I soliti ignoti

1958 I soliti ignoti 77

Dunque un modo per aprirla è quello della dinamite. Sistema che usava il famoso Fu Cimin, che non era cinese, era veneziano. “Fu” sarebbe che morì, "Cimin" è il cognome, no?!

Dante Cruciani

Inizio riprese: febbraio 1958
Autorizzazione censura e distribuzione: 18 luglio 1958 - Incasso lire 901.562.000 - Spettatori 5.754.896


Titolo originaleI soliti ignoti
Paese Italia - Anno 1958 - Durata 102' - B/N - Audio sonoro - Rapporto 1,33:1 - Genere commedia - Regia Mario Monicelli - Soggetto Age & Scarpelli - Sceneggiatura Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli - Produttore Franco Cristaldi - Casa di produzione Vides Cinematografica, Cinecittà (Stabilimenti Cinematografici), Lux Film - Distribuzione(Italia) Lux Film - Fotografia Gianni Di Venanzo - Montaggio Adriana Novelli - Musiche Piero Umiliani - Scenografia Vito Anzalone - Costumi Piero Gherardi - Trucco Romolo de Martino


Vittorio Gassman: Giuseppe Marchetti, detto "Peppe er Pantera" - Marcello Mastroianni: Tiberio Braschi - Renato Salvatori: Mario Angeletti - Totò: Dante Cruciani - Claudia Cardinale: Carmelina Nicosia - Tiberio Murgia: Michele Nicosia detto "Ferribotte", suo fratello - Memmo Carotenuto: Cosimo Proietti - Carlo Pisacane: Pierluigi Capannelle - Carla Gravina: Nicoletta - Rossana Rory: Norma - Nino Marchetti: Luigi, l'impiegato del banco dei pegni - Gina Rovere: la moglie di Tiberio - Lella Fabrizi: una delle tre "mamme" di Mario - Gina Amendola: una delle tre "mamme" di Mario - Elvira Tonelli: una delle tre "mamme" di Mario - Mario Feliciani: il commissario di polizia - Mimmo Poli: un carcerato - Mario De Simone: il ricettatore - Pasquale Misiano: Massimo


Soggetto

Cosimo e il vecchio "Capannelle", due ladruncoli di Roma, tentano di rubare un'autovettura ma vengono colti in flagrante dalla polizia: il primo viene arrestato mentre l'anziano riesce a fuggire. Detenuto nel carcere di Regina Coeli, Cosimo apprende da un altro detenuto un piano per un colpo di facile realizzazione presso il Monte di Pietà, così incarica Capannelle di trovare una pecora, termine gergale malavitoso per qualcuno che dietro compenso sconti la pena al posto di un altro.

Capannelle si rivolge a degli amici dell'ambiente - il prestante Mario, il siciliano Michele detto "Ferribotte" e il fotografo Tiberio - ma visto il rifiuto deve ripiegare tra gli incensurati, optando per Peppe "er Pantera", un pugile suonato che va puntualmente al tappeto. Il Commissario tuttavia non si lascia ingannare e lo fa condannare con Cosimo. Durante la detenzione Peppe fa credere a Cosimo di aver subito una lunga condanna perché quest'ultimo gli confidi i piani per il furto ma in realtà egli sta per "uscire" il giorno stesso avvalendosi della condizionale. Dovendo restituire agli amici il denaro sottoscritto per l'incarcerazione, decide di assoldarli per il colpo.

Il piano consiste nel raggiungere la stanza del Banco dei pegni dove si trova la "comare", ovvero la cassaforte, dopo essersi introdotti nell'appartamento contiguo, ritenuto disabitato, e quindi abbattendo la parete comunicante. Per mezzo di un filmato, fatto con una cinepresa rubata da Tiberio al mercato di Porta Portese e sottoposto in visione a Dante Cruciani, un noto scassinatore a riposo che svolge oramai il ruolo di "consulente", la banda viene da questi istruita sulle modalità per realizzare il colpo.
Le cose tuttavia si complicano: nell'appartamento nel frattempo sono andate ad abitare due donne anziane, che hanno a servizio una graziosa ragazza veneta, Nicoletta. Peppe si incarica di sedurre la giovane per ottenere informazioni. Nel frattempo Cosimo, uscito dal carcere grazie a un'amnistia, raggiunge la banda per vendicarsi, ma viene tramortito da un pugno di Peppe che gli offre di partecipare al furto alla pari con gli altri. Cosimo rifiuta per orgoglio, e dopo aver inutilmente tentato di rapinare lo stesso Monte di Pietà oggetto del colpo, rimane ucciso travolto da un tram mentre fugge dopo essersi ridotto a scippare una donna.

Una sera arriva per la banda il momento buono per il colpo, approfittando dell'assenza delle proprietarie. Mario però rinuncia e in cambio promette di vegliare su Carmelina, sorella di "Ferribotte", con la quale è sorta una sincera relazione. Dopo aver superato numerose difficoltà, che tra l'altro il povero Tiberio è costretto ad affrontare con un braccio ingessato, frutto dell'incontro con il venditore al quale aveva rubato la cinepresa, i quattro "soci" rimanenti arrivano finalmente a introdursi nell'appartamento da una finestra. Qui, riescono a demolire quella che pensano sia la parete designata nel piano, ma con loro grande meraviglia si ritrovano nella cucina della casa, in quanto le proprietarie avevano di recente cambiato la disposizione dell'arredamento, spostando la camera da pranzo che confinava con il Monte di Pietà. Vista l'ora ormai tarda la banda è costretta a rinunciare, non senza, però, approfittare della pasta e ceci trovata in cucina. Una perdita provocata dai ladruncoli a un tubo del gas, tuttavia, causa un'esplosione, per cui devono battere precipitosamente in ritirata ancora più laceri e disastrati di prima.

Alle prime luci dell'alba la banda mestamente si scioglie. Tiberio si reca in tram a riprendersi suo figlio, lasciato in custodia alla moglie detenuta a Regina Coeli per contrabbando. "Ferribotte" rincasa, e Capannelle, rimasto solo con Peppe, attrae l'attenzione di due carabinieri in bicicletta, per cui i due sono costretti a mescolarsi con degli aspiranti manovali che si affollano davanti al cancello di un cantiere. Così Peppe viene assunto suo malgrado, mentre Capannelle, buttato fuori in malo modo, avverte inutilmente l'amico che lì lo faranno lavorare sul serio.

Il giorno dopo, un trafiletto di cronaca su un quotidiano riferisce delle gesta dei "soliti ignoti", il cui misero bottino è solo il piatto di pasta e ceci.

Critica e curiosità

🏆 Un film che non ruba, ma ruba la scena

Con “I soliti ignoti” non si gira solo un film: si gira pagina. La commedia all’italiana, ancora con il biberon in bocca, riceve con questo film la sua prima, epica bottigliata di latte acido mescolato a realtà sociale, ironia da marciapiede e malinconia a getto continuo. Un’opera che vince Nastri, Vele, Ulivi e Coppe, ma soprattutto vince sul pubblico, creando un precedente: la risata consapevole, quella che sa dove affondare le sue radici — nel fallimento, nella fame, nella farsa.

📽️ L’alba di una nuova risata: la Commedia all’italiana

Con buona pace delle signore in pelliccia e degli amanti dell’avanspettacolo, questo film sancisce ufficialmente l’inizio della Commedia all’italiana. Addio al varietà e al Café Chantant: ora si ride con i piedi nel fango, o meglio, nei vicoli di una Roma che non ride per niente, fatta di tetti, cassaforti arrugginite e pantaloni da cavallerizzo.

Il comico non è più il giullare che salta e grida, ma il piccolo uomo che inciampa nei sogni di grandezza, nel miraggio del colpo facile, nella cassaforte che non si apre e nella vita che, invece, si spalanca… sul vuoto.

🎭 Dalla maschera alla carne viva

Gli attori non sono più maschere: diventano caratteri, esistenze concrete con tic, difetti e illusioni. Totò stesso si fa carico della transizione, come se passasse il testimone, con la sua apparizione breve ma micidiale, da “Principe della risata” a “professore del buco”, con tanto di lezione accademica di scasso e battute in latino.

Un passaggio di consegne? No, un funerale ironico del vecchio comico e un battesimo tragicomico del nuovo.

🔍 Rififi, Rifufu e la parodia con cuore (rotto)

La parodia del noir francese e del gangster americano (con Rififi e soci nel mirino) è solo la miccia. Poi, però, la dinamite è tutta italiana. Age e Scarpelli partono dalla presa in giro, ma la trasformano in esistenzialismo da subaffitto. Il colpo non si fa (o meglio: si fa male), ma la comicità esplode lo stesso, in una Roma dove anche i fallimenti fanno curriculum.

🏚️ Roma, città aperta… e derelitta

Non la Roma monumentale dei turisti, ma quella popolare, in ombra, periferica. I soliti ignoti vivono in un mondo che non ha ancora visto il boom, e se lo ha visto, è passato con la macchina sportiva e non si è fermato. Qui c’è la fame vera, la povertà malinconica, la città della miseria gentile.

Il film evita i colori accesi, privilegia ombre, contrasti e costumi stonati, come i pantaloni equestri di Capannelle. Si ride perché si barcolla, e si barcolla perché si ha fame, non per l’alcool.

🎬 Critica colta, cuore cieco

La critica non capisce, almeno all’inizio. Il pubblico sì, ma i critici… mugugnano. Perché mettere Gassman, attore drammatico, a fare il comico? Perché dare spazio a Totò solo per due scene? Perché fare una commedia con la morte? Perché no?

La genialità del film sta proprio qui: nell’aver affidato la comicità a personaggi veri, a drammi camuffati da gag, a facce sbagliate nel modo giusto. La scelta di Gassman, osteggiata da tutti, si rivelerà un colpo da maestro: trasformare un “cattivo shakespeariano” in un pugile suonato che balbetta “scientifico!” è una lezione di cinema che ancora oggi fa scuola.

🧠 Totò: il genio in due apparizioni

E qui arriva Totò, ovvero Dante Crociani, detto "il professore". Due sole scene, eppure… memorabili. Nella prima, pretende 50.000 lire per insegnare l’arte dello scasso. Nella seconda, con la vestaglia da filosofo del crimine e la cassaforte come cattedra, tiene la più esilarante e tragica lezione della sua carriera. Tra citazioni latine, allusioni cinesi (“Fu Cimìn”), panni stesi e sbirri alle calcagna, Totò si trasfigura in archeologia vivente del crimine fallito.

Il suo sguardo, il suo corpo stanco, sono già la fine del film prima ancora che il film finisca. È il presagio incarnato: fallirete. Come me. Come tutti.

🧩 Il fallimento, regola d’arte

Monicelli lo dice chiaro: la commedia dell’arte nasce dalla sventura. E qui si ride non malgrado, ma grazie al fallimento. Il colpo va storto, il gruppo si sfascia, la cassaforte resta chiusa. Ma l’umanità che emerge da queste rovine è gigantesca.

I personaggi non rubano, provano a rubare. Ma in fondo rubano tempo alla fame, speranza alla rassegnazione, sogni a una realtà che non concede niente.

🏛️ Le classi, la morale e il mito americano

Il film è anche critica sociale travestita da farsa. Racconta un’Italia che guarda l’America come a un supermercato dell’anima: benessere, comfort, libertà. Ma poi torna a casa con le tasche vuote. I protagonisti vivono sospesi tra due mondi: quello rassicurante ma angusto dei valori tradizionali e quello seducente ma sfuggente della modernità.

E nessuno riesce a scegliere davvero. Neanche il Pantera, con la sua balbuzie futurista (“sc-sc-scientifico!”), che si aggrappa alla scienza del furto come fosse una redenzione.

❤️ I valori, sullo sfondo ma ben visibili

Nonostante tutto, la morale non è assente, solo nascosta nei dettagli:

  • Carmelina (Claudia Cardinale) è l’amore vero, discreto e resistente.
  • Nicoletta (Carla Gravina) è la purezza ingenua.
  • Dante Crociani (Totò) è la sapienza amara, quella che ti fa sorridere mentre ti butta giù.
🧩 Un film-mosaico dell’Italia che cambia

“I soliti ignoti” è una mappa sentimentale dell’Italia degli anni ’50, dove la fame si traveste da comicità, il sogno da rapina, l’amicizia da banda. Non è solo un film, è una tragedia travestita da burla, una satira sociale con la maschera da farsa, una radiografia comica del malessere nazionale.

Il colpo alla cassaforte fallisce, ma il colpo alla storia del cinema riesce alla perfezione.

🎬 Conclusione: risate con scasso autorizzato

“I soliti ignoti” ci insegna che fallire può essere una forma d’arte. Totò ci mostra che anche il ladro può essere filosofo, e Monicelli firma il primo grande atto della commedia all’italiana come se fosse un pezzo da repertorio teatrale… con la cassaforte sul palco.

E mentre il pubblico ride, qualcuno (magari Capannelle) borbotta:

“Volevamo fare i banditi, siamo rimasti poveracci. Ma almeno, si ride bene.”

E non è poco.


Le scene più celebri e memorabili de I soliti ignoti, ciascuna analizzata con amore filologico, spirito arguto e l’occhio clinico di un ladro gentiluomo fallito. 

🎥 La “lezione di scasso” del Professore Totò

Scena 1: la proiezione della banca

Una scena diventata mitologica. Totò, nei panni di Dante Cruciani, il Professore, appare dopo una proiezione sgangherata su come entrare nella banca. Si alza, come un anziano maestro interrotto durante la siesta, e annuncia solennemente il suo onorario: “Per 50.000 lire, ve lo spiego io come si scassa una cassaforte.” È la prima delle sue due apparizioni, ma già basta per sabotare la scena: la sua ironia, asciutta come una serratura arrugginita, smonta tutti gli altri.
Il tono è freddo, chirurgico, quasi accademico: il suo umorismo non è più esplosivo come in passato, ma sottile e sinistro, come un uomo che ha fallito mille colpi e ne ride solo per evitare il pianto.

Scena 2: la lezione vera e propria sulla terrazza

Un Totò in vestaglia, con lo sguardo da vecchio stratega, conduce la sua lectio magistralis su come si apre una cassaforte. Mostra i movimenti, le posture, la pazienza, gli strumenti. E poi:
“Questa è una cassaforte... in corpore viri!”
La cassaforte diventa metafora dell’uomo moderno, chiusa, inaccessibile, ma vulnerabile se si conosce la combinazione.
Segue la leggendaria battuta sul celebre scassinatore cinese “fu Cimin”, che Mastroianni scambia per “un cinese vero”.
Il climax lo raggiungiamo col brigadiere che sale le scale, mentre Totò finge di stendere i panni e sussurra:
“Come vede, si lavicchia.”
Il sottotesto è malinconico: il professore è conosciuto dalla polizia, controllato, fallito. Ma con la dignità beffarda di chi ha sbagliato troppo per prendersi ancora sul serio.

