Guardie e ladri

Oh perbacco! Non lo hanno fatto commendatore? Ma come, un uomo così grosso...

Ferdinando Esposito

Inizio riprese: febbraio 1951, Studi Ponti-De Laurentiis, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 23 ottobre 1951 - Incasso lire 653.790.000 - Spettatori 5.820.262



Titolo originale Guardie e ladri
Paese Italia - Anno 1951 - Durata 106 min - B/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Mario Monicelli, Steno - Soggetto Piero Tellini - Sceneggiatura Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Aldo Fabrizi, Ruggero Maccari ,Steno, Mario Monicelli - Produttore Ponti-De Laurentis-Golden Film, Roma - Fotografia Mario Bava - Montaggio Franco Fraticelli - Musiche Alessandro Cicognini - Scenografia Flavio Mogherini - Direttore di produzione: Bruno Todini - Ispettore di produzione: Nicolò Pomilia - Assistente alla produzione: Tony Brandt - Aiuto regista: Mario Mariani - Assistente alla regia: Rudy Bauer - Operatore alla macchina: Corrado Bartoloni - Tecnico del suono: Gino Fiorelli - Fonico: Aldo Calpini - Segretaria di edizione: Ines Brusci


Totò: Ferdinando Esposito - Pina Piovani: la moglie, Donata - Carlo Delle Piane: il figlio, Libero - Ernesto Almirante: il padre di Ferdinando, Carlo - Gino Leurini: il cognato di Ferdinando, Alfredo - Aldo Fabrizi: Lorenzo Bottoni, il brigadiere - Ave Ninchi: la moglie, Giovanna - Rossana Podestà: Liliana Bottoni - Paolo Modugno: Paolo Bottoni - Mario Castellani: il tassista - Pietro Carloni: il commissario - Gino Scotti: il vice commissario - Williams Tubbs: mr. Locuzzo - Aldo Giuffrè: il professore, Amilcare - Armando Guarnieri: il barbiere - Luciano Bonanni - Il secondo barbiere - Giulio Calì: il mendicante - Ciro Berardi: l'oste - Aldo Alimonti - Riccardo Antolini - Alida Cappellini - Rocco D'Assunta - Ettore Jannetti


Soggetto

Ferdinando Esposito è un piccolo truffatore che cerca di mantenere la famiglia con i suoi espedienti. Travestito da guida turistica, e con il suo socio d'affari Amilcare, finge di aver trovato una moneta antica nel Foro Romano e la vende per 50 dollari a un turista americano, il quale si accorge troppo tardi della truffa. Quella stessa mattina i due organizzano una seconda truffa al Teatro Quirino, dove sta avvenendo la distribuzione di alcuni pacchi-dono, destinati alle famiglie. L'idea è di ingaggiare un gruppo di bambini, che dovranno recitare la parte dei loro figli, ma Esposito è senza biglietto. All'entrata del teatro si imbatte con un grasso agente di polizia, il brigadiere Lorenzo Bottoni, così comincia una discussione tra i due e, per non avere problemi e per non bloccare la fila, la guardia gli permette di entrare. La truffa non finisce bene, il presidente del comitato di beneficenza è Mr. Locuzzo, il turista americano truffato, e durante la distribuzione dei pacchi lo riconosce e lo denuncia seduta stante.

Comincia così un lungo inseguimento da parte dell'agente di polizia Bottoni. Esposito riesce a prendere un taxi mentre il brigadiere sale nella macchina dell'americano, con lui al volante. Il taxi di Esposito finisce in una strada bloccata in aperta campagna e l'uomo è costretto a scendere. L'inseguimento si trasforma in una vera a propria caccia all'uomo, il ladruncolo non è inseguito solo dalla guardia e dal turista americano, ma anche dal tassista. Dopo una lunghissima ed estenuante corsa attraverso il fango e la campagna, Esposito è costretto a fermarsi - poiché sofferente di fegato - seguito immediatamente dal brigadiere, anch'egli stremato.

Dopo alcuni diverbi inizia un umano dialogo tra i due, nel quale Bottoni consiglierà ad Esposito una cura per il fegato. Giunti Mr. Locuzzo e il tassista, che erano rimasti indietro, inizia una litigata di gruppo, intanto l'agente Bottoni ammanetta (con una catenella) Esposito, il quale confessa all'autista di non avere denaro per pagarlo. Poiché Esposito non ha più la forza di camminare, l'americano è costretto a tornare indietro a recuperare l'auto, seguito dall'autista, che attende ancora che qualcuno lo paghi. Il ladro e il brigadiere si fermano ad un'osteria lì vicino, si siedono e aspettano. Dopo alcuni minuti, Esposito finge un improvviso attacco di colite, e il brigadiere è costretto a scortarlo in bagno, tenendolo legato, però, con la catenella attraverso la porta. Mr. Locuzzo è di ritorno insieme al tassista, Bottoni avverte Esposito, ma questi non risponde; allora il brigadiere tira la catena. Si sente il rumore dello scarico, l'agente si accorge che Esposito si è sfilato la catenella, l'ha legata a quella dello sciacquone ed è scappato dalla finestra. Mr. Locuzzo è furioso con Bottoni e dice che protesterà ai suoi superiori.

Più tardi, al commissariato, Locuzzo espone i fatti al commissario ed esige che Bottoni venga punito. Spunta fuori anche l'autista, ancora in attesa di esser pagato, ma niente da fare. Rimasto solo con il brigadiere, il commissario gli dice di non preoccuparsi, ma arrivate le telefonate dei superiori la situazione si capovolge: Bottoni è momentaneamente sospeso dal servizio e rischia di finire sotto processo se non addirittura di perdere il posto. Il commissario, cercando di venire incontro all'agente, lo informa di una possibile ipotesi: se riuscirà ad acciuffare il ladro entro la data prestabilita dal tribunale (3 mesi), contando solo su se stesso e senza l'aiuto di altri membri della polizia, potrà essere riammesso al servizio.

Sconfortato, il brigadiere ritorna a casa e decide di tenere nascosto l'accaduto alla famiglia. Come primo passo per trovare Esposito decide di controllare tra i cassetti degli schedati. Una volta trovate le informazioni si avvia, vestito di abiti borghesi, verso l'abitazione di Esposito: chiede informazioni al portiere e si informa sui membri della famiglia, e per non dare troppo nell'occhio entra in una bottega di barbiere lì vicino, inizia così il suo primo appostamento. Bottoni riesce ad avvicinare il figlio di Esposito, Libero, e cerca di guadagnarsi la sua fiducia, facendolo diventare amico di suo figlio Paolo, invitandolo a casa e regalandogli un maglione.

Passano giorni, e di Esposito, tuttavia, nessuna traccia. Bottoni, dopo l'ennesima attesa di fronte l'abitazione del ladruncolo, torna a casa e la moglie lo informa della presenza della famiglia Esposito (composta da moglie, figli, padre e cognato), che sono venuti per ringraziarlo per le gentilezze che ha fatto al ragazzino, ma non c'è traccia di Ferdinando. Le due famiglie si conoscono e tra il cognato del ladro e la figlia della guardia nasce una simpatia. Quella stessa sera, la famiglia di Esposito, rincasando, trova il capo di casa che attendeva il loro arrivo, che si lamenta per il motivo che all'abitazione ci deve essere sempre qualcuno in caso avesse bisogno di qualcosa. Dopo essersi fatto sentire, l'uomo racconta al padre l'episodio accadutogli e quindi il motivo per cui ha preferito passare dei giorni lontano da casa, poi controlla i compiti dei figli e rimedia la cena.

La moglie Donata gli parla dei Bottoni, spiegandogli che sono persone per bene, e gli chiede di portargli dei fiori per ricambiare le loro cortesie. La mattina dopo, Bottoni, entrato nuovamente nel salone del barbiere, si accorge troppo tardi della presenza di Esposito, proprio accanto a lui, e se lo lascia scappare. Quella stessa mattina, l'uomo, ignaro dell'identità del brigadiere, decide di portare i fiori alla signora Bottoni, proprio mentre il marito è andato a casa di Esposito con la scusa di portare pasta e farina alla famiglia. Ha inizio una comica scena in cui i due si ritrovano a parlare al telefono fra di loro e Bottoni cerca di convincere Esposito a trattenersi a casa sua, dicendo che verrà subito perché ha desiderio di conoscerlo e deve proporgli un affare di molti quattrini, però l'uomo non si trattiene poiché deve partire per alcuni giorni... dopodiché la signora Esposito chiama il fratello Alfredo dicendogli che deve portare il solito pacco al marito. Bottoni decide così di seguire il cognato, sperando di acciuffare il ladro, scopre però che il giovane aveva un appuntamento con sua figlia Liliana.

Verso l'ora di pranzo, il signor Bottoni, dopo aver espressamente raccomandato alla figlia di non frequentare "quel tipo", viene informato dalla moglie che la signora Esposito li ha invitati a pranzo per domenica (l'ultimo giorno prima della scadenza dei 3 mesi), ed è data quasi per certa la presenza del marito - ancora ignaro dell'identità di Bottoni. Come altra possibilità di incontrare Esposito prima del tempo, decide di assegnare un posto come magazziniere al cognato Alfredo (disoccupato), sperando che Ferdinando venga a casa sua per ringraziarlo.

Giunge il giorno del pranzo. Ferdinando ritorna dal suo breve viaggio "d'affari" e si accorda col suo socio Amilcare, perché devono ripartire per Napoli. Entra in casa dove fervono i preparativi, e la moglie gli dice che aspettano gente a pranzo. L'uomo, dopo aver sentito che si tratta dei Bottoni, sbotta di colpo dicendo di essere stufo di "vedere questi bottoni per casa", fa presente di dover ripartire, prepara la sua roba e si appresta a uscire di casa. Per le scale incontra la signora Bottoni e la figlia, seguite dal signor Bottoni. I due si ritrovano da soli, faccia a faccia. Ed è allora che Ferdinando lo rimprovera per aver carpito la buona fede dei suoi familiari, mentre Bottoni gli confida il suo dramma. Una sorta di umana complicità nasce tra i due. Esposito comprende la situazione dell'agente e decide di lasciarsi arrestare.

I due decidono di tenere nascosta la verità alle proprie famiglie, si fermano a mangiare e decidono di avviarsi più tardi verso la questura. Ma durante il pranzo Ferdinando sceglie di andare prima del previsto; i due lasciano credere che abbiano affari comuni, che Ferdinando parta per un viaggio di lavoro e che Lorenzo lo accompagni alla stazione. L'uomo firma le pagelle dei figli, saluta le due famiglie e si avvia, accompagnato dal brigadiere. Si capovolgono i ruoli ed è lo stesso Esposito a convincere Bottoni a condurlo in prigione, nonostante la guardia ne sia ormai riluttante. Durante la sua assenza, sarà Bottoni a pensare anche alla famiglia di Ferdinando.

Critica e curiosità

Il soggetto iniziale di Guardie e ladri nacque da Piero Tellini, che fu ispirato da un'idea originaria avuta da Federico Fellini. In un primo momento lo sceneggiatore propose il film alla Magnani, che avrebbe dovuto interpretare la parte della ladra. Il compito di dirigere la pellicola andò al regista Luigi Zampa, il quale si impegnò subito nella sceneggiatura con Brancati e Flaiano, e all'inizio del 1949 annunciò l'uscita del film: dichiarò il 28 febbraio alla rivista Cinema che aveva intenzione di assegnare il ruolo del brigadiere a Peppino De Filippo e quello di sua moglie ad Anna Magnani. Peppino De Filippo era chiaramente considerato un interprete farsesco ma, per Guardie e ladri, il regista non voleva un personaggio con tali caratteristiche; ambiva invece a una nuova figura distaccata dal farsesco e intendeva pertanto sfruttare le capacità dell'attore per creare un personaggio vero e solo con sfumature satiriche e comiche.

Tuttavia per vari motivi la lavorazione non andò avanti: da una parte c'era l'impossibilità di Peppino di dedicarsi al film, poiché impegnato con il teatro; dall'altra c'era il timore del regista a procedere, condizionato dal fatto che era stato spesso criticato in passato e che alcune sue pellicole avevano suscitato numerose controversie e subito tagli dalla censura. In particolare L'onorevole Angelina (con protagonista la Magnani), dove il regista dovette eliminare alcune battute importanti e tagliare intere scene: appariva infatti Nando Bruno nei panni di un agente di pubblica sicurezza, e secondo il ragionamento della commissione di censura il pubblico avrebbe identificato in quell'agente, che veniva leggermente ironizzato, tutti gli agenti di polizia, e se avesse riso di lui avrebbe riso dell'intero corpo di polizia "danneggiandone il prestigio". Così, onde evitare problemi, anche con questo suo nuovo progetto ed essendo lui stesso consapevole dei rischi a cui il film sarebbe andato incontro, decise dopo qualche mese, di rinunciarvi: «... Da quel momento - affermò Zampa - è rimasta in me una vera fobia per tutti gli argomenti in cui entrassero agenti o guardie: tanto che dopo aver portato a termine il trattamento di Guardie e ladri, rinunciai... pensando ai limiti di varia natura che, durante la realizzazione del film, mi sarei dovuto imporre».

Il film passò dunque nelle mani di Mario Monicelli e Steno, i quali si erano già cimentati precedentemente, con Totò cerca casa (1949), nella sperimentazione di una sorta di "parodia del neorealismo". Il titolo del film è particolarmente simbolico: è un puro riferimento all'omonimo e antichissimo gioco da bambini. I due protagonisti si rincorrono per tutta la storia, "tutto il film è un inseguimento, una partita a scacchi - anzi, a nascondino - fra ladro e guardia".

Guardie e ladri fu uno dei primi film ad essere prodotto dalla casa di produzione "Ponti-De Laurentiis", fondata dai due produttori dopo aver abbandonato la Lux; sembra che fu proprio Carlo Ponti ad avere l'idea di far lavorare insieme due attori di grosso calibro come Totò e Aldo Fabrizi, che in quel periodo godevano di grande popolarità, e che oltretutto erano notoriamente amici affezionati, tanto che Fabrizi era l'unico attore che Totò frequentava fuori dalle scene. Fabrizi dimostrò subito grande interesse per il progetto, mentre da parte di Totò restava qualche esitazione perché il ruolo offertogli era decisamente diverso rispetto ai personaggi che aveva interpretato in precedenza ("personaggi sopra le righe", come li definì Monicelli), e lui stesso non conosceva i suoi limiti ed era insicuro delle sue capacità, c'erano quindi dei dubbi ad entrare in un film totalmente nuovo e apparentemente concepito solo per Fabrizi. Infatti quando Steno e Monicelli gli fecero leggere la sceneggiatura del film l'attore affermò: «È bellissima, ma io cosa c'entro, io non posso farlo, questo è un film per Fabrizi». L'attore romano aveva già dimostrato qualità nel raffigurare personaggi a sfondo drammatico, per Totò invece il film fu una vera e propria scommessa, anche perché era la prima volta che si misurava con un interprete di pari fama e abilità, c'era comunque da parte sua la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, e fu anche spronato dai due registi, convinti che avrebbe potuto "fare qualcosa di formidabile". Per evitare eventuali difficoltà sul set derivate dall'antagonismo Totò/Fabrizi ai due furono date delle garanzie, in primis il fatto di non concedere né all'uno né all'altro la priorità nei titoli di testa della pellicola, mettendo nei titoli i loro nomi incrociati, scritti due volte ciascuno, in modo che il nome di Fabrizi apparisse in alto e in basso e quello di Totò contemporaneamente a sinistra e a destra.

Il ruolo della moglie della guardia, inizialmente pensato per la Magnani, venne affidato ad Ave Ninchi, che aveva già lavorato in precedenza sia con Fabrizi che con Totò, inoltre serviva un'attrice in grado di reggere la recitazione dei due protagonisti. Il ruolo era complementare e sembrò poco adatto alla Magnani, che avrebbe sicuramente preso troppo spazio tenendo testa ai due attori. Per interpretare invece la moglie del ladro fu scelta Pina Piovani, altra attrice proveniente dal teatro di rivista, la quale aveva già recitato una piccola parte in un precedente film di Steno e Monicelli (Vita da cani), l'attrice si dimostrò subito all'altezza: possedeva scioltezza ed elasticità, aveva la capacità di adattarsi, di rispondere alla battuta improvvisata. Non ebbe problemi ad armonizzarsi con gli altri attori. Monicelli la ricordò come un'attrice abituata all'artigianato, a fare la parte come va fatta senza "psicologizzare".

Tra gli interpreti secondari figuravano Carlo Delle Piane, Ernesto Almirante, Gino Leurini, Rossana Podestà, Mario Castellani e Aldo Giuffré (quest'ultimo fino ad allora sottovalutato dalla critica, ma inaspettatamente apprezzato per questo ruolo). Oltre a Pietro Carloni, che impersonò il commissario, furono scritturati vari caratteristi per riempire ruoli di contorno, tra cui Luciano Bonanni (fu il suo esordio cinematografico), Giulio Calì e, in un ruolo più rilevante, l'attore statunitense William Tubbs (erroneamente accreditato come William Thubbs), che interpretò il turista americano truffato.

Le riprese del film iniziarono il 3 febbraio del 1951. Non ci furono complicazioni particolari, a parte qualche difficoltà con la sequenza dell'inseguimento, perché non era cosa facile convocare Totò sul set il mattino, l'attore era abituato agli orari teatrali e non era mai attivo prima di mezzogiorno, d'altronde soffriva di pressione bassa ed era più notturno che mattiniero, era poi un assertore della teoria che "al mattino non si può far ridere"; girava nel cosiddetto orario francese, dalle 13 alle 21. A ciò andava ad aggiungersi la fatica dei quattro attori, Totò, Fabrizi, Castellani e Tubbs durante la corsa, che per alcune sequenze poteva risultare molto stancante - soprattutto per Fabrizi; motivo per cui vennero sostituiti da controfigure per un paio di scene (come la traversata nel fango). La parte della corsa costò quindi tempo e fatica, ai registi e agli attori, difatti Steno dichiarò che impiegarono addirittura quindici giorni.

