Guardie e ladri

Ferdinando Esposito
Inizio riprese: 27 gennaio 1951, Studi Ponti-De Laurentiis, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 23 ottobre 1951 - Incasso lire 653.790.000 - Spettatori 5.820.262
Titolo originale Guardie e ladri
Paese Italia - Anno 1951 - Durata 106 min - B/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Mario Monicelli, Steno - Soggetto Piero Tellini - Sceneggiatura Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Aldo Fabrizi, Ruggero Maccari ,Steno, Mario Monicelli - Produttore Ponti-De Laurentis-Golden Film, Roma - Fotografia Mario Bava - Montaggio Franco Fraticelli - Musiche Alessandro Cicognini - Scenografia Flavio Mogherini - Direttore di produzione: Bruno Todini - Ispettore di produzione: Nicolò Pomilia - Assistente alla produzione: Tony Brandt - Aiuto regista: Mario Mariani - Assistente alla regia: Rudy Bauer - Operatore alla macchina: Corrado Bartoloni - Tecnico del suono: Gino Fiorelli - Fonico: Aldo Calpini - Segretaria di edizione: Ines Brusci
Totò: Ferdinando Esposito - Pina Piovani: la moglie, Donata - Carlo Delle Piane: il figlio, Libero - Ernesto Almirante: il padre di Ferdinando, Carlo - Gino Leurini: il cognato di Ferdinando, Alfredo - Aldo Fabrizi: Lorenzo Bottoni, il brigadiere - Ave Ninchi: la moglie, Giovanna - Rossana Podestà: Liliana Bottoni - Paolo Modugno: Paolo Bottoni - Mario Castellani: il tassista - Pietro Carloni: il commissario - Gino Scotti: il vice commissario - Williams Tubbs: mr. Locuzzo - Aldo Giuffrè: il professore, Amilcare - Armando Guarnieri: il barbiere - Luciano Bonanni - Il secondo barbiere - Giulio Calì: il mendicante - Ciro Berardi: l'oste - Aldo Alimonti - Riccardo Antolini - Alida Cappellini - Ettore Jannetti

Soggetto
Ferdinando Esposito è un piccolo truffatore che cerca di mantenere la famiglia con i suoi espedienti. Travestito da guida turistica, e con il suo socio d'affari Amilcare, finge di aver trovato una moneta antica nel Foro Romano e la vende per 50 dollari a un turista americano, il quale si accorge troppo tardi della truffa. Quella stessa mattina i due organizzano una seconda truffa al Teatro Quirino, dove sta avvenendo la distribuzione di alcuni pacchi-dono, destinati alle famiglie. L'idea è di ingaggiare un gruppo di bambini, che dovranno recitare la parte dei loro figli, ma Esposito è senza biglietto. All'entrata del teatro si imbatte con un grasso agente di polizia, il brigadiere Lorenzo Bottoni, così comincia una discussione tra i due e, per non avere problemi e per non bloccare la fila, la guardia gli permette di entrare. La truffa non finisce bene, il presidente del comitato di beneficenza è Mr. Locuzzo, il turista americano truffato, e durante la distribuzione dei pacchi lo riconosce e lo denuncia seduta stante.
Comincia così un lungo inseguimento da parte dell'agente di polizia Bottoni. Esposito riesce a prendere un taxi mentre il brigadiere sale nella macchina dell'americano, con lui al volante. Il taxi di Esposito finisce in una strada bloccata in aperta campagna e l'uomo è costretto a scendere. L'inseguimento si trasforma in una vera a propria caccia all'uomo, il ladruncolo non è inseguito solo dalla guardia e dal turista americano, ma anche dal tassista. Dopo una lunghissima ed estenuante corsa attraverso il fango e la campagna, Esposito è costretto a fermarsi - poiché sofferente di fegato - seguito immediatamente dal brigadiere, anch'egli stremato.
Dopo alcuni diverbi inizia un umano dialogo tra i due, nel quale Bottoni consiglierà ad Esposito una cura per il fegato. Giunti Mr. Locuzzo e il tassista, che erano rimasti indietro, inizia una litigata di gruppo, intanto l'agente Bottoni ammanetta (con una catenella) Esposito, il quale confessa all'autista di non avere denaro per pagarlo. Poiché Esposito non ha più la forza di camminare, l'americano è costretto a tornare indietro a recuperare l'auto, seguito dall'autista, che attende ancora che qualcuno lo paghi. Il ladro e il brigadiere si fermano ad un'osteria lì vicino, si siedono e aspettano. Dopo alcuni minuti, Esposito finge un improvviso attacco di colite, e il brigadiere è costretto a scortarlo in bagno, tenendolo legato, però, con la catenella attraverso la porta. Mr. Locuzzo è di ritorno insieme al tassista, Bottoni avverte Esposito, ma questi non risponde; allora il brigadiere tira la catena. Si sente il rumore dello scarico, l'agente si accorge che Esposito si è sfilato la catenella, l'ha legata a quella dello sciacquone ed è scappato dalla finestra. Mr. Locuzzo è furioso con Bottoni e dice che protesterà ai suoi superiori.
Più tardi, al commissariato, Locuzzo espone i fatti al commissario ed esige che Bottoni venga punito. Spunta fuori anche l'autista, ancora in attesa di esser pagato, ma niente da fare. Rimasto solo con il brigadiere, il commissario gli dice di non preoccuparsi, ma arrivate le telefonate dei superiori la situazione si capovolge: Bottoni è momentaneamente sospeso dal servizio e rischia di finire sotto processo se non addirittura di perdere il posto. Il commissario, cercando di venire incontro all'agente, lo informa di una possibile ipotesi: se riuscirà ad acciuffare il ladro entro la data prestabilita dal tribunale (3 mesi), contando solo su se stesso e senza l'aiuto di altri membri della polizia, potrà essere riammesso al servizio.
Sconfortato, il brigadiere ritorna a casa e decide di tenere nascosto l'accaduto alla famiglia. Come primo passo per trovare Esposito decide di controllare tra i cassetti degli schedati. Una volta trovate le informazioni si avvia, vestito di abiti borghesi, verso l'abitazione di Esposito: chiede informazioni al portiere e si informa sui membri della famiglia, e per non dare troppo nell'occhio entra in una bottega di barbiere lì vicino, inizia così il suo primo appostamento. Bottoni riesce ad avvicinare il figlio di Esposito, Libero, e cerca di guadagnarsi la sua fiducia, facendolo diventare amico di suo figlio Paolo, invitandolo a casa e regalandogli un maglione.
Passano giorni, e di Esposito, tuttavia, nessuna traccia. Bottoni, dopo l'ennesima attesa di fronte l'abitazione del ladruncolo, torna a casa e la moglie lo informa della presenza della famiglia Esposito (composta da moglie, figli, padre e cognato), che sono venuti per ringraziarlo per le gentilezze che ha fatto al ragazzino, ma non c'è traccia di Ferdinando. Le due famiglie si conoscono e tra il cognato del ladro e la figlia della guardia nasce una simpatia. Quella stessa sera, la famiglia di Esposito, rincasando, trova il capo di casa che attendeva il loro arrivo, che si lamenta per il motivo che all'abitazione ci deve essere sempre qualcuno in caso avesse bisogno di qualcosa. Dopo essersi fatto sentire, l'uomo racconta al padre l'episodio accadutogli e quindi il motivo per cui ha preferito passare dei giorni lontano da casa, poi controlla i compiti dei figli e rimedia la cena.
La moglie Donata gli parla dei Bottoni, spiegandogli che sono persone per bene, e gli chiede di portargli dei fiori per ricambiare le loro cortesie. La mattina dopo, Bottoni, entrato nuovamente nel salone del barbiere, si accorge troppo tardi della presenza di Esposito, proprio accanto a lui, e se lo lascia scappare. Quella stessa mattina, l'uomo, ignaro dell'identità del brigadiere, decide di portare i fiori alla signora Bottoni, proprio mentre il marito è andato a casa di Esposito con la scusa di portare pasta e farina alla famiglia. Ha inizio una comica scena in cui i due si ritrovano a parlare al telefono fra di loro e Bottoni cerca di convincere Esposito a trattenersi a casa sua, dicendo che verrà subito perché ha desiderio di conoscerlo e deve proporgli un affare di molti quattrini, però l'uomo non si trattiene poiché deve partire per alcuni giorni... dopodiché la signora Esposito chiama il fratello Alfredo dicendogli che deve portare il solito pacco al marito. Bottoni decide così di seguire il cognato, sperando di acciuffare il ladro, scopre però che il giovane aveva un appuntamento con sua figlia Liliana.
Verso l'ora di pranzo, il signor Bottoni, dopo aver espressamente raccomandato alla figlia di non frequentare "quel tipo", viene informato dalla moglie che la signora Esposito li ha invitati a pranzo per domenica (l'ultimo giorno prima della scadenza dei 3 mesi), ed è data quasi per certa la presenza del marito - ancora ignaro dell'identità di Bottoni. Come altra possibilità di incontrare Esposito prima del tempo, decide di assegnare un posto come magazziniere al cognato Alfredo (disoccupato), sperando che Ferdinando venga a casa sua per ringraziarlo.
Giunge il giorno del pranzo. Ferdinando ritorna dal suo breve viaggio "d'affari" e si accorda col suo socio Amilcare, perché devono ripartire per Napoli. Entra in casa dove fervono i preparativi, e la moglie gli dice che aspettano gente a pranzo. L'uomo, dopo aver sentito che si tratta dei Bottoni, sbotta di colpo dicendo di essere stufo di "vedere questi bottoni per casa", fa presente di dover ripartire, prepara la sua roba e si appresta a uscire di casa. Per le scale incontra la signora Bottoni e la figlia, seguite dal signor Bottoni. I due si ritrovano da soli, faccia a faccia. Ed è allora che Ferdinando lo rimprovera per aver carpito la buona fede dei suoi familiari, mentre Bottoni gli confida il suo dramma. Una sorta di umana complicità nasce tra i due. Esposito comprende la situazione dell'agente e decide di lasciarsi arrestare.
I due decidono di tenere nascosta la verità alle proprie famiglie, si fermano a mangiare e decidono di avviarsi più tardi verso la questura. Ma durante il pranzo Ferdinando sceglie di andare prima del previsto; i due lasciano credere che abbiano affari comuni, che Ferdinando parta per un viaggio di lavoro e che Lorenzo lo accompagni alla stazione. L'uomo firma le pagelle dei figli, saluta le due famiglie e si avvia, accompagnato dal brigadiere. Si capovolgono i ruoli ed è lo stesso Esposito a convincere Bottoni a condurlo in prigione, nonostante la guardia ne sia ormai riluttante. Durante la sua assenza, sarà Bottoni a pensare anche alla famiglia di Ferdinando.
Critica e curiosità
“Guardie e ladri”: quando la miseria fa ridere, ma in modo intelligente
Nel 1952, quando a Cannes non sapevano ancora bene cosa fosse il Made in Italy ma già lo premiavano, Guardie e ladri ottenne la Palma d’Oro per la sceneggiatura. Non c'è da stupirsi: alla stesura avevano messo mano non dei semplici artigiani del copione, ma un consesso di penne eccelse che oggi farebbe tremare perfino una writers’ room americana: Flaiano, Brancati, Maccari, con la collaborazione attiva di Fabrizi, Steno e Monicelli. Praticamente un Nobel a sei mani con l’aggiunta di un po’ di prosciutto e mortadella per restare terra terra.
La regia, inizialmente destinata a Luigi Zampa, naufragò per motivi già allora ben noti: la censura italiana. Zampa, forse reduce da traumi pregressi con il famigerato “Ministero dell’Offesometro”, si defilò appena intravide il rischio di mettere in scena un poliziotto non propriamente glorioso e un ladro simpatico. Niente da fare: l’ipotesi che tra guardie e ladri potesse nascere un’amicizia era troppo per i custodi del buon costume. E così Zampa lasciò campo libero a Steno e Monicelli, che, con un tocco più ironico e meno incline alla tragedia, ristrutturarono la storia.
Una sceneggiatura in stato di grazia
Così si arrivò a una trama osmotica – letteralmente – dove le famiglie delle due “fazioni” (il vice brigadiere e il ladruncolo) si scambiano cortesie, pranzi, pacchi di pasta e, perché no, pezzi di umanità. Un’umanità fragile, affamata, ma incredibilmente viva. Il genio del produttore Carlo Ponti fu quello di mettere in scena la coppia Totò-Fabrizi, due colossi fisici e comici: uno secco e agile come un’anguilla napoletana, l’altro massiccio e paterno come un vigile urbano in pensione. Il contrasto fisico, linguistico e morale è comico oro colato.
La sceneggiatura, figlia del neorealismo ma con l’occhio strabico della satira, nasce da un soggetto firmato da Mario Tellini, che aveva già messo in moto Ladri di biciclette. E infatti Guardie e ladri è il fratello più sorridente, ma non meno disperato, del capolavoro di De Sica. Stessa Italia, stesso dopoguerra, stesso senso di precarietà sociale, ma con un velo (molto sottile) di zucchero sul dolore.
Tra patacche, tacchini e telefonate incrociate
La trama è un continuo scivolare tra comicità e malinconia, come su una buccia di banana metaforica lasciata davanti alla questura. Totò ruba, ma solo agli americani (“modestamente”), perché “quelli lì hanno i soldi”. Il vice brigadiere Bottoni lo insegue, ma si fa sfuggire il ladro mentre si sta sistemando in un cesso d’osteria: metafora, manco troppo velata, di uno Stato in mutande.
Eppure questi due – la guardia e il ladro – si somigliano più di quanto non vogliano ammettere. Hanno la stessa miseria in casa, gli stessi acciacchi, lo stesso disprezzo per le medicine italiane e una sconfinata fiducia in quelle americane (che però non arrivano mai). Alla fine, se non ci fossero divise, galera e licenziamenti di mezzo, sarebbero due vecchi amici che si raccontano le disgrazie davanti a un fiasco di vino.
A coronare il tutto, c’è un’Italia che si staglia sullo sfondo con tutta la sua desolazione post-bellica: quartieri fatiscenti, tavole spelacchiate, sigari che non si possono fumare e bambini abbandonati tra le baracche. La cupola di San Paolo veglia su tutto questo, come un papa cieco o un monumento dimenticato.
Satira garbata, ma censura feroce
Naturalmente, a rendere questo film un piccolo miracolo è il suo equilibrio: ride e fa riflettere, critica senza predicare, commuove senza lacrime artificiali. Proprio per questo, fu osteggiato dalla censura come si osteggia un prete con dubbi di fede. Un vice brigadiere che non è un eroe di guerra ma un poveraccio che ha paura dei cani? Inaccettabile. Che poi se ne vada in giro senza divisa per non offendere l’Arma? Sì, ma solo dopo battaglie con forbici e tagli di dialogo.
La censura ci mise il suo zampino: niente finale con Totò e Fabrizi in uniforme, battute “attenuate”, e la pellicola finì per uscire tardi e male. Un altro paradosso in un’Italia dove si poteva sparare a vista, ma non deridere un vice brigadiere in mutande.
Totò e Fabrizi: la coppia che non ti aspetti (ma che ti meriti)
Mai come in questo film Totò fu così “umano”: un ladro che non ruba per vizio, ma per fame; un furbo che sa di essere fregato dal mondo prima ancora di fregare gli altri. Niente maschere, niente lazzi gratuiti. Solo una recitazione dolorosa e verissima. Fabrizi lo segue a ruota, con la romanità cinica e disillusa di chi conosce bene la trafila della miseria. Due giganti che si scambiano ruoli e battute come pugili esperti, ma senza mai colpirsi davvero.
In mezzo a loro, il Paese: una nazione di pacchi dono, falsi commendatori, taxi non pagati e leggi interpretate con l’elasticità della fame. Un’Italia che non sa se ridere o piangere e che Guardie e ladri fotografa meglio di qualunque documentario. Un’Italia dove alla fine si può anche andare in carcere, purché la moglie resti convinta che il marito sia a Napoli per affari.
Conclusione (senza moralismo ma con una stretta al cuore)
Guardie e ladri non è solo una commedia. È uno specchio incrinato nel quale si riflette l’Italia del dopoguerra: amara, stanca, ma ancora capace di ridere – e far ridere – delle sue stesse ferite. È un’opera che ha saputo farsi beffe dei dogmi, ridendo delle gerarchie e raccontando con leggerezza la profondità del dolore quotidiano. Un film dove le risate sono vere, ma le lacrime non sono mai troppo lontane.
Un’opera rara, come una moneta buona in mezzo a tante “patacche”. E forse è proprio per questo che il ladro Totò ci commuove: perché non ha mai truffato un italiano. Solo gli stranieri. Modestamente.
Guardie e ladri non fu solo una tappa importante nella filmografia italiana del dopoguerra, ma segnò un vero spartiacque nella carriera di Totò e nell’evoluzione del cinema italiano degli anni ’50, sia sul piano artistico che su quello produttivo. Di seguito un’analisi dettagliata dei due livelli: Totò e sistema cinematografico.
🎭 L’impatto su Totò: dalla maschera alla persona
1. La svolta drammatica
Fino a Guardie e ladri, Totò era percepito principalmente come una maschera comica, una specie di clown geniale che faceva ridere a prescindere dal contesto. Il suo era un corpo-strumento: un repertorio infinito di smorfie, movimenti convulsi, gesti acrobatici e improvvisazioni verbali che sembravano vivere in un universo parallelo.
Con questo film, accade qualcosa di rivoluzionario: per la prima volta Totò viene messo in relazione profonda con la realtà sociale. È ancora comico, certo, ma la comicità è filtrata dalla miseria, dal dolore, dalla necessità, non più solo dalla farsa.
- Ferdinando Esposito non è un burattino, ma un uomo povero, padre di famiglia, che ruba per fame e piange in silenzio.
- Totò riesce a contenersi, a modulare la sua recitazione: i tic diventano espressione, il corpo una mappa del disagio, le battute un modo per non crollare.
Questo ruolo cambia la percezione critica e industriale dell’attore: da “macchietta” ad attore completo, capace di affrontare ruoli drammatici senza rinunciare alla comicità. E apre la strada a ruoli successivi più sfaccettati e profondi.
2. Il Totò “neorealista” e oltre
Dopo Guardie e ladri, Totò riceverà offerte più articolate, tra cui:
- Totò e Carolina di Monicelli (1955): un’altra storia malinconica, osteggiata dalla censura.