🏠 L’irruzione nell’appartamento sbagliato

Una delle scene comiche più famose e surreali del film. Dopo mille preparativi, mille fallimenti logistici, mille esitazioni, la “banda del buco” riesce finalmente ad entrare nel palazzo della banca. Con una tecnica da talpa urbana, sfondano muri e calcinacci, grattano, scalpellano, si sporcano, soffrono come minatori napoletani del crimine.

E poi?
Entrano nella cucina di una povera vecchietta.
Il colpo finale, la beffa definitiva. Invece dei milioni, trovano una zuppa sul fornello. Una metafora perfetta: il furto è un sogno borghese che si dissolve in un piatto popolare.
Non solo comico, ma brutalmente poetico.

🥊 Il Pantera si carica davanti allo specchio

Una scena che svela la psicologia del personaggio. Vittorio Gassman (Ferribotte, alias “Il Pantera”), un ex pugile rimbambito e balbuziente, si guarda allo specchio come se stesse per salire sul ring. Si carica da solo, si parla, si autoconvince:
“È sc-sc-scientifico! È tutto sc-scientifico!”
Il comico qui si fa disperato, quasi beckettiano. È un uomo che recita a se stesso una commedia per sopravvivere, per illudersi di avere un piano, una missione, un’esistenza coerente. Invece ha solo una valigia piena di sogni rubati da altri.

👮 La perquisizione in casa Capannelle

Una scena da vaudeville neorealista. La polizia bussa alla porta. Tutto il gruppo finge di essere un’allegra famigliola borghese. Capannelle (Carlo Pisacane), sdentato e incartapecorito, si improvvisa padre di famiglia con dolcezza ironica.
La polizia li osserva con perplessità e un filo di pietà. Il paradosso comico è che questi “ladri” sono talmente sgangherati da non sembrare nemmeno colpevoli.
Una geniale satira dell’autorità, che non sa più riconoscere il crimine vero dal bisogno camuffato da truffa.

🍝 Il pranzo povero con tutta la banda

Scena intima, umanissima. I personaggi sono seduti intorno a una tavola misera, con un piatto solo da dividere, ma si ride. Si ride della miseria, del destino, del colpo impossibile.
È la scena più felliniana di Monicelli, e anticipa l’umanità poetica di film come La grande guerra.
Qui, in quel piatto da dividere, c’è l’Italia del dopoguerra, quella che non ha pane ma ha battute, che non ha futuro ma ha amici.
È una scena che fa ridere e piangere in sincrono, con un equilibrio raro e fragile.

💘 La tenerezza tra Mario e Nicoletta

Un piccolo intermezzo sentimentale tra Marcello Mastroianni e Carla Gravina, che regala una pausa di dolcezza.
Mario è un ladro, Nicoletta una ragazza fragile e ingenua. Tra loro sboccia un sentimento vero, delicato, che contrasta violentemente con l’ambiente degradato e i sogni falliti del resto del gruppo.

Questa scena non ha gag, non ha parodie. Ma ha l’anima nuda della commedia all’italiana: sentimento autentico che nasce tra i calcinacci del realismo.

🧹 La fuga finale e la zuppa di Capannelle

Dopo il fallimento del colpo, il gruppo fugge disperatamente tra i tetti. La dignità è persa, la refurtiva è inesistente, l'umore sotto le scarpe.
Ma Capannelle, con un candore senile e sublime, esclama felice:
“Aho! C’ho ancora un po’ de minestra!”

Fine. Applausi. Lacrime.

Il film si chiude su questa immagine domestica e comica, tristissima e bellissima insieme. Il colpo non ha portato soldi, ma la minestra salva la giornata. È il trionfo della commedia italiana vera, quella che ti fa ridere con la pancia vuota e sognare con una ciotola in mano.


🎬 Il cast

Nonostante abbia interpretato il ruolo del siciliano "Ferribotte", Tiberio Murgia era in realtà sardo ed esordisce nel cinema grazie a Mario Monicelli che lo aveva notato in un ristorante romano. Nel film viene doppiato da Renato Cominetti. Murgia interpreterà altre pellicole con ruoli simili.
La giovanissima Carla Gravina, appena diciassettenne, è alla sua terza apparizione cinematografica. Aveva esordito nel 1956 con Alberto Lattuada e nello stesso anno de I soliti ignoti aveva girato con Alessandro Blasetti Amore e chiacchiere, al fianco di Vittorio De Sica e Gino Cervi.
Claudia Cardinale, non ancora ventenne, con un'unica precedente esperienza cinematografica nella natia Tunisia, inizia con questo film il contratto con la Vides Produzioni, che la trasformerà nel giro di pochi anni in una delle maggiori dive del cinema italiano. All'epoca delle riprese era segretamente incinta del suo primo figlio.[20] Nel film è doppiata da Lucia Guzzardi.

Vittorio Gassman nel suo libro autobiografico Un grande avvenire dietro le spalle, riferendosi al clima gioviale che regnava sul set, racconta: "La maggior parte delle scene non riuscivamo a finirle dal ridere!".
Carlo Pisacane, il caratterista che interpreta "Capannelle", fu uno dei migliori attori della cinematografia napoletana. Già interprete macchiettista di numerose pellicole fin dall'epoca del cinema muto ma raggiunse la notorietà con questo film, dove è doppiato con accento bolognese da Nico Pepe. Da questo film in poi, Pisacane sarà talvolta accreditato nei titoli di testa di alcuni film proprio come "Capannelle".

Rossana Rory, che interpreta Norma, compagna di Cosimo e unica componente femminile della banda, in questo film è doppiata da Monica Vitti. Apparizione della scrittrice ungherese Edith Bruck, scampata ai lager nazisti, nel ruolo di una ragazza in lite con un suo amico, nel palazzo dove deve svolgersi il furto.

🧩 Dettagli

Il furto è ambientato in un'inesistente via delle Madonne nel centro di Roma. Nella realtà la banda entra in un edificio sito all'angolo tra la scalinata di via della Cordonata e via delle Tre Cannelle (nei pressi di piazza Venezia), dove si trova il Banco dei pegni e l'ingresso del portone dell'appartamento.
Quando la banda incontra per la prima volta Dante Cruciani, "Ferribotte" presenta le proprie credenziali, riportando di aver lavorato in passato nei tubi di piombo. Il riferimento, di cui si è perso il senso, sottintendeva il furto e la ricettazione di tubature in piombo (nonché altre parti in rame, ghisa ed in ferro), un'attività diffusa tra la piccola criminalità nel dopoguerra, data la penuria di materie prime per le costruzioni.

Marcello Mastroianni aspetta il tram in piazza Armenia (vicino a via Britannia). Pausa sul set de I soliti ignoti, da sinistra: Renato Salvatori, Carlo Pisacane, Tiberio Murgia, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman ed Erico Menczer (operatore alla macchina)

Monicelli e Totò durante una pausa sul set
Il film di Marco Ponti A/R Andata + Ritorno si ispira liberamente a I soliti ignoti. Le citazioni più palesi che si possono incontrare sono il nome del protagonista interpretato da Libero De Rienzo (Dante Cruciani) e la scena in cui la "banda" assiste alla proiezione della ripresa della cassaforte da scassinare, questa volta interrotta da un porno amatoriale.

📽️ Distribuzione

Inizialmente il film avrebbe dovuto intitolarsi Le Madame, ma tale nome venne rigettato per problemi di censura, dato che quello pensato da Monicelli evocava il soprannome dato in ambiente criminale alla polizia. La pellicola uscì nelle sale italiane il 26 luglio del 1958, venne poi esportato nei seguenti paesi, con i seguenti titoli:

Spagna: Rufufú, 30 giugno 1958
Francia: Le Pigeon, 11 settembre 1959 - 13 aprile 2011 (riedizione)
Svezia: Kvartetten som sprängde, 26 febbraio 1959
Portogallo: Gangsters Falhados, 13 novembre 1959 - 24 giugno 1970 (riedizione)
Germania Ovest: Diebe haben's schwer, 18 dicembre 1959
USA: Big Deal on Madonna Street, 22 novembre 1960 - ottobre 1984 (Chicago International Film Festival)
Regno Unito: Big Deal on Madonna Street, 1960
Polonia: Sprawcy nieznani
Argentina: Los desconocidos de siempre
Brasile: Os eternos Desconhecidos
Ungheria: Ismeretlen ismerősök
Venne in seguito presentato anche in Grecia, in Egitto, in Finlandia e nelle Filippine.

🎵 Colonna sonora

La colonna sonora, affidata a Piero Umiliani, qui al suo debutto come autore di musiche per il cinema, è considerata la prima di impianto jazzistico per un film italiano. Fu il regista stesso, Mario Monicelli, a contattare personalmente Piero Umiliani, in quanto era nelle sue intenzioni dare al film una colonna sonora in stile Jazz, e Umiliani in quel periodo era noto negli ambienti televisi per le sue composizioni e i suoi arrangiamenti in questo stile.

I compositori che lavoravano in quel periodo, come Rustichelli e Rota, erano troppo legati al genere 'canzonetta', mentre io volevo un tono jazzistico da accostare all'ambientazione proletaria del film. Accadde quindi che parlando con un amico gli dissi: sai, non so come fare perché voglio un commento jazz per il mio ultimo film, ma conosco solo Rota e pochi altri. E lui: guarda Rota quando ha bisogno di fare della musica jazz non la fa lui, ma si rivolge a un certo giovane musicista, che io conosco, secondo me molto bravo, che si chiama Umiliani. E così lo contattai

Mario Monicelli

Dopo che Umiliani accettò l'incarico, Monicelli inviò al compositore il disco del 1957 Jay and Kay di J.J. Johnson e Kai Winding, le cui tracce dovevano essere d'ispirazione a Umiliani. Quando Monicelli contattò Umiliani, le riprese del film erano già state ultimate e il compositore ebbe poco tempo a disposizione prima della pubblicazione e dovette arrangiare sue musiche già composte secondo lo stile scelto dal regista, impiegandoci in totale quindici giorni.

Dei molti motivi composti per il film, dalla durata di pochi secondi fino a più di tre minuti, la RCA pubblicò nel 1958 un EP contenente le musiche più caratteristiche.

🔁 I sequel

Nel 1959 per la regia di Nanni Loy e la sceneggiatura di Age - oltre alla colonna sonora firmata in parte dalla tromba di Chet Baker - esce nelle sale Audace colpo dei soliti ignoti, un sequel interpretato dagli stessi attori, con Nino Manfredi che interpreta Piede Amaro, che sostituisce il personaggio di Tiberio (Marcello Mastroianni).
Nel 1985 per la regia di Amanzio Todini esce I soliti ignoti vent'anni dopo; con (Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Tiberio Murgia), lo stesso gruppo di sceneggiatori de I soliti ignoti e le musiche composte da Nino Rota.

🎬🇺🇸 I remake hollywoodiani

Il successo de I soliti ignoti ha varcato i confini nazionali per approdare ad Hollywood, che lo ha apprezzato al punto da realizzarne alcuni remake nel corso degli anni:

Il primo film hollywoodiano ispirato a I soliti ignoti è Crackers (1984), regia di Louis Malle, con Donald Sutherland e Sean Penn.
Un omaggio al film ci fu nel 2000 ad opera di Woody Allen nel suo Criminali da strapazzo, in particolare nella prima parte del film e nella scena della perforazione della parete dell'appartamento che comunica con la banca.
Altra pellicola ispirata fortemente al capolavoro di Monicelli è Welcome to Collinwood (2002), diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo. La trama è stata, ovviamente, in parte rimaneggiata, modernizzata e trasportata negli Stati Uniti d'America. Nel cast figura anche George Clooney, in quello che idealmente fu il ruolo di Totò, ovvero l'istruttore della banda.

🏆 Riconoscimenti

1959 – Premio Oscar Candidatura al miglior film straniero a Mario Monicelli
1959 – Nastro d'argento - Migliore attore protagonista a Vittorio Gassman - Migliore sceneggiatura a Age & Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico, Mario Monicelli
1958 – Festival internazionale del cinema di San Sebastián - Concha de Plata al miglior regista a Mario Monicelli


Così la stampa dell'epoca

L’accoglienza de I soliti ignoti nel suo anno d’uscita (1958), con un occhio acuto alla critica, uno più scanzonato al pubblico, e uno — rigorosamente strabico — alla censura, che non poteva mancare, come sempre, con il suo dito alzato.

📰 La critica: tra diffidenza e illuminazione tardiva

Quando I soliti ignoti uscì nelle sale italiane, il clamore della critica fu tutt’altro che immediato. Anzi, la ricezione iniziale fu perplessa, se non apertamente scettica, da parte di quella parte della stampa che ancora teneva in alta considerazione le forme teatrali tradizionali o il cinema “serio”, quello che non si sporcava le mani con le gag né con le cassaforti.

Molti critici faticavano a capire che si potesse far ridere con la miseria, e in più non gradivano il fatto che il film mettesse “attori drammatici” in ruoli comici. Il sospetto che Monicelli stesse “sporcando” il talento teatrale di Gassman con una caricatura da pugile scemo non era affatto velato.

Tra le accuse iniziali più frequenti:

  • Aver riscattato Totò, amatissimo dal pubblico ma ancora guardato con sufficienza dalla critica “colta”;
  • Aver confuso i generi, mischiando commedia, neorealismo e satira sociale, quando l’etichetta “commedia” doveva ancora essere nobilitata dalla definizione “all’italiana”;
  • Aver scelto ambientazioni degradate per una storia che, secondo alcuni, avrebbe dovuto restare leggera e “evasiva”.

Tuttavia, già nel corso dello stesso anno, dopo il clamoroso successo al botteghino e i primi riconoscimenti internazionali, le voci critiche cominciarono a rivedere le loro posizioni, soprattutto tra i giovani critici di scuola pasoliniana, che videro nel film una rappresentazione autentica del sottoproletariato romano.

In particolare:

  • Carlo Lizzani definì il film “la prova che il comico può avere un peso specifico realistico”, lodando l’equilibrio tra tragicità e farsa.
  • Alcuni videro nella sceneggiatura (Age & Scarpelli) un capolavoro di ritmo e sottotesto, capace di coniugare la grande tradizione del cinema francese con le dinamiche delle maschere italiane.
  • La figura di Totò, seppur in due sole scene, cominciò a essere reinterpretata: non più clown stantio, ma **“archetipo decaduto” della sapienza criminale e della miseria istruita”.

In sintesi: la critica colta ci mise un po’ a capire che aveva davanti un capolavoro, ma poi se ne innamorò.

🎟️ Il pubblico: ovazione popolare e risa con la pancia vuota

Se la critica esordì col freno a mano tirato, il pubblico invece partì a razzo.