Un piccolo episodio "tragicomico" accadde mentre si giravano alcune sequenze dell'inseguimento all'Acqua Acetosa; capitò che si trovò di passaggio una vettura con a bordo due carabinieri, che al grido di Fabrizi «Al ladro! Fermatelo!» saltarono giù ed estrassero le pistole. Si misero a rincorrere Totò che si spaventò e disse: «Fermi, fermi!». L'attore si fermò aspettando l'arrivo dei militi che appena si resero conto della finzione scenica si scusarono con la troupe, e approfittarono dell'occasione per farsi rilasciare un autografo dai due attori. Sempre all'Acqua Acetosa, Totò notò una bambina con problemi di deambulazione per via di una malformazione delle gambe. Disse al suo amministratore di informarsi se i suoi genitori stessero provvedendo alle cure, ma erano povera gente. Così la fece operare a sue spese e l'intervento andò bene.
Raccontò Monicelli: «Totò era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui vale la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Ma, insieme con Aldo Fabrizi, mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati...»

Sebbene come sottolineato da Monicelli, il carattere di Fabrizi non fosse facile, e sebbene ci fossero dubbi e angosce (soprattutto da parte di Ponti) sul risultato che questi due attori messi insieme avrebbero potuto dare, tra i due comici non ci furono problemi. A testimonianza del regista toscano il loro "fu un rapporto stupendo. Si trattavano con grande civiltà, con molto rispetto reciproco", si rivelarono molto cooperativi e fra loro c'era una sorta di gara a dimostrare la massima gentilezza e disponibilità sul set, anche verso i registi - con i quali Totò era già particolarmente affiatato; oltre a ciò i due comici non persero occasione per divertirsi durante le riprese, raccontava Steno che per più volte dovettero interrompere alcune scene, perché i due attori scoppiavano improvvisamente a ridere - spesso anche prima del ciak, a volte Monicelli si infastidiva, mentre Steno la prendeva più alla leggera: «Erano duetti di due leoni. Ogni tanto, quando uno si sentiva sopraffatto dall'altro, cavava fuori le sue astuzie di grande attore. Così Totò fregava Fabrizi con una battuta imprevista e Fabrizi fregava Totò mettendosi a ridere e interrompendogli la scena». La scena che sembrava infinita era quella dell'osteria, stando a quanto detto dal nipote di Fabrizi in un'intervista e a fonti ormai accertate, i due non riuscivano a portare a termine la sequenza: in più di un'occasione Fabrizi innaffiò il viso di Totò con il caffè che aveva appena assunto, perché improvvisamente scoppiato a ridere.

Sul set Totò approvava sempre le decisioni registiche, non discuteva mai. Solo in principio, durante le riprese, dava dei consigli di natura "surreale, astratta" ai due registi, anche se non veniva molto ascoltato. Ad ogni modo, come di consuetudine, l'attore improvvisava alcune sue scene/battute, e condizionato anche dalla presenza di Fabrizi uscivano fuori gag del tutto impreviste, come raccontato da Carlo Delle Piane, all'epoca quindicenne: «Erano attori eccezionali, con loro non c'era la sicurezza del copione tutto previsto, bisognava stargli dietro, perché le gag non venivano mai uguali, da una ripresa all'altra. Questo, per la mia età, mi divertiva e mi preoccupava. Si provava quello che era scritto, si girava ed era diverso, si ripeteva ed era ancora diverso. Finiva che non capivo niente. Ero dentro, e dovevo istintivamente comportarmi a seconda del momento, non era mai una cosa meccanica». Per il giovane attore c'erano quindi delle piccole difficoltà, ciononostante Totò era molto disponibile verso di lui: cercava di aiutarlo, di dargli tranquillità; mentre da parte di Aldo Fabrizi c'era, almeno inizialmente, una certa freddezza.

L'idea di accoppiare Fabrizi e Totò andò quindi a buon fine, e già nel corso delle riprese della pellicola si pensò subito di bissare, si parlò di un Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, che prevedeva nel cast anche Renato Rascel. L'idea poi sfumò e il film fu girato da Mario Amendola e Ruggero Maccari con altri interpreti. Si pensò anche a un eventuale Cani e gatti per la regia di Steno, che poi diventò una commedia con Titina De Filippo.

Le riprese del film vennero interamente effettuate a Roma. La parte iniziale, della truffa al turista, fu chiaramente girata al Foro Romano. Il luogo dell'origine dell'inseguimento, al Teatro Quirino, è all'incrocio tra via delle Vergini e via dell'Umiltà. Il primo stop, durante l'inseguimento in strada, venne girato invece all'incrocio tra via del Tritone, via del Traforo e via Crispi. Quando Totò scende dal taxi è in via dei Campi Sportivi. La sequenza successiva fu invece girata da tutt'altra parte, ovvero lungo quella che oggi è la circonvallazione Salaria, dove venne girata gran parte dell'inseguimento.

La casa di Esposito, apparentemente posta in un terreno semi-abbandonato tra fango e terra, si trova vicino alla cupola di San Pietro (palesemente visibile nel film), infatti l'abitazione non è in via Roseto (come ci dice la pellicola), ma in via Gregorio VII, all'angolo con via dell'Argilla. Oggi la casa è ancora intatta, invece il salone del barbiere e le casupole a sinistra dell'uscita non esistono più. La scena in cui Ferdinando intercetta il brigadiere Bottoni sulla porta d'ingresso (nella parte finale del film), non fu girata nell'abitazione in via Gregorio VII, ma in altra zona, precisamente davanti alla Farnesina. La sequenza in cui il brigadiere pedina il cognato di Ferdinando fu girata nella strada borgo Sant'Angelo e successivamente in via del Portico d'Ottavia. La scena dell'incontro tra i due giovani (Liliana Bottoni e Alfredo) venne girata in piazza delle Cinque Scole.

La fotografia del film fu curata da Mario Bava, che divenne in seguito un noto regista di film horror e thriller. Aveva già lavorato un anno prima con Monicelli e Steno, curando la fotografia di Vita da cani (1950), altro film dai tratti comici-drammatici, in cui appariva come protagonista Aldo Fabrizi.

Bava era un operatore molto veloce, professionale, disponibile e affabile, anche fuori dal set, i due registi si trovarono molto bene con lui. Rimase in buoni rapporti soprattutto con Monicelli, e fu uno dei pochi collaboratori con cui il regista si intese veramente bene, che lo descrisse come "un uomo simpaticissimo e molto spiritoso... un operatore velocissimo, che non creava mai problemi... sempre molto distaccato e cosciente del tipo di film che faceva come regista". Durante le riprese del film era molto importante essere rapidi, soprattutto per le sequenze dell'inseguimento. Fabrizi e Totò, pur essendo molto ben disposti, avevano le loro seccature: il primo era insofferente mentre l'altro aveva guai con la vista e altri problemi di salute. Quindi la regia aveva bisogno di un direttore della luce molto svelto, quasi sbrigativo, che approfittasse di ogni momento della disponibilità dei due attori. Su questo piano Bava fece un ottimo lavoro, si dimostrò molto capace e collaborativo, e fu molto utile e d'aiuto ai due registi.

L'atmosfera del film muta notevolmente durante la storia, dovuta naturalmente all'ambientazione. Si nota soprattutto nella parte finale, quando il ladro/Totò scopre la vera identità del brigadiere/Fabrizi; Bava diede alla scena un'atmosfera particolarmente drammatica, che si denota dallo spazio cupo e dal cambiamento della luce, con le ombre proiettate sulle pareti.

La pellicola, che arrivò a 2.900 metri di lunghezza, venne girata con un aspect ratio di 1,37:1 in formato 35 millimetri, con il processo cinematografico Spherical. Guardie e ladri continuò a ricevere critiche e recensioni positive anche anni dopo la sua uscita, e viene considerato tuttora un classico della commedia, "per il gusto del tratteggio sociale e di costume."


Molti pareri critici sono stati riportati anche nei libri: Masolino D'Amico nel suo libro dedicato alla commedia all'italiana ha descritto Guardie e ladri come una "pietra miliare dell'evoluzione del neorealismo in satira sociale sotto il riparo della comicità."


Enrico Giacovelli nel libro "Poi dice che uno si butta a sinistra!" ha etichettato il film come "l'unico vero esempio di commedia neorealista riuscita... il film dell'equilibrio massimo, quasi chapliniano, fra comico e tragico." Nel libro "La commedia all'italiana, la storia, i luoghi, gli autori, gli attori, i film" ha puntualizzato anche che i duetti di Fabrizi e Totò "restano fra i migliori del cinema italiano."[96] Commento poi riformulato anche da Roberto Poppi in "I registi: dal 1930 ai giorni nostri", ove ha quotato il film un capolavoro, scrivendo che il duettare di Fabrizi con Totò "è uno degli insuperati esempi di creazione estemporanea di arte recitativa."


Ennio Bispuri nei suoi libri "Vita di Totò" e "Totò: principe clown" ha reputato il film un capolavoro assoluto, considerandolo come il migliore tra tutti quelli interpretati da Totò.


Anche Walter Veltroni ha commentato la pellicola, dichiarandola veramente coraggiosa per quel tempo, ed esponendo la sua importanza nella carriera di Totò, che difatti fu uno dei pochi film per i quali il comico fu celebrato da vivo. Ha poi descritto il talento dell'attore, che era "bravo" a prescindere, indipendentemente dal film interpretato, che fosse di Mattòli o di Pasolini.


Morando Morandini ha ribadito l'interpretazione di Totò, "di buona annata, con numerosi risvolti satirici graffianti", ha considerato ottima la recitazione di Fabrizi e ha puntualizzato il gran merito del successo della pellicola grazie agli "arguti dialoghi" degli sceneggiatori. Ha assegnato al film quattro stelle su cinque.


Sul sito Rotten Tomatoes il film detiene il 95% di giudizi positivi da parte del pubblico, con una valutazione media di 3.9 / 5. Mentre su IMDb possiede una media di 7,2 / 10.

"I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998


Così la stampa dell'epoca

Non si capisce bene se le discussioni provocate da Anni difficili facciano, a Luigi Zampa. piacere o dispiacere. Genericamente egli si limita a lamentarsi che l'esame del contenuto politico di quel film abbia preso a volte il sopravvento su quello del contenuto artistico e che, nella maggior parte dei casi, lo abbiano osannato o crocifisso secondo una visuale di opportunismo politico. Si. una certa reazione in questo senso Zampa se l'aspettava mentre lavorava al Alm: che si scomodassero le direzioni dei partiti politici e che si facesse un'interpellanza al Senato non l'aveva mai pensato.

Ma la spina di Zampa non è questa: altre opere polemiche prima della sua hanno avuto in altri Paesi, sorte non dissimile. La spina di Zampa é la critica italiana, o meglio quella parte della critica italiana che giudica e manda senza motivare i suoi giudizi. Del pubblico è soddisfatto, il pubblico lo segue, i suoi film incassano; ma questo a Zampa non basta La nostra critica, in genere, non gli è favorevole Ai suoi giudizi negativi e a volte acri, egli contrappone i giudizi della critica straniera positivi, ampi e cordiali.

«Per alcuni nostri critici» egli ha detto «sono press'a poco un pallone gonfiato; per i critici stranieri sono un grande regista, uno degli esponenti del nuovo cinema. Ma passi: questo può dipendere da particolari condizioni psicologiche che portano, per lo stesso motivo. a reazioni diverse. Non posso invece accettare certi giudizi sbrigativi di cui sono gratificato. Io ho molto rispetto per la critica, la considero collaboratrice necessaria al nostro lavoro di registi, utile a segnalarci difetti o ad incoraggiarci là dove meritiamo. Ma quando si è lavorato un anno intorno a un film si ha il diritto di essere giudicati con attenzione e. quando si è sbagliato, di sapere "perché" si è sbagliato».

Zampa, difatti, non fa più di un film all'anno. Dal 1945 ha realizzato Un americano in vacanza, Vivere in pace. L'onorevole Angelina, Anni difficili. Ora sta completando il montaggio delle versioni italiano e inglese del suo ultimo film. Campane a martello, mentre sceneggia con Vitaliano Brancati ed Ennio Flajano Guardie e ladri, un soggetto di Piero Teliini. (A un certo momento si era parlato di un film Anni facili, seguito di Anni difficili, ma Zampa ha preferito abbandonare il progetto).

«Guardie e ladri» ci ha spiegato Zampa «è la storia d'una guardia e della sua famiglia e d'un ladro e della sua famiglia. La guardia si lascia scappare il ladro e deve ritrovarlo. altrimenti finisce sul lastrico. La sua famiglia lo aiuta e, durante la ricerca, viene a contatto con la famiglia del ladro. Una storia attuale, di sapore critico, risolta sul piano umano. quello, per intenderci, di Vivere in pace. per esaminare, al di là della maschera costituita da una professione, il contenuto intimo degli uomini che lottano per la vita. In fondo, sono queste le storie che mi piacciono e mi interessano di più».

Per gli interpreti, Zampa pensa alla Magnani per la parte della moglie della guardia e a Peppino De Filippo per la parte della guardia. «Peppino De Filippo è considerato preferibilmente attore farsesco; ma in Guardie e ladri non dovrà essere tale. Intendo sfruttare la sua capacità di rendere un personaggio vero, con sfumature che non interessano il farsesco ma il satirico e all'occasione il comico».

«Come appare chiaro», continua Zampa, «non si tratterà di un film neorealista. Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione. Come tra fotografia e pittura questa sola ha le caratteristiche dell'arte».

DOM., «Cinema», 28 febbraio 1949


Farà un film con Anna Magnani

Torino, dicembre

Totò s’è già impegnato per una nuova serie di film con la «Lux» e col produttore De Laurentiis che lo legherà anche per tutto il 1951. Il primo film di cui sarà interprete con Aldo Fabrizi, sotto la regìa di Steno e Monicelli, ha per titolo «Ladro e guardia». Chi dei due comici sarà la guardia e chi il ladro? Non lo sappiamo ancora.

Il secondo film sarà «Questi fantasmi» tratto dalla commedia di Eduardo De Filippo. Speriamo che Totò, sotto la regia dello stesso De Filippo, ritrovi la misura che tanto ce lo fece ammirare in «Napoli milionaria». E’ naturale che l’autore del copione e regista dei film, cioè Eduardo, sia anche interprete e che nella parte femminile abbia chiamato la sorella Titina.

La serie non è ancora terminata. Totò ha accettato di interpretare un film a fianco di Anna Magnani. Non esiste ancora il copione, non è stato ancora fissato il regista (sarà Bragaglia o sarà Mattoli?) ma la coppia (speriamo che mantengano fede alle promesse) è già stata impegnata. Durante il 1951 il programma di lavoro del comico Totò, come si vede, è abbastanza nutrito. A questi tre film di un certo impegno si devono poi aggiungere i sei o sette che girerà tra una pausa e l’altra, come per prendere un aperitivo.

I film del comico partenopeo hanno almeno questo di buono: se sono in genere negativi per ciò che riguarda copione, sceneggiatura e regìa (eccezion fatta per «Napoli milionaria») hanno per compenso la spassosa presenza di Totò che, volenti o nolenti, ci strappa la risata con una certa frequenza anche se egli si è ormai fissato su posizioni da cui dovrebbe muoversi rinnovando il suo repertorio di mossette, di finte, di lazzi.

«Il Piccolo di Trieste», 26 dicembre 1950


Il film riesce interessante per l'interpretazione di Fabrizi e Totò.

«Segnalazioni cinematografiche», 1951


Un film senza etichetta, senza limiti di sorta.

Oreste Del Buono, «Milano Sera», 1951


Fabrizi ha sfidato Totò 

In “Guardie e ladri” i due attori che si sono trovati per la prima volta l’uno di fronte all’altro hanno cercato Invano di superarsi

Roma, marzo

Fabrizi e Totò insieme. Quale duello ad armi cortesi sì, ma senza esclusione di colpi! Il film è « Guardie e ladri » e lo hanno scritto e ora lo dirigono Steno e Monicelli. Il soggetto è una storia qualsiasi, un pretesto per mettere insieme il romano e il napoletano. C'è bisogno di dire chi è la guardia? Basta pensare un momento al fisico esuberante di Fabrizi, e a quello minuto dì Totò, per capire subito come le parti siano state distribuite. E così Fabrizi, dopo essere stato tranviere, bagarino, vetturino, prete, guitto, impersona ora un brigadiere di Pubblica Sicurezza, dall'aspetto feroce e il cuore grande come una casa.

E Totò è il mariuolo, il ladro, e anzi un ladruncolo, un pezzetto di ladro, buono, in fondo, pure lui come il pane. Ma bisogna pur vivere. E il napoletano, misero, affamato, con gli occhi dolci, ricoperto di un impermeabile leggero come una foglia, con un paio di baffetti a virgola che sono più un tentativo di dichiararsi uomo che una prova di virilità, un povero marioncello da quattro soldi, un « pataccaro » come si dice, a cui l’appetito aguzza l'ingegno, incontra un giorno un emigrante tornato ricco e pacchiano dall’America e tenta di truffarlo, soavemente, umilmente. Ma all’ultimo momento la vittima distoglie gli occhi, dal serpente, ha una resipiscenza, si rende conto dell’inganno, protesta, grida, mentre il piccolo ladro fugge; sopraggiunge una guardia, quello glielo mostra col dito, che sta scappando, e l'inseguimento dal cuore della città prosegue sino in aperta campagna.

