Totò Diabolicus
Pasquale Buonocore
Inizio riprese: gennaio 1962, Stabilimenti Titanus Farnesina, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 2 aprile 1962 - Incasso lire 448.809.000 - Spettatori 2.229.553
Titolo originale Totò Diabolicus
Paese Italia - Anno 1962 - Durata 92 min - B/N - Audio sonoro - Genere giallo/comico - Regia Steno - Soggetto Vittorio Metz, Roberto Gianviti - Sceneggiatura Vittorio Metz, Roberto Gianviti, Marcello Fondato, Giovanni Grimaldi, Bruno Corbucci - Produttore Gianni Buffardi - Fotografia Enzo Barboni - Musiche Piero Piccioni - Scenografia Giorgio Giovannini - Direttori di produzione: Egidio Quarantotto, Giancarlo Sambucini - Aiuto regista: Mario Castellani, Mariano Laurenti - Tecnico del suono: Enzo Silvestri - Segretario di edizione: Renata Clerici - Operatore alla macchina: Stelvio Massi
Totò: Galeazzo di Torrealta/Carlo di Torrealta/Scipione di Torrealta/Monsignor Antonino di Torrealta/Laudomia di Torrealta/Pasquale Bonocore - Nadine Sanders: donna Fiore di Torrealta - Béatrice Altariba: Diana - Raimondo Vianello: Michele detto Lallo - Luigi Pavese: commissario di polizia - Mario Castellani: ispettore Scalarini - Peppino De Martino: notaio Cocozza - Giulio Marchetti: il detective privato - Gianni Baghino: Gigi "lo sfregiato" - Steno: Angelo, il giardiniere - Ubaldo Loria: il maggiordomo di casa Torrealta - Vera Drudi: una domestica - Franco Giacobini: il dottor Pandoro - Pietro De Vico: paziente da operare - Mimmo Poli: il postino- Paolo Ferrara: il direttore del carcere - Veriano Ginesi: Nando "Bellicapelli" - Antonio La Raina: attendente del generale- Franco Ressel: l'anestetista Biagini - Formato negativo (mm/video pollici): 35 mm - Formato stampa film: 35 mm
Soggetto
Il marchese Galeazzo di Torrealta viene trovato assassinato nella sua villa. Sul cadavere, l'assassino lascia un biglietto con la sua firma: "Diabolicus". Le indagini della polizia si concentrano sui fratelli della vittima, sospettati di avere ucciso il marchese per venire in possesso della sua ricca eredità: ma tutti sembrano avere un alibi di ferro. La baronessa Laudomia, pur in preda a fisime e manie, dice di essere andata al cinema, ma le sue dichiarazioni non convincono; il generale Scipione, sansepolcrista rimasto fermo ai tempi del fascismo, non fornisce indicazioni utili ai poliziotti, mentre il chirurgo Carlo (la cui moglie ha una relazione segreta con Lallo, marito di Laudomia) è rimasto tutta la notte in sala operatoria; del mite e casto monsignor Antonino, gli inquirenti non insinuano neanche il minimo sospetto.
Due sere dopo l'assassinio, "Diabolicus" invia 3 lettere anonime: una alla polizia per ostacolarla nelle indagini, le altre due a Carlo e a Scipione per farli andare a casa di Laudomia. E qui scatta la trappola di Diabolicus, che uccide i tre fratelli. Rimasto solo, Antonino decide di lasciare l'intera l'eredità dei suoi poveri cari ad un fratello segreto, frutto di un peccato di gioventù di suo padre. L'uomo, tale Pasquale Buonocore, è sempre stato bistrattato dalla sua famiglia, ed ora si trova in galera per furto. Uscito per aver confessato il fatto e sistematosi in una villa lussuosa, Pasquale riceve un servizio di protezione speciale, in quanto la polizia pensa che ora "Diabolicus" possa colpire proprio lui. Infatti, una notte, l'uomo viene aggredito da una figura misteriosa che indossa la famigerata tuta di "Diabolicus", ma la polizia, appena sopraggiunta, scopre che in realtà si tratta di un ex-"collega" di Pasquale, finito in galera dopo la sua confessione ed evaso nel tentativo di vendicarsi.
