Yvonne la nuit

1950 Yvonne La nuit

Io di nome mi chiamo don Ciccio e mi firmo don Ciccio Salciccio; in ovunque m’impaccio e m’impiccio, dove vado vi faccio un pasticcio, e così per un puro capriccio don Ciccio Salciccio mi sento chiamar.

Nino

Inizio riprese: estate 1949, Cinecittà Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 19 novembre 1949 - Incasso Lire 236.400.000 - Spettatori 2.462.500



Titolo originaleYvonne la nuit
Paese Italia - Anno 1949 - Durata 85 min - B/N - Audio sonoro - Genere Drammatico - Regia Giuseppe Amato - Soggetto Fabrizio Sarazani - Sceneggiatura Fabrizio Sarazani, Oreste Biancoli, Giuseppe Amato - Produttore Rizzoli-Amato, Roma - Fotografia Mario Craveri - Montaggio Maria Rosada - Musiche Pasquale Frustaci - Scenografia Gastone Medin - Costumi Mario Vigolo, Lemi e De Luca


Totò: Nino, il fantasista - Olga Villi: Nerina Comi, in arte Yvonne la Nuit - Frank Latimore: il tenete Carlo Rutelli - Giulio Stival: il conte Rutelli, suo padre - Eduardo De Filippo: l'avvocato Rubini - Gino Cervi: il colonnello Baretti - Arnoldo Foà: il senatore - John Strange: il maggiore Tremiti - Ave Ninchi: sora Rudegarda - Paola Veneroni: Rosetta - Mario Riva: il ragazzo delle sigarette - Angela Zanon: Menica, la cameriera - Leopoldo Valentini: il maggiordomo - Aristide Garbini: sor Filippo - Agnese Dubbini: la spettatrice che ride - Giovanni Lovatelli: un ufficiale - Gaio Visconti: un ufficiale - Arturo Dominici: un ufficiale - Franco Tallarico: un ufficiale - Desiderio Nobile: un ufficiale - Cesare Fasulo: un ufficiale - Enzo Cannavale: il cameriere


Soggetto

Il macchiettista Nino, segretamente innamorato della sciantosa Yvonne la Nuit, assiste alla nascita dell'amore tra lei e il conte Carlo Rutelli. L'unione è contrastata dal severo padre di lui, che lo crede irretito da un'avventuriera. Quando l'Italia entra nella Grande Guerra, Carlo deve partire per il fronte proprio mentre Yvonne è in attesa di un figlio: ingenuamente, il giovane affida la sorte dei suoi cari al padre, che rapisce il neonato, facendolo credere morto alla madre. Il destino si accanisce su Yvonne perché Carlo è ucciso in battaglia. Successivamente alla doppia perdita, la donna va incontro a un declino che coinvolge anche la sua carriera artistica. Infatti si riduce a essere un'artista ambulante, al fianco del devoto amico Nino. Un giorno riceve la chiamata di un avvocato (Eduardo De Filippo), che le comunica la morte del suocero e la verità sul figlio avuto da Carlo, figlio che ovviamente è vivo e vegeto. La donna decide di non incontrare e di non fare avere notizie di sé al figlio, perché pensa sia meglio che il ragazzo mantenga in mente l'immagine di lei all'epoca del suo splendore, piuttosto che veda come si sia ridotta.

Critica e curiosità

Yvonne la nuit. Un film che più che un’opera cinematografica sembra un romanzo di formazione per Totò, un esame di maturità travestito da tragedia borghese, con un retrogusto di caffè sospeso e una spolverata di brillantina. Ma partiamo con ordine – e con l’eccesso che merita.

Un film, un produttore, una collana

La proposta per realizzare Yvonne la nuit non cade dal cielo come la manna, ma atterra con il garbo e la teatralità tipici di Napoli. A proporla è Peppino Amato, che non è un nome, è un monumento: produttore, impresario, uno di quelli che nel cinema ci sguazzano come i delfini in piscina. In futuro metterà la firma su capolavori come Don Camillo e Umberto D., ma qui sta ancora giocando a carte col destino, e la mano che calerà sul tavolo ha il volto dolente e nobile di Totò.

Peppino Amato, che sembra uscito da un romanzo di Eduardo, sa il fatto suo: per Yvonne la nuit vuole una produzione vera, seria, fatta come si deve. Costumi d’epoca, scenografie accurate, e Cinecittà che si trasforma in un salotto buono, con ambienti ricostruiti come se si stesse allestendo una mostra al Louvre. E poi comparse a frotte, perché senza il popolo non c’è dramma. Insomma, niente pizza e fichi, stavolta.

Totò, ovvero il guitto di fronte all’abisso

Ora entriamo nel cuore della faccenda: Totò. Fino a quel momento re del varietà, marionetta semovente, principe del nonsense, dominatore assoluto delle smorfie e delle pernacchie. E adesso? Gli tocca un ruolo serioso. Un uomo serio. Quasi una comparsa nel proprio stesso film. Lì, in un angolo, a meditare. Ma che ci fa Totò nel dramma? È come mettere Pulcinella a recitare Amleto. Eppure...

Eppure, accetta. Non per soldi, che quelli li disdegna – un po’ per fierezza, un po’ per diffidenza napoletana (“E mo, chissà che m’arriva 'nfaccia se lo faccio per denaro?”). No, Totò gira Yvonne la nuit per amicizia. Amicizia con Fabrizio Sarzani, conte vero e amico sincero. Gli unici due titoli che Totò rispetta davvero.

Ma il nostro Antonio de Curtis non è mica un asceta. Così, per convincerlo, ci vuole il colpo di teatro: Angelo Rizzoli – editore, produttore, entusiasta – gli regala una collana d’oro e brillanti. Totò, forse, si sarebbe venduto più volentieri per una sfogliatella ben fatta, ma i brillanti hanno il loro perché. E poi brillano. Come lui.

Bel Ciccillo e il ritorno dell’anima perduta

In questo film anomalo, ibrido, misterioso come una seduta spiritica tra vecchi attori, Totò si cimenta in un personaggio triste. Non proprio protagonista, non del tutto spalla. Una specie di figura fantasma che attraversa la storia con la malinconia di chi sa che sta cambiando pelle – o meglio, maschera. È il primo Totò drammatico. E anche se il pubblico non accoglie il film con la ola, la critica applaude. E con quel rispetto un po’ ipocrita di chi fino a ieri rideva di lui, ora lo chiama "attore".

Ma nel mezzo della malinconia, ecco il colpo di coda. Il numero del Bel Ciccillo. Un ritorno al varietà, ma in incognito. Totò si traveste da se stesso, quello giovane, quello elastico, quello che balla come una marionetta scassata, snodabile come il destino. Una performance demarchiana – cioè da macchietta partenopea classica – che è insieme nostalgia, celebrazione e testamento. Una filastrocca assurda, un balletto surreale, un’esibizione atletica degna di un ginnasta sovietico, ma con la faccia da scugnizzo stanco. Totò, cinquant’anni suonati, ci mostra un'ultima volta quanto sapeva piegarsi, saltare, contorcersi. Prima che il tempo glielo impedisca.

In conclusione

Yvonne la nuit non è solo un film. È una parentesi sospesa nella carriera di Totò, un tentativo di attraversare il confine tra maschera e volto, tra gag e pathos. È una di quelle strane alchimie in cui il pubblico dice "meh" e la critica dice "oh". Dove il comico piange e chi guarda non sa se ridere o abbracciarlo.

