Totò e Carolina
Agente di PS Antonio Caccavallo
Inizio riprese: settembre 1953, Studi di Cinecittà, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 2 marzo 1955 - Incasso lire 333.345.000 - Spettatori 2.283.185
Titolo originale Totò e Carolina
Paese Italia - Anno 1953 - Durata 94-(85) min. - B/N - Audio sonoro - Rapporto 1.33:1 - Genere commedia - Regia Mario Monicelli - Soggetto Ennio Flaiano - Fotografia Domenico Scala, Luciano Trasatti - Montaggio Adriana Novelli - Musiche Angelo Francesco Lavagnino
Totò: Antonio Caccavallo - Anna Maria Ferrero: Carolina De Vico - Arnoldo Foà: Commissario - Maurizio Arena: Mario, il ladro - Tina Pica: Signora all'ospedale - Gianni Cavalieri: Veneziano - Rosita Pisano: Sig.ra Barozzoli - Fanny Landini: Prostituta - Nino Vingelli: Brigadiere - Enzo Garinei: Dott. Rinaldi - Guido Agostinelli: padre di Caccavallo - Giovanni Grasso jr.: commissario
Soggetto
Durante una retata della polizia a Villa Borghese, l'agente Antonio Caccavallo, vedovo con figlio e padre a carico, arresta, insieme ad altre donne di vita, anche Carolina. In realtà la ragazza è solo scappata di casa perché incinta. Il povero Caccavallo è obbligato cosi dal commissario a riportarla al paese di origine, e consegnarla a qualche parente. Ma l'impresa di sistemare Carolina si rivelerà più complicata del previsto, anche a causa della ritrosia della ragazza che non ne vuole sapere di rimettere piede da dove era scappata. Ciononostante Carolina in qualche modo riesce a confidarsi e a legare con il poliziotto, di cui comprende i suoi obblighi professionali, e nonostante gli faccia passare non pochi guai (tenta di scappare ma anche di suicidarsi) non gli serba rancore. Alla fine, mentendo ai suoi superiori circa il buon esito della missione, Caccavallo se ne farà carico accogliendola a casa sua, dove da tanto tempo mancava una presenza femminile.
Nella scena conclusiva, dopo che Caccavallo aveva detto al Commissario: "Si troverà un fesso che se la prende", segue la domanda di Carolina che aspettava in strada, la quale chiede "Dove andiamo?". Caccavallo risponde: "A casa di un fesso", che racchiude da una parte il suo essere compassionevole e la sua carenza di affetti, e dall'altra il fallimento come tutore della legalità.
Critica e curiosità
Totò e Carolina, in lavorazione col titolo provvisorio "Addio Carolina" su soggetto di Ennio Flaiano, nasce da una notiziola di cronaca, una retata di prostitute a Villa Borghese. La pellicola fu soggetta a numerosissime traversie con la censura per via del fatto che l'interpretazione di Totò, secondo la visione dei censori dell'epoca, sminuisse e ridicolizzasse il ruolo degli agenti di Polizia. Tali e tanti furono i tagli, le modifiche, e gli stravolgimenti voluti dalla censura che degli originali 2600 metri di pellicola si arrivò a una versione di soli 2386, dopo ben tre bocciature da parte della commissione di censura.
I primi attriti con la commissione preposta, in realtà, sorsero già in fase di presentazione della sceneggiatura, ancora intitolata Addio a Carolina, il 29 agosto 1953, prima dell'inizio delle riprese del film. La Direzione generale dello spettacolo espresse subito forti riserve e i censori, dopo averla studiata approfonditamente, formularono un risoluto parere negativo. La motivazione comprendeva il seguente testo:
«Pur sotto l'influsso di un affettuoso realismo nostrano, si è concentrato tutto il fuoco della vicenda sulla figura macchiettistica di un nostro agente di PS, aspirante alla promozione a brigadiere, che, per una sua gaffe dovuta a eccesso di zelo, si trova impelagato in tutta una serie di peripezie che, pur denotando un certo substrato umano, sembrano destinate più a solleticare il riso della platea che a suscitarne un'autentica commozione. […] L'attuale lavoro è tutto imperniato sulla figura pignolesca, gretta e ignorante di un agente di pubblica sicurezza […] il nulla osta per le pellicole da rappresentarsi in pubblico non può essere rilasciato quando si tratti della riproduzione di scene, fatti e soggetti offensivi del decoro e del prestigio delle istituzioni o autorità pubbliche, dei funzionari e agenti della forza pubblica...»
Inoltre, per la morale italiana dell'epoca, appariva molto sconveniente che un agente di polizia s'interessasse delle sorti di una futura ragazza madre, fin poi ad accoglierla in casa propria, essendo vedovo con figlio e padre a carico.
La prima modifica accertata apportata al copione fu il cambio del cognome del protagonista che da Callarone passò a un più "comico" e irreale Caccavallo, per dare alla storia un deciso tono da farsa, ed evitare così qualsivoglia riferimenti a eventuali fatti di cronaca.
Iniziate le riprese del film, a quel punto intitolato Totò e Carolina, in fase di lavorazione vennero eliminate altre scene, come quella alla caserma dei carabinieri in cui Totò, redarguito per il suo arresto non autorizzato di Carolina, tentava di convincere il maresciallo a prendere in custodia la ragazza e quella dove discuteva della sua gravidanza indesiderata.
Mario Monicelli, regista del film, concluse le riprese nel gennaio 1954, il film passò al montaggio, e nel febbraio seguente fu ripresentato alla commissione di censura per il nulla osta. Cinque giorni dopo, arrivò la seconda bocciatura con le medesime motivazioni della volta precedente: "offensivo della morale, del buon costume, della pubblica decenza, nonché del decoro e prestigio delle forze di Polizia".
Il regista Monicelli, che s'era già imbattuto in pesanti magagne censorie col suo precedente Totò e i re di Roma, acconsentì allora a tagliare un'altra scena, dove il parroco del paese tentava di dare in moglie Carolina a un vinaio scapolo tacendogli della gravidanza di lei, e ad accorciare la scena iniziale della retata a Villa Borghese, ma il giudizio negativo fu ribadito anche in fase d'appello il 12 marzo 1954.
Dopo l'ennesima bocciatura il film iniziò a diventare un caso sulla stampa che si chiedeva il perché di tanto accanimento. Esasperato, Monicelli effettuò altri tagli, eliminando tutti i riferimenti al comunismo presenti nella pellicola (la modifica più celebre è relativa al canto degli operai sul camion che intralcia il passaggio della Fiat Campagnola di Totò e Carolina, che, grazie a un secondo doppiaggio, passò da Bandiera rossa al più moderato Inno dei lavoratori, e poi infine al patriottico Di qua e di là dal Piave). Ma nemmeno questo bastò e il film fu respinto ancora dalla censura.
Ne seguirono ulteriori tagli, alterazione se non addirittura soppressione di parti di dialoghi e l'eliminazione di riferimenti al suicidio che "solo i ricchi possono permettersi di attuare" prima che finalmente, nel marzo 1955, al film sia concesso il visto censura. Ma anche così censurato, fu imposta una dicitura da far apparire in sovraimpressione: dopo i titoli di testa si legge infatti un'avvertenza, fortemente voluta dall'allora capo del governo Scelba, che fa un "doveroso" distinguo fra l'interpretazione di un semplice attore che interpreta un ruolo di fantasia (quasi ridicolizzando Totò, citandolo personalmente) e le mansioni di chi davvero lavora nella pubblica sicurezza. Il testo della sovraimpressione recita:
«Il personaggio interpretato da Totò in questo film appartiene al mondo della pura fantasia. Il fatto stesso che la vicenda sia vissuta da Totò, trasporta il tutto in un mondo e su un piano particolare. Gli eventuali riflessi nella realtà non hanno riferimenti precisi, e sono sempre riscattati da quel clima dell'irreale che non intacca minimamente la riconoscenza e il rispetto che ogni cittadino deve alle forze di Polizia.»
Uscito nelle sale così pesantemente menomato, il film non riscosse particolare successo di critica e pubblico. Fu riscoperto nel corso dei decenni, anche grazie al restauro e al reintegro di alcune delle scene eliminate ritrovate negli archivi per l'edizione in formato DVD. Resta la sua importanza dal punto di vista storico come esempio dell'influenza della censura in Italia negli anni cinquanta.
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Così la stampa dell'epoca
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Le incongruenze
- Nello studio del primario, Arnoldo Foà ha alternativamente due tonalità di voce completamente diverse, opera probabilmente di un doppiaggio in due tempi.
- La caduta della jeep per la campagna non solo è palesemente in miniatura con un giocattolo, ma fa credere che la camionetta sia scesa per molti metri, quando invece al momento del suo recupero si nota come la distanza è solo di qualche metro.
- Carolina fugge per una strada fangosa e Totò insieme ad un socialista la insegue con la camionetta. Ad un certo punto la distanza tra il mezzo e la ragazza è di un metro circa, ma nell'inquadratura successiva la distanza è di molto superiore.
- A casa di Totò il nonno si mette a difendere il nipote, quando nella scena immediatamente precedente era in un'altra stanza.
- Totò senza averlo sentito da nessuna parte, come fa a sapere che Carolina è fuggita proprio con l'autista del pastificio?
