Capriccio all'italiana
Iago
Inizio riprese dell'episodio "Il mostro della domenica", settembre 1966. Inizio riprese dell'episodio "Che cosa sono le nuvole?", febbraio 1967- Distribuzione: 1968 - Incasso lire 189.171.000 - Spettatori 581.474
Titolo originale Capriccio all'italiana - ep. Il mostro della domenica - Che cosa sono le nuvole?
Paese Italia - Anno 1967 - Durata 81 min - Colore - Audio sonoro - Genere Commedia all'italiana - Regia Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Pier Paolo Pasolini, Steno, Pino Zac, Franco Rossi - Soggetto Roberto Gianviti, Agenore Incrocci, Pier Paolo Pasolini, Furio Scarpelli, Steno, Bernardino Zapponi, Cesare Zavattini - Sceneggiatura Roberto Gianviti, Agenore Incrocci, Pier Paolo Pasolini, Furio Scarpelli, Steno, Bernardino Zapponi, Cesare Zavattini - Produttore Dino De Laurentiis - Fotografia Tonino Delli Colli - Montaggio Nino Baragli - Musiche Domenico Modugno, Ricky Gianco, Piero Piccioni, etc. - Scenografia Mario Garbuglia
Adriana Asti: Bianca (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Laura Betti: Desdemona (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Walter Chiari: Paolo (ep. La gelosa) - Ninetto Davoli: Otello (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Carlo De Mejo: un ragazzo -Franco Franchi: Cassio (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Ira Fürstenberg: Silvana (ep. La gelosa) - Ciccio Ingrassia: Roderigo (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Francesco Leonetti: Burattinaio (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Dante Maggio - Silvana Mangano: bambinaia (ep. La Bambinaia) / moglie dell'autista (ep. Perché) / la regina (ep. Viaggio di lavoro) - Domenico Modugno: spazzino (ep. Che cosa sono le nuvole?) - Totò: Jago (ep. Che cosa sono le nuvole?) / vecchio signore (ep. Il mostro della domenica) - Ugo D'Alessio: commissario (ep. Il mostro della domenica) - Renzo Marignano (accreditato come Enzo Marignani): L'automobilista (ep. Perché?) / Principe consorte (ep. Viaggio di lavoro) - Mario Cipriani e Carlo Pisacane: Burattini (ep. Che cosa sono le nuvole?)
Soggetto
La bambinaia
Regia di Mario Monicelli.
Una bambinaia (Silvana Mangano), non volendo che i suoi bambini leggano i fumetti di Satanik e Diabolik, racconta loro le fiabe classiche di Charles Perrault, ma ne provoca il pianto ed il terrore.
Il mostro della domenica
Regia di Steno.
Un vecchio signore (Totò) che ha l'abitudine di recarsi due volte a settimana dal barbiere, odia la moda dei "capelloni" cioè quei ragazzi che portano i capelli lunghissimi, e riesce in tutti i modi e con tutti i travestimenti (prete, prostituta, zampognaro) di attirarli con l'inganno e di raparli a zero con forbici e macchinetta. I malcapitati, vergognandosi per la calvizie, si nascondono in un capannone. Alla fine il signore verrà scoperto e fermato dalla polizia, ma poi il commissario lo rilascerà in cambio di un favorino (taglio di capelli al figlio) che l'anziano gli farà volentieri.
Perché?
Regia di Mauro Bolognini.
Una donna (Silvana Mangano) ed un uomo sono a bordo di un'auto. Lei lo incita ad andare sempre più veloce e a tagliare la strada alle altre auto. Il tamponamento con un'altra auto sarà inevitabile, e alle rimostranze dell'altro conducente lei incita il fidanzato a colpirlo con una chiave inglese. L'episodio si chiude col primo piano del titolo di un quotidiano che riferisce dell'omicidio del guidatore indisciplinato: "La fidanzata si chiede: perché?" (evidente l'ironia sull'istigazione a usare la chiave inglese da parte della donna).
Che cosa sono le nuvole?
Regia di Pier Paolo Pasolini.
La storia è una rivisitazione dell'Otello, recitato da un gruppo di marionette (Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Laura Betti, Adriana Asti), che sulla scena interpretano i ruoli shakesperiani alla lettera ma che dietro le quinte si pongono delle domande sul perché fanno ciò che fanno. La rappresentazione è interrotta dal pubblico che, nel momento più drammatico, l'omicidio di Desdemona (Laura Betti) da parte di Otello (Ninetto Davoli), irrompe sulla scena e, disapprovando i comportamenti di lui e di Jago (Totò), li fa a pezzi. Lo spazzino (Domenico Modugno) getta le due marionette in una discarica, dove i due fantocci rimangono incantati a guardare le nuvole. Il cortometraggio prende il titolo proprio da questa scena finale.
Viaggio di lavoro
Regia di Pino Zac e Franco Rossi
È un misto di Cartone animato ed attori in carne ed ossa: una regina (Silvana Mangano) si reca in visita in un paese africano ma sbaglia discorso, pronunciandone uno destinato ad un altro paese, e rischia di essere linciata.
La gelosa
Regia di Mauro Bolognini
Silvana (Ira Fürstenberg) crede che il marito Paolo (Walter Chiari) la tradisca e per questo lo segue sempre.
Critica e curiosità
L'idea di Pasolini era di racchiudere una decine di episodi comici in un film, realizzati da Totò. Oltre al già girato La Terra vista dalla Luna, l'idea era di includere Che cosa sono le nuvole?, Le avventure del Re Magio Randagio e il suo Schiavetto Schiaffo, Mandolini, anche il Pinocchio. Alla fine l'episodio "Che cosa sono le nuvole?", realizzato tra febbraio e aprile del 1967, viene incluso in "Capriccio all'italiana" che rappresenta l'ultimo lavoro di Totò, uscito nelle sale ben dopo la sua scomparsa, nel 1968.
Nel film "Che cosa sono le nuvole?" Totò ritrova il suo amato magnifico burattino, oltre alla parodia dell'Otello protagonista della sua ultima rivista "A prescindere".
Così la stampa dell'epoca
Ancora meno ideologia (e ancora più poesia) c'è nel secondo episodio, girato da Pasolini tra marzo e aprile del '6: Che cosa sono le nuvole?, inserito poi in Capriccio all'italiana con alcuni scarti di Le streghe. Pasolini, impegnato in Marocco per i sopralluoghi dell'Edipo Re, lascia l'Africa e gira in una settimana l'episodio con Totò. Forse anche la fretta della realizzazione contribuisce a rendere il breve film più conciso e suggestivo.Una compagnia di burattini rappresenta l'Otello tra le quattro pareti di un teatrino popolare romano. [...].
Alberto Anile
Il meglio sta nell'ultima fatica dell'indimenticabile Totò , nei due capitoli che sembrano riassumere il suo incontro con il cinema : l'attore comico , che riscattava con la mimica e la battuta i gracili copioni ("Mo se ne viene lui tomo tomo, cacchio cacchio" , è l'ultima sua uscita) ; il personaggio umoristico-poetico , così pateticamente umano [...].
Pietro Virgintino
Totò yè yè
Alcuni giorni fa le persone che si trovavano dalle parti del Foro Italico, a Roma, hanno creduto di avere le traveggole. Davanti ai loro occhi si muoveva infatti uno svanissimo personaggio biondo come un cherubino, dal viso stranamente familiare. Il volto del giovanotto in pantaloni rosa e camiciola a fiorellini assomigliava in modo impressionante a quello di un notissimo attore. I passanti si fermavano un attimo interdetti a sbirciare lo strano tipo, poi se ne andavano scuotendo la testa. Tra i molti solo qualcuno si è accorto, però, di come stavano in realtà le cose.
Il «giovane» in questione altri non era se non il popolarissimo comico Totò, che, impegnato negli esterni del film «CAPRICCIO ALL’ITALIANA», approfittava delle pause della lavorazione per divertirsi a sbalordire con il suo aspetto bizzarro quanti si trovavano da quelle parti senza sapere che si stavano girando le scene di un film.
«Grand Hotel», 28 gennaio 1967
Pasolini spiega che cosa sono le nuvole
Tra qualche giorno lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini comincerà, nei teatri di posa De Laurentiis, le riprese di un nuovo episodio del film «Capriccio italiano». Il titolo è «Che cosa sono le nuvole» ed è stato scritto e sceneggiato dallo stesso Pasolini. Prenderanno parte alle riprese Totò, Franco Franchi, Domenico Modugno, Adriana Asti, Laura Betti, Ciccio Ingrassia, Ninetto Davoli e lo scrittore Francesco Leonetti. Nell'episodio rivivranno, deformati in chiave farsesca e allegorica, i personaggi dell'Otello di Shakespeare dal Moro di Venezia a Jago, a Desdemona, a Roderigo.
Del film «Capriccio italiano» prodotto da Dino De Laurentiis, sono stati girati un primo episodio per la regia di Steno interpretato da Totò, ed un secondo, dal titolo «La gelosa» diretto da Mauro Bolognini con Ira Furstenberg e Walter Chiari. Le riprese di quest'ultimo sono terminate nei giorni scorsi a Milano.
«L'Unità», 12 febbraio 1967
Groviglio umano
In una scena del film «CAPRICCIO ALL'ITALIANA», Totò, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Laura Betti appaiono nei panni di altrettanti «pupi», i tradizionali burattini siciliani. Gli attori, per assomigliare il più possibile ai personaggi di legno, sono come quest'ultimi vincolati ai polsi ed alla nuca da sottili verghe metalliche, comandate dall'alto da invisibili burattinai. Al termine di questa scena è successo un incidente che ha provocato non poca confusione. Appena il regista ha dato lo «stop», vale a dire il segnale di chiusura, i burattinai sopra e gli attori sotto si sono mossi ciascuno per proprio conto.
Il risultato tutto da ridere si è manifestato in un attimo. Le verghe metalliche si sono intrecciate in modo tanto complicato che c'è voluto l’intervento di un operaio munito di una robusta cesoia per riportare un po’ d’ordine in quel groviglio umano.