Totò, alla fine, si butta. Ci prova. Lo fa per affetto, per sfida, forse anche per noia. Il risultato? Un film dimenticato dai più, ma inciso a fuoco nella memoria di chi conosce davvero l’uomo dietro la maschera. Quello che rideva per non piangere. O, più probabilmente, per non farci piangere tutti quanti.


🎭 1. L’apertura teatrale: il sipario si alza sulla malinconia

Il film si apre con un’atmosfera cupa, quasi da camera mortuaria. Luci basse, dialoghi sottotono, un clima da crepuscolo morale in cui anche le battute sembrano sussurrate per non disturbare la decenza borghese.

Totò (alias Nino), appare subito fuori fuoco rispetto all’ambiente. Non nel senso fotografico, ma esistenziale. È lì, ma è come se non ci fosse. E questa assenza di presenza è il tono dominante della sua interpretazione. Un comico che entra in scena trattenendo il respiro. In altre parole: se ti aspetti il Totò dei pizzicotti, delle pernacchie e del “ma mi faccia il piacere”, gira a destra, stai entrando nella tragedia.

Perché è memorabile?
Perché Totò, nel silenzio, riesce comunque a comunicare disagio, estraneità, e una profondità inaspettata. È un cane barbone seduto su una poltrona Luigi XV. E la poltrona lo sa.

🎻 2. L’incontro con Yvonne: eros, pathos e un filo di mascara

Yvonne, interpretata da una attrice dal fascino decadente (e dai connotati da diva anni ’30 in scadenza anni ’50), entra in scena come una visione un po’ fanée. Totò-Nino la guarda, ma non la guarda davvero. O meglio: la guarda come si guarda un ricordo che fa ancora male. E qui il regista si concede il lusso di una regia sfumata, con giochi di luce quasi espressionisti, dove i personaggi sembrano sagome ritagliate da un vecchio numero de La Domenica del Corriere.

Il dialogo è carico di sottintesi, di rimpianti, di silenzi parlanti. C’è qualcosa che è successo – o che non è mai successo – e la scena è tutta lì, in quel non detto. E Totò è magistrale: è immobile, ma presente, come uno spettro educato.

Perché è memorabile?
Perché è una scena dove nulla succede, ma succede tutto. È la Napoli del silenzio, del rimorso, della gelosia non confessata. E Totò regge il dramma come se fosse nato per piangere, ma con dignità.

🕴️ 3. Il numero del Bel Ciccillo: la bomba nel salotto buono

Qui siamo nel cuore incandescente del film. Un’interruzione stilistica, un cortocircuito narrativo. Il film si prende una pausa dalla sua stessa serietà per lasciar spazio a un flashback, o forse un sogno, o magari un momento di regressione artistica pura.

Totò entra in scena – in un teatro, ma anche dentro sé stesso – e si trasforma. Via il dramma, via l’introspezione: è il ritorno del Bel Ciccillo. Bastone, cilindro, sorriso smagliante e colonna sonora da cabaret futurista. Una filastrocca assurda, una danza disarticolata, una celebrazione del corpo comico. Il gagà si muove come un burattino messo sotto acido, canta parole che sembrano nonsense ma sono lirismo assurdo, e nel farlo riesce a fermare il tempo.

Perché è memorabile?
Perché è un’autocitazione travestita da omaggio. È Totò che racconta il proprio passato dentro un film che vorrebbe solo il suo presente. E in quei tre minuti, il pubblico dimentica la trama e guarda il miracolo.

🥀 4. Il dialogo con il sacerdote: Totò in controluce

A un certo punto, il nostro protagonista si trova a parlare con un sacerdote. Ora, dimentichiamo I due marescialli o Totò, Peppino e la... confessione finta: qui il dialogo è tutto tranne che comico. È una conversazione sull'anima, sulla colpa, sul tempo passato.

Totò – e qui ci mettiamo il cappello serio – recita con una dolcezza stanca, con una rassegnazione piena di pietà umana. Non cerca scuse, non si difende. Ascolta. E nel suo silenzio c’è tutto il peso di una vita non vissuta come avrebbe voluto.

Perché è memorabile?
Perché mostra il Totò pensoso, il filosofo dell’anima, capace di usare il corpo non per far ridere, ma per raccontare il dolore. Non ci sono battute, ma c’è un carico emotivo che sposta gli equilibri del film.

🧳 5. La scena della valigia: il comico con l'anima in fuga

Verso la fine del film, Totò prepara una valigia. Una scena banale? Nemmeno per sogno. Qui, ogni oggetto che entra in quella valigia è una metafora: la camicia stirata è la dignità, le scarpe logore sono la memoria, il cappello – ovviamente – è l’identità.

Lui piega i vestiti con cura, li sistema come se stesse archiviando i pezzi della propria esistenza. C’è un senso di abbandono, di fuga, ma anche di lucidità. Non è un Totò disperato, è un Totò che ha capito di non essere più nel suo tempo. E fa le valigie con la calma di chi ha imparato a lasciar andare.

Perché è memorabile?
Perché in quella valigia c’è tutto: l’uomo, l’attore, il comico e il poeta. E il pubblico, se ancora non ha pianto, qui cede.

📽️ 6. Il finale sospeso: né tragedia né commedia, ma vita

Il film non si conclude con una morte, né con una risata, né con una redenzione. Si conclude con una sospensione, un fermo immagine esistenziale. Totò guarda verso qualcosa – o qualcuno – e rimane lì. Non si capisce se stia andando via o tornando. E neppure lui, forse, lo sa.

La regia si chiude su di lui come su un mistero irrisolto. E questo, paradossalmente, è il finale perfetto per un film così ibrido. Niente applausi, niente sipario. Solo una tenda che si muove nel vento.

Perché è memorabile?
Perché lascia il pubblico interdetto, confuso, e quindi… pensante. È la fine di un film che voleva essere un inizio. O viceversa.


Così la stampa dell'epoca

L’accoglienza di Yvonne la nuit nel suo contesto storico fu una vera partita a scacchi tra il pubblico e la critica, con un risultato che oggi definiremmo “pareggio con qualche fischio e qualche applauso fuori tempo”. Totò, con la sua svolta drammatica, spiazzò chi si aspettava la solita sinfonia di smorfie, e commosse (a denti stretti) chi sapeva già che sotto la maschera da guitto c’era un’anima tragica. Vediamo com’è andata.

📰 Critica: sorpresa, rispetto e... cautela

I critici dell’epoca – e qui bisogna ricordare che siamo nell’Italia del dopoguerra, dove la serietà faceva curriculum – accolsero il film con una cauta benevolenza.

Sui quotidiani e nelle riviste specializzate (penso a Cinema, Bianco e Nero, Il Cinema Nuovo), si disse che Totò era finalmente uscito dal circo, che stava tentando una maturazione artistica. Un critico parlò addirittura di “un passo verso il teatro di parola”, come se Totò avesse finalmente smesso di giocare con il corpo per entrare nel regno dei significati.

Frasi emblematiche dell’epoca:

  • “Un film anomalo, in cui si scopre un Totò intimo, contenuto, quasi beckettiano.”
  • “Il comico si fa serio, ma non tragico: resta in una terra di mezzo dove si percepisce il dolore, ma si continua a sorridere dentro.”
  • “Un film che prova a liberarsi dalle grinfie del botteghino.”