- Il ladro, benché legato con le manette alla portiera della camionetta, cambia velocemente posizione nel vano carico della camionetta stessa.
- Il padre di Totò si mette a stendere i panni alla finestra. Mette due capi ma si nota che ad un certo punto cadono dal filo, che rimane così vuoto. Si mette poi Carolina a stendere e nel campo il filo è ancora vuoto, nel controcampo immediatamente successivo ci sono già dei panni stesi.
- Carolina fugge per la strada di campagna, inseguita dalla jeep. Nelle inquadrature da dietro la strada è fangosa, in quelle da davanti è polverosa.
- All'osteria, Totò mima di lavorare al busto del commissario. In una inquadratura ha le mani con i pollici alzati all'altezza del viso, in quella successiva le mani sono abbassate.
www.bloopers.it
I documenti
Era il secondo film a cui lavoravo, non sapevo neanche che cosa stava succedendo. Era raro che Totò intervenisse perché aveva molto il senso professionale di non rompere le scatole agli sceneggiatori e ai registi. Però ogni tanto gli veniva fuori una battuta bellissima sulla quale tutti si buttavano a pesce. Mi ricordo per esempio che c’era uno che era andato a confessarsi e dopo un momento tornava dal prete che gli diceva “Ma figliolo, t’ho confessato or ora!”, e Totò disse: “Scusi eh”, a Monicelli, “perché non gli fa rispondere ‘Roba nuova, roba nuova, padre’?
Gillo Pontecorvo, aiuto regista di Mario Monicelli
Totò lavorava molto volentieri con me e si sottoponeva anche a degli sforzi che con altri non faceva. In una scena il suo personaggio doveva cadere in un fiume e questo tuffo in acqua necessitò una gran preparazione. Tra l’altro, se avessi avuto un po’ più di mestiere, avrei potuto anche evitare di farglielo fare; ma, insomma, non successe niente di grave.
Mario Monicelli
I tagli fatti non è possibile recuperarli perché li ho distrutti. Io non conservo niente, non m’importa niente di queste cose. Ogni tanto mi chiamano, recuperano un mio cortometraggio fatto ai tempi dell’università, ma che senso ha? Ritengo che questo mestiere, questo cinema, non sia poi la settima arte come dicono alcuni: è un’arte applicata, un’arte minore, non è il caso di farla tanto lunga, ecco.
Mario Monicelli
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Noioso, deludente. Le incredibile traversìe censorie gli hanno dato una nomea superiore ai meriti. Si tratta di una pellicola non particolarmente interessante, ravvivata da un grande Totò, attorno al quale, francamente, non c’è molto. Arnoldo Foà è doppiato. Enzo Garinei è accreditato come Garieni!Noioso, deludente. Le incredibile traversìe censorie gli hanno dato una nomea superiore ai meriti. Si tratta di una pellicola non particolarmente interessante, ravvivata da un grande Totò, attorno al quale, francamente, non c’è molto. Arnoldo Foà è doppiato. Enzo Garinei è accreditato come Garieni!
- La prima regia (come unico regista) di Monicelli è questa commedia "on the road" la cui fama (per le note vicende legate alla censura) è superiore ai reali meriti artistici. Vale comunque per la possibilità di vedere il grande Totò alle prese con un personaggio un po' diverso dai soliti, dato che viene mostrato un aspetto più malinconico che brillante. Il film è però penalizzato dall'abuso dei luoghi comuni sulla sceneggiatura e sui dialoghi.
- Ha un intenso sapore chapliniano questa storia in cui un quasi poveraccio (un poliziotto) si prende cura di una povera ragazza sola che vuole suicidarsi. Con una dinamica struttura on the road, la storia (sforbiciata pesantemente dalla censura di tutte le esche più realistiche e comuniste) mantiene uno straordinario equilibrio fra i toni del drammone larmoyant e quelli di un Totò davvero eccellente per la grande misura interpretativa drammatica in cui inserisce al momento giusto le sue gag fisico/verbali in incastri perfetti. Molto piacevole.
- La trama è piuttosto semplice e soffre anche in molti punti dove il ritmo rallenta e dove le battute e le espressioni di Totò risultano inefficaci e quasi forzate. Sarà perché buona parte del film è sostenuta unicamente dal comico senza l'aiuto di nessuna spalla di sostegno. C'è poi una parte politica dove sinistra (camion dei comunisti) e centro (borghesi e Chiesa) sono descritti entrambi con benevolenza (meno i borghesi). In genere c'è abbastanza superficialità nelle situazioni e nei comportamenti, eccessiva anche per una commedia.
- “Episodio” decisivo nella carriera professionale di Marione come nell’evoluzione della maschera del Principe De Curtis. Monicelli prosegue, dopo i film girati in coppia col socio Steno, il suo scandaglio di un umanità reietta e ultima, fatta di guardie, ladri, attori cani e ragazze perdute, ma è nuovo e totalmente suo qui un afflato umano caloroso ma asciutto, che trova in Totò un interprete ideale per maturità e volontà di sfidare i clichè del suo personaggio. Di sofferta dignità anche la prova della Ferrero. Appena ingenuo ma... incensurabile.
- Uno dei migliori lavori di Totò, che riesce a gestire perfettamente il suo personaggio in bilico tra comico e melodrammatico; merito anche di Monicelli e della sua regia ordinata e solida. Tocca un tema allora assai scottante, la gravidanza di una giovane ragazza di paese vittima di una avventura amorosa. Tutto il contorno puritano che la circonda è sapientemente messo sotto i riflettori per evidenziare gli aspetti più bigotti di una società spesso ipocrita. Piccolo, ma delizioso cameo di Tina Pica.
- Un Monicelli noto ma non ancora esperto dirige quella che è stata definita una "farsa intelligente", accennando a temi importanti come il suicidio, espressione critica (nelle varie accezioni) di un animo sensibile – sebbene la Ferrero non riesca a mostrarlo bene – e il lento sgretolamento dell'ipocrisia nel dopoguerra italiano (la stessa però che censurò numerose scene). Purtroppo il lavoro è reso meno pregiato dall'istrionismo di Totò non a tutti gradito, nonché dai lezzi comici e dall'impantanarsi della storia. Comunque non male.
- Un film tra il neorealismo e la commedia sociale con diverse puntate nella farsa da comica muta e un tocco poetico da assurdo gogoliano (la difficile realizzazione con le molliche di pane del naso del commissario). Il film di Monicelli, raccontandoci (alternando il comico al drammatico) le mille peripezie dell’agente di polizia Antonio Caccavallo che non riesce a “liberarsi” di Carolina, una povera ragazza incinta che aveva arrestata per sbaglio durante una retata, si carica, strada facendo, di una visione addolorata e toccante dell’esistenza.
Mario Monicelli rievoca i segreti del suo film, incredibilmente tartassato dalla censura.
Un poliziotto senza alcuna autorità, una ragazza sedotta e abbandonata, un prete menefreghista e bandiere rosse che sventolano per tutto il film. Così, nell’Italia democristiana del 1953, Totò e Carolina diventò una pellicola da bruciare.
Di una sono certo: Totò e Carolina è stato il mio film più massacrato dalla censura, forse più di tutti i film dell’epoca. E il clamore e le polemiche che, per questo, lo hanno accompagnato in tutti questi anni, ne hanno fatto un film con molti più meriti di quanti, forse, ne abbia.
Il soggetto, molto bello, era stato scritto da Ennio Flajano, e poi sceneggiato insieme a me, Age, Furio Scarpelli e Rodolfo Sonego. L’idea era subito piaciuta al produttore De Laurentiis perchè si rifaceva un po’ all’idea base di Guardie e ladri (del ‘51, n.d.r.): lì c’era il poliziotto Aldo Fabrizi che si faceva scappare il ladro Totò e aveva tre mesi di tempo per riacciuffarlo se non voleva perdere il posto. Qui, invece, la storia ruotava attorno al poliziotto Totò (Antonio Caccavallo) che deve riportare al paese d’origine Anna Maria Ferrero (Carolina), una ragazza aspirante suicida dopo che il fidanzato l’ha sedotta e abbandonata. Il film narra il viaggio di questa strana coppia per l’Italia di quel lontano 1953, a bordo di una jeep, e delle disavventure che vivranno fino ad arrivare al luogo di destinazione. Ma qui nè i parenti nè il parroco vogliono prendersi cura della ragazza, così il questurino Totò, un po’ per compassione un po’ per portare comunque a termine la sua missione, decide di prendersela in casa.
Apriti cielo! E stato proprio questo a far inorridire i censori di casa nostra. Non va dimenticato, certo, che era l’Italia di Scelba e non era ammissibile che si potesse dare una immagine indecorosa delle istituzioni. Così quel Totò, poliziotto senza autorità e spesso ridicolizzato, che simpatizza per una mezza suicida, e forse pure un po’ mignotta, faceva scandalo. E certo non piaceva che nel film mentre il parroco se ne fregava, gli unici che davano una mano alla ragazza erano dei manifestanti del partito comunista incontrati per strada. Figurarsi: parlare di comunisti, vedere delle bandiere rosse, sentirli cantare i loro inni, vederli correre in soccorso della ragazza e del questurino... era tutto così rivoluzionario che decisero di non fare uscire il film! Ci furono 38 tagli, e 23 battute furono modificate: i comunisti dovettero diventare socialisti, Bandiera rossa fu sostituita con un coro di montagna sulle osterie, la battuta «abbasso i padroni» con «viva l’amore». Il film, girato nel ‘53, fu respinto in prima istanza e bocciato in appello perché «offensivo della morale, della religione, delle forze armate». A cavallo fra Le infedeli e Proibito, Totò e Carolina è un film che scrivemmo su misura per Totò, e per sfruttare in maniera non convenzionale la sua comicità. Non so se è un merito ma ho sempre cercato di agganciare i suoi personaggi alla realtà, togliendogli, forse, un po’ della sua forza comica surreale (così ben sfruttata invece da Pasolini). Già in Guardie e ladri aveva impersonato la figura di un ladruncolo dimesso e pieno di umanità che alla fine solidarizzava con la guardia che lo doveva arrestare.