Il successo fu immediato e trasversale. Da Torino a Palermo, da Trastevere a Milano centro, gli spettatori si affollarono nelle sale. Ci si riconosceva in quei personaggi, si rideva amaramente di una realtà nota e quotidiana. La fame, l’arrangiarsi, il sogno del colpo facile, la solidarietà tra poveri diavoli: tutto parlava la lingua del popolo italiano degli anni '50.

Non era solo una questione di comicità. Era empatia di classe, identificazione sociale, ironia condivisa tra chi stava nella stessa barca che affondava.

Il pubblico amava:

  • La balbuzie di Gassman che ripeteva “sc-sc-scientifico!”;
  • Il ghigno stanco di Capannelle con i suoi pantaloni da cavallerizzo;
  • L’apparizione geniale, fulminante e dolente di Totò;
  • La povertà vera, finalmente non rappresentata come melodramma, ma come carburante per la risata.

La gioventù urbana, i piccoli borghesi, i sottoproletari, perfino molti studenti si sentirono coinvolti. I soliti ignoti divenne un caso cinematografico: uno di quei rari esempi in cui il cinema di qualità incontra davvero il gusto popolare, e lo fa senza scendere a compromessi.

✂️ La censura: un'attenzione più politica che morale

Sorprendentemente, la censura non si accanì con particolare ferocia su I soliti ignoti, almeno non in termini di scene o dialoghi da tagliare. Ma la sorveglianza fu intensa e costante, perché:

  • Il film raccontava una realtà scomoda, quella del sottoproletariato urbano;
  • Rappresentava la povertà come condizione strutturale e non episodica, con implicazioni politiche;
  • Trattava il crimine in modo umanizzato, quasi tenero, trasformando i delinquenti in eroi maldestri.

Questa impostazione destava sospetti nei settori più conservatori del Ministero del Turismo e Spettacolo, che temevano una rappresentazione troppo “decadente” dell’Italia del boom.

Tuttavia, grazie alla grande intelligenza registica e narrativa, il film schivò i tagli più gravi. Alcune frasi furono addolcite nei dialoghi, in particolare:

  • accenni alla “miseria sessuale” dei personaggi furono smorzati o lasciati allusivi;
  • la scena di Gassman allo specchio, in origine più drammatica, venne resa più farsesca nel montaggio;
  • alcune espressioni di Totò furono moderate per evitare eccessi di sarcasmo sulla polizia.

Il vero punto critico fu ideologico, più che morale: era il ritratto impietoso dell’Italia che dava fastidio, non le battute o le parolacce.

🏅 Premi e riscatti tardivi: la consacrazione critica

Benché inizialmente trattato come film “furbetto”, I soliti ignoti vinse:

  • Nastro d’Argento alla sceneggiatura;
  • Nastro d’Argento a Vittorio Gassman (miglior attore protagonista);
  • Vela d’oro a Locarno;
  • Ulivo d’oro a Bordighera;
  • Coppa d’argento a San Sebastián;
  • E soprattutto, la definitiva benedizione postuma:
    col tempo, il film fu riconosciuto come capostipite del genere commedia all’italiana, punto di partenza per tutti i grandi film che seguiranno (La grande guerra, Il sorpasso, Divorzio all’italiana, C’eravamo tanto amati...).

🎬 Conclusione: un’opera incompresa (ma non troppo)

Alla sua uscita, I soliti ignoti non fu né un’opera unanimemente acclamata, né un caso censurato e martirizzato. Fu, piuttosto, una bomba a orologeria, che esplose nel cuore del cinema italiano con una forza tale da riplasmarne genere, tono e ambizioni.

La critica lo capì tardi, il pubblico lo amò subito, la censura lo studiò con sospetto. E intanto, Totò in vestaglia, sulla terrazza, stendeva i panni e scassinava l’immaginario di un intero Paese.


La più bella «partecipazione speciale» di Totò è quella di Dante Cruciani, esperto in cassaforti in I soliti ignoti di Monicelli. Il film, una pietra miliare del nostro cinema, nasce praticamente per caso. Franco Cristaldi, che ha appena prodotto Le notti bianche di Luchino Visconti, chiede a Monicelli di imbastire un nuovo film per riutilizzare la grande quantità di scenografie allestite a Cinecittà. Monicelli, insieme al duo Age e Scarpelli, comincia a immaginare una storia di ladruncoli. [...]

Alberto Anile


Regista disuguale e non alieno dai cedimenti e dai compromessi, a Mario Monicelli dobbiamo (dopo i non dimenticati Guardie e ladri e Le infedeli, diretti in coppia con Steno) una serie di opere a volte notevoli, come Un eroe dei nostri tempi, a volte deludenti, come Donatella, a volte solo parzialmente riuscite, come Padri e figli e Il medico e lo stregone. Ma con I soliti ignoti egli è riuscito a trovare la via e la misura giusta; e ci ha dato un film che è non solo il più divertente ma anche uno dei più onesti e seri fra quelli prodotti in Italia nel corso della crisi degli anni 1956-1959. [...]

Vittorio Spinazzola, «Cinema Nuovo» 1958


1958 03 16 Domenica del Corriere Claudia Cardinale I soliti ignoti L

«La Domenica del Corriere», 16 marzo 1958


«La Domenica del Corriere», 11 maggio 1958


L'OTTAVO FESTIVAL CINEMATOGRAFICO DI BERLINO

Anna Magnani e Totò candidati ai premi per le migliori recitazioni

La prima è la protagonista dell'americano « Selvaggio è il vento » e il secondo ha interpretato accanto a Fernandel un film che sembra tatto apposta per piacere ai tedeschi • Gina Lollobrigida sopraffatta dall'entusiasmo dei numerosi « fans » ed Elsa Maxwell « reginetta » del ricevimento degli Stati Uniti - Polemica silenziosa per il film « Orizzonti di gloria » ritenuto offensivo dai francesi

[...] Stasera avrà luogo la proiezione dell’unico film italiano. «Anna di Brooklyn», di Carlo Lastricati (con supervisione di Vittorio De Sica), essendo stato rifiutato (e sembra giustamente) l’altro film da noi offerto al Festival, cioè «Le madame», di Mario Monicelli. Ma c’è chi dice che non ci dobbiamo lamentare, dato che, sia pure in modo indiretto, siamo largamente rappresentati in gara. La Magnani e Totò sono già due quotatissimi candidati ai premi per l’interpretazione. E chissà che qualche sorpresa non ci venga dalla pellicola dell’ultima sera. « Polikuschka », un film tedesco, con Folco Lulli diretto da Carmine Gallone?!

Guglielmo Biraghi, «Il Messaggero», 5 luglio 1958


Festival della risata di Bordighera

Vi è anche una farsa sovietica di vecchia scuola - L'esordio questa sera Vittorio Gassman accanto a Totò in un film di Monicelli: I soliti ignoti.

Bordighera, sabato sera.

Si inaugura stanerà a Bordighera, la IV Rassegna internazionale del film umoristico. I film in gara saranno, a cominciare da stasera, i seguenti: La verità... quasi nuda di Mario Zampi; L'ultima notte dell'anno, di Eldar Riazamov; Gambe d'oro, di Turi Vaslle; Historias de Madrid, di R. Beleta; I prepotenti, di Mario Amendola; La bomba comica, di R.A. Bradford; I soliti ignoti, di Mario Monicelli; Gigi, di Vincente Mlnnelli. Diamo qui alcuni cenni sui varii film, ai quali verrà assegnato l'«Ulivo d'oro» nel corso della serata di gala che domenica 21 chiuderà la manifestazione. [...]

Gambe d'oro, di Turi Vaslie, è il primo dei tre fllm italiani in cartellone. Le auree gambe di cui al titolo non sono quelle, ben modellate, di un plotone di girli, bensì altre, magari più preziose, appartenenti al campioni di una squadra di calcio. Alle prese con costoro sarà Totò, mecenate del team, che, pur giocando in serie C, supera i confini della notorietà provinciale e interessa gli esperti delle maggiori formazioni specie nel periodo della campagna acquisti. I prepotenti, di Mario Amendola, il cui titolo rispecchia il contenuto (beghe a ripetizione tra gagliardi e rissosi campioni di quella diffusa categoria di persone che a tutti i costì, e sempre, vogliono aver ragione), allinea tre assi del nostro cinema vernacolo: Aldo Fabrizi, Mario Riva, Nino Taranto, assecondati da Ave Ninchi, Giuseppe Porelli, Wandisa Guida, Anche qui, uno sfondo calcistico.[...] I soliti ignoti è il nuovo definitivo titolo del film di Mario Monicelli, dapprima annunciato come Le madame, ossia i carabinieri nel pittoresco gergo dei ladri. I soliti ignoti è invece una locuzione abituale nella cronaca nera («Stanotte, verso le due, i soliti ignoti, sono riusciti, secondo un piano prestabilito, ad entrare... »): quella cronaca nera, cioè, che, molto scherzosamente, ha fornito ai soggettisti, Age e Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico e Mario Monicelli, lo spunto per descrivere le imprese di una banda di ladri di cui il film mostrerà i volti non « ignoti », ma anzi popolari, perché sono quelli di Totò e di Gassman, di Mastroianni, di Renato Salvatori, di Memmo Carotenuto vecchia scuola. [...]

«Stampa Sera», 20 luglio 1958


Claudia Cardinale attrice suo malgrado

Sono stati necessari un anno e tre viaggi in aereo per riuscire a convincere la bellissima italo tunisina ad esordire sullo schermo.

Roma, ottobre.

Con tante ragazze che non aspirano ad altro che a fare del cinema, il caso di Claudia Cardinale è veramente fuori dell'ordinario. A Hollywood, ad esempio, dove per quanto riguarda la biografia delle attrici le sparano talvolta piuttosto grosse, qualunque agente pubblicitario sarebbe orgoglioso di attribuirsi la paternità della storia di Claudia. Invece questa vicenda è vera. Cominciò un giorno in cui a Tunisi si svolse un trattenimento damante. Tunisi è una città molto borghese c Claudia che è figlia di un ferroviere tunisino di origine siciliana, era una delle tante ragazze invitate. Claudia partecipò quasi per g.oco. sotto gli occhi vigili dei genitori, al concorso di bellezza che si svolgeva in seno alla festa per eleggere la più bella italiana di Tunisi. Vinse il concorso, ma questo suo successo non avrebbe a-vuto alcun seguito se proprio in quei atomi non si tosse trovata a Tunisi una delegazione di attori e registi italiani per la «Settimana» del nostro cinema all’estero. I dirigenti di «Unitalia» rimasero colpiti dalla seducente bellezza della giovane «miss» e te offrirono un viaggio-premio di cinque giorni a Venezia durante il Festival del cinema.

Terminati gli studi liceali, Claudia partì per Venezia dove durante il suo breve soggiorno i fotografi non la lasciarono mai in pace. Nel frattempo ella rispose cortesemente di no alle richieste di alcuni registi che intendevano farla esordire sullo schermo. In seguito ci sono voluti un anno e tre viaggi in aereo per convincere Claudia ed i suoi genitori a farle tentare la carriera dell'attrtce. comunque la sua incredibile storia di ragazza che prima rifiutava insistentemente il successo e ta ricchezza per stare vicino ai suoi, per non tradire le sue abitudini, piacque ad alcuni giornalisti americani che la descrissero diffusamente, additando Claudia come esempio che il cinema non è sempre il più forte, anche se in ultima analisi si è poi dimostrato tale.

In quest'ultimi mesi Claudia Cardinale ha partecipato all’interpretazione di «I soliti ignoti». In questo film che ha già ottenuto un premio al Festival di San Sebastiano ed una lusinghiera affermazione alla Mostra fuori concorso di Venezia, Claudia ha¦ lavorato accanto ad una sfilza di attori come Gassman, Totò, Renato Salvatori, Rossana Rory, Memmo Carotenuto, Marcello Mastroianni ed altri. Perciò si spiega l’entusiasmo con cui la nuova attrice ora ne parla, sollecitata da alcune domande; «Sono particolarmente lieta di aver collaborato all'interpretazione di questo film perché è in regola anche sul piano dell'umorismo; un umorismo con un sottofondo di amarezza più diffuso che esplicito. La vicenda è a mezz’aria tra la realtà e la fantasia, immune da quelle grossolanità e quegli scadimenti che spesso guastano i films comici italiani. Come dice il titolo, «l soliti ignoti» è una storia di ladri, per essere esatti una divertente ballata ladresca, che esplora il mondo della malavita dall’interno e che si sviluppa sulla linea di un garbato umorismo. La vicenda trae spunto dalla' tradizionale espressione giornalistica che dà il titolo al film. Chi sono in realtà «I soliti ignoti?» Sono anche loro uomini con un volto, uno stato civile, una personalità; con debolezze, affetti e passioni e. anche, una più o meno solida coscienza professionale.

Il film è tutto imperniato sulla preparazione e su l'esecuzione dì un «colpo» notturno, intendendo far uscire questa gente dall'anonimato e, paradossalmente, introdursi nella sua mentalità, nel suo gergo, nelle sue grandi professioni. E la morale, se ce n’è una, è che il mestiere di ladro esige coscienza e serietà come ogni altro lavoro.

Il regista del film, Mario Monicelli, ha già pronosticato per Claudia Cardinale una brillante carriera. E i registi, com’è noto, difficilmente si sbagliano nel fare previsioni del genere. Ne sa qualcosa la giovane Carla Gravina che avendo preso parte all’interpretazione di «I soliti ignoti», è ormai divenuta amica affezionata di Claudia, alla quale ha narrato come Blasetti un giorno l'abbia scoperta per affidarle il noto ruolo di «Amore e chiacchiere». Si sa come vanno queste cose. Basta farsi notare ed apprezzare nei primi films, il resto viene da sé. Ora Claudia Cardinale, attrice suo malgrado, comincia a rendersi conto che si può resistere fino a un certo punto al cinema, e ci si può trovare poi immersi fino al colto nello stesso, quasi senza accorgersene. E ciò è appunto quanto le sta accadendo.

In un primo tempo Claudia rifiutava il cinema non perchè le dispiacesse fare l’attrice, ma perchè credeva che non si potesse diventarlo così, da un giorno all’altro, e quindi era molto scettica sulle varie offerte che le erano state fatte. Avendo ormai superato anche questo suo «complesso», Claudia se non i impegnata di fronte alla macchina da presa, studia tutto ciò che le può giovare agli effetti della recitazione. E’ una ragazza abbastanza colta c intelligente per capire che oggi non basta più per ottenere una lusinghiera affermazione essere soltanto una bella figliola. Per durare, nel cinema, occorrono altre doti. Bisogna saper recitare, insomma. Il pubblico si è ormai fatto troppo scaltro. Sa scegliere i film e le attrici a ragion veduta. Perciò molti la considerano come una sicura promessa del cinema italiano.

