L'imperatore di Capri
Elena di Troia. Troia, Troia... questo nome non mi è nuovo.
Antonio De Fazio
Inizio riprese: luglio 1949, Esterni Capri (Na), interni Stabilimenti Titanus, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 7 dicembre 1949 - Incasso Lire 436.500.000 - Spettatori 4.546.875
Titolo originale L'imperatore di Capri
Paese Italia - Anno 1949 - Durata 90 min - B/N -Audio sonoro - Genere comico/commedia - Regia Luigi Comencini, Soggetto Teresa Ricci Bartolini, Gino De Santis - Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Luigi Comencini - Produttore Carlo Ponti, Fotografia Giuseppe Caracciolo - Montaggio Otello Colangeli - Musiche Felice Montagnini - Scenografia Carlo Egidi - Costumi Anna Maria Fea
Totò: Antonio De Fazio - Laura Gore: Lucia, la moglie - Pina Gallini: la suocera di Antonio - Yvonne Sanson: Sonia Bulgarov - Marisa Merlini: la baronessa von Krapfen - Alda Mangini: Emanuela - Piero Tordi: il marito di Emanuela - Mario Castellani: Asdrubale Stinchi - Nerio Bernardi: Osvaldo - Galeazzo Benti: Dodo della Baggina - Lino Robi: Basilio, il piccolo cognato di Antonio - Nino Marchetti: il profeta Geremia - Enrico Gori: il maggiordomo - Aldo Giuffrè: Omar Bey Khan di Agapur - Toni Ucci: Pupetto Turacciolo - Gianni Appelius: Bubi di Primaporta - Giovanni Onorato: il centurione - Maria D'Ayala - Maria Teresa Cesari - Lilo Weibel
Soggetto
Antonio De Fazio lavora come cameriere in un albergo napoletano. Un'ospite dell'hotel, Sonia Bulgarov, scambiandolo per il Bey Khan di Agapur, l'uomo più ricco del mondo, gli dà un appuntamento. Viene così invitato, insieme a un suo amico anche lui residente dell'hotel, a Capri, dove, creduto anche qui il Bey, riceve le attenzioni della gente più chic dell'isola che fa di tutto per imitarlo e "aggiudicarselo": oltre a Sonia, le cui scelte sono decise dal suo losco marito Osvaldo che la ipnotizza, ci sono la baronessa tedesca necrofila Von Krapfen e la sensuale chitarrista Emanuela. Totò dovrà affrontare varie peripezie sull'isola e a minacciare di rovinare ogni cosa sarà l'arrivo di sua moglie e sua suocera, ma il lieto fine è assicurato.
Critica e curiosità
C’è un momento nella carriera di Totò in cui il Principe della risata sembra ricevere più offerte di lavoro che pacchetti turistici la stazione centrale a Ferragosto. Nonostante il drammatico flop (in tutti i sensi) di Yvonne la Nuit, Totò rimane saldamente sulla cresta dell’onda grazie ai successi con il regista Mattoli. E quando gli propongono L’Imperatore di Capri, lui accetta volentieri. Il copione? Boh. Il regista? Vabbè. Ma le riprese sono a Capri, la sua isola preferita: vuoi mettere fare un film mentre sei in villeggiatura?
Dietro la macchina da presa, tuttavia, troviamo Luigi Comencini, reduce da un esordio cinematografico talmente disastroso (Proibito rubare) da fargli rivalutare la carriera da postino. Il produttore Carlo Ponti lo convince a dirigere quello che, nelle sue parole, è poco più che una “totoata”, un film da girare con l’entusiasmo di un ragioniere in gita aziendale.
Comencini non ha nessuna intenzione di cercare il neorealismo tra i faraglioni, e lo dice chiaro e tondo alla stampa: Totò è Totò. Punto. Non lo si dirige, lo si accompagna. È una forza della natura comica, come Buster Keaton o Ridolini: puoi solo metterlo di fronte a qualcosa e aspettarti che succeda il miracolo. Il regista propone di intitolare il film Totò a Capri, con un’onestà quasi commovente, dato che l’unica vera trama è: “Totò... a Capri”.
Il film è una specie di cocktail sgasato di generi: inizia come una parodia dell’antica Roma, poi scivola verso la parodia sociale (ma di quelle molto leggere, da aperitivo all’ombra dei limoni), un divertissement che non diventa mai vera satira, ma nemmeno una noia mortale. Lo script, partorito dalla penna di Marchesi e Metz, mescola Goldoni con qualche avanzo della rivista C’era una volta il mondo, in un frullato scenico più comico che coerente.
Durante le riprese, il caos regna sovrano. Una trentina di giovani capresi, vestiti come per una sfilata di carnevale sbagliata, insorge contro la produzione: si dichiarano gli unici “generici” autorizzati a fare da comparse. La produzione, per evitare una sommossa isolana, li assume tutti, dimostrando che la vera anarchia è compatibile con la burocrazia, purché ci sia budget.
A complicare il tutto, ecco Yvonne Sanson, diva in ascesa dopo il successo tragico-lacrimoso di Catene, che attira più uomini in delirio di un’asta pubblica di Campari a un rave. La polizia è costretta a blindare il set. Altro che “cinema disimpegnato”: qui sembra di girare Ben Hur con la troupe di Beautiful.
Il momento più surreale? Totò che deve girare una scena con un serpente del Bey di Agapur – una scena pensata per strappar risate grazie all'equivoco fra rettile e cornetta telefonica (spoiler: le telecomunicazioni non erano così flessibili). Purtroppo, il primo serpente muore fulminato dai riflettori, il secondo pure. Alla fine, come in ogni produzione italiana che si rispetti, si ripiega sul pitone di gomma. Nessuno lo trova realistico, ma tutti tirano un sospiro di sollievo, tranne forse il trovarobe.
E come in ogni storia mediterranea che si rispetti, non poteva mancare un naufragio. Una sera, Comencini, Totò e parte della troupe finiscono incagliati su uno scoglio con un motoscafo: tredici persone, tramonto, silenzio tombale. Totò, con la sua voce cavernosa e serafica, rompe la tensione: «Ostrega! Siamo arenati!». Per attirare soccorsi, un tecnico accende fumaroli da set: un’idea geniale che trasforma l’incidente in una scena da MacGyver in costiera.
Alla fine, il film esce, diverte, incassa. Ma non tutti sono contenti. Ennio Flaiano, penna finissima ma con l’umore di chi ha appena scoperto che la moka è bruciata, scrive su Il Mondo che "si ride, sì, ma di nulla". Come sfogliare un vecchio giornale satirico e scoprire che le battute sono sempre le stesse. Ma il pubblico, ben più testardo e meno snob, continua a ridere. E continuerà a ridere per i decenni successivi, anche quando i critici cambieranno idea e diranno che sì, in fondo Totò aveva capito tutto.
🎭 Totò e il serpente telefonico: l’equivoco letale (per il serpente)
Una delle scene simbolo del film è quella girata all’interno dell’hotel Quisisana, dove Totò deve interagire con un serpente – sì, un vero rettile – che per esigenze di sceneggiatura viene scambiato da lui prima per la cornetta del telefono, poi per il manico della doccia. L’idea comica si basa sul principio fondante della carriera di Totò: l’equivoco assurdo e l’espressione perplessa che da sola vale una gag intera.
Ma dietro le quinte questa scena fu tutt’altro che comica. Il povero serpente – uno “di corte” appartenente al vero Bey di Agapur – muore fulminato dai riflettori, trasformando la scena in una sorta di black comedy zoologica. Comencini tenta un secondo rettile, scovato in Abruzzo, ma fa la stessa fine. Alla fine si opta per un pitone finto, la cui presenza sul set è accolta con gratitudine generale e sollievo da Totò, che probabilmente non voleva diventare il San Francesco dei serpenti recitanti.
Perché è memorabile:
È l’esempio perfetto del surreale applicato al comico. Il contrasto tra il comportamento disinvolto richiesto dal copione e l’ansia palpabile sul set regala alla scena una tensione comica sottile, che arriva anche allo spettatore, sebbene ignaro della tragedia serpentina.
🚤 Il naufragio del cinema: Totò, Comencini e la barca della disperazione
La scena non compare nel film, ma è così cinematografica che sembra uscita da uno spin-off. Un’intera troupe – regista, attore e tredici altri – incagliati su uno scoglio con un motoscafo al tramonto, immersi nel silenzio più totale. Finché Totò, con quella sua voce teatrale e baritonale, commenta con la solennità di un capitano d’alto mare in crisi esistenziale: «Ostrega! Siamo arenati!»
La soluzione? Un tecnico, più geniale di molti registi dell’epoca, tira fuori dei “fumaroli” da set (quei petardi che simulano fumo nei film) e li accende, provocando un nube grigia degna di Stromboli. I soccorsi arrivano. Ecco, questa scena non c’è nel film, ma è più imperiale dell’Imperatore stesso.
Perché è memorabile:
Totò fuori dal set è Totò al 100%. La situazione reale si trasforma in sketch, dimostrando che la sua comicità non era solo di copione: era un istinto, una reazione naturale alle assurdità della vita – o del cinema italiano.
🛁 Totò e il bagno con equivoco: tra idraulica e psichedelia
C’è una scena in cui Totò viene coinvolto in un bagno di lusso con vasca monumentale, doccia, e rubinetti decorati come se fossero usciti dal catalogo di un idraulico aristocratico. Il momento si trasforma rapidamente in una sinfonia di gesti slapstick: scambia il doccino per un microfono, la schiuma invade il set e alla fine emerge come un neonato confuso dopo il primo bagnetto.
È un omaggio (volontario o no) alla comicità muta, alla Keaton, ma con la chiacchiera frenetica di Totò che rompe ogni silenzio con battute fulminanti.
Perché è memorabile:
È un esempio della capacità di Totò di trasformare l’ordinario – un bagno – in una coreografia comica. Una danza idraulica, dove l’acqua diventa partner e nemica.