Nel frattempo, Diana, l'amante di Galeazzo, viene urgentemente convocata da monsignor Antonino; insospettita dagli strani comportamenti del prelato, la donna scopre che Antonino in realtà è Galeazzo travestito da Antonino: infatti, vedendo assottigliarsi il suo patrimonio, Galeazzo aveva deciso di uccidere tutti i suoi fratelli; la sera del "suo" delitto, aveva convocato Antonino a casa sua e, senza essere visto da nessuno, l'aveva pugnalato e opportunatamente camuffato facendo credere di essere stato ucciso; poi, aveva ucciso gli altri tre fratelli. Ora, la parte finale del piano è uccidere Pasquale, camuffarlo da monsignore e travestirsi a sua volta da Pasquale, facendo ricadere la colpa sull'innocente Lallo.
Galeazzo attua il piano, grazie anche alla collaborazione di Diana, e fa arrestare Lallo; la polizia, però, scopre che la vittima non è Antonino, ma non è nemmeno Pasquale. L'ucciso, infatti, è il capo della compagnia privata che protegge Pasquale e che si è "sacrificato" per il suo cliente, su 'suggerimento' dello stesso Pasquale, al quale era venuto qualche sospetto sul fratello monsignore. Con Galeazzo in galera e con tanti soldi, Pasquale può finalmente star tranquillo. Tasse a parte, ovviamente.
Curiosità
E' il primo esperimento di giallo con venature horror, ciò che poi si chiamerà thriller, con protagonista Totò, affascinato fin da giovane dal genere. Il principe qui interpreta ben tre ruoli distinti, che poi diverranno sei: monsignor Antonio, Laudomia e Diabolicus. La "moltiplicazione" di Totò è stata ispirata dalla simile performance dell'attore britannico Alec Guinness, che in "Sangue blu" interpretava ben otto ruoli, dando vita a un intero "albero genealogico". Prima d'allora Totò era morto solamente in Totò e i re di Roma.
Mimmo Poli spesso presente nei film di Totò interpreta di nuovo il ruolo del postino duramente interrogato da Totò come già nel film dell'anno precedente I due marescialli. Nel film fa una breve apparizione il regista Steno, nei panni del bizzarro giardiniere della villa di Laudomia. Quando Totò interpreta il ruolo del monsignor Antonino, viene doppiato da Renato Turi, mentre quando impersona Laudomia, ha la voce di Carlo Croccolo, doppiatore di fiducia di Totò. La voce (o, per meglio dire, la risata sardonica) di Diabolicus, è invece quella di Vinicio Sofia, che doppiò anche l'agente delle tasse nella scena finale.
Totò nei film girati fino ad ora non è mai morto sullo schermo, in questa occasione muore ben quattro volte! Viene ripreso un vecchi sketch dall'antica rivista "Fra moglie e marito... la suocera e il dito": Pietro De Vico è il paziente vittima del folle medico interpretato da Totò il quale, con inaudita crudeltà gli taglia un pezzo d'intestino per portarlo successivamente a casa come cibo per il gatto.
Distribuito nelle sale italiane il 7 aprile 1962, venne in seguito esportato in Portogallo il 16 luglio del '63 col titolo Totó Diabólico. Si potrebbe presumere che il personaggio di Diabolik di Angela e Luciana Giussani, uscito nel novembre 1962, sia stato ispirato dalla visione del film di Totò uscito qualche mese prima nelle sale cinematografiche italiane, e che il film, a sua volta, sia basato su un certo Diabolik, che nel 1958 commetteva alcuni delitti a Torino.
Così la stampa dell'epoca
Strampalata quanto irresistibile commedia comica, uno strepitoso assolo del principe De Curtis che, tenuto sotto controllo dal fido Steno, si moltiplica da par suo, dando vita a sei personaggi, uno più buffo dell'altro. I due più spassosi comunque sono la nobildonna vogliosa e il barone della medicina che perde gli occhiali proprio mentre opera il povero Pietro De Vico. Un film probabilmente sciocco, sicuramente divertentissimo.
Anonimo, 1962
Esiste ancora un pubblico per Totò? Esiste. Basta tenere il conto del numero dei film che, salute permettendo, il più geniale dei nostri comici gira ogni anno. Con qualche eccezione sono film, i suoi per i quali si usa una frase: "E' stupido ma diverte". Una frase in cui l'aggettivo si riferisce ai film, sconsolanti per balordaggine e banalità, e il verbo all'interprete che sa sempre trovare, magari in una sola scena, gli antichi lampi [...].