- Il medico dei pazzi (1954) e Totò e i re di Roma (1952): commedie con risvolti tragici.
- I lavori con Rossellini, Zampa, Bolognini e Pasolini, culminati nella sua interpretazione in Uccellacci e uccellini (1966), che proprio Pasolini considerava il suo “più grande attore”.
In altre parole, Guardie e ladri segna l’inizio del Totò attore tragico e del Totò moralista: non più solo interprete del caos, ma figura che denuncia l’ingiustizia sociale, incarnando la dignità del povero senza prediche.
🎞️ L’impatto sul cinema italiano: nascita della commedia all’italiana
1. La sintesi tra realismo e ironia
Con Guardie e ladri, il cinema italiano scopre che si può ridere della povertà senza disprezzarla, e piangere nella risata senza scadere nel patetico. È il primo esempio compiuto di commedia all’italiana, anche se il termine non era ancora nato (lo sarà solo con I soliti ignoti nel 1958).
La formula è ormai chiara:
- ambientazioni realistiche, spesso miserabili;
- protagonisti moralmente ambigui, ma profondamente umani;
- una società confusa, ipocrita, in ricostruzione, vista da un punto di vista critico ma affettuoso;
- uno stile che mescola farsa e dramma, ma sempre con un sottotesto politico e sociale.
Dopo questo film, molti autori e produttori iniziano a capire che il cinema comico può essere serio, e che il dramma sociale può passare attraverso il sorriso. È un nuovo paradigma.
2. L’effetto sul linguaggio produttivo e censoreo
Il successo e la risonanza – anche internazionale – del film hanno effetti immediati su:
- le sceneggiature: si moltiplicano i progetti che raccontano il dopoguerra con occhio ironico (Anni facili, La patente, Il bigamo);
- il casting: attori comici (Sordi, Tognazzi, Manfredi) iniziano a essere considerati per ruoli "seri";
- le trame: si normalizza il racconto della miseria urbana, della corruzione, della piccola illegalità;
- le maglie della censura: sebbene il film abbia subito numerosi tagli, il fatto che sia comunque riuscito a uscire e a vincere a Cannes, ha creato un precedente che rese i censori più prudenti.
In sintesi, il cinema italiano comincia a diventare più disinvolto, più ironico, più coraggioso.
🧩 Totò e la maschera che diventa volto
Guardie e ladri rappresenta la frattura e l’evoluzione della maschera totiana. Fino a quel momento Totò aveva portato avanti un’arte comica quasi surreale, “alta” nel linguaggio ma “bassa” nei mezzi. Con questo film il pubblico vede finalmente il volto dietro la maschera: un uomo ferito, non solo un burattino.
Questa umanizzazione gli permette:
- di espandere il suo repertorio,
- di conquistare una nuova generazione di critici e registi,
- di sopravvivere al declino dell’avanspettacolo e del varietà cinematografico.
E infatti la sua seconda carriera – quella che lo porterà fino a Pasolini e al neorealismo poetico – comincia qui.
📌 Conclusione
Guardie e ladri fu una svolta storica:
- per Totò: lo riscattò da decenni di sottovalutazione e gli aprì la via del dramma;
- per il cinema italiano: segnò l’inizio di un nuovo genere, ibrido e profondamente italiano, capace di far ridere e riflettere allo stesso tempo;
- per la critica e l’industria: mostrò che il pubblico era pronto a sentire, non solo a divertirsi.
Da quel momento in poi, nessun film comico italiano sarà più “solo comico”.
🏃♂️ La lunga fuga iniziale (inseguiti dalla realtà)
Contesto: È la celebre sequenza dell’inseguimento che dà il via alla storia. Totò, alias Ferdinando Esposito, ha appena truffato l’americano Locuzzo con una patacca. Parte un inseguimento tragicomico che passa dalle strade romane alla campagna di Ponte Milvio.
Analisi:
- La sequenza si apre con un taxi che trasporta Totò e l’ignaro truffato, subito seguito dalla guardia Bottoni (Fabrizi) e dal tassista. La velocità dell’azione è sottolineata da un montaggio incalzante, quasi slapstick, ma l’ambiente è sporco, decadente, povero.
- Lo sfondo mostra un’Italia ancora rurale, fatiscente, lacerata: un mondo dove la città si interrompe bruscamente in mezzo ai campi.
- L’ironia nasce dal contrasto tra la serietà dell’inseguimento e l’impossibilità fisica e psicologica dei personaggi di portarlo a termine: Fabrizi è appesantito, Totò è più furbo che atletico, e l’americano è semplicemente spaesato.
- Durante una pausa nella fuga, Totò e Fabrizi si scambiano frasi che rivelano una comune condizione umana. È qui che il tono vira: non sono solo guardia e ladro, ma due poveracci che condividono la stessa fatica di vivere. Questo è il primo indizio della futura solidarietà.
🚽 Totò in bagno con la manetta allo sciacquone
Contesto: Una delle gag più celebri e simboliche. Totò riesce a sfuggire a Fabrizi mentre si trova chiuso in una squallida latrina di campagna.
Analisi:
- Totò è ammanettato a un tubo e costretto a escogitare un piano per liberarsi. La scena è costruita come un momento di tensione comica e meccanica quasi chapliniana.
- Il bagno è sporco, malridotto, con la catena che diventa l’elemento narrativo centrale: la prigione e la salvezza.
- La comicità nasce dal paradosso: Totò, per evadere, si affida alla stessa catenella del cesso. Un’immagine potentemente simbolica del degrado umano e della creatività che nasce dalla miseria.
- Il tono è farsesco, ma l’ambiente suggerisce tutt’altro: il comico è incrostato nella povertà.
🌸 I fiori rubati a Sant’Antonio
Contesto: Per ingraziarsi la famiglia del brigadiere, Esposito ruba dei fiori da una statua di Sant’Antonio e li regala come se fossero un dono comprato.
Analisi:
- La scena è di una dolcezza amara. Il furto non è per profitto, ma per creare un gesto di cortesia: un piccolo atto di dignità in un mondo in cui nessuno può permettersi nulla.
- Il gesto è ridicolo e toccante insieme. Sant’Antonio, patrono delle cause perse, guarda muto la scena: ironico e complice.
- Il furto sacro-profano diventa emblema della “truffa affettuosa” con cui Esposito cerca di compensare la miseria.
🍽️ Il pranzo tra le famiglie
Contesto: Bottoni e la sua famiglia vengono invitati a casa di Esposito per un pranzo. Il tono è surreale: la guardia siede a tavola con il ladro che sta per arrestare.
Analisi:
- L’inquadratura indugia su tovaglie lise, piatti sbeccati, tacchini improbabili. È un realismo minuzioso e malinconico.
- Il cibo, scarso ma celebrato come un banchetto, diventa simbolo di accoglienza e sospensione della guerra.
- Le due famiglie si mescolano come in una tregua tra eserciti: i bambini giocano insieme, le mogli chiacchierano, i due capifamiglia si studiano.
- La scena è straordinaria per il sottotesto: è il momento in cui la guardia diventa “uomo”, abbandona il suo ruolo e inizia a capire il nemico.
📸 La foto con l’americano impallato
Contesto: L’italoamericano Locuzzo, benefattore a tempo perso, vuole farsi fotografare mentre distribuisce pacchi dono ai bambini poveri. Ma Totò e Fabrizi gli “rovinano” l’inquadratura due volte.
Analisi:
- È una critica feroce e grottesca al neocolonialismo travestito da filantropia.
- Il gesto vanesio del benefattore che cerca l’inquadratura perfetta per essere ricordato nella “Storia” si scontra con la comicità slapstick dei protagonisti.
- Fabrizi che lo copre con la schiena insaponata e Totò che passa davanti con aria svagata demoliscono l’autocelebrazione del potere.
🎭 La schermaglia “commendatoriale”
Contesto: Totò chiama Fabrizi “commendatore”, ma quest’ultimo smentisce con fastidio. Ne nasce un dialogo surreale, assurdo e irresistibile.
Dialogo:
- Totò: «Come? Non l’hanno fatto commendatore?»
- Fabrizi: «Perché dovrei essere commendatore?»
- Totò: «Ma come… un uomo così grosso…»
- Fabrizi: «I commendatori vanno a peso?»
- Totò: «Comunque per me lei è commendatore.»
Analisi:
- Il botta e risposta è un gioiello comico, ma anche un’ironia sulla cultura dei titoli onorifici, così tipica del dopoguerra italiano, dove contava più il “commendatore” che il conto in banca.
- Totò, maestro nell’arte del nonsense, crea una verità personale in cui la realtà si piega alla logica dell’assurdo.
👮♂️ Il finale: l’arresto e l’amicizia
Contesto: Totò, consapevole che la fuga è finita, si “consegna” spontaneamente a Fabrizi. La scena è lenta, malinconica, quasi una liturgia.
Analisi:
- Totò prende per mano la guardia e lo accompagna in questura come se i ruoli si fossero invertiti. «Andiamo, bello, su, venga con me…».
- Fabrizi è pronto a perdere il lavoro pur di non consegnarlo. È il gesto più umano e tragico del film.
- La musica de La fioraia del Pincio accompagna la camminata, mentre le due figure si allontanano nell’ombra.
- Il gesto finale (l’accordo delle cartoline spedite da Fabrizi per far credere alla famiglia che Esposito sia “in affari”) è una bugia pietosa e poetica: un ultimo atto d’amore tra due uomini che non possono più fingere d’essere nemici
🎬 Regia: Steno & Monicelli – La commedia al microscopio
1. Il doppio registro visivo: comico e realistico
Monicelli e Steno affrontano Guardie e ladri con una regia mimetica, invisibile ma attentissima, capace di passare da un tono farsesco a uno drammatico senza soluzione di continuità. Questo doppio registro è gestito con grande maestria attraverso:
- inquadrature mobili (carrellate, piani sequenza) durante le scene d’azione o inseguimento, per dare dinamicità e continuità;
- inquadrature statiche e simmetriche nelle scene familiari o nei dialoghi “ad alta intensità emotiva”, per suggerire una sospensione temporale, quasi teatrale.
La comicità nasce spesso non dalla battuta ma dalla composizione stessa dell’inquadratura: Totò che emerge da un pozzo, Fabrizi coperto di sapone durante un inseguimento, oppure la semplice presenza di due corpi opposti (snello e sghembo Totò vs massiccio e rigido Fabrizi) dentro lo stesso campo visivo. È geometria comica, come Chaplin e Tati insegnano.
2. Regia al servizio della sceneggiatura
Monicelli e Steno costruiscono una messa in scena che non sovrasta mai la storia, ma la amplifica. Ogni scena è pensata per valorizzare:
- le sfumature del testo (sempre ricco di sottintesi e doppi sensi),
- la mimica degli attori (in particolare Totò, che va "catturato" nei suoi tic, non domato),
- e i ritmi del montaggio (la regia lascia “respirare” la battuta o l’espressione, evitando i tagli bruschi).
🎥 Mario Bava: La luce nella miseria
1. Una fotografia cupa, teatrale, ma concreta
Nonostante il tono della pellicola sia spesso leggero, la fotografia di Mario Bava è stranamente cupa, piena di ombre, neri profondi e contrasti forti. Una scelta audace, apparentemente in contrasto col registro comico, ma perfetta per un film che vuole far ridere nella disperazione.
Effetti principali:
- Controluce esasperati: spesso i personaggi sono in silhouette contro finestre o paesaggi urbani decadenti.
- Luci radenti: evidenziano rughe, superfici scrostate, muri che cadono a pezzi. Il degrado è letteralmente “illuminato”.
- Uso dei chiaroscuri alla maniera espressionista, soprattutto negli interni notturni (la scena del bagno, la casa di Esposito, i corridoi della questura).
2. Il paesaggio come personaggio
Bava, come già De Sica con Aldo Graziati, rende Roma un attore silenzioso. La città non è cartolina né sfondo romantico, ma una periferia fatta di:
- baracche, palazzi anneriti, strade sterrate, spazzatura, marciapiedi sconnessi.
- I quartieri popolari, mai estetizzati, vengono resi con un occhio documentaristico che si avvicina al cinema verità.
- Inquadrature larghe mostrano l’isolamento fisico dei personaggi, soprattutto nei momenti chiave: la camminata finale, la fuga attraverso i campi, il pozzo.
La cupola di San Paolo, che torna più volte all’orizzonte, ha un valore fortemente simbolico: promessa di un aldilà (spirituale o economico) che però rimane irrimediabilmente lontano.
🎞️ Inquadrature memorabili
1. Il pozzo e l’inversione dei ruoli
Quando Totò si nasconde nel pozzo, l’inquadratura in plongée (dall’alto) mostra il corpo del ladro che scompare nella terra, mentre quello della guardia (che dovrebbe essere “superiore”) appare spaesato e ridicolmente impotente. È un ribaltamento sociale in chiave visiva.
2. Il bagno dell’osteria
Un luogo tragicomico, girato con tagli stretti, quasi claustrofobici. La cinepresa inquadra Totò da angolazioni scomode, disturbanti, per rendere la farsa una vera e propria prigione visiva. L’evasione comica avviene proprio grazie a un movimento improvviso di macchina che “libera” l’inquadratura insieme al personaggio.
3. La camminata finale
Lontani, piccoli, quasi sovrastati da palazzi cupi e mura sbriciolate, Totò e Fabrizi camminano l’uno accanto all’altro, non più antagonisti. La camera indugia, li segue da dietro con lentezza. La luce è livida, l’atmosfera sospesa. Un’ultima passeggiata tra rassegnazione e affetto, mentre una canzone malinconica scivola tra le mura dell’osteria.
🧩 Montaggio e ritmo: il tempo della commedia
Il montaggio alterna ritmi frenetici (le fughe, i malintesi) a pause riflessive. Nei momenti comici, il tempo è gestito con tagli precisi ma non invadenti: si lascia spazio alla mimica, ai tempi comici della battuta, agli sguardi.
Nei momenti drammatici, il tempo si dilata: piani sequenza e campi lunghi aiutano a far emergere il contesto urbano, la solitudine, la fatica.
Un esempio è il tempo sospeso del pranzo in casa Esposito: l’interazione tra famiglie è costruita per accumulo, con piccole micro-gag che si sommano, mentre la cinepresa esplora lo spazio domestico con movimenti discreti e compassati.
📌 Conclusione
Guardie e ladri è un miracolo di equilibrio visivo, dove la regia si mette al servizio della storia e la fotografia eleva ogni scena a una riflessione poetica sulla povertà, sulla solidarietà e sull’assurdità dei ruoli sociali.
Steno e Monicelli dirigono con intelligenza invisibile, lasciando che i grandi attori riempiano lo spazio e che la macchina da presa resti rispettosa. Mario Bava, con il suo occhio da pittore tragico, trasforma la periferia romana in una scenografia quasi metafisica.
Il risultato è un film che ride al buio, letteralmente, e che non ha bisogno di effetti speciali per bucare lo schermo. Gli basta una catenella del cesso, un tacchino e due occhi pieni di malinconia.
Così la stampa dell'epoca
🗞️ L'accoglienza della critica: tra lodi, reticenze e un certo sospetto ideologico
Un capolavoro ambiguo?
Quando Guardie e ladri uscì nelle sale nel 1951, non fu accolto in maniera uniforme dalla critica. Anzi, le reazioni furono complesse e talvolta contraddittorie, proprio per la natura ambigua e innovativa dell’opera. Non era un film "facile" da catalogare: non era un neorealismo puro alla De Sica, ma nemmeno una commedia tradizionale. Era un ibrido, e per questo inizialmente spiazzò.
Alcuni critici di orientamento neorealista puro – vicini al pensiero di Zavattini, per intenderci – storsero il naso: Guardie e ladri sembrava “sporcare” l’ideale neorealista con una risata. La commedia era considerata un genere “leggero”, quasi compromettente per un’opera che parlava di miseria, fame, disoccupazione. Il riso, per alcuni, sminuiva l’angoscia del dopoguerra.
Ma altri, più attenti alla novità linguistica, intuirono subito che si trattava di un'opera rivoluzionaria nel suo modo di raccontare la realtà. Il Cinema – rivista di punta dell’epoca – ne lodò il tono “modernamente critico, ma garbato”, e la capacità “di raccontare senza retorica un’umanità sconfitta, senza spegnere il sorriso”.
Il grande Luigi Chiarini, allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, ne intuì la forza seminale: parlò del film come di un "ponte" tra il neorealismo e qualcosa di nuovo, che solo più tardi si sarebbe chiamato commedia all’italiana.
Lodi internazionali (nonostante le patacche)
All’estero, il film fu capito meglio che in patria. A Cannes nel 1952, Guardie e ladri vinse il Premio per la miglior sceneggiatura. Non poco, se si considera che in concorso c’erano opere di registi come Bresson e Buñuel. La giuria premiò proprio il tono “innovativo” con cui il film affrontava temi sociali usando i registri del comico e del sentimentale.
La stampa francese ne lodò la “grazie tragica” (termine ossimorico perfetto), e Le Monde lo definì «un film sulla miseria che fa ridere, e che per questo fa ancora più male».
Negli Stati Uniti ebbe un’uscita molto limitata, ma alcuni critici – come Bosley Crowther del New York Times – scrissero recensioni entusiaste: Crowther parlò di “a splendid tragicomedy that balances slapstick and despair with astonishing elegance”.
👥 Il pubblico italiano: tra entusiasmo e sgomento
Un successo crescente, non immediato
Al momento dell’uscita, Guardie e ladri non fu un instant success. Il pubblico non accorse in massa nelle prime settimane. Molti si aspettavano il solito “film con Totò” e furono colti alla sprovvista: sì, si rideva, ma alla fine ci si ritrovava con un nodo in gola. Totò non faceva il solito guitto, ma il padre di famiglia affamato, il ladruncolo simpatico e malinconico. Il cambiamento fu dissonante per una parte del pubblico, soprattutto quello popolare.
Ma il passaparola fu potente. Nelle settimane successive le sale si riempirono progressivamente. Il film funzionava per accumulo: la gente ne parlava, lo consigliava, ne citava le battute (“Ma come, un uomo così grosso non l’hanno fatto commendatore?”). I dialoghi tra Totò e Fabrizi entrarono rapidamente nel linguaggio comune, anticipando il fenomeno delle “frasi culto”.