🍾 La cena con i nobili: il cafone tra i blasonati
Una scena madre, per il Totò “infiltrato”: viene scambiato per un nobile straniero e invitato a un sontuoso ricevimento. Qui l'attore gioca col cliché dell’ignorante prestato all’alta società, e lo fa con una raffinatezza distruttiva: usa le posate in modo creativo, confonde il finger food con un impacco per le mani e dialoga in un finto francese misto napoletano che potrebbe provocare incidenti diplomatici.
È una delle sequenze che meglio mostra l’abilità di Totò nel prendere in giro le convenzioni sociali senza mai diventare volgare. Anzi, sono proprio i nobili veri – impettiti, rigidi e stonati – a risultare ridicoli.
Perché è memorabile:
Totò demolisce le classi sociali a colpi di forchetta e vocabolario inventato. È anarchia linguistica applicata alla tavola.
🎬 Considerazioni finali
Il film L’imperatore di Capri, nella sua costruzione pasticciata ma godibile, non vive di una trama memorabile (che è un eufemismo per dire “inesistente”), ma di quadri comici, di sketch visivi e verbali tenuti insieme dalla pura forza centrifuga di Totò. Alcune scene non sono tanto “scritte” quanto lasciate accadere, come se il cinema si fosse messo da parte per far parlare il genio istintivo.
La regia di Comencini è neutra, quasi assente: non inventa, non guida, semplicemente lascia spazio. Ma forse è proprio questo che permette al film di restare un piccolo gioiello comico, nonostante la sua inconsistenza narrativa.
Così la stampa dell'epoca
📰 La critica: fumo di Capri, poco arrosto
All’uscita nel 1949, L’imperatore di Capri si trovò davanti una critica armata di penna e disillusione. I recensori dell’epoca non erano affatto teneri con le “totoate”, considerate da molti poco più che prodotti da banco salumeria del cinema: confezionati in fretta, gustosi ma da consumare in giornata.
La stoccata più famosa arriva da Ennio Flaiano, che non era certo noto per le mezze misure. Scrive sulle pagine de Il Mondo:
«Dopo aver riso ci si accorge che non c’era niente da ridere, e si resta come chi per noia ha sfogliato una vecchia annata di giornale umoristico: sorpresi di constatare che un certo pubblico si diverte ostinatamente con gli stessi motivi.»
Traduzione: “Avete riso? Bene. Ma era roba vecchia, logora, e voi ci cascate sempre come polli con l’orologio a cucù.” Flaiano amava l’intelligenza in pillole, ma qui distribuiva purghe.
Altri critici furono meno velenosi, ma concordavano su un punto: il film non aveva né l’ambizione né la struttura di una vera commedia. Per alcuni era solo un’escursione turistica in chiave comica, in cui Comencini sembrava in vacanza quanto Totò.
🍿 Il pubblico: applausi a scena (quasi) aperta
Eppure, come spesso accade nel nostro amato Bel Paese, il pubblico si fece i fatti suoi. O forse, per dirla meglio, fece finta di non aver letto le recensioni. Perché L’imperatore di Capri fu un successo commerciale notevole. Le sale si riempirono, le risate arrivarono puntuali, e Totò consolidò ulteriormente la sua posizione di comico nazionale, anzi, di sovrano.
Per lo spettatore medio dell’Italia del dopoguerra – che aveva più problemi da affrontare di un serpente in hotel – la comicità farsesca di Totò era una benedizione laica. La povertà, la fame, le macerie: tutto per 90 minuti poteva essere lasciato fuori dal cinema.
Molti andarono a vedere il film più volte, complici le battute fulminanti, i travestimenti improbabili e il fascino esotico (ma tutto sommato accessibile) dell’ambientazione caprese. Inoltre, la presenza di Yvonne Sanson, già idolo popolare grazie a Catene, attirò anche il pubblico femminile e sentimentale.
🎟️ Il tempo: giudice indulgente (ma non cieco)
Con il passare degli anni, L’imperatore di Capri è stato rivalutato, ma non completamente riabilitato. Oggi viene considerato un film di transizione, non tra i capolavori di Totò, ma neppure tra gli scarti. È l’esempio perfetto di comicità alimentare ben confezionata: non sazia lo spirito, ma solleva l’umore.
Per molti studiosi del comico, il film ha un suo fascino specifico, proprio perché racconta Totò lasciato a sé stesso, quasi in libertà vigilata su un set che non lo contiene, ma nemmeno lo ostacola. Il pubblico moderno, soprattutto quello cresciuto con la televisione degli anni ’70 e i cicli di Totò su RaiTre, continua a ridere – e forse a capire quel che Flaiano non voleva ammettere: che il riso spontaneo non ha bisogno di nobili motivazioni.
🧾 La nostra pagella del film L’Imperatore di Capri (1949)
Materia | Voto (in decimi) | Osservazioni del professore |
---|---|---|
Regia (Luigi Comencini) | 6– | Il regista fa il minimo sindacale. Non disturba, non inventa, non si fa notare: in pratica, il supplente che arriva con il cappotto già in mano. |
Sceneggiatura (Marchesi & Metz) | 6,5 | Solida, anche se derivativa. Copia qua e là da Goldoni e dalla rivista, ma almeno copia bene. L’intreccio è un pretesto, come spesso in commedia. |
Comicità di Totò | 9+ | Totò è Totò. Irrefrenabile, anarchico, e più preciso di un orologio svizzero (rotto, ma che due volte al giorno ci azzecca). Alcune scene sono oro comico. |
Dialoghi | 7 | Spassosi, anche se a tratti ripetitivi. Quando c’è Totò che improvvisa, il copione può anche uscire a fumarsi una sigaretta. |
Ambientazione (Capri) | 8 | Scenografie reali, villeggianti veri, serpenti veri (ahimè defunti). L’isola è una co-protagonista svampita ma affascinante. |
Ritmo narrativo | 6– | Alterna gag fulminanti a momenti di stanca. Il film è una serie di quadretti, non una storia coerente. Ma chi cercava coerenza è entrato nella sala sbagliata. |
Effetto sul pubblico | 8,5 | Risate abbondanti, affetto popolare, repliche garantite per decenni. Il film è un comfort food comico ante litteram. |
Accoglienza critica | 5 | La critica lo guarda come un insegnante snob guarda un compito scritto in dialetto. Ma il pubblico lo promuove a pieni voti. |
📜 Giudizio finale
«Allievo brillante, anche se disordinato. Totò è chiaramente il motore di tutto, ma gli mancano professori all’altezza. Il compito è riuscito nei colori, nei giochi, nei lazzi, ma difetta di struttura e profondità. La classe ha riso molto, e questo, in fondo, è il suo mestiere. Promosso con riserva… di biglietti.»
L'esperienza nel drammatico Yvonne La Nuit non influisce sulle quotazioni di Totò. Il successo dei film girati con Mattoli è invece determinante. L'attore comincia a ricevere più richieste di quante ne possa soddisfare: gli propongono tre parodie, una letteraria (I tre moschettieri) e due cinematografiche (Duello nel sale e Via col mento!, ma scegli infine un progetto diverso, L'imperatore di Capri, forse solo perché la lavorazione si svolgerà quasi tutta sulla sua isola preferita. Il regista è Luigi Comencini che, uscito con le ossa rotte dall'esordio Proibito rubare, viene praticamente costretto dal produttore Ponti a girare la «totoata». [...]
di Alberto Anile
Il Principe Antonio de Curtis, o meglio Totò, è oggi l'attore più pagato. E’ diventato il principe degli schermi e delle scene. Ben tre film da lui interpretati si sono proiettati e continuano a proiettarsi contemporaneamente sugli schermi romani, mentre egli stesso calca le tavole del palcoscenico del «palazzo Sistina» nella rivista «Bada che ti mangio», ritoccata in molti punti perché già presentata l'anno scorso.
Le avventure di Totò, sia alla ricerca di una casa, sia alla presa con i banditi della kasbah, sia imperatore delle gang capresi sono bene accette al pubblico che accorre di buon grado a vederle.
Ma fino a quando durerà questo fenomeno? Il repertorio di Totò è ormai completamente conosciuto, Eppure il multiforme principe napoletano sta girando attualmente «Napoli milionaria» dall'omonima commedia di Eduardo De Filippo che oltre ad esserne l'autore e anche il regista e interprete. Ha, inoltre, firmato quattro contratti per altrettanti film rifiutandone ben 15.
Prevedere fin da oggi se questi film riusciranno a far ridere è avventato per non dire difficile. Il pubblico ha imparato a conoscere al primo accenno di ormai visti motivi comici di Totò. I soliti lazi e sberleffi che hanno tipizzato il mimo napoletano, come comico a tutti i costi, sono ormai superati. Le torte in faccia e le battute in vernacolo hanno fatto la loro epoca. Si deve cercare di sviluppare le vere doti cinematografiche di Totò le cui risorse sono state finora solo in parte valorizzate come, ad esempio, in «Yvonne la nuit».
Batteranno questa strada le nuove produzioni? Speriamo di sì, in modo da poterci augurare un aumentato livello artistico di questi film punto in ogni caso, Totò continua a mietere milioni. Ventitre si dice per «Napoli milionaria» e 200 in totale per i prossimi quattro film. Noi ci accontentiamo di poter ridere, senza però ancora sentire «siamo uomini o caporali?»…
«Cine Sport», 14 febbraio 1949
ANNO DOPO ANNO, le estati si susseguono e puntualmente compaiono nelle terze pagine dei giornali gli articoli sull' «isola meravigliosa», l' «isola di sogno», eccetera, cioè su Capri E' il pezzo d'obbligo estivo che, a Quei 999 millesimi di italiani che non sono mai stati a Capri, narra le straordinarie bellezze e, soprattutto, la favolosa vita dei nababbi che villeggiano nell'isola. Sulla scorta di quegli articoli, i lettori ignari immaginano, nel quadro di un paradiso terrestre, una vita affascinante, fuori di ogni regola; un luogo d'incanto popolato di donne meravigliose e di illustri personaggi che sono per lo meno sultani e principi. In realtà, Capri non è cosi; e Luigi Comencini, iniziando in questi giorni le riprese de L’imperatore di Capri vuole in certo modo fare, attraverso un film comico, la satira di questa immagine illusoria.