La critica premiò il coraggio, più che il risultato. Non tutti erano convinti della resa drammatica, ma nessuno osava stroncarlo: perché Totò, pur se impacchettato in un ruolo che non gli era cucito addosso, non era mai banale. Aveva dignità. Aveva l’occhio malinconico. Aveva, soprattutto, la presenza scenica.

🎟️ Pubblico: disorientato, freddo, disilluso

Il pubblico, invece? Beh, diciamo che non si fece prendere dall’entusiasmo. Gli spettatori accorrevano per ridere – perché quando c’era Totò sul manifesto, si presumeva che il divertimento fosse garantito. Ma uscirono dalle sale confusi come chi va al circo e trova una conferenza.

Molti dissero:

  • “Ma dov’è finito Totò?”
  • “Non ridevo dal '48, e pure oggi niente.”
  • “Sembrava che Totò stesse a disagio... o forse ero io?”

Il film non incassò quanto sperato. Si difese, ma non sbancò. Non entrò nella memoria collettiva del popolo, che voleva il Totò del “dov'è la casa di don Peppe?” e non quello che filosofeggia sul destino guardando un bicchiere mezzo pieno d'assenzio.

Anche i fan più fedeli faticarono a digerire la lentezza, la serietà, la tensione sottile che attraversa la pellicola come una crepa nel muro di una casa antica. Il pubblico, insomma, lo trattò come si trattano i propri beniamini quando osano troppo: con amore deluso.

🤹 Totò stesso: tra fierezza e nostalgia

E lui, il protagonista? Totò fu, paradossalmente, molto legato a questo film. Nonostante l’insuccesso commerciale e le perplessità del pubblico, Yvonne la nuit rappresentò per lui una prova interiore, una scommessa con sé stesso, un’occasione per dimostrare che il “principe della risata” sapeva anche stare in silenzio.

Lo raccontò più volte con affetto, come un esperimento che aveva amato anche se non aveva funzionato:

  • “Il pubblico si aspettava Totò... e ha trovato Antonio.”
  • “L’ho fatto per amicizia, e mi è rimasto nel cuore.”
  • “Non mi hanno pagato, ma mi hanno regalato una collana. Non è poco.”
📉 In sintesi: esperimento nobile, ma fuori target

Critica: Rispetta il tentativo, premia il coraggio, apprezza la poesia.
Pubblico: Aspettava le pernacchie, si è trovato il Verlaine di Napoli.
Totò: Orgoglioso come un artista che ha provato a uscire dal numero di repertorio, anche se il pubblico voleva solo “un’altra”.


L'anno seguente Totò evita di incappare in un filmetto «alimentare» prodotto da Dino De Laurentiis e diretto da Mattoli. Si tratta di Adamo ed Eva, che Totò doveva interpretare accanto all'astro nascente Silvana Mangano. L'attrice però, sul set di Il lupo della Sila, si innamora di De Laurentiis, lo sposa e si scopre in stato interessante. Totò ne approfitta per dire anche lui addio al film, costringendo Mattoli ad affidare i ruoli alla Barzizza e a Macario.

Alberto Anile


1949 11 24 aV n48 Oggi Yvonne la nuit 00

Yvonne la Nuit (Olga Villi) è una stella del "Café-chantant", che vive circondata da ammiratori e da corteggiatori. Una sera, un signore la fa oggetto di allusioni irrispettose, e un giovane tenente di cavalleria, il conte Carlo Rutelli (Frank Latimore), ne prende le difese.

Incomincia a così una passione che legherà i due giovani per sempre. Yvonne e Carlo vivranno momenti dolcissimi viaggiando insieme assorti e incantati. La bellissima stella del varietà, già viziata dagli applausi e dall'esistenza movimentata e spregiudicata, ritrova, accanto al nobile giovane, il suo candore di giovinetta. Ma la coppia, che la Roma mondana ammira o invidia, si trova presto minacciata dal padre di Carlo.

Testimone intanto dell’amore di Yvonne e Carlo è un compagno d'arte della stella, un "macchiettista” abituato a far ridere la gente: Nino (Totò). Egli è innamorato in segreto ed umilmente di Yvonne. La segue con una fedeltà commovente e la venera come una divinità.

Carlo è partito; il commiato tra ì due innamorati è stato doloroso. Yvonne attende un bambino. Anche Nino, il "macchiettista”, parte, dopo aver lasciato trapelare i suoi sentimenti verso la donna. Il bambino di Yvonne e di Carlo nasce, ma il vecchio Rutelli, accecato dal suo egoismo di casta, lo sottrae alla madre, facendole credere che è nato morto.

Una sola persona cara ritorna vicino a lei: Nino, tornato dal fronte coi piedi congelati. Ormai sono entrambi due sopravvissuti. Il successo e il benessere non sono altro che ricordi. Finiscono col cantare per le vie e nelle osterie, tra gli sberleffi dei monelli.

Nasce una vertenza cavalleresca. Il conte Rutelli (a destra) scende sul terreno. Viene messo agli arresti, secondo il regolamento, dal suo colonnello, il quale però gli rammenta di mandare altresì dei fiori alla signora. Yvonne, quando sa del duello, è commossa e desidera conoscere il suo paladino; avutone il recapito, lascia un suo anziano amico e si reca, di notte, a casa di Carlo per esprimergli la propria riconoscenza.

Dall’Inghilterra è arrivato il padre di Carlo, deciso a interrompere quei rapporti che minacciano di diventare nn legajne durevole e disonorevole per la nobile casata. Il suo colloquio con Carlo è aspro.

Il vecchio conte Rutelli taglia i viveri a Carlo, il quale è costretto perciò a presentare le dimissioni al suo colonnello (Gino Cervi), non potendo ormai sopportare la vita costosa dell'ufficiale di cavalleria. Ma in quei giorni l’Italia entra in guerra. Carlo ritorna dal colonnello a ritirare le dimissioni, deciso a fare il proprio dovere verso la patria.

Yvonne, delusa nella sua maternità, non ha altro conforto che l’attesa di Carlo. Ma Carlo muore in combattimento. E la donna è sola, ormai. La sua esistenza è spezzata. Comincia il declino; scende a teatri sempre più volgari, mentre la sua bellezza sfiorisce.

Un giorno alla vecchia donna che fu un tempo una stella, un avvocato (Eduardo de Filippo) annunzia per ordine del conte Rutelli, morto in Inghilterra, che il bambino è vivo. Ma ormai è troppo tardi. Yvonne non vuole contaminare con la propria miseria quel fanciullo di cui non sa nulla. E, con Nino, si allontana, rinunziando al figlio.

«Oggi», anno V, n.48, 24 novembre 1949


In «Yvonne la nuit» di Giuseppe Amato, soggetto di Fabrizio Sarasani, che si svolse negli anni felici precedenti la prima guerra mondiale, rivive quel caratteristico ambiente del teatro di varietà e insieme il piccolo mondo di un reggimento di cavalleria. [...] L’interesse della prima parte è dato dalla rievocazione del tempi, del luoghi, delle fogge: nella seconda dalla decadenza di Yvonne che Olga Villi, com’è stata prima brillante e innamorata, rende con dolorosa e umana verità. L’ufficialetto è Frank Latimore. Il burbero e indulgente colonnello del reggimento Gino Cervi, il padre lontano Giulio Stival in una parte di avvocato figura Eduardo De Filippo. Quanto a Totò, che è il fedele compagno di Yvonne, non compone soltanto un tipo comico; sa essere, pur sempre alla sua maniera, sentimentale e alla fine cerca, nella figura e nell'azione, di raggiungere note di rassegnata e umile bontà.