Lo choc Totò
Una parte del pubblico fu sconvolta dal cambiamento di Totò. Il “principe della risata”, abituato a ruoli farseschi, qui appariva vulnerabile, malinconico, tragico. Alcuni spettatori uscirono dal cinema commossi, quasi spaesati: ridevano e piangevano insieme, e non erano preparati a questo tipo di esperienza emotiva complessa. L’effetto fu simile a quello che, anni dopo, avrebbe provocato Alberto Sordi con Una vita difficile.
Per molti fu la scoperta di un altro Totò, più grande, più profondo. Non più solo il corpo elastico e la battuta surreale, ma un attore drammatico vero, capace di guardare in camera con dolore autentico.
📵 La censura: un’accoglienza... problematica
Un film scomodo
La censura non fu parte del pubblico, ma ebbe un ruolo decisivo nel ritardare l’accoglienza. Come già accennato:
- si contestava l’umanizzazione della guardia (Bottoni),
- si riteneva pericoloso mostrare l’amicizia tra delinquente e rappresentante dello Stato,
- si giudicava “vilipendioso” far ridere con un poliziotto che si fa scappare il ladro mentre è in bagno.
Il film venne bloccato ad agosto 1951, e solo dopo tagli, ridoppiaggi e modifiche (come togliere la divisa alla guardia nella scena finale) ottenne il nulla osta per la distribuzione. A quel punto, però, erano già usciti due altri film di Totò, più leggeri: Totò terzo uomo e Sette ore di guai. L’effetto fu di “copertura mediatica”: Guardie e ladri arrivò “in sordina”, ma proprio per questo sembrò un’opera diversa, più matura.
🧠 Ricezione culturale: il film che anticipa tutto
Il primo prototipo della commedia all’italiana
Guardie e ladri fu riconosciuto solo dopo qualche anno come la prima vera “commedia all’italiana”, ben prima di I soliti ignoti. Aveva tutti gli elementi:
- l’ambiguità morale dei personaggi,
- la mescolanza di comico e tragico,
- la critica sociale implicita,
- la narrazione realistica ma leggera,
- il finale dolceamaro.
La cultura cinematografica italiana cominciò a guardarlo con occhi nuovi a partire dalla metà degli anni ’50, quando si capì che Monicelli e Steno avevano aperto una strada. Critici come Tullio Kezich e Morando Morandini negli anni successivi lo indicarono come film cardine, “l’origine mitica del racconto tragicomico italiano”.
🏛️ Ricezione postuma e rivalutazione
Con il tempo, Guardie e ladri è diventato un classico. Oggi è considerato uno dei migliori film italiani del dopoguerra, inserito spesso nei corsi universitari di storia del cinema, citato in saggi, analizzato in ottica sociale e politica.
- La critica ha ormai riconosciuto che il film fu molto più avanti del suo tempo.
- Il pubblico, con la distanza, ha potuto coglierne la grandezza senza il filtro della sorpresa o dell’attesa tradita.
- Totò, grazie anche a questo film, ha guadagnato il titolo (meritato) di attore totale, capace di passare dal comico al tragico con una naturalezza rara.
Guardie e ladri (1951) - Rassegna stampa
«Guardie e ladri», breve recensione al film («Vie Nuove», 6 gennaio 1952): Totò tra genere comico e realtà popolare.
Monicelli: la sera cantavamo con Totò
Nastro d’Argento: storia del premio e i riconoscimenti legati a Totò
Recensione del film «Guardie e ladri» – Corrado Alvaro su «Il Mondo» (5 gennaio 1952): Totò e Fabrizi tra neorealismo e umanità popolare.
Risate in stato d’arresto – «Guardie e ladri» e l’umorismo interrogato dalla censura
Totò premi e riconoscimenti

Non si capisce bene se le discussioni provocate da Anni difficili facciano, a Luigi Zampa. piacere o dispiacere. Genericamente egli si limita a lamentarsi che l'esame del contenuto politico di quel film abbia preso a volte il sopravvento su quello del contenuto artistico e che, nella maggior parte dei casi, lo abbiano osannato o crocifisso secondo una visuale di opportunismo politico. Si. una certa reazione in questo senso Zampa se l'aspettava mentre lavorava al Alm: che si scomodassero le direzioni dei partiti politici e che si facesse un'interpellanza al Senato non l'aveva mai pensato.
Ma la spina di Zampa non è questa: altre opere polemiche prima della sua hanno avuto in altri Paesi, sorte non dissimile. La spina di Zampa é la critica italiana, o meglio quella parte della critica italiana che giudica e manda senza motivare i suoi giudizi. Del pubblico è soddisfatto, il pubblico lo segue, i suoi film incassano; ma questo a Zampa non basta La nostra critica, in genere, non gli è favorevole Ai suoi giudizi negativi e a volte acri, egli contrappone i giudizi della critica straniera positivi, ampi e cordiali.
«Per alcuni nostri critici» egli ha detto «sono press'a poco un pallone gonfiato; per i critici stranieri sono un grande regista, uno degli esponenti del nuovo cinema. Ma passi: questo può dipendere da particolari condizioni psicologiche che portano, per lo stesso motivo. a reazioni diverse. Non posso invece accettare certi giudizi sbrigativi di cui sono gratificato. Io ho molto rispetto per la critica, la considero collaboratrice necessaria al nostro lavoro di registi, utile a segnalarci difetti o ad incoraggiarci là dove meritiamo. Ma quando si è lavorato un anno intorno a un film si ha il diritto di essere giudicati con attenzione e. quando si è sbagliato, di sapere "perché" si è sbagliato».
Zampa, difatti, non fa più di un film all'anno. Dal 1945 ha realizzato Un americano in vacanza, Vivere in pace. L'onorevole Angelina, Anni difficili. Ora sta completando il montaggio delle versioni italiano e inglese del suo ultimo film. Campane a martello, mentre sceneggia con Vitaliano Brancati ed Ennio Flajano Guardie e ladri, un soggetto di Piero Teliini. (A un certo momento si era parlato di un film Anni facili, seguito di Anni difficili, ma Zampa ha preferito abbandonare il progetto).
«Guardie e ladri» ci ha spiegato Zampa «è la storia d'una guardia e della sua famiglia e d'un ladro e della sua famiglia. La guardia si lascia scappare il ladro e deve ritrovarlo. altrimenti finisce sul lastrico. La sua famiglia lo aiuta e, durante la ricerca, viene a contatto con la famiglia del ladro. Una storia attuale, di sapore critico, risolta sul piano umano. quello, per intenderci, di Vivere in pace. per esaminare, al di là della maschera costituita da una professione, il contenuto intimo degli uomini che lottano per la vita. In fondo, sono queste le storie che mi piacciono e mi interessano di più».
Per gli interpreti, Zampa pensa alla Magnani per la parte della moglie della guardia e a Peppino De Filippo per la parte della guardia. «Peppino De Filippo è considerato preferibilmente attore farsesco; ma in Guardie e ladri non dovrà essere tale. Intendo sfruttare la sua capacità di rendere un personaggio vero, con sfumature che non interessano il farsesco ma il satirico e all'occasione il comico».
«Come appare chiaro», continua Zampa, «non si tratterà di un film neorealista. Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione. Come tra fotografia e pittura questa sola ha le caratteristiche dell'arte».
DOM., «Cinema», 28 febbraio 1949
Farà un film con Anna Magnani
Torino, dicembre
Totò s’è già impegnato per una nuova serie di film con la «Lux» e col produttore De Laurentiis che lo legherà anche per tutto il 1951. Il primo film di cui sarà interprete con Aldo Fabrizi, sotto la regìa di Steno e Monicelli, ha per titolo «Ladro e guardia». Chi dei due comici sarà la guardia e chi il ladro? Non lo sappiamo ancora.
Il secondo film sarà «Questi fantasmi» tratto dalla commedia di Eduardo De Filippo. Speriamo che Totò, sotto la regia dello stesso De Filippo, ritrovi la misura che tanto ce lo fece ammirare in «Napoli milionaria». E’ naturale che l’autore del copione e regista dei film, cioè Eduardo, sia anche interprete e che nella parte femminile abbia chiamato la sorella Titina.
La serie non è ancora terminata. Totò ha accettato di interpretare un film a fianco di Anna Magnani. Non esiste ancora il copione, non è stato ancora fissato il regista (sarà Bragaglia o sarà Mattoli?) ma la coppia (speriamo che mantengano fede alle promesse) è già stata impegnata. Durante il 1951 il programma di lavoro del comico Totò, come si vede, è abbastanza nutrito. A questi tre film di un certo impegno si devono poi aggiungere i sei o sette che girerà tra una pausa e l’altra, come per prendere un aperitivo.
I film del comico partenopeo hanno almeno questo di buono: se sono in genere negativi per ciò che riguarda copione, sceneggiatura e regìa (eccezion fatta per «Napoli milionaria») hanno per compenso la spassosa presenza di Totò che, volenti o nolenti, ci strappa la risata con una certa frequenza anche se egli si è ormai fissato su posizioni da cui dovrebbe muoversi rinnovando il suo repertorio di mossette, di finte, di lazzi.
«Il Piccolo di Trieste», 26 dicembre 1950
Il film riesce interessante per l'interpretazione di Fabrizi e Totò.
«Segnalazioni cinematografiche», 1951
Un film senza etichetta, senza limiti di sorta.
Oreste Del Buono, «Milano Sera», 1951
Fabrizi ha sfidato Totò
In “Guardie e ladri” i due attori che si sono trovati per la prima volta l’uno di fronte all’altro hanno cercato Invano di superarsi
Roma, marzo
Fabrizi e Totò insieme. Quale duello ad armi cortesi sì, ma senza esclusione di colpi! Il film è « Guardie e ladri » e lo hanno scritto e ora lo dirigono Steno e Monicelli. Il soggetto è una storia qualsiasi, un pretesto per mettere insieme il romano e il napoletano. C'è bisogno di dire chi è la guardia? Basta pensare un momento al fisico esuberante di Fabrizi, e a quello minuto dì Totò, per capire subito come le parti siano state distribuite. E così Fabrizi, dopo essere stato tranviere, bagarino, vetturino, prete, guitto, impersona ora un brigadiere di Pubblica Sicurezza, dall'aspetto feroce e il cuore grande come una casa.
E Totò è il mariuolo, il ladro, e anzi un ladruncolo, un pezzetto di ladro, buono, in fondo, pure lui come il pane. Ma bisogna pur vivere. E il napoletano, misero, affamato, con gli occhi dolci, ricoperto di un impermeabile leggero come una foglia, con un paio di baffetti a virgola che sono più un tentativo di dichiararsi uomo che una prova di virilità, un povero marioncello da quattro soldi, un « pataccaro » come si dice, a cui l’appetito aguzza l'ingegno, incontra un giorno un emigrante tornato ricco e pacchiano dall’America e tenta di truffarlo, soavemente, umilmente. Ma all’ultimo momento la vittima distoglie gli occhi, dal serpente, ha una resipiscenza, si rende conto dell’inganno, protesta, grida, mentre il piccolo ladro fugge; sopraggiunge una guardia, quello glielo mostra col dito, che sta scappando, e l'inseguimento dal cuore della città prosegue sino in aperta campagna.
Ecco che la guardia ansimante e collerica (ma in fondo buona) riesce a mettere le mani sul miserabile imbroglione, l'ammanetta persino. Ma il ladro, a questo punto, scappa di nuovo: si era era fatto togliere un momento le manette. Da questo istante il brigadiere diventa la vittima. Ha un mese di tempo per arrestare il ladro, in capo al quale, fallendo nell'impresa, sarà esemplarmente punito. Ma siamo o non siamo in un paese di padri di famiglia? Ora è il pane quotidiano del brigadiere, la sua modesta carriera, la pensione e, infine, l'onore che sono in giuoco. E allora la guardia archietatta un piano diabolico.
Un ladro con la faccia come quella non potrà far passare molto tempo senza farsi vivo con la sua famiglia. Spinge dunque avanti la propria, come una formazione a testuggine degli antichi romani, e dietro viene lui, con le manette a catenella. Fa insomma in modo che i suoi familiari facciano conoscenza con quelli del ladro. Da principio i suoi lo secondano a puntino, marciano compatti in difesa del pane quotidiano, obbediscono al disegno del padre e del manto, penetrano con il sorriso sulle labbra nella misera fortezza avversaria. Ma «tutti» abbiamo famiglia. E quella di Totò è così semplice, simpatica, pittoresca, patetica che, in breve, senza neanche sapere come, le due famiglie si legano di una calda amicizia. In un 'clima come questo parole come dovere, regolamento, disciplina è molto difficile, non già applicarle, ma pronunziarle in modo che trovino un’eco.
E quando Totò, inseguito come un cane randagio dall’accalappiacani, ansimante, affamato, toma dai suoi, trova due famiglie strette da un sodalizio esemplare. Una famiglia sola. E’ la lega dei poveri diavoli, in un mondo in cui la vittima finirebbe necessariamente per mettersi d'accordo con il carnefice, e tutti e due marciare compatti verso la rivoluzione. Ma a un film comico nessuno può chiedere una soluzione tanto drastica e conseguente, e la guardia si rassegna, sia pure a malincuore, a portare il ladro in questura. Spalleggiati da Ave Ninchi, Ernesto Almirante, e dalle giovani reclute Rossana Podestà (« Strano appuntamento») e Laurini e Delle Rane («Domani è troppo tardi»), Totò e Fabrizi si contendono la parte del leone, e ciascuno vuole paglia per cento cavalli. E' la lotta del martello contro la foglia, il duello della spada contro la mazza. Già durante le prime scene, girate all'Acqua Acetosa e in un'osteria di via Portuense, i sue principi dell'ilarità si sono comportati da pari loro. Noblesse oblige! E ogni volta che Fabrizi diceva una battuta, Totò si faceva grandi risate, e appena apriva bocca Totò era Fabrizi a guastare la scena, sganasciandosi dalle risa. Naturalmente bisognava ripeter le scene, ma insomma la cavalleria non è morta. « Signori inglesi, tirate per primi! ».
Eppure, nonostante tutto, e cioè la facile filosofia della trama, e il resto che ci immaginiamo benissimo, perché non c'è retorica più a buon mercato di quella suggerita da una situazione come s’è detto, sul film siamo pronti a scommettere ad occhi chiusi. In sfide di questo genere la recitazione del film è la prima cosa che ci guadagna. Ad ogni scena, e a via di scambiarsi cortesie, i due attori faranno di tutto per rubarsi l'effetto. E siamo in cospetto di due assi, di due giganti, come si dice, della risata. Già l'abbiamo visto in «Napoli milionaria» cosa sia capace di fare Totò quando, a recitare insieme a lui, si trovi per avventura un attore della sua classe, che gli serva da stimolo e insieme da freno. Il vero Totò è un attore finissimo, delicato, efficace soprattutto, quando può agire di seconda intenzione. E quanto a Fabrizi, sensibile, estroso, corposo, furbo e avvertito, non sarà certo lui che si farà mettere con le spalle a terra. Il film, è dunque affidato in larga parte a loro due, alle capacità di inventiva; improvvisazione e recitazione a soggetto dei due attori. Né si vuol negare che ciascuno dei due, per conto suo, abbia spalle sufficienti per portare avanti un film da solo. Soltanto, si tratta di due attori generosi, lusingati, carezzati secondo il verso del pelo oltre ogni misura, e quindi, per la stessa forza delle cose, per il fatto di essere grossi personaggi, e in genere di possedere più personalità di quelli che dovrebbero consigliarli e guidarli, portati a strafare.
Messi invece uno di fronte all’altro il discorso sarà differente. Certo ciascuno dei due sarà tentato a tagliarsi, nel vivo della vicenda, una parte più grande possibile, cercherà, perché il suo personaggio abbia respiro e campeggi onorevolmente, di guadagnare spazio intorno a sé, di fare il vuoto intorno a sé; ma nello stesso momento che questo avviene, e necessariamente in presenza dell’antagonista, sarà la reazione, appena sensibile, dell’altro a richiamarlo alle leali regole del giuoco. Lavoreranno, allora, di fino, l'avversario facendo insieme da specchio, da calamita e da pietra focaia. Il limite sarà ciascun attore, allora, a imporselo, condottovi dalla bravura dell’altro. E già i primi aneddoti confermano l’impegno con cui i due affrontano la prova. Per esempio : mentre Fabrizi inseguiva Totò nei pressi dell’Acqua Acetosa, con la pistola spianata, e in uniforme, e gridando con quanto fiato aveva in gola : « Al ladro, al ladro! Fermatelo! » un autentico pizzardone che passava di li, e non aveva visto la macchina da presa, tira fuori la pistola pure lui, e per poco Totò, che sembrava davvero un ladro, non ci va di mezzo.
L’aneddoto ce l’hanno riferito, forse è inventato, ma come esempio di impegno reciproco e di recitazione convincente ci è parso, se non altro, ben trovato.
Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VII, n. 11, 11 marzo 1951
Totò rifiuta di recitare davanti ai suoi antenati
L'8 MARZO, di buon mattino, i registi Steno e Monicelli si sono trasferiti al Foro romano, per girarvi ima sequenza del film «Ladri e guardie». E precisamente la sequenza in cui Totò, con l’aiuto di un compare, affibbia la « patacca » a un turista americano. Vestito da cicerone, con la parola «guida» scritta a lettere cubitali sul berretto, la parrucca e i baffetti finti, ma senza cerone, com’è suo costume, Totò se ne stava in disparte fumando una sigaretta dopo l'altra, e appariva più malinconico e annoiato del solito.
Quando finalmente tutto era pronto per la prima ripresa, un inserviente si è precipitato da Monicelli a dirgli che «Sua Altezza» non se la sentiva di lavorare. Monicelli è subito corso da Totò e gli ha chiesto se si sentiva poco bene. Totò ha scosso il capo : «No, no, sto benissimo. Ma mi sembra poco dignitoso recitare in questo luogo, al cospetto di tanti ricordi dei miei antenati: l'Arco di Costantino, la Colonna dell'Imperatore Foca...». Monicelli ha dovuto faticare assai per convincere Totò a non avere di questi scrupoli.