Luigi Comencini è uno dei più giovani e più recenti registi del nostro cinema. Come Alberto Lattuada, col quale allestì nel 1940 la Mostra del Cinema presso la Triennale di Milano, è laureato in architettura. Diresse il suo primo film, Proibito rubare, l'anno scorso; e vi si dimostrò attento e talvolta arguto osservatore della vita. L'imperatore di Capri sarà un film di tono completamente diverso. Un film comico, con Totò protagonista; un film nella tradizione dei film comici italiani.
Luigi Comencini ha iniziato il suo secondo film: «L'imperatore di Capri». Interprete, Totò.
«Spero — dice Comencini — di riuscire a divertire il pubblico e di fare, come regista, un'utile esperienza. Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini, trova la sua origine nel successo delle riviste. Non c'è da stupirsene. In tutto il mondo c'è oggi crisi del film comico. L'esperienza neorealista non ha ancora influito su questo genere. I produttori preferiscono battere la vecchia strada; ed è cosi che i nostri film comici raramente sfociano all'estero. L'insicurezza del mercato straniero porta come conseguenza la tendenza a limitare le spese di costo, mentre un film comico dovrebbe invece costare almeno quanto un altro qualsiasi film di normale impegno. Basta considerare che per un film comico bisogna girare, grosso modo, il doppio di inquadrature di un film drammatico se si vogliono ottenere e sfruttare effetti, movimento, eccetera. Naturalmente, queste osservazioni sono di carattere generale poiché, per mia fortuna, la Casa produttrice de L'imperatore di Capri, non vuol fare la politica della lesina ad ogni costo».
Quando han saputo che Comencini avrebbe diretto un film comico, i suoi amici si sono stupiti. Ma Comencini è tranquillo, Certo, per temperamento e per cultura, egli sarebbe semmai portato a fare un film che risultasse comico per le situazioni e non per le battute e le smorfie; un film cioè che, se riuscito, avrebbe probabilità di successo anche presso gli stranieri; ma i tempi evidentemente non sono maturi per l'innesto del realismo nel comico. E cosi Comencini farà un film "falso", nel senso che il film comico inteso nella vecchia maniera non ammette né personaggi, né situazioni né ambienti "veri". I personaggi sono parodie di personaggi e gli avvenimenti trovano giustificazione in una loro logica tutta particolare. Di più, ne L’imperatore di Capri, c'è Totò protagonista.
«Totò — osserva Comencini — non è mai logico. E' illogico. Rompe la battuta. E non è mai un personaggio. Comunque lo si voglia rigirare, Totò rimane sempre se stesso, come ai loro tempi Ridolini o Buster Keaton. Una vicenda che abbia protagonista Totò non può essere che la storia di Totò in rapporto a qualche cosa. Per questo preferirei che il mio film si chiamasse Totò a Capri, come ieri ci fu Totò al Giro d'Italia e domani, poniamo, ci sarà Totò palombaro».
«Cinema», 15 agosto 1949
Il principe Antonio De Curtis, cioè il comico Totò, sta portando a termine a Capri il suo ultimo film, "L’imperatore di Capri", con Yvonne Sanson e il regista Comencini. Ecco l’attore a passeggio per la celebre isola, indossando uno dei costumi del suo film. Totò, come molti altri attori della rivista, occupa l’estate facendo del cinema, in attesa della nuova stagione teatrale ormai vicina. Quest’anno, a quanto si può sapere, la rivista non offrirà spettacoli di particolare importanza: le enormi spese sostenute lo scorso anno, e non sempre ricuperate, dalle grandi compagnie, hanno consigliato una maggiore parsimonia ai finanziatori. La rivista, ridotto lo sfarzo, si preoccupa ora di migliorarne la qualità del testo.
«Oggi», 15 settembre 1949
È cominciata per Totò una intensa stagione cinematografica. Dopo averci preparato in silenzio la grande sorpresa di un film “serio", la famosa maschera napoletana si è affidata alla fredda causticità di un giovane regista per realizzare la satira dell’isola delle follie balneari
Luigi Comencini è il giovane regista che ha realizzato, circa un anno fa, quel piccolo pezzo di bravura che si intitolava Proibito rubare. Dico « pezzo di bravura » per ragioni obiettive (era un ottimo film) e subiettive (era un film pervaso di cattolicesimo meridionale, assai lontano dalla vera natura dell'autore nordico e protestante).'Ora Comencini salta addirittura il fosso e mette insieme — lui taciturno, malinconico, austero — nientemeno che una farsa cinematografica: L'imperatore di Capri. Ma la metamorfosi è soltanto apparente. Un film comico è una specie di macchina, che va montata pezzo per pezzo, con quel freddo estro e con quella padronanza tecnica dei mezzi che Comencini, appunto, possiede. Questo film, sebbene poco impegnativo, e realizzato con mezzi relativamente modesti, potrà in ogni caso dimostrarci come possa l’intelligenza vivificare una materia grossolana e sorda.
L’imperatore, naturalmente, è Totò. Dire Totò e dire Capri è ormai la stessa cosa. Morto Axel Munthe, l’innamorato numero uno dell'isola ò Totò, ovverosia il principe Antonio De Curtis.
Il sogno umano di questo attore lo conoscono tutti: ritirarsi un giorno dai palcoscenici, costruirsi una grande villa al cospetto dei Faraglioni (una specie di palazzo di Tiberio o di San Michele) e là regnare — un po’ per ridere, un po' sul serio — in un tenero, quieto crepuscolo, indorato dalla celebrità. Bisogna convenire che a nessuno più che a lui spetta, se non l’impero, il governatorato.
Questo è il sogno. Il film, si capisce, è un'altra cosa. L'imperatore del film è un paradossale cameriere napoletano, imperatore malgré lui, il quale muove la sua storia assurda a colpi, strappi e sussulti, come una folle e vorticosa macchina di fuochi d’artificio. La tecnica è quella tradizionale: il riso è suscitato dall'esterno, in un gioco puramente visivo, ossia col particolare solletico dell'irrazionalità: torte in faccia e motoscafi che si sconquassano, situazioni invertite, personaggi trasposti sul piano della caricatura. Vi è un importante elemento di attualità, che potremmo definire la satira dei costumi capresi. Un film come questo non poteva non farsi beffa delle stravaganze e dei vizi che, veri o falsi, hanno contraddistinto Capri nel dopoguerra. Gli spettatori a un certo momento crederanno addirittura di identificare taluni caratteristici personaggi di Capri, che un recente giornalismo scandalistico ha divulgato; ma davanti al tradizionale avvertimento «qualsiasi riferimento a persone e luoghi è puramente casuale ecc.» ogni sospetto dovrà cadere. Speriamo che cada; e che non ci induca invece in tentazione, invogliandoci a una ricerca più piccante.
La lavorazione del film è durata poco più di un mese. Molto sbrigativo, dunque. Girato in pieno agosto (è terminato appena una settimana fa) ha richiesto alla troupe una fatica immensa. Persino il serpente scritturato da Comencini per una certa scena è morto; ed è stato molto difficile sostituirlo, perché quello era buono e Totò s'era abituato a prenderlo in mano. Finalmente, dopo avere spedito il trovarobe in Abruzzo (che strano mestiere), il sostituto fu trovato. Ma mori anche questo, prima che si fossero stabiliti rapporti di amicizia con la troupe; e si dovette terminare il film con un terribile serpente di gomma.
L’interpretazione di Totò è stata più rigorosa del solito, poichè Comencini ha fatto il possibile per contenere la sua estrosità di origine teatrale entro, i canoni del ritmo cinematografico. Questa è davvero la grande stagione cinematografica di Totò. In meno di sei mesi, quattro film: tre comici e uno serio. Proprio cosi: Totò ha interpretato un film drammatico. È la grande sorpresa della stagione. Il titolo di questo film è Yvonne la nuit; regìa di Giuseppe Amato e partecipazione di Olga Villi. Il secondo film è L’imperatore di Capri. Il terzo è cominciato or ora: Totò cerca casa, di Steno e Monicelli. Il quarto sarà Totò le mokò di Bragaglia.