Gino Barni, «La Gazzetta di Mantova», 2 ottobre 1958


[...] I soliti ignoti è una pellicoletta spassosa, con tutte le limitazione imposte olle forme parodistiche che, avendo un modello da svisare, non riescono a discostarsene. I motivi di maggior diletto e di più puntuale verismo nascono dai legami familiari del congiurati; l'uno ha tre madri affettuose. Invece di una sola, l'altro ha un bimbo in fasce da accudire, due hanno fidanzate fiduciose. Sono ladri sentimentali. Gli interpreti non sono tutti credibili, come manigoldi, sebbene siano attori eccellenti; Gassman, Salvatori, Memmo Carotenuto, Mastroianni, Totò non stanno sempre nelle loro parti, il loro torto è di non avere brutti ceffi, come sarebbe giusto. Gli episodi marginali sono i più felici, come quello del ringhioso siciliano cne tiene prigioniera la sorella, o l'altro della fantesca Carla Gravina, messalinetta da periferia. Tutti i dialetti italiani si incontrano nel crocicchio romano; fra le sequenze, le didascalie sul tipo del film muti tradiscono l'intenzione di rifare il verso alla cinematografia popolaresca. Sapidamente recitato, il film ha il solo difetto di voler ricalcare altre maniere, sia pure per beffarsene; è incerto tra commedia e farsa; ma senza dubbio diverte. Questi soliti ignoti, in fondo, sono notissimi, i nostri furfantelli all'italiana, con famiglie da mantenere e reputazioni da difendere. Finiranno male, prima o poi troveranno un lavoro.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 3 ottobre 1958


Questo ballo di ladri rischia di essere il film più divertente della stagione. Non è tutto, uno dei film comici italiani più garbati e intelligenti degli ultimi anni. D'acchito può sembrare soltanto una parodia di celebri film polizieschi di Rififi per esempio. Le analogie non mancano. Ma il ricalco è appena accennato, la comicità del film è autonoma, affidata alla ricchezza delle invenzioni e delle annotazioni, alla varietà dei tipi, alla bravura degli interpreti, alla fluidità del racconto, al ritmo. C'è anche qualcosa di più: I soliti ignoti, è un film a doppio fondo. C'è un'aria di malinconia e di tristezza che è quasi sempre il risvolto della comicità autentica, c'è il segno di una pietà che non diventa mai giulebbosa. A questi ladri, a questi soliti ignoti, s'addice il motto che, secondo Longanesi, è una bandiera degli italiani: «Ho famiglia!». Quali sono i coefficienti di questa riuscita tanto più gradevole quanto meno attesa? La serietà, il coraggio e l'intelligenza di un regista, che non ha ancora trovato la propria strada ma che può dare più di quello che finora ha fatto. Mastroianni è quello che si può dire sicurezza.

Morando Morandini, «La Notte», 3 ottobre 1958


La tradizione... “guardie e ladri”, nel cinema italiano, continua; questa volta, però, con un brio e un buon gusto da superare i migliori campioni del “genere”. Le gesta sono quelle di sempre: un “colpo” in grande stile organizzato da una combriccola di ladruncoli o di aspiranti tali; ma la novità sono i ladruncoli, disegnati ciascuno con la sua esatta fisionomia, il suo carattere ameno, le sue reazioni, i suoi difetti e, vedi caso, le sue virtù. C’è quello che, senza volerlo, rivela in carcere le possibilità del colpo grosso; è un ladro anziano, arcigno, un po’ violento, ma vicino alla. [...]

Gian Luigi Rondi, «Il Tempo» 3 Ottobre 1958


Il film di Monicelli è piacevolissimo e avrà un meritato successo

«La parodia di Riflfi» dirà il pubblico uscendo dal cinema. Ma c’è qualche cosa di più: la satira — seppure in tono scherzoso — di molti dei nostri difetti (supponenza, faciloneria, dilettantismo) esercitata attraverso il divertente racconto delle gesta, anzi delle mancate gesta d’una banda di scassinatori di terz’ordine che si propone di fare, alla maniera dei «grandi» del geriere, il gran colpo. Era molto tempo che non si sentiva una platea ridere così di cuore come quella di ieri sera. Niente di straordinario, intendiamoci, ma in mezzo alla volgarità dei cento film cosiddetti comici con i quali il cinema italiano ha offeso il pubblico In questi ultimi anni, questo di Mario Monicelli appare come un capolavoro di buon gusto, di intelligenza e di fantasia.

Il racconto è piacevole e valido, la sceneggiatura abile e precisa, e le trovate e il dialogo non vengono affidati alle goliardiche improvvisazioni dei nostri cosi poco provveduti attori comici. Avviene bensì il contrario: gli attori sono posti al servizio delle trovate e dei dialoghi degli intelligenti sceneggiatori, e recitano sotto la quasi ferrea guida d’un regista che va, di film in film, acquistando sempre maggior polso. Vediamo cosi attori noti anche per le loro sguaiataggini, questa volta evitarle tutte e mettere in mostra soltanto i propri pregi. Vediamo un Totò più comico che buffonesco, e un Gassman pieno di miracolosa naturalezza. Nonostante il dialetto romanesco, film piacevolissimo, e successo pieno e meritato.

Mosca, «Corriere dell'Informazione», 4 ottobre 1958


Crediamo che Monicelli, regista di I soliti ignoti, non abbia voluto andare aldilà del film comico, usando come mezzo la satira, forse meglio la parodia, di precedenti produzioni, (l’accostamento a Rififi diventa fin troppo facile) che hanno descritto a tinte crude e realistiche, storie della malavita. Attribuirgli intenzioni maggiori sarebbe forse fare un torto alla sua intelligenza. Infatti tutta la pellicola scorre, così non priva di ambizioni stilistiche, sicura, brillante, sottilmente umoristica. Vi è posto per notazioni sottilmente umane, anche per la descrizione intelligente di personaggi, che pur in chiave sempre paradossale, hanno una loro spiccata umanità. Persino il fin troppo scontato epilogo, maturato nel clima ridanciano e buffo delle sequenze finali del furto, è tormentato da una ansia sincera di liberazione, messa in grande evidenza attraverso lo sforzo interpretativo di Gassman e Mastroianni. Efficacissimi attori sono anche Memmo Carotenuto (il suo è un personaggio vero), e Carla Gravina, la simpatica servetta veneta; così come Renato Salvatori e Totò, insuperabile nella lezione teorica sullo scasso.

In conclusione un buon film; ricco di spunti abbastanza originali, ben fotografato da Di Venanzo, divertente per la scioltezza del dialogo ed il sapore delle battute. E che ci offre la visione di un Gassman inedito, disinvolto davanti alla macchina da presa, simpaticamente «cinematografico». Vario ed orecchiabile il sottofondo musicale.

Mag, «La Gazzetta di Mantova», 4 ottobre 1958


Anche un buon film può essere divertente

Adesso vediamo se il successo del film di Monicelli, I soliti ignoti, comincerà a schiudere le pervicaci zucche dei nostri produttori a questa verità, che un film può essere comicissimo, popolarissimo, vendibilissimo anche senza essere stupido e volgare. E tanto per cominciare: non mi ricordo da un gran pezzo di uh film italiano che avesse, come questo, un dialogo totalmente intelligente, con battute tutte calibrate e portanti, di quell'umorismo adulto eppur sempre immediato e intelligibile che siamo abituati a conoscere solo nei film francesi. Però naturalmente in un film un buon dialogo da solo non basta. La trovata verbale è moltissimo, ma trasportata sullo schermo non funziona se non è sorretta dalla trovata cinematografica. La quale trovata cinematografica incomincia dalla distribuzione ossia dalla scelta degli interpreti. Scovare per ogni personaggio l’attore adatto, il tipo che lo incarni nella maschera.’ insomma l’identificazione fotogenica tra il carattere e l’attore che lo porta, è il primo segreto dell’effetto cinematografico.

Da questo punto di vista si può dire che ogni parte, ne I soliti ignoti, è una trovata. Cosi Memmo Carotenuto (grande generico, pari ai migliori campioni internazionali) nel personaggio di Cosimo, il vecchio mariolo pasticcione, anziano del grimaldello, pieno di grandiosi progetti che lo conducono invariabilmente a ruminare articoli di codice e a imprecare contro la sfortuna nelle guardine di Regina Coeli. Così Marcello Mastrojanni il quale, da eroe amoroso disceso al rango del piccolo fotografo imbroglioncello, rimasto a far da balia al pupo in vece della mammina, temporaneamente al fresco per spaccio di americane, ci mette un suo divertente accento di sorniona e piagnucolarne melensaggine. E Totò nella macchietta del vecchio esperto di casseforti passato a professore di scientifici scassi. E il piccolo siciliano, comicamente tenebroso e serissimo, di Tiberio Murgia. Perfino la macchietta più scontata, il nonnino « palo » di professione per i colleghi ladri e perpetuamente affamato, vien fuori saporita con Carlo Pisa cane, che hanno avuto la grande idea di vestire con un paio di calzoni da cavallerizzo.

Ma la trovata delle trovate è Vittorio Gassman nella parte di Beppe, il giovanotto pugile suonato e a corto di espedienti che dalle confidenze di Cosimo, a Regina Coeli, edotto di un possibile colpo magistrale, di introdursi cioè attraverso un appartamento disabitato nel locale dov’è la cassaforte di un Monte pegni della periferia, appena fuori ne fa parte ai compari, e insieme lo decidono. Sono una ben scalcinata banda questi soliti ignoti, una banda del buco da strapazzo, si che il film finisce per diventare un Rififi tutto da ridere, la descrizione circostanziata di un colpo ladresco in cui, avendo sbagliato parete, invece di arrivare alla cassaforte i disgraziati arrivano in cucina, dove non potendosi empire le tasche di oggetti doro, si riempiranno lo stomaco di pasta e fagioli. In mezzo c'è una complicazione, che nel frattempo l’appartamento è stato occupato da due vecchie signore con servetta veneta. per cui Beppe che è il giovane prestigioso (anche se un po’ balbuziente) della compagnia. ha il mandato di sedurla per introdursi in casa. Già i tromboni ci avevano rivelato a teatro di quale stupefacente vena burlesca fosse foderato l’ultimo dei nostri tragici. Rivoltato Amleto e Kean, ecco saltar fuori Beppe, questa caricatura del piccolo lestofante guappo, eloquente e un po’ scemo, che finisce per lasciarsi rassegnatamente intrappolare come un qualunque buon figliolo. Con che impercettibili distacchi, burlandosi del suo personaggio, sembra che Gassman giochi a burlarsi di se stesso. Gli da la replica Carla Gravina, la piccina rivelata da Blasetti in Amore e chiacchiere, che qui è cresciuta ma resta sempre una nuova e deliziosa espressione di donna, e con un suo timbro comico personalissimo. I loro incontri sono impagabili : la scena nella balera, quando lei gli mette il naso finto!

Si ride dunque, ma non crediate che sia soltanto una buffonata. Sottilissimo, imponderabile si mescola alla farsa il sottofondo di un sentimento umano. Questo si fa sentire soprattutto nel personaggio di Cosimo. Il quale, quando esce di carcere, furioso di essere stato defraudato nella sua idea, cerca Beppe per metterlo a posto. Beppe si offre di spartire il bottino futuro, ma Cosimo rifiuta di spartire, non sta nella sua dignità di capobanda anziano, e poiché aggredisce Beppe, essendo il più vecchio ha la peggio. Allora decide di prevenire il colpo degli altri, e urla sera all ora di chiusura della filiale, si presenta al cassiere puntando la rivoltella. Suprema ironia, il cassiere credendolo un brav'uomo che offre un pegno, gli prende la pistola di mano, e dopo averla esaminata bonariamente gliela rende. È il colpo finale per il povero gangster, Spinto dalla bolletta cerca di strappare la borsa a una donna, ma questa grida, accorre gente, nella fuga Cosimo finisce sotto un tram. I soci della banda vanno mestamente a visitarlo all'obitorio. E una tragedia. Ebbene, o mi sbaglio, o il modo semplice rigoroso, incisivo con cui questa tragedia è, quasi direi, interlineata nel racconto burlesco, senza interromperlo, senza deviarlo, senza (cosa difficilissima) indebolire nemmeno per un momento la sua carica comica, è già un capolavoro di tatto e di arte registica.

Filippo Sacchi, «Epoca», anno IX, n.420, 19 ottobre 1958


Finalmente un buon film umoristico realizzato in casa nostra, con interpreti Italiani e un regista Italiana Mario Monicelli, che ha il fatto suo. Non la solita commediola cucita in quattro e quattr'otto per consentire a questo o a quell'altro comico di esibire il consueto repertorio di facezie da Avanspettacolo, ma una pellicola elle ha una vicenda ben costruita e spunti satirici divertenti. Quattro amici, ladruncoli da strapazzo, si ficcano in testa di effettuare un «colpo» di gran classe. Raggiungere, con il sistema del «buco», una capace cassaforte situata al primo piano di un'agenzia di pegni ed asportarne Il cospicuo contenuto. L'impresa è rischiosa, ma il bottino fa gola e la «gang», a notte alta, armata di tutta l'attrezzatura necessaria, inizia il «lavoro». Non vi diremo delle comiche vicissitudini di cui i quattro compari si rendono protagonisti durante l'azione di avvicinamento alla cassaforte attraverso cantine, scale, tetti, lucernai e appartamenti. [...]

Dopo un avvio piuttosto lento, il ritmo del film si fa serrato e sicuro, specialmente nella sequenza dell'impresa notturna che l'abile Monicelli ha punteggiato di piacevoli e spesso originali gags. Vittorio Gassman. Marcello Mastroianni e Renato Salvatori interpretano con gustoso humour i ruoli di bonari ladri. Totò è un divertente «maestro» in scasso di «comari» (cosi vengono chiamate in gergo le casseforti). Memmo Carotenuto, Rossana Rory, Carla Gravina e Claudia Cardinale completano l'indovinato cast.

VIce, «Il Messaggero», 12 ottobre 1958


[...] L'aver tenuto insieme tanti divi è il primo grosso merito del regista Mario Monicelli e gliene deve essere grato soprattutto Vittorio Gassman, primo attore quanto mai dotato, la cui carriera cinematografica, tuttavia, appariva limitata, fin dalle origini, ad esibizioni di truce gigionismo. Qui, dopo essersi calato scherzosamente dentro un personaggio grottesco e insolito per lui, recita in una maniera fresca, divertentissima e meno superficiale di quanto si possa credere a prima vista.