«L'Europeo», 18 marzo 1951
«Guardie e ladri», film comico a due canne
Due dei più rilevanti attori comici dal nostro cinema, due grandi beniamini del pubblico, Aldo Fabrizi e Totò, saranno a fianco a fianco nel film Guardie e ladri, prodotto da Ponti e Da Laurentiis, tratto da un soggetto di Pietro Tellini, sceneggiato da Vitaliano Brancati, Fabrizi, Flaiano, Maccari, Steno e Monicelli, è diretto da questi due ultimi. Immagini il lettore quali saranno gli effetti di questo abbinamento sulla «cassetta», posto che ciascuno dei due attori suol bastare da sé, per effetto della sua individua comicità, al successo dei propri film, che sono di quelli che si vendono a «scatola chiusa» e mettono di buon umore gli esercenti. Giacché i tifosi cinematografici non sono, per grazia del cielo esclusivi come quelli dello sport, ma hanno il cuore fatto a spicchi e possono mettere affezione a più di un paio d'idoli per volta, è lecito inferirne che Guardie e ladri sarà, commercialmente parlando, la somma aritmetica di due successi. Ma potrebbe anche essere stata (e noi di cuore lo auguriamo) un'eccellente occasione per la fortuna artistica dei nostri due attori, i quali non più soli in un pericoloso vuoto, fuori della possibilità di stendersi e strafare, avranno per avventura gareggiato l'uno con l'altro ai misura a precisione, condizionandosi reciprocamente, mettendo meglio a fuoco, sotto il pungolo dell'emulazione, la propria comicità. Al qual riguardo, ricorderete che già la «combinazione» Totò-Eduardo in Napoli milionaria ha dato ottimi frutti.
Ma veniamo al film, la cui lepida vicenda è quella di due poveri diavoli, un ladruncolo da quattro soldi o una guardia di città, buoni entrambi come il pane, che si affrontano perchè c’è di mezzo l'esistenza delle loro famiglie, e che finirebbero col buttarsi le braccia al collo se la dure legge della vita non intervenirne a dare una piega diversa al loro patetico incontro .[...]
l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 16 giugno 1951
Se è vero che «Ho moglie e figli» è il motto di tutti noi Italiani non c'è ragione perchè non si possa applicarlo alle guardie e ai ladri. Da noi anche l'agente di polizia più arcigno e anche il più incallito borseggiatore conservano, per fortuna, sentimenti umani, con speciale attitudine all’intenerimento quando vibra la corda degli affetti familiari. Il senso del film «Guardie e ladri», di Stano e Monicelli. è appunto questo e non è detta che «Ho moglie e figli» sia soltanto un pietistico appello alla generosità altrui, talvolta è una sorta di tessera di libera circolazione al di là del lecito, tacitamente chiesta e rilasciata, per solidarietà tra i responsabili di vite innocenti. Sembra, questo, un discorso troppo paludato per un film comico: ma «Guardie e ladri» è solo in parte un film comico. [...] C’è, alla base di questo racconto, un artificio fin troppo evidente, consiste nella circostanza che nè i familiari del ladro nè quelli della guardia conoscono la ragione del loro affannoso cercarsi e sfuggirsi; diventano addirittura intimi senza saper nulla gli uni degli altri e gli altri degli uni. Ma Il resto è piacevole, vero e accettabile. Gli stessi interpreti, Fabrizi e Totò, tolti agli epilettici contorcimenti degli usuali loro film, si sono adattati tanto alla irruenza della prima parte quanto alla riflessività quasi elegiaca della seconda, che è la più degna: liberati dall'impegno della comicità salace, fatta di smorfie e di sberleffi, si ripropongono come gli spontanei attori che sono. Qua e là si compiacciono di sè. Indugiano in patetismi sproporzionati: il congedo di Totò dalla famiglia, sul punto di andare in carcere, mentre finge di partire per affari, fa pensare alle estreme volontà del morituro. Diamine, un’eventualità come questa, tre mesi di gattabuia, può sbigottire la gente del reparto galantuomini, ma chi fa raccolta di orologi altrui dovrebbe essersi conciliato con l'idea.
lan., (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 22 novembre 1951
Ci fu un momento in cui si pensò di presentare il film Guardie e ladri, di Steno e Monicelli, al Festival del Lido. E' vero che le pellicole italiane alla Mostra ultima erano piuttosto in tono minore, ma non diremmo che questa avrebbe risollevato le sorti della nostra partecipazione. Detto ciò è onesto aggiungere che si tratta di un film abbastanza azzeccato e, in sostanza, gradevole; e che si estranea dalla produzione normale della comicità cinematografica anche perchè ha natura, sostenutezza e significati che non appartengono affatto a una tale comicità.
Se mai, si tratta di una derivazione del realismo. In taluni punti meditata e, addirittura, malinconica. Guardie e ladri considera con la stessa comprensiva bonarietà gli esponenti delle due opposte attività. quella che difende gli onesti e quella che li insidia; sono uomini tanto gli agenti quanto coloro che rubano, ciascuno si procaccia il pane come può. La tesi é discutibile, naturalmente, ma non è discutibile che anche i ladri, nel quadro della loro vita familiare, possano essere raffigurati agli occhi del loro avversari, le guardie, come mariti e padri affettuosi. [...]
Art, «Corriere dell'Informazione», 22 dicembre 1951
Totò ha dato estrema dignità a un personaggio che poteva invece riuscire tutt'al più degno di commiserazione [...] il prodigioso pupazzo meccanico, l'eccezionale mimo, che per anni ha dovuto sottostare alle leggi del mercato, rispondere alla domanda con prestazioni quantitativamente adeguate, essere sempre e invariabilmente se stesso, quello del primo applauso, ritagliare ogni personaggio sullo stesso modello; cambiarsi, frenarsi [...] con una recitazione semplice e al tempo stesso piena di fantasia l'attore regge da maestro un personaggio tipico delle cronache italiane, dei banconi di pretura, con gli abiti lisi e la barba i tre giorni. [...] Totò è un attore, mentre Fabrizi è un attore romano." [...] Eccolo dunque il grande attore che il nostro cinema cercava e col quale per anni si era inconsciamente sollazzato credendo di avere a che fare solo con un prodigioso pupazzo meccanico, un eccezionale mimo. [...] La gara fra guardia e ladro si è risolta con la sconfitta del primo.
Lamberto Sechi, «La Settimana Incom», 23 dicembre 1951
[...] «Guardie e ladri» diretto da Steno e Monicelli, i quali hanno lavorato su di un soggetto di Tellini «trattato» tra l’altro da Ennio Flaiano e da Vitaliano Brancati, non vuole soltanto affondare nel pelago delle risate ma ha una certa pretesa (realizzata però in parte) di estendere il tono del racconto cinematografico a significati più umani e non esenti da una marcata amarezza (si veda tutto il finale del film dove evidenti sono gli echi chapliniani).
L’interpretazione di Totò è insolitamente misurata e quindi efficacissima; quella di Fabrizi acuta ed indovinata appunto perchè tenuta su di un piano discreto e vorremmo dire sommesso. Tra gli altri attori; Ave Ninchi, la brava Piovani (la moglie di Totò), l’acerba Rossana Podestà, l’incolore Gino Leurini, ed il sempre divertente Ernesto Almirante: un nonno con i flocchi.
t. ci., «Il Lavoro», 23 dicembre 1951
Non è un film farsesco come potrebbe far credere da presenza di Totò e Fabrizi, ma un film nel quale gli elementi comici senza mai cadere nelle smaccate buffonerie in cui siamo soliti vedere impegnati i due assi, sono mescolate ad elementi patetici; anzi scivolando spesso su un piano che vuole essere se non proprio toccante, certamente comprensivo, esso permette ai due attori di dare ai rispettivi personaggi toni di sentita umanità.
Nella contrapposizione fra guardia e ladri, due categorie eternamente nemiche, portate a combattersi, a disprezzarsi e ad odiarsi reciprocamente, Steno e Monicelli, autori del soggetto e registi, hanno cercato di mostrarci quanto c'è di umano né gli uni né gli altri al di là della durezza e dell'infamia professionale punti gli affetti familiari, i sentimenti, le pene, le gioie, le care cose che si amano e ci fanno soffrire.[...] Siamo nel campo di un sentimentalismo piuttosto facile e di maniera; ma la discrezione con la quale vi procedono i registi e, soprattutto, gli interpreti attenua la deamicisiana retorica di certe posizioni e di certi sviluppo. L'insieme è gradevole, mosso vario, colorito. Totò si fa ammirare per quel tanto di professionalmente ipocrita che dà alla sincerità del personaggio, Fabrizi per Cordialità e la affettuosità che mette nel suo ruolo di persecutore.
E.C., (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 23 dicembre 1951
«Giornale d'Italia», 22 dicembre 1951
«Giornale d'Italia», 23 dicembre 1951
«Giornale d'Italia», 24 dicembre 1951
al. or. (Alfredo Orecchio), «Paese Sera», 25 dicembre 1951
Monicelli e Steno, registi anche troppo pronti ai facili film comici del più mediocre livello, ci danno qui, con un'opera d'ispirazione popolare e leggermente satirica, un esempio dei migliori risultati a cui, con un minimo d'impegno, potrebbe giungere il cinema comico italiano. Imperniata sui due protagonisti Totò e Fabrizi, la commedia di «Guardie e ladri» prendendo le mosse dalle solite mossette e dai consueti lazzi dei due popolari comici s'arricchisce poi dell’osservazione della realtà romana mostrandocene con comprensione la miseria materiale e la ricchezza d'umanità. [...] Pur nella sua modestia, «Guardie e ladri», sa mettere in rilievo le qualità comiche di Fabrizi e Totò, più volte irresistibile, e costituisce una sia pur velala satira d’un sistema che, nella caratterizzazione delI’americano odioso viene efficacemente bollato.
«l'Unità», 27 dicembre 1951
Verso la fine di «Guardie e ladri», Totò e Fabrizi, l'uno da ladro e l'altro da poliziotto, inseguito e inseguitore, devono dirsi alcune parole amare sulla loro condizione, giustificandosi e quasi scusandosi reciprocamente sulla ineluttabilità ael loro mestiere, come in una favola in cui il gatto e il topo, venuti alle corte, si confidassero. Dietro al ladro e al poliziotto, c'è una società che si difende dai ladri per mezzo dei poliziotti; ma gli uni e gli altri, almeno in questo film, senza una vera vocazione per il loro mestiere. Pare non ci sia di meglio da fare, per alcuni tipi, come i protagonisti di questo film: tutti e due buoni padri di famiglia che vogliono crescere figli onesti e laboriosi; anzi il ladro, in questo senso, è il più esemplare. La sua famiglia non conosce, e non si cura di conoscerlo, il genere di lavoro con cui egli sbarca il lunario. E' fatalità, è destino, è cattiva fortuna. Non è nemmeno cattiva organizzazione della società. Il film non vuole dire questo. La società è veduta così, come un profondo regno animale dove gli eventi si svolgono con la cecità del caso.
Lo scenario dell'azione aiuta questa impressione. E' Roma, ma sono i quartieri romani delle borgate, con le misere casupole fradice di pioggia, le strade senza selciato che si trasformano in pozzanghere, e in alto la sommità dei monumenti lontani e dominanti, le cupole delle basiliche, un paesaggio che non ha nulla da spartire con l'umanità che vi si agita e vive e cerca ragioni di vita, un paesaggio di città astratta che ha finito di vivere nel tempo. E’ una delle impressioni più forti di questo film con la sua rude morale e che ha un solo momento in cui si falsa, proprio niella scena del ladro e del poliziotto di fronte, quando dopo essersi evitati e cercati per tutto il film, si confidano le loro ragioni e la fatalità della loro inimicizia. C'è in esse qualcosa di dolciastro e di falso mentre il film non è mai caduto nel sentimento fino a questa scena. Per precisare e dire troppo, la scena perde d‘'efficacia. Ma la situazione è bella, ed è la replica di una simile che apre il film e che là è riuscita, dà più grande effetto comico e patetico. [...]
Una delle prime impressioni, e determinante per tutto il film, è la scena con cui si inizia, nel Foro Ramano. Non v’è retorica, non v'è grandezza né memoria né storia. Appare un mucchio di rovine e di colonne ridotte a pietrame, sotto un cielo grigio. E’ la scena in cui Totò appiccica la solita patacca allo straniero, l’americano. C'è un rifiuto dell'estetismo, una noncuranza verso i pretesti del bel quadro e della bella illuminazione. E’ da credere che in altri tempi quando ci si rivestiva di illusioni grandiose e gratuite, l’arrivo d'un enorme vassoio di spaghetti come si vede qui in una scena, avrebbe fatto strillare tutte le oche del Campidoglio retorico nazionale. Il fatto è che le qualità umane che affiorano in questo film, e non d'una bontà programmatica e di maniera, compensano largamente l'ostentazione dei «macaroni» e dei ripieghi per vivere. In questo racconto senza compiacimenti, senza un minuto di sosta per guardare in alto un cielo del resto indifferente, appaiono alcuni visi di ragazzi e di ragazzi e di monelli d'una grazia e d'una distinzione popolare, come a ritrovare, fra tante scorie, una nobiltà storica e naturale. É tutto questo tra americani truffati, e pacchi dono con una delle tante sigle che oggi regolano il mondo; e un’umanità che ha poco lavoro tra molta ostentazione di beneficenza. Il film è pieno di queste suggestioni che il pubblico carpisce al volo e di cui ride amaro.
Il soggetto di «Guardie e ladri» è di Cario Tellini, la sceneggiatura di Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano e altri, la regia di Steno e Monicelli, la fotografia di Bava. Il racconto avrebbe potuto essere condotto con l'impeccabile modulo del racconto poliziesco inglese, quello letterario e tutto provvidenziale di Stevenson o di Chesterton, o quello cinematografico con la tecnica del «Terzo Uomo». Girarlo fidando sugli elementi dinamici del racconto pieno di bravura, senza preoccupazioni di genere, offriva il pericolo d’un certo realismo dialettale e piccolo borghese. Vi cade talvolta, ed è un peccato perché Totò e Fabrizi qui sono, nella loro parte, in vena come in pochi altri lavori. [...] L'ultima scena, del ladro che ha pietà degli improvvisi rimorsi del poliziotto e lo incoraggia ad arrestarlo, riscatta del tutto un personaggio che proprio qui, vincitore, rischiava di riuscire antipatico.
Corrado Alvaro, «Il Mondo», 5 gennaio 1952

Guardie e ladri ripropone con una sensibilità ed una comprensione che è tutta di casa nostra, la charlottiana situazione del poliziotto e del ladro. Da questa rielaborazione di un tema comico, vecchio quanto il vecchio Sennet, sono nati due personaggi simili ma opposti: quello dell'Esposito e quello del Bottoni, rispettivamente impersonati da Totò e da Fabrizi. La sorpresa maggiore del film è la nuova linea lungo la quale i registi hanno fatto muovere Totò.
Un Totò finalmente, attore completo ed umano e non il solito mimo dei vari film di Mattoli o Simonelli. Si veda la significativa sequenza dell'inseguimento che si muta gradatamente in colloquio tra inseguito e inseguitore e quella dalle cento trovate del pranzo finale che si conclude nella lunga inquadratura dei due nemici-amici che vanno verso la sezione di polizia. Un incontro felicissimo questo fra Totò e Fabrizi e dal quale, scaturisce continuo il divertimento dello spettatore.
«Corriere del Sabato», 2 febbraio 1952
Riappare in questo film il Totò di Yvonne la nuit e di Napoli milionaria, un Totò, cioè, diverso da quello delle dozzinali proiezioni che egli sforna a ritmo Incessante a fianco di questa o di quella vedetta del nostro schermo. Pur mantenendo la principale sua caratteristica di mimo arguto, una vena di sentimento egli lascia qui trasparire, clic commuove In qualche punto, anche se troppo sovente sconfini in vago sentimentalismo. Potente e suggestiva l'ultima scena, in cui la guardia (Fabrizl) e il ladro (Totò) si trovano finalmente di fronte.
Più che i due protagonisti, sono i casi loro che si scontrano, e le vicende dell'uno si confondono con quelle dell'altro. Il problema dell'allegro furfante e quello del burbero agente —un burbero benefico e dal cuore piccolo — è svolto con naturalezza, con arte, onde lo spettatore non può non partecipare a quelle vicende e a quel problemi. Da un lato, l’uomo che non vuole che la sua famiglia venga a sapere che finirò in guardina, che i suoi vengano a conoscere qual genere di affari egli ha finora trattato: dall'altro, l’uomo di legge che comprende, ma non può far nulla, che per acciuffare il ladro ha fatto l'impossibile, ma che i casi suoi non gli consentirebbero di mandarlo libero come il cuore vorrebbe. E la conclusione è un capolavoro di finezza: vi traspare un senso di delicata e reciproca comprensione, che porterà il ladro in prigione e la guardia a proteggere la famiglia del suo perseguitato.
Si potrebbe fare qualche rilievo: accenniamo solo alla scena della preghiera di Totò davanti alla statua di S. Antonio, nella quale tutta la sua bellezza e spontaneità si perdono irrimediabilmente in quell'atteggiamento da collotorto che tradisce una poco simpatica, anzi stonata, irriverenza.
emme, «L'Eco della Zizzola», 7 febbraio 1952

I film comici sono quelli più difficilmente esportabili, soprattutto quando la loro capacità di far ridere è affidata alla battuta, che è tanto più viva e immediata quanto più è legata agli avvenimenti, ai modi di vita, ai difetti stessi del pubblico cui si rivolge. La difficoltà non è soltanto nostra. Nils Poppe è un comico che in Svezia ha un grande successo e da noi è quasi sconosciuto; nel Messico e in tutti i paesi di lingua spagnola, Cantinflas fa torcere gli spettatori sulle poltrone: in Italia lo si è visto, se non erro, in un solo film. Eppure, col sistema del doppiaggio, la penetrazione nel. nostro paese è facilitata, dando al doppiaggio la possibilità di modificare il dialogo, e di sostituire le battute originali con altre battute o, con giuochi di parole di sapore nostrano.
I nostri film vanno all’estero non doppiati, con sottotitoli, e quindi, anche ammettendo che i film comici siano di buona lega, e non quelle birbonate che invece quasi generalmente sono, essi risultano incomprensibili. Dove sono stati proiettati, l'incauto acquirente si è amaramente pentito. Recentissimo è l'insuccesso in Brasile di «Totò Sceicco», tanto per citare un titolo, mentre, come ho personalmente constatato in Uruguay, Totò è piaciuto in «Guardie e ladri» al Festival cinematografico di Punta del Este, e piace anche altrove, quando si trova impegnato in film che si potrebbero meglio definire commedie comiche. Lo stesso discorso vale per Fabrizi e altri attori comici. Essi sono esportabili quando sono non buffoni ma caratteri.