Vittorio Bonicelli, «Tempo», n.39, Milano, 24 settembre 1949
Controcopertina del periodico «Cinema», 30 novembre 1949
Totò ha già interpretato molti film e impegnato parecchi registi, mail suo film, il suo regista, non l'ha ancora trovato. Un film, intendiamo dire, che non sia composto degli scampoli delle sue riviste; un regista che non riceva bell'e fatta, ma elabori la sua comicità. L'imperatore di Capri è ancora una grossa e incondita farsa dove il mimo squaderna nel vuoto i suoi lazzi e le sue freddure; più che un film, una divulgazione fotografica del suo più recente e fortunato repertorio teatrale. [...] Yvonne Sanson, Marisa Merlini, Alda Mangini e Laura Gore, tengono bordone allo spassoso protagonista.
vice, «La Stampa», 3 gennaio 1950
Molti si divertono assistendo alla proiezione de «L'Imperatore di Capri». E‘ un dato di cronaca da registrare, come si registrano gli applausi dopo una commedia nuova: è chiaro che il film cerca un suo pubblico e che lo trova, (tutti i film cercano un pubblico, non tutti lo trovano). La circostanza che sia una pellicola con Totò spiega che si tratta di un film di Totò; un attore come questo non sopporta regista, ciò che fa gli appartiene. Il possesso dell'«Imperatore di Capri» non lo onora gran che: è una farsa-scossa tellurica, ad elevata tensione, una fracassona farsa che lascia sconcertati.[...] «L'Imperatore di Capri» tenta una satira. Se la satira fosse riuscita, ne sarebbe venuto un film, sui costumi del tempo, con obiettivo azzeccato. Non è riuscita, o è riuscita solo in qualche tratto: il resto è d’una comicità volgaruccia e abusata, in cui il salace prevale. Qualche episodio (la corsa del motoscafo pazzo, la rissa chiassosa sotto il baldacchino del letto) riconduce al film allegri ante-prima-guerra: qualche altro arieggia la faceta assurdità di «Hellzapoppin». L'insieme, che è stato diretto dal giovane regista Luigi Comencini, il quale ha al suo attivo un degno film «Proibito rubare», non risente di regia alcuna: a parte i meriti puramente decorativi di Yvonne Sanson e di Marisa Merlini, il succo del film sta nella sghignazzata tipica di Totò, con esposizione di lunghissimi denti. A me non piace, quella sghignazzata: sa di sconcio.
lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 21 gennaio 1950
E' chiaro che i produttori sanno quel che si fanno; producono dei film melensi, e lo sanno, realizzano le scempiaggini più smaccate e lo sanno, non solo, ma lo fanno apposta. Siccome le sciocchezze non pagano dazio, è giusto che essi ne introducano a staia, senza parsimonia. E' giusto, perchè alla fine della giornata le lirette che sono entrate nella cassa sono tante quanta è la beozia di quelli che l'hanno versate. Non si può dire che questo «Imperatore di Capri», che ha per protagonista Totò, sia peggiore di tanti altri del genere. Si può soltanto dire che il pubblico che lo ha gustato, non è migliore di quello che ha gustato le altre edizioni affini. Anzi, è sempre lo stesso. Chiodo scaccia chiodo e filmi scaccia film, e dopo slamo più poveri di prima. Però: pubblico così, risa abbastanza nutrite, spirito introvabile, regia da due un soldo. Tutto sommato però abbiamo torto noi, e ha ragione la Lux. Essa serve la clientela che ha sulla piazza. E poiché a quella van preferiti codesti zibaldoni senza spirito e senza vena, fa benissimo a smaltire questa roba. Rientra qualche milione nelle casse dei produttori che — speriamo — debbano servire a fare quei film che non sempre il pubblico apprezza. Solo in virtù di questa considerazione, ci consoliamo e speriamo in tempi migliori...
c.tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 25 gennaio 1950
f. d., «Il Giornale d'Italia» 25 gennaio 1950
Suggerito da un divertente quadro di rivista, questo film vorrebbe essere non tanto una parodia della Capri estiva, quanto della leggenda che si è creata intorno a alle bizzarrie di qualche suo ospite. Leggenda piuttosto inconsulta che travisa scioccamente la realtà e che tende a fare di una delle più incantevoli e serene isole del mondo un infrequentabile luogo di vizio e di sciagurataggine. Tolte infatti poche inquadrature paesaggistiche, quello che si vede ha poco o nulla a che fare con la vera Capri generalizzando con farsesca e deformante eccessività episodi e tipi trascurabili sui quali si è fin troppo speculato. [...] Se fosse stato trattato con mano più leggera e, soprattutto, con più gusto, lo spunto avrebbe potuto dar i luogo ad una saporita farsa; cosi come Luigi Comencini l'ha svolto oscilla fra il grottesco e il volgare. Ma fra il pubblico c'é anche chi si compiace del grottesco e del volgare. Ma fra il pubblico c'è anche chi si compiace del grottesco e del volgare. A fianco di un Totò in tono minore appaiono Alda Mangini, Yvonne Sanson, Marisa Merlini, Laura Gore, Nerio Bernardi, Galeazzo Benti, Enrico Glori.
E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 25 gennaio 1950
Produttori, sceneggiatori e registi sembra si siano alleati da un pezzo per far correre rischi gravi alla popolarità, comica di Totò, ma l’arzillo mimo partenopeo non mostra di preoccuparsene più che tanto e riesce a spuntarla sul pubblico anche con una farsuccia di gusto assai discutibile, come questo ultimo Imperatore di Capri. La verità è che Totò resta un comico di razza, mentre registi di vena ironica, o magari soltanto burlesca. in Italia non se ne trovano.
Il soggetto de L’imperatore di Capri trae origine da un breve sketch di una rivista di Michele Galdieri: Totò appariva sulla ribalta per non più di un quarto d ora rovesciando sulla platea un'autentica valanga di lazzi caricaturali a spese del «bel mondo» di Capri, dei suoi eroi effeminati e delle sue languide eroine in turist. L'idea era ottima nei suoi limiti, ma ha cessato in gran parte di esserlo quando gli scenaristi Metz e Marchesi hanno voluto cavarne un lungometraggio che dura un’oretta e mezza. Naturalmente, non hanno fatto miracoli, ma si sono limitati a lasciarli fare a Totò. il quale, senza perdersi d'animo, sforna da solo tutto il suo repertorio buffonesco, suscitando non poche risate tra gli spettatori che non vanno troppo per il sottile.
Questa volta il protagonista passa dal ruolo originario di cameriere afflitto da ima suocera petulante e manesca, a quello del ricco Bey di Agapuz, personaggio quanto mai spericolato in materia di donne, di «passioni voraci» e di mille altre bizzarre avventure. L’opima Yvonne Sanson cade fra le sue braccia. un ipnotizzatore e un serpente indiano fanno di tutto per guastare il festino, ma. dopo alterne vicissitudini, le cose si accomodano. le nubi spariscono e Totò ha i vantaggi che tutto sommato si meritava.
Della regìa di Comencini bisogna dire che non si salva mai dall’approssimativo e che non ha nulla da spartire con l’invenzione. Accanto alla procace Sanson, Marisa Merli ni, Alda Mangini e Laura Gore fanno del loro meglio.
al. or., «Pese Sera», 26 gennaio 1950
Luigi Comencini, come Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, è arrivato alla regia dalla critica: e da una critica attenta volta a creare una seria coscienza del problema filmico, un movimento culturale e artistico: il suo nome è peraltro legato alla Cineteca Italiana e alla Mostra del Cinema organizzata, nel 1940, dalla Triennale di Milano. Tutta una attività, questa, che non si può conciliare con l'indirizzo e i risultati di L'imperatore di Capri (1949). Le ragioni che hanno condotto Comencini ad una simile esperienza pratica, sono soprattutto da ricercarsi sul piano di una organizzazione produttiva, la quale in genere "controlla", più o meno opportunamente, i registi e in particolar modo coloro i quali sono ai primi contatti diretti con la macchina da presa. Tali "controlli" che, si intende, riguardano i film a soggetto e non i cortometraggi, nel caso di L’imperatore di Capri sono stati probabilmente più rigorosi che non per Proibito rubare (1948); e, certo, in seguito all'insuccesso commerciale di questa prima opera diretta da Comencini. La quale, invero neppure artisticamente notevole, parte comunque da un nobile assunto e, presa nel suo insieme e con tutti i suoi difetti, ha un suo valore, è indicativa di certe possibilità riscontrabili, ad esempio, nella sequenza degli "scugnizzi” che rubano la borsa degli orologi: i ragazzi sono visti con occhio attento e sensibile, come nel poetico documentario Bambini in città, realizzato dallo stesso regista nel 1946, prima di sceneggiare il Daniele Cortis di Mario Soldati (1947).
Nessuna orma di valori umani ed espressivi lascia invece intravedere L'imperatore di Capri. Sembra quasi che, al suo secondo film a soggetto, Comencini abbia già alzato le braccia; ma forse è più giusto pensare che egli, piuttosto che rimanere inattivo, abbia accettato di dirigere un’opera non rispondente alle sue possibilità e al suo gusto, e il cui probabile successo commerciale gli potesse permettere però un’ulteriore attività di ben altro livello e natura. E del resto i sintomi del suo stato d’animo trovano una documentazione abbastanza chiara in una intervista, pubblicata proprio da Cinema, nella quale egli metteva in evidenza come il film comico italiano, nato sulla base di una macchina per far quattrini, trovi la sua origine nel successo delle riviste, e come l'esperienza neorealistica non abbia àncora in fluito su questo genere in quanto i produttori preferiscono battere la vecchia strada.
Egli concludeva, pertanto, che il suo film sarebbe stato "falso" nel senso che, sulle tracce della vecchia maniera, non avrebbe ammesso né personaggi, né situazioni, né ambienti "veri”, ma soltanto parodie (Cinema, anno II, numero 19, 31 luglio 1949). In queste dichiarazioni sono già i limiti entro i quali L'imperatore di Capri si muove, e, nello stesso tempo, la condanna del film. Il povero cameriere napoletano e la moglie, la suocera oppressiva e il cognato sfruttatore, il Bey di Agapur e la fatalissima Sonia, la contessa tenebrosa, il maggiordomo geloso e gli ambienti stravaganti di Capri, cosi come vengono presentati, appartengono infatti al teatro cosiddetto minore; cioè alla rivista e non al vero cinema comico, alla parodia da avanspettacolo o da vignetta umoristica e non alla satira critica.
Del resto qualcosa di simile a L’imperatore di Capri era stato precedentemente portato sul palcoscenico di varietà, proprio da Totò: il quale, osservava sempre Comencini nell'intervista accennata, non è logico, ma illogico, rompe la battuta, non è mai un personaggio: comunque sia, ci sembra affatto discutibile che una «vicenda la quale abbia protagonista questo attore non possa essere che la storia di Totò in rapporto a qualcosa ». Questo accade, come appunto in L’imperatore di Capri e in tutte le altre pellicole interpretate da Totò, quando il regista rinuncia ad ogni sua personalità, e non si adopera a contenere l'esuberanza degli attori in rapporto diretto all’economia artistica dell’opera che intende creare.»