Morando Morandini, 1962
Totò Diabolicus, che il principe gira nel febbraio del '62, è una parodia, ma assai particolare. Il film preso a modello è Sangue blu, un giallo interpretato nel '49 da un sir Alec Guiness impegnato virtuosisticamente in ben otto ruoli. Antonio de Curtis, che nei suoi film si è già più volte sdoppiato e triplicato, ne interpreta in tutto sei; alcuni si incontrano insieme nella stessa inquadratura e questo obbliga l'interprete a rigirare più volte, con camuffamenti diversi, la medesima scena. L'impegno dunque è più gravoso del solito ma Totò, a sessantaquattro anni appena compiuti, continua stoicamente a lavorare.
Alberto Anile
Totò «Diabolicus» e poi «di notte»
Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, non teme il cambiamento dei tempi o la concorrenza delle nuove leve. Infatti l’attività del popolare comico è intensissima. Ad un amico che in questi giorni lo aveva invitato sulla Costa Azzurra, Totò ha risposto: «Non posso recarmi nemmeno ad Ostia per un’ora. Sono impegnatissimo nei teatri di posa; ora sto girando Diabolicus; appena sarà terminata questa pellicola, incomincerò subito un altro film, Totò di notte N. 1.»
«Corriere dell'Informazione», 7 febbraio 1962
In questi giorni Totò ha iniziato un nuovo film, Diabolicus, in cui interpreta sei personaggi diversi: cinque fratelli e una sorella che, per una serie di disavventure, vengono uccisi da un uomo misterioso. In una di queste trasformazioni l’attore si è messo in gramaglie assumendo l’aspetto di una anziana signora, che rimane vedova d’un funzionario con i baffi: Raimondo Vianello. Già in altri film Totò aveva indossato abiti femminili, mai però impersonando il ruolo d’una vecchia rimasta sola al mondo.
Per assicurare verosimiglianza alla sua interpretazione, il comico napoletano ha scelto un abito prezioso, identico a quello indossato da una autentica nobildonna molti anni fa durante una cerimonia pubblica. La lavorazione del film sarà terminata verso la metà di marzo, poi inizierà il montaggio. Totò si è completamente ristabilito dalla malattia agli occhi che lo aveva colpito quattro anni fa, ma i medici lo hanno invitato a non esporsi troppo a lungo alla luce violenta dei riflettori: perciò l’attore, quando non è in scena, porta occhiali scuri. I suoi film, malgrado sfruttino spesso « macchiette » non molto originali, hanno sempre un buon successo commerciale e sono richiesti anche all’estero: Totò è popolarissimo persino in Russia, in Ungheria e in Polonia.
LA SIGNORA LAUDONIA, (in alto) inginocchiata durante la cerimonia funebre accanto al terzo marito, Raimondo Vianello, pure destinato a lasciarla immaturamente. A sinistra: Totò, deposti gli occhiali scuri, si prepara alla ripresa e con le mani guantate s'accomoda il cappellino.
IL PIANTO SCONSOLATO (foto a destra) della vecchia signora che rimane continuamente vedova è uno dei motivi ricorrenti del film. Totò, che porta gli orecchini e indossa un cappotto nero con pelliccia, singhiozza nella chiesa: anche Vianello l'ha abbandonato. Chi sarà il quarto marito?