Ecco che la guardia ansimante e collerica (ma in fondo buona) riesce a mettere le mani sul miserabile imbroglione, l'ammanetta persino. Ma il ladro, a questo punto, scappa di nuovo: si era era fatto togliere un momento le manette. Da questo istante il brigadiere diventa la vittima. Ha un mese di tempo per arrestare il ladro, in capo al quale, fallendo nell'impresa, sarà esemplarmente punito. Ma siamo o non siamo in un paese di padri di famiglia? Ora è il pane quotidiano del brigadiere, la sua modesta carriera, la pensione e, infine, l'onore che sono in giuoco. E allora la guardia archietatta un piano diabolico.

Un ladro con la faccia come quella non potrà far passare molto tempo senza farsi vivo con la sua famiglia. Spinge dunque avanti la propria, come una formazione a testuggine degli antichi romani, e dietro viene lui, con le manette a catenella. Fa insomma in modo che i suoi familiari facciano conoscenza con quelli del ladro. Da principio i suoi lo secondano a puntino, marciano compatti in difesa del pane quotidiano, obbediscono al disegno del padre e del manto, penetrano con il sorriso sulle labbra nella misera fortezza avversaria. Ma «tutti» abbiamo famiglia. E quella di Totò è così semplice, simpatica, pittoresca, patetica che, in breve, senza neanche sapere come, le due famiglie si legano di una calda amicizia. In un 'clima come questo parole come dovere, regolamento, disciplina è molto difficile, non già applicarle, ma pronunziarle in modo che trovino un’eco.

E quando Totò, inseguito come un cane randagio dall’accalappiacani, ansimante, affamato, toma dai suoi, trova due famiglie strette da un sodalizio esemplare. Una famiglia sola. E’ la lega dei poveri diavoli, in un mondo in cui la vittima finirebbe necessariamente per mettersi d'accordo con il carnefice, e tutti e due marciare compatti verso la rivoluzione. Ma a un film comico nessuno può chiedere una soluzione tanto drastica e conseguente, e la guardia si rassegna, sia pure a malincuore, a portare il ladro in questura. Spalleggiati da Ave Ninchi, Ernesto Almirante, e dalle giovani reclute Rossana Podestà (« Strano appuntamento») e Laurini e Delle Rane («Domani è troppo tardi»), Totò e Fabrizi si contendono la parte del leone, e ciascuno vuole paglia per cento cavalli. E' la lotta del martello contro la foglia, il duello della spada contro la mazza. Già durante le prime scene, girate all'Acqua Acetosa e in un'osteria di via Portuense, i sue principi dell'ilarità si sono comportati da pari loro. Noblesse oblige! E ogni volta che Fabrizi diceva una battuta, Totò si faceva grandi risate, e appena apriva bocca Totò era Fabrizi a guastare la scena, sganasciandosi dalle risa. Naturalmente bisognava ripeter le scene, ma insomma la cavalleria non è morta. « Signori inglesi, tirate per primi! ».

Eppure, nonostante tutto, e cioè la facile filosofia della trama, e il resto che ci immaginiamo benissimo, perché non c'è retorica più a buon mercato di quella suggerita da una situazione come s’è detto, sul film siamo pronti a scommettere ad occhi chiusi. In sfide di questo genere la recitazione del film è la prima cosa che ci guadagna. Ad ogni scena, e a via di scambiarsi cortesie, i due attori faranno di tutto per rubarsi l'effetto. E siamo in cospetto di due assi, di due giganti, come si dice, della risata. Già l'abbiamo visto in «Napoli milionaria» cosa sia capace di fare Totò quando, a recitare insieme a lui, si trovi per avventura un attore della sua classe, che gli serva da stimolo e insieme da freno. Il vero Totò è un attore finissimo, delicato, efficace soprattutto, quando può agire di seconda intenzione. E quanto a Fabrizi, sensibile, estroso, corposo, furbo e avvertito, non sarà certo lui che si farà mettere con le spalle a terra. Il film, è dunque affidato in larga parte a loro due, alle capacità di inventiva; improvvisazione e recitazione a soggetto dei due attori. Né si vuol negare che ciascuno dei due, per conto suo, abbia spalle sufficienti per portare avanti un film da solo. Soltanto, si tratta di due attori generosi, lusingati, carezzati secondo il verso del pelo oltre ogni misura, e quindi, per la stessa forza delle cose, per il fatto di essere grossi personaggi, e in genere di possedere più personalità di quelli che dovrebbero consigliarli e guidarli, portati a strafare.

Messi invece uno di fronte all’altro il discorso sarà differente. Certo ciascuno dei due sarà tentato a tagliarsi, nel vivo della vicenda, una parte più grande possibile, cercherà, perché il suo personaggio abbia respiro e campeggi onorevolmente, di guadagnare spazio intorno a sé, di fare il vuoto intorno a sé; ma nello stesso momento che questo avviene, e necessariamente in presenza dell’antagonista, sarà la reazione, appena sensibile, dell’altro a richiamarlo alle leali regole del giuoco. Lavoreranno, allora, di fino, l'avversario facendo insieme da specchio, da calamita e da pietra focaia. Il limite sarà ciascun attore, allora, a imporselo, condottovi dalla bravura dell’altro. E già i primi aneddoti confermano l’impegno con cui i due affrontano la prova. Per esempio : mentre Fabrizi inseguiva Totò nei pressi dell’Acqua Acetosa, con la pistola spianata, e in uniforme, e gridando con quanto fiato aveva in gola : « Al ladro, al ladro! Fermatelo! » un autentico pizzardone che passava di li, e non aveva visto la macchina da presa, tira fuori la pistola pure lui, e per poco Totò, che sembrava davvero un ladro, non ci va di mezzo.

L’aneddoto ce l’hanno riferito, forse è inventato, ma come esempio di impegno reciproco e di recitazione convincente ci è parso, se non altro, ben trovato.

Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VII, n. 11, 11 marzo 1951


Totò rifiuta di recitare davanti ai suoi antenati

L'8 MARZO, di buon mattino, i registi Steno e Monicelli si sono trasferiti al Foro romano, per girarvi ima sequenza del film «Ladri e guardie». E precisamente la sequenza in cui Totò, con l’aiuto di un compare, affibbia la « patacca » a un turista americano. Vestito da cicerone, con la parola «guida» scritta a lettere cubitali sul berretto, la parrucca e i baffetti finti, ma senza cerone, com’è suo costume, Totò se ne stava in disparte fumando una sigaretta dopo l'altra, e appariva più malinconico e annoiato del solito.

Quando finalmente tutto era pronto per la prima ripresa, un inserviente si è precipitato da Monicelli a dirgli che «Sua Altezza» non se la sentiva di lavorare. Monicelli è subito corso da Totò e gli ha chiesto se si sentiva poco bene. Totò ha scosso il capo : «No, no, sto benissimo. Ma mi sembra poco dignitoso recitare in questo luogo, al cospetto di tanti ricordi dei miei antenati: l'Arco di Costantino, la Colonna dell'Imperatore Foca...». Monicelli ha dovuto faticare assai per convincere Totò a non avere di questi scrupoli.

«L'Europeo», 18 marzo 1951


«Guardie e ladri», film comico a due canne

Due dei più rilevanti attori comici dal nostro cinema, due grandi beniamini del pubblico, Aldo Fabrizi e Totò, saranno a fianco a fianco nel film Guardie e ladri, prodotto da Ponti e Da Laurentiis, tratto da un soggetto di Pietro Tellini, sceneggiato da Vitaliano Brancati, Fabrizi, Flaiano, Maccari, Steno e Monicelli, è diretto da questi due ultimi. Immagini il lettore quali saranno gli effetti di questo abbinamento sulla «cassetta», posto che ciascuno dei due attori suol bastare da sé, per effetto della sua individua comicità, al successo dei propri film, che sono di quelli che si vendono a «scatola chiusa» e mettono di buon umore gli esercenti. Giacché i tifosi cinematografici non sono, per grazia del cielo esclusivi come quelli dello sport, ma hanno il cuore fatto a spicchi e possono mettere affezione a più di un paio d'idoli per volta, è lecito inferirne che Guardie e ladri sarà, commercialmente parlando, la somma aritmetica di due successi. Ma potrebbe anche essere stata (e noi di cuore lo auguriamo) un'eccellente occasione per la fortuna artistica dei nostri due attori, i quali non più soli in un pericoloso vuoto, fuori della possibilità di stendersi e strafare, avranno per avventura gareggiato l'uno con l'altro ai misura a precisione, condizionandosi reciprocamente, mettendo meglio a fuoco, sotto il pungolo dell'emulazione, la propria comicità. Al qual riguardo, ricorderete che già la «combinazione» Totò-Eduardo in Napoli milionaria ha dato ottimi frutti.

Ma veniamo al film, la cui lepida vicenda è quella di due poveri diavoli, un ladruncolo da quattro soldi o una guardia di città, buoni entrambi come il pane, che si affrontano perchè c’è di mezzo l'esistenza delle loro famiglie, e che finirebbero col buttarsi le braccia al collo se la dure legge della vita non intervenirne a dare una piega diversa al loro patetico incontro .[...]

l.p. (Leo Pestelli), «Stampa Sera», 16 giugno 1951


Se è vero che «Ho moglie e figli» è il motto di tutti noi Italiani non c'è ragione perchè non si possa applicarlo alle guardie e ai ladri. Da noi anche l'agente di polizia più arcigno e anche il più incallito borseggiatore conservano, per fortuna, sentimenti umani, con speciale attitudine all’intenerimento quando vibra la corda degli affetti familiari. Il senso del film «Guardie e ladri», di Stano e Monicelli. è appunto questo e non è detta che «Ho moglie e figli» sia soltanto un pietistico appello alla generosità altrui, talvolta è una sorta di tessera di libera circolazione al di là del lecito, tacitamente chiesta e rilasciata, per solidarietà tra i responsabili di vite innocenti. Sembra, questo, un discorso troppo paludato per un film comico: ma «Guardie e ladri» è solo in parte un film comico. [...] C’è, alla base di questo racconto, un artificio fin troppo evidente, consiste nella circostanza che nè i familiari del ladro nè quelli della guardia conoscono la ragione del loro affannoso cercarsi e sfuggirsi; diventano addirittura intimi senza saper nulla gli uni degli altri e gli altri degli uni. Ma Il resto è piacevole, vero e accettabile. Gli stessi interpreti, Fabrizi e Totò, tolti agli epilettici contorcimenti degli usuali loro film, si sono adattati tanto alla irruenza della prima parte quanto alla riflessività quasi elegiaca della seconda, che è la più degna: liberati dall'impegno della comicità salace, fatta di smorfie e di sberleffi, si ripropongono come gli spontanei attori che sono. Qua e là si compiacciono di sè. Indugiano in patetismi sproporzionati: il congedo di Totò dalla famiglia, sul punto di andare in carcere, mentre finge di partire per affari, fa pensare alle estreme volontà del morituro. Diamine, un’eventualità come questa, tre mesi di gattabuia, può sbigottire la gente del reparto galantuomini, ma chi fa raccolta di orologi altrui dovrebbe essersi conciliato con l'idea.

lan., (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 22 novembre 1951


Ci fu un momento in cui si pensò di presentare il film Guardie e ladri, di Steno e Monicelli, al Festival del Lido. E' vero che le pellicole italiane alla Mostra ultima erano piuttosto in tono minore, ma non diremmo che questa avrebbe risollevato le sorti della nostra partecipazione. Detto ciò è onesto aggiungere che si tratta di un film abbastanza azzeccato e, in sostanza, gradevole; e che si estranea dalla produzione normale della comicità cinematografica anche perchè ha natura, sostenutezza e significati che non appartengono affatto a una tale comicità.

Se mai, si tratta di una derivazione del realismo. In taluni punti meditata e, addirittura, malinconica. Guardie e ladri considera con la stessa comprensiva bonarietà gli esponenti delle due opposte attività. quella che difende gli onesti e quella che li insidia; sono uomini tanto gli agenti quanto coloro che rubano, ciascuno si procaccia il pane come può. La tesi é discutibile, naturalmente, ma non è discutibile che anche i ladri, nel quadro della loro vita familiare, possano essere raffigurati agli occhi del loro avversari, le guardie, come mariti e padri affettuosi. [...]

Art, «Corriere dell'Informazione», 22 dicembre 1951


Totò ha dato estrema dignità a un personaggio che poteva invece riuscire tutt'al più degno di commiserazione [...] il prodigioso pupazzo meccanico, l'eccezionale mimo, che per anni ha dovuto sottostare alle leggi del mercato, rispondere alla domanda con prestazioni quantitativamente adeguate, essere sempre e invariabilmente se stesso, quello del primo applauso, ritagliare ogni personaggio sullo stesso modello; cambiarsi, frenarsi [...] con una recitazione semplice e al tempo stesso piena di fantasia l'attore regge da maestro un personaggio tipico delle cronache italiane, dei banconi di pretura, con gli abiti lisi e la barba i tre giorni. [...] Totò è un attore, mentre Fabrizi è un attore romano." [...] Eccolo dunque il grande attore che il nostro cinema cercava e col quale per anni si era inconsciamente sollazzato credendo di avere a che fare solo con un prodigioso pupazzo meccanico, un eccezionale mimo. [...] La gara fra guardia e ladro si è risolta con la sconfitta del primo.

Lamberto Sechi, «La Settimana Incom», 23 dicembre 1951


[...] «Guardie e ladri» diretto da Steno e Monicelli, i quali hanno lavorato su di un soggetto di Tellini «trattato» tra l’altro da Ennio Flaiano e da Vitaliano Brancati, non vuole soltanto affondare nel pelago delle risate ma ha una certa pretesa (realizzata però in parte) di estendere il tono del racconto cinematografico a significati più umani e non esenti da una marcata amarezza (si veda tutto il finale del film dove evidenti sono gli echi chapliniani).

L’interpretazione di Totò è insolitamente misurata e quindi efficacissima; quella di Fabrizi acuta ed indovinata appunto perchè tenuta su di un piano discreto e vorremmo dire sommesso. Tra gli altri attori; Ave Ninchi, la brava Piovani (la moglie di Totò), l’acerba Rossana Podestà, l’incolore Gino Leurini, ed il sempre divertente Ernesto Almirante: un nonno con i flocchi.

t. ci., «Il Lavoro», 23 dicembre 1951


Non è un film farsesco come potrebbe far credere da presenza di Totò e Fabrizi, ma un film nel quale gli elementi comici senza mai cadere nelle smaccate buffonerie in cui siamo soliti vedere impegnati i due assi, sono mescolate ad elementi patetici; anzi scivolando spesso su un piano che vuole essere se non proprio toccante, certamente comprensivo, esso permette ai due attori di dare ai rispettivi personaggi toni di sentita umanità.

Nella contrapposizione fra guardia e ladri, due categorie eternamente nemiche, portate a combattersi, a disprezzarsi e ad odiarsi reciprocamente, Steno e Monicelli, autori del soggetto e registi, hanno cercato di mostrarci quanto c'è di umano né gli uni né gli altri al di là della durezza e dell'infamia professionale punti gli affetti familiari, i sentimenti, le pene, le gioie, le care cose che si amano e ci fanno soffrire.[...] Siamo nel campo di un sentimentalismo piuttosto facile e di maniera; ma la discrezione con la quale vi procedono i registi e, soprattutto, gli interpreti attenua la deamicisiana retorica di certe posizioni e di certi sviluppo. L'insieme è gradevole, mosso vario, colorito. Totò si fa ammirare per quel tanto di professionalmente ipocrita che dà alla sincerità del personaggio, Fabrizi per Cordialità e la affettuosità che mette nel suo ruolo di persecutore.

E.C., (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 23 dicembre 1951

 

Monicelli e Steno, registi anche troppo pronti ai facili film comici del più mediocre livello, ci danno qui, con un'opera d'ispirazione popolare e leggermente satirica, un esempio dei migliori risultati a cui, con un minimo d'impegno, potrebbe giungere il cinema comico italiano. Imperniata sui due protagonisti Totò e Fabrizi, la commedia di «Guardie e ladri» prendendo le mosse dalle solite mossette e dai consueti lazzi dei due popolari comici s'arricchisce poi dell’osservazione della realtà romana mostrandocene con comprensione la miseria materiale e la ricchezza d'umanità. [...] Pur nella sua modestia, «Guardie e ladri», sa mettere in rilievo le qualità comiche di Fabrizi e Totò, più volte irresistibile, e costituisce una sia pur velala satira d’un sistema che, nella caratterizzazione delI’americano odioso viene efficacemente bollato.

«l'Unità», 27 dicembre 1951


Verso la fine di «Guardie e ladri», Totò e Fabrizi, l'uno da ladro e l'altro da poliziotto, inseguito e inseguitore, devono dirsi alcune parole amare sulla loro condizione, giustificandosi e quasi scusandosi reciprocamente sulla ineluttabilità ael loro mestiere, come in una favola in cui il gatto e il topo, venuti alle corte, si confidassero. Dietro al ladro e al poliziotto, c'è una società che si difende dai ladri per mezzo dei poliziotti; ma gli uni e gli altri, almeno in questo film, senza una vera vocazione per il loro mestiere. Pare non ci sia di meglio da fare, per alcuni tipi, come i protagonisti di questo film: tutti e due buoni padri di famiglia che vogliono crescere figli onesti e laboriosi; anzi il ladro, in questo senso, è il più esemplare. La sua famiglia non conosce, e non si cura di conoscerlo, il genere di lavoro con cui egli sbarca il lunario. E' fatalità, è destino, è cattiva fortuna. Non è nemmeno cattiva organizzazione della società. Il film non vuole dire questo. La società è veduta così, come un profondo regno animale dove gli eventi si svolgono con la cecità del caso.