La stessa operazione ripetei in Totò e Carolina e poi ne I soliti ignoti e in Totò cerca casa, dove è un padre che cerca un tetto per la propria famiglia, con avventure farsesche, certo, ma sempre agganciate a un fondo di realtà. Col senno di poi, non so se sia stato un bene sfruttare Totò in questa versione «sociale» ma credo che questa operazione l’abbia avvicinato di più al pubblico, l’abbia reso più umano. Quanto a Totò e Carolina, dopo i tagli e le polemiche, nel ‘55 finalmente uscì nelle sale, con un anno e mezzo di ritardo.
Mario Monicelli (testo raccolto da Pietro Calderoni)
È successa la stessa storia di "Guardie e ladri"; anche qui c’era un rappresentante dello Stato, una guardia che stavolta doveva accompagnare al paese con un foglio di via una donna diciamo di facili costumi; ma nessuno la vuole, né il parroco, né la famiglia (cosa che sembrava anche quella sovversiva), e alla fine finisce in casa di questa guardia. A questo era intersecato un altro fatto, un gruppo di comunisti che con un camion andavano a fare un comizio in un paese, cantando e con le bandiere rosse, ed erano gli unici che davano una mano a questa donna: anche questo sembrava sovversivo, rivoluzionario, anti-nonsoche. E anche qui tagli, combattimenti, arrabbiature... I tagli furono molti di più rispetto a Guardie e ladri, soprattutto per via dei comunisti: non volevano che si parlasse di comunisti, non volevano che si vedessero bandiere rosse... Fu tutta una trattativa lunga, estenuante, qualche volta anche violenta.
Mario Monicelli
SELEZIONE DI ALCUNE TESTIMONIANZE ESCLUSIVE
Dalla testimonianza di NADIA AGNOLOZZI incontrata a Roma sabato 24 aprile 1999:
«La scena della jeep che saltella fu girata a Grottarossa con la macchina da presa posta sulla jeep: qui, al posto di Totò, c'era papà (Piero Agnolozzi), e al posto della Ferrero, si alternarono cinque donne e tre o quattro uomini, perchè non resistevano alle "giravolte"!! Monicelli voleva girare scene realiste, e così, per una scena, si accordò coi due autisti, i quali guidavano rispettivamente un camion ed un automobile e partivano ciascuno dal senso opposto all'altro. "Quando vi avvicinate alla jeep, stringete!" Loro "strinsero" e la jeep fece un volo; Totò chiamò mio padre:"Voglio Pietro!"»
Dalla testimonianza dell'elettricista RENATO Urbinàti, raccolta telefonicamente martedì 14 maggio 2002:
«Per Totò sua controfigura sia "di spalle", che per le luci, che autista della jeep ricordo era Piero Agnolozzi, il quale aprì un ristorante sulla Via Cassia, credo proprio durante la lavorazione di questo film. La Ferrero andò in "pro rata", e poichè lavorava in Compagnìa con Gassman, per girare alcune scene fummo a Torino: al Palazzo del ghiaccio?? Mah, io ricordo "Torino Esposizioni" che mi pare fossero capannoni della Fiat. Marcello Gatti io lo soprannominavo "miao". Girammo anche a Saracinesco su montagne coi ciotoli, tanto che ne conservo una foto dove io presi in braccio Anna Maria Ferrero, che aveva paura di scivolare. Il fotografo era Sergio Strizzi. Il generico anziano era "Catena" o "Catenacci". Capo-elettrcista era Virgilio Graziani, il quale, a Viterbo si infortunò, così lo sostituii io, esordendo con l'occasione, come capo-squadra. Eravamo 5 più uno, però vennero anche dei "rinforzi", appunto per le scene girate a Viterbo. A Viterbo girammo all'ospedale, che ricordo, era un grande ospedale, addirittura gli scoperchiammo il tetto: sulle travi delle capriàte mettemmo gli "archi voltàici", ed infatti occorsero dei "rinforzi"...»
Dalla testimonianza di FRANCO VILLA, raccolta il 12 ottobre 2002:
«Ero in macchina con Trasatti per il pezzo di "Addio Carolina" che girammo a Torino. Non ricordo molto perchè parliamo di mezzo secolo fa, e fu forse, per una sola settimana. Ricordo un pergolato, un esterno ricostruito in interni, forse alla Fert?? Ricordo che dovevamo fare una scena in auto, ma il trasparente non veniva, il sìncrono, a 24 fotogrammi al secondo, fra macchina da presa e proiettore non coincideva. Così non potemmo realizzare la sequenza, ma il direttore di produzione, che era Alfredo De Laurentiis, disse che era lo stesso, e ci pagò comunque»
Intervista ad ANSANO GIANNARELLI incontrato a Roma martedì primo aprile 2003:
«Nacqui a Viareggio il 10 giugno 1933. Arrivai a Roma nel 1940. Quando giravano i set esterni per strada di qualche film, andavo a curiosare. Il mio primo in assoluto, ero assistente regista "volontario", e come saprà volontario, significa uno che pur di imparare, lavora GRATIS, fu appunto "Totò e Carolina". Essendo come me di Viareggio, Mario Monicelli mi consentì di esordire al cinema. La produzione era Ponti senza De Laurentiis. Mi chiamò con lui fin dai sopralluoghi: all'Isola Tiberina, all'ospedale romano "Fate bene fratelli"... Le scene all'ospedale, non furono girate lì, ma a Viterbo, e come "fondi", medici ed infermieri veri accettarono di fare da comparse. Al mio primo film mi aspettavo di essere trattato da novellino, tipo venir mandato a prendere sigarette e caffè al regista, invece no. Imparai moltissimo e ben presto fui stimato. Da Mario Monicelli ho imparato la "non mitologìa" del cinema: un lavoro serio, faticoso, quotidiano. Le prime cose da apprendere: battere il ciak ed organizzare "i fondi". I "fondi" erano i passagi dietro agli attori, compresi i movimenti delle comparse. Fui inserito subito nel fare. ero preoccupato, ma ripeto, imparai moltissimo. Sono stato fortunato anche per il rapporto che nacque fra me e Marcello Gatti, al quale chiedevo spiegazioni continue: fu per me uno stage "tecnologico". All'ospedale di Viterbo: sì, ricordo la scoperchiatura del tetto. Io al mattino partivo per il set di Viterbo, con l'auto del reparto regia: ero "preso" per primo, verso le 5-5:30 del mattino, e dovevo essere puntuale o non mi aspettavano(ero un assistente volontario); viceversa al ritorno, viaggiavo col pullman delle maestranze. Dopo una settimana, sul pullman del ritorno, sedevo vicino a Pascarella, capomacchinista romano(aveva grande esperienza, per esempio aveva lavorato a "La terra trema" di Visconti), il quale mi chiese in quali precedenti film avessi lavorato: era un attestato di stima. Gli confessai: "Veramente questo è il primo". e si complimentò. C'era il carrello Mancini, ricordo 4 elettricisti più un caposquadra, ed anche i macchinisti erano "4 più uno". Ricordo una "forte discussione" fra Marcello Gatti e Monicelli: eravamo al ghetto, con un carrello lungo coi binari, che doveva attraversare Anna Maria Ferrero. Monicelli insisteva che il carrello dovesse arrivare con ìmpeto verso la Ferrero, la quale doveva scavalcare i binari.
Si fecero parecchi ciak; durante un ciak, nel silenzio, si udì Marcello che gridò: "Stop!" e Monicelli si incazzò. Gatti giustificò che aveva avuto la sensazione che il carrelo stesse per colpire la Ferrero. All'epoca non si usava ancora il "backstage": sui set non vennero nè Cinegiornali, nè per documentari o filmati amatoriali; Giraldi giornalista venne per interviste sul set perchè era amico di Gillo Pontecorvo. Gillo Pontecorvo, l'aiuo regista, viveva un periodo particolare a livello personale, per diversi motivi. venivano sul set giornalisti a chiedere indiscrezioni politiche a Gillo, riguardo suo fratello, ma Gillo era rigoroso ed affermava di non saper nulla. Dopo due settimane, visto che cominciavo a cavarmela, Gillo veniva sul set al mattino studiando "il piano di lavoro", poi mi diveva:"Io vado via, torno fra due o tre ore", si dedicava ai propri problemi personali e mi lasciava gli incarichi da aiuto-regista. Eravamo in una scena ambientata sulle colline, con la jeep che arrivava alla piazza e scendono Totò e la Ferrero: Gillo non c'era e così organizzai io i "fondi" con gli abitanti del paese, i quali, avevano accettato di far da comparse. Spiegai loro i movimenti, chi doveva uscire da una porta, chi passare con un asino, eccetera. Io sono un timido e per spiegare loro le cose, con il megafono, salii sul "trek sonoro" e diedi gli ordini ai singoli gruppi.