Guido Aristarco - «Cinema» n.31 del 30 gennaio 1950
Ritratto involontario
I film comici italiani affascinano per il ritratto involontario che offrono della società che li esprime e li applaude. Dopo aver riso ci si accorge che non c’era niente da ridere, e si resta come chi per noia ha sfogliato una vecchia annata di giornale umoristico: sorpresi di constatare che un certo pubblico si diverte ostinatamente con gli stessi motivi. Nell’Imperatore di Capri (film interpretato da Totò e diretto da Luigi Comencini e che possiamo prendere ad esempio perchè sta ottenendo molto successo) non c'è nulla di comico che non abbia avuto un collaudo secolare nelle farse, e nemmeno una battuta che non circoli da tempo nei licei e nelle caserme: si equivoca su Elena di Troia e ci si ammazza di risate con le smorfie dell’invertito. C’è l’errore di persona, l’uomo che va in giro in mutande, la torta in faccia, il bagno collettivo, il sogno antico-romano. Manca, è vero, la scena dell'inseguimento del protagonista, ma in compenso c’è una scena in cui il protagonista, su un motoscafo che non sa guidare, insegue dei pacifici bagnanti. Mancano lo zio sordo e il tenore sfiatato ma non mancano la focosa brasiliana, la slava incantatrice, la suocera che non perdona.
[...] Quando Totò si ricorda di. essere mimo, il suo giuoco diventa leggero e arabescato, ma quando si ricorda di essere attore comico di rivista comincia coi doppisenso e diventa fastidioso. La sua faccia può esprimere la disinteressata intelligenza del clown o la grossolana, impudica sensualità del servo sciocco; ed è un vero peccato che egli preferisca insistere su questo rovescio della sua medaglia. Quanto alla comicità che ormai ci aspettiamo dai film italiani, non è certo quella che giuoca sui contrasti umani sulla incompatibilità tra individui e società, non è la comicità di Charlot o di René Clair, e nemmeno di Buster Keaton, l’impassibile. E' una comicità fragorosa, sempre rivolta alla farsa. I suoi personaggi non sono nemmeno caricature, ma sgorbi simbolici. Si ride dei qui-pro-quo, dell’allusione sessuale (a questo scopo le attrici dei film comici sono sempre ben nutrite), e anche la situazione più originale viene risolta meccanicamente, o addirittura lasciata cadere. (Si veda in questo film, l'episodio della baronessa necrofila: il Pulcinella del Pincio se la sarebbe cavata con più garbo, la satira non sarebbe apparsa inutile).
Ma forse nell’Imperatore di Capri, la novità vuol essere nella descrizione di quella particolare gioventù che l’estate affolla l’isola di Tiberio: una gioventù che tutti ormai sanno di costumi forzatamente bizzarri, con tendenza alla effeminatezza, occupata nella creazione di un terzo sesso, incerta tra il linguaggio surrealista dei bambini, le canzonette dei film e l’esistenzialismo degli autori d’importazione. E’ possibile che lo spettacolo di questa gioventù diverta sul posto, ma sullo schermo può suscitare soltanto un interesse scientifico: e non è detto che in qualche punto il film non prenda il tono di un documentario. Se ne ha tuttavia' un’ impressione di stracci sporchi, di carnevalata a freddo, nella quale l’autocompiacimento dei personaggi così presentati, senza umorismo, non suscita nemmeno il ridicolo, ma la pietà e infine la noia. La caricatura di un imbecille può divertire, ma l'imbecille in persona rattrista sempre
Di quei giovani di Capri, il regista non ci ha dato i caratteri ma soltanto delle cupe informazioni biologiche. Essi affollano lo schermo con la petulanza di galline in un salotto e sono dati in pasto alla curiosità del pubblico che sembra gradire certi scherzi goliardici. Ma il gusto dell'ironia e della comicità si è guastato a tal punto nel nostro teatro che se un attore deve interpretare un tipo eccentrico, ne fa, appunto, un invertito. Non si disgiunge più l'estro, l’intelligenza, l’umorismo e la singolarità del carattere dall’inversione sessuale. E davanti a tipi così sommariamente e puntigliosamente presentati nelle riviste, nelle commedie e ora anche nei film, il pubblico ritrova il riso che i ragazzi dei villaggi riservano per irritare, lo scemo locale : un riso in cui il sadismo rivela un concetto molto primitivo ed elementare della comicità e di conseguenza l’ineducazione e l’ingenerosità di chi ride.
Ennio Flaiano, «Il Mondo», 4 febbraio 1950
Ma via, come si fa a fare lavori di questo genere? Cosa c'entra l'umorismo con questa roba? Quando è che si capirà che per fare un film comico è necessario uno studio approfondito della realtà per poter trarre, quindi, quegli aspetti più paradossali di questa con intuito e buongusto? [...] Non vale la pena neppure di arrabbiarsi...
Edoardo Bruno, "Sette giorni a Roma", «Film», 4 febbraio 1950
Questi i film preferiti dal pubblico
In base agli incassi, hanno trionfato Totò, "Il cucciolo" ed "Enrico V"
Il cinema, oltre che un fatto artistico, è un fatto industriale e commerciale, e di questo suo secondo aspetto giova ogni tanto tener conto. È il pubblico (in Italia quasi 15 milioni di spettatori per settimana) che fornisce al cinema i giganteschi mezzi di cui ha bisogno: e sono i gusti del pubblico che, determinando l’indirizzo della produzione, influenzano in ultima analisi l'andamento stesso del film come arte. In America i gusti del pubblico sono severamente controllati attraverso il "Box Office”: in Italia, mancando un’organizzazione analoga, si ricorre a varie forme di sondaggio e ad altri mezzi statistici. Peraltro il migliore e più esatto sistema per conoscere le reazioni dello spettatore rimane quello basato sugli incassi: un interessante studio su tale delicato argomento è stato fatto, per l’Italia, nell'ultimo numero di "Cinespettacolo”, rivista tecnica dell’industria cinematografica.
Le cifre riportate si riferiscono ai dati della sola annata 1949-50 (1° settembre-30 giugno) e non sono definitive perché riguardano i locali di prima visione delle dieci città "sensibili”, cioè capo-zona, che sono Padova, Bari, Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Roma, Milano, Torino e Genova. Ogni altro sistema rende impossibile un quadro esatto, se non a distanza di qualche anno, poiché un film posto in distribuzione ha durata diversa, che varia in genere tra i due e i cinque anni. Tuttavia, se pur relativi, i dati offrono un interessante panorama della situazione.
Oltre ai film italiani, sono stati proiettati in questo periodo 450 film americani, 21 inglesi, 16 francesi, 12 messicani, 3 spagnoli, 2 argentini, uno svedese, uno cecoslovacco e uno russo. Le cifre degli incassi sono distribuite lungo un gigantesco arco che va dalle centinaia di milioni per alcuni film americani alle 70 mila lire del film svedese Sangue ribelle. Per ciò che riguarda i film italiani, c'è da notare anzitutto l’incontrastato dominio di Totò: con cinque film (Totò cerca casa. L’imperatore di Capri, Totò cerca moglie, Yvonne la Nuit, Totò le Mokò), il popolare comico napoletano ha fatto incassare 284 milioni. Inoltre uno dei suoi film (Totò cerca casa) è il primo film italiano che, con 80 milioni e 300 mila lire d’incasso, s’incontra nella classifica assoluta, dopo sei film americani. Non dappertutto, però, Totò fa furore: se a Roma, a Padova, a Bologna, a Genova, a Firenze, a Napoli è in testa o con l’uno o con l’altro dei suoi film, a Milano gli hanno preferito la Silvana Mangano di Riso amaro e de II lupo della Sila e il Macario di Adamo ed Èva. Dal punto di vista della raffinatezza di gusti, né il pubblico di Milano né quello di Roma presenta comunque elementi confortanti: la città più evoluta appare invece Torino, che a tutti i film italiani ha preferito l’ottimo Domenica d'agosto di Emmer. Una buona affermazione in tutti i centri considerati ha avuto poi II mulino del Po. di Lattuada. che è secondo in graduatoria a Genova e a Bologna e complessivamente ha raggiunto i 30 milioni. Le cifre relative ad alcuni film considerati "molto popolari”, come Catene e Il bacio di una morta, sono invece piuttosto mediocri: in particolare, quest’ultimo non ha incassato che un terzo del Mulino del Po, testimoniando che. nonostante tutto, i gusti del pubblico delle grandi città non scendono oltre un certo livello.
Circa i film americani c’è da notare per prima cosa che il pubblico ha preferito dovunque il technicolor al bianco e nero: su 23 film che hanno ottenuto incassi di un certo rilievo, ben 13 sono in technicolor e sei di essi capeggiano la classifica. A parte Via col vento, che nel 1949-50 era stato proiettato in sole quattro città (ottenendovi comunque un fortissimo incasso), il film che ha nel complesso avuto i più alti Introiti è stato II cucciolo, che in nove città ha incassato 131 milioni. Seguono Giovanna dArco con 128 milioni nelle dieci città. Gli amori di Carmen (114 milioni), Il cielo può attendere (92 milioni), Il capitano di Castiglia (90 milioni), Il grande peccatore (82 milioni), ecc. Come si vede, tra questi colossi dello spettacolo uno solo è stato riconosciuto dalla critica come autentica espressione d’arte: Il cielo può attendere di Lubitsch. Scendendo all’esame città per città, si può osservare che Milano ha dato la preferenza al Cucciolo (44 milioni), seguito da II cielo può attendere (34 milioni), mentre Giovanna d’Arco è solo al sesto posto (22 milioni); Roma ha preferito Giovanna d’Arco (30 milioni), e Gli amori di Carmen. Giovanna dArco ha ottenuto il primo posto a Padova, Bari, Bologna, Catania, Torino; Firenze e Genova, come Milano, hanno dato la palma al Cucciolo; Napoli agli Amori di Carmen.