«Grand Hotel», 8 aprile 1967
Vecchio di qualche anno, Capriccio all'italiana è un residuato della moda dei film a episodi. Tra una barzelletta di Steno e una di Monicelli, tra uno scherzetto di Zac (dove il cartoon si combina con le immagini degli attori in carne e ossa) e una novelletta di Bolognini (con una Ira Furstenberg belloccia quanto insipida) si colloca l’unico pezzo di qualche consistenza: Che cosa sono le nuvole di Pier Paolo Pasolini, il quale fa rivivere il dramma di Otello in un clima di opera dei pupi, con intervento finale del pubblico: che, distruggendo le marionette nella loro meccanicità rituale, finisce per restituirle a una vita vera. Curioso racconto, dove si avvertono echi pirandelliani, del «grottesco» teatrale italiano, ma pure, perchè no. di certe pagine di Pinocchio. Anche la scelta degli attori non è banale, sebbene poi tutti — da Ninetto Davoli a Franchi e Ingrassia, ecc. - siano quasi schiacciati dalla presenza dell'indimenticabile Totò, nei panni del fantoccio Jago.
Il meglio dello spettacolo è però nel «riempitivo», costituito da due deliziosi cortometraggi a disegni animati del regista bulgaro Todor Dinov: ricchi, soprattutto il secondo, di fantasia grafica e di affettuoso umorismo.
ag. sa., «L'Unità», 18 giugno 1968
Chi fa davvero le bizze per "Capriccio all'italiana", è il pubblico più scaltrito, che sperava di essersi liberato per sempre d'un certo tipo di film a episodi fatti di scampoli, e se ne ritrova dinanzi un esempio sconcertante: non tanto per la qualità tecnica del singoli sketchs quanto per l’arlecchinesco assortimento del registi, per il loro diversissimo impegno e per l’annacquato umorismo. La formula è quella antica, che svaria dalla freddura, camuffata da critica di costume, al raccontino satirico, né giova a rinfrescarla la presenza di bravi attori, quali Totò e Silvana Mangano.
Unico episodio d’un certo interesse, ma che stride come il gesso alla lavagna, è quello di Pasolini, la parodia d’un Otello recitato da uomini marionetta in un teatrino popolare col pubblico che alla fine, inferocito per la cattiveria del Moro e di Jago, invade il palcoscenico, salva Desdemona e strozza i due attori. Resi ormai inservibili, essi finiscono fra le immondizie; di qui guardano il cielo, e per la prima volta scoprono, nelle nuvole, la « straziante e meravigliosa bellezza del creato ». Dove, se si è ben capito, si celebra il generoso slancio proletario contro una cultura, manovrata dall'alto, che cristallizza sentimenti e caratteri. Diretto con gusto dell’assurdo e del surreale, e recitato con toni omogenei da Totò, Laura Betti, Davoli, Franchi e Ingrassia (Modugno canta e scarica bidoni), l’episodio è più convincente nell’esercizio formale (l’estetismo di Pasolini trionfa nell’uso del colore) che nella morale d'una favola inclinata verso il racconto filosofico, e dunque disadatta al contesto del film.
Totò, cosi fresco e vivace in una breve galleria di macchiette da rinnovarne in tutti il rimpianto è anche il protagonista dell'episodio diretto da Steno: un «mostro della domenica », per castigare i capelloni, li sequestra e li rapa; arrestato, incontra il consenso della polizia, e viene nominato «agente segreto con licenza di rapare»« Perché » e «La gelosa» di Bolognini, puntualmente misogini, graffiano le spericolate dei volante e le mogli sospettose: affinché si rida alle spalle di Ira Furstenberg, Walter Chiari recita in mutande. Zac, lo spiritoso autore di disegni animati, prende in giro una regina facilmente identificabile, che arrivata in un nuovo Stato africano legge per errore il discorso preparato per un paese nemico. Più divertente Monicelli, che taglia le gambe al mito del racconti della nonna: le favole di Cappuccetto rosso e di Pollicino non sono meno spaventose e violente del fumetti neri.
G. Gr., «Corriere della Sera», 20 luglio 1968
L'ultima fatica del grande Totò
Capriccio all'italiana è uno di quei film a episodi che andavano di moda alcuni anni fa e non a caso viene presentato in questo periodo cinematograficamente depresso che è la piena estate. Si tratta infatti, il più delle volte, di materiale raccogliticcio ospitato magari per molti mesi in magazzino e girato in poche settimane tra un impegno e l'altro dei divi. Ma a volte, proprio per la sua caratteristica di casualità, il film a episodi può riservare qualche sorpresa non disprezzabile come accade in questo caso in cui l'episodio affidato a Pasolini, risolleva il tono dell'intero «collage».
Il raccontino, in cui vediamo l’ultima apparizione del grande Totò, disegna le figure di un gruppo di attori di un teatro dell'estrema periferia romanesca; tra una battuta e l’altra dello spettacolo, offerto all'umanità derelitta e sottosviluppata delle borgate, Pasolini suggerisce profonde considerazioni poetiche e contemplative nello stesso registro che illuminava Uccellacci e uccellini.
Gli altri episodi sono assai più «evasivi» e ci presentano una grossolana battaglia tra un irreprensibile benpensante (ancora Totò) e un gruppo di impuniti capelloni, regia di Steno, una mini-satira sulla nevrosi automobilistica, condotta da Monicelli, e una lunga diatriba (Bolognini) tra un marito moderno e progressista e la moglie complessata e gelosa. impersonata dallo bella principessa Furstenbcrg. Si tratta di spunti di costume che regalano qualche risata ma comunque tutti realizzati con la mano sinistra.
vice, «L'Avanti», 20 luglio 1968
Totò, Pasolini e una luna prostituta
CINEMA E LIBRI In «I burattini filosofi», Marco Buzzacchi rilegge il rapporto tra il grande comico e il grande regista che lo volle in tre suoi film. Ne esce il ritratto di un sogno pasoliniano dedicato alla famiglia e alle sue dolcezze mentre la famiglia esplodeva
Dice l’autore: Pasolini usa Totò e Ninetto Davoli e anche la Mangano per costruire una sua bislacca formula di famiglia»
Per il regista, anche Otello e Jago, dietro le quinte sono in Totò un padre amorevole e in Ninetto un figlio buono e incantato...
Nel quarantennale della scomparsa del grande Totò, esce un libro che riporta in copertina una curiosa immagine del principe della risata. Si tratta di un Totò-burattino, vestito di un abito violaceo e con la faccia colorata di verde. Il volume, scritto da Marco Bazzocchi, si intitola I burattini filosofi (Bruno Mondadori, pp. 186, euro 24,00). Ma non è un libro su Totò, bensì su Pier Paolo Pasolini. Perché l'immagine di cui dicevamo è un fotogramma di Che cosa sono le nuvole?, l'episodio diretto da Pasolini in un celebre film collettivo, Caprìccio all'italiana. Quella partecipazione cinematografica, inizio 1967, fu l'ultimo lavoro di Totò, che scomparirà ad aprile.
La collaborazione tra Totò e Pasolini, tuttavia, non era nuova. Pasolini fece ricorso a Totò in tre film: Uccellacci e uccellini (1965), La terra vista dalla luna (1967), e, appunto, Che cosa sono le nuvole? A parte il primo, gli altri due sono film brevi, cioè episodi di film collettivi. «Ma - spiega Bazzocchi - tra questi tre momenti c'è una grande coerenza. In tutti questi film circola un'aria di famiglia, anzi direi che si tratta proprio di un' aria legata alla famiglia. Pasolini, cioè, usa Totò e Ninetto, e nel caso del secondo corto anche Silvana Mangano, proprio per ricostruire una sua particolare, surreale, bislacca famiglia. Totò e Ninetto sono infatti un padre e un figlio nel primo e nel secondo film, mentre nel terzo recitano come burattini in un teatro che ricorda quello di Pinocchio». Bazzocchi analizza questo terzo corto al centro del suo libro in un capitolo che dà il titolo all'intero volume. «Che cosa sono le nuvole? - aggiunge - mi ha sempre attirato per più ragioni. Innanzitutto, proprio perché anche se si tratta di un famoso testo teatrale di Shakespeare - roteilo -, Pasolini riesce a maneggiarlo intimamente e modifica il rapporto tra Jago e Otello alla radice: sulla scena sono il carnefice e la vittima della tradizione, l'uomo ingenuo e l'uomo malvagio, il geloso e il traditore; fuori dalla scena invece Totò si trasforma in un maestro amorevole che vuole spiegare a Ninetto i segreti dell'esistenza. Diventa insomma una specie di Socrate premuroso, non solo un maestro, ma proprio un padre». E Ninetto ascolta le sue parole a bocca aperta proprio come farebbe un figlio nei confronti del padre, o almeno come avrebbe fatto un figlio d'altri tempi nei confronti di un padre d'altri tempi.
La cosa che sconcerta di più è che siamo nella primavera del 1967, e un anno dopo scoppia la contestazione studentesca, insomma il '68. La famiglia va in crisi, e va in crisi soprattutto il molo paterno. Tanto che Pasolini girerà Teorema, il film sulla distruzione della famiglia, anzi il film dove un figlio misterioso e divino seduce tutti i membri di una famiglia borghese e li porta alla rovina. «In un anno - afferma Bazzocchi - si consuma uno dei rivolgimenti maggiori dell'opera di Pasolini. E Totò è l'ultima immagine di padre-maestro-pensatore. Insomma quello che Pasolini aveva voluto essere da giovane, o forse quello che avrebbe chiesto al suo stesso padre».