Giuseppe Berto, 24 ottobre 1958


Regista disuguale e non alieno dai cedimenti e dai compromessi, a Mario Monicelli dobbiamo (dopo i non dimenticati Guardie e ladri e Le infedeli, diretti in coppia con Steno) una serie di opere a volte notevoli, come Un eroe dei nostri tempi, a volte deludenti, come Donatella, a volte solo parzialmente riuscite, come Padri e figli e II medico e lo stregone. Ma con I soliti ignoti egli è riuscito a trovare la via e la misura giusta; e ci ha dato un film che è non solo il piu divertente ma anche uno dei pili onesti e seri fra quelli prodotti in Italia negli ultimi tempi. Non alludiamo soltanto alla sceneggiatura, insolitamente festevole e ricca di battute efficaci (qui l’influenza di Suso Cecchi d’Amico deve essersi positivamente aggiunta alla praticacela di Age e Scarpelli, responsabili di tante fra le più tristi farse del nostro cinema recente), e non soltanto alla maestria tecnica della condotta del racconto o alla abilità nella direzione degli attori (Monicelli riesce, fra l’altro, a presentarci un Vittorio Gassman completamente inedito, esilarante, comicissimo): I soliti ignoti è soprattutto un film importante perché dimostra come sia possibile, pur aderendo agli schemi e ai moduli della commedia dialettale, conferire a essa la dignità e l’impegno di una critica di costume, di un moralismo autentici.

Nel film è chiaro l’intento parodistico rispetto ad opere come Rififi e alle ormai consuete idealizzazioni del gangsterismo; ma si tratta di una parodia discreta, accennata solo quel tanto che serve a presentare e mettere in azione, sullo sfondo delle borgate e delle baracche romane (ottimamente fotografate da Gianni di Venanzo), una serie di figure e figurine, tutte vive e gustose, concepite non come altrettante macchiette per provocar risate, ma come veri personaggi, ricchi di una loro fisionomia precisa anche se caricaturalmente accentuata. I soliti ignoti viene così a presentare i caratteri di una briosa ballata, dalle movenze popolaresche e dal ritmo festosamente incalzante, sulla vita e le imprese dei ladruncoli di periferia, iellati, impacciati, ingenui, anche crudeli, a volte, ma sempre perseguitati, più che dalla polizia, dalla loro incapacità ad essere disonesti sino in fondo. Si vedano i ritratti di Ferribotte, il sicilianuzzo dall’aria truce e spavalda, che non ride mai e tiene chiusa sotto chiave la bella sorellina, alla quale prepara un
matrimonio "rispettabile" di Capannelle, il vecchietto in divisa da fantino, sdentato e sempre affamato, il cui sogno è di poter mantenere un’amante; di Cosimo, l’anziano capobanda che sa il codice meglio del suo avvocato e finirà rovinato dal proprio orgoglio di professionista del furto; di Peppe, pugile da strapazzo, sbruffone, il più ”carogna” del gruppo anche se l’unico incensurato, che finirà per perdersi dietro le gonnelle di una povera servetta: Monicelli compone una piccola galleria di ritratti attraverso i quali pone acutamente in luce una serie di vizi e di debolezze nazionali, con una comprensione umana, un garbo e una misura veramente degni di rilievo.

Certo, non tutto gli è riuscito: i contorni di qualche figura, come quella di Norma, sono ancora vaghi, e troppo facile e sciropposa è la conclusione della vicenda di Mario, e stonato è il tasto tragico toccato con la morte di Cosimo. Ma in complesso il regista ha saputo evitare con notevole sicurezza ambedue i pericoli che sovrastano a tutto il nostro cinema di genere leggero, il macchiettismo e l’idillio; raggiungendo cosi una felicità espressiva tale da staccare di gran lunga questo film da tutti i Pane e amore e da tutti i Poveri ma belli che da tanto tempo invadono i nostri schermi.

V. S., «Cinema Nuovo», dicembre 1958


Parlo con ritardo (scusate) del film di Mario Monicelli I soliti ignoti; ma non posso non dire la mia su gente come Tiberio, Peppe, Dante, Mario, Cosimo, Ferribbotte e Capannelle, i cenciosi e madidi personaggi del racconto ideato e sceneggiato da Suso Cecchi d'Amico, da Age e Scarpelli e dallo stesso regista. Abbia come sfondo Napoli o Roma, questa è la mia gente, no? Guardateli. Peppe, un forzuto senza cielo da vedere né terra da camminare, il quale suppone di avere una mente e di usarla; Dante, un vecchio lupo di scassi; ammonito e vigilato speciale, che dorme con un brigadiere sotto il guanciale, ma che (bisogna campare) vende esperienza e noleggia i ferri del mestiere; Tiberio, un fotografo da quattro soldi, che ha la moglie in gattabuia per contrabbando di sigarette, e un lattante a cui badare; Cosimo, un ladro tuttofare, pietosamente cinico, orgoglioso e jellato; Ferribbotte, un sicilianuzzo tenebroso che ha una sorella (Carmela) nubile, come un gioielliere londinese potrebbe avere una gemma staccatasi dalla Corona d'Inghilterra; Capannelle, un lacero sdentata romagnolo, un “barbone” dell'infima delinquenza; e infine Mario, che non utilizza il suo diploma di “ebanista finito” perché lo ha conseguito in un orfanotrofio e c'è scritto. [...]

Giuseppe Marotta, «L'Europeo», 1960


La svolta di Gassman

Il '58 è un anno magro per il cinema italiano: dei centotrenta film prodotti in quei mesi rimangono nei ricordo La sfida, L'uomo di paglia, Nella città l'inferno, La muraglia cinese, Nata di marzo, La tempesta e un film comico dai timbro nuovo, dal ritmo perfetto, destinato a portare mollo ossigeno in un «genere» che nel nostro Paese era scaduto da molto tempo al rango di malinconico spettacolo farsesco: I soliti ignoti di Mario Monicelli. Gli esercenti, trovatisi di fronte a un tipo di comicità e di umorismo ai quali erano disavvezzi, non avevano «creduto» nel film di Monicelli: fu il pubblico a ribaltare la situazione decretando a I soliti ignoti uno straordinario successo. E anche la critica fu unanime, laureando il film con due Nastri d'argento (uno per la migliore sceneggiatura, di Monicelli, Age e Scarpelli e Suso Cecero D'Amico; e l'altro a Gassman come migliore attore protagonista).

Soprattutto allora fu giusto sottolineare quanto fosse doveroso non chiedere più di ciò che onestamente e intelligentemente il film di Monicelli ci voleva dare. Non si trattava di un film satirico, ma della esilarante caricatura di un'Italia minore perfettamente riconoscibile. Il «colpo» che questa combriccola di ladri di mezza tacca si appresta a compiere non costituisce soltanto l'intelligente parodia di un filone peraltro illustre, ma finisce con l'assumere le caratteristiche di un certo «ideale» di rivincila anarchica dolcemente accarezzato. E se i componenti di questa banda di ladri inefficienti non diventano «personaggi», essi acquistano tuttavia il rilievo e le caratteristiche di autentici bersagli di un cerio tipo di umorismo: la malizia, la saccenteria, la pedanteria, il professionismo, la faciloneria diventano ancora più risibili se riferiti ai progettatori di un formidabile furto che, per insipienza, non sarti mai commesso.

Monicelli, cosi, dopo le felici prove e i tentativi di Guardie e ladri, Vita da cani, Padri e figli e Il medico e lo stregone dava la dimostrazione che nel cinema italiano si poteva far ridere senza ricorrere all’armamentario dei lazzi e delle volgarità, e che si poteva sfruttare ex novo le possibilità di alcuni attori — di taglia certo non esile — come Totò (mandato allo sbaraglio in tanti film dozzinali), e come Vittorio Gassman, ristretto nel cinema soltanto in ruoli di truce bravaccio. Quest'ultimo, proprio in quei tempi, aveva illustrato sui palcoscenici, e in modo clamoroso, quanto fosse viva, e sorprendente, la sua vena satirica alternando all'Otello recitato a fianco di Randone (un giorno il Moro e l'altro giorno Jago, rispettivamente) I Tromboni di Federico Zardi, amenissima galleria di «eroi» del suo tempo visti con feroce sarcasmo e anche con il diletto dell’autocaricatura. Con I soliti ignoti nasceva dunque il Gassman comico cinematografico: di qui, via via, doveva discendere tutta una serie di personaggi-mostro che avrebbero fatto la fortuna della cosiddetta commedia all’Italiana. Con tutti i rischi del lavorare su un calco (il «cattivo» di un tempo rovesciato in ribaldo consapevole), ma con l'accattivante presenza di un attore classico che per una certa ironia della sorte coglieva i suoi maggiori successi nella comicità di costume.

p.p., «Radiocorriere TV», 7 luglio 1967


Una banda di ladruncoli del sottomondo romano tenta il suo grosso colpo "scientifico" e naturalmente lo fallisce. Costruito con un ritmo e una sceneggiatura ottimi, su una serie di bozzetti e di gag sempre ad alto livello, questo racconto picaresco e gustosissimo si avvale di attori egregi: Gassman (di cui fu la rivelazione nel genere comico), Totò e tutti gli altri, in macchiette e tipi che ebbero molto successo. [...]

Georges Sadoul, 1968


Totò, il suo volto segreto

1958: Mario Monicelli, Age e Scarpelli e Suso Cecchi D'Amico firmano l'inizio della Commedia all'Italiana, raccontando la storia di cinque scalcagnati malviventi. Con loro, per la prima volta, la risata diventa amara

Non sono molti i «cult» italiani degli anni Cinquanta. Tra questi spicca «I soliti ignoti» di Mario Monicelli, realizzato nel 1958. L'opera all'inizio non fu compresa dalla critica: alla Mostra del cinema di Venezia, la storia degli imbranatissimi ladruncoli capeggiati da Peppe er Pantera ottenne infatti solo 2 Nastri d'Argento per la miglior sceneggiatura (Age, Scarpelli, Suso Cecchi d'Amico) e per la miglior interpretazione maschile (Vittorio Gassman). In compenso il film ebbe una nomination agli Oscar come miglior film straniero.

• Messo in distribuzione, il film ebbe un successo strepitoso, incassando oltre un miliardo: cifra straordinaria per quei tempi. Il risultato fu una «riparazione» di prestigio l'anno successivo, proprio a Venezia, dove Monicelli, con «La Grande Guerra», ottenne il prestigioso Leone, ex aequo con «Il generale della Rovere» di Rossellini.

• Nelle intenzioni di Monicelli il film doveva essere una versione all'italiana del celebre «Rififi» (Du Rififi chez les hom-mes) di Jules Dassin (1955). Addirittura, tra i titoli pensati inizialmente, era comparso anche un eloquente «Rufufu».

• Monicelli dovette brigare non poco per imporre come protagonista Vittorio Gassman. Allora l'attore era noto soprattutto in teatro e al cinema nei ruoli di «cattivo». La Lux, distributrice del film, avrebbe infatti voluto come interpreti Sordi o Manfredi. Ma l'insistenza di Monicelli fu alfine premiata. La Lux accettò Gassman purché gli si ponessero accanto altri nomi famosi come quelli di Totò, Ma-stroianni, Salvatori. Il risultato è ora noto: con il volto modificato (parrucca, correzione del naso, labbro gonfiato), Gassman fornì una esplosiva caratterizzazione comica, dando il via alle sue future grandi interpretazioni in commedie come «Il sorpasso», «I Mostri», «L'armata Brancaleone».

• Oltre a Gassman altri attori ebbero la carriera felicemente avviata. Tiberio Murgia fu una scoperta di Monicelli: faceva lo sguattero in un ristorante, il regista lo trasformò, da sardo di nascita quale era, nel «prototipo» della sicilianità. Carlo Pisacane era un attore napoletano di sceneggiate, il regista lo fece doppiare in bolognese, facendo la sua fortuna. Carla Gravina era una giovanissima attrice in ascesa scoperta da Blasetti nel 1957 con «Amore e chiacchiere». Claudia Cardinale in pratica era al suo debutto. Proveniente dalla Tunisia, sul set conobbe Franco Cristaldi, con cui si sarebbe in seguito sposata.

• Qui, come in altri film, Monicelli mostra il suo talento da «americano»; montaggio secco, incastri dosati tra il brillante e il patetico, unitamente a una serie di trovate che non sconfinano mai nel triviale. Ecco dunque Vittorio Gassman nei panni dell'ex pugile Peppe er Pantera, magniloquente sbruffone con tanto di difetto di pronuncia (si impunta sulle iniziali come ad esempio quando dice «s-scientifico»). Ecco Marcello Mastroianni fotografo timido e remissivo. Ecco il pregiudicato iellato (Memmo Carotenuto) o il giovane onesto tirato per i capelli nell'avventura (Renato Salvatori). Il siculo tenebroso Ferribotte (Tiberio Murgia) e il nonnetto svagato Capan-nelle dall'accento emiliano (Carlo Pi-sacane). Ma soprattutto ecco uno strepitoso Totò nei panni di Dante, il «professore». La morte di Carotenuto introduce una nota tragica del tutto inedita rispetto alle convenzioni allora in uso nel genere comico.

• L'anno successivo, il film ebbe un seguito diretto da Nanni Loy intitolato «Audace colpo dei soliti ignoti» dove, al posto di Mastroianni, compariva un altro attore (con ruolo diverso ovviamente) destinato a grande carriera: Nino Manfredi. Nel 1985 fu poi la volta di Amanzio Todini con il suo «I soliti ignoti vent'anni dopo», con Gassman, Mastroianni e Murgia. «I soliti ignoti» è notissimo negli Usa con il nome di «Big Deal on Madonna Street». Per anni gli americani ne progettarono rifacimenti cinematografici o teatrali finché Louis Malie non gli rese esplicito omaggio con il suo sfortunatissimo «Crackers» nel 1984. Nel 1986 poi Bob Fosse ha diretto a Broadway il Musical «Big Deal» direttamente ispirato al film.

Andrea Bosco, «Ciack», Aprile 1989


MONICELLI - La sera cantavamo con Totò

Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo «Totò cerca casa». Per «Risate di gioia» la Magnani non lo voleva: «Abbassa il tono del film»

«Ok, parliamo dell'estate 1949. Allora girai il mio primo film, in collaborazione con Steno: Totò cerca casa». Mario Monicelli, con quel suo modo un po' brusco un po' sincopato di parlare, accetta finalmente di ripercorrere un pezzetto della sua lunga carriera. Non voleva farlo. «Non mi piace guardarmi indietro - aveva detto -. Il passato è passato. E, poi, non ho il gusto dell'aneddoto. Figuriamoci del pettegolezzo retrospettivo. Posso parlare solo del mio lavoro, del cinema. E' l'unica cosa che ho fatto nella vita».

Di cose, nella sua vita, veramente ne ha fatte moltissime. Ha 77 anni e fa cinema da quando era diciottenne. Ha girato una settantina di film e nella storia del cinema è entrato come uno dei maestri della commedia all'italiana. Ha lavorato con grandi attori e suoi sono alcuni capolavori come La grande guerra, I compagni, L'armata Brancalcone. Ma nel mondo dei ricordi s'inoltra malvolentieri. Mentre si muove con serena sicurezza fra gli interessi e gli affetti del presente. Eccolo sorridere - neanche tanto spesso - nella piccola casa dove è andato ad abitare con la sua nuova famiglia. Mostrare i quadri dipinti dalla giovane moglie. Raccogliere il pupazzo di peluche che la sua ultima figlia - Rosa, di 4 anni - ha piazzato sul più bel divano della stanza. E soffermarsi sul film cui sta lavorando, insieme con Suso Cecchi D'Amico e due esordienti.