«Epoca», anno XIII, n.594, 18 febbraio 1962
Totò al suo ottantesimo film si divide fra sei personaggi
Si girano a Roma gli interni di un "giallo" farsesco. In «Diabolicus» il popolare comico commette i più truci delitti per impadronirsi di un'eredità. Durante le riprese è allegro e comunicativo, quando non lavora è timido e «musone»
Totò ha i suoi anni, ma li porta bene. In questi giorni il popolare comico indaffaratissimo net teatro di posa n. 5 degli stabilimenti alla Farnesina, dove quale protagonista di Diabolicus sta facendo fuori a pugnalate i suoi cinque fratelli. Attraverso un giro di situazioni tra le più impensate e divertenti, Totò non esita un solo istante a commettere i suoi delitti. Qualche volta il regista Steno gli fa ripetere le criminali esibizioni ed egli ai presta di buon grado, magari aggiungendo qualche battuta non contemplata dalla sceneggiatura. L'estro è più forte di lui. Gli viene sempre in mente qualche nuova trovata che sfrutta sul momento. «Sono la vocazione ed il mestiere dell'attore che portano naturalmente a improvvisare scena per scena qualche parola — egli dice. — Sono felice quando posso farlo anche se è un rischio. La comicità è musica poiché il fattore principale è il tempo: in teatro tutto questo risulta più facile, perché il pubblico con la sua reazione immediata suggerisce da sé là misura. Comunque l'esperienza mi insegna che anche nel cinema l'improvvisazione il più delle volte funziona». In questo film — l'ottantesimo della sua carriera — Totò è costretto a dividersi in sei personaggi. Il guaio è che c'è di mezzo un'eredità ed egli non ha la minima intenzione di spartirla con i suoi cinque fratelli: un generale nostalgico, un chirurgo, un monsignore, una sposa, un ex-carcerato. Ce ne sarebbe quanto basta per mettere a dura prova anche Fregoli, il celebre trasformista degli anni venti, ma Totò non si spaventa: «Tutti e sei i personaggi mi piacciono molto. Ho per ognuno di essi cure particolari e spero pertanto di renderli egualmente bene».
A differenza di molti criminali che uccidono facendo scomparire i cadaveri delle vittime, Totò nasconde le salme dei congiunti ma li fa rivivere. E' come se non li avesse ammazzati perché egli stesso di volta in volta si trasforma, camuffandosi tanto abilmente da assumerne le perfette sembianze. Non era mai capitato a Totò di mandare al Creatore tanta gente in un film, ma se la cava egregiamente.
E poi — egli lascia intendere — bisogna anche adeguarsi ai tempi, alle mutevole esigenze del pubblico, ai più fantastici crimini che, la crescente sete di denaro fa commettere talvolta anche alla gente che magari non avrebbe mai ammazzato neppur una mosca. Tanto allegro e comunicativo sul «set», Totò appare invece completamente diverso nella vita privata. Egli stesso riconosce che quando non lavora è un timido e un «musone». A chi gli chiede come spiega questa specie di fenomeno della sua personalità, Totò dice tra l'altro: «La verità è che, secondo me, un attore deve separare nettamente la. sua vita personale da quella artistica. Il pubblico vedendoci sul palcoscenico e sullo schermo, si fa di noi un'immagine che non ha nulla a che vedere con quella privata. L'uno, e l'altra non devono essere confuse.» Avendo cominciato la sua carriera giovanissimo con la Commedia dell'Arte, Totò sente una certa nostalgia del teatro. «Vi tornerei volentieri — egli dice — se trovassi un paio di commedie nuove adatte a me. Per la rivista invece niente da fare: prima una compagnia si tratteneva in una città per molte settimane, ma ora i giri sono massacranti, e poi il pubblico ha perduto il gusto per questo genere di spettacolo anche perché non ci sono scrittori adatti: gli unici, se lo volessero, sarebbero Garinei e Giovannini».
g. b., «Stampa Sera», 23-24 febbraio 1962
Totò sei volte diabolico sul set
Venticinque anni di cinema, ottanta film: questo è Totò, l’intramontabile, l’instancabile Totò che continua imperterrito ad interpretare una pellicola dietro l’altra. In questi giorni il principe attore è impegnato nel suo ottantesimo film: ma è come se fosse impegnato contemporaneamente in ben sei film, in quanto interpreta contemporaneamente non uno ma addirittura sei personaggi.
Il film si intitola Diabolicus ed è diretto da Steno: si gira nei teatri della Farnesina. Totò vi interpreta sei parti: impersona sei fratelli, cioè cinque fratelli (di cui uno naturale) più una sorella. Totò deve quindi anche
vestirsi e truccarsi da donna, per essere «Laudomia»; un giorno poi è Galeazzo, un giorno Carlo, un altro Sebastiano, un altro ancora Antonino, ed infine Pasquale. Per essere Antonino, Totò deve vestirsi da prete, perchè questo fratello e monsignore. La pellicola è un «giallo», il primo cui Totò prende parte.