Lo scenario dell'azione aiuta questa impressione. E' Roma, ma sono i quartieri romani delle borgate, con le misere casupole fradice di pioggia, le strade senza selciato che si trasformano in pozzanghere, e in alto la sommità dei monumenti lontani e dominanti, le cupole delle basiliche, un paesaggio che non ha nulla da spartire con l'umanità che vi si agita e vive e cerca ragioni di vita, un paesaggio di città astratta che ha finito di vivere nel tempo. E’ una delle impressioni più forti di questo film con la sua rude morale e che ha un solo momento in cui si falsa, proprio niella scena del ladro e del poliziotto di fronte, quando dopo essersi evitati e cercati per tutto il film, si confidano le loro ragioni e la fatalità della loro inimicizia. C'è in esse qualcosa di dolciastro e di falso mentre il film non è mai caduto nel sentimento fino a questa scena. Per precisare e dire troppo, la scena perde d‘'efficacia. Ma la situazione è bella, ed è la replica di una simile che apre il film e che là è riuscita, dà più grande effetto comico e patetico. [...] 

Una delle prime impressioni, e determinante per tutto il film, è la scena con cui si inizia, nel Foro Ramano. Non v’è retorica, non v'è grandezza né memoria né storia. Appare un mucchio di rovine e di colonne ridotte a pietrame, sotto un cielo grigio. E’ la scena in cui Totò appiccica la solita patacca allo straniero, l’americano. C'è un rifiuto dell'estetismo, una noncuranza verso i pretesti del bel quadro e della bella illuminazione. E’ da credere che in altri tempi quando ci si rivestiva di illusioni grandiose e gratuite, l’arrivo d'un enorme vassoio di spaghetti come si vede qui in una scena, avrebbe fatto strillare tutte le oche del Campidoglio retorico nazionale. Il fatto è che le qualità umane che affiorano in questo film, e non d'una bontà programmatica e di maniera, compensano largamente l'ostentazione dei «macaroni» e dei ripieghi per vivere. In questo racconto senza compiacimenti, senza un minuto di sosta per guardare in alto un cielo del resto indifferente, appaiono alcuni visi di ragazzi e di ragazzi e di monelli d'una grazia e d'una distinzione popolare, come a ritrovare, fra tante scorie, una nobiltà storica e naturale. É tutto questo tra americani truffati, e pacchi dono con una delle tante sigle che oggi regolano il mondo; e un’umanità che ha poco lavoro tra molta ostentazione di beneficenza. Il film è pieno di queste suggestioni che il pubblico carpisce al volo e di cui ride amaro.

Il soggetto di «Guardie e ladri» è di Cario Tellini, la sceneggiatura di Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano e altri, la regia di Steno e Monicelli, la fotografia di Bava. Il racconto avrebbe potuto essere condotto con l'impeccabile modulo del racconto poliziesco inglese, quello letterario e tutto provvidenziale di Stevenson o di Chesterton, o quello cinematografico con la tecnica del «Terzo Uomo». Girarlo fidando sugli elementi dinamici del racconto pieno di bravura, senza preoccupazioni di genere, offriva il pericolo d’un certo realismo dialettale e piccolo borghese. Vi cade talvolta, ed è un peccato perché Totò e Fabrizi qui sono, nella loro parte, in vena come in pochi altri lavori. [...] L'ultima scena, del ladro che ha pietà degli improvvisi rimorsi del poliziotto e lo incoraggia ad arrestarlo, riscatta del tutto un personaggio che proprio qui, vincitore, rischiava di riuscire antipatico.

Corrado Alvaro, «Il Mondo», 5 gennaio 1952



Secondo la tradizione, il film comico italiano confina a nord con i fondali dell’avanspettacolo, squassati da tutte le improvvisazioni e da tutti i rabberciamenti e talvolta interrotti soltanto dalle erte scale da cui discende ancheggiando la Wandissima; a est e a ovest ha per confine gli stretti delle quinte, attraverso cui penetrano, dallo squallore di un mondo sconosciuto com'è quello dei camerini, schiere di ballerine svestite quel tanto che è consentito dalla censura: a sud infine si getta nel mare delle platee di periferia, cui vengono lanciati doppisensi equivoci, lazzi scurrili, battute sguaiate: e con tali ami quel mare risulta sempre pescoso. Sono, come vedete, confini troppo angusti: sono gli stessi confini del teatro di varietà, e perciò cosi di frequente accade che nelle sale dove si proiettano molti di questi film comici prodotti in serie, passino le mezz'ore senza che si oda una sola risata. Se per qualche merito, oltre che per l'interpretazione di Totò, sarà ricordato Guardie e ladri di Steno e Monicelli, sarà appunto per questo di aver tentato di allargare i confini del genere comico usuale oltre il palcoscenico del varietà e di aver scoperto. o almeno intravisto, quelli ben più vasti suggeriti da un ambiente reale. E' un ambiente di poveracci che campano di stenti, in cui vivere, come si dice, di espedienti è altrettanto difficile che legare il pranzo alla cena con uno stipendiolo di brigadiere: è naturale dunque che anche alla farsa si mescoli qualche lacrimuccia patetica. Ma se i due registi sono scivolati talvolta in toni di tipo deamicisiano, non fate loro una colpa per questo, ci vuole tanta viva solidarietà umana anche pei far ridere. Charlot insegna.

«Vie Nuove», anno VII, n.1, 6 gennaio 1952

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f1Col sistema delle «patacche» Ferdinando Esposito campa truffando i forestieri in visita ai monumenti di Roma L’ultima vittima é l’autorevole Mr. Locuzzo, un italo-americano che gli dà trenta dollari per una moneta falsa, definita «del periodo di Cesare Augusto».

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f2Sfuggito all'arresto, tenta, con la complicità di un gruppo di ragazzi, di farsi consegnare alcuni pacchi dono per le famiglie bisognose, ma va a cadere proprio fra le braccia di Mr. Locuzzo, presidente della commissione di beneficenza, ed è costretto a una nuova fuga.  

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f3Lo inseguono Mr. Locuzzo, il brigadiere Bottoni, che era in servizio d'ordine al teatro, ed un inviperito autista, che lo acciuffano dopo una lunga ed estenuante corsa, fuori città, fra le case coloniche e le povere osterie di campagna.

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f4Con un abile stratagemma. Esposito sfugge alla cattura con grande disappunto di Mr. Locuzzo che si rivolge al superiori di Bottoni, i quali lo pongono di fronte all'alternativa: o acciuffare il ladro o essere processato per negligenza.  

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f5Bottoni, disperato, si mette in caccia, senza alcun risultato. Per riuscire nell'intento, fa in modo che la sua famiglia stringa relazione con quella di Esposito, ma la cosa va oltre i suoi desideri e il brigadiere scopre che sua figlia amoreggia con il cognato di Esposito. 

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f6Finalmente, serrati i fili della sua rete, Bottoni riesce a catturare l'inafferrabile ladro Ma, dinanzi alla comune gioia delle due famiglie riunite a tavola per festeggiare la loro amicizia, si turba e la sua coscienza lotta fra il dovere e l'umano senso di affettuosa solidarietà. 

1952 01 06 Vie Nuove Guardie e ladri f7Prevarrà il sentimento o la ragione, riuscirà il brigadiere Bottoni a compiere per intero il suo dovere? Lo soccorre nella sua debolezza il ladro Esposito, che, dopo aver firmato la pagella del suoi bambini, se ne va insieme col brigadiere, per costituirsi finalmente alla polizia. 


Guardie e ladri ripropone con una sensibilità ed una comprensione che è tutta di casa nostra, la charlottiana situazione del poliziotto e del ladro. Da questa rielaborazione di un tema comico, vecchio quanto il vecchio Sennet, sono nati due personaggi simili ma opposti: quello dell'Esposito e quello del Bottoni, rispettivamente impersonati da Totò e da Fabrizi. La sorpresa maggiore del film è la nuova linea lungo la quale i registi hanno fatto muovere Totò.

Un Totò finalmente, attore completo ed umano e non il solito mimo dei vari film di Mattoli o Simonelli. Si veda la significativa sequenza dell'inseguimento che si muta gradatamente in colloquio tra inseguito e inseguitore e quella dalle cento trovate del pranzo finale che si conclude nella lunga inquadratura dei due nemici-amici che vanno verso la sezione di polizia. Un incontro felicissimo questo fra Totò e Fabrizi e dal quale, scaturisce continuo il divertimento dello spettatore.

«Corriere del Sabato», 2 febbraio 1952


Riappare in questo film il Totò di Yvonne la nuit e di Napoli milionaria, un Totò, cioè, diverso da quello delle dozzinali proiezioni che egli sforna a ritmo Incessante a fianco di questa o di quella vedetta del nostro schermo. Pur mantenendo la principale sua caratteristica di mimo arguto, una vena di sentimento egli lascia qui trasparire, clic commuove In qualche punto, anche se troppo sovente sconfini in vago sentimentalismo. Potente e suggestiva l'ultima scena, in cui la guardia (Fabrizl) e il ladro (Totò) si trovano finalmente di fronte.

Più che i due protagonisti, sono i casi loro che si scontrano, e le vicende dell'uno si confondono con quelle dell'altro. Il problema dell'allegro furfante e quello del burbero agente —un burbero benefico e dal cuore piccolo — è svolto con naturalezza, con arte, onde lo spettatore non può non partecipare a quelle vicende e a quel problemi. Da un lato, l’uomo che non vuole che la sua famiglia venga a sapere che finirò in guardina, che i suoi vengano a conoscere qual genere di affari egli ha finora trattato: dall'altro, l’uomo di legge che comprende, ma non può far nulla, che per acciuffare il ladro ha fatto l'impossibile, ma che i casi suoi non gli consentirebbero di mandarlo libero come il cuore vorrebbe. E la conclusione è un capolavoro di finezza: vi traspare un senso di delicata e reciproca comprensione, che porterà il ladro in prigione e la guardia a proteggere la famiglia del suo perseguitato.

Si potrebbe fare qualche rilievo: accenniamo solo alla scena della preghiera di Totò davanti alla statua di S. Antonio, nella quale tutta la sua bellezza e spontaneità si perdono irrimediabilmente in quell'atteggiamento da collotorto che tradisce una poco simpatica, anzi stonata, irriverenza.

emme, «L'Eco della Zizzola», 7 febbraio 1952


I film comici sono quelli più difficilmente esportabili, soprattutto quando la loro capacità di far ridere è affidata alla battuta, che è tanto più viva e immediata quanto più è legata agli avvenimenti, ai modi di vita, ai difetti stessi del pubblico cui si rivolge. La difficoltà non è soltanto nostra. Nils Poppe è un comico che in Svezia ha un grande successo e da noi è quasi sconosciuto; nel Messico e in tutti i paesi di lingua spagnola, Cantinflas fa torcere gli spettatori sulle poltrone: in Italia lo si è visto, se non erro, in un solo film. Eppure, col sistema del doppiaggio, la penetrazione nel. nostro paese è facilitata, dando al doppiaggio la possibilità di modificare il dialogo, e di sostituire le battute originali con altre battute o, con giuochi di parole di sapore nostrano.

I nostri film vanno all’estero non doppiati, con sottotitoli, e quindi, anche ammettendo che i film comici siano di buona lega, e non quelle birbonate che invece quasi generalmente sono, essi risultano incomprensibili. Dove sono stati proiettati, l'incauto acquirente si è amaramente pentito. Recentissimo è l'insuccesso in Brasile di «Totò Sceicco», tanto per citare un titolo, mentre, come ho personalmente constatato in Uruguay, Totò è piaciuto in «Guardie e ladri» al Festival cinematografico di Punta del Este, e piace anche altrove, quando si trova impegnato in film che si potrebbero meglio definire commedie comiche. Lo stesso discorso vale per Fabrizi e altri attori comici. Essi sono esportabili quando sono non buffoni ma caratteri.

Domenico Meccoli, «Epoca», 5 aprile 1952 


Ridere non vuol dire nascondere la realtà

A colloquio con Steno e Monicelli - Umoristi e registi cinematografici - La nuova via del film comico aperta da «Guardie e ladri» La censura si accanisce contro «Totò e i sette re di Roma» - Comicità e tragedia nelle «Infedeli» 

Roma, 28 novembre

Steno e Monicelli costituiscono in Italia un binomio molto popolare, perché legato ad una serie numerosa di film comici, alcuni del quali notevolmente significativi, come Guardie e ladri e il recente Totò e i re di Roma. In questi due film, e particolarmente nel primo di essi, si notano alcune caratteristiche che li differenziano dalla media della produzione comica italiana; l'umorismo di Guardie e ladri e di Totò e i re di Roma non é, infatti, gratuito e campato in aria, ma si riferisce ad aspetti reali della vita italiana d'oggi. In entrambi i film il protagonista, Totò, oltre a farci ridere, riesce, a tratti, a commuovere con la amara e dolorosa umanità del suoi personaggi. [...]

Nel corso di un lungo e interessante colloquio con i due registi, abbiamo, fra l'altro, chiesto loro informazioni sulle traversìe subite a causa della censura dal film Totò e i re di Roma. Abbiamo chiesto, in particolare, se fosse vero che nel film erano state soppresse molte scene.

— Effettivamente — rispondono Steno e Monicelli — mancano nell'edizione definitiva del film alcune scene molto importanti; per esempio, alla fine, il povero impiegato che aveva cercato la morte per poter andare nell'aldllà (la censura, fra parentesi, ha voluto che alla parola «aldilà» fosse sostituita la parola «Olimpo») a prendere i numeri del lotto e darli in sogno alla moglie, si sfogava con iI Padreterno e gli diceva press'a poco: tu che ti preoccupi tanto di me, dei miei peccatucci, della mia vita piena di miserie e di sacrifici, guarda, guarda un po’ la terra e vedrai come le cose vadano male; c’è la miseria, c’è la guerra, c’é la bomba atomica e un sacco di altri guai. Non faresti meglio ad occuparti un po’ di quello che succede laggiù? Questo finale, che avrebbe dato al film una carica satirica e drammatica molto più forte di quella che esso ha, è stato tolto di mezzo dalla censura.

— La censura — ci spiegano i nostri interlocutori — specialmente quella non ufficiale, quella cosiddetta «preventiva», è un grave ostacolo al nostro lavoro. Certi temi non si possono nemmeno toccare. Noi vorremmo che si avesse un po’ più di fiducia in noi e che ci si permettesse di realizzare film in pace, fidando nel nostra senso di responsabilità.

Il discorso cade ora sull’influenza che il cinema italiano del dopoguerra può aver esercitato specificamente sul nostro film comico.[...]

Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952


Al cinema "Fiamma" arrivano i Nastri

Montgomery Clift entrò nella sala del cinema "Fiamma”, a Roma, e inciampò nelle lunghe gambe d’un signore seduto accanto all’entrata. «Sorry!» disse. «Sorry!» rispose il signore seduto che era Kirk Douglas. Intanto era intervenuto un terzo personaggio che voleva Clift accanto a sé, ed era Selznick, produttore di ”Via col vento” e marito di Jennifer Jones.

A quei signori abitualmente residenti ad Hollywood non sembrava strano incontrarsi in un cinematografo romano: né al pubblico romano sembrava strano vedere divi stranieri tanto noti, perché ormai sia gli uni che l’altro si sono abituati alla convivenza. Quella sera, poi, si svolgeva una cerimonia stretta-mente imparentata con la distribuzione degli "Oscar” americani: il sindacato giornalisti cinematografici distribuiva i suoi "Nastri di argento”, che ricompensano attori e realizzatori che si sono particolarmente distinti nei film dell'anno.

Nessuna altra occasione può riunire in una sala tante personalità del mondo di pellicola. Registi, attori, attrici, gente già celebre e gente che spera vivamente di diventarlo, sedevano in platea, davanti ai riflettori dei cinegiornali e della televisione. Annamaria Pier-angeli presentava amici italiani a Kirk Douglas, Titina de Filippo discuteva con Umberto Spadaro, Dina Sassoli pensava alla "Campagnola” gialla lasciata al posteggio, tra tante macchine di lusso.

I principali premi vennero assegnati a Renato Castellani per il miglior film (Due soldi di speranza), ad Anna Magnani per la miglior interpretazione femminile in Bellissima, e a Totò per quella maschile in Guardie e ladri. Totò salì a ricevere il "Nastro” con attitudine per metà principesca e per metà di comico: ma la prima metà sfuggì all’attenzione del pubblico, pago della seconda. Maria Fiore invece, che ritirò il premio per Renato Castellani (il regista era a Londra), non era già più la ragazza timida e schiva di un anno fa; in pochi mesi ha interpretato tre film, ed è già quasi una diva. A Gallea tocca il "Nastro” per la miglior fotografia.

Dopo la consegna dei premi al "Fiamma”, il presidente e il vicepresidente del sindacato dei giornalisti cinematografici uscirono in fretta dalla sala perché dovevano correre all’ Eliseo. Infatti un "Nastro d’argento” era stato assegnato a Paolo Stoppa, per il complesso della sua attività cinematografica, ma l’attore, impegnato nella "Locandiera” di Luchino Visconti, non aveva potuto lasciare il palcoscenico per ritirare il premio. Glielo portarono affettuosamente in teatro, consegnandoglielo nell’atrio dei camerini. Era una scena strana, due signori in abito scuro davanti a un uomo dalla lunga parrucca grigiastra. Dalle scale occhieggiavano attrici in costume settecentesco, Stoppa era visibilmente commosso e Rina Morelli, da un angolo d’ombra lo guardava sorridendo.

Poi tutti quegli estranei al teatro uscirono, e Memo limassi, che stava salendo, li guardò passare sbalordito, senza capire che fosse accaduto. Intanto al "Fiamma” la cinematografia italiana al completo imparava da un film che i filippini, invece di baciarsi, si strofinano naso contro naso.

