L'imperatore di Capri
Elena di Troia. Troia, Troia... questo nome non mi è nuovo.
Antonio De Fazio
Inizio riprese: luglio 1949, Esterni Capri (Na), interni Stabilimenti Titanus, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 7 dicembre 1949 - Incasso Lire 436.500.000 - Spettatori 4.546.875
Titolo originale L'imperatore di Capri
Paese Italia - Anno 1949 - Durata 90 min - B/N -Audio sonoro - Genere comico/commedia - Regia Luigi Comencini, Soggetto Teresa Ricci Bartolini, Gino De Santis - Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Luigi Comencini - Produttore Carlo Ponti, Fotografia Giuseppe Caracciolo - Montaggio Otello Colangeli - Musiche Felice Montagnini - Scenografia Carlo Egidi - Costumi Anna Maria Fea
Totò: Antonio De Fazio - Laura Gore: Lucia, la moglie - Pina Gallini: la suocera di Antonio - Yvonne Sanson: Sonia Bulgarov - Marisa Merlini: la baronessa von Krapfen - Alda Mangini: Emanuela - Piero Tordi: il marito di Emanuela - Mario Castellani: Asdrubale Stinchi - Nerio Bernardi: Osvaldo - Galeazzo Benti: Dodo della Baggina - Lino Robi: Basilio, il piccolo cognato di Antonio - Nino Marchetti: il profeta Geremia - Enrico Gori: il maggiordomo - Aldo Giuffrè: Omar Bey Khan di Agapur - Toni Ucci: Pupetto Turacciolo - Gianni Appelius: Bubi di Primaporta - Giovanni Onorato: il centurione - Maria D'Ayala - Maria Teresa Cesari - Lilo Weibel
Soggetto
Antonio De Fazio lavora come cameriere in un albergo napoletano. Un'ospite dell'hotel, Sonia Bulgarov, scambiandolo per il Bey Khan di Agapur, l'uomo più ricco del mondo, gli dà un appuntamento. Viene così invitato, insieme a un suo amico anche lui residente dell'hotel, a Capri, dove, creduto anche qui il Bey, riceve le attenzioni della gente più chic dell'isola che fa di tutto per imitarlo e "aggiudicarselo": oltre a Sonia, le cui scelte sono decise dal suo losco marito Osvaldo che la ipnotizza, ci sono la baronessa tedesca necrofila Von Krapfen e la sensuale chitarrista Emanuela. Totò dovrà affrontare varie peripezie sull'isola e a minacciare di rovinare ogni cosa sarà l'arrivo di sua moglie e sua suocera, ma il lieto fine è assicurato.
Critica e curiosità
Carlo Ponti, produttore esecutivo della Lux, contattò Totò per girare L'imperatore di Capri in sette settimane; in realtà, per la realizzazione della pellicola ne furono sufficienti tre: essendo quindi libero per un mese, il comico napoletano fu convinto dallo stesso Ponti a girare un altro film (Totò cerca casa), dove ritrovò sul set l'interprete di Emanuela, Alda Mangini, scritturata stavolta per il ruolo di sua moglie.
Così la stampa dell'epoca
L'esperienza nel drammatico Yvonne La Nuit non influisce sulle quotazioni di Totò. Il successo dei film girati con Mattoli è invece determinante. L'attore comincia a ricevere più richieste di quante ne possa soddisfare: gli propongono tre parodie, una letteraria (I tre moschettieri) e due cinematografiche (Duello nel sale e Via col mento!, ma scegli infine un progetto diverso, L'imperatore di Capri, forse solo perché la lavorazione si svolgerà quasi tutta sulla sua isola preferita. Il regista è Luigi Comencini che, uscito con le ossa rotte dall'esordio Proibito rubare, viene praticamente costretto dal produttore Ponti a girare la «totoata». [...]
di Alberto Anile
Il Principe Antonio de Curtis, o meglio Totò, è oggi l'attore più pagato. E’ diventato il principe degli schermi e delle scene. Ben tre film da lui interpretati si sono proiettati e continuano a proiettarsi contemporaneamente sugli schermi romani, mentre egli stesso calca le tavole del palcoscenico del «palazzo Sistina» nella rivista «Bada che ti mangio», ritoccata in molti punti perché già presentata l'anno scorso.
Le avventure di Totò, sia alla ricerca di una casa, sia alla presa con i banditi della kasbah, sia imperatore delle gang capresi sono bene accette al pubblico che accorre di buon grado a vederle.
Ma fino a quando durerà questo fenomeno? Il repertorio di Totò è ormai completamente conosciuto, Eppure il multiforme principe napoletano sta girando attualmente «Napoli milionaria» dall'omonima commedia di Eduardo De Filippo che oltre ad esserne l'autore e anche il regista e interprete. Ha, inoltre, firmato quattro contratti per altrettanti film rifiutandone ben 15.
Prevedere fin da oggi se questi film riusciranno a far ridere è avventato per non dire difficile. Il pubblico ha imparato a conoscere al primo accenno di ormai visti motivi comici di Totò. I soliti lazi e sberleffi che hanno tipizzato il mimo napoletano, come comico a tutti i costi, sono ormai superati. Le torte in faccia e le battute in vernacolo hanno fatto la loro epoca. Si deve cercare di sviluppare le vere doti cinematografiche di Totò le cui risorse sono state finora solo in parte valorizzate come, ad esempio, in «Yvonne la nuit».
Batteranno questa strada le nuove produzioni? Speriamo di sì, in modo da poterci augurare un aumentato livello artistico di questi film punto in ogni caso, Totò continua a mietere milioni. Ventitre si dice per «Napoli milionaria» e 200 in totale per i prossimi quattro film. Noi ci accontentiamo di poter ridere, senza però ancora sentire «siamo uomini o caporali?»…
«Cine Sport», 14 febbraio 1949
ANNO DOPO ANNO, le estati si susseguono e puntualmente compaiono nelle terze pagine dei giornali gli articoli sull' «isola meravigliosa», l' «isola di sogno», eccetera, cioè su Capri E' il pezzo d'obbligo estivo che, a Quei 999 millesimi di italiani che non sono mai stati a Capri, narra le straordinarie bellezze e, soprattutto, la favolosa vita dei nababbi che villeggiano nell'isola. Sulla scorta di quegli articoli, i lettori ignari immaginano, nel quadro di un paradiso terrestre, una vita affascinante, fuori di ogni regola; un luogo d'incanto popolato di donne meravigliose e di illustri personaggi che sono per lo meno sultani e principi. In realtà, Capri non è cosi; e Luigi Comencini, iniziando in questi giorni le riprese de L’imperatore di Capri vuole in certo modo fare, attraverso un film comico, la satira di questa immagine illusoria.