«Corriere della Sera» 30 novembre 1949


Yvonne la nuit è la biografia di una celeberrima « sciantosa»: bella e trionfante nel 1914, decrepita oggi, povero rottame alla deriva. [...]  Tocchi gustosi, particolari azzeccati non mancano; ma non sono molti; e senza proprio voler offendere nessuno degli amici che hanno collaborato al film, mi pare che questa Yvonne sia un po' raccontata (e me lo perdonino) con la tecnica dei racconti a fumetti. Ci si sorprende di dover ascoltare questi dialoghi dagli altoparlanti, e di non vederli sbocciare, a palloncino, dalle labbra, di Olga Villi, o Totò, o degli altri attori. Fra i quali la sola Villi ha qualche istante efficace, soprattutto nell'ultima parte, e quando l'auto-doppiaggio, con le sue manchevolezze, glielo consente...

m.g. (Mario Gromo), «La Stampa» del 30 novembre 1949


«Oggi», anno V, n.49, 1 dicembre 1949


[...] Tratto da un indovinato soggetto di Fabrizio Sarazani, il film è diretto con piacevole garbo da G. Amato e ricrea con delizioso sapore l'atmosfera e il clima di quegli anni ormai così lontani. Olga Villi è una protagonista piena di grazia, vivacità e accorata umanità, assecondata brillantemente da Totò più che mai divertente assieme a Gino Cervi, Frank Latimore e E. De Filippo. Insieme a Yvonne la Nuit viene proiettato un cortometraggio sulla vita di un giornale girato interamente nei nostri stabilimenti. Esso illustra in modo molto chiaro, se pur sintetico, come si svolge il lavoro in un grande quotidiana dal momento che le notizie passano In tipografia fino a quello in cui il giornale completo esce ancora umido d’inchiostro dalle grandi rotative.

Vice, «Il Messaggero» 4 dicembre 1949


«Il Giornale d'Italia» 5 dicembre 1949


Il produttore Giuseppe Amato non è nuovo alla regia: l'aveva tentata alcuni anni fa e forse c'è ancora chi ricorda le desolanti realizzazioni del tipo «Ma l'amor mio non muore». Per alcuni, però, le esperienze negative non servono e cosi il ritorno di Amato alla regia con questa Yvonne notturna non segna alcuna novità a suo favore. [...] Data la trama nulla ci sarebbe ancora da aggiungere salvo che una dovuta giustificazione per i poveri interpreti. Olga Villi nulla può contro il personaggio di Yvonne, cosi Frank Latimore nei riguardi di quello di Carlo; Gino Cervi è il maggiore dei lancieri che parla piemontese e dice «cribbio». Eduardo De Filippo è l'avvocato che annuncia a Yvonne l'esistenza ignorata di suo figlio. In ultimo c'è Totò che pur recitando per G. Amato e i suoi collaboratori, non manca di parteggiare amabilmente col pubblico e di sfottere quindi allegramente le idee e i personaggi che gli sono accanto sullo schermo.

Vice, «L'Unità», 6 dicembre 1949


Tutt'altro metro batte Yvonne La Nuit, per quanto anche qui troppi sono gli attori presi in prestito dal teatro. Vi appaiano infatti Eduardo De Filippo, Gino Cervi, Giulio Stival, Totò e Olga Villi, oltre a Frank Latimore. il genere patetico sentimentale di questo film anti verista che fa rimbalzare sullo schermo l'ambiente sempliciotto e piccolo borghese dell'Ottocento, si addice però a costoro. Così, in definitiva, il Cervi se la cava brillantemente nei panni di un colonnello di Cavalleria, Eduardo De Filippo rende da parte di un serio e distinto avvocato con la stessa efficacia con la quale interpreta il filosofo nella commedia di “A che servono questi quattrini”, Totò e lo Stival non sono da meno.

E’ Olga Villi, comunque, a tenere su di corda tutto il complesso. Essa si muove con garbo in un ambiente prima brillante e poi fortemente drammatico e dimostra di valere molto di più di quanto l'abbia fatta rendere la regia di Amato. [...] Romanticismo eroico, ben reso dalla Villi e dal Latimore.

«Cine Sport», 10 dicembre 1949


Nel centro di questa oleografia spicca la figura di Yvonne la nuit fatale «vamp» dell'epoca inesorabile calamita per i commendatori e per i tenenti in servizio permanente effettivo. [...] Vicenda patetica, idilliaca, raccontata con stile elementare ed immediato. Yvonne è Olga villi: elegantissima nel primo tempo: stracciona e sdentata nel secondo. Nel complesso però fresca e gentile L'ufficiale è l’americano Frank Latimore: freddino e compassato, Nino è Totò, amaramente grottesco.

«Il Lavoro», 11 dicembre 1949


E' imminente la programmazione del film «Yvonne La Nuit». Quest’opera, realizzata su soggetto di Fabrizio Sarazani, dalla regia di Giuseppe Amato e dalla interpretazione di Totò, Olga Villi, Frank Latimore, Eduardo de Filippo e Gino Cervi, fa rivivere un particolare periodo della storta e del costume italiani: gli anni felici e crepuscolari immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. [...]

«Il Piccolo di Trieste», 20 dicembre 1949


Questi i film preferiti dal pubblico

In base agli incassi, hanno trionfato Totò, "Il cucciolo" ed "Enrico V"

Il cinema, oltre che un fatto artistico, è un fatto industriale e commerciale, e di questo suo secondo aspetto giova ogni tanto tener conto. È il pubblico (in Italia quasi 15 milioni di spettatori per settimana) che fornisce al cinema i giganteschi mezzi di cui ha bisogno: e sono i gusti del pubblico che, determinando l’indirizzo della produzione, influenzano in ultima analisi l'andamento stesso del film come arte. In America i gusti del pubblico sono severamente controllati attraverso il "Box Office”: in Italia, mancando un’organizzazione analoga, si ricorre a varie forme di sondaggio e ad altri mezzi statistici. Peraltro il migliore e più esatto sistema per conoscere le reazioni dello spettatore rimane quello basato sugli incassi: un interessante studio su tale delicato argomento è stato fatto, per l’Italia, nell'ultimo numero di "Cinespettacolo”, rivista tecnica dell’industria cinematografica.

Le cifre riportate si riferiscono ai dati della sola annata 1949-50 (1° settembre-30 giugno) e non sono definitive perché riguardano i locali di prima visione delle dieci città "sensibili”, cioè capo-zona, che sono Padova, Bari, Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Roma, Milano, Torino e Genova. Ogni altro sistema rende impossibile un quadro esatto, se non a distanza di qualche anno, poiché un film posto in distribuzione ha durata diversa, che varia in genere tra i due e i cinque anni. Tuttavia, se pur relativi, i dati offrono un interessante panorama della situazione.