«Corriere dell'Informazione», 25 febbraio 1962
E' un «recital» irresistibile di Totò che interpreta contemporaneamente le parti di cinque fratelli di illustre casato: un gaudente, un ex generale della milizia un degno monsignore, un chirurgo miope, una plurivedova sempre a caccia di giovani mariti: e quella di un loro fratellastro malvivente. Tutti questi personaggi e cioè Totò sempre e il cognato (Vianello) sono perseguitati da un misterioso assassino che firma «Diabolicus» i suoi messaggi di morte e quattro di essi e un agente investigativo finiscono uccisi a pugnalate. La vicenda condotta con abile mestiere e ritmo serrato dal regista Steno si colora di giallo e quindi, secondo la regola, non rivelarono il nome dell'irriducibile omicida il quale, naturalmente, agisce per questioni di eredità.
La comicità di Totò raggiunge un «diapason» altissimo quando veste i panni della sorella plurivedova, nella sequenza del chirurgo miope che, mentre sta operando, perde gli occhiali e durante l'interrogatorio cui il fratellastro-malvivente sottopone un malcapitato postino. Ma la «verve» e il brio del popolare e grande comico non vengono mai meno durante tutto il film, che è uno dei migliori che egli ha «girato». Interprete femminile la bella e conturbante Beatrice Altariba.
Vice, «Il Messaggero», 7 aprile 1962
Un «giallo» per ridere con Totò moltiplicato per cinque perchè nei panni di sei personaggi tutti consanguinei, quattro fratelli, una sorella ed un fratellastro: rispettivamente un libertino, un ex generale della milizia, un monsignore, un chirurgo miope, una vedova nera che continua a cercare marito ed un malvivente. Costoro, assieme ad un loro cognato (Raimondo Vinello), a cagione di una eredità cospicua sono perseguitati con messaggi di morte da un tipo misterioso che si firma «Diabolicus» e ne fa fuori quattro più un agente d'investigazione. Siamo nella farsa più smaccata condotta con una regia dinamica da Steno: ma i lazzi di Totò sono pressappoco sempre gli stessi e le battute comiche sono le solite. Il personaggio meglio interpretato dall'attore napoletano è quello del nostalgico generale fascista.
«Momento Sera», 7 aprile 1962
Ricordate Sangue blu quel film inglese in cui ha Alec Guinness nelle vesti di un Patrizio Britannico uccideva una serie di parenti per entrare in possesso dell'eredita di famiglia (interpretando da solo tutti i parenti uomini e donne)? Questo "Totò diabolicus" lo imita passo passo anche se com'è chiaro sostituisce l'humor alla parodia e la commedia alla farsa aggiungendo qualche variante gialla sulla scia di più recenti film del terrore.
I temi naturalmente sono facili, i personaggi sono approssimativi (in bilico sempre tra la caricatura e la macchietta) e il racconto fida più sulla benevolenza dello spettatore che non sulla logica e la verosimiglianza, comunque di divertimento ce n'è abbastanza, l'intrigo poliziesco tien desta l'attenzione quanto serve e Totò cinque o sei volte protagonista, riesce a suscitare in platea la voluta allegria specie nell'imitazione del fascista maniaco ed esaltato e della nobildonna con tanti grilli per la testa. Al suo fianco Vianello, Pavese e Beatrice Altariba. Regia di Steno.
«Il Tempo», 7 aprile 1962
Le cose cambiano e con esse i gusti e le esigenze del pubblico: così oggi anche coloro che prediligono i film «tutti da ridere» si sono abituati a pretendere un umorismo e una comicità più «pensanti», nei quali sia possibile trovare almeno qualche eco della vita e del costume contemporaneo.
Ma Totò resta (o lo fanno restare) sempre Totò, con tutti i suoi limiti, ma anche con il suo innegabile bagaglio di intuito, di classe e di esperienza. In Totò Diabolicus egli dà vita a sei differenti personaggi: si tratta dei membri di una medesima famiglia, via via fatti fuori dal misterioso Diabolicus che vuole cosi restare l'unico padrone di una vistosa eredità.
L'onnipresenza di Totò può giustificare solo in parte l'inconsistenza della regia, che è talmente ovvia da sconfinare nell'anonimato: comunque il film è firmato da Steno. Gli altri interpreti, tra i quali Vianello, sono all'altezza, se non dell'interprete principale, almeno della situazione.