«Settimo Giorno», anno V, n.48, 3 dicembre 1952


Per consegnare a Paolo Stoppa il Nastro d'Argento attribuitogli per il complesso delle sue interpretazioni cinematografiche, sono andati a pescarlo al Teatro Eliseo dove stava recitando nella « Locandiera » di Goldoni. Glielo hanno appuntato solennemente sul petto e poco ci è mancato che, nell'emozione, di lì a poco Stoppa non entrasse in scena col glorioso distintivo che riproduce in argento uno spezzone di pellicola.

I Nastri d'Argento sono i premi istituiti dal Sindacato dei Giornalisti Cinematografici per premiare ogni anno i film e gli uomini che più si sono distinti nel campo della cinematografia. Quelli consegnati al Cinema Fiamma la sera del 21 novembre si riferivano alla stagione 1951-52. Il cinema era gremito di produttori, scrittori, registi e attori nostrani, e degli stranieri presenti a Roma, con Selznick, Montgomery Clift e Kirk Douglas che era in compagnia di Anna Maria Pierangeli. Montgomery Clift ha ritirato il Nastro assegnato a « Un posto al sole », miglior film straniero, da lui interpretato.

La parte del leone è toccata a « Due soldi di speranza » di Renato Castellani; gli sono andati i premi per il miglior film, il miglior scenario (scritto da Titina De Filippo, E. M. Margadonna e Castellani) e la migliore fotografia (Gallea).

Anna Magnani è stata giudicata la migliore attrice per l'interpretazione di « Bellissima », Totò il migliore attore per « Guardie e ladri », il maestro Mario Nascimbene il miglior musicista per il commento di «Roma, ore 11 », Fernandel il migliore attore straniero che abbia preso parte a un film italiano (« Don Camillo »), Virgilio Sabel il miglior documentarista (« Ricerche del metano e del petrolio »). Per la produzione straniera, Bette Davis (« Eva contro Eva ») e Alec Guinness (« Mr. Holland ») sono stati ritenuti gli interpreti più degni.

Erano in palio anche Nastri per la scenografia e per attori e attrici non protagonisti ma la Giuria ha ritenuto di non poterli assegnare.

II grande escluso è Vittorio De Sica, nonostante « Umberto D. ». Egli tuttavia non se l'è presa. Era anche lui in sala ed è stato il primo ad applaudire i premiati, fra i quali mancavano la Magnani (a Parigi) e Castellani (a Londra). È vero che altre volte aveva fatto lui la parte del leone ma che « Umberto D. » non risultasse in qualche modo citato è sembrata un pò grossa.

Tuttavia, se sono vere le voci che ci sono giunte all’orecchio, gli è andata bene. La Giuria è stata sul punto di assegnargli il Nastro destinato al miglior attore non protagonista per la sua interpretazione di « Cameriera bella presenza ». Sarebbe stato molto malinconico. Per lui e per le decine di attori minori che nelle parti secondarie cercano di aprirsi la strada.

D.M., «Epoca», anno III, n.113, 6 dicembre 1952


Totò e Fabrizi giocano a "Guardie e ladri"

La pellicola di Steno e Monicelli permise al comico napoletano di dimostrare nell'anno 1951 le sue capacità di vero attore anche del cinema

Il film che la tv presenta questa sera — Guardie e ladri — rivelò finalmente, a suo tempo, la vera arte di Totò, attore comico e, nello stesso tempo, profondamente umano. In altri termini, fino a quando non usci questo film (dicembre 1961), Totò era stato sullo schermo sempre e soltanto il protagonista di farsacce, in cui venivano affastellati «sketches» di riviste, e non aveva ancora dato, per il cinema, la misura delle sue capacita di vero attore. Guardie e ladri è un soggetto di Pietro Tellini, sceneggiato da Steno e Monicelli, che ne sono stati anche i registi. [...]

«Stampa Sera», 22 dicembre 1959


Molte volte, analizzando gli innumerevoli filmetti interpretati da Totò, avevamo malinconicamente concluso: «il film di Totò è ancora da fare». Ma il 23 dicembre del 1951 avemmo una lieta sorpresa: grazie a Piero Teliini soggettista ed agli sceneggiatori-registi Steno e Monicelli, Guardie e ladri ci apparve un’opera che non ripeteva i vecchi moduli della più facile e consunta «cinematografia», ma che sul filo di una trama umana rivelava un Totò attore, di uno «charlottismo» che non era imitazione pedestre ma italianissima ricreazione. Insomma dalla farsa più vieta, dagli sketches rivistaioll. si era  improvvisamente raggiunto — ed i telespettatori potranno rendersene conto stasera — il livello di un vero e proprio «umorismo». [...]

Su questa storia, che illumina i rapporti di due uomini stanchi, con le loro preoccupazioni, i loro guai d’ogni ora, Steno e Monicelli hanno costruito un film eccellente: anche se in qualche momento quella che avrebbe potuto essere poesia rimane nei limiti del patetico, si sente circolare dalla prima all'ultima inquadratura una calda umanità. Il primo tempo contiene un brano di eccezionale efficacia e di grande bravura tecnica: l’inseguimento che, ad un certo momento, diventa un colloquio tra l’inseguito e l’inseguitore.

Il secondo tempo, che è tutto impostato e tenuto su un piano umoristico-malinconico, ha il suo gioiello nel blocco dell’incontro tra poliziotto e ladro (con quel parlarsi a distanza, una distanza che diminuisce sempre più fino a che i due non si trovano, seduti su uno stesso gradino, a confidarsi le rispettive pene). Un buon film, dunque, anzi un ottimo film, assai ben condotto e che, come s’è accennato, rivela un Totò attore umano e compiuto, a cui si affianca un Fabrizi calibrato, «tenuto» come non mai. Intorno ai due protagonisti si muovono Ave Ninchi, la Piovani, Ernesto Almirante, Rossana Podestà, Gino Leurini e il povero Tubbs.

«Radiocorriere TV», dicembre 1959


Poveri ma belli (e corteggiati)

Festival del cinema italiano a NizzaUna rassegna-omaggio ai « mostri sacri » che hanno dato lustro alla cinematografia nostrana - Quasi un culto verso Gina Lollobrigida - Mancano i giovani

Dal nostro Inviato

NIZZA

SPQF, ovvero Sono Pazzi Questi Francesi!, Vien da dire, parafrasando Asterix, alla sola idea di un Festival permanente del cinema italiano, da quest'anno in poi, sulla Costa Azzurra, a pochi chilometri dalla mitica Croisette di Cannes, che prepara i suoi titoli a caratteri cubitali, i tuoi mille schermi da accendere a maggio. Ma perché? «Perché noi, meglio di chiunque altro, sappiamo capirvi! Perché noi, più degli altri, sappiamo amarvi!», esclamava con voce commossa Jacques Médecin, sindaco di Nizza, mentre uno dei cieli più miti del mondo veniva improvvisamente squarciato da tuoni e lampi. Ti pareva, come minimo...

«E’ arrivata la bufera/ è arrivato il temporale/chi sta bene e chi sta male /e chi sta come je pare»: scherzi a parte, questo refrain di Renato Rascel qui otterrebbe un successone, visto che impazza un omaggio a Gina Lollobrigida, vecchia réclame di una altrettanto remota opulenza femminile (Lolo, in Francia, era una forma gergale per indicare un paio di tette felliniane che, a quanto pare, ancora funziona).

Guardie e ladri 00043

[...] Proprio Monicelli, l’artigiano per eccellenza del nostro cinema, è un gran festeggiato a Nizza. Gli sbagliano tutti i titoli dei film (I compagni diventa «I compagnoni» o «I compagnini». Totò e i re di Roma risulta «Totò e i rei di Roma», secondo la tipica arte francese del refuso), però vengono fornite notizie davvero minuziose sulla sua lunga e intensa carriera. Lo sapevate che Monicelli era stato aiuto regista di Camerini e Bonnard, aveva sceneggiato con Riccardo Freda e Raffaello Matarazzo, aveva scritto una commedia in tre atti intitolata Piccola stazione di campagna e rappresentata nel '55?

Sì, si, questi francesi ci amano sul serio. Ma non sono granché ricambiati, vista la penuria di film al primo Festival di Nizza (inediti in Francia, soltanto i viaggiatori della sera di Ugo Tognazzi, anch’egli, come Monicelli, la Vitti e la Lollo insignito di una personale, Il garofano rosso di Luigi Faccini, Il matto di Franco Giornelli, e, tirato per i capelli, il bel mediometraggio di Martin Scorsese Italo Americani, dedicato ai suoi oriundi genitori) dovuta alla diffidenza simpaticamente cafona di molti nostri produttori e distributori. Insomma, noi i film (quei pochi degni rimasti) li vendiamo, mica li portiamo in villeggiatura, sembra che abbiano pensato questi poveri bottegai poco avvezzi alle lusinghe e ai modi garbati.

Perdonateli. Ma intanto, mentre a Nizza si fraternizza, si raccolgono complimenti e si sentono fare apprezzamenti non proprio di buon gusto sulla salute dei nostri film, in Italia c’è il colosso francese Gaumont che incalza come una ruspa, cercando di costruirsi un impero sulle macerie del nostro circuito cinematografico. Mossa napoleonica.

Torniamo dunque a Monicelli, l’unico autore che ci interessa riosservare un attimo, da «forestieri», in questo bizzarro contesto. Rivedendo Guardie e ladri, con quei duetti irresistibili di Totò e Aldo Fabrizi, goduti dal pubblico nizzardo in maniera così fresca ed esuberante, quella malattia di cui si parlava diventa grave. E questi ridono. «Si facciano una bella risata su questo paio di baffi». gli avrebbe risposto Totò.

Secondo loro noi, adesso, su due piedi, dove lo andiamo a trovare un Totò? E De Sica, Visconti, Pasolini, Rossellini? Qui insistono col dire che Sordi, Manfredi, Tognazzi. Gassman. Mastroianni, e Fellìni, Bellocchio, Monicelli. Scola, Comencini, Risi, Bertolucci. Antonioni, Montaldo, Petri, Pontecorvo, gli italiani ancora bastano e avanzano. Già, i francesi continuano a credere che «Mostro Sacro» sia un complimento. Possibile che non si rendano conto che per far lavorare attori e registi in età, ad Hollywood per esempio, bisognerebbe fare una dimostrazione di piazza?

Certo, il problema non sussiste. Dove sono, chi sono i giovani del cinema italiano? Se a Cinecittà non si vedono, a Nizza tanto meno se ne sente parlare. Non s’ode commento, del resto, neppure a proposito della dissacrante Macchina cinema di Bellocchio. che qui poteva fare l'effetto di un enorme peto nel salotto buono all’ora del tè. Sfido, l’hanno nascosto bene. di prima mattina, e lo danno solo col contagocce, perché non possa andare di traverso.

David Grieco, «L'Unità», 14 marzo 1980


MONICELLI - La sera cantavamo con Totò

Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo «Totò cerca casa». Per «Risate di gioia» la Magnani non lo voleva: «Abbassa il tono del film»

«Ok, parliamo dell'estate 1949. Allora girai il mio primo film, in collaborazione con Steno: Totò cerca casa». Mario Monicelli, con quel suo modo un po' brusco un po' sincopato di parlare, accetta finalmente di ripercorrere un pezzetto della sua lunga carriera. Non voleva farlo. «Non mi piace guardarmi indietro - aveva detto -. Il passato è passato. E, poi, non ho il gusto dell'aneddoto. Figuriamoci del pettegolezzo retrospettivo. Posso parlare solo del mio lavoro, del cinema. E' l'unica cosa che ho fatto nella vita».

[...]

E Totò? Il regista fruga fra buste ingiallite mescolate a libri e dischi. Fatica a mettere ordine fra le foto di film disparati. Si diverte, qualche volta, nel rivedere una faccia. S'imbroncia, più spesso, davanti a visi di gente scomparsa, ragazze sparito dopo la breve parentesi in celluloide. Finalmente ecco una piccola antologica di Totò. Totò che ammicca, strabuzza gli occhi, avanza sghembo come solo lui sapeva fare. Monicelli riflette e dice: «Lui era speciale».

Racconta: «L'ho conosciuto nel '49, anche se - prima - l'avevo spesso incontrato. Insieme con Steno avevo scritto le sceneggiature di tanti suoi film di successo. Io e Steno eravamo una coppia molto richiesta quando noi dopoguerra ci fu quell'imprevedibile boom del cinema italiano. Tutti credevamo che - aperte le porte alle pellicole americane, finita la protezione che il regime aveva assicurato al nostro cinema - non ci sarebbe stato un futuro per noi. Molti si erano dirottati verso attività alternative: giornalismo, fumetti. Invece scoppiò il neorealismo. Nacquero - nonostante i pochi soldi, i mezzi tecnici scadenti - quei capolavori e tante pellicole di cassetta. I film costavano poco e rendevano. La gente faceva la coda davanti ai cinema. I produttori investivano e ci guadagnavano. Stimolavano anzi gli autori a sperimentare nuovo strade Insomma, fu un boom.

«Steno ed io diventammo registi per caso. Carlo Ponti aveva sotto contratto Totò per due mesi. Doveva fare un film per la Lux di Alfredo Guarini. Pensò di fame due di film, invece di uno. Allora si girava alla buona, senza la prosopopea di oggi. Ponti ci disse: inventatevi un soggetto, presto! E ci venne l'idea di Totò cerca casa. Il problema degli alloggi era drammatico. Le città erano semidistrutte. Quella storia teneva d'occhio l'attualità e - come si faceva alloro saccheggiava anche le idee di altri, gli spunti che venivano da una conversazione, il teatro napoletano tradizionale. L'episodio dell'alloggio nel cimitero, ad esempio, è preso di sana pianta da un alto unico - anonimo - del repertorio napoletano. Il clima era quello del tempo dell'opera buffa, di Cimarosa e Paisiello, quando un'aria si trasferiva da un'opera all'altra, e cosi una situazione, un personaggio. Le cose nascevano cosi, con grande felicità, in una maniera che poi si è perduta e che rimpiango molto. Si stava insieme, allora, registi, scrittori e attori. A Roma ogni sera sul palcoscenico di un piccolo teatro, l'Arlecchino, saliva a cantare o recitare chi voleva: Aldo Fabrizi come Ennio Flaiano, Ciarletta. Brancati, Mazzarella, la Valeri.

«Ponti interpellò un paio di registi, poi ci disse: Ma, scusate, perché il film non lo dirigete voi? E cosi finimmo dietro la macchina da presa. Era estate, naturalmente, perché allora si girava solo nei mesi estivi quando il bel tempo era sicuro. Non come oggi che, con le pellicole e i mezzi tecnici a disposizione, si può lavorare sempre e, anzi, la luce invernale, di taglio, è preferita. Le ragioni artistiche allora non potevamo neppure permettercele. Mentre oggi - ironia della storia! - film non se fanno quasi più. Arrivammo sul set col copione completo. Non si usava cambiare, avere ripensamenti. Non c'era il tempo per rifare una scena. Totò aveva approvato la sceneggiatura. Lui veramente non discuteva mai. Gli andava sempre bene tutto. Non contestava mai una situazione, una psicologia. All’inìzio aveva tentato di dare qualche suggerimento, per portare avanti una comicità più surreale, più lieve. Ma non fu capito. E la smise di insistere.

«Anch'io l'avevo contrastato. Avevo voluto, semmai, umanizzare il personaggio, portarlo fuori dal cliché della macchietta. Ho fatto un errore. E me ne dispiaccio, tanto più che, poi, mi ha sempre divertito molto rovesciare i ruoli, inventare attori. Sono stato io - in La ragazza con la pistola - a fare di Monica Vitti, l'interprete dell'incomunicabilità e dell'alienazione, un'attrice comica. E nei Soliti ignoti ho avuto l'idea di trasformare in attore comico Gassman, che fino ad allora il cinema aveva voluto nei ruoli del latin lover o del cattivo o dell'antipatico. Sempre in quel film feci saltare fuori Marcello Mastroianni comico, la Cardinale che era una ragazzetta appena venuta da Tunisi e che non sapeva neppure parlare l'Italiano. Tiberio Murgia che faceva Io sguattero in un ristorante... Stessa operazione, ma in senso inverso, nella Grande guerra, dove affidai a Sordi un ruolo drammatico...

«Già allora, nel '49, Totò era fragile, di salute delicata. Era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui valeva la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Era gentile, un signore. Lui era il cast, per questo gli si mettevano accanto anche attori non professionisti che facevano ripetere una scena magari tante volte: Totò non si spazientiva. Con le sue partner, le bellone del tempo, aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Certo, era un divo. Ma, insieme con Aldo Fabrizi mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Li volli per Guardie e ladri, nel '51. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati. Invece mi rivelarono che - quando più divi lavorano insieme - ciascuno vuole mostrare quanto è disponibile: arriva in orario, non pretende il camerino migliore, non si presenta al trucco per ultimo per guadagnare mezzora di sonno. Andò tutto benissimo.

«In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento fra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche do solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare. Si facevano le due, le tre...

«Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo questo si poteva fare così questo è andato male perché... Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai trovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito. Ho capito poi, invece, quanto grande fosse il mito - mania, debolezza, fissazione? - per quel suo titolo nobiliare. Una volta, nel '51, mentre giravamo Guardie e ladri al Palatino, lui puntò il dito verso l'Arco di Costantino. ‘ Sai che quello è mio?", disse. Io non capii. “Certo, certo”, risposi con ironia. Lui, serissimo, insistè: "E' mio perché Costantino era un imperatore romano. Mentre io discendo direttamente da antenati greco-bizantini”.