La presa diretta era usata come colonna guida.(pezzo tolto per privacy) Ricordo che Gillo fischiettava la musica composta per il proprio cortometraggio "Porta Portese". Fra gli esterni ricordo la scarpata nella zona fra Reatina e Sabina. Claudio Agostinelli era l'agit-prop. Io non avevo rapporto con Totò: era una persona seria, rispettosa, con civiltà umana; usava il copione come base. Ricordo che quando Totò iniziava a recitare, c'era, da parte nostra, la repressione del ridere...Anche Monicelli, a fine ciak, si lasciava andare e rideva apertamente. Ricordo l'imbarazzo della Ferrero alle modifiche di Totò. Totò allo stop chiedeva a Monicelli: "Va bene?". La scena della retata a Villa Borghese, che è posta all'inizio del film, la girammo subito dopo Viterbo: facemmo ricorso a prostitute vere per "i fondi".
Ricordo il colloquio di Monicelli con una di queste, la quale si vantava di avere fra i clienti anche un regista. E non ci volle rivelare il nome; noi ci divertivamo a cercare di indovinare chi potesse essere... Totò in alcune scene aveva due controfigure. Erano gli ultimi anni durante i quali si usava ancora la pellicola ottica: i fonici non avevano ancora "l'autorità" acquisita in sèguito col sistema magnetico. Perlomeno in mia presenza non furono girate scene apposite per eventuali edizioni estere. Gli interni furono girati alla Vasca Navale. Era un attrezzista che forniva la mollìca, preparava la statua, che richiedeva laboriosità e che alle luci si screpolava, ed andava bagnata spesso; veniva coperta da un panno inumidito. No, a Torino io non andai.»
MAURIZIO BRAMANTE dalle risposte di mercoledì 28 novembre 2001 e venerdì 14 dicembre 2001:
«Essendo nato nel 1943, all'epoca del film avevo dieci anni. Abitavo in via Sardegna, sopra l'appartamento dove abitava l'attrice Luisa Rossi, la quale mi segnalò alla produzione. Ai provini fui selezionato da Mario Monicelli e partecipai a "Totò e Carolina" esaurendo le mie scene fra i sette o dieci giorni. Faccio il ruolo del figlio dell'agente Caccavallo. Nel ruolo di Caccavallo padre, mio nonno nella finzione, un signore che, almeno sul set, chiamavano "Catèna". Le scene che mi riguardano furono solo in interni, negli studi della Palatino Film, nota come "Navicella", in zona archeologica, dietro una chiesa. Alcune cose cose colpirono la mia immaginazione di bambino. La prima era il fatto che mi venissero a prendere sotto casa con una Lancia Aurelia; che poi la stessa auto sostasse a prendere Anna Maria Ferrero, era un sogno. Altra cosa sorprendente era il dover "interagire", nella scena, con un attore famoso come Totò: mi incuteva timore, ma mi colpirono sia la sua naturalezza, che la sua disponibilità.
Era abbastanza bravo e sopportava i miei errori: a causa della mia inesperienza, infatti, dovemmo ripetere dei ciak. Ricordo come "piacere umano" la molta comprensione che ebbe di me, e ciò mi metteva a mio agio. La Ferrero, nello stendere i panni alla finestra si sporgeva: per tale scena mi si chiedeva di spingerla di sotto, mentre Totò interveniva per trattenerla e salvarla. E dopo, la mia battuta, che ho memorizzato, era: "A papà! Ma io credevo che bisognava buttarla de sotto!" Ricordo che la Ferrero, prima di girare, disse a Monicelli la seguente frase, della quale allora non capivo la malizia: "Senta, mica me va che sto ragazzino me mette la mano nel culo!" Totò, perlomeno una volta, si lasciò andare ad una improvvisazione, tanto che al termine, interrogò Monicelli: "Che ho esagerato? Però, mi pareva che fosse il caso!" A me pareva strano che Totò, avesse da rendere conto a qualcuno: ma come, non era lui l'attore? Non era lui "il padrone"?
Foto di scena ne fecero anche in pausa, al termine di battere il ciak, "pose statiche", da fermi. Cinegiornali od intervistatori in quei giorni non ne ricordo. Non ricordo se mi doppiarono, ma è probabile, data la mia poca attitudine al romanesco che esigeva il copione: papà mio era originario di Ravenna. All'uscita del film ero così curioso di andarlo a vedere, ma i miei non vollero andassi a vedere un film che aveva avuto problemi di censura. Lo vidi anni dopo.
Da uno dei molti "questionari" che negli anni ho fatto a Marcello Gatti, e nello specifico, sabato 22 dicembre 2001:
«Io sono nato alla Palatino: escludo "Totò e Carolina" sia stato girato alla Palatino! Fu girato alla Vasca Navale. Le sequenze jeep erano tutto "camera-car": ai Castelli Romani, sull'Appia Antica e Nuova, salita Squarciarelli, sulla via Anguillara, al lago di Bracciano. Totò girava poche ore; era la sua controfigura che guidava la jeep.»
ETTORE BALDUCCI 16 maggio 2001:
«Lavoravo al laboratorio fotografico, e quando giunta la sera, chiusi, andai a Villa Borghese, dove vi era il set, e stavano girando la scena della retata. La scena era al buio, si doveva girare l'arrivo della jeep e la sua frenata sul bagnato. Era piovuto da poco, ed il generico che guidava non riusciva...Diedi un suggerimento: "allentate le ganasce di una ruota ed andate ai 20 all'ora..." Ed il direttore di produzione: "Aò, è arrivato quello che la fa!" Accettai la sfida. Alto 180 cm, pesavo 70 kili; mi misero berretto e giacca, così che potessi sembrare l'agente interpretato da Totò. Lui portava i baffi di scena, ma al buio fu sufficente mi scurissero un pò, tanto non mi dovevano filmare di fronte. E feci la frenata. Totò era unico: faceva scherzi a tutti. Anche col ciak "di prova", modificava il copione, poi quando chiedeva: "Allora adesso la facciamo "seria"", gli veniva risposto, "no, no, bona così!".»
Dall'intervista ad ELDA MAGNANTI vedova LAURENTI, parrucchiera "di fiducia" per Totò, per diversi anni, dall'intervista di sabato 13 aprile 2002:
«Ricordo la camionetta, le scene in campagna. Lui arrivava sempre alle 14. Si girava anche in tarda mattinata: le scene senza di lui, cioè quelle che non richiedevano la presenza di Totò. Totò, all'inizio, non voleva girare la scena del "bagno nel laghetto" vestito, ma Monicelli insistette: "Beh, la deve fare", finchè lo convinse e Totò si beccò la broncopolmonite. La scena delle prostitute fu girata anche di notte, a Villa Borghese. Nei ruoli da prostitute c'erano sì delle generiche, furono filmate pure prostitute vere delle quali ne ricordo una per un fatto che mi colpì; tale ragazza, filmata in precedenza, serviva in una scena, e, di mattina, la cercavano: non la trovarono, come si supponeva, a riposare dopo "la nottata", ma era con una collega a giocare. Era con una collega per un gioco con le carte detto "sorchetta"(=il 4 di denari). Incredibile! non voleva venire a girare, non perchè stanca, ma per non interrompere la sua partita...a "sorchetta"!! A Torino non ricordo dove girammo, ma ricordo per certo che ci fummo.»
Per la ricostruzione del percorso censoreo, ringraziamo autori ed editori dei seguenti testi sacri, dove il dettaglio e lo studio è ben più vasto di quanto qui sintetizzato:
"Totò e Carolina", Tatti Sanguineti, Transeuropa, 1999 e "Totò proibito", Alberto Anile, edizione Lindau, Torino, 2005.
Oltre alla consultazione di vari periodici dell'epoca, in particolare numero per numero il quotidiano "La Stampa" di Torino nelle due mesate di Dicembre 1953 e Gennaio 1954 (ma il lavoro sarà da integrare con altri giornali dell'epoca), il tenente Colombo (Simone Riberto) ringrazia per il loro contributo per la ricostruzione di cast, troupe e genealogia del film le seguenti persone:
NADIA AGNOLOZZI,
ELDA MAGNANTI in LAURENTI,
ENZO GARINEI,
CARMELINA JANNANTUONO in TRASATTI,
MARCELLO GATTI,
ANSANO GIANNARELLI,
MASSIMO JABONI,
RENATO URBINATI,
ETTORE BALDUCCI,
MAURIZIO BRAMANTE,
CORRADO VOLPICELLI,
FRANCO VILLA,
GIUSEPPE RUZZOLINI,
EDOARDO SANTAGATA,
MARCELLO MECONIZZI (incontrato fortuitamente davanti al bar di Cinecittà la fatidica mattinata dell'11 settembre 2001),
FEDERICO CLEMENTE,
TATTI SANGUINETI,
ALBERTO ANILE
Appunti di lavoro e interviste raccolte da Simone Riberto.