Dalla collaborazione tra Totò e Pasolini, entrambi trassero alcune cose importanti. Dice Bazzocchi: «Dal lavoro con Totò venne fuori un Pasolini completamente nuovo e ancor oggi straordinario. In Uccellacci e uccellini Pasolini scopre la leggerezza della rappresentazione, tutto il film è dominato dalla presenza della luna, ed è una luna materna e protettiva, quella madre che nel film non si vede mai. C'è poi un particolare divertente: alla fine del film sia il padre che il figlio hanno un rapporto sessuale veloce in mezzo alle stoppie di un campo assolato con una prostituta che si chiama Luna. È una strana versione di incesto, non edipico, antifreudiano, molto prima che Pasolini pensasse alla sua versione della tragedia greca. Anche nel film sui burattini c'è qualcosa di simile, cioè un allontanamento delle donne dal rapporto tra padre e figlio. Esattamente il contrario di quello che era successo nella vita di Pasolini, che era fuggito a Roma con la madre abbandonando il padre solo a Casarsa. Credo che Totò abbia contribuito a scatenare in Pasolini qualcosa di imprevedibile, un addolcimento nei confronti della figura di un uomo adulto che prima Pasolini aveva sempre rifiutato».
E anche Totò vive questa esperienza per lui nuova di attore «serio» come un'esperienza particolarmente significativa. In altre parole, il Totò dei tre film di Pasolini è un Totò completamente diverso da quello dei film comici che conosciamo. Certo, una base di comicità rimane, così come rimane il richiamo figurativo a Charlot (la bombetta per esempio, il cammino sulla grande strada bianca). «Ma Pasolini - dice Bazzocchi - ha tirato fuori da Totò un elemento di dolcezza e di saggezza stralunata che prima non c'era, qualcosa che fa pensare al teatro di Beckett, anche se credo che Pasolini non lo conoscesse in questo momento. Nel corto La terra vista dalla luna Totò a un certo punto fa un lungo discorso in cima a una casa, contro il delo azzurro dove passano le nuvole. Lì, in quell'elemento aereo e leggero, vedo qualcosa di eccezionale sia per Pasolini che per Totò stesso».
Roberto Carnero, «L'Unità», 20 luglio 2007
Totò - Pasolini a "Cinema pagano"
È ormai in corso l’edizione 2008 di “Cinema pagano”, la rassegna cinematografica che quest’anno ha per sottotitolo “Scivolare sul mondo: Keaton/Beckett, Totò/Pasolini”, voluta a compendio dei festeggiamenti vinchiesi dall’assessore alla cultura Simone Laiolo e quest’anno curata da Matteo Bisaccia.
Già due sono stati gli appuntamenti: “The balloonatic”, “Neighbors”, “One week”, “The boat” di e con Buster Kealon e “Convict 13” e “The high sign"di Buster Keaton e “Film” per la regia Samuel Beckett con Buster Keaton.
Afferma Matteo Bisaccia: "Ci ha guidata nella scelta la volontà di offrire un esempio di quella comicità che Charles Baudelaire definisce propria del comico innocente, che prende la sua arte diretta-mente dalla natura, la vive e la trasforma, così da diventare come un musicista che suona il mondo e lo trasforma a suo piacimento, facendolo diventare tutto musica e colore".
Keaton e Totò apparterrebbero a questa categoria; il primo, con il suo talento di grande regista e di acrobata, riesce a ribaltare la situazione, sollevandosi sopra le regole del mondo e a scampare a disastri costruiti come una bomba a orologeria imperturbabile, con in viso una maschera inespressiva, senza emozione, di pietra. L'altro, invece, nei momenti più telici riesce a mutare il suo viso fino a diventare maschera, a trasformarsi in un burattino.
Questa sera alle 21,30, sulla piazza del castello, è in programma l'appuntamento conclusivo con “La Terra vista dalla Luna” e “Che cosa sono le nuvole" per la regia di Pier Paolo Pasolini che dirige Totò e Nino Davoli. "In questo film, - afferma Bisaccia - troviamo l’apice dell’arte di Totò che si esalta nell’incontro con il poeta Pier Paolo Pasolini; questi vede nel comico la tradizione della commedia della maschera; liberato dai ruoli del furbetto simpatico, del piccolo borghese - ruoli che gli avevano "dato da mangiare" negli anni '50 e '60 - Totò, nei film di Pasolini, sempre seguito dal “figlio” d’arte Ninetto Davoli, si muove come un burattino innocente, saggio e spensierato. “Che cosa sono le nuvole” e “La Terra vista dalla Luna” sono due storie moderne, che hanno il sapore di favole antiche".
Di. Esse. Bi., «La Gazzetta di Asti», 6 settembre 2008
I documenti
La tragedia del comico
Alla metà degli anni Sessanta Totò era a tutti gli effetti divenuto un "prodotto di consumo", i film che lo avevano visto protagonista erano per lo più scadenti e avevano contribuito notevolmente al processo di decadenza della sua maschera. Tutta la sua eredità, la sua forza espressiva era rimasta sepolta nella ripetizione di quei modelli che piacevano al pubblico, di tutti quei cliché che registi e sceneggiatori continuavano a riproporgli. Pasolini intuisce prima di altri tutto questo, coglie l’insofferenza di Totò, vede in lui l'icona mercificata nazional popolare" per eccellenza. Partorisce qualcosa di simile all'idea che Andy Wharol aveva di Marylin Monroe.
L'operazione di Pasolini riprende quest'icona, in bilico tra cinema e teatro. Complica ulteriormente una visione già di per sé complessa, sottraendola ad un corrosivo processo di mercificazione.
Cinema e teatro si confrontano, sul volto dell'attore, in una dialettica improntata nella ricerca di nuove forme espressive. Con Pasolini s'interrompe quel processo di "trascrizione della maschera teatrale" che era stato, almeno fino ad allora, il cinema di Totò. Il regista friulano, compiendo un atto di vera e propria reverenza nei confronti del grande comico, s'ingegna nelle uniche operazioni autonome eseguite su di lui dal punto di vista cinematografico: dalla "restaurazione" della maschera delle origini (Uccellacci e Uccellini), alla distruzione della maschera mercificata (Che cosa sono le nuvole?).
Appena tornato dal viaggio in Marocco, compiuto per i primi sopralluoghi dell'Edipo Re, Pasolini girò in una settimana, tra il marzo e l'aprile del '67, un altro cortometraggio con Totò e Ninetto Davoli (c'era già stato, nel '66, La terra vista dalla Luna, episodio del film Le streghe); il breve episodio, destinato a far parte di un nuovo film collettivo prodotto da De Laurentis, Capriccio all'italiana, si intitola Che cosa sono le nuvole?.
Il film é la narrazione, effettuata tra le tavole di uno scarno palcoscenico, di una versione dell'Otello shakespeariano, recitata da un gruppo di marionette parlanti, metà uomini, metà pupazzi. Questa la trama:
Un immondezzaro (Domenico Modugno), passa cantando una bella canzone d'amore (scritta sui versi dell'Otello di Shakespeare) nel cortile di servizio di un teatrino di periferia, mentre al suo interno un marionettista (Francesco Leonetti) sta ultimando la sua ultima marionetta, Otello (Ninetto Davoli), per dare inizio allo spettacolo. Il nuovo nato chiede informazioni alle altre marionette sul proprio essere al mondo, su! canto dell'immondezzaro, ma poi tocca a lui agire e, senza chiedersi nulla, recita la sua parte, mosso dai fili del marionettista. Nel corso della rappresentazione, Otello, dietro le quinte é attanagliato dai dubbi: "Ammazza Jago, quanto sei cattivo, io te credevo così bbono, e invece...". Ma di fronte alla rassegnazione di Jago (Totò), messo al mondo proprio per compiere il suo perfido inganno, Otello si chiede: "Ma perché dovemo esse così diverso da come se credemo, perché?", al che Jago risponde, con la stessa rassegnazione: "Eh, figlio mio, noi siamo in un sogno dentro un sogno". Intanto Cassio, licenziato da Otello perché ingiustamente accusato da Roderigo, si reca da Desdemona a chiedere una raccomandazione per essere riassunto come luogo-tenente, che lei prontamente gli accorda. Subito dopo ha luogo il celeberrimo stratagemma shakespiriano del fazzoletto, la "prova" del tradimento di Desdemona. Jago é così giunto al culmine della sua trama, e scatena in Otello una violenta gelosia. La scena del delitto sta per avere luogo, ma il pubblico, prendendo la finzione della tragedia alla lettera, invade con indignazione il palco, e in uno scatenato can-can, Otello e Jago vengono linciati ed uccisi, mentre Cassio e Desdemona, le vittime dell'imbroglio, portati via in trionfo. Le marionette superstiti, riposte tutte in fila nei camerini, piangono la scomparsa dei loro amici. Stavolta l'immondezzaro, "quello che viene, prende i morti e se ne va", é venuto per portarsi via Jago ed Otello. Buttate nello sgangherato camioncino dell'immondizia, immobili in mezzo ai rifiuti, le due marionette si guardano intorno, frastornate, mentre, in silenzio, piangono di paura. Ma non appena sono gettate nella discarica, in mezzo ad un mare di rifiuti, i due, sdraiati con il viso contro il cielo, per la prima volta scoprono il mondo: fissando lo sguardo in alto in un cielo terso d'azzurro, scorrono magnifiche, enormi nuvole bianche. Il film si conclude con questo dialogo, contrappuntato da controcampi del cielo percorso dalle nuvole:
Otello - Iiiiih, che so' quelle?
Jago - Sono... sono le nuvole...
Otello - E che so' le nuvole.
Jago - Boh!
Otello - Quanto so' belle! Quanto so' belle!
Jago - Straziante, meravigliosa bellezza del creato!
Un sipario si apre sulla rappresentazione dello scalcinato Otello e Jago-Totò, crudele e accattivante, mette a parte il pubblico dei suoi diabolici piani.