Vice, «L'Unità», 7 aprile 1962
Totò si moltiplica per sei in questo film di Steno: chirurgo, monsignore, conte, generale della milizia, nobildonna e pregiudicato. I primi cinque sono i fratelli Torre Alta, l'ultimo è un loro fratellastro. Diabolicus è invece un misterioso e truce assassino che procede sistematicamente alla loro eliminazione. Il movente: la fortuna dei Torre Alta. Trattandosi di un film comico costruito come un giallo - non licet - diffondersi in dettagli o rivelare il finale: un finale imprevisto, che potrebbe concludere un film di Hitchcock o una commedia di Christie. Totò diabolicus è interamente affidato alle risorse del principe, il quale si prodiga nei sei ruoli riuscendo a far ridere anche più di quanto il copione prevedesse.
«Il Paese», 7 aprile 1962
Per divertire il suo pubblico, Totò si fa in sei: tanti sono i personaggi che egli, ricalcando illustri modelli (il Guinness di Sangue blu, ad esempio), interpreta in Totò Diabolicus diretto da Steno, «Diabolicus» è un misterioso assassino che elimina ad uno ad uno i cinque rampolli di una nobile casata, ma noi) la spunta con un sesto fratella stro al quale, assicurato alla giustizia l'uccisore, resteranno i miliardi che erano appunto il motivo della contesa. Totò indossa la veste talare di un pio prelato, la divisa da generale fascista di un maniaco del passato regime, le gonne di una stravagante nobildonna, il camice di un celebre chirurgo, l'abito di società di un attempato gaudente e infine la giubba da carcerato di un ladruncolo da strapazzo: non fosse altro che per la varietà delle caratterizzazioni, talune in parte azzeccate, il film riesce di quando in quando a rallegrare lo spettatore; e le risate sarebbero anche più frequenti se alcune trovate del copione avessero avuto uno sviluppo meno trito. Questa volta Totò ha rinunciato alla «spalla» appoggiandosi di volta in volta a quelle offertegli, in parti di scarso rilievo, dal Pavese, dal Vianello e dalla bella Beatrice Altariba.
vice, «La Stampa», 13 aprile 1962
Totò si è moltiplicato per sei
Più modesto di Alec Guinnes, che in Sangue blu ha sostenuto otto parti, ma non sempre altrettanto esilarante, Totò si accontenta di sei personaggi per strappare qualche risata al suo pubblico affezionato. Eccolo, in questo giallo comico-grottesco diretto piuttosto frettolosamente da Steno, schizzare le macchiette di un nobile fannullone, di un invasato nostalgico del fascismo, di uno stravagante chirurgo, di un pio monsignore, di una arzilla « tardona » (il travestimento femminile era d'obbligo) e di un pittoresco ladruncolo. Ciascuno di questi personaggi, tutti fratelli e fratellastri tra loro, è di volta in volta minacciato ed ucciso da un misterioso «Diabolicus» (vaga reminiscenza di un clamoroso fattaccio torinese) tranne l'ultimo sul quale, sbrogliata la matassa, pioveranno i miliardi che avevano provocato la catena delle uccisioni.
Nonostante continui a ripetersi sotto diversi travestimenti, Totò riesce ancora a far ridere; e moltiplicandosi impedisce che languisca l'interesse dello spettatore, grazie anche a un paio di efficaci risvolti del copione. Lo schermo straripa di Totò e quasi non vi è posto per le parti, del resto solo di modeste e spalle, affidate a Vianello, Pavese, Giacobini, e ad .altri fra cui una bella Beatrice Altariba, qui alquanto sprecata.
a. bl., «Stampa Sera», 13-14 aprile 1962
Totò moltiplicato per sei nel film Totò diabolicus, col quale il regista Steno mette in burla i luoghi comuni più collaudati dei film polizieschi e «del terrore». Vi si narra come un marchese gaudente decede, pugnalato da mano misteriosa. Poiché c’è una grossa eredità di mezzo la polizia indaga tra i fratelli della vittima, che però a loro volta sono colpiti uno alla volta da un misterioso individuo sulla cui identità Ci toccherà tacere, come se si trattasse d'un «giallo» autentico.