Franca Faldini
“Rosa Film” è un nome che non mi dice nulla. Si trattava sicuramente di un contratto che Antonio aveva stipulato in un periodo precedente all’incontro con me. Credo proprio, anzi, sono pressoché sicura, che Antonio non abbia mai visto Totò e Carolina. Lui visionava i giornalieri, non guardava i film montati. Uccellacci e uccellini fu un’eccezione.
A proposito di cronaca giudiziaria, polizia, indagini, debbo dirvi che Antonio si deliziava della lettura approfondita della “nera”. Si sparapanzava sul sofà leggendo i giornali, confrontandoli, rimuginando ipotesi. In quegli anni, il “caso Montesi” lo appassionò infinitamente. Mi spedì addirittura a casa della famiglia di Wilma Montesi con il compito di consegnare una piccola somma, ma con il segreto desiderio di squarciare qualche mistero. Faceva le sue indagini: era capace di pedinare per ore qualcuno che gli fosse parso intrigante o sospetto. Sulle spiagge controllava ogni andirivieni con il suo binocolo da marina: non gli sfuggiva nulla. Era un incubo: sapeva tutto di tutti. Un curiosone.
Secondo me, anche il cognome Caccavallo salta fuori da qualche pagina di questura. I baffetti da Pubblica Sicurezza se li fece crescere apposta per essere più in parte. Per conferire invece una maggiore umanità ad Antonio Caccavallo, “agente dell’Urbe”, tenne sicuramente presenti, e probabilmente li intensificò, degli incontri periodici che aveva con un appuntato o un maresciallo della P.S., o alle soglie della pensione o appena congedato, che arrotondava seguendo ed accelerando per conto di Antonio certe pratiche come il rinnovo del passaporto. Questo appuntato passava per casa nostra e Antonio lo accoglieva offrendogli il caffè nel soggiorno e chiacchierando con lui delle difficoltà della vita quotidiana, del pubblico impiego, della burocrazia statale, del magro stipendio, della famiglia numerosa...
Un'altra fonte a cui si ispirò certamente furono i racconti d’anteguerra che gli avevo fatto io, poiché, essendo di famiglia ebrea, all’epoca delle leggi razziali, fui costretta a frequentare caserme e commissariati. In questo bell’ambiente, dove finivano anche i cosiddetti “carrettoni” delle retate delle prostitute, ci fu un brigadiere, un certo Lala (o Liala, non ricordo precisamente) che prese a proteggerci, consigliandoci pressantemente di assumere il cognome di mia madre, Tedaldi.
Anna Maria Ferrerò stava molto simpatica ad Antonio. Mi pare di ricordare che lei non avesse la madre. Doveva avere solo il padre e gli teneva testa rispondendogli a tono. Era una ragazza molto indipendente per quei tempi, di una indipendenza che sconcertava un poco Antonio. Andammo a Torino - ci andai anch'io - a vederla in un Amleto con Gassman.
Per quanto concerne le riprese, confermo che Totò non poteva certo stare alla guida di una jeep né di nessun altro tipo di vettura. Frequentai pochissimo il set. Ci andai forse solo per le scene della parrocchia girate in una chiesa tra Fiano e Riano, da quelle parti... Non c’era nessuna necessità che io lo seguissi: purtroppo dovetti farlo spesso in seguito quando divenne quasi cieco.
Sul fronte della lotta alla censura, Totò si sentiva in pace con se stesso, ritenendo di aver fatto la sua parte con la fronda all’occupazione tedesca. Quando però gli vietavano delle cose, fremeva, ribolliva. E la sua frase di protesta domestica era: “Allora il potere puzza...”.
E vero, Mario Scelba non figura nella lista dei personaggi politici italiani a cui Antonio si era divertito ad appioppare dei soprannomi, lista che io ho raccolto nel mio libro Quindici anni con Antonio De Curtis (vedi nota). E invece Scelba era uno dei pochi per cui Antonio si scomodava a reindossare in casa i panni di Totò il guitto, facendo solo per me l’imitazione di Scelba che chiede alla moglie notizie dell’abito che lei si è appena comperata dal sarto Schubert, magari sulla scorta di un raccontino che gli avevo appena fatto io, perché mi era capitato quel giorno di incontrarla proprio nell’atelier.
Ma come faccio a raccontarvi di come Totò faceva Scelba? Faceva Scelba che diceva alla moglie di buttare la pasta... Si divertiva molto anche a fare Gronchi e la signora Carla.... Insomma, quadretti comici di vita domestica di premier italiano con signora.
Antonio si sentì “frenato” dalla politica di Mario Scelba. Gli sarebbe piaciuto continuare sulla linea di Guardie e ladri e di Totò e Carolina. E invece, su consiglio di Vincenzo Talarico, si dovette rifugiare nelle farse di Scarpetta: grandissimo Sciosciammocca! Ma Antonio non ne poteva più di fare la maschera napoletana. Dovette mediare. Ad esempio, non amava i titoli con “Totò” nel titolo, ma non poteva non rendersi conto dei desideri e delle esigenze dei produttori che con “Totò” dentro al titolo del film erano sicuri di incrementare gli incassi. Antonio mediava.
Intervista di Tatti Sanguinetti, agosto 1999 tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
Nota
Tra le pareti di casa nostra, molti politici dell’epoca avevano un soprannome e con questo erano sempre indicati da lui. Giovanni Gronchi era “Piede ’e Papera”, la coppia Einaudi “la Gatta e la Volpe”, Gava e Zaccagnini,che a quei tempi venivano ripresi invariabilmente in coppia, “i Fratelli De Rege”, De Martino “‘O Cane ’E Presa”, ovverossia il molosso napoletano, Berlinguer “Stanlio”, Nilde lotti “la Pacchiana”, Andreotti “l’Aspirante Sagrestano”, Leone “’O Paglietta”, Preti, che stangava con le tasse e affermava di vivere con poche centinaia di lire al giorno, “Panza ’e Broccoli”, la Merlin, a cui attribuiva la recrudescenza dei crimini sessuali, “la Signora Omicidi”, Fanfani “Centocervelli”, Emilio Colombo, sempre azzimato e studiatamente inappuntabile, “Cacabene”. Paolo VI, che puntuale la domenica e ogni due per tre si affacciava benedicente al balcone, era “l’Orologio a Cucù”.
Age (Agenore Incrocci)
Confesso con piacere che Totò e Carolina, rivisto oggi e tanto più in questa copia con molti passaggi non ancora censurati, mi fa una certa impressione. Lo spunto di base è rimasto il racconto di Flaiano, con Totò che fonde in un unico personaggio Caccavallo e lo scultore. Non avendo mai lavorato prima con Sonego, è molto probabile che non si sia proceduto per questo film con la nostra consueta tecnica di ripartizione del copione in “blocchi”.
Totò lo si vedeva poco. Si faceva mediamente una riunione a film, dopo che lui aveva letto il nostro copione. Una lunga chiacchierata tranquilla, dove lui faceva osservazioni molto misurate e sensate. Mi pare di ricordare che quando Monicelli ci telefonò per avvisarci dei guai del film in censura, Scarpelli ed io fossimo a Milano a lavorare su una rivista con Wanda Osiris e Billi e Riva. La moviola non poteva essere che la Fono Roma: a risentire il film così, diresti che c’è rimasto qualcosa della presa diretta, che ne so...Tina Pica? Di come invece Bandiera rossa, certamente per uno scherzo ed una ripicca nostra, fosse arrivato a diventare Di qua e di là dal Piave, non lo ricordo.
Trovo che il cast sia molto azzeccato: Monicelli è un vero maestro in questo. La Ferrerò, brava e carina, nella parte non di un puttanone ma d'una ragazza delicata, guardinga e fragile, con dei sani impulsi di rivolta. Era la prima volta che Totò aveva a che fare con una donna che non fosse né una bonona né una ballerina. Foà credibile, serio, drammatico. E Gianni Cavalieri che, sì, era un omosessuale. Suo fratello Gino mi aveva fatto da padrino alla cresima: i Cavalieri erano una importante famiglia del teatro dialettale veneto. E funziona persino Maurizio Arena (con cui non avevamo mai lavorato) e a cui tocca un personaggio che non è esattamente il suo.
A proposito dei rifacimenti e della jeep sul trasparente, va detto che Totò non avrebbe potuto comunque fare a meno della controfigura e del trasparente o della jeep tutta imbragata. Antonio De Curtis non guidava: non ricordo di averlo mai visto guidare, nè tampoco di averlo mai sentito parlare di automobili. Totò era un principe ed aveva un autista. Guardate bene come Caccavallo tocca il volante: un colpetto a destra, un colpetto a sinistra, poi di nuovo un colpetto a destra...
Una scena disarcionata e sbranata dai tagli è quella della confessione. Un’altra scena che, vista così, con quello che c'è rimasto, non funziona bene è quella di casa Caccavallo: l’azione è troppo affollata e veloce, i toni troppo alti. Di scene con i comunisti, invece, sono sicuro che non ce n'erano altre.
Che sia stato Scelba ad intervenire sul film in primissima persona, non vi è alcun dubbio. Noi lo sapevamo benissimo. La cosa che più mi sbalordisce oggi, più ancora dei tagli, è la mancata concessione del nullaosta per l’esportazione. Di Ponti, ricordo che cercava sempre di esibire un contegno di “riflessione”: voleva assolutamente evitare di essere etichettato come uomo “pericoloso” agli occhi del governo.