«Vorrei fame - dice - una sorta di continuazione e controcanto di Speriamo che sia femmina. Lì raccontavo il rapporto fallimentare fra uomo e donna, la speranza per il mondo nelle relazioni nuove che le donne sanno instaurare fra loro. Adesso vorrei raccontare quanto le donne - passate attraverso l'esperienza del femminismo - hanno spaventato gli uomini, li hanno intimiditi, messi in fuga. lnsomma vorrei che le donne si prendessero un po' la responsabilità del fatto che i sessi non riescono più a trovare un'intesa fra di loro».

E Totò? Il regista fruga fra buste ingiallite mescolate a libri e dischi. Fatica a mettere ordine fra le foto di film disparati. Si diverte, qualche volta, nel rivedere una faccia. S'imbroncia, più spesso, davanti a visi di gente scomparsa, ragazze sparito dopo la breve parentesi in celluloide. Finalmente ecco una piccola antologica di Totò. Totò che ammicca, strabuzza gli occhi, avanza sghembo come solo lui sapeva fare. Monicelli riflette e dice: «Lui era speciale».

Racconta: «L'ho conosciuto nel '49, anche se - prima - l'avevo spesso incontrato. Insieme con Steno avevo scritto le sceneggiature di tanti suoi film di successo. Io e Steno eravamo una coppia molto richiesta quando noi dopoguerra ci fu quell'imprevedibile boom del cinema italiano. Tutti credevamo che - aperte le porte alle pellicole americane, finita la protezione che il regime aveva assicurato al nostro cinema - non ci sarebbe stato un futuro per noi. Molti si erano dirottati verso attività alternative: giornalismo, fumetti. Invece scoppiò il neorealismo. Nacquero - nonostante i pochi soldi, i mezzi tecnici scadenti - quei capolavori e tante pellicole di cassetta. I film costavano poco e rendevano. La gente faceva la coda davanti ai cinema. I produttori investivano e ci guadagnavano. Stimolavano anzi gli autori a sperimentare nuovo strade Insomma, fu un boom.

«Steno ed io diventammo registi per caso. Carlo Ponti aveva sotto contratto Totò per due mesi. Doveva fare un film per la Lux di Alfredo Guarini. Pensò di fame due di film, invece di uno. Allora si girava alla buona, senza la prosopopea di oggi. Ponti ci disse: inventatevi un soggetto, presto! E ci venne l'idea di Totò cerca casa. Il problema degli alloggi era drammatico. Le città erano semidistrutte. Quella storia teneva d'occhio l'attualità e - come si faceva alloro saccheggiava anche le idee di altri, gli spunti che venivano da una conversazione, il teatro napoletano tradizionale. L'episodio dell'alloggio nel cimitero, ad esempio, è preso di sana pianta da un alto unico - anonimo - del repertorio napoletano. Il clima era quello del tempo dell'opera buffa, di Cimarosa e Paisiello, quando un'aria si trasferiva da un'opera all'altra, e cosi una situazione, un personaggio. Le cose nascevano cosi, con grande felicità, in una maniera che poi si è perduta e che rimpiango molto. Si stava insieme, allora, registi, scrittori e attori. A Roma ogni sera sul palcoscenico di un piccolo teatro, l'Arlecchino, saliva a cantare o recitare chi voleva: Aldo Fabrizi come Ennio Flaiano, Ciarletta. Brancati, Mazzarella, la Valeri.

«Ponti interpellò un paio di registi, poi ci disse: Ma, scusute, porché il film non lo dirigete voi? E cosi finimmo dietro la macchina da presa. Era estate, naturalmente, perché allora si girava solo nei mesi estivi quando il bel tempo era sicuro. Non come oggii che, con le pellicole e i mezzi tecnici a disposizione, si può lavorare sempre e, anzi, la luce invernale, di taglio, è preferita. Le ragioni artistiche allora non potevamo neppure permettercele. Mentre oggi - ironia della storia! - film non se fanno quasi più. Arrivammo sul set col copione completo. Non si usava cambiare, avere ripensamenti. Non c'era il tempo per rifare una scena. Totò aveva approvato la sceneggiatura. Lui veramente non discuteva mai. Gli andava sempre bene tutto. Non contestava mai una situazione, una psicologia. All’inìzio aveva tentato di dare qualche suggerimento, per portare avanti una comicità più surreale, più lieve. Ma non fu capito. E la smise di insistere.

«Anch'io l'avevo contrastato. Avevo voluto, semmai, umanizzare il personaggio, portarlo fuori dal cliché della macchietta. Ho fatto un errore. E me ne dispiaccio, tanto più che, poi, mi ha sempre divertito molto rovesciare i ruoli, inventare attori. Sono stato io - in La ragazza con la pistola - a fare di Monica Vitti, l'interprete dell'incomunicabilità e dell'alienazione, un'attrice comica. E nei Soliti ignoti ho avuto l'idea di trasformare in attore comico Gassman, che fino ad allora il cinema aveva voluto nei ruoli del latin lover o del cattivo o dell'antipatico. Sempre in quel film feci saltare fuori Marcello Mastroianni comico, la Cardinale che era una ragazzetta appena venuta da Tunisi e che non sapeva neppure parlare l'Italiano. Tiberio Murgia che faceva Io sguattero in un ristorante... Stessa operazione, ma in senso inverso, nella Grande guerra, dove affidai a Sordi un ruolo drammatico...

«Già allora, nel '49, Totò era fragile, di salute delicata. Era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui valeva la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Era gentile, un signore. Lui era il cast, per questo gli si mettevano accanto anche attori non professionisti che facevano ripetere una scena magari tante volte: Totò non si spazientiva. Con le sue partner, le bellone del tempo, aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Certo, era un divo. Ma, insieme con Aldo Fabrizi mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Li volli per Guardie e ladri, nel '51. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati. Invece mi rivelarono che - quando più divi lavorano insieme - ciascuno vuole mostrare quanto è disponibile: arriva in orario, non pretende il camerino migliore, non si presenta al trucco per ultimo per guadagnare mezzora di sonno. Andò tutto benissimo.

«In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento fra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche do solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare. Si facevano le due, le tre...

«Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo questo si poteva fare così questo è andato male perché... Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai trovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito. Ho capito poi, invece, quanto grande fosse il mito - mania, debolezza, fissazione? - per quel suo titolo nobiliare. Una volta, nel '51, mentre giravamo Guardie e ladri al Palatino, lui puntò il dito verso l'Arco di Costantino. ‘ Sai che quello è mio?", disse. Io non capii. “Certo, certo”, risposi con ironia. Lui, serissimo, insistè: "E' mio perché Costantino era un imperatore romano. Mentre io discendo direttamente da antenati greco-bizantini”.

«La sua notorietà era senza confronti. Con lui girai il primo film che firmavo da solo, nel '55, Totò e Carolina (film che mi diede un sacco di guai con la censura, perché Totò era un poliziotto diciamo umano, vessato dai suoi superiori, sostenuto da un groppo di persone che cantavano L'Internazionale e sventolavano la bandiera rossa: dovetti fare un sacco di tagli, l’identità di quelle persone fu cancellata e il film uscì con mesi di ritardo!).

«Le nostre strade si separarono per anni. L'ultima volta che lavorai con lui fu nel '60. in Risate di gioia, con Anna Magnani. La Magnani la conoscevo bene. Andavo spesso alle serate in casa sua, serate molto divertenti: lei recitava sketches, cantava, faceva terribili scherzi col telefono svegliando la gente, spacciandosi per altri... Per quel film ci scontrammo: lei non voleva Totò. Tira giù il tono del film! diceva. Io però mi impuntai o Totò fu nel cast. La macchina da presa - vidi - gli era diventata più familiare. Il pubblico cinematografico, per lui abituato al rapporto platea-palcoscenico, non era più qualcosa di astratto. Alla fine di ogni scena la troupe - 20-30 persone - si raccoglieva insieme e lo applaudiva. Questo lo riscaldava, gli piaceva. Un'idea geniale. Che però non avevo avuto io...»

Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992


Venafro snobba Totò

L'attore visse in città, dove girò "La legge è legge"

Esattamente 40 anni fa, nel 1958, Totò girava a Venafro "La legge è legge". E la ricorrenza è ancora più significativa, perchè coincide col centenario della nascita. Proprio il 15 gennaio del 1898. l oto nasceva a Napoli, nel popoloso quartiere della Sanità. E mentre in tutta Italia si sono tenute mostre e celebrazioni, Venafro ha praticamente dimenticato colui che per alcuni mesi vi soggiornò. L’ex assessore alla Cultura, Franco Valente, voleva intitolare a Totò una piazzetta, tra i palazzi Nola e Del Prete, proprio dove finisce il famoso "ruar' r’ Sant'Iann", uno dei luoghi più suggestivi e ricchi di storia del centro storico di Venafro. In quella piazzetta si affaccia una casa, oggi disabitata, che era l'abitazione di Totò "contrabbandiere", nella finzione del film. Valente aveva anche pensato di apporre una lapide sulla casa, che ricordasse lo storico evento. Tutto era programmato per questo mese di giugno, quando il centro storico solitamente si rianima. In particolare durante la processione del Santo Patrono. Ma dove viveva Totò a Venafro? Forse non tutti sanno che abitava in via De Amicis, con la compagna Franca Faldini. Presso la villetta Cimorelli. che è circondata da un magnifico giardino all'italiana. Totò era di gusti molto semplici, parco nel mangiare.

Era naturalmente affabile con tutti, pronto nel saluto. All'epoca si ricorda l'amicizia con un parroco, don Filippo Ottaviano, che andava a trovare la sera per bersi insieme un buon bicchiere di vino. Don Filippo era il classico parroco di paese: bonario e leale, gli piaceva tanto la buona cucina: era di aspetto rubicondo: un profondo conoscitore dell'animo umano. All'epoca Totò aveva sessantanni ed era già molto malato agli occhi. Soffriva di retinite, incominciando a vedere sempre meno. Per questa ragione era costretto a seguire una cura di iniezioni. Chi allora, ogni mattina, andava a visitarlo per fargli un'intramuscolare di "Cellulin" è il conosciutissimo dottor Giovanni Pesino. E' lui stesso a raccontarcelo: "Mi accoglieva molto gentile, elegante e misurato, sempre insieme alla compagna Faldini. Era il contrario di come appariva in scena. Rimanevamo soli in una stanza, mentre gli facevo l'iniezione. Mi ricordo che gli iniettavo un medicinale (ndr un estratto biologico) che oggi non si usa più". Il dottor Pesino ricorda i modi signorili dell’attore, la scarna conversazione. Ripete spesso: "Era proprio d'aspetto nobile. Un aristocratico d'altri tempi". Totò rimase a Venafro per pochi mesi, ma non continuativamente. Il tempo strettamente necessario per girare alcune scene del film.

Era esattamente l'autunno del 1958. Da poco Totò aveva finito di girare il film "I soliti ignoti" (diretto da Mario Monicelli). che tanta notorietà gli avrebbe dato. Di li a qualche anno (nel 1967) foto sarebbe morto. Venafro sembra averlo irrimediabilmente dimenticato. Sarebbe invece importante condurre una ricerca, ritrovare vecchie foto dell'attore. Raccogliere le molte testimonianze di quella breve permanenza a Venafro. Per farne un libro.

«Extra Molise - Isernia e Provincia», 1998


Una foto del film in un messaggio contro Veltroni. Proteste dell'attore Murgia e dei parenti di Totò e Gassman

«I soliti ignoti» sui manifesti, il Tribunale ferma An

ROMA

Chissà se Totò avrebbe commentato l’iniziativa di Alleanza nazionale con una sua frase celebre e sdegnata: «Ma mi faccia il piacere!». Fatto sta che il manifesto de «I soliti ignoti», affisso per attaccare la giunta di Walter Veltroni, è risultato indigesto sia agli attori ancora in vita, sia agli eredi di quelli che non ci sono più. Un ricorso è finito sulla scrivania del giudice Massimo Corrias della prima sezione civile, che ha vietato ad An, e alla sua federazione romana, di usare il poster del film girato da Mario Monicelli nel ’58. Il fotogramma incriminato spunta dovunque in città. Diecimila esemplari che criticano la decisione del Comune di far pagare le strisce blu ai residenti. In primo piano c’è Totò che, vestaglia a righe e cappello, spiega ai complici, fra i quali Vittorio Gassman e Tiberio Murgia, come aprire una cassaforte. Lo slogan, in rosso, recita: «Audace colpo della giunta Veltroni. Dopo il furto dell’Irpef arriva la tassa sull’asfalto».

La figlia di Totò, Liliana De Curtis, si è arrabbiata. E la vedova di Gassman, Diletta D’Andrea, si è sentita «indignata e offesa». Murgia è corso dagli avvocati Giorgio Assumma e Andrea Miccichè, che nel ricorso hanno sottolineato «l’uso indebito e non autorizzato del volto dell’attore» e «la lesione dei diritti allo sfruttamento dell’immagine e all’identità personale». «Tra l’altro - dice Miccichè - Murgia appartiene storicamente alla sinistra». I legali ora sollecitano «l’eliminazione dei manifesti», mentre del risarcimento danni - la richiesta è di centomila euro - si discuterà nell’udienza del 21 dicembre.

Al Cdl la decisione del tribunale non è piaciuta. «È una polemica sciocca, perchè la sinistra sì e la destra no?», protesta il governatore Francesco Storace (An) ricordando che il Comune, dieci giorni fa, ha usato Alberto Sordi contro la Regione. «Gli attori e i film del passato sono patrimonio di tutti» dichiara Antonio Tajani (FI). I militanti però hanno scelto l’ironia: nel corso di una manifestazione sulla Piazza del Campidoglio, ieri pomeriggio, hanno esibito i poster proibiti con la scritta: "Vietato scherzare".

Lavinia Di Gianvito, «Corriere della Sera», 10 dicembre 2004


Spacconi, truffatori e buffi samurai nel cinema di Mario Monicelli

Virtù e meschinerie, rivincite e amarezze. Lo sguardo gioviale e disincantato del maestro Mario Monicelli è riuscito a scandagliare la società italiana delTimmediato e successivo dopoguerra. Con i suoi personaggi (spacconi, piccoli truffatori e malviventi sgangherati interpretati sempre da grandi attori) ha saputo cogliere i mutamenti di un Paese in cerca di riscatto, pronto a imboccare scorciatoie più o meno lecite pur di rialzarsi. Le sue commedie, insomma, riescono a cogliere lo spirito del tempo e per questo più che risate tirano fuori sorrisi amari. Alla Casa del Cinema si inaugura oggi la retrospettiva dedicata al grande regista scomparso il 29 novembre. Sei giorni di proiezioni (organizzate in collaborazione con la Cineteca Nazionale) per rivedere alcune delle sessanta pellicole firmate dal padre della «Commedia al-fitaliana».