Anche tra i rimanenti film americani che hanno procurato buoni guadagni ai produttori, ben pochi hanno reale importanza artistica; forse soltanto La fossa dei serpenti (che ha avuto a Genova una ragguardevole affermazione) e II cielo di fuoco. Per il resto s’incontrano film spettacolari o decisamente commerciali come Ambra, Le avventure di Don Giovanni, La matadora. Il principe delle volpi, Giubbe rosse. Ero uno sposo di guerra. Il peccato, di Lady Considine, ecc. In due città (Catania e Firenze), ha avuto un discreto successo l'infelice Fonte meravigliosa di King Vidor.
Il fenomeno più notevole che si incontra analizzando i film di altre nazionalità, riguarda l'Enrico V di Laurence Olivier: quest’opera di alto e indiscusso valore, certamente uno dei capolavori del cinema sonoro, non pareva destinata a un successo di pubblico, sia per l’ardua materia trattata, sia per la forma poetica che necessariamente l'aderenza al testo shakespeariano richiedeva. Invece (e questa è certo la sorpresa più inaspettata e più gradita di questa arida statistica), ha conquistato clamorosamente il favore degli spettatori ed ha ottenuto un incasso (80 milioni) che la pone in testa a tutti i film di questo gruppo, rimanendo soccombente, in linea assoluta, soltanto ai sei maggiori film americani e, per pochissimo, a Totò cerca casa. Hanno probabilmente contribuito all’affermazione, il mezzo tecnico impiegato (colore) e il soggetto (storico-avventuroso), oltre alla popolarità di sir Laurence come attore.
Si rileva infatti, dalla semplice enunciazione dei titoli delle opere sinora esaminate, che in genere il pubblico preferisce il film storico-avventuroso e comunque il film in costume: seguono il genere drammatico-passionale, quello patetico, la commedia e il film musicale. Il film comico, a parte l’eccezione di Totò, non riscuote più grande successo, mentre il film psicologico lascia generalmente indifferente la gran massa degli spettatori. Anche per quest’ultimo genere esiste tuttavia una significativa eccezione, data da Le diable au corps di Autant-Lara, che, nonostante sia stato proiettato in sole cinque città e durante brevissimi periodi (per le note vicende di censura), ha incassato più di dieci milioni e mezzo, consentendo di pronosticare, in circostanze normali, un successo forse non inferiore a quello dell'Enrico V. E anche questo è un altro elemento di conforto circa i gusti del pubblico.
Tra gli altri film, Il terzo uomo (55 milioni), non ha ottenuto quella affermazione di cassetta che i primi entusiasmi del pubblico facevano presagire: neppure Manon, proiettato però in sole otto città, è andato più in là di una buona media (47 milioni). Quest’ultimo è stato, comunque, il film francese preferito dagli spettatori, seguito a grande distanza da Nel regno dei cieli di Duvivier e da Le minorenni di Becker.
Quali conclusioni si possono trarre da questa rapida rassegna? In generale le abbiamo già anticipate: va sottolineato che dove maggiormente i gusti del pubblico contrastano con quelli della critica è nel settore del film italiano. Tuttavia, rispetto agli anni passati, c’è un graduale e continuo miglioramento: quando un’opera come l'Enrico V avrà superato anche Totò, Il capitano di Castiglia o gli Amori di Carmen, potremo dire che la maturità degli spettatori cinematografici avrà compiuto un passo avanti decisivo.
Angelo Solmi, «Oggi», 7 giugno 1951
L'imperatore di Capri (1950) di Luigi Comencini è uno dei molti film di Totò girati sull’ordito di una grossa farsa imperniata sul consueto espediente dello scambio di persona (Totò, cameriere d'albergo, viene scambiato per il Bey di Agapur, dando la stura a una sequela di quiproquo e di equivoci a lieto fine) e condita con il solito contorno di lazzi e di freddure che affidano la loro efficacia esclusivamente alla forza mimica del protagonista. Una leggera ed epidermica possibilità di satira — l’influenza di Totò sui villeggianti snob di Capri che ne imitano le stramberie e lo proclamano ‘uomo più chic deH’isola’ — resta confinata nelle intenzioni, senza che la regia di Comencini riesca a conferirle un minimo di consistenza. All’inizio delle riprese del film Comencini aveva annunciato di voler fare la satira di una certa immagine illusoria di Capri, dichiarando: «Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini, trova la sua origine nel successo delle riviste», ma il film così come realizzato non corrispose a queste sue ambizioni iniziali.
«Nell'Imperatore di Capri — rileva Ennio Flaiano nella sua critica al film —, che possiamo prendere ad esempio perché sta ottenendo molto successo, non c’è nulla di comico che non abbia avuto un collaudo secolare nelle farse, e nemmeno una battuta che non circoli da tempo nei licei e nelle caserme. C’è l’errore di persona, l'uomo che va in giro in mutande, la torta in faccia, il bagno collettivo, il sogno antico-romano. [...] Il film serve all’attore Totò per ripassarsi il suo catalogo, che è misto di lazzi piacevoli e di piccole volgarità gastro-sessuali. Quando Totò si ricorda di essere mimo, il suo gioco diventa leggero e arabescato, ma quando si ricorda di essere attore comico di rivista comincia coi doppisensi e diventa fastidioso».
Il manifesto, come il film, è interamente imperniato sulla figura di Totò, ritratto in abbigliamento da antico romano con il capo cinto di alloro (con evidente richiamo al sogno antico-romano del film e al fatto che i villeggianti lo vogliono proclamare imperatore di Capri). Lo sfondo è tipicamente caprese: una scalinata a picco sul mare dalla quale si scorgono i faraglioni e il mare blu. L'unico tenue richiamo all’intenzione satirica del film è l’atteggiamento altezzoso di Totò e il fatto ch’egli tiene al guinzaglio una gallina.
«Il Cinema», 1982
La lavorazione era prevista in cinquanta giorni”, racconterà Mario Castellani, “e il compenso forfettario in sei milioni. Carlo Ponti, che era allora il direttore esecutivo della casa cinematografica, mandò a chiamare Totò e gli fece la proposta di allungare il contratto a sessanta giorni e di girare due film invece di uno. Naturalmente, il compenso sarebbe stato maggiorato: dieci milioni. Totò accettò subito. Inutilmente io cercai di attirare la sua attenzione con gesti disperati, per suggerirgli di non firmare [...]. Quando uscimmo dallo studio di Ponti, Totò mi disse: ‘Cosa significavano tutti quei tuoi gesti?’. ‘Volevo farti capire’, risposi ‘che non ti conveniva accettare’. ‘E perché?’, si meravigliò Totò. ‘Ma perché hai fatto un cattivo affare’, replicai. ‘Dieci milioni per sessanta giorni di lavoro ti pare un cattivo affare? Ma dove ce l’hai la testa?’, mi aggredì. Rinunciai alla discussione, perché mi resi conto che Totò non avrebbe mai capito il mio punto di vista. Per me, i dieci milioni li avrebbe dovuti pretendere solo per il secondo film da girare con calma, in seguito. L’affare, infatti, lo fece Ponti, il quale da Totò cerca casa ricavò un guadagno di 150 milioni, cifra che gli servì per fondare la Ponti-De Laurentiis.
Giuseppe Grieco, "Il grande comico che abbiamo buttato via", «Gente», n. 9-10, marzo 1973
L'imperatore del kitsc - Totò, principe del cattivo gusto
Terzo appuntamento televisivo, stasera alle 21.30 sulla Rete uno, con Totò. Il film in programma è uno del più decenti della serie. L'Imperatore di Capri (1949), sceneggiato da Metz e Marchesi e diretto da Luigi Comencini. Proprio Comencini fu il primo regista italiano di un certo livello a voler cimentarsi con Totò. Fu cosi che Metz e Marchesi confezionarono su misura per il grande comico napoletano un abito narrativo che gli stava a pennello [...] Inoltre, Metz, Marchesi e Comencini hanno escogitato un’altra trovata piuttosto sensata, destinata ad avere un seguito in molti dei successivi film di Totò. Accanto all'attore troviamo per la prima volta sullo schermo, tutto il «bestiario» dell'avanspettacolo, con le tradizionali «spalle» di Toto già collaudate sul palcoscenici del varietà, da Mario Castellani a Galeazzo Benti, che diverranno inseparabili dunque anche al cinema.
Ma è la principale interprete femminile dell'Imperatore di Capri che desta più scalpore. Trattasi dell'attrice turca Yvonne Sanson, qui riproposta in tutta la sua paradossale volgarità, lontano dai melodrammi strappacore di Matarazzo con Amedeo Nazzari. E’ appunto la Sanson che conferisce al film di Comencini l’ambita patente di spettacolo consapevolmente kitsch, e ogni effetto esilarante, si può star certi, va a segno ben oltre le apparenze. Che dire di più? Forse si può aggiungere che L'Imperatore di Capri è senz’altro uno dei film di Totò destinati a durare negli occhi degli spettatori ancora per un pezzo, mentre non si può ritenere altrettanto degli altri titoli usciti in quello stesso periodo.
Il nostro comico spontaneamente surrealista è, infatti, già legato ad una triste realtà di mercato. Per «sfruttare il momento», agli albori degli anni '50 Totò lavora come in una catena di montaggio, a scapito non certo di se stesso, ma della generica qualità dei prodotti. Chissà, magari pensava già di avere soltanto un paio d’anni di successo sul suo cammino.
d.g., «L'Unità», 26 ottobre 1979
«Otto Totò» (rete 1 - ore 21,30) - «L’Imperatore di Capri», realizzato nel 1949, è il terzo film della serie dedicata al grande comico napoletano. La regia è di Luigi Comencini. Nel cast: Yvonne Sanson, Marisa Merli-ni, Nerio Bernardi, Galeazzo Benti e Pina Gailini. E’ la divertente storia del solito equivoco: Totò, semplice cameriere, scambiato per un ricco avventuriero sta per essere nominato, nel corso di un grandioso festino, «Imperatore di Capri». Molte belle donnine e molte risate.