Luigi Comencini è uno dei più giovani e più recenti registi del nostro cinema. Come Alberto Lattuada, col quale allestì nel 1940 la Mostra del Cinema presso la Triennale di Milano, è laureato in architettura. Diresse il suo primo film, Proibito rubare, l'anno scorso; e vi si dimostrò attento e talvolta arguto osservatore della vita. L'imperatore di Capri sarà un film di tono completamente diverso. Un film comico, con Totò protagonista; un film nella tradizione dei film comici italiani.
«Spero — dice Comencini — di riuscire a divertire il pubblico e di fare, come regista, un'utile esperienza. Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini, trova la sua origine nel successo delle riviste. Non c'è da stupirsene. In tutto il mondo c'è oggi crisi del film comico. L'esperienza neorealista non ha ancora influito su questo genere. I produttori preferiscono battere la vecchia strada; ed è cosi che i nostri film comici raramente sfociano all'estero. L'insicurezza del mercato straniero porta come conseguenza la tendenza a limitare le spese di costo, mentre un film comico dovrebbe invece costare almeno quanto un altro qualsiasi film di normale impegno. Basta considerare che per un film comico bisogna girare, grosso modo, il doppio di inquadrature di un film drammatico se si vogliono ottenere e sfruttare effetti, movimento, eccetera. Naturalmente, queste osservazioni sono di carattere generale poiché, per mia fortuna, la Casa produttrice de L'imperatore di Capri, non vuol fare la politica della lesina ad ogni costo».
Quando han saputo che Comencini avrebbe diretto un film comico, i suoi amici si sono stupiti. Ma Comencini è tranquillo, Certo, per temperamento e per cultura, egli sarebbe semmai portato a fare un film che risultasse comico per le situazioni e non per le battute e le smorfie; un film cioè che, se riuscito, avrebbe probabilità di successo anche presso gli stranieri; ma i tempi evidentemente non sono maturi per l'innesto del realismo nel comico. E cosi Comencini farà un film "falso", nel senso che il film comico inteso nella vecchia maniera non ammette né personaggi, né situazioni né ambienti "veri". I personaggi sono parodie di personaggi e gli avvenimenti trovano giustificazione in una loro logica tutta particolare. Di più, ne L’imperatore di Capri, c'è Totò protagonista.
«Totò — osserva Comencini — non è mai logico. E' illogico. Rompe la battuta. E non è mai un personaggio. Comunque lo si voglia rigirare, Totò rimane sempre se stesso, come ai loro tempi Ridolini o Buster Keaton. Una vicenda che abbia protagonista Totò non può essere che la storia di Totò in rapporto a qualche cosa. Per questo preferirei che il mio film si chiamasse Totò a Capri, come ieri ci fu Totò al Giro d'Italia e domani, poniamo, ci sarà Totò palombaro».
«Cinema», 15 agosto 1949
È cominciata per Totò una intensa stagione cinematografica. Dopo averci preparato in silenzio la grande sorpresa di un film “serio", la famosa maschera napoletana si è affidata alla fredda causticità di un giovane regista per realizzare la satira dell’isola delle follie balneari
Luigi Comencini è il giovane regista che ha realizzato, circa un anno fa, quel piccolo pezzo di bravura che si intitolava Proibito rubare. Dico « pezzo di bravura » per ragioni obiettive (era un ottimo film) e subiettive (era un film pervaso di cattolicesimo meridionale, assai lontano dalla vera natura dell'autore nordico e protestante).'Ora Comencini salta addirittura il fosso e mette insieme — lui taciturno, malinconico, austero — nientemeno che una farsa cinematografica: L'imperatore di Capri. Ma la metamorfosi è soltanto apparente. Un film comico è una specie di macchina, che va montata pezzo per pezzo, con quel freddo estro e con quella padronanza tecnica dei mezzi che Comencini, appunto, possiede. Questo film, sebbene poco impegnativo, e realizzato con mezzi relativamente modesti, potrà in ogni caso dimostrarci come possa l’intelligenza vivificare una materia grossolana e sorda.
L’imperatore, naturalmente, è Totò. Dire Totò e dire Capri è ormai la stessa cosa. Morto Axel Munthe, l’innamorato numero uno dell'isola ò Totò, ovverosia il principe Antonio De Curtis.
Il sogno umano di questo attore lo conoscono tutti: ritirarsi un giorno dai palcoscenici, costruirsi una grande villa al cospetto dei Faraglioni (una specie di palazzo di Tiberio o di San Michele) e là regnare — un po’ per ridere, un po' sul serio — in un tenero, quieto crepuscolo, indorato dalla celebrità. Bisogna convenire che a nessuno più che a lui spetta, se non l’impero, il governatorato.
Questo è il sogno. Il film, si capisce, è un'altra cosa. L'imperatore del film è un paradossale cameriere napoletano, imperatore malgré lui, il quale muove la sua storia assurda a colpi, strappi e sussulti, come una folle e vorticosa macchina di fuochi d’artificio. La tecnica è quella tradizionale: il riso è suscitato dall'esterno, in un gioco puramente visivo, ossia col particolare solletico dell'irrazionalità: torte in faccia e motoscafi che si sconquassano, situazioni invertite, personaggi trasposti sul piano della caricatura. Vi è un importante elemento di attualità, che potremmo definire la satira dei costumi capresi. Un film come questo non poteva non farsi beffa delle stravaganze e dei vizi che, veri o falsi, hanno contraddistinto Capri nel dopoguerra. Gli spettatori a un certo momento crederanno addirittura di identificare taluni caratteristici personaggi di Capri, che un recente giornalismo scandalistico ha divulgato; ma davanti al tradizionale avvertimento «qualsiasi riferimento a persone e luoghi è puramente casuale ecc.» ogni sospetto dovrà cadere. Speriamo che cada; e che non ci induca invece in tentazione, invogliandoci a una ricerca più piccante.