La rassegna si apre oggi alle 16 con «I soliti ignoti», il film del 1958 che segna l’inizio della collaborazione con Vittorio Gassman. Il personaggio di Beppe, il giovane pugile suonato e a
corto di espedienti, è uno dei più riusciti «mostri» della premiata galleria Monicelli e per l’attore ha rappresentato la «grande svolta» dall’accademia ai ruoli popolari.[...]

Carlotta De Leo, «Corriere della Sera», 11 gennaio 2011


Gassman e Totò ladri per Monicelli

Fra le ricette che ci martirizzano ovunque non troverebbe spazio la pasta e ceci che è il vero happy end della prima ufficiale commedia all’italiana, I soliti ignoti di Mario Monicelli, autunno 1958, un successo in bianco e nero da 91 milioni di incasso — una fortuna —, film nato per sfruttare le scenografie di Le notti bianche di Visconti II titolo è entrato nel gergo ma il regista raccontava di averlo preso da un giornale che raccontava di cinque poveracci, morti di fame, che tentano il colpo grosso alla Rififi picconando la stanza della cassaforte del Monte di Pietà ma sbagliano parete.

[...] Cast incredibilmente ricco con Totò che domina nella lezione di scasso in vestaglia sulla terrazza, mentre è noto che Gassman (Cristaldi producer non lo voleva affatto), opportunamente truccato (cotone nelle narici, parrucca, mascheratala gobba del naso, uno spessore sotto il labbro), balbuziente (zagagliava in romanesco) premiato col Nastro d’argento, col pugile Beppe (anticipa quello dei Mostri) entra nella schiera dei colonnelli della risata, lasciando temporaneamente i matinée teatrali scespiriani Ma ci sono pure Mastroianni, visto e preso tra Le notti bianche e La dolce vita, Renato Salvatori alla vigilia di Rocco e i suoi frateili e i due super caratteristi lanciati da Monicelli, il siciliano Ferribotte (Tiberio Murgia ex cameriere) che tiene reclusa la bellissima debuttante Claudia Cardinale e Carlo Pisacane, oltre alla colf veneta e complice, Carla Gravina e Memmo Carotenuto che va sotto il tram ed è il primo morto della commedia.

Concorse all’Oscar come film straniero (ma fu battuto da Mio zio di Tati, come l’anno dopo Orfeo negro sconfiggerà La grande guerra) e fece gran scalpore in America dove realizzarono ben due remake (oltre agli spunti rubati) e un musical di Bob Fòsse, mentre seguirono due inutili sequel italiani, il primo dei quali passa domani su Rai3.

«Corriere della Sera», 12 febbraio 2014


I documenti

Le uscite home video de I soliti ignoti (1958), con tutti i supporti—VHS, DVD, Blu‑Ray—e i relativi contenuti speciali.

📼 VHS

  • **Edizioni italiane (anni ’80–’90)**
    Diffuse su mercato nazionale, spesso in confezioni semplici con linguaggio italiano, la maggior parte con nessun extra o brevi trailer storici.
    Alcune versioni da noleggio includono fasce pubblicitarie e inserzioni di altri film, ormai scomparse nelle versioni retail.
  • Edizioni NTSC USA (collector’s edition)
    Presenti in formato americano NTSC per il mercato nord‑americano ‍— adatte a collezionisti —, spesso accompagnate da un fascicolo illustrativo. Copie usate sono reperibili su eBay in “ottime condizioni” .

💿 DVD

  • Cristaldi Film (area 2 PAL, agosto 2007)
    • Video: bianco‑nero restaurato, formato Full‑Screen.
    • Audio: Dolby Digital 5.1, con tracce e sottotitoli in italiano e inglese (inclusi per non udenti).
    • Contenuti speciali: casting, extra testuali, interviste, photogallery
  • DVD Essential / 20th Century Fox (2003)
    Versione curata da Monicelli stesso in persona, con supervisione storytelling e qualità audio‑video migliorata. Alcuni hanno confermato che “Monicelli venne coinvolto nella realizzazione del DVD”
  • Versioni di eBay (usato/“come nuovo”)
    Diverse stampe generiche, spesso vendute da privati con discreta qualità, ma senza contenuti extra aggiuntivi

🔷 Blu‑Ray / HD (CG Home Video)

  • Editione in alta definizione, lodata per:
    • Restauro video eccellente con dettagli nei neri e grigi, sebbene la grana risulti talvolta innaturale 
    • Audio HD: tracce italiane e inglesi in DTS HD 2.0/5.1 e Dolby Digital, ottima pulizia dei dialoghi 
    • Extra ricchi:
      • Intervista a Mario Monicelli (~9’)
      • Intervista a Suso Cecchi D’Amico (~3,5’)
      • Provini commentati (Pisacane, Murgia, Gassman – ca. 8’)
      • Sei recensioni d’epoca
      • Scene in versione francese (~7’)
      • Galleria fotografica e locandina originale 
  • Blu‑ray “vent’anni dopo” saga sequel
    Edizione risalente a qualche anno dopo, con extra come “L’altra faccia degli anni ottanta”, introduzioni (~7’) e approfondimenti sulla saga

📋 Riassunto e timeline

SupportoAnno approssimativoEditoreExtra/Caratteristiche principali
VHS (PAL, Italia) '80–'90 vari (market retail, noleggio) nessun extra, trailer
VHS (NTSC, USA) anni '90–2000 collector's edition fascicolo, lingua originale (ebay.com, amazon.it)
DVD Essential 2003 Fox/Cristaldi (2003 version) supervisione Monicelli
DVD Cristaldi Film 08/2007 Cristaldi Film interviste, photogallery, sottotitoli
Blu‑Ray CG Home Video circa 2010+ CG Home Video audio/video HD, interviste, provini, recensioni
Blu‑Ray saga sequel ~2018? CG Home Video introduzione anni ’80

🎯 Conclusioni

  • Per puristi: la versione CG Home Video in Blu‑Ray è superiore per qualità e contenuti extra.
  • Per collezionisti: VHS USA NTSC è un pezzo raro e d’epoca.
  • Per chi cerca un’edizione autorizzata con materiale curato da Monicelli: DVD Essential (2003).
  • La versione Cristaldi 2007 resta un buon compromesso, con extra interessanti e formato multilingua.

Cappello indossato da Totò nel film 'I soliti ignoti' conservato nel baule di scena di Totò

Nella scena in cui Capannelle (Pisacane) si reca al cinema dove lavora Mario (Salvatori) per raccomandarsi di avere cura della sorella nel caso succedesse qualcosa durante il colpo, vediamo alle sue spalle la locandina del film Kean, genio e sregolatezza (1957), in cui recita Vittorio Gassman, ovvero Peppe il pantera.


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Capolavoro, insieme a Divorzio all’italiana, della commedia all’italiana. Tutto perfetto: i ritmi, i personaggi, le cose espresse, pure le ellissi. Grandi finezze, in più tutto quanto potrebbe essere eccessivo diventa magicamente logico e consequenziale. Siparietti esemplari (la rapina di Memmo Carotenuto). Attori eccezionali, in personaggi da amare. Un’altra magìa del film è che dà un risalto enorme a tutti. La ciliegina sulla torta è Totò, qui immenso (“Si lavicchia” è semplicemente geniale).
  • Capolavoro imprescindibile della commedia all'italiana, orchestrato con grande perizia dalla mano di Monicelli, regista -in tal caso- particolarmente ispirato. Gli eventi comici sfumano in una lieve ed inevitabile melanconia, ben resa dalla scenografia appositamente scarna (ma curata alla paranoia) e da dialoghi popolari e pregnanti. Totò compare brevemente, ma la gag della "cassaforte" è destinata a passare alla storia del cinema. Interpreti indimenticabili (Gassman, Mastroianni, Murgia e la Gravina) sanno farsi amare dal pubblico.
  • Immortale classico della commedia italica, uno di quei film che da anni gli americani provano, senza successo, a rifare. Gliene sfugge l'essenza, e manca loro la materia prima: la fame, vero motore della vicenda, raccontata da Monicelli con esemplare coralità, trovate e battute indimenticabili, facce irripetibili, tempi ineccepibili. Totò sublime, gran rivelazione di Gassman comico, repentino passaggio di Capannelle al Mito. Impareggiabile.
  • Banda di ladruncoli tenta il gran colpaccio con un furto preparato “scientificamente”. Il film è piacevole, anzi irresistibile, anche grazie a un cast stellare e a una sorprendente regia dell’ottimo Monicelli, che propone un inatteso corto circuito tra il noir alla francese e la commedia all’italiana. Non a caso il film è stato capostipite di un vero e proprio filone che arriva fino ai giorni nostri e non solo in Italia. Musiche un po’ troppo invadenti.
  • La trama è assolutamente secondaria. Qui contano soprattutto gli attori e le loro grandi interpretazioni. Gassman lo sbruffone, Mastroianni il riflessivo (quello con un po’ più di cognizione), Capannelle, perennemente affamato, Murgia, l’uomo d’onore con sorella blindata. E poi c’è Totò, che purtroppo si vede poco, ma quando parla della cassaforte e tira fuori gli attrezzi è fantastico. Qualche pausa c'è, ma è compensata dalla quantità di situazioni divertenti, spesso con retrogusto amaro. Il finale con minestra ha fatto storia. Da vedere!
  • Pugile scalcinato, dopo aver carpito da un compagno in carcere il piano per una rapina, organizza un colpo "scientifico" con alcuni compari, anche loro ladruncoli di mezza tacca... Una delle punte di eccellenza della commedia all'italiana, con regia e sceneggiatura perfette, la cui fortuna è però legata soprattutto ad un cast in stato di grazia, in cui tutti, divi e caratteristi, riescono a rendere indimenticabili i rispettivi personaggi. Per Gassman, il film segna il passaggio dai ruoli drammatici da villain alla commedia, genere in cui darà il meglio di sé.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lezione del professor Totò, maestro dello scasso; La discussione fra i due innamorati; La mangiata di pasta e ceci compensativa.
  • Diventato oramai oggetto di vero e proprio culto, mi pare leggermente inferiore alla sua fama, pur restando su livelli senz'altro buoni. Più che la sceneggiatura qui valgono le interpretazioni dei vari attori, sui quali spicca, pur in un ruolo secondario, il mitico Totò. Monicelli è regista che sa bene come trattare la commedia e avrà modo di confermarlo negli anni futuri. Buono, da vedere.
  • Sopravvalutato classicone nostrano, simpatico ma mai realmente spassoso, scorrevole ma mai realmente emozionante, di cui stento a cogliere il reale balzo rispetto alla commedia post-neorealista del decennio, se non una maggior consapevolezza (in odor di premeditazione) sul discreto fascino di quell'italianità fatta di accenti, piatti di pasta e tenera povertà. Che altro? Un cast che raduna il top del genere (ma il meglio è il veterano Pisacane), uno script più elaborato della media e una regia dinamica. Buono, ma non esageriamo.
  • Bellissimo film che, oltre ad alcune scene entrate nella storia, offre una varietà di situazioni esilaranti, nelle quali le avversità della vita vengono affrontate con ingenua fiducia da un manipolo di "coraggiosi" di varia provenienza. La comicità segue un filo melodrammatico ma, cosa non facile, non sconfina mai nel ridicolo. Le caratterizzazioni tengono benissimo e non ci sono pause nel susseguirsi degli eventi. Ovvia menzione d'onore per la figura di Capannelle, al secolo Carlo Pisacane.
  • Da rivedere sempre e tramandare ai posteri; la più bella commedia all'italiana di tutti i tempi e anche una delle commedie all'italiana che poco assomiglia a questo filone. Gassman rigenerato troverà qui la strada per il cinema, Mastroianni fantastico, schiera di caratteristi così vividi e divertenti come solo Monicelli poteva crearne. Parodia di Rififi di Dassin, mantiene del noir le tinte cupe e le tese musiche jazz di Umiliani, mai così grande come qui. Un film che ci farà sempre onore.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sc-c-c-scientifico";"Ma Capannelle mica ce lo potemo portà vestito così Sportivo". "Ma quale sportivo: Sta'n divisa da ladro";"Segua quella macchina".
  • Clamoroso e intramontabile capolavoro di Monicelli. La commedia all'italiana per eccellenza è questa, capace di creare un nuovo modo di fare cinema, copiatissimo e in grado di dare la stura ad un prolifico genere che ancora oggi il resto del mondo ci invidia. Girato con una vivacità contagiosa che si sposa ottimamente all'impeccabile sceneggiatura che unisce momenti di vivo divertimento ad altri di amara riflessione: è una ricetta che ha fatto epoca. Mai vista una parata di attori così stellari come in questa occasione, tutti insieme appassionatamente
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La prima apparizione di Totò e la banda che osserva il filmato di Mastroianni; Gassman che sfodera l'accento settentrionale per raggirare la Gravina