Otello guarda, da dietro le quinte, la prima scena del dramma. Tra poco dovrà recitare la sua parte, ma adesso é solo uno spettatore peculiare. Non sembra felice. Tutto l'entusiasmo esibito prima della rappresentazione si é mutato in amaro stupore. Le inquadrature mostrano il volto attonito di chi ha capito il proprio destino di vittima sacrificale. Tra le smorfie di Jago e Roderigo, le grasse risate del pubblico in sala, egli sembra privo di espressione. O meglio: le espressioni del suo volto si stemperano nel confronto coi ghigni delle maschere che agiscono sul palcoscenico. Se i volti sono maschere in questa grottesca commedia, egli sembra non avere volto. Sembra essere "solo sguardo".
Ed eccoci all'ora della rappresentazione. Il sipario si apre mostrando una sola paretina di cartone color blu. E’ notte. Entrano Jago e Roderigo.
J. - (rivolgendosi, ammiccando verso Roderigo come si ammicca verso uno scemo) Adesso vi faccio vedere a questo come lo frego! (Fa l'occhietto al pubblico. Poi si rivolge a Roderigo facendo il cattivo) Ah, tu non ci credi che io a Otello lo odio? Non ci credi, eh? E io invece sai dove lo tengo? Lo tengo qui, sulla bocca dello stomaco.
R. - (incredulo, ma con una gran voglia di credere) Perché? Che ti ha fatto Otello il Moro?
J. - Che mi ha fatto? Osi domandarmi che mi ha fatto? Ha nominato luogotenente Cassio al mio posto! Cassio! Quel cuore di straccio, che si profuma come una vecchia bagascia e che si lava i denti quattro volte il giorno!
R. - Ma tu sei il suo servo, l'omo de fiducia!
J. - Ebbene si, lo servirò, ma di barba e capelli. Morto lo voglio vedere quel moro maledetto! Poh (sputa a terra) tié, tié (calpestando dove ha sputato).
R. - Ma tu sei sicuro che io riuscirò a portare a letto Desdemona che quel negro maledetto si é sposata?
J. - Inconscio! Tu con Desdemona ci stai già a letto, già te la stai spogliando, purché ti attieni ai nostri accordi, a quelli che ti ho detto io. Hai capito? Mosca, eh? (Fa cenno di far silenzio).
Si rappresenta la prima scena dell'Otello: Jago inganna Roderigo per un fine di vendetta nei confronti del Moro che ha nominato luogotenente Cassio al suo posto. Il marionettista (il Narratario), dal suo sopraelevato nascondiglio, in tono farsesco e scanzonato manovra i fili dei pupazzi-attori. Il pubblico sembra apprezzare: ride sguaiatamente agli sberleffi di Jago. Ogni intenzione é macroscopica, sottolineata da strizzate d'occhio e ammiccamenti maliziosi, come nella migliore tradizione del teatro di marionette o d'avanspettacolo.
Ma c'é un altro occhio agente: uno sguardo indiscreto, quasi invisibile, si insinua nella rappresentazione. Svela il marionettista intento a manovrare i fili dei suoi personaggi; scopre volti familiari sotto i colori pastello dei trucchi: Totò, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia; mostra il volto di Otello che attonito assiste alla macchi-nazione contro se stesso. Cocchio di Pasolini.
Chi manovra la macchina da presa (l'Autore Implicito) non ha lo stesso disegno di chi "muove i fili" della rappresentazione teatrale: egli vuole "distanziare lo spettatore", avvertirlo che c'é "altro", oltre quello che si vede.
Al livello diegetico del racconto filmico se ne affianca uno para-diegetico. Fa macchina da presa, manipola il lavoro del marionettista, trasformando la prima scena dell'Otello che egli avrebbe voluto rappresentare in una "strana" performance di attori popolari: Totò che fa Jago inganna Ciccio Ingrassia che fa Roderigo. E’ un enunciato che potrebbe riassumere l'intera scena e che ben sottolinea lo slittamento, per mano del regista, dalla rappresentazione al suo costituirsi.
Ma c'é di più: non é solo in questa traslazione metalinguistica che Narratore e Autore Implicito incrociano ossimoricamente i loro sguardi, c'é un dissidio più profondo. In questo "farsi" dello spettacolo teatrale, contrariamente alle aspettative ingenerate dagli attori utilizzati, si annida una congiura contro la farsa. Sul senso comico, esplicito nell'utilizzo di certe forme di recitazione, cala un'ombra. Si infrange una delle regole fondamentali della comicità classica: si mostrano assieme la preparazione della trappola e la vittima che in essa dovrebbe cadere.
Per chi guarda il film la comicità crudele degli attori viene attenuata dalla presenza della vittima. La verve comica delle "maschere" si spegne nello sguardo del Moro.
Se Otello é solo "sguardo", Jago é "sguardo e azione": così si presenta quando osserva disgustato le intimità dei novelli sposi, così quando spia le vittime delle sue macchinazioni.
I posteggiatori suonano una canzone d'amore, mentre si ode dall'alto la voce del marionettista.
M. - Siamo a Cipro, una tempesta ha distrutto la flotta dei Turchi e così, dei Turchi, non c'é rimasta neppure la puzza. Che cosa ha deciso il destino?
Sulla scena ci sono Otello e Desdemona. Desdemona si é messa vezzosamente alle orecchie degli orecchini fatti con due ciliegie attaccate allo stesso gambo, come fanno i bambini. E come una bambina guarda tutta innocente, e piena di candida malizia romantica, il suo innamorato. Anche lui la guarda, tutto in brodo di giuggiole, sbattendo gli occhi.
Non sanno però, i due innocenti, che non sono soli. Jago e Roderigo, con aria diabolica, li spiano, facendo capoccella da dietro le quinte.
Tra Otello e Desdemona si svolge tutta una scena muta, piena di significati deliziosamente sciocchini e innocentemente erotici.
Desdemona fa tutta la vezzosetta, fiera dei suoi orecchini di ciliegie.
Otello fa per prenderglieli, e lei si schermisce (come si farebbe per schermirsi da un bacio o una tastata...).
Lui insiste. Allora lei finalmente si lascia staccare gli orecchini di ciliegie dalle orecchie.
Otello si mangia, pieno di significati erotici, una delle due ciliegie; e poi offre l'altra a Desdemona, facendo l'atto di imboccarla.
Anche lei stavolta fa deliziosamente la smorfiosa, come si vergognasse, infine accetta, e si lascia mettere in bocca la ciliegia, arrossendo tutta, abbassando gli occhi, stringendosi pudica nelle spalle.
La stessa cosa avviene per l'altra coppia di ciliegie.
Mangiate le ciliegie del peccato, tutti e due guardandosi sospirano...
D. - Signore mio diletto...
O. - Ah, già... di letto... andiamo a letto.
Si prendono per mano e sdilinquendosi tutti se ne vanno pian piano... Nel suo agitarsi romantico, Desdemona lascia cadere distratta il fazzoletto, prezioso...
Jago e Roderigo sbucano fuori da dietro le quinte...
J. - Zozzoni!
R. - Zozzoni un cavolo! Vorrei essere io in quel letto...
Ma Jago si é chinato a raccogliere a terra il fazzolettino, lo regge per le punta delle dita, si avvicina a Roderigo e glielo fa passare su e giù delicatamente davanti al naso.
J. - Un'idea... Cassio! Cassio!
R.- Ma che Cassio vai dicendo?
J. - Lo vedi questo? Questa é una fava! E con questa fava prendiamo due piccioni. Cosa vuoi che duri l'amore di Desdemona per (Hello, quel negro zozzo e puzzolente? E' negro dappertutto sai?! I .'ho visto io! Mentre Cassio é giovine, bello, limpido! Focoso lui, focosa lei... vuoi che non avvenga il patatràc? A Otello io lo faccio diventare geloso, geloso a un punto tale che deve dare le capocciate sul muro a non finire. Tu ti travesti in modo che nessuno ti riconosce, ti presenti a quell'anima candida di Cassio: lo aizzi, lo istighi, lo offendi in modo tale che gli fai fare quello che non dovrebbe fare... ah, ah, ah!
Un piano astuto é sempre complice delle sue visioni. Non si guarda "per niente", come fa Otello. Jago deve prestare al Moro i suoi occhi, deve indurlo al suo spettacolo. Solo se Otello conformerà il suo sguardo a quello del suo carnefice, si lascerà convincere ad uccidere Desdemona. Diventerà "sguardo e azione".
Questo accade nell'ultima scena, quando i due spieranno Desdemona nei preparativi per la notte.
Il "volto", nella rigidità di una visione asfissiante, si fa "maschera". Il pupo-nero, l'ultimo nato, si conforma al suo ruolo. Deve uccidere perchè é Otello e Otello deve uccidere.
E maschera é dunque "sclerosi della visione", non un velo misterico da attribuire al soggetto", ma una caratteristica del soggetto agente che con l'oggetto si confronta.
E’ nella povertà simbolica della visione che ci si irrigidisce nel ruolo, in una orrenda fissità.
I posteggiatori cominciano con la loro canzone d'amore. Desdemona é pronta a andare a dormire in camicia da notte.
D. - Che notte d'incanto! Quante stelle! Brrr... e che bel freschetto... Fra poco verrà il mio amore... Suvvia, diciamo le preghierine della sera: O vieni sonno, e vieni all'ora buona...
Otello e Jago fanno capoccella da dietro le quinte, con facce da assassini.
J. - La sua ultima ora é suonata! Vai! Da una spinta ad Otello facendolo uscire allo scoperto.
D. - Oh! Mio signore! Allora cosa avete deciso per Cassio? Chissà come starà in pena povero giovane.
Otello le dà uno schiaffone.
D. - Ahio! Però che schiaffo mi avete dato! E’ il primo schiaffo che piglio! Se volete darmene un altro... (ha un ambiguo sorriso di sottomissione).
Otello fa definitivamente l'atto di strozzarla. Ma gli spettatori, che erano già in piedi, furenti, pronti ad intervenire, come un'ondata irresistibile, invadono il palcoscenico, urlando. Gli uomini si buttano su Otello e Jago e li linciano.