La lavorazione del film è durata poco più di un mese. Molto sbrigativo, dunque. Girato in pieno agosto (è terminato appena una settimana fa) ha richiesto alla troupe una fatica immensa. Persino il serpente scritturato da Comencini per una certa scena è morto; ed è stato molto difficile sostituirlo, perché quello era buono e Totò s'era abituato a prenderlo in mano. Finalmente, dopo avere spedito il trovarobe in Abruzzo (che strano mestiere), il sostituto fu trovato. Ma mori anche questo, prima che si fossero stabiliti rapporti di amicizia con la troupe; e si dovette terminare il film con un terribile serpente di gomma.
L’interpretazione di Totò è stata più rigorosa del solito, poichè Comencini ha fatto il possibile per contenere la sua estrosità di origine teatrale entro, i canoni del ritmo cinematografico. Questa è davvero la grande stagione cinematografica di Totò. In meno di sei mesi, quattro film: tre comici e uno serio. Proprio cosi: Totò ha interpretato un film drammatico. È la grande sorpresa della stagione. Il titolo di questo film è Yvonne la nuit; regìa di Giuseppe Amato e partecipazione di Olga Villi. Il secondo film è L’imperatore di Capri. Il terzo è cominciato or ora: Totò cerca casa, di Steno e Monicelli. Il quarto sarà Totò le mokò di Bragaglia.
Vittorio Bonicelli, «Tempo», n.39, Milano, 24 settembre 1949
Controcopertina del periodico «Cinema», 30 novembre 1949
Totò ha già interpretato molti film e impegnato parecchi registi, mail suo film, il suo regista, non l'ha ancora trovato. Un film, intendiamo dire, che non sia composto degli scampoli delle sue riviste; un regista che non riceva bell'e fatta, ma elabori la sua comicità. L'imperatore di Capri è ancora una grossa e incondita farsa dove il mimo squaderna nel vuoto i suoi lazzi e le sue freddure; più che un film, una divulgazione fotografica del suo più recente e fortunato repertorio teatrale. [...] Yvonne Sanson, Marisa Merlini, Alda Mangini e Laura Gore, tengono bordone allo spassoso protagonista.
vice, «La Stampa», 3 gennaio 1950
Molti si divertono assistendo alla proiezione de «L'Imperatore di Capri». E‘ un dato di cronaca da registrare, come si registrano gli applausi dopo una commedia nuova: è chiaro che il film cerca un suo pubblico e che lo trova, (tutti i film cercano un pubblico, non tutti lo trovano). La circostanza che sia una pellicola con Totò spiega che si tratta di un film di Totò; un attore come questo non sopporta regista, ciò che fa gli appartiene. Il possesso dell'«Imperatore di Capri» non lo onora gran che: è una farsa-scossa tellurica, ad elevata tensione, una fracassona farsa che lascia sconcertati.[...] «L'Imperatore di Capri» tenta una satira. Se la satira fosse riuscita, ne sarebbe venuto un film, sui costumi del tempo, con obiettivo azzeccato. Non è riuscita, o è riuscita solo in qualche tratto: il resto è d’una comicità volgaruccia e abusata, in cui il salace prevale. Qualche episodio (la corsa del motoscafo pazzo, la rissa chiassosa sotto il baldacchino del letto) riconduce al film allegri ante-prima-guerra: qualche altro arieggia la faceta assurdità di «Hellzapoppin». L'insieme, che è stato diretto dal giovane regista Luigi Comencini, il quale ha al suo attivo un degno film «Proibito rubare», non risente di regia alcuna: a parte i meriti puramente decorativi di Yvonne Sanson e di Marisa Merlini, il succo del film sta nella sghignazzata tipica di Totò, con esposizione di lunghissimi denti. A me non piace, quella sghignazzata: sa di sconcio.
lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 21 gennaio 1950
E' chiaro che i produttori sanno quel che si fanno; producono dei film melensi, e lo sanno, realizzano le scempiaggini più smaccate e lo sanno, non solo, ma lo fanno apposta. Siccome le sciocchezze non pagano dazio, è giusto che essi ne introducano a staia, senza parsimonia. E' giusto, perchè alla fine della giornata le lirette che sono entrate nella cassa sono tante quanta è la beozia di quelli che l'hanno versate. Non si può dire che questo «Imperatore di Capri», che ha per protagonista Totò, sia peggiore di tanti altri del genere. Si può soltanto dire che il pubblico che lo ha gustato, non è migliore di quello che ha gustato le altre edizioni affini. Anzi, è sempre lo stesso. Chiodo scaccia chiodo e filmi scaccia film, e dopo slamo più poveri di prima. Però: pubblico così, risa abbastanza nutrite, spirito introvabile, regia da due un soldo. Tutto sommato però abbiamo torto noi, e ha ragione la Lux. Essa serve la clientela che ha sulla piazza. E poiché a quella van preferiti codesti zibaldoni senza spirito e senza vena, fa benissimo a smaltire questa roba. Rientra qualche milione nelle casse dei produttori che — speriamo — debbano servire a fare quei film che non sempre il pubblico apprezza. Solo in virtù di questa considerazione, ci consoliamo e speriamo in tempi migliori...
c.tr. (Carlo Trabucco), «Il Popolo», 25 gennaio 1950
Suggerito da un divertente quadro di rivista, questo film vorrebbe essere non tanto una parodia della Capri estiva, quanto della leggenda che si è creata intorno a alle bizzarrie di qualche suo ospite. Leggenda piuttosto inconsulta che travisa scioccamente la realtà e che tende a fare di una delle più incantevoli e serene isole del mondo un infrequentabile luogo di vizio e di sciagurataggine. Tolte infatti poche inquadrature paesaggistiche, quello che si vede ha poco o nulla a che fare con la vera Capri generalizzando con farsesca e deformante eccessività episodi e tipi trascurabili sui quali si è fin troppo speculato. [...] Se fosse stato trattato con mano più leggera e, soprattutto, con più gusto, lo spunto avrebbe potuto dar i luogo ad una saporita farsa; cosi come Luigi Comencini l'ha svolto oscilla fra il grottesco e il volgare. Ma fra il pubblico c'é anche chi si compiace del grottesco e del volgare. Ma fra il pubblico c'è anche chi si compiace del grottesco e del volgare. A fianco di un Totò in tono minore appaiono Alda Mangini, Yvonne Sanson, Marisa Merlini, Laura Gore, Nerio Bernardi, Galeazzo Benti, Enrico Glori.