Intervista di Tatti Sanguinetti, agosto 1999 tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
Furio Scarpelli
All’epoca di Totò e Carolina, io ero iscritto al Partito Socialista Italiano. Per l’esattezza, appartenevo ai Socialisti Unitari, molto aperti alle influenze del Partito d’Azione e della cultura social-liberale. Anni dopo sarei passato al Psiup, e poi di nuovo al Psi e poi al Pei... Ma nessuno di noi che realizzò Totò e Carolina era comunista. Credo necessario specificarlo, perché se fossimo stati comunisti probabilmente non avremmo rappresentato i compagni che, a bordo di un camion, la domenica vanno a farsi un’allegra scampagnata, ma bensì le lotte nelle officine e nei campi.
Vedendo il canto (tagliato) di Bandiera rossa, mi viene da pensare che fosse stata ritenuta un’insidia mostrare i comunisti come della gente quasi normale, che se ne va in giro a mangiare il cocomero anziché i bambini. Naturalmente, questi nostri film cosiddetti “di satira” avevano, per funzionare, la necessità del bersaglio. Il bersaglio era l’acqua in cui doveva nuotare il nostro pesciolino. “Satira” non era ancora la parola deteriore che è divenuta oggi.
Dopo il Marc’Aurelio e dopo le riviste, il vero secondo soffio della nostra carriera ce lo diede Sergio Amidei. Fu un papà severo, ma un papà. Non aveva sussiego: amava queste operazioni poco seriose. Fu lui che tentò l’innesto del neorealismo drammatico e della commedia. Secondo me, tutto cominciò con Domenica d'agosto, dove veniva celebrata la vita quotidiana di alcune differenti generazioni di persone di vario ceto e uscite da poco dalla guerra.
Nei dialoghi di Totò e Carolina, trovo - che so - un riferimento al “caso Egidi”, uno che aveva ucciso una bambina piccola...Un puro fatto di cronaca nera. Oggi nessuno metterebbe più in un copione una battuta sul “caso Egidi”. Ma allora il cinema si nutriva di “fatterelli” di cronaca, si scriveva e si girava giorno per giorno: un’attività stagionale. E noi eravamo come dei cronisti che dovevano fare il pezzo sul tamburo, sempre di fretta. Come il personaggio di Carlo Mazzarella, che qui si intravede solo di scorcio e a cui, per i tagli, non è rimasta nessuna battuta. Noi facevamo il pezzo con la giusta dose di birbanteria e senza alcun complesso d’inferiorità.
A proposito di Mario Scelba e della sua lotta al tipo di cinema che facevamo noi, gli utili idioti, ricordo un episodio di cui fui testimone oculare, accaduto in quel periodo a casa di Amidei a piazza di Spagna, una casa che era una accademia ed un porto di mare. Un giorno era atteso Luigi Zampa, il quale in quel periodo subiva una contestazione da parte della magistratura per via di una scena di Anni facili, in cui si vedevano dei giudici riuniti in camera di consiglio ed intenti a parlare del più e del meno e dei casi loro, del caldo estivo, della malattia di un bambino, dell'orario di un treno e via dicendo. Luigi Zampa aveva chiesto, a tale proposito, un colloquio a Mario Scelba ed ora giungeva a riferirne l’esito ad Amidei.
Zampa esordì così: “Cari amici, ho incontrato Mario Scelba. Ebbene, devo dirvi che Scelba non è affatto l’uomo che noi pensiamo. E un antifascista vero, uno che ha letto Don Sturzo, che ha una sua idea della libertà...”. Amidei lo investì come un ciclone. Cominciò ad urlare ad altissima voce, come un ossesso. “No! No! No! Tu non puoi parlare così di Scelba! Se frequenti il boia, finirai per trovarlo simpatico”. Se lo mangiò letteralmente vivo: a Zampa non fu più possibile aprire bocca.
Per quanto concerne Carlo Ponti, io non voglio parlarne male. E non solo perché probabilmente lo avranno già fatto tutti gli altri, e non solo perché è persona anziana. Ponti aveva portato dal Nord un po’ di letteratura nel nostro cinema, dove grande frequentazione con i classici non c’era mai stata. Non i libri di Einaudi, qualcos’altro. E si portò giù Soldati, Comencini. Risi...
Ad un certo punto, credo si sia lasciato “corrompere” sia da una certa spregiudicatezza romana che da una sorta di visione “internazionale” dell’industria del cinema. Lo ricordo con un gesto da consegnare allo psicanalista: quando decideva di accettare qualcosa di ciò che noi gli proponevamo, diceva di sì facendo di no con la testa. Aveva ambizioni “altre”.
Di Totò e Carolina ricordo riunioni a casa di Monicelli in via Archimede, ai Parioli. Ma non escluderei qualche incontro al Caffè Greco, da Rosati o da Rampoldi a Piazza di Spagna. Ma Age ed io frequentammo anche la moviola: non ce n’erano tante allora, a Roma. Si aggiungeva, si doppiava, si “scavallava”. "Scavallare” è quando devi risistemare due scene perché è saltato quello che c’era in mezzo.
Una scena che sicuramente fu tagliata è quella del pescatore che ha confessato un peccato enorme al parroco di Carolina. Il personaggio ritornava, voleva riconfessarsi, aveva altri peccati da dichiarare.
Una piccola scena, che ho sicuramente scritta io, è quella degli “uccellini sugli alberi che, con le loro aiucce, si liberano nel cielo cinguettando”, quando.. .bum-bum!...Arriva un cacciatore che spara ai poveri passerotti lasciando interdetto il buon Caccavallo che recitava una sorta di laude animalista francescana a Carolina. Questa scena, da me inventata, era semplicemente il ricordo di una sequenza di un film visto al cinema da ragazzo e che mi aveva fortemente impressionato, Il Dottor Jekyll, con Frederich March. Jekyll passeggia nel parco dietro casa e contempla un passerotto su un ramo...e zac!...Arriva un gatto che si pappa il passerotto mentre in quel preciso istante il Dottor Jekyll diventa Mister Hyde. Un’immagine che mi era rimasta dentro per vent’anni.
Intervista di Tatti Sanguinetti, agosto 1999 tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
Anna Maria Ferrero
Non ho mai avuto contratti con nessun produttore, né casa di produzione. Per Totò e Carolina mi chiamò Monicelli, forse perché trovava che ero giusta per il personaggio. Avevo già lavorato con lui ne Le infedeli, mi sembra che fosse il primo film che fece da solo, senza Steno. Un bel film, l’ho rivisto qualche anno fa, in televisione; è un bravo regista, Mario, simpatico e talmente vitale, un uomo delizioso.
Per Totò e Carolina abbiamo girato molto a Roma e nei dintorni di Roma. La scena nella jeep con Maurizio Arena l’abbiamo girata in campagna, sulla Flaminia. Siamo stati anche in un paesino, ma non mi ricordo più. E tanto lontana questa storia...
Anche se c’era una differenza d’età fra lui e me, con Totò diventammo subito amici. Era una persona squisita, un uomo di grande educazione e di grande simpatia. Fu un film pieno di gioia e di allegria, c’era un’atmosfera sempre molto distesa e molto cordiale, è raro nel cinema. Fu girato in modo molto sereno, molto gaio, non c’era nessuna - come si può dire? - tensione né pensiero che potesse scoppiare un tale finimondo.
Recitare con Totò non è stato mai difficile. Lui lo diceva: “Guarda che io cambio le cose, quindi stai sveglia, stai con le orecchie appizzate e vedrai che andremo bene”. E infatti fu una grande amicizia con lui. Aveva la sua macchina col suo autista, Cafiero. Ogni tanto mi riaccompagnava lui, quando avevamo delle giornate lunghe e bisognava aspettare la macchina della produzione che era stata ad accompagnare un altro attore. Mi diceva: “Anna Maria, è inutile che stai ad aspettare la macchina della produzione. Vieni, vieni, ti riaccompagno io con Cafiero”. Salivo in macchina, lui si sedeva e diceva: “Cafiero, canta!” E Cafiero cantava, tutte le canzoni di Totò. E mi riaccompagnava a casa.
Una scena difficile fu quella in cui io mi buttavo in un ruscello e Totò si buttava anche lui per salvarmi. E devo dire che Totò si buttava tranquillamente, come se niente fosse, senza controfigura, era una persona di gran semplicità. Ma prese una bronchite - o una polmonite, non ricordo adesso - e non potè finire il film. Io dopo feci L'Amleto, a Torino ci fu una prima, una cosa così, si fanno sempre delle prove in una sala nuova... E quindi Totò e Monicelli vennero su a Torino e facemmo le scene che non avevamo potuto fare a Roma. Non ricordo più quali, scene in interni comunque.
Sa, le date non me le ricordo, forse anche perché non me le voglio ricordare... Con l’Amleto ho cominciato a fare teatro, ho fatto cinque-sei cose in teatro e poi basta. La voce di Carolina nel film è la mia. Dovetti tornare sicuramente al doppiaggio, senz’altro, per correggere o cambiare delle battute. Rifacimenti no, non ne abbiamo girati.
Non so quanti tagli hanno fatto, una cosa incredibile, e mi fa piacere se possono ricostituire il film più o meno come l’avevamo girato. Era molto carino, con grandi attori, tanti, tanti, e bravissimi tutti.