Domenico Meccoli, «Epoca», 5 aprile 1952
Ridere non vuol dire nascondere la realtà
A colloquio con Steno e Monicelli - Umoristi e registi cinematografici - La nuova via del film comico aperta da «Guardie e ladri» La censura si accanisce contro «Totò e i sette re di Roma» - Comicità e tragedia nelle «Infedeli»
Roma, 28 novembre
Steno e Monicelli costituiscono in Italia un binomio molto popolare, perché legato ad una serie numerosa di film comici, alcuni del quali notevolmente significativi, come Guardie e ladri e il recente Totò e i re di Roma. In questi due film, e particolarmente nel primo di essi, si notano alcune caratteristiche che li differenziano dalla media della produzione comica italiana; l'umorismo di Guardie e ladri e di Totò e i re di Roma non é, infatti, gratuito e campato in aria, ma si riferisce ad aspetti reali della vita italiana d'oggi. In entrambi i film il protagonista, Totò, oltre a farci ridere, riesce, a tratti, a commuovere con la amara e dolorosa umanità del suoi personaggi. [...]
Nel corso di un lungo e interessante colloquio con i due registi, abbiamo, fra l'altro, chiesto loro informazioni sulle traversìe subite a causa della censura dal film Totò e i re di Roma. Abbiamo chiesto, in particolare, se fosse vero che nel film erano state soppresse molte scene.
— Effettivamente — rispondono Steno e Monicelli — mancano nell'edizione definitiva del film alcune scene molto importanti; per esempio, alla fine, il povero impiegato che aveva cercato la morte per poter andare nell'aldllà (la censura, fra parentesi, ha voluto che alla parola «aldilà» fosse sostituita la parola «Olimpo») a prendere i numeri del lotto e darli in sogno alla moglie, si sfogava con iI Padreterno e gli diceva press'a poco: tu che ti preoccupi tanto di me, dei miei peccatucci, della mia vita piena di miserie e di sacrifici, guarda, guarda un po’ la terra e vedrai come le cose vadano male; c’è la miseria, c’è la guerra, c’é la bomba atomica e un sacco di altri guai. Non faresti meglio ad occuparti un po’ di quello che succede laggiù? Questo finale, che avrebbe dato al film una carica satirica e drammatica molto più forte di quella che esso ha, è stato tolto di mezzo dalla censura.
— La censura — ci spiegano i nostri interlocutori — specialmente quella non ufficiale, quella cosiddetta «preventiva», è un grave ostacolo al nostro lavoro. Certi temi non si possono nemmeno toccare. Noi vorremmo che si avesse un po’ più di fiducia in noi e che ci si permettesse di realizzare film in pace, fidando nel nostra senso di responsabilità.
Il discorso cade ora sull’influenza che il cinema italiano del dopoguerra può aver esercitato specificamente sul nostro film comico.[...]
Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952
Al cinema "Fiamma" arrivano i Nastri
Montgomery Clift entrò nella sala del cinema "Fiamma”, a Roma, e inciampò nelle lunghe gambe d’un signore seduto accanto all’entrata. «Sorry!» disse. «Sorry!» rispose il signore seduto che era Kirk Douglas. Intanto era intervenuto un terzo personaggio che voleva Clift accanto a sé, ed era Selznick, produttore di ”Via col vento” e marito di Jennifer Jones.
A quei signori abitualmente residenti ad Hollywood non sembrava strano incontrarsi in un cinematografo romano: né al pubblico romano sembrava strano vedere divi stranieri tanto noti, perché ormai sia gli uni che l’altro si sono abituati alla convivenza. Quella sera, poi, si svolgeva una cerimonia stretta-mente imparentata con la distribuzione degli "Oscar” americani: il sindacato giornalisti cinematografici distribuiva i suoi "Nastri di argento”, che ricompensano attori e realizzatori che si sono particolarmente distinti nei film dell'anno.
Nessuna altra occasione può riunire in una sala tante personalità del mondo di pellicola. Registi, attori, attrici, gente già celebre e gente che spera vivamente di diventarlo, sedevano in platea, davanti ai riflettori dei cinegiornali e della televisione. Annamaria Pier-angeli presentava amici italiani a Kirk Douglas, Titina de Filippo discuteva con Umberto Spadaro, Dina Sassoli pensava alla "Campagnola” gialla lasciata al posteggio, tra tante macchine di lusso.
I principali premi vennero assegnati a Renato Castellani per il miglior film (Due soldi di speranza), ad Anna Magnani per la miglior interpretazione femminile in Bellissima, e a Totò per quella maschile in Guardie e ladri. Totò salì a ricevere il "Nastro” con attitudine per metà principesca e per metà di comico: ma la prima metà sfuggì all’attenzione del pubblico, pago della seconda. Maria Fiore invece, che ritirò il premio per Renato Castellani (il regista era a Londra), non era già più la ragazza timida e schiva di un anno fa; in pochi mesi ha interpretato tre film, ed è già quasi una diva. A Gallea tocca il "Nastro” per la miglior fotografia.
Dopo la consegna dei premi al "Fiamma”, il presidente e il vicepresidente del sindacato dei giornalisti cinematografici uscirono in fretta dalla sala perché dovevano correre all’ Eliseo. Infatti un "Nastro d’argento” era stato assegnato a Paolo Stoppa, per il complesso della sua attività cinematografica, ma l’attore, impegnato nella "Locandiera” di Luchino Visconti, non aveva potuto lasciare il palcoscenico per ritirare il premio. Glielo portarono affettuosamente in teatro, consegnandoglielo nell’atrio dei camerini. Era una scena strana, due signori in abito scuro davanti a un uomo dalla lunga parrucca grigiastra. Dalle scale occhieggiavano attrici in costume settecentesco, Stoppa era visibilmente commosso e Rina Morelli, da un angolo d’ombra lo guardava sorridendo.
Poi tutti quegli estranei al teatro uscirono, e Memo limassi, che stava salendo, li guardò passare sbalordito, senza capire che fosse accaduto. Intanto al "Fiamma” la cinematografia italiana al completo imparava da un film che i filippini, invece di baciarsi, si strofinano naso contro naso.
«Settimo Giorno», anno V, n.48, 3 dicembre 1952
Per consegnare a Paolo Stoppa il Nastro d'Argento attribuitogli per il complesso delle sue interpretazioni cinematografiche, sono andati a pescarlo al Teatro Eliseo dove stava recitando nella « Locandiera » di Goldoni. Glielo hanno appuntato solennemente sul petto e poco ci è mancato che, nell'emozione, di lì a poco Stoppa non entrasse in scena col glorioso distintivo che riproduce in argento uno spezzone di pellicola.
I Nastri d'Argento sono i premi istituiti dal Sindacato dei Giornalisti Cinematografici per premiare ogni anno i film e gli uomini che più si sono distinti nel campo della cinematografia. Quelli consegnati al Cinema Fiamma la sera del 21 novembre si riferivano alla stagione 1951-52. Il cinema era gremito di produttori, scrittori, registi e attori nostrani, e degli stranieri presenti a Roma, con Selznick, Montgomery Clift e Kirk Douglas che era in compagnia di Anna Maria Pierangeli. Montgomery Clift ha ritirato il Nastro assegnato a « Un posto al sole », miglior film straniero, da lui interpretato.
La parte del leone è toccata a « Due soldi di speranza » di Renato Castellani; gli sono andati i premi per il miglior film, il miglior scenario (scritto da Titina De Filippo, E. M. Margadonna e Castellani) e la migliore fotografia (Gallea).
Anna Magnani è stata giudicata la migliore attrice per l'interpretazione di « Bellissima », Totò il migliore attore per « Guardie e ladri », il maestro Mario Nascimbene il miglior musicista per il commento di «Roma, ore 11 », Fernandel il migliore attore straniero che abbia preso parte a un film italiano (« Don Camillo »), Virgilio Sabel il miglior documentarista (« Ricerche del metano e del petrolio »). Per la produzione straniera, Bette Davis (« Eva contro Eva ») e Alec Guinness (« Mr. Holland ») sono stati ritenuti gli interpreti più degni.
Erano in palio anche Nastri per la scenografia e per attori e attrici non protagonisti ma la Giuria ha ritenuto di non poterli assegnare.
II grande escluso è Vittorio De Sica, nonostante « Umberto D. ». Egli tuttavia non se l'è presa. Era anche lui in sala ed è stato il primo ad applaudire i premiati, fra i quali mancavano la Magnani (a Parigi) e Castellani (a Londra). È vero che altre volte aveva fatto lui la parte del leone ma che « Umberto D. » non risultasse in qualche modo citato è sembrata un pò grossa.
Tuttavia, se sono vere le voci che ci sono giunte all’orecchio, gli è andata bene. La Giuria è stata sul punto di assegnargli il Nastro destinato al miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di « Cameriera bella presenza ». Sarebbe stato molto malinconico. Per lui e per le decine di attori minori che nelle parti secondarie cercano di aprirsi la strada.
D.M., «Epoca», anno III, n.113, 6 dicembre 1952
Totò e Fabrizi giocano a "Guardie e ladri"
La pellicola di Steno e Monicelli permise al comico napoletano di dimostrare nell'anno 1951 le sue capacità di vero attore anche del cinema
Il film che la tv presenta questa sera — Guardie e ladri — rivelò finalmente, a suo tempo, la vera arte di Totò, attore comico e, nello stesso tempo, profondamente umano. In altri termini, fino a quando non usci questo film (dicembre 1961), Totò era stato sullo schermo sempre e soltanto il protagonista di farsacce, in cui venivano affastellati «sketches» di riviste, e non aveva ancora dato, per il cinema, la misura delle sue capacita di vero attore. Guardie e ladri è un soggetto di Pietro Tellini, sceneggiato da Steno e Monicelli, che ne sono stati anche i registi. [...]
«Stampa Sera», 22 dicembre 1959

Molte volte, analizzando gli innumerevoli filmetti interpretati da Totò, avevamo malinconicamente concluso: «il film di Totò è ancora da fare». Ma il 23 dicembre del 1951 avemmo una lieta sorpresa: grazie a Piero Teliini soggettista ed agli sceneggiatori-registi Steno e Monicelli, Guardie e ladri ci apparve un’opera che non ripeteva i vecchi moduli della più facile e consunta «cinematografia», ma che sul filo di una trama umana rivelava un Totò attore, di uno «charlottismo» che non era imitazione pedestre ma italianissima ricreazione. Insomma dalla farsa più vieta, dagli sketches rivistaioll. si era improvvisamente raggiunto — ed i telespettatori potranno rendersene conto stasera — il livello di un vero e proprio «umorismo». [...]
Su questa storia, che illumina i rapporti di due uomini stanchi, con le loro preoccupazioni, i loro guai d’ogni ora, Steno e Monicelli hanno costruito un film eccellente: anche se in qualche momento quella che avrebbe potuto essere poesia rimane nei limiti del patetico, si sente circolare dalla prima all'ultima inquadratura una calda umanità. Il primo tempo contiene un brano di eccezionale efficacia e di grande bravura tecnica: l’inseguimento che, ad un certo momento, diventa un colloquio tra l’inseguito e l’inseguitore.
Il secondo tempo, che è tutto impostato e tenuto su un piano umoristico-malinconico, ha il suo gioiello nel blocco dell’incontro tra poliziotto e ladro (con quel parlarsi a distanza, una distanza che diminuisce sempre più fino a che i due non si trovano, seduti su uno stesso gradino, a confidarsi le rispettive pene). Un buon film, dunque, anzi un ottimo film, assai ben condotto e che, come s’è accennato, rivela un Totò attore umano e compiuto, a cui si affianca un Fabrizi calibrato, «tenuto» come non mai. Intorno ai due protagonisti si muovono Ave Ninchi, la Piovani, Ernesto Almirante, Rossana Podestà, Gino Leurini e il povero Tubbs.
«Radiocorriere TV», dicembre 1959
Le risate sul set con Aldo Fabrizi
Lavorare con Totò era un piacere, una gioia, un godimento perchè oltre ad essere quell'attore che tutti riconosciamo era anche un compagno corretto, un amico fedele e un'anima veramente nobile. Ogni giorno il nostro incontro in teatro, mai prima delle 13 (Totò era più nottambulo che mattiniero, mentre io pur rincasando tardi mi svegliavo presto: lui arrivava fresco fresco, leggero leggero, ed io che avevo già sforchettato, pesantino pesantino, dovevo ricorrere a doppi caffè anti pennichellistici), dicevo, il nostro, incontro avveniva sempre con un abbraccio sinceramente affettuoso e due bacetti, uno di qua, uno di là.
Nel breve tempo che ci preparavamo per la scena da girare, c'era il solito scambio informativo a base di «come te senti?», «hai dormito?» e altre domandine e relative rispostine personali.
Arrivati davanti alla macchina da presa, cominciavamo l'allegro gioco della recitazione prevalentemente estemporanea che per noi era una cosa veramente dilettevole. C'era soltanto un inconveniente che diventando spettatori di noi stessi ci capitava frequentemente di non poter andare più avanti per il troppo ridere. Il guaio, però, era che la cosa non finiva lì poiché bastava una battuta nuova, un gesto impreveduto, una reazione inaspettata per dover interrompere nuovamente il
dialogo con disappunto di noi stessi che, pur lieti e felici per il divertimento nostro e dei presenti, ci davamo complimentosamente la colpa l’un con l'altro. Se il regista visti gli inutili tentativi di sottrarci a queste crisi di fanciullesca irresponsabile ilarità, proponeva di girare due primi piani in controcampo, per utilizzare i pezzi buoni, noi ci impegnavamo solennemente di farla per l'ultima volta senza interruzione, come si addice a due professionisti seri e consapevoli del costo della pellicola.
Pero non convinti di quanto promettevamo, scoppiavamo in una irrefrenabile risata, cercavamo di giustificare all'attonito regista che il nuovo attacco era soltanto uno sfogo per scaricarci da ogni eventuale pericolo di ricaduta.
Tuttavia, prima di girare cercavamo di rattristarci nominando la nostra età, le nostre tasse e, se in quei giorni era avvenuta la dolorosa scomparsa di un nostro amico, mancato all'affetto dei suoi, cari, ricorrevamo anche a questo luttuoso freno. Ma dopo un'espressione di concentrato cordoglio, purtroppo sbottavamo vergognosamente a ridere prima del ciak.
Aldo Fabrizi, «Corriere della Sera», 15 aprile 1977
Poveri ma belli (e corteggiati)
Festival del cinema italiano a Nizza. Una rassegna-omaggio ai « mostri sacri » che hanno dato lustro alla cinematografia nostrana - Quasi un culto verso Gina Lollobrigida - Mancano i giovani
Dal nostro Inviato
NIZZA
SPQF, ovvero Sono Pazzi Questi Francesi!, Vien da dire, parafrasando Asterix, alla sola idea di un Festival permanente del cinema italiano, da quest'anno in poi, sulla Costa Azzurra, a pochi chilometri dalla mitica Croisette di Cannes, che prepara i suoi titoli a caratteri cubitali, i tuoi mille schermi da accendere a maggio. Ma perché? «Perché noi, meglio di chiunque altro, sappiamo capirvi! Perché noi, più degli altri, sappiamo amarvi!», esclamava con voce commossa Jacques Médecin, sindaco di Nizza, mentre uno dei cieli più miti del mondo veniva improvvisamente squarciato da tuoni e lampi. Ti pareva, come minimo...
«E’ arrivata la bufera/ è arrivato il temporale/chi sta bene e chi sta male /e chi sta come je pare»: scherzi a parte, questo refrain di Renato Rascel qui otterrebbe un successone, visto che impazza un omaggio a Gina Lollobrigida, vecchia réclame di una altrettanto remota opulenza femminile (Lolo, in Francia, era una forma gergale per indicare un paio di tette felliniane che, a quanto pare, ancora funziona).

[...] Proprio Monicelli, l’artigiano per eccellenza del nostro cinema, è un gran festeggiato a Nizza. Gli sbagliano tutti i titoli dei film (I compagni diventa «I compagnoni» o «I compagnini». Totò e i re di Roma risulta «Totò e i rei di Roma», secondo la tipica arte francese del refuso), però vengono fornite notizie davvero minuziose sulla sua lunga e intensa carriera. Lo sapevate che Monicelli era stato aiuto regista di Camerini e Bonnard, aveva sceneggiato con Riccardo Freda e Raffaello Matarazzo, aveva scritto una commedia in tre atti intitolata Piccola stazione di campagna e rappresentata nel '55?
Sì, si, questi francesi ci amano sul serio. Ma non sono granché ricambiati, vista la penuria di film al primo Festival di Nizza (inediti in Francia, soltanto i viaggiatori della sera di Ugo Tognazzi, anch’egli, come Monicelli, la Vitti e la Lollo insignito di una personale, Il garofano rosso di Luigi Faccini, Il matto di Franco Giornelli, e, tirato per i capelli, il bel mediometraggio di Martin Scorsese Italo Americani, dedicato ai suoi oriundi genitori) dovuta alla diffidenza simpaticamente cafona di molti nostri produttori e distributori. Insomma, noi i film (quei pochi degni rimasti) li vendiamo, mica li portiamo in villeggiatura, sembra che abbiano pensato questi poveri bottegai poco avvezzi alle lusinghe e ai modi garbati.
Perdonateli. Ma intanto, mentre a Nizza si fraternizza, si raccolgono complimenti e si sentono fare apprezzamenti non proprio di buon gusto sulla salute dei nostri film, in Italia c’è il colosso francese Gaumont che incalza come una ruspa, cercando di costruirsi un impero sulle macerie del nostro circuito cinematografico. Mossa napoleonica.
Torniamo dunque a Monicelli, l’unico autore che ci interessa riosservare un attimo, da «forestieri», in questo bizzarro contesto. Rivedendo Guardie e ladri, con quei duetti irresistibili di Totò e Aldo Fabrizi, goduti dal pubblico nizzardo in maniera così fresca ed esuberante, quella malattia di cui si parlava diventa grave. E questi ridono. «Si facciano una bella risata su questo paio di baffi». gli avrebbe risposto Totò.
Secondo loro noi, adesso, su due piedi, dove lo andiamo a trovare un Totò? E De Sica, Visconti, Pasolini, Rossellini? Qui insistono col dire che Sordi, Manfredi, Tognazzi. Gassman. Mastroianni, e Fellìni, Bellocchio, Monicelli. Scola, Comencini, Risi, Bertolucci. Antonioni, Montaldo, Petri, Pontecorvo, gli italiani ancora bastano e avanzano. Già, i francesi continuano a credere che «Mostro Sacro» sia un complimento. Possibile che non si rendano conto che per far lavorare attori e registi in età, ad Hollywood per esempio, bisognerebbe fare una dimostrazione di piazza?