E.C. (Ermanno Contini), «Il Messaggero», 25 gennaio 1950
Luigi Comencini, come Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, è arrivato alla regia dalla critica: e da una critica attenta volta a creare una seria coscienza del problema filmico, un movimento culturale e artistico: il suo nome è peraltro legato alla Cineteca Italiana e alla Mostra del Cinema organizzata, nel 1940, dalla Triennale di Milano. Tutta una attività, questa, che non si può conciliare con l'indirizzo e i risultati di L'imperatore di Capri (1949). Le ragioni che hanno condotto Comencini ad una simile esperienza pratica, sono soprattutto da ricercarsi sul piano di una organizzazione produttiva, la quale in genere "controlla", più o meno opportunamente, i registi e in particolar modo coloro i quali sono ai primi contatti diretti con la macchina da presa. Tali "controlli" che, si intende, riguardano i film a soggetto e non i cortometraggi, nel caso di L’imperatore di Capri sono stati probabilmente più rigorosi che non per Proibito rubare (1948); e, certo, in seguito all'insuccesso commerciale di questa prima opera diretta da Comencini. La quale, invero neppure artisticamente notevole, parte comunque da un nobile assunto e, presa nel suo insieme e con tutti i suoi difetti, ha un suo valore, è indicativa di certe possibilità riscontrabili, ad esempio, nella sequenza degli "scugnizzi” che rubano la borsa degli orologi: i ragazzi sono visti con occhio attento e sensibile, come nel poetico documentario Bambini in città, realizzato dallo stesso regista nel 1946, prima di sceneggiare il Daniele Cortis di Mario Soldati (1947).
Nessuna orma di valori umani ed espressivi lascia invece intravedere L'imperatore di Capri. Sembra quasi che, al suo secondo film a soggetto, Comencini abbia già alzato le braccia; ma forse è più giusto pensare che egli, piuttosto che rimanere inattivo, abbia accettato di dirigere un’opera non rispondente alle sue possibilità e al suo gusto, e il cui probabile successo commerciale gli potesse permettere però un’ulteriore attività di ben altro livello e natura. E del resto i sintomi del suo stato d’animo trovano una documentazione abbastanza chiara in una intervista, pubblicata proprio da Cinema, nella quale egli metteva in evidenza come il film comico italiano, nato sulla base di una macchina per far quattrini, trovi la sua origine nel successo delle riviste, e come l'esperienza neorealistica non abbia àncora in fluito su questo genere in quanto i produttori preferiscono battere la vecchia strada.
Egli concludeva, pertanto, che il suo film sarebbe stato "falso" nel senso che, sulle tracce della vecchia maniera, non avrebbe ammesso né personaggi, né situazioni, né ambienti "veri”, ma soltanto parodie (Cinema, anno II, numero 19, 31 luglio 1949). In queste dichiarazioni sono già i limiti entro i quali L'imperatore di Capri si muove, e, nello stesso tempo, la condanna del film. Il povero cameriere napoletano e la moglie, la suocera oppressiva e il cognato sfruttatore, il Bey di Agapur e la fatalissima Sonia, la contessa tenebrosa, il maggiordomo geloso e gli ambienti stravaganti di Capri, cosi come vengono presentati, appartengono infatti al teatro cosiddetto minore; cioè alla rivista e non al vero cinema comico, alla parodia da avanspettacolo o da vignetta umoristica e non alla satira critica.
Del resto qualcosa di simile a L’imperatore di Capri era stato precedentemente portato sul palcoscenico di varietà, proprio da Totò: il quale, osservava sempre Comencini nell'intervista accennata, non è logico, ma illogico, rompe la battuta, non è mai un personaggio: comunque sia, ci sembra affatto discutibile che una «vicenda la quale abbia protagonista questo attore non possa essere che la storia di Totò in rapporto a qualcosa ». Questo accade, come appunto in L’imperatore di Capri e in tutte le altre pellicole interpretate da Totò, quando il regista rinuncia ad ogni sua personalità, e non si adopera a contenere l'esuberanza degli attori in rapporto diretto all’economia artistica dell’opera che intende creare.»
Guido Aristarco - «Cinema» n.31 del 30 gennaio 1950
Ritratto involontario
I film comici italiani affascinano per il ritratto involontario che offrono della società che li esprime e li applaude. Dopo aver riso ci si accorge che non c’era niente da ridere, e si resta come chi per noia ha sfogliato una vecchia annata di giornale umoristico: sorpresi di constatare che un certo pubblico si diverte ostinatamente con gli stessi motivi. Nell’Imperatore di Capri (film interpretato da Totò e diretto da Luigi Comencini e che possiamo prendere ad esempio perchè sta ottenendo molto successo) non c'è nulla di comico che non abbia avuto un collaudo secolare nelle farse, e nemmeno una battuta che non circoli da tempo nei licei e nelle caserme: si equivoca su Elena di Troia e ci si ammazza di risate con le smorfie dell’invertito. C’è l’errore di persona, l’uomo che va in giro in mutande, la torta in faccia, il bagno collettivo, il sogno antico-romano. Manca, è vero, la scena dell'inseguimento del protagonista, ma in compenso c’è una scena in cui il protagonista, su un motoscafo che non sa guidare, insegue dei pacifici bagnanti. Mancano lo zio sordo e il tenore sfiatato ma non mancano la focosa brasiliana, la slava incantatrice, la suocera che non perdona.
[...] Quando Totò si ricorda di. essere mimo, il suo giuoco diventa leggero e arabescato, ma quando si ricorda di essere attore comico di rivista comincia coi doppisenso e diventa fastidioso. La sua faccia può esprimere la disinteressata intelligenza del clown o la grossolana, impudica sensualità del servo sciocco; ed è un vero peccato che egli preferisca insistere su questo rovescio della sua medaglia. Quanto alla comicità che ormai ci aspettiamo dai film italiani, non è certo quella che giuoca sui contrasti umani sulla incompatibilità tra individui e società, non è la comicità di Charlot o di René Clair, e nemmeno di Buster Keaton, l’impassibile. E' una comicità fragorosa, sempre rivolta alla farsa. I suoi personaggi non sono nemmeno caricature, ma sgorbi simbolici. Si ride dei qui-pro-quo, dell’allusione sessuale (a questo scopo le attrici dei film comici sono sempre ben nutrite), e anche la situazione più originale viene risolta meccanicamente, o addirittura lasciata cadere. (Si veda in questo film, l'episodio della baronessa necrofila: il Pulcinella del Pincio se la sarebbe cavata con più garbo, la satira non sarebbe apparsa inutile).