«La sua notorietà era senza confronti. Con lui girai il primo film che firmavo da solo, nel '55, Totò e Carolina (film che mi diede un sacco di guai con la censura, perché Totò era un poliziotto diciamo umano, vessato dai suoi superiori, sostenuto da un groppo di persone che cantavano L'Internazionale e sventolavano la bandiera rossa: dovetti fare un sacco di tagli, l’identità di quelle persone fu cancellata e il film uscì con mesi di ritardo!).

«Le nostre strade si separarono per anni. L'ultima volta che lavorai con lui fu nel '60. in Risate di gioia, con Anna Magnani. La Magnani la conoscevo bene. Andavo spesso alle serate in casa sua, serate molto divertenti: lei recitava sketches, cantava, faceva terribili scherzi col telefono svegliando la gente, spacciandosi per altri... Per quel film ci scontrammo: lei non voleva Totò. Tira giù il tono del film! diceva. Io però mi impuntai o Totò fu nel cast. La macchina da presa - vidi - gli era diventata più familiare. Il pubblico cinematografico, per lui abituato al rapporto platea-palcoscenico, non era più qualcosa di astratto. Alla fine di ogni scena la troupe - 20-30 persone - si raccoglieva insieme e lo applaudiva. Questo lo riscaldava, gli piaceva. Un'idea geniale. Che però non avevo avuto io...»

Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992


«Totò imbroglione e Fabrizi brigadiere dei carabinieri sulla sua traccia. Peripezie e trovate del genere che chiunque conosca i due comici - e chi non li conosce ormai? se ne fa un abuso vero e proprio - può agevolmente immaginare. Questo film non sposta di un sette il discorso allarmato che ormai tutti i critici un pò responsabili hanno cominciato a fare a proposito della sconfortante povertà della farsa cinematografica italiana.»

Mario Luzi da «Sperdute nel buio. 77 critiche cinematografiche», Trecazzano, Milano, 1995


I documenti

Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Sicuramente uno dei film più belli e memorabili interpretati da Totò, codiretto da Steno e Monicelli e dominato dalle colossali (artisticamente parlando) figure di Fabrizi e del principe De Curtis all'apice della forma artistica. Ma per una volta è tutto il film ad avere grande valore,con una sceneggiatura di stampo neorealista (vi mise mano anche Flaiano) in cui si sorride ma con una costante malinconia di fondo e una visione amara della vita. Bellissimo.

  • Tra le cose più complete girate dal Principe, per via di una splendida e brillante sceneggiatura ed una regia sapientemente orientata a dare rilievo a due personaggi interpretati da grandi attori. Ne l'uno, ne l'altro hanno la meglio: il duello tra guardia e ladro finisce in pareggio. Un risultato garantito dalla profondità dei sentimenti che anima entrambi i protagonisti. Dialoghi curati, ottima fotografia (opera di Mario Bava) ed un pizzico di tristezza (sentimento innato e presente in Totò, pur se poche volte messo in risalto). Gran film, imprescindibile...

  • Momenti comici straordinari (tra tutti, il lungo inseguimento iniziale) che rivelano la nuova scoppiettante coppia Totò-Fabrizi. E poi l'umanità profonda nella rappresentazione delle classi popolari, in cui non c'è vera distinzione tra guardie e ladri. E la commozione che sa emergere sul finale. C'è tutto questo in un film che racconta la paradossale vicenda di un truffatore e un poliziotto (un po' truffaldino, in verità), ma soprattutto il bisogno postbellico di una reciproca comprensione, riappacificazione e condivisione del futuro.

  • Uno contro l’altro, praticamente amici. Totò e Fabrizi sono in forma più che smagliante. Nell’interpretazione del primo c’è però una vena di malinconia (guardarlo negli occhi), che lascia quasi interdetti. Tempi perfetti e battute a raffica per una coppia di giganti. Sono loro due il film, non cercate altro, anche perché sarebbe superfluo. Da segnalare: la moneta Augustea, l’inseguimento (Ormai che ti sei fermato, sei preso),al commissariato, la sfuriata in casa di Totò, il mitico tema, sulle scale… in poche parole, tutto. Gioiellino.

  • Un grande film: splendida commedia all'italiana, divertente ma venata da un pessimismo neanche troppo sotterraneo; sceneggiatura perfetta e regìa che regala dozzine di momenti straordinari. E come se non bastasse i due protagonisti si chiamano Totò e Aldo Fabrizi... le interpretazioni dei due mattatori varrebbero da sole il prezzo del biglietto, eppure -come detto- il film è anche molto altro. Semplicemente imprescindibile.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò: "Ne ho piene le tasche di questi Bottoni!"

  • Per riacciuffare un piccolo truffatore che si è lasciato scappare, un brigadiere spinge la propria famiglia a fare amicizia con quella del ricercato... Bellissima commedia, impreziosita dalle memorabili interpretazioni di Fabrizi e Totò, in cui il lato comico convive armonicamente con la riflessione sociale, mostrando come, al di là dei ruoli codificati, la guardia ed il ladro siano accumulati da identici bisogni e da una solidarietà di classe in grado di emergere nei momenti decisivi. Nel valido cast di contorno, spicca il profilo inconfondibile di un giovanissimo Delle Piane.

  • Bellissimo primo film per la coppia Totò-Fabrizi, ottima la regia a quattro mani di Steno e Monicelli, così come i dialoghi e i personaggi pieni di umanità. Il finale è molto malinconico e al tempo stesso divertente, i duetti tra i due grandi attori strepitosi e irragiungibili, così come la prova di tutto il cast in un film quasi perfetto e ancora oggi attuale.

  • Film dai meriti tanto incontrovertibili da esser stato uno dei pochi di Totò a trovar quasi unanime consenso in vita del Principe. Steno e Monicelli alzano il tiro del loro cinema centrando il bersaglio della farsa capace di sconfinare all'occasione nel sentimentale, poggiando però costantemente su solide fondamenta realistiche (le borgate, i ritratti di interni già piccolo-borghesi). Ovviamente determinante l'aderenza al progetto di due totem attoriali, in grado di far ricorso con eguale naturalezza ai registri del comico e del patetico. Evergreen.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il tema sul papà Totò di Libero/Carlo Delle Piane: altro che Io speriamo che me la cavo; "Sono stufo di vedere sti bottoni per casa".

  • Guardia deve riacciuffare un ladro per evitare il processo. Preambolo con classica truffa (e conseguente inseguimento) per spaziare poi in una sceneggiatura basata sull'umanità. Totò non cerca la risata a tutti i costi mentre Fabrizi è molto sfaccettato nei cambi di espressione. Parte conclusiva di forte impatto morale e specchio di un'Italia alla ricerca del minimo benessere. Le location periferiche sottolineano la ricostruzione di lì a venire.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il sesterzo come il volante; Delle Piane che punta la pistola; Il confronto sulle scale.

  • Uno dei migliori lavori di Totò e Fabrizi, dove comicità e melodramma riescono a esprimersi ad alti livelli e a convivere senza pestarsi i piedi. Merito anche di una regia sapiente e una sceneggiatura robusta che vanta firme autorevoli. La società italiana del tempo, quella della ricostruzione del secondo dopoguerra, viene fotografata alla perfezione avvalendosi di una satira latente, ma graffiante e con uno stile che si avvicina al neo-realismo. Da vedere a tutti i costi.I gusti di Minitina80 (Comico - Fantastico - Thriller)
     Gabrius79  21/8/13 23:44 - 1029 commentiStupenda e impareggiabile commedia con due grandi mostri sacri del cinema italiano come Totò e Aldo Fabrizi diretti all'accoppiata Steno-Monicelli. Il film è praticamente un bellissimo spaccato dell'Italia che fu e si regge sulla grande esperienza dei due protagonisti assieme a un'ottima Ave Ninchi. Risate e scene indimenticabili ma anche momenti amari miscelati sapientemente. Da vedere con piacere.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La corsa all' Acqua Acetosa.

  • A mio parere il miglior film di Totò, giustamente premiato e lodato dalla critica che, in vita, non lo ha mai amato. Insieme a Fabrizi Totò costituisce una coppia praticamente perfetta, dai dialoghi e dai tempi comici che non hanno la benché minima sfumatura: l'uno compensa l'altro e viceversa. Il film ci consegna anche un ritratto amaro di un'Italia povera e martoriata ma dai sentimenti autentici come l'amicizia che può sbocciare anche tra persone agli antipodi. La fotografia in bianco e nero della Roma post-guerra è straordinaria. Da non perdere.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Totò: "Ma come, lei è cosi grosso e non è commendatore?" Fabrizi: "Ma perché, i commendatori vanno a peso?".

  • Un poliziesco tra neorealismo e commedia di costume. In realtà, una denuncia degli stenti di due persone qualunque nell'Italia del dopoguerra; la descrizione, tra l'amaro e il divertente, di una disagiata situazione economica e sociale che accomunava, nella sua durezza, tutti i cittadini sia che vivessero nel rispetto della legge sia che, invece, la trasgredissero. Un poliziesco che rispetta tutte le regole del genere ma che si fa canto morale e invito alla pietas. Totò e Fabrizi interpretano due personaggi a tutto tondo. Bella la fotografia di Mario Bava.

  • Quando a Totò veniva chiesto a quali lavori tenesse maggiormente, era solito mettere tra i primi proprio questo film. Non è il solito Principe, debordante, sfrenato, puramente comico. È amaro, misurato, molto umano. Non solo uno dei migliori film di Totò, ma di tutto il cinema italiano. Grande prova ovviamente anche di Aldo Fabrizi e del cast in generale (Giuffrè, Ninchi, Delle Piane, Carloni). La storia nella, sua semplicità, non può che coinvolgere lo spettatore nei continui capovolgimenti di ruoli tra i due protagonisti. Capolavoro senza tempo.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La truffa della moneta; l'incontro tra i due protagonisti nell'androne del palazzo; Esposito che corregge il tema del figlio.

L'incidente

Di uno spiacevole incidente, che poteva costargli la vita, è stato vittima Totò, il comico numero uno del nostro schermo, noto negli ambienti mondani come il principe De Curtis, Gagliardi, Griffo, Focas, ovvero l'aristocratico dai cinque o sei cognomi. Mentre si girava nei dintorni di Roma una scena del film Guardia e ladro, Totò (il ladro) veniva inseguito per i campi da Aldo Fabrizi (la guardia). In quel momento si trovavano a passare nei pressi due carabinieri che - ignorando la finzione scenica, e richiamati dal fatto che Fabrizi gesticolava e gridava «Al ladro!», «Fermatelo!», «Arrestatelo» e altre frasi d'occasione -, non esitavano a estrarre le pistole per fare fuoco in aria allo scopo di intimidire il fuorilegge. Al primo colpo di pistola, il buon Totò, tremante di paura, si fermava, alzava le mani e aspettava calmissimo l'arrivo dei militi della Benemerita, i quali, avviliti e contriti, si rendevano subito conto di non aver a che fare con un volgare delinquente, ma con un asso della comicità. Scuse, giustificazioni, strette di mano e abbracci concludevano la tragicomica scena, mentre i due carabinieri approfittavano dell'occasione per farsi rilasciare un autografo dai due attori.

Italo Dragosei


Uno dei rari film di Totò che fu elogiato quasi all'unanimità dalla critica dell'epoca (Nastro d'argento a Totò e a Cannes premio alla sceneggiatura di V. Brancati, A. Fabrizi, E. Flaiano, R. Maccari, Steno e Piero Tellini) anche perché s'innestava nel filone neorealistico. “Ho favorito il passaggio di Totò al neorealismo, limitando le sue caratteristiche di comicità surreale che lo aveva caratterizzato in precedenza. Sarà poi Pasolini a orientarlo più sul misterioso o sul magico, forse lo ha capito meglio di me” (M. Monicelli). Ebbe noie dalla censura. Verrebbe la voglia di non amarlo, Guardie e ladri. È uno dei pochi film, infatti, per i quali Totò fu celebrato da vivo. Gli diedero la Palma d’oro a Cannes e il Nastro d’argento, addirittura. Totò, infatti, era buono e bravo solo se qualcuno, scrivendo o dirigendo, aveva messo nel film il «proprio» talento. Solo così si poteva spiegare perché quel comico con la faccia oblunga fosse, quella volta, «stato bravo». Verrebbe voglia di dire che per parlare di Totò bisognerebbe mettere da parte Pasolini e Uccellacci e uccellini e considerare solo i film di Mattoli e di Mastrocinque. Totò era «bravo» a prescindere. Verrebbe voglia di dire tutto questo. Ma è invece impossibile non amare Frate Ciccillo del film pasoliniano o Ferdinando Esposito, il ladro poveraccio di Guardie e ladri. E non provare tenerezza e commozione per la corsa a perdifiato di una guardia e un ladro che sembrano più fuggire che inseguirsi. L’Italia della ricostruzione era ancora debitrice verso tutti e due, anche se era difficile riconoscerlo. Il film, che fu scritto anche da Ennio Flaiano e Vitaliano Brancati, è veramente coraggioso, per quel tempo. Il bene e il male, il lecito e l’illecito si confondono, si incontrano, si confrontano. E tutto è nella poesia degli sguardi, dei dialetti di Fabrizi e Totò.

Walter Veltroni

È la storia d’una guardia e della sua famiglia e d’un ladro e della sua famiglia. La guardia si lascia scappare il ladro e deve ritrovarlo, altrimenti finisce sul lastrico. La sua famiglia lo aiuta e, durante la ricerca, viene a contatto con la famiglia del ladro. Una storia attuale, di sapore critico, risolta sul piano umano [...] per esaminare, al di là della maschera costituita da una professione, il contenuto intimo degli uomini che lottano per la vita. In fondo, sono queste le storie che mi piacciono e mi interessano di più.
Io sono stato a torto giudicato da taluno un neorealista. Oltre tutto, nego al realismo propriamente detto, come fotografia della realtà, ogni contenuto artistico. Arte è trasposizione e il realismo manca di trasposizione.
Il male è che oggi anche quello che viene approvato in prima istanza può venire censurato quando il film è già pronto. Mi è accaduto con L 'onorevole Angelina, da cui dovetti eliminare alcune battute importanti e tagliare scene intere. Semplicemente perché il marito della Magnani nel film faceva la parte di un agente di Pubblica Sicurezza e il pubblico - secondo il ragionamento della Commissione di censura [...] - avrebbe identificato in quell'agente, che veniva leggermente ironizzato, tutti gli agenti di P.S. d'Italia, e se ne avesse riso avrebbe riso alle spalle dell’intero corpo di P.S. “danneggiandone il prestigio”. Da quel momento è rimasta in me una vera fobia per tutti gli argomenti in cui entrassero agenti o guardie: tanto che dopo aver portato a termine il trattamento di Guardie e ladri [...] rinunciai [...] pensando ai limiti, di varia natura, che durante la realizzazione del film, mi sarei dovuto imporre.

Luigi Zampa. Periodico “Cinema”, n. 9, 28 febbraio 1949

Erano attori eccezionali, con loro non c'era la sicurezza del copione tutto previsto, bisognava stargli dietro, perché le gag non venivano mai uguali, da una ripresa all'altra. Questo, per la mia età, mi divertiva e mi preoccupava. Si provava quello che era scritto, si girava ed era diverso, si ripeteva ed era ancora diverso. Finiva che non capivo niente. Ero dentro, e dovevo istintivamente comportarmi a seconda del momento, non era mai una cosa meccanica.

Carlo Delle Piane, raccontando di Totò e Aldo Fabrizi sul set di Guardie e ladri

Quando gli facemmo leggere la sceneggiatura di Guardie e ladri ci disse: "E' bellissima, ma io cosa c'entro, questo è un film per Fabrizi". Gli dicemmo: "Ma guarda che puoi fare una cosa formidabile". E' stato un film diverso, è stata una delle prime volte che Totò ha lavorato con un altro attore importante [...] Totò diceva che alla mattina non si può far ridere, per contratto la mattina non lavorava. Così non riuscivamo a fare gli esterni. Il pezzo dell'inseguimento di "Guardie e ladri" ci abbiamo messo quindici giorni a farlo, non arrivavano mai né lui né Fabrizi. Alla fine capì che doveva venire alla mattina e doveva correre, anche se di solito non correva mai. Era mezzo assonnato ma venne la mattina e si mise a correre.

Steno

Il film riguardava temi e cose molto attuali: il dopoguerra, gli americani che venivano, i ladruncoli che rubavano i pacchi dell'Unrra, tutte cose che riguardavano il momento e la generazione che ci apparteneva. Il soggetto era molto carino, molto preciso, così ci mettemmo a sceneggiare con Brancati e Flaiano e la cosa ebbe già sulla carta un tono e un impegno che si trasferì sulla realizzazione. Totò cerca casa era stato fatto proprio al risparmio, invece per Guardie e ladri da parte di Ponti ci fu un impegno maggiore, anche di lancio.

Mario Monicelli

La scena dell'inseguimento sull'argine del fiume era particolarmente problematica: dovevamo girare in esterno, i due attori dovevano correre e non ne avevano per niente voglia, per cui c'era bisogno di un direttore della luce molto svelto, quasi sbrigativo, che approfittasse di ogni momento della loro disponibilità. Bava realizzò quella sequenza in modo impeccabile e con grande classe, tant'è vero che è diventata la scena simbolo del film, la fanno rivedere ancora oggi, la proiettano nelle scuole. Più per merito suo che per me o per gli attori.

Mario Monicelli ricorda Mario Bava, direttore della fotografia nel film

Fabrizi è stato molto simpatico, di grande cortesia, di grande rispetto. Lui e Totò furono molto collaborativi con me ma anche fra di loro, la lavorazione si svolse con molta piacevolezza e facilità. Facendo quel film ho imparato fra l'altro che è più facile lavorare con due o tre star: ognuno vuole far vedere all’altro che non si comporta come una star e quindi viene puntuale, non pretende nulla più dell'altro, è tutto uno scambio di salamelecchi e cortesie che favoriscono la lavorazione; quando invece la star è una sola si dà un po’ di importanza perché sa di rappresentare tutto il film e allora può sollevare qualche piccolo problema.