Ciò che conta ai fini dello spettacolo è il fatto che tutti i fratelli del marchese sono interpretati dallo stesso Totò. il quale ha escogitato per ciascuno una serie di gesti, di intonazioni e di invenzioni mimiche ben definite e talvolta felicissime. E se i ritratti del generale fascista nostalgico, dell'alto prelato e dell'ergastolano sono spassosi e godibili, quelli del chirurgo miope e nevrastenico e della baronessa, gran consumatrice di mariti, ci sembrano felicissimi. Vianello, Beatrice Altariba e un gruppetto di disciplinati caratteristi fanno cerchio attorno all’impegnatissimo e infaticabile comico.
«Corriere della Sera», 29 aprile 1962
Totò in questa vicenda, che già forni lo spunto per il gustoso Risate in paradiso interpretato da Alec Gulnness, diabolico lo è veramente: egli è il più lontano pretendente di una cospicua eredità, e per entrarne in possesso deve togliere di mezzo cinque parenti; un marchese, un chirurgo, una baronessa, un generale e un monsignore.
Tutti questi personaggi, e anche quello del serafico assassino, sono interpretati dal comico napoletano, al quale non mancano quindi le occasioni per muovere al riso. Il soggetto, che pure era già stato sapientemente sfruttato dal regista inglese Mario Zampi, non ha però per nulla ispirato il nostro Steno, il quale ne ha cavato piuttosto il canovaccio per una rivistina d'avanspettacolo. Lasciato a se stesso anche Totò si è prodigato nell’elargire quanto di più superficiale e di meno apprezzabile c'é nella sua arte.
Vice, «Corriere dell'Informazione», 30 aprile 1962
I documenti
L'ufficiale nazista e il postino
Da notare una caratteristica di due personaggi, o meglio dei due rispettivi interpreti. I due personaggi sono quelli dell'ufficiale tedesco e del portalettere. Queste due tipologie compaiono anche in altri due film di Totò: l'ufficiale tedesco ne "I due colonnelli" (ricorderete, la sua frase, "ho carta bianca…") e ne "I due marescialli" (l'ufficiale che, durante un discorso, viene ridicolizzato dalla fragorosa pernacchia del finto maresciallo Totò), mentre il portalettere maltrattato nel film "Totò Diabolicus" ed ancora ne "I due marescialli". Ebbene gli attori chiamati a interpretare le due parti sono sempre gli stessi: nel caso dell'ufficiale tedesco, Roland Von Barthrop, nel caso del portalettere, Mimmo Poli
Fotogrammi tratti dai film "I due marescialli", 1961 "I due colonnelli", 1962 "Totò diabolicus", 1962
La censura
Verbale della Commissione Revisione Cinematografica in data 26 settembre 1962
(Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema)
Il video
Le incongruenze
- Osservate il cadavere a terra all'arrivo della polizia... magia, mistero... il cadavere si sposta da solo alzando persino una gamba
- Durante il famoso intervento chirurgico sul paziente Pietro De Vico, mentre Totò si esprime in tutta la sua vis comica, la giovane infermiera-assistente, nonostante la mascherina chirurgica che le copre parte del viso, è palesemente in piena crisi di risate! (almeno così mi pare)
- Il Commissario, mentre interroga il Generale Fascista Scipione dice "l'assassinio del 25 Luglio" (riferendosi al 25 luglio 1943, quando Mussolini venne destituito), ma il termine "assassinio" non fu mai coniato per definire la data storica. Che c'azzecca l'assassinio? Veniva solamente chiamato "il tradimento"
- Il generale Scipione dice che il 25 Luglio, dopo il tradimento ha detto a Mussolini "Datemi carta bianca e io vi libero in 4 e quattr'otto di questi traditori". Come è possibile, visto che Scipione dei Torrealta non faceva parte del Gran Consiglio del Fascismo e che l'annuncio della destituzione del Duce venne dato quando Mussolini era già prigioniero?
- All'inizio del film, il Marchese Galeazzo dice "Il Visconte Alibrandi", ma subito dopo, il domestico dice "Telefonò subito al DUCA Alibrandi". Una carriera davvero rapida!