Ma forse nell’Imperatore di Capri, la novità vuol essere nella descrizione di quella particolare gioventù che l’estate affolla l’isola di Tiberio: una gioventù che tutti ormai sanno di costumi forzatamente bizzarri, con tendenza alla effeminatezza, occupata nella creazione di un terzo sesso, incerta tra il linguaggio surrealista dei bambini, le canzonette dei film e l’esistenzialismo degli autori d’importazione. E’ possibile che lo spettacolo di questa gioventù diverta sul posto, ma sullo schermo può suscitare soltanto un interesse scientifico: e non è detto che in qualche punto il film non prenda il tono di un documentario. Se ne ha tuttavia' un’ impressione di stracci sporchi, di carnevalata a freddo, nella quale l’autocompiacimento dei personaggi così presentati, senza umorismo, non suscita nemmeno il ridicolo, ma la pietà e infine la noia. La caricatura di un imbecille può divertire, ma l'imbecille in persona rattrista sempre
Di quei giovani di Capri, il regista non ci ha dato i caratteri ma soltanto delle cupe informazioni biologiche. Essi affollano lo schermo con la petulanza di galline in un salotto e sono dati in pasto alla curiosità del pubblico che sembra gradire certi scherzi goliardici. Ma il gusto dell'ironia e della comicità si è guastato a tal punto nel nostro teatro che se un attore deve interpretare un tipo eccentrico, ne fa, appunto, un invertito. Non si disgiunge più l'estro, l’intelligenza, l’umorismo e la singolarità del carattere dall’inversione sessuale. E davanti a tipi così sommariamente e puntigliosamente presentati nelle riviste, nelle commedie e ora anche nei film, il pubblico ritrova il riso che i ragazzi dei villaggi riservano per irritare, lo scemo locale : un riso in cui il sadismo rivela un concetto molto primitivo ed elementare della comicità e di conseguenza l’ineducazione e l’ingenerosità di chi ride.
Ennio Flaiano, «Il Mondo», 4 febbraio 1950
Ma via, come si fa a fare lavori di questo genere? Cosa c'entra l'umorismo con questa roba? Quando è che si capirà che per fare un film comico è necessario uno studio approfondito della realtà per poter trarre, quindi, quegli aspetti più paradossali di questa con intuito e buongusto? [...] Non vale la pena neppure di arrabbiarsi...
Edoardo Bruno, "Sette giorni a Roma", «Film», 4 febbraio 1950
L'imperatore di Capri (1950) di Luigi Comencini è uno dei molti film di Totò girati sull’ordito di una grossa farsa imperniata sul consueto espediente dello scambio di persona (Totò, cameriere d'albergo, viene scambiato per il Bey di Agapur, dando la stura a una sequela di quiproquo e di equivoci a lieto fine) e condita con il solito contorno di lazzi e di freddure che affidano la loro efficacia esclusivamente alla forza mimica del protagonista. Una leggera ed epidermica possibilità di satira — l’influenza di Totò sui villeggianti snob di Capri che ne imitano le stramberie e lo proclamano ‘uomo più chic deH’isola’ — resta confinata nelle intenzioni, senza che la regia di Comencini riesca a conferirle un minimo di consistenza. All’inizio delle riprese del film Comencini aveva annunciato di voler fare la satira di una certa immagine illusoria di Capri, dichiarando: «Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini, trova la sua origine nel successo delle riviste», ma il film così come realizzato non corrispose a queste sue ambizioni iniziali.
«Nell'Imperatore di Capri — rileva Ennio Flaiano nella sua critica al film —, che possiamo prendere ad esempio perché sta ottenendo molto successo, non c’è nulla di comico che non abbia avuto un collaudo secolare nelle farse, e nemmeno una battuta che non circoli da tempo nei licei e nelle caserme. C’è l’errore di persona, l'uomo che va in giro in mutande, la torta in faccia, il bagno collettivo, il sogno antico-romano. [...] Il film serve all’attore Totò per ripassarsi il suo catalogo, che è misto di lazzi piacevoli e di piccole volgarità gastro-sessuali. Quando Totò si ricorda di essere mimo, il suo gioco diventa leggero e arabescato, ma quando si ricorda di essere attore comico di rivista comincia coi doppisensi e diventa fastidioso».
Il manifesto, come il film, è interamente imperniato sulla figura di Totò, ritratto in abbigliamento da antico romano con il capo cinto di alloro (con evidente richiamo al sogno antico-romano del film e al fatto che i villeggianti lo vogliono proclamare imperatore di Capri). Lo sfondo è tipicamente caprese: una scalinata a picco sul mare dalla quale si scorgono i faraglioni e il mare blu. L'unico tenue richiamo all’intenzione satirica del film è l’atteggiamento altezzoso di Totò e il fatto ch’egli tiene al guinzaglio una gallina.
«Il Cinema», 1982
La lavorazione era prevista in cinquanta giorni”, racconterà Mario Castellani, “e il compenso forfettario in sei milioni. Carlo Ponti, che era allora il direttore esecutivo della casa cinematografica, mandò a chiamare Totò e gli fece la proposta di allungare il contratto a sessanta giorni e di girare due film invece di uno. Naturalmente, il compenso sarebbe stato maggiorato: dieci milioni. Totò accettò subito. Inutilmente io cercai di attirare la sua attenzione con gesti disperati, per suggerirgli di non firmare [...]. Quando uscimmo dallo studio di Ponti, Totò mi disse: ‘Cosa significavano tutti quei tuoi gesti?’. ‘Volevo farti capire’, risposi ‘che non ti conveniva accettare’. ‘E perché?’, si meravigliò Totò. ‘Ma perché hai fatto un cattivo affare’, replicai. ‘Dieci milioni per sessanta giorni di lavoro ti pare un cattivo affare? Ma dove ce l’hai la testa?’, mi aggredì. Rinunciai alla discussione, perché mi resi conto che Totò non avrebbe mai capito il mio punto di vista. Per me, i dieci milioni li avrebbe dovuti pretendere solo per il secondo film da girare con calma, in seguito. L’affare, infatti, lo fece Ponti, il quale da Totò cerca casa ricavò un guadagno di 150 milioni, cifra che gli servì per fondare la Ponti-De Laurentiis.