Le donne vanno intorno a Desdemona a sostenerla, ad asciugarle le lacrime, a consolarla. Altri ancora vanno dietro le quinte a prendere Cassio e lo portano in trionfo.
Durante tutta questa baraonda infernale i due posteggiatori non hanno cessato di suonare il commento coi loro mandolini: e hanno intonato un "can-can" indiavolato.
La "guerra di sguardi" tra Autore Implicito e Narratore nel film, ha il suo doppio nel contrasto tra pubblico del teatrino (Narratario) e lo spettatore (Spettatore Implicito) che del film fruisce. L'insurrezione finale e il linciaggio dei due protagonisti é l'emblema di questa discordanza. C'é una sostanziale ambivalenza nella ribellione del pubblico: se da una parte esso, come un novello Don Chisciotte, non comprende l'esplicazione della finzione, distruggendola; dall'altra compie un'azione eticamente corretta, impedendo un'ingiustizia. Il trionfo finale che viene tributato ai "buoni" ne é la prova evidente.
Pasolini non si é dimenticato del "popolo": il suo attaccamento al sottoproletariato, sembra trasparire dal suo atteggiamento nei confronti di questo scalcinato pubblico di periferia. I volti sono gli stessi che popolano tanti suoi film, il pubblico tipico delle guaratelle, del teatro dei pupi, di quello d'avanspettacolo. Non sembra un pubblico "cattivo", ne tantomeno stupido: la possibilità di infiammarsi per un'ingiustizia "finta" fa parte del suo codice genetico. Queste insurrezioni erano infatti una costante di certe rappresentazioni popolari: Pasolini non fa che "citare" un atteggiamento del pubblico diffusissimo fino agli anni Sessanta. La partigianeria nei confronti dei buoni arrivava sovente fino alla rissa e all'accanimento contro i poveri pupazzi, rei soltanto di interpretare i cattivi. Un modo ingenuo e al tempo stesso genuino di scaricare le frustrazioni e le miserie, di sfogare una rabbia atavica, di appagare una sete di giustizia. Molte sono le testimonianze di questo fenomeno: basti citare il secondo episodio di Paisà, il film di Rossellini del 1946, dove in un affollato teatrino di pupi nell'immediato dopoguerra, il pubblico, costituto da soldati americani, italiani e civili, si scatena trascinato dal fascino ammaliante della rappresentazione. Quasi la versione neorealista del finale onirico di Che cosa sono le nuvole?.
Ma qui il Pasolini si spinge oltre: nel suo assalto feroce alla "Società di massa" neppure il "suo popolo" viene risparmiato. I volti inquadrati sono gli stessi di un tempo, ma diversa ora é la capacità di penetrazione della macchina da presa. Essa non mostra più niente: lacera.
Chi é in quella sala a vedere lo spettacolo soffre dello stesso male di chi lo spia da dietro le quinte. Non vede e crede di vedere. Quegli sguardi, un tempo lampi di "disperata vitalità", trasformano in pietra coloro che li lanciano, in virtù di una visione amputata.
Una sorta di Gorgone al rovescio: ridotto a maschera dalla povertà della propria visione, il pubblico non vede che le "forme consunte della retorica cinematografica" manovrate da fili ben visibili, e ne é eccitato fino all'insurrezione. Quello che per Pasolini era un popolo incontaminato dalle minacce della Storia, é divenuto la parodia di se stesso, un rumoroso formichiere impazzito per un "vano" ideale di giustizia. Il pubblico ha indossato la maschera del Vendicatore, é divenuto "il popolo romano" istigato dalle forme retoriche del discorso di Antonio.
Ben si comprende l'amara ironia della scena se si pensa che la retorica che muove questo popolo é fatta di forme farsesche. Si é ben lontani dalle forme classiche che hanno animato i discorsi dei grandi dittatori: la massa é talmente ottusa da farsi irretire persino dalla più bieca parodia della retorica.
Diverso é il destino dei due burattini, che, linciati, compiono un viaggio, scoprono il mondo da una discarica. La libertà non é per tutti: solo il singolo può compiere il gesto di rivolta, per avere nuove visioni, per vedere oltre le forma consunte del linguaggio del mondo. La massa é conservatrice: il gesto della massa é solo apparentemente un gesto di rivolta. Non vi é liberazione di massa: scampa solo chi ha il coraggio di isolarsi, di perdere se stesso in senso batailliano. La salvezza é solo per l'artista, per il poeta. Per Otello-Ninetto e Jago-Totò.
Per i due straordinari stranieri.
Senz'altro sono molti i temi che Pasolini affronta in questo piccolo densissimo film, e altrettante le trattazioni che ne sono state fatte. L'argomento non é mai stato studiato dal punto di vista del concetto di "maschera". Eppure Pasolini usa delle "maschere" e ne é perfettamente consapevole:
[...] Infatti Che cosa sono le nuvole? finisce con la morte dei due protagonisti,[...],
Jago e Otello: il pubblico, inferocito, li uccide prima che perpetrino il loro delitto.
Queste due marionette vengono gettate da un immondezzaro (che é Modugno, e che quindi lo fa cantando) in un orribile immondezzaio.
Modugno "deve" cantare, in quanto il canto é un elemento della sua maschera, come il "lupo" lo é di quella di Arlecchino, e quello che vale per lui vale per gli altri: tutti gli attori sono stati scelti per queste caratteristiche. Si pensi in particolare alla popolarità di Totò: i titoli dei suoi film fra gli Anni Quaranta e Cinquanta contengono il suo nome secondo uno schema che consiste nell'associa-re il nome del personaggio ad un predicato che ne annuncia le avventure: Totò cerca moglie, Totò sceicco, Totò Tarzan, ect.
Ma se da un lato Pasolini sembra connotare la maschera negativamente, dall'altro forse ne intravede un senso nuovo, rivoluzionario. Altrimenti non avrebbe lavorato su Totò, stravolgendone completamente il senso comico.
Finché é sulla scena il Totò-Jago ripete tutti i clichè espressivi che lo hanno reso popolare (gli sberleffi, le smorfie), ma nei "fuori-scena", solo con Otello, si trasforma senza una coerenza psicologica: diventa il mite clown di Uccellacci e Uccellini.
Nell'angoletto dietro le quinte dove si mettono gli attori in attesa che venga il loro turno di entrare in palcoscenico, Otello accoglie Jago con uno sconcertato sorriso di innocente offeso, che ancora non si capacita della sua triste esperienza...
O. - Ammazza, Jago te credevo così bono, così generoso... Un pezzo di pane... e invece quanto sei cattivo. Ma perchè? Comunque me giudico da me: anch'io faccio schifo, mica solo te! Ma perchè dovemo esse' così diversi da come ce credemo? Perchè?
J. - Eh, Figlio mio! Noi siamo in un sogno dentro un sogno!
E sta ad ascoltare la voce del marionettista, che sta per scendere, rivelatrice, dall'alto.
E ancora, più avanti:
Otello e Jago sono adesso dietro le quinte...
O. - So' un assassino! So' un assassino! Chi se lo credeva! Io so' un assassino, mannaggia!... (si rivolge verso l'alto, al marionettista) A sor maé! Perchè devo crede a quello che me dice Jago? Perchè so' così stupido?
M. - Perchè, forse, in realtà sei tu che vuoi ammazzare Desdemona!
O. - Come? Io voglio ammazzà Desdemona? Ma perchè?
M. - Forse... perchè a Desdemona piace essere ammazzata!
O. - Ah! E’ così.
M. - Forse, é così!
O. - (rivolgendosi a Jago) Ma qual é la verità? Quello che penso io di me, quello che pensa la gente o quello che pensa quello là dentro...
J. - Cosa senti dentro di te? Concentrati bene! Cosa senti?
O. - Si... si... si sente qualcosa... che c'é...
J. - Ecco... é quella la verità... Ma ssssst, non bisogna nominarla, perchè una volta che la nomini non c'é più...
E Pasolini stesso, riflettendo su Totò, scrive:
“Ma quale era il codice attraverso cui si poteva interpretare Totò allora? Era il codice del comportamento dell'infimo borghese italiano, della piccola borghesia portata alla sua estrema espressione di volgarità e aggressività, di inerzia e di disinteresse culturale!?..] Il mio Totò é quasi tenero e indifeso come un implume, é sempre pieno di dolcezza, di povertà fisica direi. Non fa le boccacce dietro a nessuno. Sfotte leggermente qualcuno, ma come un altro potrebbe sfottere lui, perchè é nel modo di comportarsi popolare quello di sfottere qualcuno, ma é una sfottitura leggera, mai volgare [...]. Che cosa ho opposto? Ho opposto un personaggio innocente fuori dall'interesse politico immediato, cioè fuori dalla storia, a chi invece fa della politica il suo vero e più profondo interesse e vive in quella che lui crede essere la storia. Cioè
ho opposto esistenza a cultura, innocenza e storia."
L'innocenza di Totò é qualcosa di non storicamente determinabile, é un dato assoluto, immutabile, lontano dalla contaminazione del tempo: Pasolini non ha fatto che restaurarla, ripulendo una maschera dai detriti di una sottocultura massificata. In Jago però i Totò sono due: un "buono" e un "cattivo", un mamo e un arlecchino crudele.
Creare un "nuovo" Totò é un esperimento del passato, portato a termine con successo. In Che cosa sono le nuvole? si intuisce un passo avanti, forse in un'altra direzione. Senza dubbio Pasolini non ha avuto ripensamenti sulla vera essenza del comico napoletano, e non é più interessato a rielaborare Totò, al fine di creare di una "nuova forma".
La "maschera" gli interessa ancora, ma in un senso nuovo: é alla ricerca di una fisionomia che non si possa abbracciare con lo "sguardo gastronomico" dei nostri tempi. Egli ha compreso che occorrono sguardi "rinnovati" per avere nuove visioni, e nuove "forme" per poterle esprimere. E ha compreso anche che queste forme devono lottare con lo sguardo del Mondo per non venire annientate.