Oltre ai film italiani, sono stati proiettati in questo periodo 450 film americani, 21 inglesi, 16 francesi, 12 messicani, 3 spagnoli, 2 argentini, uno svedese, uno cecoslovacco e uno russo. Le cifre degli incassi sono distribuite lungo un gigantesco arco che va dalle centinaia di milioni per alcuni film americani alle 70 mila lire del film svedese Sangue ribelle. Per ciò che riguarda i film italiani, c'è da notare anzitutto l’incontrastato dominio di Totò: con cinque film (Totò cerca casa. L’imperatore di Capri, Totò cerca moglie, Yvonne la Nuit, Totò le Mokò), il popolare comico napoletano ha fatto incassare 284 milioni. Inoltre uno dei suoi film (Totò cerca casa) è il primo film italiano che, con 80 milioni e 300 mila lire d’incasso, s’incontra nella classifica assoluta, dopo sei film americani. Non dappertutto, però, Totò fa furore: se a Roma, a Padova, a Bologna, a Genova, a Firenze, a Napoli è in testa o con l’uno o con l’altro dei suoi film, a Milano gli hanno preferito la Silvana Mangano di Riso amaro e de II lupo della Sila e il Macario di Adamo ed Èva. Dal punto di vista della raffinatezza di gusti, né il pubblico di Milano né quello di Roma presenta comunque elementi confortanti: la città più evoluta appare invece Torino, che a tutti i film italiani ha preferito l’ottimo Domenica d'agosto di Emmer. Una buona affermazione in tutti i centri considerati ha avuto poi II mulino del Po. di Lattuada. che è secondo in graduatoria a Genova e a Bologna e complessivamente ha raggiunto i 30 milioni. Le cifre relative ad alcuni film considerati "molto popolari”, come Catene e Il bacio di una morta, sono invece piuttosto mediocri: in particolare, quest’ultimo non ha incassato che un terzo del Mulino del Po, testimoniando che. nonostante tutto, i gusti del pubblico delle grandi città non scendono oltre un certo livello.

Circa i film americani c’è da notare per prima cosa che il pubblico ha preferito dovunque il technicolor al bianco e nero: su 23 film che hanno ottenuto incassi di un certo rilievo, ben 13 sono in technicolor e sei di essi capeggiano la classifica. A parte Via col vento, che nel 1949-50 era stato proiettato in sole quattro città (ottenendovi comunque un fortissimo incasso), il film che ha nel complesso avuto i più alti Introiti è stato II cucciolo, che in nove città ha incassato 131 milioni. Seguono Giovanna dArco con 128 milioni nelle dieci città. Gli amori di Carmen (114 milioni), Il cielo può attendere (92 milioni), Il capitano di Castiglia (90 milioni), Il grande peccatore (82 milioni), ecc. Come si vede, tra questi colossi dello spettacolo uno solo è stato riconosciuto dalla critica come autentica espressione d’arte: Il cielo può attendere di Lubitsch. Scendendo all’esame città per città, si può osservare che Milano ha dato la preferenza al Cucciolo (44 milioni), seguito da II cielo può attendere (34 milioni), mentre Giovanna d’Arco è solo al sesto posto (22 milioni); Roma ha preferito Giovanna d’Arco (30 milioni), e Gli amori di Carmen. Giovanna dArco ha ottenuto il primo posto a Padova, Bari, Bologna, Catania, Torino; Firenze e Genova, come Milano, hanno dato la palma al Cucciolo; Napoli agli Amori di Carmen.

Anche tra i rimanenti film americani che hanno procurato buoni guadagni ai produttori, ben pochi hanno reale importanza artistica; forse soltanto La fossa dei serpenti (che ha avuto a Genova una ragguardevole affermazione) e II cielo di fuoco. Per il resto s’incontrano film spettacolari o decisamente commerciali come Ambra, Le avventure di Don Giovanni, La matadora. Il principe delle volpi, Giubbe rosse. Ero uno sposo di guerra. Il peccato, di Lady Considine, ecc. In due città (Catania e Firenze), ha avuto un discreto successo l'infelice Fonte meravigliosa di King Vidor.

Il fenomeno più notevole che si incontra analizzando i film di altre nazionalità, riguarda l'Enrico V di Laurence Olivier: quest’opera di alto e indiscusso valore, certamente uno dei capolavori del cinema sonoro, non pareva destinata a un successo di pubblico, sia per l’ardua materia trattata, sia per la forma poetica che necessariamente l'aderenza al testo shakespeariano richiedeva. Invece (e questa è certo la sorpresa più inaspettata e più gradita di questa arida statistica), ha conquistato clamorosamente il favore degli spettatori ed ha ottenuto un incasso (80 milioni) che la pone in testa a tutti i film di questo gruppo, rimanendo soccombente, in linea assoluta, soltanto ai sei maggiori film americani e, per pochissimo, a Totò cerca casa. Hanno probabilmente contribuito all’affermazione, il mezzo tecnico impiegato (colore) e il soggetto (storico-avventuroso), oltre alla popolarità di sir Laurence come attore.

Si rileva infatti, dalla semplice enunciazione dei titoli delle opere sinora esaminate, che in genere il pubblico preferisce il film storico-avventuroso e comunque il film in costume: seguono il genere drammatico-passionale, quello patetico, la commedia e il film musicale. Il film comico, a parte l’eccezione di Totò, non riscuote più grande successo, mentre il film psicologico lascia generalmente indifferente la gran massa degli spettatori. Anche per quest’ultimo genere esiste tuttavia una significativa eccezione, data da Le diable au corps di Autant-Lara, che, nonostante sia stato proiettato in sole cinque città e durante brevissimi periodi (per le note vicende di censura), ha incassato più di dieci milioni e mezzo, consentendo di pronosticare, in circostanze normali, un successo forse non inferiore a quello dell'Enrico V. E anche questo è un altro elemento di conforto circa i gusti del pubblico.

Tra gli altri film, Il terzo uomo (55 milioni), non ha ottenuto quella affermazione di cassetta che i primi entusiasmi del pubblico facevano presagire: neppure Manon, proiettato però in sole otto città, è andato più in là di una buona media (47 milioni). Quest’ultimo è stato, comunque, il film francese preferito dagli spettatori, seguito a grande distanza da Nel regno dei cieli di Duvivier e da Le minorenni di Becker.

Quali conclusioni si possono trarre da questa rapida rassegna? In generale le abbiamo già anticipate: va sottolineato che dove maggiormente i gusti del pubblico contrastano con quelli della critica è nel settore del film italiano. Tuttavia, rispetto agli anni passati, c’è un graduale e continuo miglioramento: quando un’opera come l'Enrico V avrà superato anche Totò, Il capitano di Castiglia o gli Amori di Carmen, potremo dire che la maturità degli spettatori cinematografici avrà compiuto un passo avanti decisivo.

Angelo Solmi, «Oggi», 7 giugno 1951


Totò principe clown: YVONNE LA NUIT - ore 21,20 secondo

Quello che si incontra in Yvonne la Nuit è un Totò inconsueto, intento a mettere a profitto non le proprie geniali qualità di «lazziatore» ma a centrare, per una volta, un carattere umano. Nella sua carriera cinematografica questa antinomia si è manifestata abbastanza spesso: da una parte la maschera, il clown, con tutto il repertorio della sua pungente disponibilità a rovesciare in burla e pemacchio i più radicati modelli del perbenismo; dall'altra il mai sopito desiderio di essere finalmente chiamato a interpretare un personaggio «vero».

Che Totò fosse un grande attore, e quindi capacissimo di essere personaggio e uomo, è una verità da non mettere neppure in discussione, e della quale egli ha del resto fornito prove numerosissime. Il problema è di sapere se, per un comico dei suoi estri, valesse la pena di intraprendere una strada come quella, visto che i buoni attori, allora come oggi, sono sempre stati assai più numerosi dei grandi comici. Nelle diverse risposte che sono state date a questa domanda si riflettono le disparità dei giudizi espressi nel tempo sul Totò di Yvonne la Nuit, che per alcuni costituì un progresso rispetto alla consuetudine, e per altri, invece, un inutile e pericoloso equivoco che mortificava le più profonde e autentiche caratteristiche del suo stile di attore-autore.