Giuseppe Grieco, "Il grande comico che abbiamo buttato via", «Gente», n. 9-10, marzo 1973
L'imperatore del kitsc - Totò, principe del cattivo gusto
Terzo appuntamento televisivo, stasera alle 21.30 sulla Rete uno, con Totò. Il film in programma è uno del più decenti della serie. L'Imperatore di Capri (1949), sceneggiato da Metz e Marchesi e diretto da Luigi Comencini. Proprio Comencini fu il primo regista italiano di un certo livello a voler cimentarsi con Totò. Fu cosi che Metz e Marchesi confezionarono su misura per il grande comico napoletano un abito narrativo che gli stava a pennello [...] Inoltre, Metz, Marchesi e Comencini hanno escogitato un’altra trovata piuttosto sensata, destinata ad avere un seguito in molti dei successivi film di Totò. Accanto all'attore troviamo per la prima volta sullo schermo, tutto il «bestiario» dell'avanspettacolo, con le tradizionali «spalle» di Toto già collaudate sul palcoscenici del varietà, da Mario Castellani a Galeazzo Benti, che diverranno inseparabili dunque anche al cinema.
Ma è la principale interprete femminile dell'Imperatore di Capri che desta più scalpore. Trattasi dell'attrice turca Yvonne Sanson, qui riproposta in tutta la sua paradossale volgarità, lontano dai melodrammi strappacore di Matarazzo con Amedeo Nazzari. E’ appunto la Sanson che conferisce al film di Comencini l’ambita patente di spettacolo consapevolmente kitsch, e ogni effetto esilarante, si può star certi, va a segno ben oltre le apparenze. Che dire di più? Forse si può aggiungere che L'Imperatore di Capri è senz’altro uno dei film di Totò destinati a durare negli occhi degli spettatori ancora per un pezzo, mentre non si può ritenere altrettanto degli altri titoli usciti in quello stesso periodo.
Il nostro comico spontaneamente surrealista è, infatti, già legato ad una triste realtà di mercato. Per «sfruttare il momento», agli albori degli anni '50 Totò lavora come in una catena di montaggio, a scapito non certo di se stesso, ma della generica qualità dei prodotti. Chissà, magari pensava già di avere soltanto un paio d’anni di successo sul suo cammino.
d.g., «L'Unità», 26 ottobre 1979
«Otto Totò» (rete 1 - ore 21,30) - «L’Imperatore di Capri», realizzato nel 1949, è il terzo film della serie dedicata al grande comico napoletano. La regia è di Luigi Comencini. Nel cast: Yvonne Sanson, Marisa Merli-ni, Nerio Bernardi, Galeazzo Benti e Pina Gailini. E’ la divertente storia del solito equivoco: Totò, semplice cameriere, scambiato per un ricco avventuriero sta per essere nominato, nel corso di un grandioso festino, «Imperatore di Capri». Molte belle donnine e molte risate.
«Il Piccolo di Trieste», 19 ottobre 1979
Era conosciuto nel jet-set internazionale
Totò e una bella donna: così se n'è andato via Caravita, l' «imperatore» di Capri
Fedele all'antica leggerezza, si descriveva da tempo come «un vecchio signore distinto, in lista d'attesa per l’Aldilà». E sperava che in tal modo, allo scoccare del suo turno, la morte gli avrebbe fatto cenno di seguirla senza troppo clamore, sussurrandogli in un orecchio il roboante nome: Francesco Caravita principe di Sirignano. O forse solo Pupetto, come lo chiamavano da sempre gli amici più cari. Ed è così che poi è andata. Al limitare dei novantanni, l'ultimo imperatore di Capri ha detto addio alla vita in compagnia d'una risata.
Aveva appena finito di vedere in tv «Fifa e Arena», un vecchio film di Totò (che in un'altra pellicola aveva imitato la «camminata caprese- del principe), quando il respiro gli è volato via dal petto. Di là, nella stanza accanto, erano già pronte le valigie per l'immancabile weekend nell'isola azzurra.
«Aveva 32 anni più di me — racconta Mario D'Urso, senatore di Capri e Sorrento, che con Pupetto ha condiviso mille avventure —, ma quando entravamo in un locale sembrava lui il più giovane. Pareva quasi che il suo avo, San Gennaro, gli avesse regalato l'elisir di lunga vita. E poi, via, chi non vorrebbe morire in quel modo? A 90 anni, sazio di vita, con a fianco una donna giovane e affascinante, e per di più dopo essersi goduto un bel film di Totò...».
Quale fosse il segreto del principe di Sirignano, capace di calamitare la simpatia del jet-set internazionale attraversando soavemente la storia di un secolo, è difficile scoprirlo. Molti indizi, comunque, sono nascosti nel suo libro di ricordi «Memorie di un uomo inutile», pubblicato dall'editore napoletano Fausto Fiorentino: scorrendo quelle pagine, infatti, si attraversa una galleria di personaggi che, fra gli anni Trenta e i Sessanta, un qualunque «uomo utile»* mai avrebbe incontrato, neppure vivendo dieci volte. Qualche nome: Liz Taylor, Yul Brinner, Brigitte Bardot, la regina Elisabetta, la principessa Margaret, Alberto Moravia, la stravagante miliardaria americana Barbara Hutton... e si potrebbe andare avanti, ancora a lungo.
«Era un uomo pieno di talento, ma soprattutto spiritosissimo — ricorda D'Urso —. Se non fosse nato principe, sarebbe stato un grande 'entertainer" sul modello di Frank Sinatra».
Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998
La censura
I documenti
Binocolo personale di Totò utilizzato per una sequenza del film 'L'imperatore di Capri'
Pagina promozionale del film apparsa sul periodico 'Cinema', 1949
Spero di riuscire a divertire il pubblico e di fare, come regista, un'utile esperienza. Il film comico italiano è nato come una macchina per far quattrini. trova la sua origine nel successo delle riviste. Non c'è da stupirsene. In tutto il mondo c'è oggi crisi del film comico. L'esperienza neorealista non ha ancora influito su questo genere. I produttori preferiscono battere la vecchia strada: ed è così che i nostri film comici raramente sfociano all'estero. [...] Il mio è un film con Totò; e Totò non è mai logico. È illogico. Rompe la batttuta. E non è mai un personaggio. Comunque lo si voglia rigirare. Totò rimane sempre se stesso, come ai loro tempi Ridolini o Buster Keaton. Una vicenda che abbia come protagonista Totò non può essere che la storia di Totò in rapporto a qualche cosa. Per questo preferirei che il mio film si chiamasse "Totò a Capri", come ieri ci fu "Totò al Giro d'Italia" e domani, poniamo, ci sarà "Totò palombaro".