Ed infatti gli anni che vanno dal '64 al '67 sono quelli che vedono Pasolini maggiormente impegnato nella ricerca e definizione di un linguaggio cinematografico. Non é un caso che questo accada proprio dopo Uccellacci e Uccellini', la constatazione definitiva che non é più possibile mantenere intatta l'ideologia senza riformulare i concetti e le analisi, creando un linguaggio "altro", estraneo alla logica borghese, era la convinzione di fondo da cui questo film era nato. Da qui una densissima riflessione sul linguaggio (o, più propriamente, sui linguaggi) che lo porterà ad occuparsi di semiotica e, conseguentemente, ad elaborare un tentativo di ontologizzazione di una "lingua scritta della realtà": il cinema appunto.
Così Pasolini nel 1967, mentre Guy Debord a Parigi pubblicava La società dello spettacolo, comincia la ricerca di una maschera nuova, impossibile, ossimorica: una maschera invisibile.
Se per il pubblico del teatrino la visione é asfissiante, per lo spettatore essa improvvisamente si sdoppia: l'innesto in Jago di un'altra figura, che si mostra dietro le quinte, invisibile al pubblico del teatrino, rinnova l'antica "forma consunta", ma non per crearne una nuova e "stabile". I due Totò, si sovrappongono in un incessante gioco metamorfico. Una patina superficiale ricopre una maschera perfettamente riconoscibile, un po' come le barbe posticce nascondono i bambini nelle recite scolastiche. Solo per un attimo chi guarda é "padrone" di ciò che vede: nella sicurezza di riconoscere una forma s'annida un pericolo. E’ quella stessa patina, quel trucco malmesso, e non una coerenza psicologica, a fare da collante ai due diversi personaggi che vivono in Jago. Un velo sottile che copre un'essenza improvvisamente sconosciuta.
Un'inquietante sensazione mette in crisi lo sguardo, lo destabilizza, costringendolo oltre la soglia del già noto.
E’ qui che s'attenua la comicità.
Ed é qui che si possono "vedere le nuvole".
Un attentato al già conosciuto non può fare a meno di sventare ogni fissità. Non più dunque il Totò di Uccellacci e Uccellini, nè tantomeno il vecchio Totò. Tutto viene spazzato via. La nuova maschera é la costruzione metamorfica che costringe lo sguardo a conoscere e disconoscere insieme: essa é nella destabilizzazione di uno sguardo che si apre a nuove visioni.
C'é un'interessante analogia con Las maninas, il quadro di Velasquez che compare, in una breve panoramica iniziale, come manifesto del film. Vale la pena soffermarsi su esso. A rivelarci che il modello che il pittore sta dipingendo é la coppia dei regnanti spagnoli é uno specchio appeso tra altri quadri alla parete dello studio, di spalle a tutti i personaggi e risplendente di luce propria. Nessuno vi guarda. Lo spettatore non riesce a coglierlo subito: istintivamente si sente lui soggetto, legittimato dalla posizione frontale che occupa. Lo sguardo del pittore é fisso su di lui, sembra seguirlo in ogni più piccolo spostamento. Le damigelle d'onore, capeggiate dall'infanta Margherita, lo scrutano ammiccanti. Gli si richiede un ulteriore sforzo per cogliere "il Re". Il riflesso "altro non é che la visibilità, ma priva di sguardi che possono farsene padroni, renderla attuale e godere del frutto all'improvviso maturo
del suo spettacolo". Esso non mostra niente di quello che si vede già nel quadro; rende quel che la stessa struttura del dipinto (in quanto tale) non permetterebbe venisse reso. Supera la soglia di un'invisibilità: diventa maschera.
Non é un caso che Pasolini ne faccia il manifesto del film: egli ha riconosciuto nel quadro la definizione che andava ricercando. Che cosa sono le nuvole? s'identifica perfettamente con Las meninas: il film é maschera, poiché, come il riflesso nel quadro, oltrepassa una soglia che nè la realtà nè il teatro possono superare.
Otello é "solo sguardo". Il suo volto attonito all'inizio é il primo segno di una nuova visione. E' in quello sguardo che la maschera sta tracciando le sue nuove forme. Egli non é come gli altri personaggi, non ha una maschera da rinnovare come Totò: é Ninetto, il sottoproletario, il fauno.
Io uso attori e non attori. Praticamente mi comporto con loro nello stesso modo, li prendo per quello che essi sono, non mi interessa la loro abilità.[...] Mettiamo Ninetto Davoli. Non era attore quando ha cominciato a recitare con Totò, e l’ho preso per quello che era, non ne ho fatto un altro personaggio.
La sua condizione tragica é quella di non essere in grado di recitare la sua parte: non é forma, é vita. Non si dà in un'immagine gastronomica, per dirla con Brecht. Ninetto-Otello é il segno che la maschera che Pasolini vuol definire non é nell'oggetto, bensì in un "nuovo sguardo". Egli non ha la maschera "tradizionale", ma la maschera nuova é in lui, nel suo modo di guardare. E’ il livello superficiale, il gioco delle maschere mercificate, a sacrificarsi come prodotto di consumo, non lo sguardo di Otello-Ninetto, che penetra le forme consunte supera il gioco dei ruoli, per andare oltre la forma. Egli è l'emblema di questa nuova visione perché vede come dovrebbe vedere il pubblico.
La liricità del finale richiama i versi conclusivi de Lo straniero di Baudelaire, di cui troviamo già un accenno nel commento poetico al film La Rabbia: "Noi non siamo mai esistiti, la verità sono queste forme nella sommità dei cieli"
- Chi ami di più, o uomo enigmatico? Di'... Tuo padre, tua madre, tua sorella o tuo fratello?
- Non ho nè padre, nè madre, nè sorella, nè fratello.
- I tuoi amici?
- Usate una parola il cui senso mi é rimasto ignoto fino ad oggi.
- La tua patria?
- Non so sotto quale latitudine sia.
- La bellezza?
- L'amerei volentieri, ma dea e immortale.
- L'oro?
- Lo odio come voi odiate Dio.
- Eh! Ma che ami, dunque, o straniero straordinario?
- Amo le nuvole... le nuvole che passano... là, lontano... le nuvole meravigliose.
Sfingi lontane, raggiungibili solo con lo sguardo, le nuvole incarnano l'ideale di un'astrazione dal mondo, inconoscibili se non da chi ne é estraneo. Le due marionette, finalmente libere dalla loro recita, vi gettano lo sguardo: uno sguardo folle, penetrante. L'ultimo per loro, ma tuttavia capace di catturare una bellezza inesprimibile. La "straziante meravigliosa bellezza del creato": l'oxymoron. Non v'é altra forma che si adatti a quell'immensità, non v'é linguaggio terreno che riesca ad esprimerne l'incanto. Così le due marionette attendono la fine, incarnando con i loro corpi deteriorati il mistero di una spaventosa bellezza.
Diventano scrigni di una visione che nel mondo non può trovare la sua forma.
Tutti i burattini sono di nuovo appesi alla loro rastrelliera nel silenzio del ripostiglio. Ma ne mancano due: Otello e Jago.
Gli altri sono profondamente tristi per la loro tragica assenza. Le due donne, Desdemona e Bianca, piangono. Gli uomini sospirano cupamente angosciati. Insomma, é proprio come quando c'é un funerale.
B. - (con gli occhi persi) Mah!
C. - Eh, caro Brabanzio, non ci fare caso. Una volta per uno tocca a tutti.
Ed ecco che. nel silenzio, si stacca, nitida la voce dell' immondezzaro.
B. - Ecco! Se li porta via... Non li vedremo mai più...
D. - Addio Jago... Addio Otello... Addio per sempre.
Davanti ad una porticina in mezzo ad altri rifiuti ci sono anche i corpi straziati di Otello e Jago. L'immondezzaro scende dal suo camioncino scassato, carica l'immondezza e tra questa getta dentro anche i corpi di Jago e Otello. Il camion parte. I due con gli occhi sbarrati sono sballottati. L'immondezzaro continua a cantare.
I. - Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro, ma il derubato che piange ruba qualcosa a se stesso!
Perciò io mi dico finché sorriderò tu non sarai più sola.
Ma queste son parole e non ho mai sentito che un cuore, un cuore infranto si cura con l'udito.
Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo... così!
Ecco che il camion si ferma sull'argine di una scarpata. Con calma, l'immondezzaro esce dalla cabina di guida, apre lo sportello posteriore del suo camion, e tutte le cose morte di cui il camion é pieno, rotolano come una colorata valanghetta giù per la scarpata.
Anche i corpi di Otello e Jago.
Nel cielo azzurro corrono le immense nuvole bianche.
Nella faccia spaccata e gonfia di Otello gli occhi luccicano di ardente curiosità, di intrattenibile gioia.
Anche gli occhi di Jago guardano strabiliati in estasi quello spettacolo mai visto del cielo e del mondo.
O.- Iiiiih, e che so' quelle?
J. - Quelle sono... sono le nuvole...
O. - E che so' le nuvole?
J. - Boh!
O. - Quanto so' belle! Quanto so' belle!
J. - (ormai tutto in comica estasi) Oh, straziante meravigliosa bellezza del creato!
Le nuvole passano veloci nel gran cielo azzurro.
Giovanni Guerrieri e Tiziana Paladini
Totò, Pasolini e la metafora
Febbraio 1967, set del film "Capriccio all'italiana". La radio riprende in diretta i ventidue ciak della scena, particolarmente complessa. Totò (Jago), burattino pitturato di verde è dietro il palco assieme a Ninetto (Otello). Totò (Jago) non riesce a dire la sua complessa battuta che terminerà con la frase chiave dell'episodio: «Eh, figlio mio, noi siamo in un sogno dentro un sogno». Pasolini gli ha scritto una metafora forse troppo complessa. «La nostra vita è come la polenta. Prende la forma della caldaia dove è rovesciata, ma qual'è questa forma? La forma della superficie della polenta contro la parete della caldaia o la forma della polenta... che non me la ricordo più!» Tutti ridono. E' una battuta quasi impossibile anche se bellissima «...Noi siamo la polenta e il giudizio degli altri è la caldaia». Infatti Paolini la taglierà lasciando solo la frase finale. Intanto la radio riprende impietosamente gli errori di Totò, un Pasolini che lo aiuta amorosamente, Totò che incespica di nuovo, fino a quando chiude clamorosamente la frase lasciando commossi e ammutoliti i presenti. Totò non vede e rimane un attimo perplesso. Forse non ha capito il perchè del silenzio. «Sono andato bene?», chiede modestamente.