Yvonne la Nuit porta la data del 1949 e la firma di Giuseppe Amato, produttore e regista napoletano come Totò, ed è interpretato da Olga Villi, Frank Latimore, Eduardo De Filippo e Gino Cervi. Il film narra la storia romantica e triste di una bella artista del café-chantant, di cui si innamora, ricambiato, un giovane ufficiale di cavalleria, rampollo di aristocratica famiglia: il quale è osteggiato nei suoi progetti di matrimonio. Scoppia la guerra — la prima guerra mondiale —, l'ufficiale parte per il fronte e muore: Yvonne, rimasta sola, mette al mondo un figlio che subito le viene sottratto e fatto credere morto. La donna non sa reagire al dolore, si lascia andare, e pian piano vede sfumare successo e carriera, mentre tutti la abbandonano. Tutti, salvo un vecchio compagno d’arte che da sempre l’ama in silenzio, Totò, e che ora non la lascia più, la assiste, la accompagna anche nelle trattorie dove Yvonne è costretta per vivere a cantare e a chiedere l’elemosina. La parabola discendente non si conclude nemmeno quando Yvonne viene informata che il figlio in realtà è vivo; lei preferisce non offrirgli lo spettacolo della propria decadenza, e lasciandogli credere d’essere già morta prosegue nella sua grama esistenza, con il fedele attaccamento del vecchio Totò.

«Radiocorriere TV», anno 50, n.15, 8-13 aprile 1973


TV: Totò nel varietà

Nel film Yvonne la nuit sono con lui, tra gli altri, Gino Cervi, Eduardo De Filippo e Arnoldo Foà. Il "principe clown" in un personaggio serio

Prosegue questa sera sul secondo il ciclo dedicato a Totò principe clown con Yvonne la nuit, diretto nel 1949 dal produttore-regista napoletano Giuseppe Amato. Il film, destinato a rimanere uno dei vari impegni di Totò in un personaggio serio, in una storia dal connotati realistici, è interessante anche per l’abile ricostruzione dell'atmosfera del caffè-concerto. Assieme a Totò sono Olga Villi, Frank Latimore, Gino Cervi, Eduardo De Filippo e Arnoldo Foà. [...]

«La Stampa», 11 aprile 1973


Ieri, Totò sentimentale in Yvonne la nuit (1949) di Giuseppe Amato. La tv ha fatto bene a includere questo film nella rassegna di Totò quantunque, in sé, valga assai poco. Il nome di Amato è conosciuto quasi esclusivamente come produttore: ha sulla coscienza, è vero, il primo «Don Camillo», ma ha anche dato i quattrini per «Umberto D» di De Sica, opera che vent'anni or sono per la sua amarezza e il suo coraggio risultò estremamente sgradita a certi governanti. Come regista Amato ha del mestiere, ma è corrivo. Questa Yvonne la nuit è una pellicola d'un pateticume insopportabile. La vicenda attinge a piene mani, diremmo sfacciatamente, dal repertorio più logoro del feuilleton [...]

Ma che c'entra Totò con questa storia incredibile'? Appunto. Qui sta l'interesse del film. E' la prima volta che un regista e produttore ha pensato a lui non soltanto come al comico irresistibile per mimica, battutine e lazzi, ma anche all'attore «serio» che sa inserirsi in un contesto non farsesco. Protagonista assoluta di Yvonne la nuit è Olga Villi, allora lanciatissima nella prosa (era reduce da «Il corvo» di Gozzi Strehler e s'apprestava a cimentarsi, con grande successo, in una serie di commedie brillanti, da Shaw a Testoni, e ad affrontare poi, egualmente con ottimo esito, De Musset de «I capricci di Marianna» ed Anderson di «Tè e simpatia»). In cinema la Villi non ebbe la stessa fortuna: in Yvonne la nuit è avvenente ma convenzionale e le sue successive interpretazioni non saranno migliori: bisognerà arrivare al 1966, cioè all'eccellente caratterizzazione della contegnosa (ma non del tutto virtuosa) dama di provincia in «Signore e signori» di Germi. Quindi il film è impostato sulla Villi. Totò ha un ruolo importante, ma di fianco: è il suo compagno d'arte, che naturalmente l'ha sempre adorata in silenzio, e che fedele più di un can barbone la segue in povertà e decadenza. Che dire? In Amato c'è stata l'intuizione che da Totò si poteva cavare ben più che dei lazzi esilaranti: ma non ha saputo sfruttarlo in questa direzione causa la modestia del film e l'inconsistenza del personaggio che non va oltre la macchietta grottesco-lacrimosa.

Totò ce la mette tutta, ma è chiaro, specie nella seconda parte e nel deplorevole finale, che non sa come comportarsi. Dove appare a suo agio è quando il film con una rievocazione abbastanza azzeccata del caffè-concerto gli permette di essere il Totò da rivista e da palcoscenico e di esibirsi nei suoi numeri di straordinario fantasista. Ma il Totò «serio» non era venuto fuori. Sarebbe stato necessario attendere cinque anni: nel 1954 Rossellini l'avrebbe usato molto bene quale «attore» in «Dov'è la libertà». film sottovalutato, poco noto e purtroppo non incluso nella rassegna.

«La Stampa», 12 aprile 1973


🎞️ Flani pubblicitari: Totò al cinema, a caratteri di piombo 🎞️

I flani pubblicitari erano piccoli annunci a pagamento, pubblicati su quotidiani e riviste specializzate, che anticipavano l’uscita del film. Alcuni recavano titoli alternativi, errori di stampa, o locandine diverse da quelle ufficiali. In questa galleria abbiamo raccolto le versioni più rare e curiose riguardanti Totò.


I documenti

Il film Yvonne la nuit (1949), diretto da Giuseppe Amato e interpretato da Totò, ha avuto nel corso degli anni diverse edizioni in VHS e DVD, sebbene non particolarmente numerose. Ecco una panoramica dettagliata delle principali uscite home video:

📼 Edizioni in VHS

  • Videorai / Fonit Cetra Video (anni '90)
    Una delle prime edizioni in videocassetta, distribuita da Fonit Cetra Video sotto l'etichetta Videorai. La copertina presenta un disegno stilizzato di Totò su sfondo viola. Non sono noti contenuti extra in questa versione.
  • Legocart (2003)
    Nel 2003, Legocart ha incluso Yvonne la nuit in una collana dedicata a Totò, distribuita anche in VHS. Questa edizione era parte di un cofanetto che comprendeva altri titoli del comico napoletano.

💿 Edizioni in DVD

  • La Feltrinelli / DVDOutlet.nl (EAN: 8032134026078)
    Edizione distribuita da La Feltrinelli, disponibile anche su piattaforme come bol.com e IBS. Il DVD presenta il film in versione restaurata e include i seguenti contenuti extra:
    • Trailer originale
    • Curiosità e dietro le quinte
    • Schede biografiche degli attori
    • Galleria fotografica
  • EBOND Editoriale (Amazon.it)
    Un'altra edizione disponibile su Amazon.it, distribuita da EBOND. La confezione riporta la dicitura "Il Grande Cinema di Totò". Non sono specificati contenuti extra per questa versione.

📦 Edizioni in cofanetto

  • Cofanetto Legocart (2003)
    Come accennato, Legocart ha pubblicato un cofanetto nel 2003 contenente Yvonne la nuit insieme ad altri film di Totò. Questa raccolta era disponibile sia in formato VHS che DVD.