Certo, il problema non sussiste. Dove sono, chi sono i giovani del cinema italiano? Se a Cinecittà non si vedono, a Nizza tanto meno se ne sente parlare. Non s’ode commento, del resto, neppure a proposito della dissacrante Macchina cinema di Bellocchio. che qui poteva fare l'effetto di un enorme peto nel salotto buono all’ora del tè. Sfido, l’hanno nascosto bene. di prima mattina, e lo danno solo col contagocce, perché non possa andare di traverso.
David Grieco, «L'Unità», 14 marzo 1980
MONICELLI - La sera cantavamo con Totò
Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo «Totò cerca casa». Per «Risate di gioia» la Magnani non lo voleva: «Abbassa il tono del film»
«Ok, parliamo dell'estate 1949. Allora girai il mio primo film, in collaborazione con Steno: Totò cerca casa». Mario Monicelli, con quel suo modo un po' brusco un po' sincopato di parlare, accetta finalmente di ripercorrere un pezzetto della sua lunga carriera. Non voleva farlo. «Non mi piace guardarmi indietro - aveva detto -. Il passato è passato. E, poi, non ho il gusto dell'aneddoto. Figuriamoci del pettegolezzo retrospettivo. Posso parlare solo del mio lavoro, del cinema. E' l'unica cosa che ho fatto nella vita».
[...]
E Totò? Il regista fruga fra buste ingiallite mescolate a libri e dischi. Fatica a mettere ordine fra le foto di film disparati. Si diverte, qualche volta, nel rivedere una faccia. S'imbroncia, più spesso, davanti a visi di gente scomparsa, ragazze sparito dopo la breve parentesi in celluloide. Finalmente ecco una piccola antologica di Totò. Totò che ammicca, strabuzza gli occhi, avanza sghembo come solo lui sapeva fare. Monicelli riflette e dice: «Lui era speciale».
Racconta: «L'ho conosciuto nel '49, anche se - prima - l'avevo spesso incontrato. Insieme con Steno avevo scritto le sceneggiature di tanti suoi film di successo. Io e Steno eravamo una coppia molto richiesta quando noi dopoguerra ci fu quell'imprevedibile boom del cinema italiano. Tutti credevamo che - aperte le porte alle pellicole americane, finita la protezione che il regime aveva assicurato al nostro cinema - non ci sarebbe stato un futuro per noi. Molti si erano dirottati verso attività alternative: giornalismo, fumetti. Invece scoppiò il neorealismo. Nacquero - nonostante i pochi soldi, i mezzi tecnici scadenti - quei capolavori e tante pellicole di cassetta. I film costavano poco e rendevano. La gente faceva la coda davanti ai cinema. I produttori investivano e ci guadagnavano. Stimolavano anzi gli autori a sperimentare nuovo strade Insomma, fu un boom.
«Steno ed io diventammo registi per caso. Carlo Ponti aveva sotto contratto Totò per due mesi. Doveva fare un film per la Lux di Alfredo Guarini. Pensò di fame due di film, invece di uno. Allora si girava alla buona, senza la prosopopea di oggi. Ponti ci disse: inventatevi un soggetto, presto! E ci venne l'idea di Totò cerca casa. Il problema degli alloggi era drammatico. Le città erano semidistrutte. Quella storia teneva d'occhio l'attualità e - come si faceva alloro saccheggiava anche le idee di altri, gli spunti che venivano da una conversazione, il teatro napoletano tradizionale. L'episodio dell'alloggio nel cimitero, ad esempio, è preso di sana pianta da un alto unico - anonimo - del repertorio napoletano. Il clima era quello del tempo dell'opera buffa, di Cimarosa e Paisiello, quando un'aria si trasferiva da un'opera all'altra, e cosi una situazione, un personaggio. Le cose nascevano cosi, con grande felicità, in una maniera che poi si è perduta e che rimpiango molto. Si stava insieme, allora, registi, scrittori e attori. A Roma ogni sera sul palcoscenico di un piccolo teatro, l'Arlecchino, saliva a cantare o recitare chi voleva: Aldo Fabrizi come Ennio Flaiano, Ciarletta. Brancati, Mazzarella, la Valeri.
«Ponti interpellò un paio di registi, poi ci disse: Ma, scusate, perché il film non lo dirigete voi? E cosi finimmo dietro la macchina da presa. Era estate, naturalmente, perché allora si girava solo nei mesi estivi quando il bel tempo era sicuro. Non come oggi che, con le pellicole e i mezzi tecnici a disposizione, si può lavorare sempre e, anzi, la luce invernale, di taglio, è preferita. Le ragioni artistiche allora non potevamo neppure permettercele. Mentre oggi - ironia della storia! - film non se fanno quasi più. Arrivammo sul set col copione completo. Non si usava cambiare, avere ripensamenti. Non c'era il tempo per rifare una scena. Totò aveva approvato la sceneggiatura. Lui veramente non discuteva mai. Gli andava sempre bene tutto. Non contestava mai una situazione, una psicologia. All’inìzio aveva tentato di dare qualche suggerimento, per portare avanti una comicità più surreale, più lieve. Ma non fu capito. E la smise di insistere.
«Anch'io l'avevo contrastato. Avevo voluto, semmai, umanizzare il personaggio, portarlo fuori dal cliché della macchietta. Ho fatto un errore. E me ne dispiaccio, tanto più che, poi, mi ha sempre divertito molto rovesciare i ruoli, inventare attori. Sono stato io - in La ragazza con la pistola - a fare di Monica Vitti, l'interprete dell'incomunicabilità e dell'alienazione, un'attrice comica. E nei Soliti ignoti ho avuto l'idea di trasformare in attore comico Gassman, che fino ad allora il cinema aveva voluto nei ruoli del latin lover o del cattivo o dell'antipatico. Sempre in quel film feci saltare fuori Marcello Mastroianni comico, la Cardinale che era una ragazzetta appena venuta da Tunisi e che non sapeva neppure parlare l'Italiano. Tiberio Murgia che faceva Io sguattero in un ristorante... Stessa operazione, ma in senso inverso, nella Grande guerra, dove affidai a Sordi un ruolo drammatico...
«Già allora, nel '49, Totò era fragile, di salute delicata. Era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui valeva la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Era gentile, un signore. Lui era il cast, per questo gli si mettevano accanto anche attori non professionisti che facevano ripetere una scena magari tante volte: Totò non si spazientiva. Con le sue partner, le bellone del tempo, aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Certo, era un divo. Ma, insieme con Aldo Fabrizi mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Li volli per Guardie e ladri, nel '51. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati. Invece mi rivelarono che - quando più divi lavorano insieme - ciascuno vuole mostrare quanto è disponibile: arriva in orario, non pretende il camerino migliore, non si presenta al trucco per ultimo per guadagnare mezzora di sonno. Andò tutto benissimo.
«In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento fra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche do solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare. Si facevano le due, le tre...
«Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo questo si poteva fare così questo è andato male perché... Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai trovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito. Ho capito poi, invece, quanto grande fosse il mito - mania, debolezza, fissazione? - per quel suo titolo nobiliare. Una volta, nel '51, mentre giravamo Guardie e ladri al Palatino, lui puntò il dito verso l'Arco di Costantino. ‘ Sai che quello è mio?", disse. Io non capii. “Certo, certo”, risposi con ironia. Lui, serissimo, insistè: "E' mio perché Costantino era un imperatore romano. Mentre io discendo direttamente da antenati greco-bizantini”.
«La sua notorietà era senza confronti. Con lui girai il primo film che firmavo da solo, nel '55, Totò e Carolina (film che mi diede un sacco di guai con la censura, perché Totò era un poliziotto diciamo umano, vessato dai suoi superiori, sostenuto da un groppo di persone che cantavano L'Internazionale e sventolavano la bandiera rossa: dovetti fare un sacco di tagli, l’identità di quelle persone fu cancellata e il film uscì con mesi di ritardo!).
«Le nostre strade si separarono per anni. L'ultima volta che lavorai con lui fu nel '60. in Risate di gioia, con Anna Magnani. La Magnani la conoscevo bene. Andavo spesso alle serate in casa sua, serate molto divertenti: lei recitava sketches, cantava, faceva terribili scherzi col telefono svegliando la gente, spacciandosi per altri... Per quel film ci scontrammo: lei non voleva Totò. Tira giù il tono del film! diceva. Io però mi impuntai o Totò fu nel cast. La macchina da presa - vidi - gli era diventata più familiare. Il pubblico cinematografico, per lui abituato al rapporto platea-palcoscenico, non era più qualcosa di astratto. Alla fine di ogni scena la troupe - 20-30 persone - si raccoglieva insieme e lo applaudiva. Questo lo riscaldava, gli piaceva. Un'idea geniale. Che però non avevo avuto io...»
Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
«Totò imbroglione e Fabrizi brigadiere dei carabinieri sulla sua traccia. Peripezie e trovate del genere che chiunque conosca i due comici - e chi non li conosce ormai? se ne fa un abuso vero e proprio - può agevolmente immaginare. Questo film non sposta di un sette il discorso allarmato che ormai tutti i critici un pò responsabili hanno cominciato a fare a proposito della sconfortante povertà della farsa cinematografica italiana.»
Mario Luzi da «Sperdute nel buio. 77 critiche cinematografiche», Trecazzano, Milano, 1995
🎞️ Flani pubblicitari: Totò al cinema, a caratteri di piombo 🎞️
I flani pubblicitari erano piccoli annunci a pagamento, pubblicati su quotidiani e riviste specializzate, che anticipavano l’uscita del film. Alcuni recavano titoli alternativi, errori di stampa, o locandine diverse da quelle ufficiali. In questa galleria abbiamo raccolto le versioni più rare e curiose riguardanti Totò.
I documenti
La performance di Totò in Guardie e ladri (1951) ha suscitato ammirazione tra numerosi registi e critici contemporanei, che hanno riconosciuto in questo film una svolta significativa nella sua carriera artistica.
🎬 Vittorio De Sica: "Un clown come lui nasce ogni cento anni"
Vittorio De Sica, maestro del neorealismo, ha espresso profonda stima per Totò, definendolo "una delle figure italiane più importanti" che abbia conosciuto nella sua carriera. Riferendosi a Guardie e ladri e al suo episodio in L'oro di Napoli, De Sica ha sottolineato la straordinaria bravura di Totò nel rendere personaggi con risvolti drammatici, affermando che era "un attore completo, il più grande a mio parere, che il teatro musicale e il cinema italiano abbia mai avuto"
🎥 Mario Monicelli: "Abbiamo tolto la maschera a Totò"
Il regista Mario Monicelli, co-direttore del film insieme a Steno, ha raccontato che inizialmente Totò era titubante nel partecipare al progetto, ritenendo che il ruolo fosse più adatto a Fabrizi. Tuttavia, Monicelli e Steno lo convinsero, credendo che potesse "fare qualcosa di formidabile". Monicelli ha dichiarato che Guardie e ladri è stato il film che ha tolto la maschera a Totò, immergendolo in una realtà vera e persino drammatica, trasformando il contesto neorealista in uno sfondo comico ideale .
🎭 Roberto Rossellini: "Lo voglio nel mio prossimo film"
Roberto Rossellini, colpito dalla performance di Totò in Guardie e ladri, lo scritturò per il film Dov'è la libertà...?, riconoscendo le sue capacità drammatiche e la sua versatilità come attore .
🎞️ Alberto Anile: "Totò attore tragico"
Il critico cinematografico Alberto Anile ha evidenziato come Guardie e ladri abbia segnato la trasformazione di Totò da comico a interprete capace di affrontare ruoli drammatici. Anile ha sottolineato che il film ha permesso a Totò di esprimere una gamma emotiva più ampia, consolidando la sua reputazione come attore completo
📚 Conclusione
Le testimonianze di registi e critici contemporanei confermano che Guardie e ladri rappresenta un punto di svolta nella carriera di Totò, rivelando le sue capacità drammatiche e la sua profondità come attore. Il film ha contribuito a ridefinire la sua immagine pubblica, consolidando la sua posizione come una delle figure più versatili e rispettate del cinema italiano.
Il film Guardie e ladri (1951), diretto da Steno e Mario Monicelli e interpretato da Totò e Aldo Fabrizi, ha avuto diverse edizioni home video nel corso degli anni, sia in formato VHS che DVD.
📼 Edizioni in VHS
Filmauro (2002)
Nel 2002, Filmauro ha distribuito una versione in VHS del film, catalogata con il codice 801602402934.
Fabbri Editori - Corriere della Sera (2002)
Sempre nel 2002, Fabbri Editori, in collaborazione con il Corriere della Sera, ha incluso Guardie e ladri nella collana "Il meglio di Totò", distribuita in VHS. Il film è stato proposto nella seconda uscita della serie.
💿 Edizioni in DVD
Filmauro (2005)
Nel 2005, Filmauro ha pubblicato una versione restaurata del film in DVD. Le caratteristiche tecniche di questa edizione includono:
- Formato video: 1,33:1 anamorfico
- Audio: Dolby Digital 5.1 in italiano
- Sottotitoli: Italiano per non udenti
- Struttura: 16 capitoli con menu animati
- Contenuti speciali: Trailer originale, filmografie di Totò e Fabrizi, interviste al critico cinematografico Fabio Ferzetti, al nipote di Aldo Fabrizi e al produttore Dino De Laurentiis
Cofanetto "Totò - Il principe della risata" (2006)
Nel 2006, il film è stato incluso nel cofanetto "Totò - Il principe della risata", sempre distribuito da Filmauro, insieme ad altri titoli come Totò a colori e Capriccio all'italiana.
Il Grande Cinema di Totò - Collezione Oro (2008)
Nel 2008, Fabbri Editori e il Corriere della Sera hanno lanciato la collana "Il Grande Cinema di Totò - Collezione Oro". Guardie e ladri è stato il primo titolo della serie, distribuito il 27 settembre. Ogni DVD della collana era accompagnato da un libretto di 16 pagine curato da Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi, contenente contributi inediti, materiale fotografico e una scheda sul film.
🌍 Edizioni internazionali
Il film è stato distribuito anche all'estero. Ad esempio, su Amazon.com è disponibile una versione in DVD con audio in italiano (Dolby Digital 1.0) e sottotitoli in inglese.
Queste edizioni testimoniano l'importanza e la continua rilevanza di Guardie e ladri nel panorama cinematografico italiano, rendendolo accessibile a nuove generazioni di spettatori e appassionati.
Lancio del film in Giappone, 1951
Cosa ne pensa il pubblico...

I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Sicuramente uno dei film più belli e memorabili interpretati da Totò, codiretto da Steno e Monicelli e dominato dalle colossali (artisticamente parlando) figure di Fabrizi e del principe De Curtis all'apice della forma artistica. Ma per una volta è tutto il film ad avere grande valore,con una sceneggiatura di stampo neorealista (vi mise mano anche Flaiano) in cui si sorride ma con una costante malinconia di fondo e una visione amara della vita. Bellissimo.
- Tra le cose più complete girate dal Principe, per via di una splendida e brillante sceneggiatura ed una regia sapientemente orientata a dare rilievo a due personaggi interpretati da grandi attori. Ne l'uno, ne l'altro hanno la meglio: il duello tra guardia e ladro finisce in pareggio. Un risultato garantito dalla profondità dei sentimenti che anima entrambi i protagonisti. Dialoghi curati, ottima fotografia (opera di Mario Bava) ed un pizzico di tristezza (sentimento innato e presente in Totò, pur se poche volte messo in risalto). Gran film, imprescindibile...
- Momenti comici straordinari (tra tutti, il lungo inseguimento iniziale) che rivelano la nuova scoppiettante coppia Totò-Fabrizi. E poi l'umanità profonda nella rappresentazione delle classi popolari, in cui non c'è vera distinzione tra guardie e ladri. E la commozione che sa emergere sul finale. C'è tutto questo in un film che racconta la paradossale vicenda di un truffatore e un poliziotto (un po' truffaldino, in verità), ma soprattutto il bisogno postbellico di una reciproca comprensione, riappacificazione e condivisione del futuro.
- Uno contro l’altro, praticamente amici. Totò e Fabrizi sono in forma più che smagliante. Nell’interpretazione del primo c’è però una vena di malinconia (guardarlo negli occhi), che lascia quasi interdetti. Tempi perfetti e battute a raffica per una coppia di giganti. Sono loro due il film, non cercate altro, anche perché sarebbe superfluo. Da segnalare: la moneta Augustea, l’inseguimento (Ormai che ti sei fermato, sei preso),al commissariato, la sfuriata in casa di Totò, il mitico tema, sulle scale… in poche parole, tutto. Gioiellino.
- Un grande film: splendida commedia all'italiana, divertente ma venata da un pessimismo neanche troppo sotterraneo; sceneggiatura perfetta e regìa che regala dozzine di momenti straordinari. E come se non bastasse i due protagonisti si chiamano Totò e Aldo Fabrizi... le interpretazioni dei due mattatori varrebbero da sole il prezzo del biglietto, eppure -come detto- il film è anche molto altro. Semplicemente imprescindibile.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò: "Ne ho piene le tasche di questi Bottoni!"
- Per riacciuffare un piccolo truffatore che si è lasciato scappare, un brigadiere spinge la propria famiglia a fare amicizia con quella del ricercato... Bellissima commedia, impreziosita dalle memorabili interpretazioni di Fabrizi e Totò, in cui il lato comico convive armonicamente con la riflessione sociale, mostrando come, al di là dei ruoli codificati, la guardia ed il ladro siano accumulati da identici bisogni e da una solidarietà di classe in grado di emergere nei momenti decisivi. Nel valido cast di contorno, spicca il profilo inconfondibile di un giovanissimo Delle Piane.
- Bellissimo primo film per la coppia Totò-Fabrizi, ottima la regia a quattro mani di Steno e Monicelli, così come i dialoghi e i personaggi pieni di umanità. Il finale è molto malinconico e al tempo stesso divertente, i duetti tra i due grandi attori strepitosi e irragiungibili, così come la prova di tutto il cast in un film quasi perfetto e ancora oggi attuale.