«Il Piccolo di Trieste», 19 ottobre 1979
Era conosciuto nel jet-set internazionale
Totò e una bella donna: così se n'è andato via Caravita, l' «imperatore» di Capri
Fedele all'antica leggerezza, si descriveva da tempo come «un vecchio signore distinto, in lista d'attesa per l’Aldilà». E sperava che in tal modo, allo scoccare del suo turno, la morte gli avrebbe fatto cenno di seguirla senza troppo clamore, sussurrandogli in un orecchio il roboante nome: Francesco Caravita principe di Sirignano. O forse solo Pupetto, come lo chiamavano da sempre gli amici più cari. Ed è così che poi è andata. Al limitare dei novantanni, l'ultimo imperatore di Capri ha detto addio alla vita in compagnia d'una risata.
Aveva appena finito di vedere in tv «Fifa e Arena», un vecchio film di Totò (che in un'altra pellicola aveva imitato la «camminata caprese- del principe), quando il respiro gli è volato via dal petto. Di là, nella stanza accanto, erano già pronte le valigie per l'immancabile weekend nell'isola azzurra.
«Aveva 32 anni più di me — racconta Mario D'Urso, senatore di Capri e Sorrento, che con Pupetto ha condiviso mille avventure —, ma quando entravamo in un locale sembrava lui il più giovane. Pareva quasi che il suo avo, San Gennaro, gli avesse regalato l'elisir di lunga vita. E poi, via, chi non vorrebbe morire in quel modo? A 90 anni, sazio di vita, con a fianco una donna giovane e affascinante, e per di più dopo essersi goduto un bel film di Totò...».
Quale fosse il segreto del principe di Sirignano, capace di calamitare la simpatia del jet-set internazionale attraversando soavemente la storia di un secolo, è difficile scoprirlo. Molti indizi, comunque, sono nascosti nel suo libro di ricordi «Memorie di un uomo inutile», pubblicato dall'editore napoletano Fausto Fiorentino: scorrendo quelle pagine, infatti, si attraversa una galleria di personaggi che, fra gli anni Trenta e i Sessanta, un qualunque «uomo utile»* mai avrebbe incontrato, neppure vivendo dieci volte. Qualche nome: Liz Taylor, Yul Brinner, Brigitte Bardot, la regina Elisabetta, la principessa Margaret, Alberto Moravia, la stravagante miliardaria americana Barbara Hutton... e si potrebbe andare avanti, ancora a lungo.
«Era un uomo pieno di talento, ma soprattutto spiritosissimo — ricorda D'Urso —. Se non fosse nato principe, sarebbe stato un grande 'entertainer" sul modello di Frank Sinatra».
Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998
I documenti
Ecco una panoramica dettagliata delle edizioni in VHS e DVD del film L'imperatore di Capri con Totò, comprese le date di uscita, le caratteristiche tecniche e i contenuti speciali disponibili.
📼 Edizioni VHS
Fabbri Editori – Collana "Il Grande Cinema di Totò"
- Anno di uscita: Anni '90 (data precisa non disponibile)
- Caratteristiche:
- Audio in italiano
- Formato video 4:3
- Durata: 82 minuti
- Note: Distribuita in edicola, questa edizione presentava una confezione rossa con un'immagine in bianco e nero di Totò.
💿 Edizioni DVD
Cristaldi Film – Edizione 2008
- Anno di uscita: Febbraio 2008
- Caratteristiche:
- Audio: Italiano Dolby Digital 5.1 e Dual Mono
- Sottotitoli: Italiano per non udenti, Inglese
- Formato video: 4:3 (1.33:1)
- Durata: 82 minuti
- Contenuti extra:
- Aneddoti e curiosità
- Extra testuali
- Photogallery
- Trailer
- Note: Questa edizione è stata distribuita da Cristaldi Film e includeva materiali aggiuntivi per approfondire il contesto del film.
Fabbri Editori – Collana "Il Grande Cinema di Totò" (Versione da edicola)
- Anno di uscita: Data precisa non disponibile
- Caratteristiche:
- Audio in italiano
- Formato video: PAL, Regione 2
- Durata: 82 minuti
- Note: Distribuita in edicola, questa edizione presentava una confezione con un'immagine a colori di Totò.
CG Entertainment – Edizione DVD
- Anno di uscita: Data precisa non disponibile
- Caratteristiche:
- Audio: Italiano Dolby Digital EX 6.1 e Dual Mono
- Sottotitoli: Italiano per non udenti, Inglese
- Formato video: 4:3 (1.33:1)
- Durata: 82 minuti
- Contenuti extra:
- Trailer originale
- Cinegiornale “Capri: bagnanti pericolosi”
- Ricordo di Yvonne Sanson
- "C'era una volta Totò"
- Aforismi di Marcello Marchesi
- Galleria fotografica
- Locandina originale
- Recensioni
- Note: Questa edizione offre una ricca selezione di contenuti extra che approfondiscono la produzione e il contesto storico del film.
Binocolo personale di Totò utilizzato per una sequenza del film 'L'imperatore di Capri'
Pagina promozionale del film apparsa sul periodico 'Cinema', 1949
Spero di riuscire a divertire il pubblico e di fare, come regista, un'utile esperienza. Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini. trova la sua origine nel successo delle riviste. Non c'è da stupirsene. In tutto il mondo c'è oggi crisi del film comico. L'esperienza neorealista non ha ancora influito su questo genere. I produttori preferiscono battere la vecchia strada: ed è così che i nostri film comici raramente sfociano all'estero. [...] Il mio è un film con Totò; e Totò non è mai logico. È illogico. Rompe la batttuta. E non è mai un personaggio. Comunque lo si voglia rigirare. Totò rimane sempre se stesso, come ai loro tempi Ridolini o Buster Keaton. Una vicenda che abbia come protagonista Totò non può essere che la storia di Totò in rapporto a qualche cosa. Per questo preferirei che il mio film si chiamasse "Totò a Capri", come ieri ci fu "Totò al Giro d'Italia" e domani, poniamo, ci sarà "Totò palombaro".
Luigi Comencini
L'insicurezza del mercato straniero porta come conseguenza la tendenza a limitare le spese di costo, mentre un film comico dovrebbe [...] costare almeno quanto un qualsiasi film di normale impegno. Basta considerare che per un film comico bisogna girare, grosso modo, il doppio di inquadrature di un film drammatico se si vogliono ottenere e sfruttare effetti, movimento, eccetera. Naturalmente, queste osservazioni sono di carattere generale poichè, per mia fortuna, la Casa produttrice de L'imperatore di Capri, non vuol far la politica della lesina ad ogni costo.
Luigi Comencini
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Inferiore alla grande fama (**), vanta un Totò in forma, una Sanson torbida e turgida, alcuni attori qui di secondo piano destinati poi a celebrità. Conta su alcune trovate ironiche sul bel mondo del Dopoguerra e su una regìa di Comencini totalmente asservita al Principe (ma è cosa normale, quasi ovvia). Ha momenti di stanca (brutta la parentesi con la Merlini) e lungaggini, qua e là riscattate da trovate del protagonista, talora irresistibili. Il riferimento ai "fratelli dell'isola" mi pare un chiaro richiamo alla vita massonica del Principe.
- Cameriere viene scambiato per un ricco principe indiano, con conseguente catena di equivoci. Surreale, delirante, divertente, il film prende in giro i vacui ambienti chic e blasé di vip che si ritrovano a Capri. La storia è un nulla, e Totò è tutto, come accade quasi sempre, ma in questo caso il gioco continuo delle invenzioni del presunto principe riesce a dare un pizzico di brio in più rispetto ai soliti canovacci, anche per un certo gusto satirico nei confronti di una specifica classe sociale.I gusti di Pigro (Drammatico - Fantascienza - Musicale)
- Per una serie di equivoci, un modesto cameriere viene scambiato per un principe orientale ricchissimo in vacanza a Capri in incognito, così che tutte le sue stranezze vengono subito imitate dagli altri villeggianti come atteggiamenti snob... Gran successo all'epoca, è un film a corrente alternata per la presenza di momenti di stanca accanto a gags fulminanti che prendono di mira le manie modaiole. Accanto a Totò in gran forma, il solito Castellani, le opime bellezze di Sanson e Merlino ed uno stuolo di caratteristi di valore. Regia invisibile di Comencini, qui ancora ad inizio carriera.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La linguaccia scambiato per un modo innovativo per scambiare saluti.
- Grande successo del Principe indiscusso della risata. Diretto molto bene da Comencini, che conferisce un buon ritmo alla vicenda, con alcune gag e battute passate alla storia. Tra le altre "Lo comunico subito a tutti i fratelli dell'isola", "Mi faccia una cortesia: lo comunichi pure alle sorelle"). Totò è in forma smagliante e così il resto del cast, a partire dal sempre ottimo Castellani passando a Giuffrè e Benti. Un classico.
- Certamente non il miglior film di Totò. Però lui da sempre dà la dimostrazione di essere un'artista di alto livello, specialmente quando improvvisa. La storia non lo supporta del tutto, a tratti anzi è anche noiosetta. Aldo Giuffrè che fa l'arabo fa sorridere, così come il cognato-bambino.
- Girandola di equivoci e situazioni divertenti gestita al meglio da Comencini, che riesce a girare un film con Totò farsesco ma non privo di trovate e di una sceneggiatura. Affiancato dal sempre ottimo Castellani e da una serie di brillanti attrici e caratteristi, Totò dà il meglio di sé, scambiato per principe indiano e quindi coinvolto in varie situazioni divertenti, che provocano spesso la risata. Bene ritmo e colonna sonora. Da non perdere.