È un film come tanti altri che ho interpretato. Vale poco. Ma io questi film li ho sempre fatti lo stesso, perché so che piacciono al mio pubblico. La gente, quella che viene a vedere i miei film, ama la risata semplice, la storia banale, senza problemi. E io do al mio pubblico quello che vuole da me: ho fatto così per tutta la mia carriera. I film di valore che ho interpretato si possono contare sulla punta delle dita. Quelli che mi stanno più a cuore sono Arrangiatevi di Bolognini e, naturalmente, Uccellacci e uccellini. Dico naturalmente, perché è per questo film che ho avuto tanti premi, tantissimi. Sa, finalmente dopo quarant'anni di carriera sono stato riconosciuto il migliore attore dell’anno. Sono proprio soddisfatto. Inoltre tutti i mercoledì, per radio, vengono trasmesse le mie canzoni. Perbacco, è importante: io alle mie canzoni ci ho dedicato buona parte della mia vita, nei loro versi si ritrovano la mia felicità, la mia amarezza, i miei ricordi. E proprio un anno fortunato questo per me: fra qualche mese andrà in onda per televisione un mio show, il primo show della mia vita. Poi fra qualche settimana Mina mi inviterà a Sabato sera, per fare l’ospite d’onore. Tutti mi vogliono, perbacco. E io vado, perché per me il lavoro è tutto. Mi fa male lavorare, dovrei starmene in casa buono buono, in silenzio e non pensare a niente. Non sto tanto bene, vede: in questi giorni ho un tremendo raffreddore. Ma io lavoro lo stesso, sennò mi sentirei inutile. Perbacco, se mi togliete questa gioia che cosa mi resta più nella vita? Io ho sessantanove anni, perbacco.
Antonio de Curtis
“Che cosa sono le nuvole?”. Un’analisi di Giorgia Bruni
Giorgia Bruni, giovane studiosa laureata all’Università 'La Sapienza' della capitale con una tesi sulla Trilogia della vita di Pasolini e collaboratrice del blog 'centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it', sottopone ad analisi il film 'Che cosa sono le nuvole?', interpretato come complessa metafora della ricerca esistenziale della verità oltre l’apparenza e del valore maieutico del dialogo socratico.
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Film a episodi che possiamo presumere essere stato “alimentare”, almeno per molti. “La bambinaia” (Monicelli) non è neppure una barzelletta; “Il mostro della domenica” (Steno) non è granché ma è salvato da Totò; “Perché” (Bolognini) è brutto e basta (sembra uno scarto de “I mostri”); “Che cosa sono le nuvole?” (Pasolini) è bellissimo, anche perché le inquadrature frontali di Pasolini stavolta sono funzionali al tutto; “Viaggio di lavoro” (Zac e Franco Rossi) è banale; “La gelosa” (Bolognini) allinea solo due ideuzze. La media è **, ma “le Nuvole” vale più di ***.
Tranne rare eccezioni il giudizio su un film a episodi non può che essere una media, dato il normale dislivello qualitativo. Qui ci sono dei riempitivi appena passabili a far metraggio, ma altresì due perle per il canto del cigno di Totò : "Il mostro della domenica" con un formidabile e scatenato Principe en travesti, e "Che cosa sono le nuvole", la cosa migliore del cinema di Pier Paolo Pasolini.
Sei episodi. Due sono brevi e arguti appunti: la crudele bambinaia teutonica (Monicelli) e la petulante fidanzata di un autista nel traffico (Bolognini). Altri due sono scialbe mini-commedie, come la crociata anti-capelloni di Totò (Steno) e la cieca gelosia di una donna (Bolognini). Delizioso il corto satirico sulla sbadata regina inglese, che mescola attori e disegni animati (Zac). E poi il capolavoro assoluto: l'Otello in versione pupara di Pasolini, straordinario apologo sulla verità, potente e emozionante.
Vizi, ossessioni e ipocrisie messi alla berlina da Bolognini, Monicelli, Steno, Rossi e Pasolini. Interessante l'episodio diretto da quest'ultimo, con gli interpreti "trasformati" in marionette. Notevoli anche la Mangano - teutonica bambinaia - e Totò, nei panni dell' "agente segreto K07 con licenza di rapare".
Evidentemente diseguale nella qualità degli episodi. Quello di Monicelli è una sciocchezzuola con la Mangano doppiata in modo ridicolo; i due di Bolognini sono dimenticabili in gran fretta; quello di Zac/Rossi non si capisce bene nemmeno cosa sia. Molto divertente, invece, l'episodio di Steno con un Totò spettacolare, ed infine l'episodio di Pasolini, a mio avviso, non è né più né meno di un capolavoro di circa 20 minuti.
Come è noto l'episodio pasoliniano (che vale almeno ***, rivelandosi, assieme a Uccellacci e uccellini, il capolavoro del regista secondo chi scrive) sovrasta il resto del film, raggiungendo il perfetto equilibrio tra ironia popolare, poesia ed estetica naïve. Per il resto, tra i miniepisodi soltanto quello (in parte) animato supera la monopalla, mentre tra i segmenti più ampi Totò Diabolik(us) funziona meglio della storia di presunte corna, superando di poco **. Splendida fotografia, che innalza il livello del film.
Doverosa la visione di questo oggettone cinematografico; per capire come l'alto e il basso possano coesistere ed essere usati al meglio, ricco di senso, poeticamente. E parlo dell'episodio di Pasolini, struggente mise en scene di un Otello che sa più di sceneggiata, visto il pubblico-massa che interagisce, non tollerando gli uomini come individui manifestanti la dolorosa cappa dell'esistere, la bellezza del creato e l'osceno del vivere. Per il resto se si esclude il simpatico cartoon di Zac è un film inutile, specie l'episodio idiota "La gelosa".
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Ah straziante meravigliosa bellezza del creato".
Filmetto a episodi che vale più per i singoli che non nell'insieme. Memorabili, a questo proposito, il primo ("Il Mostro della domenica", con un Totò indimenticabile mattatore) e l'episodio diretto da Pasolini ("Che Cosa Sono Le Nuvole", con un cast da brividi). Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia con la partecipazione di Modugno, che canta l'omonima canzone. Solo per questi due episodi val la pena di assistere a questa antologia, (chiamiamola così) poco riuscita.
Film ad episodi, alcuni brevissimi altri ben più strutturati. Nell'insieme si tratta di un film ben riuscito e in varie occasioni divertente. Totò (alla sua ultima apparizione) è divertentissimo nell'episodio di Steno e straordinario in quello favolistico e visionario di Pasolini. Buono anche l'episodio con Walter Chiari che chiude il film. Un po' più deboli gli episodi brevi con la Mangano. Comunque un film da vedere.
Andremo in ordine di personale gradimento. La gelosa di Bolognini: impalpabile fesseria; viaggio di lavoro di Bolognini/Zac: appunto, zac!; Perchè? di Bolognini: già, perché? La bambinaia di Monicelli: a me bimbo pauroso curato dalle mammane ha fatto sempre tenera fifa; il mostro della domenica di Steno: Totò scatenato ed eccessivo è spettacolo impagabile; le nuvole di PPP: Shakeaspeare e i burattini, la vita appesa ad un filo. Dopo quella di Orson, la più fedele e originale trasposizione di Otello, dramma (dal basso in alto) finale sull'ineluttabilità del destino.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Ahh tu non fossi mai nata tutto il mio folle amore lo soffia il cielo" "Ah straziante meravigliosa bellezza del creato".
Non entusiasmante. Non è un film satirico, perché non prende di mira tanto i costumi, quanto la singolarità dei caratteri. Gli episodi di Bolognini non valgono molto, quello di Zac è un esperimento di contaminazione non troppo riuscito, "Il mostro della domenica" si regge sulle spalle di un Totò sapido e sadico. Il gioiello è "Che cosa sono le nuvole?". Folgoranti quelle marionette consapevoli ma non libere, schiave della finzione scenica, che scoprono la verità e la poesia del mondo in una discarica, vedendo per la prima volta le nuvole.
Puzzle di episodi di lunghezza variabile decisamente scollegati tra loro e con un valore artistico assai diverso. Eccelle "Che cosa sono le nuvole?", struggente commiato dell’immenso Totò in una magnifica interpretazione dall’epilogo colmo di poetica malinconia. Segue ancora Totò in "Il mostro della Domenica" non brillante, ma ravvivato dalla verve dell’artista. Tutto il resto si accoda a distanza non potendo contare su nulla di eclatante e finendo per palesare l’enorme divario con quanto fatto da Totò e Pasolini.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Straziante meravigliosa bellezza del creato!".
Nuova produzione collettiva di De Laurentiis, ancor più incongruente del precedente Le streghe: i due episodi con la Mangano sono due innocue barzellette filmate; idem "Viaggio di lavoro", che ha come unico motivo di interesse l'animazione di Pino Zac, e "La gelosa" che non ha nemmeno il pregio della brevità degli altri e tedia presto; da salvare il Totò sadico di Steno e quello commovente del capolavoro pasoliniano "Che cosa sono le nuvole", struggente circo sul cui carrozzone salgono anche Franchi e Ingrassia nella loro prova più nobile.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La canzone cantata da Modugno e i dialoghi di Totò e Ninetto: "Figlio mio, noi siamo in un sogno dentro a un sogno!".