Luigi Comencini
L'insicurezza del mercato straniero porta come conseguenza la tendenza a limitare le spese di costo, mentre un film comico dovrebbe [...] costare almeno quanto un qualsiasi film di normale impegno. Basta considerare che per un film comico bisogna girare, grosso modo, il doppio di inquadrature di un film drammatico se si vogliono ottenere e sfruttare effetti, movimento, eccetera. Naturalmente, queste osservazioni sono di carattere generale poichè, per mia fortuna, la Casa produttrice de L'imperatore di Capri, non vuol far la politica della lesina ad ogni costo.
Luigi Comencini
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Inferiore alla grande fama (**), vanta un Totò in forma, una Sanson torbida e turgida, alcuni attori qui di secondo piano destinati poi a celebrità. Conta su alcune trovate ironiche sul bel mondo del Dopoguerra e su una regìa di Comencini totalmente asservita al Principe (ma è cosa normale, quasi ovvia). Ha momenti di stanca (brutta la parentesi con la Merlini) e lungaggini, qua e là riscattate da trovate del protagonista, talora irresistibili. Il riferimento ai "fratelli dell'isola" mi pare un chiaro richiamo alla vita massonica del Principe.
- Cameriere viene scambiato per un ricco principe indiano, con conseguente catena di equivoci. Surreale, delirante, divertente, il film prende in giro i vacui ambienti chic e blasé di vip che si ritrovano a Capri. La storia è un nulla, e Totò è tutto, come accade quasi sempre, ma in questo caso il gioco continuo delle invenzioni del presunto principe riesce a dare un pizzico di brio in più rispetto ai soliti canovacci, anche per un certo gusto satirico nei confronti di una specifica classe sociale.I gusti di Pigro (Drammatico - Fantascienza - Musicale)
- Per una serie di equivoci, un modesto cameriere viene scambiato per un principe orientale ricchissimo in vacanza a Capri in incognito, così che tutte le sue stranezze vengono subito imitate dagli altri villeggianti come atteggiamenti snob... Gran successo all'epoca, è un film a corrente alternata per la presenza di momenti di stanca accanto a gags fulminanti che prendono di mira le manie modaiole. Accanto a Totò in gran forma, il solito Castellani, le opime bellezze di Sanson e Merlino ed uno stuolo di caratteristi di valore. Regia invisibile di Comencini, qui ancora ad inizio carriera.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La linguaccia scambiato per un modo innovativo per scambiare saluti.
- Grande successo del Principe indiscusso della risata. Diretto molto bene da Comencini, che conferisce un buon ritmo alla vicenda, con alcune gag e battute passate alla storia. Tra le altre "Lo comunico subito a tutti i fratelli dell'isola", "Mi faccia una cortesia: lo comunichi pure alle sorelle"). Totò è in forma smagliante e così il resto del cast, a partire dal sempre ottimo Castellani passando a Giuffrè e Benti. Un classico.
- Certamente non il miglior film di Totò. Però lui da sempre dà la dimostrazione di essere un'artista di alto livello, specialmente quando improvvisa. La storia non lo supporta del tutto, a tratti anzi è anche noiosetta. Aldo Giuffrè che fa l'arabo fa sorridere, così come il cognato-bambino.
- Girandola di equivoci e situazioni divertenti gestita al meglio da Comencini, che riesce a girare un film con Totò farsesco ma non privo di trovate e di una sceneggiatura. Affiancato dal sempre ottimo Castellani e da una serie di brillanti attrici e caratteristi, Totò dà il meglio di sé, scambiato per principe indiano e quindi coinvolto in varie situazioni divertenti, che provocano spesso la risata. Bene ritmo e colonna sonora. Da non perdere.
- Sono talmente tante le invenzioni di situazioni, trovate e battute memorabili, che il film ha fatto scuola per i tanti a venire e che hanno provato a cavalcare questo genere. Apparentemente semplice, perché tutti recitano bene il loro ruolo e la storia scorre senza essere irritati dall'assurdità della storia (che poi mette solo in chiave surreale una realtà che esiste ed è esistita); anzi, ci si diverte molto, in un ritmo che non lascia spazi morti. Totò è formidabile e sforna tutto il suo repertorio di battute ed espressioni con grande eleganza.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: ...Oggi bisogna essere eccentrici, futili... fatti futilizzare!
- Diretto da Comencini come pegno a Ponti dopo il tonfo commerciale di Proibito rubare, il film ha un solido impianto, risultando però decisamente lacunoso nel ritmo, discrasia da addebitare presumibilmente alla cattiva amalgama tra l'eleganza formale del Regista milanese e la scrittura "aerea" di Metz-Marchesi. Resta tuttavia un robusto Totò-movie, seminale sia per la antologica scena degli snob capresi che per ulteriori longeve (poi rielaborate) gag linguistiche: Siamo uomini o Caporali; ho fatto 3 anni di militare a Cuneo... Curiosa la Sanson fascinosa.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il terribile, odiosissimo bambino-cognato Basilio interpretato da Lino Robi.
- La classica commedia basata sugli equivoci, lo scambio di persona e i doppi sensi. Totò se la cava alla grande e riesce a rendere frizzante un copione esile e ampiamente sfruttato nel genere. Tutti i comprimari, da una bravissima Pina Gallini al fido Castellani, contribuiscono positivamente a non far arenare il film su binari morti. Riuscita la rivisitazione satirica del turista medio che imita il vip di turno qualunque cosa egli faccia, senza chiedersi se sia giusto o sbagliato. Divertente dall’inizio alla fine.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L’incontro con la baronessa Von Krapfen.
- Uno dei migliori tra i Totò più "alimentari": non immune da volgarità di grana grossa per l'epoca (Castellani che parla "col pisello", Elena "di Troia") ma tenuto in piedi da un protagonista in gran spolvero e dal singolare umorismo macabro di alcune trovate (l'ipnosi, il profeta invasato, la baronessa necrofila). Buon ritmo e finale vorticoso. Da recuperare.MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Castellani spiega a Totò come trattare le donne: "Con una rosa in una mano e lo scudiscio nell'altra".