- Quasi alla fine del film Galeazzo (Totò) spiega alla fidanzata come ha concepito e realizzato tutto il piano. Egli sostiene di aver fatto tutto da solo: gli assassini, le lettere ed anche il filmato iniziale che si è poi mandato da solo. Ma, anche se avesse avuto la capacità di operare un fotomontaggio, l'uomo mascherato da Diabolicus sia nel filmato, sia in tutti gli assassini è molto più alto di Galeazzo; è evidente quindi come l'attore che ha interpretato Diabolicus non è Totò, ma qualcunaltro
- Scipione (Totò) è un eroico invalido di guerra, egli ha la mano sinistra congelata, ma la usa normalmente quando si deve slacciare la giacca e far vedere la camicia nera
- Da tutte le pugnalate elargite da Diabolicus non esce un filo di sangue
- Quando il professore sta operando e toglie parte dell'intestino del paziente, si nota come l'intestino non sia per niente sporco di sangue, come invece dovrebbe essere
- Quando viene assassinata la sorella di Totò sul tavolo da biliardo si vede che stringe i pugni, ma un istante dopo nella successiva inquadratura le mani sono aperte
- Nella scena in cui Totò/Pasquale Bonocore è a casa con le guardie del corpo arriva il postino...di sera?
- Durante la scena della partita a biliardo dei fratelli Torrealta, tra cui Laudomia, in alcune inquadrature si può notare che sul tavolo da biliardo già compare la sagoma "sbiadita" di Laudomia, che la polizia traccerà durante le successive indagini sulla morte di Laudomia, appunto sul tavolo da biliardo. Qui la sagoma è invece ben visibile, dopo la morte di Laudomia. La scena della partita a biliardo (Laudomia viva) è stata dunque girata DOPO quella delle indagini (Laudomia morta)?
- Nella scena del biliardo, subito dopo l'omicidio del professore, il generale effettua un tiro. In un'inquadratura la boccia supera i birilli e sta quasi per fermarsi, nella successiva ha improvvisamente una velocità maggiore
- Il commissario dice “assassino che agisce di notte tutto vestito di nero”... ma come fanno a sapere che è vestito di nero Diabolicus?
- Subito dopo l' inizio del film, mentre Totò guarda il film inviatogli dal Marchese Aliprandi si sente Totò che dice " Si spoglia? l' omino si spoglia? ". Si nota benissimo che tale voce è stata inserita dopo in fase di montaggio,poichè cambia completamente l' audio
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Il palazzo dove si verifica il primo delitto (mentre ancora scorrono i titoli di testa) è la Scuola di lingua italiana Leonardo Da Vinci in Piazza dell'Orologio 7 a Roma | |
Qui l'ingresso vero e proprio al palazzo | |
Il palazzo nobiliare dove viene finalmente arrestato Diabolicus, dopo un ultimo feroce delitto è in Via dei Funari a Roma | |
Di conseguenza la finestra incriminata è certamente una di quelle di questo palazzo, che sta di fronte al gruppo che guarda | |
La villa "Il littoriale", dove abita e si esercita il Generale nostalgico Scipione di Torrealta (Totò) è Villa Zingone in via del Casaletto 348 a Roma. Oggi piuttosto risistemata, conserva però il cancello di allora (è stata aggiunta solo una lamiera di chiusura alla base) | |
La villa sullo sfondo non è facilmente riconoscibile | |
ma lo sono il muro (A) e il cancello di ingresso della villa di fronte |
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Steno (Vanzina Stefano)
Totò e... Bruno Corbucci
Totò e... la parodia
Totò e... Luigi Pavese
Totò e... Mario Castellani
Totò e... Raimondo Vianello
Totò e... Steno
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Verbale censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
- «Epoca», anno XIII, n.594, 18 febbraio 1962
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Corriere dell'Informazione», 7 febbraio 1962
- «Epoca», anno XIII, n.594, 18 febbraio 1962
- g. b., «Stampa Sera», 23-24 febbraio 1962
- «Corriere dell'Informazione», 25 febbraio 1962
- Vice, «Il Messaggero», 7 aprile 1962
- «Momento Sera», 7 aprile 1962
- «Il Tempo», 7 aprile 1962
- Vice, «L'Unità», 7 aprile 1962
- «Il Paese», 7 aprile 1962
- vice, «La Stampa», 13 aprile 1962
- a. bl., «Stampa Sera», 13-14 aprile 1962
- «Corriere della Sera», 29 aprile 1962
- Vice, «Corriere dell'Informazione», 30 aprile 1962