Un film prolisso, noioso, senza un briciolo d'inventiva e neanche un filo conduttore che giustifichi l'accozzaglia di soggetti così differenti fra loro. Totò che rapisce i capelloni per rasarli? Ma scherziamo? Per non dire dell'imbarazzante parodia dell'Otello diretta da Pasolini con Franco Franchi che sfoggia tutto il suo repertorio di smorfie nel disperato tentativo di far ridere. Non si salva nemmeno la Mangano, costretta a una recitazione sempre sopra le righe. Forse qualcosa si salva, ma la vita è troppo breve per guardare un film così.
Commedia a episodi da recuperare sostanzialmente perché è l'ultimo film interpretato dal grande Totò, dato che per il resto non è che sia così accattivante. Gli episodi passabili sono "Il mostro della domenica" con un Totò che diverte grazie ai suoi travestimenti, "La bambinaia" con una brava Silvana Mangano e "La gelosa" con l'accoppiata Chiari-Furstenberg. Da segnalare la presenza di Modugno, Franchi e Ingrassia nel pasoliniano "Che cosa sono le nuvole?"
Con l'occhio di oggi sembra quasi impossibile che Steno e Pasolini abbiano potuto convivere nello stesso film, ma la vitalità del cinema italiano di quegli anni stava anche in questo. Una vitalità che va al di là del risultato, invero alquanto modesto, portato a casa da questa raccolta di episodi forzatamente eterogenea data la diversità degli autori. Del tutto trascurabili gli apporti di Monicelli, Bolognini e Rossi/Zac, mentre più interessanti, ma non entusiasmanti, quelli di Steno e di Pasolini, proprio perché stilisticamente agli antipodi.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò e Ninetto che dalla discarica guardano le nuvole.
Un dei tanti film a episodi degli anni '60. Quelle di Bolognini, Monicelli, Rossi e Pino Zac sono solo facezie filmate che strappano qualche raro sorriso, mentre l'episodio di Steno con Totò è un gustoso e furbo “giallo” che prende in giro il fenomeno dei capelloni e documenta con tempismo e bonaria ironia quell'effervescente momento sociale che sfocerà nel’68; invece Pasolini ci dona una poetica meditazione sulla verità dell’arte e sulla realtà della vita attraverso quella marionetta astratta e senza tempo che risponde al nome di Totò.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La smorfia di ripugnanza che si disegna sul volto di Totò quando, uscendo dal barbiere, osserva dei giovani molto zazzeruti.
E' difficile inserire l'episodio di Pasolini, intenso e bellissimo, in un contesto poco incisivo (tutti gli altri episodi). Trattasi di brevi commediole trite e ritrite che reggono quel poco che possono grazie a qualche buona interpretazione. "Che cosa sono le nuvole" è invece un capolavoro in piena regola, pregno di dolente umanità e di messaggi importanti. Grazie, Pasolini.
Di questo filmetto possiamo salvare solo i due episodi del grande Totò, qui al suo commiato. Il diabolico rapitore di capelloni (e pensare che aveva girato nello stesso periodo il pessimo Totò yè yè!), ben spalleggiato da Ugo D'Alessio, è al centro di un episodio leggero ma gradevole. Il corto pasoliniano (con Franco e Ciccio per l'unica volta accanto al maestro napoletano, Modugno e Davoli) è di una raffinatezza e poesia elevatissimi. Lo sguardo delle due marionette gettate nell'immondizia bilancia la pochezza dei restanti episodi.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Gli escamotages di Totò per rapire i capelloni; Tutto l'episodio dell'Otello.
Film a episodi di diversi autori (e quindi prodotti diversi con diversi risultati). In verità sembrano tutti, tranne uno, girati stancamente. Alcuni di questi si riducono a una barzelletta, per giunta banale e poco spiritosa ("La bambinaia", "Perché?"). In "Il mostro della domenica" apprezzabile solo l'interpretazione di un Totò sempre in parte. Tranne "Che cosa sono le nuvole?" sono tutti ignorabili (anche se la Mangano è sempre bravissima). Quest'ultimo è poesia pura e crea quasi un contrasto con il resto del film. Vale da solo **** buoni!
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il poetico finale di "Che cosa sono le nuvole?": “Ah! Straziante meravigliosa bellezza del creato!”.
La censura
La I Sezione della Commissione di revisione cinematografica riunitasi il giorno 1 aprile 1968, esprime parere favorevole per la proiezione al pubblico senza limiti di età.
Domanda di revisione 51197 in data 2 aprile 1968
Le incongruenze
- A Totò si blocca l’auto mentre sta percorrendo una strada di campagna. Nell’inquadratura si nota una palazzina alle spalle dell’attore poi la macchina da presa stacca ad inquadrare un’auto che sta procedendo verso di loro. Dovrebbe essere il controcampo, dunque: ma sullo sfondo, magicamente fa capolino la stessa palazzina che si vedeva dietro Totò
- Quando l’auto di Totò, rimasta in panne, viene trainata dall’auto dei due cappelloni si vede come le due vetture stiano percorrendo una strada in direzione dell’EUR di Roma, i cui palazzi si vedono sullo sfondo. Ma nel primo piano sull’auto di Totò, ripreso frontalmente (la macchina da presa era posta tra le due auto), si vede, invece, l’EUR sullo sfondo che si allontana…
www.bloopers.it
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo.
EPISODIO "LA BAMBINAIA" - La villa della bambinaia, cioè la Mangano (e quindi set principale) è Villa Miani, di cui QUI TROVATE LO SPECIALE.
Un adescamento da parte di Totò ai capelloni avviene alla multilocation de lo Stadio dei Marmi, a Roma, già presente in L'arte di arrangiarsi e in altri film. Prendiamo proprio dal film con Sordi (1954) un fotogramma per il confronto
EPISODIO "IL MOSTRO DELLA DOMENICA" - Il luogo dove Totò, travestito da prete, adesca un capellone è Piazza del Colosseo a Roma
EPISODIO "IL MOSTRO DELLA DOMENICA" - Il luogo dove Totò, vestito da prostituta, adesca un capellone è in Via Capoprati a Roma (l'adescamento multiplo da parte di Totò vestito da zampognaro ad un gruppo di capelloni avviene invece nell'ovvia Piazza di Spagna, che non mostriamo perché altamente riconoscibile)
EPISODIO "IL MOSTRO DELLA DOMENICA" - La villa dove abita Totò è Villa Mangano e si trova in Via dei Metelli Agostino 43 a Roma. Nel film non viene mai mostrata direttamente poichè le inquadrature si limitano a riprendere il cancello d'ingresso dall'interno della villa, con vista su Via dei Metelli. Quando questo è spalancato si riconosce l'ingresso della villa confinante (A)
Quella che vedete qui sopra è l'unica, minimissima inquadratura diretta della villa, che riprende l'ingresso, quindi la villa è quella che vedete ancora più in basso
EPISODIO "IL MOSTRO DELLA DOMENICA" - Il commissariato di polizia dove Totò viene condotto dopo la cattura è la palazzina che ospitava gli uffici degli ex Studi De Laurentiis (Dinocittà) in località Castel Romano (Roma) al km 23,650 della Via Pontina . La scena dell’uscità di Totò (notare le scanalature interrotte delle colonne)
Anche gli interni appartengono al medesimo edificio, che confrontiamo con un fotogramma La scorta (1993), alla cui scheda rimandiamo per la dimostrazione.
EPISODIO "IL MOSTRO DELLA DOMENICA" - La strada dove Totò rimane fermo con l’auto e si vede costretto a farsi trainare dai due cappelloni che aveva insultato poco prima e ai quali aveva rifiutato un aiuto, quando loro stessi erano rimasti appiedati, è l’odierna autostrada Roma-Fiumicino a Roma, che fino all’anno successivo alle riprese era ancora una semplice statale (la strada statale 201 “dell'Aeroporto di Fiumicino”). Quando Totò smonta dall’auto con il motore in fumo sullo sfondo riconosciamo l’edificio sede dell’Ospedale Israelitico (A)
Questo è quello che nella finzione viene indicato come il controcampo (è la visuale dall’auto di Totò verso l’auto dei due “cappelloni” che sta sopraggiungendo): in realtà subito dopo questa inquadratura viene mostrata sulla destra (senza stacchi) l’edificio sede dell’Ospedale Israelitico.Quindi la scena fu girata in questo tratto della Roma – Fiumicino.
EPISODIO "LA GELOSA" - Il residence nel quale Paolo (Chiari) entra pedinato dalla gelosa moglie Silvana (Fürstenberg) si trova in Via Privata della Passarella 4 a Milano, una traversa di Corso Vittorio Emanuele II.
Capriccio all'italiana (1967) - Biografie e articoli correlati
Adriani Giorgio
Asti Adriana (Aste Adelaide)
Betti Laura (Trombetti Laura)
Bolognini Mauro
D'Alessio Ugo (Pasquale)
La scomparsa di Totò: siamo uomini o caporali?
Maggio Dante
Modugno Domenico
Pasolini Pier Paolo
Pierpaolo Pasolini: ecco il mio Totò
Steno (Vanzina Stefano)
Totò e la censura
Totò e... Ninetto Davoli
Totò e... Steno
Riferimenti e bibliografie:
- "La tragedia del comico", Giovanni Guerrieri e Tiziana Paladini, Luca Torre editore, Napoli, 2003
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- cinecensura.com
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- S.M. "Tutti mi vogliono bene, perbacco", Novella 2000, n.18, 30 aprile 1967
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Grand Hotel», 28 gennaio 1967
- «L'Unità», 12 febbraio 1967
- «Grand Hotel», 8 aprile 1967
- G. Gr., «Corriere della Sera», 20 luglio 1968
- vice, «L'Avanti», 20 luglio 1968
- Roberto Carnero, «L'Unità», 20 luglio 2007
- Di. Esse. Bi., «La Gazzetta di Asti», 6 settembre 2008