🎞️ Disponibilità attuale

Attualmente (2025), le edizioni DVD di Yvonne la nuit sono reperibili su piattaforme come Amazon.it, IBS e bol.com. Le edizioni in VHS, essendo fuori produzione, possono essere trovate su siti di collezionismo o aste online.



Il bel Ciccillo, scketch di Gustavo De Marco (sotto). Un'ulteriore conferma che la maschera cinematografica funziona grazie alla maschera teatrale di Totò.


Un piccolo capolavoro nel capolavoro mancato, una gemma infilata dentro un dramma che sembrava volerle stare stretto. Una specie di cameo autobiografico travestito da intermezzo comico, ma in realtà – per chi sa leggere tra le pieghe della maschera – è un testamento artistico in forma di marionetta.

Origini del Bel Ciccillo: la macchietta napoletana

Per capire quella scena, bisogna fare un passo indietro. Il Bel Ciccillo nasce nei teatri di varietà napoletani, quando Totò era ancora Antonio Clemente e si esibiva in sottoscala e baracconi. La macchietta è un personaggio tipico del repertorio demarchiano – da Raffaele Viviani a Nicola Maldacea – che mescola canto, ballo e satira sociale. Il Bel Ciccillo è il gagà, lo sciupafemmine da marciapiede, il dandy dei poveri, tutto brillantina e movenze da felino con l’ernia.

Totò prende questa figura e la esaspera, la trasforma in una caricatura del corpo umano: gambe molli, braccia a compasso, busto elastico. Un burattino futurista senza fili. Il pubblico, nel varietà, lo adorava. Ridevano, ma si accorgevano anche di una cosa: quel corpo parlava.

La scena nel film: un ricordo che si ribella

In Yvonne la nuit, il numero del Bel Ciccillo arriva come un lampo nel mezzo della notte narrativa. Totò interpreta Nino, personaggio malinconico e defilato, quasi un’ombra del passato. Ma in una sequenza ambientata in un teatro – che sembra un sogno o un'allucinazione, tanto è scollegata dal tono generale – Nino si esibisce.

Ed ecco che riappare il Totò di sempre: entra in scena col frac, con il bastone sottile, le movenze ondulatorie. Inizia a cantare una filastrocca di assurdità – nonsense puro, roba da far impallidire i dadaisti – e mentre canta, balla. Ma non balla nel senso tradizionale. Si contorce, si piega, scivola, s’incurva. Il suo corpo si fa flessibile, quasi liquido. Ogni giuntura sembra ruotare al contrario, ogni movimento ha la precisione isterica di un automa impazzito.

La filastrocca è volutamente sconclusionata, piena di giochi di parole e doppi sensi che non dicono nulla ma evocano tutto. Una cantilena che pare infantile ma è invece profondamente teatrale. È l’arte della distrazione al servizio della verità. E la verità è che dietro quel corpo che si snoda c’è un uomo che si sta slegando – da un ruolo, da un’epoca, da un’immagine.

L'effetto sul pubblico (e su Totò stesso)

Chi guarda il film senza conoscere Totò potrebbe restare perplesso: “Ma cosa ci fa questa scena qui?” Sembra una scheggia impazzita, un’intrusione. Ma è un segnale forte. È Totò che dice: “Questo sono io. Prima di tutto. E nonostante tutto.”

E, secondo molti biografi e studiosi (e spettatori attenti), è anche l’ultimo grande momento atletico dell’attore. Aveva superato i cinquant’anni, e i suoi problemi di vista – degenerazione da cheratite, peggiorata dai riflettori e dagli incidenti scenici – cominciavano a farsi sentire. In quella scena si vede un Totò ancora elastico, ancora padrone del proprio corpo, ma consapevole che non potrà farlo per sempre.

Infatti, c’è un che di commiato in quella danza. Come se il Bel Ciccillo stesse salutando. È il passato che riaffiora per dire addio.

Una scena, mille letture

Si potrebbe leggere la scena come:

  • Autobiografia velata: Totò che mostra da dove viene, ricordando a tutti che prima del cinema c’era il teatro di varietà, c’erano le pizze fredde nei camerini e le scale a pioli per arrivare al palco.
  • Atto di ribellione: nel bel mezzo di un film che lo vuole attore serio, Totò fa esplodere la propria comicità come un gesto anarchico, quasi a dire: “Ecco chi sono veramente.”
  • Riflessione sull'identità scenica: è come se Totò interpretasse Totò, che interpreta il Bel Ciccillo, in un gioco di specchi che Pirandello avrebbe adorato.
  • Esercizio funambolico: un corpo che non recita, ma esegue come una macchina perfetta, priva di doppi. Nessuno poteva imitare quel tipo di movimento. E dopo questa scena, neppure lui.
Conclusione (che non lo è mai)

La scena del Bel Ciccillo in Yvonne la nuit è un’epifania nascosta. È Totò che fa il Totò mentre smette di esserlo. Un addio mascherato da gag. Un pezzo di archeologia vivente del teatro napoletano, infilato come una scheggia lirica in un film che voleva essere altro.

Come un quadro barocco appeso nella sala d’attesa di uno psichiatra, il numero stona – ma se ci guardi bene, è l’unica cosa vera lì dentro.


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Ibrido, non riuscito. La pellicola dura un’ora e mezza, ma la vicenda ballonzola in modo irregolare, qua con lungaggini canore, là con scorciatoie brusche. Regìa un po’ statica. Questa vicenda amorosa, poi sfociante nel drammatico, non riesce a conquistare. Totò in secondo piano, grande con “Ciccillo”. La Villi si impegna, ma ci si ricorda di più di Gino Cervi, colonnello un po’ bonario, un po’ severo. Trascurabile.in secondo piano, grande con “Ciccillo”. La Villi si impegna, ma ci si ricorda di più di Gino Cervi, colonnello un po’ bonario, un po’ severo. Trascurabile.
  • Totò presenzia "a margine" in una pellicola dai risvolti amorosi a tratti smorzati da languide canzonette. La scenografia teatrale tradisce un ritmo narrativo di tipo "statico", con la M.d.P. sovente inchiodata di fronte ad attori agghindati in maniera retorica. Nulla può un cast discreto (De Filippo, Cervi, Foà, la Ninchi) di fronte alla vacuità di un soggetto strattonato a forza verso i 90 minuti del lungometraggio. Noioso e immobile, come cristallizzato in una dimensione spazio-temporale altamente pendente.
  • Il difetto di questo film è il non saper prendere una strada decisa: c'è una prima parte sentimentale (la meno entusiasmante) e la seconda drammatica su un'artista ormai finita e invecchiata (la migliore e più realistica). Nel complesso si fa guardare senza stancare, soprattutto grazie al folto cast con una brava Villi, un Totò che riesce a tratteggiare bene il suo primo personaggio drammatico (e che regala un bel numero comico iniziale) e Cervi e Eduardo di contorno. Un po' di compattezza in più avrebbe raccontato un'epoca. Peccato.
  • Sul palco tutta la spensieratezza e l'eleganza dei cappelli piumati della belle époque, nella vita tutto il melodramma di amori incompresi, amori contrastati, divisioni sociali, fino alla grande guerra come spartiacque tra uno stile di vita e l'altro. La maschera più convincente è senz'altro quella di Totò: prima con il suo Bel Ciccillo, pezzo da antologia, poi con la raffinata eleganza del nobile (l'ordinazione al ristorante), fino alla dedizione totale verso la dimenticata Yvonne. Pesante e retorica la storia d'amore della protagonista.
  • Sebbene i nomi coinvolti siano altisonanti, Yvonne La Nuit non riesce a rendere come dovrebbe e manca di quella zampata necessaria per compiere il salto definitivo. La regia appare troppo statica e scolastica e non riesce a trasmettere a dovere tutta l’amarezza di una storia assai triste. Il migliore è Totò, anche se lo spazio che gli viene concesso è poco; altri, come Eduardo De Filippo, non hanno il tempo di lasciare il segno. Nel complesso mediocre.
  • Il travolgente numero mimico del “Bel Ciccillo” con Totò scatenato burattino e la squisita rappresentazione dell’atmosfera leggera e spensierata della Belle Epoque; queste sono le perle di Yvonne la nuit, film del produttore tutto fare e qui anche regista Giuseppe Amato, una pellicola senza infamia e senza lode, un melodramma deamicisiano alla Matarazzo, pilotato con mano greve ma sicura e senza calcare troppo sul pedale pietismo, verso un finale “aperto”. Un Totò inedito alle prese con un personaggio malinconico e crepuscolare. Reperto archeologico.
  • Con un cast che conta Totò, Eduardo e Gino Cervi ci si attenderebbe un film di ben altra qualità. E dire che il Principe ebbe grande riguardo per questa pellicola, la sua prima (ma non ultima) incursione nel cinema drammatico e, oserei dire, in questo caso, melodrammatico. La trama è noiosa, non regala particolari guizzi o momenti memorabili. L'unico motivo per cui vale la pena vedere il lavoro di Amato, è la riproposizione della macchietta del Bel Ciccillo. Ma stavolta nemmeno Totò salva il film dalla mediocrità.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il bel Ciccillo.