- Film dai meriti tanto incontrovertibili da esser stato uno dei pochi di Totò a trovar quasi unanime consenso in vita del Principe. Steno e Monicelli alzano il tiro del loro cinema centrando il bersaglio della farsa capace di sconfinare all'occasione nel sentimentale, poggiando però costantemente su solide fondamenta realistiche (le borgate, i ritratti di interni già piccolo-borghesi). Ovviamente determinante l'aderenza al progetto di due totem attoriali, in grado di far ricorso con eguale naturalezza ai registri del comico e del patetico. Evergreen.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il tema sul papà Totò di Libero/Carlo Delle Piane: altro che Io speriamo che me la cavo; "Sono stufo di vedere sti bottoni per casa".
- Guardia deve riacciuffare un ladro per evitare il processo. Preambolo con classica truffa (e conseguente inseguimento) per spaziare poi in una sceneggiatura basata sull'umanità. Totò non cerca la risata a tutti i costi mentre Fabrizi è molto sfaccettato nei cambi di espressione. Parte conclusiva di forte impatto morale e specchio di un'Italia alla ricerca del minimo benessere. Le location periferiche sottolineano la ricostruzione di lì a venire.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il sesterzo come il volante; Delle Piane che punta la pistola; Il confronto sulle scale.
- Uno dei migliori lavori di Totò e Fabrizi, dove comicità e melodramma riescono a esprimersi ad alti livelli e a convivere senza pestarsi i piedi. Merito anche di una regia sapiente e una sceneggiatura robusta che vanta firme autorevoli. La società italiana del tempo, quella della ricostruzione del secondo dopoguerra, viene fotografata alla perfezione avvalendosi di una satira latente, ma graffiante e con uno stile che si avvicina al neo-realismo. Da vedere a tutti i costi.I gusti di Minitina80 (Comico - Fantastico - Thriller)
Gabrius79 21/8/13 23:44 - 1029 commentiStupenda e impareggiabile commedia con due grandi mostri sacri del cinema italiano come Totò e Aldo Fabrizi diretti all'accoppiata Steno-Monicelli. Il film è praticamente un bellissimo spaccato dell'Italia che fu e si regge sulla grande esperienza dei due protagonisti assieme a un'ottima Ave Ninchi. Risate e scene indimenticabili ma anche momenti amari miscelati sapientemente. Da vedere con piacere.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La corsa all' Acqua Acetosa.
- A mio parere il miglior film di Totò, giustamente premiato e lodato dalla critica che, in vita, non lo ha mai amato. Insieme a Fabrizi Totò costituisce una coppia praticamente perfetta, dai dialoghi e dai tempi comici che non hanno la benché minima sfumatura: l'uno compensa l'altro e viceversa. Il film ci consegna anche un ritratto amaro di un'Italia povera e martoriata ma dai sentimenti autentici come l'amicizia che può sbocciare anche tra persone agli antipodi. La fotografia in bianco e nero della Roma post-guerra è straordinaria. Da non perdere.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò: "Ma come, lei è cosi grosso e non è commendatore?" Fabrizi: "Ma perché, i commendatori vanno a peso?".
- Un poliziesco tra neorealismo e commedia di costume. In realtà, una denuncia degli stenti di due persone qualunque nell'Italia del dopoguerra; la descrizione, tra l'amaro e il divertente, di una disagiata situazione economica e sociale che accomunava, nella sua durezza, tutti i cittadini sia che vivessero nel rispetto della legge sia che, invece, la trasgredissero. Un poliziesco che rispetta tutte le regole del genere ma che si fa canto morale e invito alla pietas. Totò e Fabrizi interpretano due personaggi a tutto tondo. Bella la fotografia di Mario Bava.
- Quando a Totò veniva chiesto a quali lavori tenesse maggiormente, era solito mettere tra i primi proprio questo film. Non è il solito Principe, debordante, sfrenato, puramente comico. È amaro, misurato, molto umano. Non solo uno dei migliori film di Totò, ma di tutto il cinema italiano. Grande prova ovviamente anche di Aldo Fabrizi e del cast in generale (Giuffrè, Ninchi, Delle Piane, Carloni). La storia nella, sua semplicità, non può che coinvolgere lo spettatore nei continui capovolgimenti di ruoli tra i due protagonisti. Capolavoro senza tempo.
MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La truffa della moneta; l'incontro tra i due protagonisti nell'androne del palazzo; Esposito che corregge il tema del figlio.
L'incidente
Di uno spiacevole incidente, che poteva costargli la vita, è stato vittima Totò, il comico numero uno del nostro schermo, noto negli ambienti mondani come il principe De Curtis, Gagliardi, Griffo, Focas, ovvero l'aristocratico dai cinque o sei cognomi. Mentre si girava nei dintorni di Roma una scena del film Guardia e ladro, Totò (il ladro) veniva inseguito per i campi da Aldo Fabrizi (la guardia). In quel momento si trovavano a passare nei pressi due carabinieri che - ignorando la finzione scenica, e richiamati dal fatto che Fabrizi gesticolava e gridava «Al ladro!», «Fermatelo!», «Arrestatelo» e altre frasi d'occasione -, non esitavano a estrarre le pistole per fare fuoco in aria allo scopo di intimidire il fuorilegge. Al primo colpo di pistola, il buon Totò, tremante di paura, si fermava, alzava le mani e aspettava calmissimo l'arrivo dei militi della Benemerita, i quali, avviliti e contriti, si rendevano subito conto di non aver a che fare con un volgare delinquente, ma con un asso della comicità. Scuse, giustificazioni, strette di mano e abbracci concludevano la tragicomica scena, mentre i due carabinieri approfittavano dell'occasione per farsi rilasciare un autografo dai due attori.
Italo Dragosei
Walter Veltroni
Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione.
Il male è che oggi anche quello che viene approvato in prima istanza può venire censurato quando il film è già pronto. Mi è accaduto con L 'onorevole Angelina, da cui dovetti eliminare alcune battute importanti e tagliare scene intere. Semplicemente perché il marito della Magnani nel film faceva la parte di un agente di Pubblica Sicurezza e il pubblico - secondo il ragionamento della Commissione di censura [...] - avrebbe identificato in quell'agente, che veniva leggermente ironizzato, tutti gli agenti di P.S. d'Italia, e se ne avesse riso avrebbe riso alle spalle dell’intero corpo di P.S. “danneggiandone il prestigio”. Da quel momento è rimasta in me una vera fobia per tutti gli argomenti in cui entrassero agenti o guardie: tanto che dopo aver portato a termine il trattamento di Guardie e ladri [...] rinunciai [...] pensando ai limiti, di varia natura, che durante la realizzazione del film, mi sarei dovuto imporre.
Luigi Zampa. Periodico “Cinema”, n. 9, 28 febbraio 1949
Carlo Delle Piane, raccontando di Totò e Aldo Fabrizi sul set di Guardie e ladri
Steno
Mario Monicelli
Mario Monicelli ricorda Mario Bava, direttore della fotografia nel film
Mario Monicelli
Mario Monicelli
Mario Monicelli
Mario Monicelli
Aldo Fabrizi
Ruggero Maccari
Steno
Carlo Delle Piane
Totò era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui vale la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Ma, insieme con Aldo Fabrizi, mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati...
Mario Monicelli
Distribuzione
Fu uno dei pochissimi lungometraggi italiani ad essere esportato. Venne presentato nei seguenti paesi, con i seguenti titoli:
Francia: Gendarmes et voleurs, 10 ottobre 1952 - 23 ottobre 1981 (riedizione)
Portogallo: Polícia e Ladrão, 21 novembre 1952
Danimarca: Betjenten og tyven, 11 maggio 1953
Regno Unito: Cops and Robbers, 1953
Finlandia: Ikuisen kaupungin varas, 24 settembre 1954
Germania Ovest: Räuber und Gendarm, 1957
Belgio: Gendarmes et voleurs (titolo francese)
Spagna: Guardias y ladrones[70]
Argentina: Policías y ladrones
Ungheria: Rendőrök és tolvajok
Polonia: Zlodzieje i policjanci
Venne poi presentato anche in Egitto, in Uruguay, in Turchia, in Russia e in Cina.
La distribuzione affidò al pittore, caricaturista e scenografo Michele Majorana la realizzazione delle locandine e dei manifesti in vari formati.
Nelle locandine inoltre furono inseriti vari slogan pubblicitari, tra i più noti: «La più celebre coppia dello schermo nel più divertente film della stagione», «Il film che ha dato a Totò il Nastro d'argento e la Palma d'oro al Festival di Cannes»
(Slogan della locandina spagnola) «Por mucho que se las de Vd de triste y preocupado no podrà contener las carcajadas con esta pelicula»
Citazioni di altre opere
La sequenza finale
La scenetta in cui Totò "pesca" dalla salumeria era già stata usata nel suo primo film Fermo con le mani! (1937), dove pesca dal bancone del pescivendolo. Scena ripresa successivamente anche in Totò a Parigi, del 1958.
La scena della locanda ricorda quella di Totò e Carolina (1955), di Mario Monicelli. Con la sola differenza che Totò interpreta la guardia anziché il ladro.
I tartassati (il terzo film girato in coppia dai due attori, del 1959) di Steno, può essere considerato in senso figurato un seguito di Guardie e ladri "in versione medio-borghese", difatti i due attori si ritrovano negli stessi ruoli di "ladro" e "guardia". Inoltre le scene finali di entrambi i film sono molto simili fra loro, con i due protagonisti che danno le spalle alla telecamera e si allontanano mentre cresce la musica.
La sequenza in cui Fabrizi, al termine dell'inseguimento, consiglia a Totò una cura per il fegato, è stata in seguito esplicitamente citata nel film L'armata Brancaleone (di Monicelli), nella scena in cui Teofilatto (Gian Maria Volonté) dialoga con Brancaleone (Vittorio Gassman) alla fine del duello.
La scena dell'inseguimento di Totò e della sua fuga nel bar è stata citata in una parte del film A spasso nel tempo - L'avventura continua (1997) con Christian De Sica che, imitando suo padre Vittorio nel film Pane, amore e..., fa il maresciallo mentre Boldi, che imita Totò, fa il delinquente.
Opere ispirate al film
Il film La legge è legge (1958) è in qualche modo una "riedizione corretta, più moderna e più leggera" di Guardie e ladri, dove Totò si ritrova nuovamente nella parte del ladruncolo. Commedia giudicata come una "timida rimasticatura in salsa francese di Guardie e ladri" e "una sorta di Guardie e ladri con complicazioni burocratiche."
Il film per la televisione Un Natale con i Fiocchi (2012) è ispirato a Guardie e ladri.
Parodie
Nel 1969 è uscita una sorta di farsa parodia della pellicola, con protagonisti Franco e Ciccio, intitolata, appunto, Franco e Ciccio... ladro e guardia.
Remake
Nel 1997 il cinema russo ha realizzato un remake del film, dal titolo omonimo (Полицейские и воры in russo), "una rivisitazione della pellicola italiana in chiave anti-americana". La prima proiezione è avvenuta nel cinema Pushkin di Mosca. Il film, ambientato nella regione di Novgorod nel profondo nord della Russia, è stato prodotto dalla Etalon Film e girato negli studi della Mosfil'm. La pellicola è stata diretta dal regista Nikolai Dostal ed interpretata da Gennady Khazanov e Vyacheslav Nevinny, nei rispettivi ruoli di ladro e guardia. Ricevette due nomination ai premi Nika nel 1998, uno per il miglior attore protagonista (Vyacheslav Nevinny) e uno per il miglior attore non protagonista (Vladimir Zeldin, che interpretava il padre del ladro). Incassò in Russia l'equivalente somma di 35.000 dollari.
Retrospettive
Guardie e ladri è stato riproposto più volte in varie situazioni: nel 1972, in occasione del quinto anniversario della morte di Totò, il film venne proiettato al Palazzo Chiablese insieme ad altre tre pellicole dell'attore. Nel 2010 è stato presentato nella sezione retrospettiva "La situazione comica (1937-1988)" della 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Nel gennaio 2011 la Cineteca di Bologna rese omaggio a Monicelli, proiettando nel cinema Lumière sette dei suoi lavori, tra cui Guardie e ladri. Il film venne inoltre presentato nelle varie retrospettive dedicate al regista: organizzate dal Circolo del Cinema di Adria, dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla casa delle Culture di Cosenza. Fu proiettato anche nel cinema Orokmozgò di Budapest.
Premi:
Nastro d'argento
Festival di Cannes 1952: premio per la sceneggiatura
Ci arrivò la notizia che il film aveva preso questo premio, ci compiacemmo fra noi ma non ci furono cerimonie di nessun genere. Nessuno di noi era a Cannes, a quei tempi poi non s’andava alla ricerca delle Palme, dei premi, non ci pensavamo proprio, noi perlomeno che facevamo i film comici, la commedia.
Mario Monicelli
La censura

Il film ottiene il nulla osta per la proiezione in pubblico nell'ottobre del 1951, dopo la prima domanda presentata nell'agosto del 1951.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Centrale per la Cinematografia
Domanda di revisione n.10313
«Revisionato il film il giorno 2 agosto 1951, la Commissione, a maggioranza, esprime parere contrario alla programmazione in pubblico. Il rappresentante del Ministero dell'Interno ed il rappresentante del Ministero della Giustizia ritengono infatti che la pellicola, per la sua intonazione umoristica, possa dar luogo ad apprezzamenti lesivi del decoro e del prestigio dei funzionari della Forza Pubblica, considerato anche che il protagonista indossa la divisa del plotone d'onore del Corpo degli Agenti di P.S..
Il Presidente della Commissione non concorda con il parere dei citati poichè si esprime favorevolmente alla proiezione in pubblico del film, a condizione che siano tolte alcune scene, ma, a maggioranza, viene espresso parere contrario.»
f.to Scicluna
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Servizi Spettacolo - Informazioni e Proprietà Intellettuale
Caro Scicluna,
a proposito del film "GUARDIE E LADRI":
"Il rappresentante del Ministero dell'Interno eccepisce la illiceità dell'ultima parte dove l'agente a chiare note motiva l'esercizio del suo dovere con il fine personalistico di evitare le grane ed il licenziamento e non per un ossequio alle leggi. E si pongono guardie e ladri sullo stesso piano, con diseducazione grave per i valori costitutivi dell'ordine civile e morale.
Occorre quindi ritoccare il parlato a partire da pag. 111.
Nulla vieta naturalmente che la guardia abbia pietà della famiglia del ladro e consenta il pietoso trucco del trattenersi a desinare e del fingere di accompagnare il ladro alla stazione. Salvi i ritocchi suddetti al parlato.
Desidererei rivedere il nuovo testo.
f.to Nicola De Pirro
Roma, 16 settembre 1951
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Centrale per la Cinematografia
Revisionato il film il giorno 15 novembre 1951, si esprime parere favorevole per la proiezione in pubblico.
Roma, 15 novembre 1951
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Servizi della Cinematografia
Revisionato di nuovo il film il 23 ottobre 1951, si dichiara che in esso risultano apportate le modifiche indicate dalla Commissione d'Appello ai fini del rilascio del nulla osta per la proiezione in pubblico.
f.to Il Sottosegretario di Stato - Andreotti
Roma, 1 dicembre 1951
Sembrava la rivoluzione, l'Ottobre a Mosca, io avevo fatto del cinema durante il fascismo, poi le cose erano cambiate, o almeno avrebbero dovuto essere cambiate, quindi non pensavamo... Modificammo alcune cose, qualche battuta, accorciammo qualche scena, roba da poco, solo che fu una lotta lunga con l’ufficio di censura.
Mario Monicelli
Dal giudizio di revisione cinematografica preventiva alla sceneggiatura di "Guardia e ladro", 9 febbraio 1951
Se mai si potrebbe evitare che il vicebrigadiere compaia in divisa (dalle scene del teatro, all'inseguimento fra i campi, fino alle scene del commissariato si vorrebbe fare apparire, nel film, il Bottoni in «alta uniforme») onde evitare che certi riflessi umoristici, inerenti all'inseguimento farsesco e alla fuga comica del ladro dal WC, possano ricadere su di un agente in regolamentare divisa.
Dialogo originale
Fabrizi: «Perché io non ci ho famiglia? Perché i miei figli non portano le scarpe?... Perché io... non ci ho una casa che pago la pigione?... Perché... le stesse cose che occorrono alla famiglia mia
non... non è uguale come la famiglia tua?... La stessa cosa... Tu vuoiche te faccia scappa'...»
Totò: «Eh!»
Fabrizi: «Eh!... Uh!... Sai, se te faccio scappa'... che me succede?... Tu non lo sai... Eh, già !... Se io... entro oggi... non ti riporto in questura... dopo trent'anni di servizio... e di sacrifici... e di fatiche... il minimo che me capita... me cacciano via?»
Totò: «Per me?»
Fabrizi: «Eh! ... E allora chi ci pensa alla famiglia mia?... Vedi?... Ognuno pensa alla famiglia sua... Tu pensi alla tua e io penso alla mia... Se mi salvo io, ci devi andar di mezzo tu... e se te salvi te, me tocca andarci di mezzo me!... Eh!»
Dialogo modificato
Fabrizi: «Perché io non ci ho famiglia? Perché i miei figli non portano le scarpe?... Perché io... non ci ho una casa che pago la pigione?... Perché le stesse cose che occorrono alla famiglia tua non occorrono alla famiglia mia? È mio dovere!... Tu vuoi che te faccia scappa'... E che non lo sai che non posso, che non devo? Che non lo sai? E poi... se io non te riporto in questura, dopo trent'anni di servizio, sempre facendo il mio dovere, il minimo che me capita me cacciano via?»
Totò: «Veramente?»
Fabrizi: «Eh! ... E se me cacciano via fanno bene. Vedi, tu lo sai perché porto la divisa, perché devo fa' rispettare la legge. Tu me fai pena ma io te devo fa' arresta'... Perché se non t'acchiappo divento il complice di un ladro, capisci?»
Le incongruenze
- La seconda volta che Bottoni entra nel salone, Totò ha finito di farsi fare la barba, tant'é che il barbiere lo sta finendo di pulire e gli dice "servito". Tuttavia nelle scene successive Totò ha ancora la schiuma addosso e il barbiere è impegnato con il rasoio.
- Totò, mentre è dal barbiere, fa finta di leggere un giornale illustrato, che Bottoni gli sottrae dalle mani. A questo punto Totò prende un'altra rivista, ma nelle inquadrature da lontano essa è a rovescio, in quelle da vicino è al dritto.
- Per rincorrere Totò, Bottoni esce velocemente dal salone. All'interno del locale ha ancora la schiuma addosso, mentre fuori, benché non si sia pulito, nella parte sinistra la schiuma non c'è quasi più.