- Altro Totò d'annata, forse un pochino sottostimato ed invece davvero godibile, con una storia caprese che è quasi un lungo prologo in bianco e nero dello spezzone in Ferraniacolor ambientato a Capri del successivo Totò a colori (1952) di Steno. Bravi tutti i comprimari (Yvonne Sanson - con la sua vera voce: una volta tanto non è doppiata da Dhia Cristiani - Bernandi, Benti, Marlini, Gore, Mangini, Castellani, Giuffré...).
- Un buon film, questo di Comencini, che dirige Totò solo in questa occasione. Un film che conserva freschezza e originalità e che vanta una coerente base narrativa incardinata sul millenario espediente dello scambio di persona, in cui Totò esprime al meglio il collaudato catalogo della sua fragorosa comicità fatta di lazzi, smorfie, giochi linguistici e qualche salace volgarità. Nessun impegno sociale per Comencini ma tanta spensieratezza nel prendere in giro con mano leggera l'ambiente vacuo e fatuo dei ricchi vacanzieri di Capri. Molto divertente.
- Un piacevolissimo filmetto, girato con mestiere da Comencini. Totò vi è protagonista assoluto, ottimamente spalleggiato da attori di vaglia (Castellani, Benti e la Gallini su tutti). Le tante belle donne del cast, per una volta, non sono solo una presenza di contorno. La grande quantità di battute e gag, oltre che dall’estro del Principe, è assicurata dalla sceneggiatura firmata da umoristi di prim’ordine quali Metz e Marchesi.
Le incongruenze
- Quando Totò arriva a Capri col motoscafo del Bhey, fate attenzione alla scena in cui si trova in mare aperto e per poco non investe una canoa... Bene, se fate attenzione si vede che dalla poppa della canoa parte una corda, che è tesa: quindi la canoa è legata a un porto e non ha corso alcun pericolo, e la scena non è stata girata al largo, ma presso un porto!
- Durante la colazione a casa sua Totò ha all'occhiello della giacca un fiore. Esso cambia più volte posizione: una volta si vede lo stelo che sporge sotto il bavero, una volta è sporgente il fiore.
- Totò chiama a casa e appena ha finito di comporre il numero dice "pronto", senza aspettare il tempo necessario per gli squilli.
- Totò al telefono con il cognato gli spruzza dell'acqua attraverso il telefono. Ammesso che ciò sia volutamente irreale, seguendo la logica del film c'è da dire che immettendo l'acqua dalla parte del telefono dove lui parla dovrebbe arrivare nella parte auricolare del cognato, viceversa arriva nella parte dove parla il cognato.
- Durante il viaggio in motoscafo il volante si stacca e rimane nelle mani di Totò, ma poco dopo torna misteriosamente a posto.
- Quando il facchino fa cadere la borsetta con il serpente ci sono due elementi discordanti: 1) benché sia caduta essa rimane in piedi per terra; 2) benché si sia aperta, facendo fare capolino al serpente, quando il facchino la raccoglie essa è già tappata ed egli si limita a chiudere solo la cinghia.
- L'uomo che dovrebbe essere Totò che viene picchiato e catapultato fuori dalla camera di Sonia ha i capelli spettinati, mentre quando Totò si alza in piedi ha i capelli perfettamente allisciati e ingelatinati.
- Dopo che Totò è stato picchiato da Sonia, rientra in camera con Asdrubale. I due entrano, superando interamente la porta già nell'inquadratura da fuori, ma ripetono la stessa operazione anche nell'inquadratura interna.
- Appena il serpente esce dalla borsetta lo si vede già entrare nella sala da bagno. Tuttavia la sala da bagno non è vicina affatto alla posizione della borsetta, quindi il rettile avrebbe impiegato più tempo per fare quel tragitto e per altro sarebbe stato visto da Asdrubale che era davanti al tragitto che il serpente avrebbe dovuto fare.
- Il serpente che Totò scambia per il tubo nella vasca è palesemente un pezzo di plastica.
- Totò, urlante, esce dalla vasca ed indica il bagno come luogo dove c'è il serpente. Asdrubale si accerta, entrando nel bagno, ma ne riesce facendo notare l'assenza del rettile. In questo momento Totò risponde allora che il serpente non è più lì perché lo aveva lanciato verso il letto (fa il gesto con la mano). Allora perché prima aveva indicato il bagno, se già sapeva che lì il serpente non c'era più?
- Ad un cero punto il serpente (vero) si arrotola sulla ruota dei numeri del telefono, ma un attimo dopo il serpente (finto) è allungato sulla cornetta.
- Quando Dodo si presenta a Totò tiene per le zampe una gallina nei campi lunghi, mentre la tiene per il collo nel primo piano dell'animale.
- Per tutto il tempo (una diecina di minuti) in cui Totò tiene il serpente sul cappello, esso non si muove nemmeno di un millimetro, svelando la falsità dell'animale.
- Totò racconta ad Asdrubale di aver incontrato un pazzo con una gallina "sulle spalle", ma in realtà Dodo la gallina l'aveva in braccio.
- Nel prologo si dice che Emanuele è una "brasiliana", ma il suo idioma è un misto italo-spagnolo, poco credibile per una brasiliana.
- Emanuela spiega a Totò che il marito non la lascia mai sola, eppure in tutte le scene in cui è stata ripresa fino ad allora era sempre con una amica, il marito non si era mai visto.
- Durante la notte Totò ha molte visite. Dopo l'entrata di ciascuno nella stanza, la porta rimane sempre aperta, ma dopo poco la si ritrova sempre chiusa.
- Emanuela lancia addosso al marito in sequenza: un libro, un vaso ed un piatto. Quando si vede il marito, esso riceve addosso prima il piatto e poi il libro.
- Ad un certo punto sul letto ci sono molte persone che lottano lanciandosi i cuscini, ma spesso i cuscini, che vengono lanciati, provengono da dietro la telecamera, dove non c'è nessun personaggio del film.
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L'albergo in cui lavora Antonio (Totò) è l'Excelsior, in Via Partenope 48, a Napoli. L'Excelsior è quello a destra.
Il porticciolo in cui Antonio (Totò) aziona maldestramente il motoscafo che si dirigerà a Capri è quello di Borgo Marinari, a Napoli. La freccia indica la posizione del motoscafo.
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Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Luigi Comencini, Infanzia, vocazione, esperienze di un regista, Baldini&Castoldi, Milano 1999, p. 72
- Comencini e il film comico, “Cinema”, n. 19, 31 luglio 1949
- Enzo d'Errico, «Il Mattino», 19 giugno 1998