Mario Monicelli

Totò era molto acuto nel sapersi vestire, nel darsi dei tocchi, nello scegliere una capigliatura... Fra molto bravo nell’aderire, nel mettersi nei panni del personaggio, con poche cose ma molto preciso. I baffetti non li portava normalmente: se non aveva il tempo se li appiccicava, ma in genere se li faceva crescere perché non aveva voglia di stare a truccarsi molto, preferiva non appiccicarsi cose che potevano dargli fastidio.

Mario Monicelli

La scena dell’inseguimento la ripetemmo più volte. Le difficoltà maggiori ce l’aveva Fabrizi che era grosso. Ripetevamo, ci fermavamo ogni tanto per farli riposare, poi riprendevamo, a brevi pezzi. Erano molto partecipi, si impegnavano molto, devo dire. Non me lo sarei aspettato: erano due persone abbastanza anziane, ognuno per conto proprio con delle difficoltà motorie, invece parteciparono molto. La loro fatica era vera, però continuavano perché capivano che ne valeva la pena. Girammo sull’argine del Tevere, all’Acqua Acetosa, allora era una zona fuori Roma, quasi sperduta, ora è tutto campi da tennis, palazzi, cose...

Mario Monicelli

Quello tra Totò e Fabrizi per Guardie e ladri fu un rapporto stupendo. Si trattavano con grande civiltà, con molto rispetto reciproco, anzi fu proprio allora che capii come una delle grosse furbizie di un regista fosse quella di mettere assieme due grandissimi attori perché in quel caso ognuno dei grandissimi attori tende a dimostrare all’altro che è privo di meschinità e trabocca di fair play, con la conclusione che il tutto sfocia in una lavorazione liscia come l’olio, paradisiaca.

Mario Monicelli

Guardie e ladri è un film nato da un fatto di cronaca, scritto da Piero Tellini, che partiva, sembra, da un comma della Pubblica Sicurezza di non so quale decreto, per cui se un poliziotto, graduato, si lascia sfuggire un arrestato viene punito con trasferimento o altra sanzione. Nel finale ci sono io che tento quasi di dare a Totò la libertà a costo di subire un trasferimento, mentre lui, non pensando a quello che avrebbe provocato il fatto di essere lasciato andare, mi tira da parte e mi dice: “Su, andiamo, su, andiamo...”.

Aldo Fabrizi

La storia di questo film è alquanto complicata. Il soggetto era di Tellini che lo aveva proposto alla Magnani, che doveva interpretare la parte della ladra. Flaiano, e qualche altro forse, aveva fatto un trattamento, non una sceneggiatura. Fabrizi venuto a conoscenza del progetto se ne è subito innamorato - non ricordo se gli è stato offerto da Steno e Monicelli o se l’ha scoperto lui - comunque, superate le piccole difficoltà derivanti dall'antagonismo Totò-Fabrizi, il progetto andò in porto. Comunque la sceneggiatura vera e propria l’abbiamo scritta Steno, Monicelli e io, ha collaborato molto anche Fabrizi. Potrei citare come primi film della commedia italiana, film che non erano considerati tali, alla cui stesura io stesso ho partecipato, Guardie e ladri e Signori in carrozza, che pur essendo precedenti all’arrivo dei vari Sordi, Gassman, Manfredi, Tognazzi, ecc. sono commedie all’italiana.

Ruggero Maccari

Il soggetto era di Tellini su un’idea di Fellini. L’idea di farlo con Totò e Fabrizi fu di Ponti. Tra i due comici non ci furono scontri particolari, benchè il carattere di Fabrizi sia tutt'altro che facile. Forse perchè nella vita erano molto amici e anzi, la sera uscivano assieme per andare al night. Spesso Fabrizi tentava di mettere bocca, Totò comunque non ci dava peso. Erano duetti di due leoni ognuno si sentiva sopraffatto dall’altro, cavava fuori le sue astuzie di grande attore. Così Totò fregava Fabrizi con una battuta imprevista e Fabrizi fregava Totò mettendosi a ridere e interrompendogli lo scena. A volte Monicelli, che ha un carattere molto più fumantino del mio, si scocciava. Le difficoltà maggiori le passammo con gli esterni che era giocoforza girare il mattino, e convocare Totò sul set il mattino era un’impresa perché, abituato agli orari teatrali, non connetteva. D’altro canto era un assertore della teoria, abbastanza giusta, che al mattino non si può far ridere.

Steno

A parte il Totò attore, c’era il Totò uomo perché ho fatto due o tre film con lui - era un signore, sul piano umano era uno molto serio, sulle sue, ma aveva una grande disponibilità verso gli altri. In Guardie e ladri, essendo io un bambino, mi ha aiutato, mi dava tranquillità, mentre da parte di Fabrizi - ancora non eravamo amici, ero un ragazzino - c’era invece un certo menefreghismo. Come attori erano eccezionali, con loro non c’era la sicurezza del copione tutto previsto, bisognava stargli dietro, perché le gag non venivano mai uguali, da una ripresa all’altra. Questo, per la mia età, mi divertiva e mi preoccupava. Si provava quello che era scritto, si girava ed era diverso, si ripeteva ed era ancora diverso. Finiva che non capivo niente. Ero dentro, e dovevo istintivamente comportarmi a seconda del momento, non era mai una cosa meccanica.

Carlo Delle Piane

Totò era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui vale la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Ma, insieme con Aldo Fabrizi, mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati...

Mario Monicelli


Distribuzione

Fu uno dei pochissimi lungometraggi italiani ad essere esportato. Venne presentato nei seguenti paesi, con i seguenti titoli:

Francia: Gendarmes et voleurs, 10 ottobre 1952 - 23 ottobre 1981 (riedizione)
Portogallo: Polícia e Ladrão, 21 novembre 1952
Danimarca: Betjenten og tyven, 11 maggio 1953
Regno Unito: Cops and Robbers, 1953
Finlandia: Ikuisen kaupungin varas, 24 settembre 1954
Germania Ovest: Räuber und Gendarm, 1957
Belgio: Gendarmes et voleurs (titolo francese)
Spagna: Guardias y ladrones[70]
Argentina: Policías y ladrones
Ungheria: Rendőrök és tolvajok
Polonia: Zlodzieje i policjanci
Venne poi presentato anche in Egitto, in Uruguay, in Turchia, in Russia e in Cina.

La distribuzione affidò al pittore, caricaturista e scenografo Michele Majorana la realizzazione delle locandine e dei manifesti in vari formati.

Nelle locandine inoltre furono inseriti vari slogan pubblicitari, tra i più noti: «La più celebre coppia dello schermo nel più divertente film della stagione», «Il film che ha dato a Totò il Nastro d'argento e la Palma d'oro al Festival di Cannes»

(Slogan della locandina spagnola) «Por mucho que se las de Vd de triste y preocupado no podrà contener las carcajadas con esta pelicula»

Citazioni di altre opere

La sequenza finale

La scenetta in cui Totò "pesca" dalla salumeria era già stata usata nel suo primo film Fermo con le mani! (1937), dove pesca dal bancone del pescivendolo. Scena ripresa successivamente anche in Totò a Parigi, del 1958.
La scena della locanda ricorda quella di Totò e Carolina (1955), di Mario Monicelli. Con la sola differenza che Totò interpreta la guardia anziché il ladro.
I tartassati (il terzo film girato in coppia dai due attori, del 1959) di Steno, può essere considerato in senso figurato un seguito di Guardie e ladri "in versione medio-borghese", difatti i due attori si ritrovano negli stessi ruoli di "ladro" e "guardia". Inoltre le scene finali di entrambi i film sono molto simili fra loro, con i due protagonisti che danno le spalle alla telecamera e si allontanano mentre cresce la musica.
La sequenza in cui Fabrizi, al termine dell'inseguimento, consiglia a Totò una cura per il fegato, è stata in seguito esplicitamente citata nel film L'armata Brancaleone (di Monicelli), nella scena in cui Teofilatto (Gian Maria Volonté) dialoga con Brancaleone (Vittorio Gassman) alla fine del duello.
La scena dell'inseguimento di Totò e della sua fuga nel bar è stata citata in una parte del film A spasso nel tempo - L'avventura continua (1997) con Christian De Sica che, imitando suo padre Vittorio nel film Pane, amore e..., fa il maresciallo mentre Boldi, che imita Totò, fa il delinquente.

Opere ispirate al film

Il film La legge è legge (1958) è in qualche modo una "riedizione corretta, più moderna e più leggera" di Guardie e ladri, dove Totò si ritrova nuovamente nella parte del ladruncolo. Commedia giudicata come una "timida rimasticatura in salsa francese di Guardie e ladri" e "una sorta di Guardie e ladri con complicazioni burocratiche."
Il film per la televisione Un Natale con i Fiocchi (2012) è ispirato a Guardie e ladri.

Parodie

Nel 1969 è uscita una sorta di farsa parodia della pellicola, con protagonisti Franco e Ciccio, intitolata, appunto, Franco e Ciccio... ladro e guardia.

Remake

Nel 1997 il cinema russo ha realizzato un remake del film, dal titolo omonimo (Полицейские и воры in russo), "una rivisitazione della pellicola italiana in chiave anti-americana". La prima proiezione è avvenuta nel cinema Pushkin di Mosca. Il film, ambientato nella regione di Novgorod nel profondo nord della Russia, è stato prodotto dalla Etalon Film e girato negli studi della Mosfil'm. La pellicola è stata diretta dal regista Nikolai Dostal ed interpretata da Gennady Khazanov e Vyacheslav Nevinny, nei rispettivi ruoli di ladro e guardia. Ricevette due nomination ai premi Nika nel 1998, uno per il miglior attore protagonista (Vyacheslav Nevinny) e uno per il miglior attore non protagonista (Vladimir Zeldin, che interpretava il padre del ladro). Incassò in Russia l'equivalente somma di 35.000 dollari.

Retrospettive

Guardie e ladri è stato riproposto più volte in varie situazioni: nel 1972, in occasione del quinto anniversario della morte di Totò, il film venne proiettato al Palazzo Chiablese insieme ad altre tre pellicole dell'attore. Nel 2010 è stato presentato nella sezione retrospettiva "La situazione comica (1937-1988)" della 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Nel gennaio 2011 la Cineteca di Bologna rese omaggio a Monicelli, proiettando nel cinema Lumière sette dei suoi lavori, tra cui Guardie e ladri. Il film venne inoltre presentato nelle varie retrospettive dedicate al regista: organizzate dal Circolo del Cinema di Adria, dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla casa delle Culture di Cosenza. Fu proiettato anche nel cinema Orokmozgò di Budapest.

Premi:
Nastro d'argento
Festival di Cannes 1952: premio per la sceneggiatura


Ci arrivò la notizia che il film aveva preso questo premio, ci compiacemmo fra noi ma non ci furono cerimonie di nessun genere. Nessuno di noi era a Cannes, a quei tempi poi non s’andava alla ricerca delle Palme, dei premi, non ci pensavamo proprio, noi perlomeno che facevamo i film comici, la commedia.

Mario Monicelli


La censura

Il film ottiene il nulla osta per la proiezione in pubblico nell'ottobre del 1951, dopo la prima domanda presentata nell'agosto del 1951.

1951 Guardie e ladri 1Documenti censura del film Guardie e ladri, 1951 - Fascicolo - Direzione Generale Cinema

1951 Guardie e ladri 2Documenti censura del film Guardie e ladri, 1951 - Presentazione - Direzione Generale Cinema


Sembrava la rivoluzione, l'Ottobre a Mosca, io avevo fatto del cinema durante il fascismo, poi le cose erano cambiate, o almeno avrebbero dovuto essere cambiate, quindi non pensavamo... Modificammo alcune cose, qualche battuta, accorciammo qualche scena, roba da poco, solo che fu una lotta lunga con l’ufficio di censura.

Mario Monicelli


Comincia la trattativa su possibili modifiche: si cambia qualche battuta, se ne tagliano altre, viene modificano soprattutto il dialogo della guardia Fabrizi che riesce a convicere il ladro Totò a farsi arrestare, mitigando la solidarietà fra i due e giustificando il sopruso di fondo (la guardia che rischia la galera per non aver saputo arrestare il ladro).


Dal giudizio di revisione cinematografica preventiva alla sceneggiatura di "Guardia e ladro", 9 febbraio 1951

Se mai si potrebbe evitare che il vicebrigadiere compaia in divisa (dalle scene del teatro, all'inseguimento fra i campi, fino alle scene del commissariato si vorrebbe fare apparire, nel film, il Bottoni in «alta uniforme») onde evitare che certi riflessi umoristici, inerenti all'inseguimento farsesco e alla fuga comica del ladro dal WC, possano ricadere su di un agente in regolamentare divisa.


Dialogo originale

Fabrizi: «Perché io non ci ho famiglia? Perché i miei figli non portano le scarpe?... Perché io... non ci ho una casa che pago la pigione?... Perché... le stesse cose che occorrono alla famiglia mia
non... non è uguale come la famiglia tua?... La stessa cosa... Tu vuoiche te faccia scappa'...»
Totò: «Eh!»
Fabrizi: «Eh!... Uh!... Sai, se te faccio scappa'... che me succede?... Tu non lo sai... Eh, già !... Se io... entro oggi... non ti riporto in questura... dopo trent'anni di servizio... e di sacrifici... e di fatiche... il minimo che me capita... me cacciano via?»
Totò: «Per me?»
Fabrizi: «Eh! ... E allora chi ci pensa alla famiglia mia?... Vedi?... Ognuno pensa alla famiglia sua... Tu pensi alla tua e io penso alla mia... Se mi salvo io, ci devi andar di mezzo tu... e se te salvi te, me tocca andarci di mezzo me!... Eh!»


Dialogo modificato

Fabrizi: «Perché io non ci ho famiglia? Perché i miei figli non portano le scarpe?... Perché io... non ci ho una casa che pago la pigione?... Perché le stesse cose che occorrono alla famiglia tua non occorrono alla famiglia mia? È mio dovere!... Tu vuoi che te faccia scappa'... E che non lo sai che non posso, che non devo? Che non lo sai? E poi... se io non te riporto in questura, dopo trent'anni di servizio, sempre facendo il mio dovere, il minimo che me capita me cacciano via?»
Totò: «Veramente?»
Fabrizi: «Eh! ... E se me cacciano via fanno bene. Vedi, tu lo sai perché porto la divisa, perché devo fa' rispettare la legge. Tu me fai pena ma io te devo fa' arresta'... Perché se non t'acchiappo divento il complice di un ladro, capisci?»

I rappresentanti della Giustizia e dell'Interno manifestano parere contrario alla proiezione in pubblico del film in quanto il soggetto, tutto il primo tempo nonché alcune scene in particolare quale: «La telefonata dell'Eccellenza al Commissario, l'atteggiamento del Commissario stesso, il colloquio tra l'agente e il ladro nell'atrio del palazzo di quest'ultimo e l'invito finale fatto dal ladro all'agente di seguirlo in Questura, sia per il tono umoristico e per la stessa intonazione del film, possono dar luogo ad apprezzamenti lesivi al decoro e al prestigio dei funzionari della Forza Pubblica, tanto più che il protagonista veste la divisa del plotone d'onore del Corpo degli Agenti di PS». Il Presidente si esprime favorevolmente alla proiezione in pubblico del film, a condizione che siano tolte alcune scene, ma, a maggioranza, viene espresso parere contrario.


Annibale Scicluna, appunto con modifiche a mano, data presunta 2 agosto 1951

I rappresentanti della Giustizia e dell'Interno manifestano parere contrario alla proiezione in pubblico del film in quanto il soggetto, tutto il primo tempo nonché alcune scene in particolare quale: «La telefonata dell'Eccellenza al Commissario, l'atteggiamento del Commissario stesso, il colloquio tra l'agente e il ladro nell'atrio del palazzo di quest'ultimo e l'invito finale fatto dal ladro all'agente di seguirlo in Questura, sia per il tono umoristico e per la stessa intonazione del film, possono dar luogo ad apprezzamenti lesivi al decoro e al prestigio dei funzionari della Forza Pubblica, tanto più che il protagonista veste la divisa del plotone d'onore del Corpo degli Agenti di PS». Il Presidente si esprime favorevolmente alla proiezione in pubblico del film, a condizione che siano tolte alcune scene, ma, a maggioranza, viene espresso parere contrario.


Nicola De Pirro, 13 settembre 1951

Caro Scicluna, a proposito del film Guardie e ladri: Il rappresentante del ministero dell'Interno eccepisce la illiceità dell'ultima parte dove l'agente a chiare note motiva l'esercizio del suo dovere con il fine personalistico di evitare le grane e il licenziamento e non per un ossequio alle leggi. E si pongono guardie e ladri sullo stesso piano, con diseducazione grave per i valori costitutivi dell'ordine civile e morale. Occorre quindi ritoccare il parlato a partire da p. 111. Nulla vieta naturalmente che la guardia abbia pietà della famiglia del ladro e consenta il pietoso trucco del trattenersi a desinare e del fingere di accompagnare il ladro alla stazione. Salvi i ritocchi suddetti al parlato. Desidererei rivedere il nuovo testo.