- A casa Esposito è arrivato il ladro vestito da prete, che parla con Totò. Bottoni è intento ad ascoltare la conversazione. Nell'inquadratura allargata in mano non ha nulla, nel primo piano nella mano sinistra ha una forchetta.
- Totò Esposito è a casa di Bottoni per portare un mazzo di fiori alla moglie; al telefono scopre che Bottoni invece è a casa Esposito con la moglie di Totò. Nella conversazione tra i due non viene detto che Totò ha portato dei fiori alla signora Bottoni, eppure Bottoni giustifica l'amicizia che si è istaurata tra i due mariti, proprio dal fatto che Totò abbia portato quei fiori.
- Il Commissario legge il regolamento a Bottoni / Fabrizi, che si è lasciato sfuggire il malvivente Totò / Esposito. Mentre legge il regolamento ha gli occhiali, inquadrato sia davanti che da dietro (Con Fabrizi rivolto allam.d.p.). Tuttavia in una inquadratura (inquadrato da dietro) non ha gli occhiali, mentre nella successiva e seguente inquadratura li porta.
- Fabrizi / Bottoni cerca in archivio la scheda di Totò / Esposito. Quando la trova legge ad alta voce: «Ferdinando Esposito di Gennaro. via...» ma nella scheda c'è scritto "fu Gennaro"
- Quando gli Esposito si presentano a casa Bottoni, riconoscenti del fatto che il capofamiglia / Fabrizi abbia fatto un regalato al loro figlio minore (Delle Piane), la moglie di Totò / Esposito dice: «Permette? mio suocero». Ed il suocero si presenta: «Carlo Esposito». Ma nella scheda di riconoscimento era Gennaro (o fu Gennaro).
- Gli Esposito sono appena tornati dall'aver fatto la prima visita ai Bottoni. A casa c'è il capofamiglia (Totò), reduce da una latitanza. Egli, mentre parla, passa dalla stanza da pranzo in cucina (dove c'è la moglie), ed ha la sciarpa dentro la giacca abbottonata, poi fuori dalla giacca, quindi di nuovo dentro la giacca abbottonata.
- All'inizio del fiilm c'è una lunga scena d'inseguimento che coinvolge Totò/Esposito, Fabrizi/Bottoni, l'americano truffato da Totò, e l'autista del taxi. Tutti si ritrovano in piena campagna, e li vediamo attraversare un campo ridotto ad un pantano. Tuttavia, subito dopo, si rincorrono lungo una strada, ma hanno tutti i pantaloni puliti.
- Quando Fabrizi la prima volta scappa dal salone, nell'uscire gli cade l'asciugamani ma nell'inquadratura successiva la tiene ben aggrappata al collo.
- Quando Totò Esposito cala la lenza per prelevare il salume esposto fuori il negozio, è logico che l'azione venga svolta da un primo piano, ma com'è che allora nel resto del film l'appartamento si trova all'ultimo piano?
- Quando Totò e Giuffrè vengono scoperti dall'americano, Totò scappa con in mano il soprabito. Alla scena successiva chiede aiuto al tassista con il soprabito indossato e abbottonato ben bene. Dove ha trovato il tempo per farlo?
- Bottoni ha appena arrestato Esposito e discute con l'americano, che protesta per il fatto che Esposito non vuole seguire il brigadiere. Quest'ultimo cerca di spiegarsi: in uno stacco tiene il braccio sinistro appoggiato alla gamba, nel successivo entrambe le braccia sono sollevate.
- Bottoni cerca nello schedario la scheda di Esposito: quando la trova tiene la fotografia nell'angolo in alto a sinistra, mentre nello stacco successivo la tiene poco più in basso.
- Bottoni, dopo essere uscito malamente dalla bottega del barbiere, osserva alcuni ragazzini che giocano. Ad un tratto solleva l'ombrello e indica un sasso lanciato dal gruppo. Nello stacco successivo tuttavia l'ombrello è in posizione verticale.
- Nella primissima scena del film, Totò e Giuffré fanno le prove della truffa della moneta. Giuffré nell'inquadratura larga agita la mano destra, in quella ravvicinata immediatamente successiva tiene la moneta con entrambe le mani.
- All'osteria, Totò tenta di giustificarsi con Fabrizi: "Quello lì è un americano!" In una inquadratura Fabrizi beve il bicchiere d'acqua d'un fiato, poi appoggia il bicchiere vicino a sé e ci tiene la mano sopra; in quella immediatamente successiva il bicchiere è lontano da Fabrizi, che non ci sta tenendo sopra nessuna mano.
- All'osteria, Totò dice "Non ho mai truffato un italiano". Prima la tazzina di caffé è vicina a Fabrizi, poi vicina a Totò.
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| Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo |
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Le location del film |
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La situazione al via delle ricerche: Nonostante il film sia importante e molto amato, online la ricerca delle location si è finora limitata alla casa di Totò (che tempo fa aveva scoperto sul nostro forum tale Giovy) e a un vago “fosso di Sant’Agnese” per l’inseguimento. Tutto quello che troverete di seguito (soprattutto la ricostruzione minuziosa dell’inseguimento) compare qui per la prima volta (Wiki e imdb non dicono una sola parola in tema location del film, al momento)
Parlare di Guardie e ladri significa parlare di una delle più importanti commedie italiane degli Anni Cinquanta, in cui Totò venne finalmente apprezzato per le sue qualità non solo da comico puro ma da attore a tutto tondo (non a caso vinse il Nastro d’argento, per la sua interpretazione). Guardie e ladri si portò a casa anche il premio come miglior sceneggiatura a Cannes 1952, a conferma del suo straordinario spessore. Dal punto di vista delle location, non sono poi molte quelle che si vedono nell’arco del film, molto spesso rinchiuso in interni, ma quelle poche sono una importantissima testimonianza della Roma che fu, con Via Gregorio VII ridotta al tempo a una stradella sterrata e infangata, ad esempio. Quello che abbiamo fatto è stato, come sempre, cercare di individuare tutto ciò che viene mostrato nel film scoprendo cose anche molto interessanti. Cominciamo quindi dalle prime scene, quelle al foro, con la famosa truffa della patacca... |
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| 01. AL FORO Il film si apre sulla celebre truffa del sesterzo romano (in realtà una patacca). Fedinando Esposito (Totò) e il suo socio (Aldo Giuffrè) fanno prima una prova tra loro per vedere se la truffa è organizzata al meglio e attendono poi l’arrivo di un turista (pollo) da raggirare. Image Questi si materializza quasi subito e comincia la truffa, ma la moneta sistemata sotto le rovine per essere scoperta viene a sorpresa trovata da un tizio che passa di lì e il socio è costretto a sistemarne un’altra sotto una seconda colonna. La truffa (corretta in corsa) funziona alla grande, ma qualcosa, alla fine, andrà storto… Le scene sono state chiaramente girate al foro romano, ma come sempre quello che interessava noi era trovare il punto esatto in cui vennero nascosti i finti sesterzi, e infine l’obiettivo è stato raggiunto e i luoghi fotografati. |
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| 02. AL TEATRO PER LA DISTRIBUZIONE DEI PACCHI La seconda truffa organizzata dai due prevede che si assoldi un gruppo di bambini che dovranno fingersi loro figli per ritirare i pacchi dono promessi ai “bambini europei” durante una cerimonia organizzata al teatro Qvirino. Ferdinando (Totò) e il socio trovano i bambini in un vicolo lì vicino e con loro entrano a teatro, dove partirà la truffa. Stavolta però è alla cerimonia anche il brigadiere Bottoni (Aldo Fabrizi), il quale si accorgerà della truffa dando il via a uno storico, interminabile inseguimento. Il teatro Quirino che si vede chiaramente inquadrato dall’esterno nel film è oggi chiuso e si trova all’incrocio tra Via delle Vergini e Via dell’Umiltà a Roma. Ed è proprio lungo questa via che vedremo Ferdinando correre e prendere un taxi (guidato da Mario Castellani). Bottoni sale sull’auto dell’americano truffato al foro (che non vede l'ora di mettere le mani su Ferdinando) e l’inseguimento in auto ha inizio... |
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| 03. L’INSEGUIMENTO: IN AUTO, CON SOSTA AL SEMAFORO
Ferdinando e il brigadiere Bottoni cominciano a sfrecciare per le strade di Roma, finchè sono costretti a fermarsi davanti a un semaforo diventato improvvisamente rosso. Bottoni, inferocito, salta fuori dall’auto alla ricerca di Ferdinando tra le auto in coda, ma questi furbescamente si accovaccia sul sedile sfuggendo ai controlli di Bottoni. L’incrocio col semaforo è quello tra Via del Tritone, Via dei Due Macelli, via del Traforo e via Crispi, a Roma. Quando torna il verde Bottoni capisce bene qual è l’auto in cui sta Ferdinando e l’inseguimento a quattro ruote continua. “Per due Macelli”, ordina Fabrizi al conducente dell’auto inseguitrice. E difatti è in quella direzione che l’auto parte, imboccando per l’appunto Via dei Due Macelli. La scena successiva vediamo le due auto passare per una piazza, che Ellerre ha identificato correttamente con Piazzale Manila, sempre a Roma naturalmente. E’ curioso però notare in questo caso che la statua equestre che vediamo al centro della piazza nel film oggi non c’è più. L’abbiamo ritrovata nel non così vicino Piazzale Simon Bolivar, dove fa bella mostra di sè. |
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04. L’INSEGUIMENTO: A PIEDI PER LE CAMPAGNE |
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| Tutto ha inizio come detto dalla via coi lavori in corso, che si è riusciti a identificare con Via dei Campi Sportivi a Roma. Lo sbarramento è stato posto davanti al piazzale della stazione dell’Acqua Acetosa. E’ qui che Ferdinando scende dall’auto e si dirige verso la collinetta dietro la quale oggi sta il circolo sportivo dove si allenava a tennis Gassman in Il tigre. La scena immediatamente successiva è tuttavia già da tutt’altra parte, ovvero lungo quella che oggi è la Circonvallazione Salaria e dove è girato gran parte dell’inseguimento. Non è stato facile capirlo, ma sullo sfondo si è riconosciuto lo stesso palazzo che si vede in un altro momento dell’inseguimento e che fa parte dei palazzi di Via del Casale Giuliani. | ||||
| Al tempo lì era più o meno l’unico, grosso e diviso in due ampie ali riconoscibili sulla facciata sud (quella visibile nel film), oggi è quasi seppellito da un intero isolato. Siamo a due passi dalla casupola in cui Ferdinando andrà alla toilette a fine inseguimento. Successivamente il gruppo passerà tra baracche presidiate da un cane, oggi con tutta probabilità abbattute. La scena dopo siamo ancora sulla Salaria, riconoscibile perché sullo sfondo compare un palazzo che abbiamo ritrovato (dopo affannosissime ricerche) in Viale Arrigo Boito. Poi ecco Ferdinando scendere su un declivio che si è capito essere Via di Ponte Salario (ed è probabile che pure sul cartello illeggibile del film sia scritto proprio così). Nuova tappa in un casolare con pozzo non identificabile quindi ancora lungo la Circonvallazione Salaria. | ||||
| Un attimo dopo ecco lì Ferdinando che si ferma giusto il tempo di mostrare alle sue spalle Ponte Salario, il Ponte sull’Aniene che oggi da lì non si potrebbe vedere mai e poi mai (la fila di alberi ne occlude la vista) e scendere verso un campetto da calcio lì dove oggi c’è un circolo di tennis, lungo via del Foro Italico, lo stesso in cui giocava Sordi in Il boom. Quindi ancora un casale semiabbandonato irrintracciabile dove Ferdinando si fa strada tra le galline e si ferma a bere a un fontanile (imitato dagli inseguitori). La scena successiva siamo di nuovo sulla Circonvallazione Salaria. Il punto è lo stesso visto poco prima, in cui sullo sfondo si staglia la fila di palazzi di Viale Arrigo Boito (che oggi sarebbero da lì invisibili, coperti come sono da altre file di palazzi sorti in un imprecisato secondo tempo): un gioco di continui campi e controcampi “truccati” non fa spostare di un metro i protagonisti, che se ne corrono avanti e indietro nelle due direzioni. “Ma la vuoi finì de core?” grida il brigadiere al ladro. Questi, che effettivamente è al limite della resistenza, fa ancora pochi passi lungo la Circonvallazione e infine si ferma su un masso a pochi metri dal casolare dal quale sfuggirà dalla finestra. Un breve botta e risposta passato alla storia (“Te sparo sa”. “Non puoi”. “Perchè?”. “Puoi sparare solo per legittima difesa; io non offendo...”. “Vabbè, allora sparo in aria a scopo intimidatorio”. “E vabbè, io no mi intimido, e sto qua”) e la strada assieme fino al bar della toilette, che rappresenta uno dei pochi edifici ancora in piedi da allora. E’ un casolare che oggi sta sotto alla Circonvallazione e che è ancora riconoscibile perché praticamente identico. Giusto qualche ristrutturazione... | ||||
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| 05. LA CASA DI FERDINANDO ESPOSITO Una delle location chiave del film è quella che ci mostra la casa in cui abita Ferdinando con la famiglia e dove più volte il brigadiere Bottoni andrà a trovarlo. A vederla sembra una casa posta in un terreno semiabbandonato, tra fango e terra. Ma poi sul fondo si vede il cupolone di San Pietro e capiamo che non dovremmo essere così distanti dal centro... Infatti non siamo in Via Roseto come si dice nel film ma in Via Gregorio VII all’angolo con Via dell’Argilla, luogo che oggi è clamorosamente cambiato rispetto a quella strada sterrata che si vedeva nel 1951. La prima cosa che colpisce è come la casa di Ferdinando sia l’ultimo palazzo di una fila che ai lati non ha nulla o quasi. |
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| Oggi non è proprio così, visto che proprio al fianco della casa ne è stata attaccata un’altra, prima di arrivare alla svolta di San Silverio. E quella che era una stradaccia di terra e fango è proprio Via Gregorio VII, al centro della quale stava allora il barbiere. Il barbiere, come le catapecchie a sinistra dell’uscita, oggi non esistono proprio più, mentre ha resistito come detto la casa di Totò, anche se inglobata in un complesso ben maggiore di allora. E’ però da considerare un’altra cosa: quando vediamo Ferdinando intercettare Bottoni sulla porta d’ingresso scopriamo che i due non sono affatto nella casa di via Gregorio VII come dovrebbero ma da tutt’altra parte, e precisamente davanti alla Farnesina, di cui scorgiamo l’inconfondibile sagoma sullo sfondo! Un trucco bello e buono! Oggi la “seconda casa” di Totò, ovvero quella di cui si vede solo l'interno, è stata anch’essa abbattuta per lasciare spazio a un ampio parcheggio o (se era appena più indietro) a un moderno complesso | ||||
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06. BOTTONI PEDINA IL FIGLIO DI FERDINANDO Uscendo da casa di Ferdinando, Bottoni decide di seguirne il figlio maggiore per vedere dove va. Lo vedremo percorrere dapprima Borgo Sant'Angelo (siamo sempre a Roma naturalmente) quindi Via del Portico d'Ottavia. L'appuntamento sarà invece in piazza delle Cinque Scole, dove si accorge che il ragazzo ha un appuntamento. E non sta aspettando una persona qualsiasi bensì proprio la figlia di Bottoni, la quale arriva all’appuntamento dopo qualche minuto. A Bottoni cadono le braccia... Si trata dell'ultima location visibile del film prima di tornare a rivedere quelle già studiate nella prima parte. |
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Totò, il comico irripetibile
Totò, l’arte di far ridere (Noi Donne, 28 maggio 1966) — Applausi a Cannes per “Uccellacci e uccellini”
Totò, serio discorso di un attore comico — Rivista del Cinematografo, 1 gennaio 1966 — Dal mito al mestiere, tra teatro e set
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- "Totò attore", Ennio Bispuri - Gremese, 2010
- "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
- "Kill Baby Kill!" Il cinema di Mario Bava - edizioni Un mondo a parte
- Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Aldo Fabrizi e Carlo Delle Piane in "L'avventurosa storia del cinema italiano", Franca Faldini e Goffredo Fofi, Cineteca di Bologna, 2011
- Sebastiano A. Giuffrida, "Roma, esterno giorno", Biblioteca dello spettacolo Brufo Editori - Perugia
- Collaborazione Simone Riberto
- Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- DOM., «Cinema», 28 febbraio 1949
- «Il Piccolo di Trieste», 26 dicembre 1950
- «Segnalazioni cinematografiche», 1951
- Oreste Del Buono, «Milano Sera», 1951
- Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VII, n. 11, 11 marzo 1951
- «L'Europeo», 18 marzo 1951
- l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 16 giugno 1951
- lan., (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 22 novembre 1951
- Art, «Corriere dell'Informazione», 22 dicembre 1951
- Lamberto Sechi, «La Settimana Incom», 23 dicembre 1951
- t. ci., «Il Lavoro», 23 dicembre 1951
- E.C., (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 23 dicembre 1951
- al. or. (Alfredo Orecchio), «Paese Sera», 25 dicembre 1951
- «l'Unità», 27 dicembre 1951
- Corrado Alvaro, «Il Mondo», 5 gennaio 1952
- «Corriere del Sabato», 2 febbraio 1952
- emme, «L'Eco della Zizzola», 7 febbraio 1952
- Domenico Meccoli, «Epoca», 5 aprile 1952
- Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952
- «Settimo Giorno», anno V, n.48, 3 dicembre 1952
- D.M., «Epoca», anno III, n.113, 6 dicembre 1952
- «Stampa Sera», 22 dicembre 1959
- «Radiocorriere TV», dicembre 1959
- Aldo Fabrizi, «Corriere della Sera», 15 aprile 1977
- David Grieco, «L'Unità», 14 marzo 1980
- Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
- Mario Luzi da «Sperdute nel buio. 77 critiche cinematografiche», Trecazzano, Milano, 1995





La situazione al via delle ricerche: Nonostante il film sia importante e molto amato, online la ricerca delle location si è finora limitata alla casa di Totò (che tempo fa aveva scoperto sul nostro forum tale Giovy) e a un vago “fosso di Sant’Agnese” per l’inseguimento. Tutto quello che troverete di seguito (soprattutto la ricostruzione minuziosa dell’inseguimento) compare qui per la prima volta (Wiki e imdb non dicono una sola parola in tema location del film, al momento)




