- Sono talmente tante le invenzioni di situazioni, trovate e battute memorabili, che il film ha fatto scuola per i tanti a venire e che hanno provato a cavalcare questo genere. Apparentemente semplice, perché tutti recitano bene il loro ruolo e la storia scorre senza essere irritati dall'assurdità della storia (che poi mette solo in chiave surreale una realtà che esiste ed è esistita); anzi, ci si diverte molto, in un ritmo che non lascia spazi morti. Totò è formidabile e sforna tutto il suo repertorio di battute ed espressioni con grande eleganza.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: ...Oggi bisogna essere eccentrici, futili... fatti futilizzare!
- Diretto da Comencini come pegno a Ponti dopo il tonfo commerciale di Proibito rubare, il film ha un solido impianto, risultando però decisamente lacunoso nel ritmo, discrasia da addebitare presumibilmente alla cattiva amalgama tra l'eleganza formale del Regista milanese e la scrittura "aerea" di Metz-Marchesi. Resta tuttavia un robusto Totò-movie, seminale sia per la antologica scena degli snob capresi che per ulteriori longeve (poi rielaborate) gag linguistiche: Siamo uomini o Caporali; ho fatto 3 anni di militare a Cuneo... Curiosa la Sanson fascinosa.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il terribile, odiosissimo bambino-cognato Basilio interpretato da Lino Robi.
- La classica commedia basata sugli equivoci, lo scambio di persona e i doppi sensi. Totò se la cava alla grande e riesce a rendere frizzante un copione esile e ampiamente sfruttato nel genere. Tutti i comprimari, da una bravissima Pina Gallini al fido Castellani, contribuiscono positivamente a non far arenare il film su binari morti. Riuscita la rivisitazione satirica del turista medio che imita il vip di turno qualunque cosa egli faccia, senza chiedersi se sia giusto o sbagliato. Divertente dall’inizio alla fine.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L’incontro con la baronessa Von Krapfen.
- Uno dei migliori tra i Totò più "alimentari": non immune da volgarità di grana grossa per l'epoca (Castellani che parla "col pisello", Elena "di Troia") ma tenuto in piedi da un protagonista in gran spolvero e dal singolare umorismo macabro di alcune trovate (l'ipnosi, il profeta invasato, la baronessa necrofila). Buon ritmo e finale vorticoso. Da recuperare.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Castellani spiega a Totò come trattare le donne: "Con una rosa in una mano e lo scudiscio nell'altra".
- Altro Totò d'annata, forse un pochino sottostimato ed invece davvero godibile, con una storia caprese che è quasi un lungo prologo in bianco e nero dello spezzone in Ferraniacolor ambientato a Capri del successivo Totò a colori (1952) di Steno. Bravi tutti i comprimari (Yvonne Sanson - con la sua vera voce: una volta tanto non è doppiata da Dhia Cristiani - Bernandi, Benti, Marlini, Gore, Mangini, Castellani, Giuffré...).
- Un buon film, questo di Comencini, che dirige Totò solo in questa occasione. Un film che conserva freschezza e originalità e che vanta una coerente base narrativa incardinata sul millenario espediente dello scambio di persona, in cui Totò esprime al meglio il collaudato catalogo della sua fragorosa comicità fatta di lazzi, smorfie, giochi linguistici e qualche salace volgarità. Nessun impegno sociale per Comencini ma tanta spensieratezza nel prendere in giro con mano leggera l'ambiente vacuo e fatuo dei ricchi vacanzieri di Capri. Molto divertente.
- Un piacevolissimo filmetto, girato con mestiere da Comencini. Totò vi è protagonista assoluto, ottimamente spalleggiato da attori di vaglia (Castellani, Benti e la Gallini su tutti). Le tante belle donne del cast, per una volta, non sono solo una presenza di contorno. La grande quantità di battute e gag, oltre che dall’estro del Principe, è assicurata dalla sceneggiatura firmata da umoristi di prim’ordine quali Metz e Marchesi.
Le incongruenze
- Quando Totò arriva a Capri col motoscafo del Bhey, fate attenzione alla scena in cui si trova in mare aperto e per poco non investe una canoa... Bene, se fate attenzione si vede che dalla poppa della canoa parte una corda, che è tesa: quindi la canoa è legata a un porto e non ha corso alcun pericolo, e la scena non è stata girata al largo, ma presso un porto!
- Durante la colazione a casa sua Totò ha all'occhiello della giacca un fiore. Esso cambia più volte posizione: una volta si vede lo stelo che sporge sotto il bavero, una volta è sporgente il fiore.
- Totò chiama a casa e appena ha finito di comporre il numero dice "pronto", senza aspettare il tempo necessario per gli squilli.
- Totò al telefono con il cognato gli spruzza dell'acqua attraverso il telefono. Ammesso che ciò sia volutamente irreale, seguendo la logica del film c'è da dire che immettendo l'acqua dalla parte del telefono dove lui parla dovrebbe arrivare nella parte auricolare del cognato, viceversa arriva nella parte dove parla il cognato.
- Durante il viaggio in motoscafo il volante si stacca e rimane nelle mani di Totò, ma poco dopo torna misteriosamente a posto.
- Quando il facchino fa cadere la borsetta con il serpente ci sono due elementi discordanti: 1) benché sia caduta essa rimane in piedi per terra; 2) benché si sia aperta, facendo fare capolino al serpente, quando il facchino la raccoglie essa è già tappata ed egli si limita a chiudere solo la cinghia.
- L'uomo che dovrebbe essere Totò che viene picchiato e catapultato fuori dalla camera di Sonia ha i capelli spettinati, mentre quando Totò si alza in piedi ha i capelli perfettamente allisciati e ingelatinati.
- Dopo che Totò è stato picchiato da Sonia, rientra in camera con Asdrubale. I due entrano, superando interamente la porta già nell'inquadratura da fuori, ma ripetono la stessa operazione anche nell'inquadratura interna.
- Appena il serpente esce dalla borsetta lo si vede già entrare nella sala da bagno. Tuttavia la sala da bagno non è vicina affatto alla posizione della borsetta, quindi il rettile avrebbe impiegato più tempo per fare quel tragitto e per altro sarebbe stato visto da Asdrubale che era davanti al tragitto che il serpente avrebbe dovuto fare.
- Il serpente che Totò scambia per il tubo nella vasca è palesemente un pezzo di plastica.
- Totò, urlante, esce dalla vasca ed indica il bagno come luogo dove c'è il serpente. Asdrubale si accerta, entrando nel bagno, ma ne riesce facendo notare l'assenza del rettile. In questo momento Totò risponde allora che il serpente non è più lì perché lo aveva lanciato verso il letto (fa il gesto con la mano). Allora perché prima aveva indicato il bagno, se già sapeva che lì il serpente non c'era più?
- Ad un cero punto il serpente (vero) si arrotola sulla ruota dei numeri del telefono, ma un attimo dopo il serpente (finto) è allungato sulla cornetta.
- Quando Dodo si presenta a Totò tiene per le zampe una gallina nei campi lunghi, mentre la tiene per il collo nel primo piano dell'animale.
- Per tutto il tempo (una diecina di minuti) in cui Totò tiene il serpente sul cappello, esso non si muove nemmeno di un millimetro, svelando la falsità dell'animale.
- Totò racconta ad Asdrubale di aver incontrato un pazzo con una gallina "sulle spalle", ma in realtà Dodo la gallina l'aveva in braccio.
- Nel prologo si dice che Emanuele è una "brasiliana", ma il suo idioma è un misto italo-spagnolo, poco credibile per una brasiliana.
- Emanuela spiega a Totò che il marito non la lascia mai sola, eppure in tutte le scene in cui è stata ripresa fino ad allora era sempre con una amica, il marito non si era mai visto.
- Durante la notte Totò ha molte visite. Dopo l'entrata di ciascuno nella stanza, la porta rimane sempre aperta, ma dopo poco la si ritrova sempre chiusa.
- Emanuela lancia addosso al marito in sequenza: un libro, un vaso ed un piatto. Quando si vede il marito, esso riceve addosso prima il piatto e poi il libro.
- Ad un certo punto sul letto ci sono molte persone che lottano lanciandosi i cuscini, ma spesso i cuscini, che vengono lanciati, provengono da dietro la telecamera, dove non c'è nessun personaggio del film.
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L'albergo in cui lavora Antonio (Totò) è l'Excelsior, in Via Partenope 48, a Napoli. L'Excelsior è quello a destra.
Il porticciolo in cui Antonio (Totò) aziona maldestramente il motoscafo che si dirigerà a Capri è quello di Borgo Marinari, a Napoli. La freccia indica la posizione del motoscafo.
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Ponti Carlo (Fortunato Pietro)
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Totò e... Mario Castellani
Totò, une anthologie (1978)
Ucci Tony (Antonio)
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Una vecchietta decretò il successo di Yvonne Sanson
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Luigi Comencini, Infanzia, vocazione, esperienze di un regista, Baldini & Castoldi, Milano 1999, p. 72
- Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «Cine Sport», 14 febbraio 1949
- «Cinema», 15 agosto 1949
- «Oggi», 15 settembre 1949
- Vittorio Bonicelli, «Tempo», n.39, Milano, 24 settembre 1949
- Controcopertina del periodico «Cinema», 30 novembre 1949
- vice, «La Stampa», 3 gennaio 1950
- lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 21 gennaio 1950
- c.tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 25 gennaio 1950
- E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 25 gennaio 1950
- f. d., «Il Giornale d'Italia» 25 gennaio 1950
- al. or., «Pese Sera», 26 gennaio 1950
- Guido Aristarco - «Cinema» n.31 del 30 gennaio 1950
- Ennio Flaiano, «Il Mondo», 4 febbraio 1950
- Edoardo Bruno, "Sette giorni a Roma", «Film», 4 febbraio 1950
- Angelo Solmi, «Oggi», 7 giugno 1951
- «Il Cinema», 1982
- Giuseppe Grieco, "Il grande comico che abbiamo buttato via", «Gente», n. 9-10, marzo 1973
- d.g., «L'Unità», 26 ottobre 1979
- «Il Piccolo di Trieste», 19 ottobre 1979
- Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998