed impetuosa fantasia comica è riuscita ogni volta a rendere colorito. I risultati commerciali, d’altra parte, consigliarono di insistere su questo cliché: dal 1950 al 1954, ogni anno, almeno tre film con Totò figuravano fra i venti più redditizi e, fra questi, uno ha sempre raggiunto il mezzo miliardo di incasso («Totò a colori» è arrivato a ben 716 milioni) ma la parabola discendente era già cominciata: i Totò del ’54- ’55 hanno già avuto meno fortuna dei precedenti («I tre ladri», «Il medico dei pazzi» e «Totò all’inferno», nelle prime visioni hanno incassato solo un terzo dei Totò dogli anni passati) ed era facile prevedere per il futuro un declino ancora più sensibile se si fosse insistito sui medesimi schemi.

Cominciavano cioè a sentirsi anche in sede commerciale gli effetti negativi dell’errore che in sede artistica si era sempre rivelato come fondamentale: considerare Totò soltanto come una marionetta, una eccezionale marionetta umana capace degli scatti e delle situazioni più impensate e irresistibili. Bastava darle una buona carica all’inizio di ogni film e poi lasciarla sfrenata sino ad esaurimento dei repertorio. Sarebbe ingiusto non riconoscere che il Totò marionetta era pur sempre un personaggio eccezionale, ma è altrettanto evidente che i suoi esercizi di bravura, le sue esibizioni mimiche assolutamente astratte avrebbero stancato, alla lunga, anche il più paziente dei pubblici. Ora che Totò sarà il produttore di sè stesso, resta da vedere solo una cosa: se cercherà di arricchire psicologicamente il suo personaggio tradizionale oppure se si accontenterà di inserirlo in vicende congegnate meglio e meno poveramente delle precedenti. L’annuncio che, tra l’altro, vorrebbe essere il protagonista di una riduzione del Don Chisciotte sembra far pensare che Totò scelga la prima soluzione che è quella certamente destinata a dargli maggiori soddisfazioni e più lunga vita artistica.

Ci sono tre film nei quali Totò, a nostro parere, ha mostrato il suo carattere più genuino: «Guardie e ladri», «Cos’è la libertà» e «Totò e Carolina». In tutti e tre aveva quasi completamente perduto la meccanicità abituale e si era avvicinato a un tipo umano preciso: l’italiano a mezza strada fra la piccola borghesia e il proletariato, l’italiano di mezza tacca, in eterna lotta per le mille lire. Quello è stato, tra tutti, il Totò più vero, bravo, convincente: la verità è che la carica । vitale di Totò è più triste che comica, anche se la tristezza hai la forza di esprimersi (come è comune ai meridionali) con tanta prodigiosa esuberanza. Il Totò che non si può dimenticare è quello dimesso e malinconico, quello col cappelluccio bisunto, l'impermeabile stretto, la sciarpa attorno al collo e i baffi che sembravano l’unica concessione alla fantasia in un viso ridotto uniforme e quasi senza più espressione dalle delusioni quotidiane. Vorremmo che Totò, prima di scegliere i copioni che lui stesso produrrà, si rivedesse nei tre film che abbiamo citato. Erano film, per un verso o per l’altro, sbagliati ma avevano una cosa giusta: Totò con la sua incantevole malinconia di vivere. Totò non deve accontentarsi di essere soltanto una maschera perchè la sua arte può esprimere qualcosa di più profondo, di più toccante e di più duraturo.

Lamberto Sechi, «Gazzetta del Popolo», 14 maggio 1955


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Lamberto Sechi, «Gazzetta del Popolo», 14 maggio 1955

Riferimenti e bibliografie:

"Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017


🎭 Conclusioni

Nel 1955 Totò lancia la D.D.L. per consolidare autonomia artistica, controllo su produzione e distribuzione, tutelando diritti, immagine e qualità dei film. La rassegna stampa dell’epoca documenta reazioni, lessico e cronache industriali tra Roma e Napoli: emergono strategie d’impresa, reti professionali, scelte su catalogo e programmazione, con effetti concreti su pubblico e critica. Questa pagina ricompone il contesto storico, collega fonti e materiali d’archivio, e offre percorsi di approfondimento tematico per lettori, studiosi e appassionati.