Le incongruenze

  1. La seconda volta che Bottoni entra nel salone, Totò ha finito di farsi fare la barba, tant'é che il barbiere lo sta finendo di pulire e gli dice "servito". Tuttavia nelle scene successive Totò ha ancora la schiuma addosso e il barbiere è impegnato con il rasoio.
  2. Totò, mentre è dal barbiere, fa finta di leggere un giornale illustrato, che Bottoni gli sottrae dalle mani. A questo punto Totò prende un'altra rivista, ma nelle inquadrature da lontano essa è a rovescio, in quelle da vicino è al dritto.
  3. Per rincorrere Totò, Bottoni esce velocemente dal salone. All'interno del locale ha ancora la schiuma addosso, mentre fuori, benché non si sia pulito, nella parte sinistra la schiuma non c'è quasi più.
  4. A casa Esposito è arrivato il ladro vestito da prete, che parla con Totò. Bottoni è intento ad ascoltare la conversazione. Nell'inquadratura allargata in mano non ha nulla, nel primo piano nella mano sinistra ha una forchetta.
  5. Totò Esposito è a casa di Bottoni per portare un mazzo di fiori alla moglie; al telefono scopre che Bottoni invece è a casa Esposito con la moglie di Totò. Nella conversazione tra i due non viene detto che Totò ha portato dei fiori alla signora Bottoni, eppure Bottoni giustifica l'amicizia che si è istaurata tra i due mariti, proprio dal fatto che Totò abbia portato quei fiori.
  6. Il Commissario legge il regolamento a Bottoni / Fabrizi, che si è lasciato sfuggire il malvivente Totò / Esposito. Mentre legge il regolamento ha gli occhiali, inquadrato sia davanti che da dietro (Con Fabrizi rivolto allam.d.p.). Tuttavia in una inquadratura (inquadrato da dietro) non ha gli occhiali, mentre nella successiva e seguente inquadratura li porta.
  7. Fabrizi / Bottoni cerca in archivio la scheda di Totò / Esposito. Quando la trova legge ad alta voce: «Ferdinando Esposito di Gennaro. via...» ma nella scheda c'è scritto "fu Gennaro"
  8. Quando gli Esposito si presentano a casa Bottoni, riconoscenti del fatto che il capofamiglia / Fabrizi abbia fatto un regalato al loro figlio minore (Delle Piane), la moglie di Totò / Esposito dice: «Permette? mio suocero». Ed il suocero si presenta: «Carlo Esposito». Ma nella scheda di riconoscimento era Gennaro (o fu Gennaro).
  9. Gli Esposito sono appena tornati dall'aver fatto la prima visita ai Bottoni. A casa c'è il capofamiglia (Totò), reduce da una latitanza. Egli, mentre parla, passa dalla stanza da pranzo in cucina (dove c'è la moglie), ed ha la sciarpa dentro la giacca abbottonata, poi fuori dalla giacca, quindi di nuovo dentro la giacca abbottonata.
  10. All'inizio del fiilm c'è una lunga scena d'inseguimento che coinvolge Totò/Esposito, Fabrizi/Bottoni, l'americano truffato da Totò, e l'autista del taxi. Tutti si ritrovano in piena campagna, e li vediamo attraversare un campo ridotto ad un pantano. Tuttavia, subito dopo, si rincorrono lungo una strada, ma hanno tutti i pantaloni puliti.
  11. Quando Fabrizi la prima volta scappa dal salone, nell'uscire gli cade l'asciugamani ma nell'inquadratura successiva la tiene ben aggrappata al collo.
  12. Quando Totò Esposito cala la lenza per prelevare il salume esposto fuori il negozio, è logico che l'azione venga svolta da un primo piano, ma com'è che allora nel resto del film l'appartamento si trova all'ultimo piano?
  13. Quando Totò e Giuffrè vengono scoperti dall'americano, Totò scappa con in mano il soprabito. Alla scena successiva chiede aiuto al tassista con il soprabito indossato e abbottonato ben bene. Dove ha trovato il tempo per farlo?
  14. Bottoni ha appena arrestato Esposito e discute con l'americano, che protesta per il fatto che Esposito non vuole seguire il brigadiere. Quest'ultimo cerca di spiegarsi: in uno stacco tiene il braccio sinistro appoggiato alla gamba, nel successivo entrambe le braccia sono sollevate.
  15. Bottoni cerca nello schedario la scheda di Esposito: quando la trova tiene la fotografia nell'angolo in alto a sinistra, mentre nello stacco successivo la tiene poco più in basso.
  16. Bottoni, dopo essere uscito malamente dalla bottega del barbiere, osserva alcuni ragazzini che giocano. Ad un tratto solleva l'ombrello e indica un sasso lanciato dal gruppo. Nello stacco successivo tuttavia l'ombrello è in posizione verticale.
  17. Nella primissima scena del film, Totò e Giuffré fanno le prove della truffa della moneta. Giuffré nell'inquadratura larga agita la mano destra, in quella ravvicinata immediatamente successiva tiene la moneta con entrambe le mani.
  18. All'osteria, Totò tenta di giustificarsi con Fabrizi: "Quello lì è un americano!" In una inquadratura Fabrizi beve il bicchiere d'acqua d'un fiato, poi appoggia il bicchiere vicino a sé e ci tiene la mano sopra; in quella immediatamente successiva il bicchiere è lontano da Fabrizi, che non ci sta tenendo sopra nessuna mano.
  19. All'osteria, Totò dice "Non ho mai truffato un italiano". Prima la tazzina di caffé è vicina a Fabrizi, poi vicina a Totò.

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Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

Le location del film

1951 guardie e ladri2La situazione al via delle ricerche: Nonostante il film sia importante e molto amato, online la ricerca delle location si è finora limitata alla casa di Totò (che tempo fa aveva scoperto sul nostro forum tale Giovy) e a un vago “fosso di Sant’Agnese” per l’inseguimento. Tutto quello che troverete di seguito (soprattutto la ricostruzione minuziosa dell’inseguimento) compare qui per la prima volta (Wiki e imdb non dicono una sola parola in tema location del film, al momento)

Parlare di Guardie e ladri significa parlare di una delle più importanti commedie italiane degli Anni Cinquanta, in cui Totò venne finalmente apprezzato per le sue qualità non solo da comico puro ma da attore a tutto tondo (non a caso vinse il Nastro d’argento, per la sua interpretazione). Guardie e ladri si portò a casa anche il premio come miglior sceneggiatura a Cannes 1952, a conferma del suo straordinario spessore. Dal punto di vista delle location, non sono poi molte quelle che si vedono nell’arco del film, molto spesso rinchiuso in interni, ma quelle poche sono una importantissima testimonianza della Roma che fu, con Via Gregorio VII ridotta al tempo a una stradella sterrata e infangata, ad esempio. Quello che abbiamo fatto è stato, come sempre, cercare di individuare tutto ciò che viene mostrato nel film scoprendo cose anche molto interessanti. Cominciamo quindi dalle prime scene, quelle al foro, con la famosa truffa della patacca...

01. AL FORO

Il film si apre sulla celebre truffa del sesterzo romano (in realtà una patacca). Fedinando Esposito (Totò) e il suo socio (Aldo Giuffrè) fanno prima una prova tra loro per vedere se la truffa è organizzata al meglio e attendono poi l’arrivo di un turista (pollo) da raggirare. Image Questi si materializza quasi subito e comincia la truffa, ma la moneta sistemata sotto le rovine per essere scoperta viene a sorpresa trovata da un tizio che passa di lì e il socio è costretto a sistemarne un’altra sotto una seconda colonna. La truffa (corretta in corsa) funziona alla grande, ma qualcosa, alla fine, andrà storto… Le scene sono state chiaramente girate al foro romano, ma come sempre quello che interessava noi era trovare il punto esatto in cui vennero nascosti i finti sesterzi, e infine l’obiettivo è stato raggiunto e i luoghi fotografati.

 

1951 Guardie 01

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02. AL TEATRO PER LA DISTRIBUZIONE DEI PACCHI

La seconda truffa organizzata dai due prevede che si assoldi un gruppo di bambini che dovranno fingersi loro figli per ritirare i pacchi dono promessi ai “bambini europei” durante una cerimonia organizzata al teatro Qvirino. Ferdinando (Totò) e il socio trovano i bambini in un vicolo lì vicino e con loro entrano a teatro, dove partirà la truffa. Stavolta però è alla cerimonia anche il brigadiere Bottoni (Aldo Fabrizi), il quale si accorgerà della truffa dando il via a uno storico, interminabile inseguimento. Il teatro Quirino che si vede chiaramente inquadrato dall’esterno nel film è oggi chiuso e si trova all’incrocio tra Via delle Vergini e Via dell’Umiltà a Roma. Ed è proprio lungo questa via che vedremo Ferdinando correre e prendere un taxi (guidato da Mario Castellani). Bottoni sale sull’auto dell’americano truffato al foro (che non vede l'ora di mettere le mani su Ferdinando) e l’inseguimento in auto ha inizio...

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03. L’INSEGUIMENTO: IN AUTO, CON SOSTA AL SEMAFORO

Ferdinando e il brigadiere Bottoni cominciano a sfrecciare per le strade di Roma, finchè sono costretti a fermarsi davanti a un semaforo diventato improvvisamente rosso. Bottoni, inferocito, salta fuori dall’auto alla ricerca di Ferdinando tra le auto in coda, ma questi furbescamente si accovaccia sul sedile sfuggendo ai controlli di Bottoni. L’incrocio col semaforo è quello tra Via del Tritone, Via dei Due Macelli, via del Traforo e via Crispi, a Roma. Quando torna il verde Bottoni capisce bene qual è l’auto in cui sta Ferdinando e l’inseguimento a quattro ruote continua. “Per due Macelli”, ordina Fabrizi al conducente dell’auto inseguitrice. E difatti è in quella direzione che l’auto parte, imboccando per l’appunto Via dei Due Macelli. La scena successiva vediamo le due auto passare per una piazza, che Ellerre ha identificato correttamente con Piazzale Manila, sempre a Roma naturalmente. E’ curioso però notare in questo caso che la statua equestre che vediamo al centro della piazza nel film oggi non c’è più. L’abbiamo ritrovata nel non così vicino Piazzale Simon Bolivar, dove fa bella mostra di sè.

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04. L’INSEGUIMENTO: A PIEDI PER LE CAMPAGNE
Dopo il passaggio per Piazzale Manila le due auto continuano la loro corsa fino a raggiungere una via dove vi sono dei lavori in corso che sbarrano la strada. L’inseguimento in auto non può che terminare qui. Ferdinando scende dal taxi e si avvia verso le colline, seguito a questo punto non solo da Bottoni e dall’americano ma pure dal tassista, cui ovviamente il nostro non ha pagato la corsa. Si tratta della più celebre sequenza del film, quella in cui la guardia insegue il ladro a piedi. I due cominciano a correre percorrendo sterrati che mostrano sullo sfondo alti palazzoni non facilmente identificabili, passano vicino a un ponte, a un campo da calcio, infine si fermano in un’osteria dove Ferdinando chiede di andare al bagno e, chiusosi dentro, fuggirà dalla finestra.

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Tutto ha inizio come detto dalla via coi lavori in corso, che si è riusciti a identificare con Via dei Campi Sportivi a Roma. Lo sbarramento è stato posto davanti al piazzale della stazione dell’Acqua Acetosa. E’ qui che Ferdinando scende dall’auto e si dirige verso la collinetta dietro la quale oggi sta il circolo sportivo dove si allenava a tennis Gassman in Il tigre. La scena immediatamente successiva è tuttavia già da tutt’altra parte, ovvero lungo quella che oggi è la Circonvallazione Salaria e dove è girato gran parte dell’inseguimento. Non è stato facile capirlo, ma sullo sfondo si è riconosciuto lo stesso palazzo che si vede in un altro momento dell’inseguimento e che fa parte dei palazzi di Via del Casale Giuliani.

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Al tempo lì era più o meno l’unico, grosso e diviso in due ampie ali riconoscibili sulla facciata sud (quella visibile nel film), oggi è quasi seppellito da un intero isolato. Siamo a due passi dalla casupola in cui Ferdinando andrà alla toilette a fine inseguimento. Successivamente il gruppo passerà tra baracche presidiate da un cane, oggi con tutta probabilità abbattute. La scena dopo siamo ancora sulla Salaria, riconoscibile perché sullo sfondo compare un palazzo che abbiamo ritrovato (dopo affannosissime ricerche) in Viale Arrigo Boito. Poi ecco Ferdinando scendere su un declivio che si è capito essere Via di Ponte Salario (ed è probabile che pure sul cartello illeggibile del film sia scritto proprio così). Nuova tappa in un casolare con pozzo non identificabile quindi ancora lungo la Circonvallazione Salaria.

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Un attimo dopo ecco lì Ferdinando che si ferma giusto il tempo di mostrare alle sue spalle Ponte Salario, il Ponte sull’Aniene che oggi da lì non si potrebbe vedere mai e poi mai (la fila di alberi ne occlude la vista) e scendere verso un campetto da calcio lì dove oggi c’è un circolo di tennis, lungo via del Foro Italico, lo stesso in cui giocava Sordi in Il boom. Quindi ancora un casale semiabbandonato irrintracciabile dove Ferdinando si fa strada tra le galline e si ferma a bere a un fontanile (imitato dagli inseguitori). La scena successiva siamo di nuovo sulla Circonvallazione Salaria. Il punto è lo stesso visto poco prima, in cui sullo sfondo si staglia la fila di palazzi di Viale Arrigo Boito (che oggi sarebbero da lì invisibili, coperti come sono da altre file di palazzi sorti in un imprecisato secondo tempo): un gioco di continui campi e controcampi “truccati” non fa spostare di un metro i protagonisti, che se ne corrono avanti e indietro nelle due direzioni. “Ma la vuoi finì de core?” grida il brigadiere al ladro. Questi, che effettivamente è al limite della resistenza, fa ancora pochi passi lungo la Circonvallazione e infine si ferma su un masso a pochi metri dal casolare dal quale sfuggirà dalla finestra. Un breve botta e risposta passato alla storia (“Te sparo sa”. “Non puoi”. “Perchè?”. “Puoi sparare solo per legittima difesa; io non offendo...”. “Vabbè, allora sparo in aria a scopo intimidatorio”. “E vabbè, io no mi intimido, e sto qua”) e la strada assieme fino al bar della toilette, che rappresenta uno dei pochi edifici ancora in piedi da allora. E’ un casolare che oggi sta sotto alla Circonvallazione e che è ancora riconoscibile perché praticamente identico. Giusto qualche ristrutturazione...

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05. LA CASA DI FERDINANDO ESPOSITO

Una delle location chiave del film è quella che ci mostra la casa in cui abita Ferdinando con la famiglia e dove più volte il brigadiere Bottoni andrà a trovarlo. A vederla sembra una casa posta in un terreno semiabbandonato, tra fango e terra. Ma poi sul fondo si vede il cupolone di San Pietro e capiamo che non dovremmo essere così distanti dal centro... Infatti non siamo in Via Roseto come si dice nel film ma in Via Gregorio VII all’angolo con Via dell’Argilla, luogo che oggi è clamorosamente cambiato rispetto a quella strada sterrata che si vedeva nel 1951. La prima cosa che colpisce è come la casa di Ferdinando sia l’ultimo palazzo di una fila che ai lati non ha nulla o quasi.

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Oggi non è proprio così, visto che proprio al fianco della casa ne è stata attaccata un’altra, prima di arrivare alla svolta di San Silverio. E quella che era una stradaccia di terra e fango è proprio Via Gregorio VII, al centro della quale stava allora il barbiere. Il barbiere, come le catapecchie a sinistra dell’uscita, oggi non esistono proprio più, mentre ha resistito come detto la casa di Totò, anche se inglobata in un complesso ben maggiore di allora. E’ però da considerare un’altra cosa: quando vediamo Ferdinando intercettare Bottoni sulla porta d’ingresso scopriamo che i due non sono affatto nella casa di via Gregorio VII come dovrebbero ma da tutt’altra parte, e precisamente davanti alla Farnesina, di cui scorgiamo l’inconfondibile sagoma sullo sfondo! Un trucco bello e buono! Oggi la “seconda casa” di Totò, ovvero quella di cui si vede solo l'interno, è stata anch’essa abbattuta per lasciare spazio a un ampio parcheggio o (se era appena più indietro) a un moderno complesso

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06. BOTTONI PEDINA IL FIGLIO DI FERDINANDO

Uscendo da casa di Ferdinando, Bottoni decide di seguirne il figlio maggiore per vedere dove va. Lo vedremo percorrere dapprima Borgo Sant'Angelo (siamo sempre a Roma naturalmente) quindi Via del Portico d'Ottavia. L'appuntamento sarà invece in piazza delle Cinque Scole, dove si accorge che il ragazzo ha un appuntamento. E non sta aspettando una persona qualsiasi bensì proprio la figlia di Bottoni, la quale arriva all’appuntamento dopo qualche minuto. A Bottoni cadono le braccia... Si trata dell'ultima location visibile del film prima di tornare a rivedere quelle già studiate nella prima parte.

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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
  • "Kill Baby Kill!" Il cinema di Mario Bava - edizioni Unmondoaparte
  • Gian Gaspare Napolitano, «L'Europeo», anno VII, n. 11, 11 marzo 1951
  • Corrado Alvaro, «Il Mondo», 5 gennaio 1952
  • «Vie Nuove», anno VII, n.1, 6 gennaio 1952
  • D.M., «Epoca», anno III, n.113, 6 dicembre 1952
  • Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
  • Italo Dragosei, Totò salvo per miracolo, «Hollywood», n. 283,17 febbraio 1951
  • Mario Monicelli, Ruggero Maccari, Aldo Fabrizi e Carlo Delle Piane in "L'avventurosa storia del cinema italiano", Franca Faldini e Goffredo Fofi, Cineteca di Bologna, 2011
  • Sebastiano A. Giuffrida, "Roma, esterno giorno", Biblioteca dello spettacolo Brufo Editori - Perugia
  • Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com