Totò non l’ho visto mai più: io mi sono sposata, sono andata a Parigi, lui poi si è ammalato, non c'è più stata occasione. Sono rimasta a quel ricordo di tanti anni fa, è stato formidabile fare questo film con lui. Mi dispiace di non averlo più incontrato. Ho rivisto invece il suo vecchio autista, un anno fa, Cafiero...
Intervista di Alberto Anile del febbraio 1997, tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
Enzo Garinei
Ogni tanto c’è un amico che mi dice: “Ti ho visto in un film con Totò, ma quanti ne hai fatti?” Era un periodo buono quello tra il 1950 e il 1960. In tutto ho fatto 72 film. Magari in uno dicevo tre battute, in un altro facevo una caratterizzazione... Ho lavorato con Dapporto, Macario, Rascel, Chiari, Fernandel... e ringraziando Dio ho avuto la fortuna di lavorare con Totò, dal quale ho imparato tante cose, principalmente dal lato umano. Aveva questa doppia personalità straordinaria, si metteva il fracchettino e diventava il pupazzetto, il comico, il mamo; quando si spogliava ridiventava il principe Antonio de Curtis, voleva che la gente lo chiamasse così, giustamente lo pretendeva, aveva il suo mondo privato che non voleva assoluta-mente mischiare con la vita del comico, del cinema, del teatro.
Con Totò avevo... non dico un senso di paura, però un timore reverenziale, era un mostro. Tutti avevano timore, anche quelli più esperti di me, i Pavese, i Croccolo, le stesse donne. Sentivamo il suo carisma, il suo fascino, la sua importanza: era Totò, non c’è niente da fare, già allora per tutti noi era un grande, uno dei massimi attori nostri. Non aveva nessuna importanza che fosse un attore comico e non drammatico: io ero molto giovane, di tanti particolari non m'impicciavo, avevo 22-23 anni.
Totò e Carolina fu un film discretamente girato, uno dei più curati, anche per l’argomento... Era un Totò sì comico, ma anche umano, abbastanza sentimentale... Ricordo che giravamo all’ospedale di Viterbo; avrò lavorato in tutto quattro o cinque giorni, però quel poco che ho girato era tutto con lui. Era un Totò in gran forma, le sue battute se le giocava come voleva lui. Non ti puoi mai aspettare da Totò un “Ma scusi, il suo illustre genitore, dov’è?” La battuta Totò te la cambiava, se la faceva più sua. Non è che ti “sporcava”, lui la finiva in un’altra maniera: stavi in campana perché non si adeguava al copione in maniera precisa, ma il concetto era sempre quello, quello giusto. Tornai a casa un paio di volte con la Ferrerò, che allora era la donna di Gassman: la macchina della produzione prima passava a prendere me, poi passava a prendere lei e al ritorno prima accompagnava lei che abitava dalle parti di corso Trieste e poi riaccompagnava me. Totò no, aveva il suo autista.
Ha aiutato mezzo mondo, ha salvato società cinematografiche sull’orlo del fallimento, perché magari avevano fatto film importanti, artistici, che non erano andati bene. A un certo momento per salvare la loro stagione andavano da Totò, lo pregavano. Rispondeva: “Ma io sono pieno come un uovo....”. Qualche volta sacrificava le sue ferie per fare un filmetto di due, massimo tre settimane. Totò poteva veramente salvare. Parlo anche di piccole società, era un periodo in cui il cinema era in piena auge, si facevano un sacco di film l’anno, c’erano tante società che giravano senza l’aiuto della televisione, solo con i liquidi delle varie produzioni, perché poi i film incassavano. Oltre a questo, credo non ci sia mai stata una mano protesa di tecnici, di attori disoccupati, di generici, di comparse, che si chiudesse senza le mille, le duemila lire di allora. E da quello che mi risulta non è che sia morto stramiliardario. Credo che Totò abbia avuto pochissimo tempo per potersi prendere delle ferie nella sua vita e infatti ha talmente calcato il set cinematografico che si è fregato la vista, è finito quasi cieco. È stato sfruttato in maniera direi scandalosa.
Intervista di Alberto Anile del marzo 1995, tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
Quella faccia non mi è nuova: il Principe Totò
Doveva essere nell’estate del 1957 (forse un anno prima o uno dopo). Il treno letti Nizza-Roma aveva da non molto passato il confine ed io me ne stavo placidamente a leggere il libro giallo serale quando bussarono alla porta della mia cabina. Non eravamo ancora in tempi di terrorismo, di scorte e di necessarie cautele; aprii quindi senza alcuna precauzione e mi trovai dinanzi Totò, accompagnato da Franca Faldini. “Ho saputo che Lei era qui e non potevo non venire ad augurarLe la buona notte.”
Passato l’attimo di sorpresa, mi scusai con la Faldini per essere in tenuta da camera (Totò, invece, reduce da una crociera in Costa Azzurra, indossava una elegante divisa da autorevole yachtman) e ringraziai il Principe col quale ci addentrammo in una gradevolissima conversazione. Non voleva davvero profittare del ministro delle Finanze in vacanza per porre alcuni suoi urgenti problemi, ma avrebbe avuto grande gioia se lo avessi potuto vedere in ufficio per illustrarmeli: “Nella vita ognuno ama di essere sopravvalutato, ma io lo sono ‘solo dal fisco’”.
Dopo una serie di schioppettanti battute come questa, Totò con un moderato inchino prese congedo nell’intesa di vederci al ministero il lunedì successivo a mezzogiorno.
Lo avevo conosciuto di persona a Milano nel 1950 presentatomi da Remigio Paone al Teatro Nuovo; anzi dovrei dire “presentatogli” perché il Principe mi aveva fatto sapere che gradiva ricevermi nel suo camerino. In quella prima occasione lo trovai dignitosissimo, con una sorta di ostentata sufficienza sul modesto sottosegretario di Stato. Era un personaggio completamente diverso da quello che pochi minuti prima ci aveva mandato in visibilio con il gran finale dello spettacolo in cui, elmetto e piume di bersagliere, percorreva più volte a velocità crescente la passerella, scandendo il verso dantesco, leggermente adattato: “Ohi Pi - ohi Pi - Pi - Ohi Pisa, vituperio delle genti”.
Il successo di Totò era tanto più impressionante perché affidato a tre o quattro semplici ingredienti: l’incedere meccanico, quasi da burattino; l’insistente ripetizione delle battute, di un repertorio volutamente limitato, ed anche di espressioni divertenti sue tipiche (“Ma mi faccia il piacere” ad esempio); l’accentuata inflessione napoletana; uno strabuzzamento inimitabile degli occhi.
Erano forse le nostre generazioni facili al riso? Può darsi, ma a giudicare dall’apprezzamento che i giovani tuttora mostrano ai suoi film, teletrasmessi spesso sia dalle reti pubbliche che private, si ha la conferma del grande valore artistico di Totò, la cui “vis comica” è destinata a non tramontare proprio perché basata su caratteristiche semplici e naturali.
Sembra che Antonio De Curtis fosse seriamente impegnato e convinto nel difendere le sue prerogative principesche. Si sarebbe detto che l’applauso e l’affetto delle folle erano da lui vissuti come un surrogato dell’ossequio spettantegli quale erede del Sacro Romano Impero.
Parlammo una volta degli aspetti morali della comicità nel cinema ed ascoltai da lui una distinzione interessante: vanno evitate le “immagini” oscene perché eccitano passioni e suscitano squilibri (specie nei ragazzi), mentre sul “parlato” si può largheggiare perché ognuno lo recepisce in proporzione al suo personale grado di malizia. Esemplificava dicendo che la famosa scenetta della difficile convivenza con il deputato nella cabina-letto (non c’entra il Nizza-Roma, attenzione!) nella quale vi erano molte allusioni piuttosto pesanti, divertiva egualmente quanti comprendevano tutti i doppi sensi e chi invece rideva soltanto per le valige gettate una ad una dal finestrino e per la saliva schizzata negli onorevoli occhi del compagno di viaggio quando Totò alzava la voce per imporsi. “Se lei ha capito tutto, mi perdoni Eccellenza, era uno sporcaccione da prima”.
In verità, Totò volgare non era. Anche la frase: “Questa faccia non mi è nuova” riferita alla zona umana delle ultime vertebre era detta in modo da richiamare l’attenzione più sull’udito che sul video. Almeno a me sembrava così e glielo dissi, provocando questa divertente risposta: “Non mi spingerei mai alle arditezze di un Canova”. [...]
Giulio Andreotti, ("Visti da vicino", Rizzoli 1985)
La censura
«Vie Nuove», 30 gennaio 1955
Totò, Carolina e la censura: il mistero degli 82 tagli
Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta? Al film migliore che ho interpretato, Totò e Carolina, hanno fatto 82 tagli… Hanno persino voluto la soppressione del nome del mio personaggio che si presentava dicendo: "Caccavallo, agente dell'Urbe".
Antonio De Curtis
In uno sketch interpretava senza dire una sola battuta, ma con pura mimica, un «Ascaro di Scelba» (Scelba era il ministro degli Interni e i suoi poliziotti erano stati soprannominati così per la violenza con cui usavano i manganelli durante i numerosi scioperi e le manifestazioni di quell'epoca inquieta). Totò restava in scena più di mezz'ora, rispondendo solo a gesti all'attacco del pubblico proprio come se fosse un poliziotto alle prese con la folla: era uno spettacolo incredibile!