Le incongruenze

  1. Sorseggiando un bicchiere di Porto il padre del tenente Carlo Rutelli sentezia: "Buono questo Porto, eppure detesto i vini spagnoli". Il Porto è, però, un vino portoghese.

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

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La caserma dove lavorano il colonnello Baretti (Cervi) e il tenente Carlo Rutelli (Latimore), l’ufficiale di cavalleria che si innamorerà della cantante “Yvonne la Nuit” (Villi), è la Caserma Camillo Sabatini, sede del Comando Militare Lancieri di Montebello e situata in Via Flaminia 826 a Roma.

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Ecco uno scorcio del cortile

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Il palazzo dove abita il tenente Carlo Rutelli (Latimore) è Palazzo Zuccari, situato in Via Sistina a Roma

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L’ippodromo dove Carlo Rutelli (Latimore) va ad assistere alla corsa di un suo cavallo è l’Ippodromo delle Capannelle, situato in Via Appia Nuova 1255 a Roma. Si riconosce la tribuna da questa foto d'epoca.

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La trattoria di Trastevere dove si esibiscono “Yvonne la Nuit” (Villi) e Nino (Totò) e nella quale saranno raggiunti dall’avvocato Rubini (De Filippo) è il Ristorante Galeassi, situato in Piazza di Santa Maria in Trastevere 3 a Roma. Nella visuale laterale verso sinistra si vedono la fontana posta al centro della piazza e la basilica che vi si affaccia.

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Il palazzo dove ha l’ufficio l’avvocato Rubini (De Filippo) e dove questi svelerà a “Yvonne la Nuit” (Villi) la verità sulla sorte del figlio è il già visto in altri film Palazzo Clementi di Via Cavalletti, 2 a Roma.

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1949-Yvonne-13

 
La casa al mare (A) dove il tenente Carlo Rutelli (Latimore) e Nerina Comi (Villi), la cantante conosciuta con il nome d’arte “Yvonne la Nuit”, trascorrono una breve vacanza nella finzione si trova nella località ligure di Bergeggi, nella realtà presso il porticciolo di Marina della Lobra a Massa Lubrense (NA)

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Qui un altro scorcio del palazzo come conferma della location.

Yvonne la nuit (1949) - Biografie e articoli correlati

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Riva Mario (Bonavolontà Mario) Pseudonimo di Mario Bonavolontà (Roma, 26 gennaio 1913 – Verona, 1º settembre 1960), è stato un conduttore televisivo e attore italiano, che raggiunse vasta…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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20 Gen 2023

Scoperta dei De Filippo

Scoperta dei De Filippo Me lo aveva detto un illustre attore comico italiano: «Sentirai i De Filippo, e vedrai che artisti sono. A Napoli li adorano tutti, il popolo e i signori; e il loro…
Enrico Serretta, «Il Dramma», 1933
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24 Nov 2015

Stival Giulio

Stival Giulio (Venezia, 4 marzo 1902 – Novara, 1º aprile 1953) è stato un attore italiano. Biografia Appassionato del teatro fin da ragazzo, organizza nella sua città natale una…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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Totò, il comico irripetibile

Totò, il comico irripetibile Di Totò — scomparso il 16 aprile scorso ancora in piena attività (stava girando le prime scene de Il padre di famiglia di Nanni Loy, che furono poi rigirate con…
Ernesto G. Laura, «Bianco e nero», anno XXVII, n.6, giugno 1967
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Totò, l'arte di far ridere

Totò, l'arte di far ridere Abbiamo intervistato Totò che a Cannes, con il film "Uccellacci e uccellini", ha rinverdito un successo che dura da 40 anni. Il pubblico di Cannes ha applaudito a…
Maria Maffei, «Noi donne», anno XXI, n.22, 28 maggio 1966
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24 Giu 2017

Totò: perché mai proprio la bombetta?

Totò: perché mai proprio la bombetta? Non credo che dopo la morte avrò mai un monumento e neanche un monumentino. Io lo farei alla mia bombetta che ha tanto contribuito al mio successo.…
Pablo Escobar, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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24 Nov 2015

Valentini Leopoldo

Valentini Leopoldo (Roma, 4 marzo 1912 – Roma, 26 gennaio 1983) è stato un attore italiano. Biografia Iniziò la sua attività nel teatro di rivista, affermandosi come attore di buone qualità…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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24 Nov 2015

Veneroni Paola

Veneroni Paola (Milano, 15 gennaio 1922 – 15 gennaio 2021) è stata un'attrice e doppiatrice italiana. Biografia Debutta nel cinema, con la regia di De Sica, in Maddalena: zero in condotta,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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14 Nov 2015

Villi Olga (Villani Olga)

Villi Olga (Villani Olga) (Suzzara, 20 gennaio 1922 – Rapallo, 12 agosto 1989) è stata un'attrice italiana. Con Totò ho girato un unico film, nel 1948: « Yvonne la nuit ». E se metto quella…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • «Oggi», anno V, n.48, 24 novembre 1949
  • «Corriere della Sera» 30 novembre 1949
  • m.g. (Mario Gromo), «La Stampa» del 30 novembre 1949
  • Vice, «Il Messaggero» 4 dicembre 1949
  • «Il Giornale d'Italia» 5 dicembre 1949
  • Vice, «L'Unità», 6 dicembre 1949
  • «Cine Sport», 10 dicembre 1949
  • «Il Lavoro», 11 dicembre 1949
  • «Il Piccolo di Trieste», 20 dicembre 1949
  • Angelo Solmi, «Oggi», 7 giugno 1951
  • «Radiocorriere TV», anno 50, n.15, 8-13 aprile 1973
  • «La Stampa», 11 aprile 1973
  • «La Stampa», 12 aprile 1973