Galeazzo Benti
Non è vero, o almeno non opportuno che un poliziotto, come Totò nel film, speri in un avanzamento per avere novemila lire in più di stipendio al mese; né che egli viva in una casupola, che sia un po’ troppo zelante; ma infine buono come il pane. E che fatichi a imparare il regolamento. Non è vero, né sopportabile, che i comunisti siano bonaccioni e i preti troppo concilianti, che quelli cantino Bandiera Rossa e aiutino un poliziotto a rimettere in marcia la sua camionetta, che questi cantino Bianco Fiore e “il coraggio non se lo sappiano dare”. Non è possibile che egli giochi al lotto, che impasticci “qui-pro-quo” verbali, che tema, perdendo il posto, di passare dalla parte di quelli “che menano” in cui si trova, a quella di coloro che, imbracciando cartelli con la scritta “Pane e lavoro”, “sono menati”. E abbiamo citato solo una parte dei trentadue tagli richiesti.
Gianni Puccini
Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta? Al film migliore che ho interpretato, Totò e Carolina, hanno fatto ottantadue tagli... Hanno persino voluto la soppressione del nome del mio personaggio che si presentava dicendo «Caccavallo, agente dell'Urbe».
Maurizio Liverani"Il lamento del vecchio Totò", «Tempo», 29 settembre 1965
Verbali e documentazione relativi alle attenzioni avute dal film da parte della censura
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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo | |||
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La casa dove abita l'agente Antonio Caccavallo (Totò), che qui passa a casa sua con Carolina (Anna Maria Ferrero) mostra un paesaggio di Roma ormai scomparso: Caccavallo si dirige in una delle palazzine che oggi, almeno in parte, non esistono più e che sorgevano tra via delle Sette Chiese e via di Tor Marancia. Il palazzo indicato con A nell'adiacente piazza dei Navigatori è l'unico elemento riconoscibile ancora oggi. | |||
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La strada dove Carolina De Vico (Ferrero) viene arrestata assieme ad altre prostitute è Viale delle Belle Arti a Roma. | |||
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Le camionette della polizia poi partono in direzione di Via Ulisse Aldrovandi | |||
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La scalinata attraverso la quale fugge un cliente di una prostituta al momento dell’arrivo della polizia, vanamente inseguto dalla donna che pretendeva il pagamento della prestazione, è quella che chiude sul fondo la spianata di Piazza di Siena, nel parco di Villa Borghese a Roma | |||
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Segnalata dalla lettera A nel precedente fotogramma, in cima alla scalinata si trova la Fontana dei Pupazzi. | |||
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Il commissariato dove lavora l’agente Antonio Caccavallo (Totò) è situato all'interno di Palazzetto Mattei, in Piazza Mattei 19 a Roma | |||
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Il controcampo nella scena dell’arrivo della camionetta sulla quale era stata caricata per errore, assieme alle prostitute arrestate a Villa Borghese, anche l’innocente Carolina De Vico (Ferrero) | |||
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La strada che Antonio Caccavallo (Totò) percorre nel tragitto tra l’ospedale dove era stata ricoverata Carolina De Vico (Ferrero) e la casa dove abitava l’agente è Via dell’Arcadia a Roma. Nel fotogramma vediamo il punto dove Totò svolta in Via dei Lincei. In terza foto, le palazzine sullo sfondo. | |||
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Ecco come appare oggi Via dei Lincei vista dalla svolta D verso destra. In terza foto le palazzine E ed F | |||
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La strada dove Antonio Caccavallo (Totò) si ferma a chiedere informazioni sulla strada per raggiungere Montefalcone, il paese nel quale deve ricondurre Carolina De Vico (Ferrero), come segnalato in questo sito è Via Appia Nuova a Frattocchie (Marino, Roma). Questo è il punto dove Totò ferma l’auto, esattamente all’altezza della diramazione per Via Nettunense Vecchia | |||
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In controcampo. | |||
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Ecco, infine, un altro scorcio di Frattocchie, ripreso poco prima della fermata | |||
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La strada dove, indeciso se svoltare a destra o a sinistra, Antonio Caccavallo (Totò) chiede a Carolina (Ferrero) quale direzione imboccare per poi prendere quella opposta perché al bivio precedente la ragazza aveva tentato di mandarlo dalla parte sbagliata è Via Nettunense a Cecchina (Albano Laziale, Roma) | |||
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In controcampo. | |||
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Il casale dove Carolina (Ferrero) tenta di suicidarsi buttandosi in un pozzo, che però risulterà troppo poco profondo e le impedirà di compiere l’insano gesto, non è stato semplice da individuare Alcune scene, senza specificare quali, erano state girate tra Bracciano ed Anguillara Sabazia (Roma). È nel territorio di quest’ultimo comune per la precisione si trova in Via Braccianese. Il primo fotogramma ci mostra il momento nel quale, dopo esser uscita dal pozzo, la Ferrero scappa dal casale e si dirige verso un vicino casello ferroviario, presso la quale tenterà nuovamente di togliersi la vita. In terza foto l’inquadratura del pozzo, vediamo l’altro capo dell’edificio mostrato nel fotogramma precedente | |||
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Questo, invece, è il vicino casello, visto dal casale | |||
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Un’altra inquadratura del casello con la Ferrero che fugge inseguita in jeep da Totò dopo che era fallito anche questo tentativo di suicidio | |||
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La chiesa del paese di Montefalcone dove Carolina De Vico (Ferrero), lì ricondottavi da Antonio Caccavallo (Totò), incontra i suoi parenti che però rifiutano di riprenderla in casa è la chiesa di Santo Stefano Protomartire, situata in Piazza Giacomo Matteotti a Fiano Romano (Roma) | |||
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In controcampo | |||
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La strada lungo la quale Antonio Caccavallo (Totò) nella scena finale del film si allontana a braccetto con Carolina De Vico (Ferrero) dopo aver preso la decisione di prendere con sé la ragazza per evitare che finisse ancora nei guai è Via Giulia a Roma. | |||
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La strada dove Antonio (Totò) tenta di fare inversione di marcia finendo con la jeep nella scarpata sottostante è la Strada Provinciale 102a che sale a Saracinesco (Roma). Cominciamo con il riconoscere il panorama sullo sfondo | |||
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Il punto esatto dell’incidente lo possiamo determinare grazie alla scena delle operazioni di recupero dell’automezzo, nella quale si riconoscono la curva della strada (A) e l’abitazione (B) posta immediatamente prima, nel mezzo di una "esse" piuttosto allungata. | |||
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In controcampo.
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La strada dove Antonio Caccavallo (Totò) rifiuta il passaggio ad un autostoppista è Via Nettunense ad Ariccia (Roma). | |||
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Il passaggio a livello dove la jeep di Antonio Caccavallo (Totò) viene tamponata dal furgoncino di un oratorio in gita si trovava tra le attuali Via Braccianese e SP493 Claudia Braccianese a Roma, tra le stazioni ferroviarie de La Storta ed Olgiata della ferrovia Roma-Capranica-Viterbo. Il passaggio a livello è stato eliminato in data imprecisata e il casello è stato abbattuto in seguito al raddoppio della linea ferroviaria e a variazioni della rete viaria. | |||
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A permettere di identificare lo scomparso casello è stato Mauro che, in una scena d’un altro film qui girato, La vita è bella (1943), aveva notato che la progressiva chilometrica del casello era 20. Basandoci sulla progressiva della vicina stazione Olgiata (21+151), che si trova poco più avanti in direzione Viterbo, si può stimare con una certa sicurezza che il casello si trovava al KM 20+850 circa. Inoltre è ancora presente l’edificio che si trovava esattamente di fronte al casello. | |||
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Qui lo stesso edificio si vede meglio |
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Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò e Carolina"- Interviste di Tatti Sanguinetti a Franca Faldini,Agenore Incrocci, Furio Scarpelli, agosto 1999 tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
- "Totò e Carolina"- Interviste di Alberto Anile ad Anna Maria Ferrero ed Enzo Garinei del febbraio 1997, tratta da "Totò e Carolina" (Tatti Sanguinetti), Progetto "Italia taglia", Cineteca Bologna/Transeuropa Film, 1999
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Goffredo Fofi, “Ritorno a Totò”, in Totò e Carolina, cit., p.166.
- Il Tenente Colombo, alias Simone Riberto, per le interviste
- Materiale dell'Archivio Centrale di Stato
- Galeazzo Benti, "Ricordi di un gagà", «Diario», n. 39, 8-14 ottobre 1997
- Carlo Cisventi, «Le Ore», anno I, n.27, 14 novembre 1953
- Mario Agatoni, «L'Europeo», anno X, n.15, 11 aprile 1954
- Domenico Meccoli, «Epoca», anno V, n. 186, 25 aprile 1954
- «Epoca», anno VI, n.231, 6 marzo 1955
- «Tempo», anno XVII, n.11, 17 marzo 1955
- Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
- Totò, Carolina e la censura: il mistero degli 82 tagli - Mereghetti Paolo, Corriere della Sera,17 marzo 2008, p.37
- http://cinecensura.com
- http://www.italiataglia.it
- Sergio Sciarra e Silvano Console