  • The light side of Monicelli. Permettetemi questa ardita parafrasi del titolo di un celebre album dei Pink Floyd, visto il tocco leggero con cui il regista di Un borghese piccolo piccolo tratteggia i suoi personaggi (deliziosa anomalia di una filmografia tanto comica quanto amara). Effettivamente questa è una commedia ariosa, raggiante, che pur non rinunciando alla descrizione neorealistica dei suoi personaggi ci fa empatizzare con loro. Non li giudica, Monicelli, si diverte con loro, quasi pretendessero vita autonoma. Un capolavoro che allegerisce l'anima.
  • Capolavoro assoluto della commedia all'italiana, diretto da Monicelli con grande senso della comicità e del ritmo. Il cast è semplicemente memorabile, con Gassman e Mastroianni in primo piano, ma anche con caratteristi indimenticabili come Salvatori, Pisacane, Murgia e il mitico Memmo Carotenuto. Poi c'è Totò a dare un tocco di classe in più ad un film perfetto, che non ha bisogno di commenti. Bella la colonna sonora, buoni i dialoghi, amarissimo il finale.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Tutto scientifico, tutto calcolato!".
  • Una fusione molto azzeccata tra personaggi (piccola malavita di borgata, falliti, un ceto medio basso molto umano), luoghi (una Roma con le ombre della notte e la grigia luce del primo mattino, cantine e cortili desolati e sporchi, case a ringhiera) e il colpo a svaligiare la "comare", che unisce tutti, forse già consapevoli dell'insuccesso di una impresa che usa sturalavandini, tronchesi, cric e una "scientifica" cinepresa. Un noir casareccio, ma lostesso coinvolgente, con momenti di suspense su di un lucernario che si accende all'improvviso.
  • Una banda di ladruncoli s'inventa un colpo scientifico da attuare ad un banco dei pegni. Una grande realizzazione cinematografica che s'avvale di mostri sacri del cinema italiano. Il principe della risata realizza un cameo memorabile mentre gli altri grandi interpreti danno vita ad una sequenza di memorabili situazioni.
  • Grande comicità, in questo film di Monicelli. Grande perché mai volgare o spinta agli eccessi, ma sempre delicata e con uno sguardo disincantato rispetto ai tempi. Ottimi gli attori, molto ben affiatati; anche la sceneggiatura è buona. La comicità di oggi deve imparare molto da questo film.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Avanti il primo!!!!"... "Ma chi è sto primo?".
  • Uno dei classici della commedia italiana, genere a sé che richiede un notevole talento. E qui i talenti non si contano, da un grande regista come Monicelli ad un cast in stato di grazia che spazia da Totò a Mastroianni. In perfetto equilibrio fra l'amaro e il comico, il film getta uno sguardo unico sull'Italia del dopoguerra senza condannare né consolare. Uno di quei rari film corali in cui nessuno viene messo in ombra. Impossibile non simpatizzare con i protagonisti.
  • Quel che più mi piace sottolineare di un capolavoro riconosciuto e riconoscibile, su cui tutto (più o meno giustamente) si è detto, è il fatto che mi ha dato sempre la sensazione di rappresentare il lato solare di Marione. Nel film sono presenti, come sempre in Monicelli, la Morte, la fame, la miseria, l'impresa grande che si rivela meschina, eppure la vena di fondo de I soliti è radiosa, quieta, serena. Un attitudine resa palpabile dal taglio delle luci di Di Venanzo, come dall'affiatamento del cast, che dà l'idea di una famiglia precaria quanto inossidabile.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il corteggiamento di Gassman a Carla Gravina; Capannelle che si tira su i pantaloni da cavallerizzo; il gesso di Mastroianni; "Uomo di lettere".
  • Uno dei tanti capolavori di Monicelli, uno dei più grandi registi italiani che come pochi ha saputo rappresentare l'Italia del 900, con i suoi personaggi indimenticabili e con gli italici vizi e virtù. Parlare di commedia qui è forse riduttivo, visto che al di là di qualche gag c'è l'enorme lavoro del regista e del grandissimo cast nel tratteggiare le caratterizzazioni e i vari personaggi e soprattutto nel far respirare quella voglia di frivolezza che gli italiani cercavano sul finire degli anni 50 insieme ad un futuro certo. Unico e irripetibile.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La rissa in cui Gassman invincibile stende praticamente tutti salvo poi andare al tappeto per una borsetttata della donna.
  • La regia di Monicelli regala un momento di cinema che va oltre il capolavoro, quando con movimenti di macchina elegantissimi mostra "il percorso" per raggiungere la cassaforte al piano superiore del banco dei pegni. Per il resto le scelte del cast rasentano la perfezione con comprimari che entrano nella leggenda (su tutti Pisacane). Peccato che il tessuto narrativo viva unicamente di battute sensazionali a discapito di una omogeneità qualitativa non sempre presente (Salvatori-Cardinale; Gassman-Gravina).
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "La prudenza non è mai troppo, ricordate: la prudenzia non è mai troppo!".

  • A rivederlo ad anni di distanza, per l'ennesima volta, se ne coglie, al di là degli effettivi meriti, la vena un po' facile. Ma forse è solo un'impressione fallace: le numerose scene brillanti (di cui si sa già tutto), la simpatia degli attori, la forza popolare dei caratteri, assurti quasi a maschere di una nuova commedia dell'arte (Capannelle, Ferry Boat), rendono il film più una regione dell'anima italiana che un'opera da valutare criticamente. Grande interpretazione corale, con Totò a inanellare il meglio ("fu Cimin", "si lavicchia").
  • Caposaldo della commedia all’italiana grazie a notevoli componenti. Sceneggiatura che spazia dal faceto al sociale, al dramma, in una costruzione articolata. Regia puntuale che sfrutta le location della ricostruzione. Cast di livello dove specie i comprimari danno una corposità alla narrazione e ciliegina di Totò. Parte iniziale più da operetta e qualche cartello temporale inutile non inficiano una storia di disperazione dove la parte cialtrona predomina la scena in un’umanità disarmante.
  • Spassosissimo, dal ritmo eccellente, si ride dall'inizo alla fine. Il cast è azzeccatissimo e ogni personaggio si ritaglia sapientemente il suo spazio sotto i riflettori. Ha lanciato un genere, ha cambiato i connotati della commedia all'italiana. Imitato e rifatto due volte negli Usa. Una tappa fondamentale della storia del cinema italiano.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sto cercando Mario!" "ce ne sono 100!" "ma questo ruba!" "sempre 100 sono"; "Carmela componiti"; La scoperta del muro errato.
  • Monicelli ha la grande intuizione di affrontare argomenti drammatici con ironia e leggerezza apparente, discostandosi stilisticamente dal realismo classico. Il periodo storico è di transizione, non è ancora la Roma del boom economico e la possibilità del furto per il gruppo di sventurati è vista come unica speranza di redenzione. È un film corale che si approvvigiona della verve di un cast superlativo in cui i volti hanno la loro importanza. La sceneggiatura annovera scene e battute memorabili per le quali entra nell’olimpo del miglior cinema.
  • Gruppo di ladri da strapazzo, grazie ad una soffiata, prepara e attua un colpo con basi “scientifiche” all’interno di un’abitazione. I toni scanzonati, i tempi comici, la coralità degli eventi così come il tratteggio dei personaggi (formato da un cast di immenso valore) sono il fulcro portante di un’opera che guarda con amaro sogghigno all’Italia del dopoguerra, povera ma non sopraffatta, anzi, fiduciosa. Film importantissimo e seminale per la commedia all’italiana e probabilmente summa del cinema di Monicelli. Magari un po’ sopravvalutato.
  • Un film che imprime al cinema italiano una svolta epocale, impossibile non dargli il massimo dei voti. Quel netto contrasto tra la comicità dei personaggi, perfettamente intagliati nelle forme degli attori protagonisti e la drammaticità di una Roma povera e disgraziata ne fanno un vero capolavoro. A una colonna portante vanno attribuiti tutti i meriti e gli onori. Grazie Monicelli.
  • Molto simpatico e divertente, ma mi è parso un po' troppo datato e inferiore al mito che lo circonda; forse perché nello stile è ancora troppo debitore al Neorealismo, genere che ho spesso faticato a masticare. Come spesso accade con Monicelli, le risate si accompagnano ad amare riflessioni sulla vita e le miserie umane (materiali o spirituali che siano). Eccezionali tutti i protagonisti, fra i quali spicca Totò, veramente una spanna al di sopra degli altri. Prima apparizione cinematografica per Elena Fabrizi, in un piccolo ma gustoso ruolo. Da vedere.
  • Non solo un capolavoro assoluto della commedia all'italiana (quasi ante-litteram, date alla mano), ma un film che ha sdoganato al grande pubblico personaggi e ambientazioni che faranno scuola anche in altri generi. I soliti ignoti è l'altra faccia degli esordi pasoliniani che sarebbero presto arrivati: anche se c'è la fame, il degrado, non manca perfino la morte, si ride di gusto. Tutto è servito con garbo eccezionale ed irripetibile. Merito anche di un cast perfettamente amalgamato, in cui nessuno emerge più degli altri. Da imparare a memoria!
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Conosci un certo Mario?" "Qui de Mario ce ne so' cento". "Sì, va bene, ma questo è uno che ruba". "Sempre cento so'!".
  • Difficile trovare difetti in questo film: regia perfetta, interpretazioni di altissimo livello - su tutti Gassmann - e soprattutto uno script geniale, incasinatissimo, che oltre a vantare vari tentativi - falliti - di replicarlo (Crackers, Welcome to Collinwood) ha letteralmente fatto scuola ispirando molti altri registi (si veda la trilogia di Ocean’s eleven di Soderbergh ma anche Criminali da strapazzo di Allen). Insomma, un film imprescindibile per qualsiasi cinefilo. Finale leggendario.

  • Capolavoro della commedia italiana, risultato di un perfetto equilibrio come per una pietanza in cui ogni ingrediente - e parliamo di attori primedonne - riesce ad amalgamarsi senza stonature. La vicenda è divertente, di quel divertimento garbato e furbesco tipico dell’epoca con varie scene memorabili, tra le quali considero quella minestra mangiata all’atto dell’irruzione come emblematica dello spirito italiano.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lezione di scasso; E’ tutto scientifico, tutto calcolato.
  • Uno dei maggiori successi della commedia italiana che fu, ove Mario Monicelli dirige un cast in stato di grazia in cui spiccano Mastroianni e Gassman. La sceneggiatura è buona, ma passa quasi in secondo piano dinanzi alla bravura degli attori: ognuno è al posto giusto, tutti recitano al meglio e, come spesso accade nei film di Monicelli, ci viene consegnata una morale alquanto amara. C'è pure Totò a insegnare come aprire le casseforti. Qualche intoppo c'è, ma siamo dinanzi al grande cinema.
  • Bellissima commedia diretta da un grande Mario Monicelli e interpretata da un meraviglioso cast di attori (e una stupenda Claudia Cardinale). Il meccanismo del film è perfetto e alcune scene sono entrate nella storia del nostro cinema. Si ride e contestualmente si pensa a che bei film venissero girati in quegli anni.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Tutta la gag del furto.
  • Freschissimo, dimostra gli anni che ha solo nei deserti urbani e nei volti che non sono più. Una sceneggiatura granitica nonostante il tema leggero, esaltata dalla recitazione di grandi attori che conferiscono ai loro personaggi accenti e movenze degne dei migliori film da loro interpretati, come questo. Monicelli riesce a rendere simpatico anche Mastroianni, cosa a mio avviso assai ardua. Totò, grande come sempre, personaggio fra i tanti. Pietra miliare nella storia del cinema, da vedere.
  • Capolavoro assoluto della commedia italiana e del cinema in generale. Monicelli con questo gruppo di disperati, ognuno con una patologia diversa, è riuscito a creare il film perfetto; si ride e lo si fa nonostante il film abbia più di 55 anni; poi con un cast come questo cosa poteva uscirne se non un capolavoro? Descrivere film come questi non è facile, bisogna guardarli e basta, le parole sono superflue. La presenza di Totò poi ne aumenta ancora di più il valore. Da vedere e rivedere mille volte.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Ferribotte che dà del settentrionale a un pugliese.
  • Divertente commedia che ha fatto la storia del cinema italiano, con protagonisti i soliti ignoti, ovvero un gruppo di ladruncoli che spera di fare il colpo grosso. Nonostante gli anni la pellicola scorre bene, merito di una narrazione ben strutturata che non ammette pause di sorta e dell'aggiunta di situazioni secondarie (Carmelina, a esempio) che intrecciate alla preparazione del furto coinvolgono lo spettatore. La regia è lodevole sotto diversi aspetti, ma la punta di diamante è il cast (Gassman e Mastroianni eccezionali!). Gradevole!
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il "long take" del percorso da effettuarsi la sera della rapina; La proiezione delle riprese di Tiberio; La tentata rapina di Cosimo al Banco.
  • Uno dei film più belli del cinema nostrano, considerato il capostipite della commedia all'italiana. Monicelli ha saputo condurre allo stato di grazia alcuni fra i migliori attori del momento, imbrigliandoli in un copione originale e ben scritto in modo da evitare protagonismi (rischio non da poco, dato il cast). Personalmente ho trovato molto interessante l'alternarsi dei vari registri comici, che scandiscono i tempi di una visione piacevole e rilassata. Un capolavoro assoluto, di quelli che non si discutono.
  • Pietra miliare del cinema italiano e capolavoro di Monicelli che mescola la buffoneria con il tragico in uno scenario post-bellico italiano da cartolina. L'aiutano gli straordinari attori che sono complementari fra loro e fanno squadra senza rubarsi la scena: il gigionesco Gassman, il pacato Mastroianni, il geloso Murgia e l'affamato Pisacane. Piccola ma memorabile parte del grande Totò, la Cardinale è di una sensualità imbarazzante. Le ottime musiche sono del jazzista Piero Umiliani. Film da vedere una volta al giorno, contro la tristezza!
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena della cassaforte; La pasta e ceci nel finale; "Cerco un certo Mario" "Qui ce ne so cento" "Sì, ma questo è uno che ruba" "Sempre cento so!".
  • Assoluto capolavoro del cinema italiano. Un archetipo imitato da tutto il mondo ma mai più raggiunto. Un film dalla struttura perfetta e compiutamente chiusa in se stessa. Un film enorme dove la commedia incontra il dramma, l’acuminata l’analisi della condizione sociale di un’umanità minima e ai margini si fonde all’attento studio psicologico dei personaggi e dove si celebra il matrimonio indissolubile del realismo con la comicità che feconda, a sua volta, la commedia all’italiana. Un film vivo che offre sempre nuovi dettagli e nuove prospettive.
  • Monicelli fonde felicemente registri comici e spunti neorealistici in una commedia corale senza stonature in cui prìncipi della risata, mostri sacri, solidi caratteristi nel ruolo della loro vita e giovani promesse mantenute del nostro cinema rendono indimenticabili i rispettivi personaggi (basti pensare a Dante Cruciani, Ferribotte e Capannelle). A tutt’oggi resta una delle più riuscite rappresentazioni dell’arte di arrangiarsi e di saper ridere dei propri guai.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Ferribotte al funerale: "Sono sempre i più meglio che se ne vanno". Cruciani: "È la vita, oggi a te domani a lui!"; La lezione di scasso; La pasta e ceci.
  • Poco si può dire della prima vera e propria "commedia all'italiana" senza scadere nell'ovvietà. Difficile non innamorarsi della regia e della storia raccontata, entrambe semplici ma efficacissime fino alla genialità. Cast strepitoso ricco di grandi nomi, anche se il mio preferito è forse Pisacane, vecchietto fragile ma pieno di gioia che è forse la più alta punta poetica del film: una rilettura del neorealismo che parte dalle sue rughe e sfocia nel suo sorriso.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Si lavicchia!"; "Peppe, ma dove vai... dove vai? Peppe, ma ti fanno lavorare, sai!".

  • Che volete di più da una commedia italiana? È molto più facile fare un film alla Antonioni, molto più facile farci sospirare (o addormentare) per le miserie di un intellettuale, che farci ridere dei nostri stessi vizi (anche se poi spesso si cade nell'autoindulgenza). Ci sono idee, ritmo, affiatamento, tutto funziona perfettamente dal primo all'ultimo fotogramma. Grande Monicelli, grandi attori, grandi sceneggiatori. Il confronto con i film italiani attuali è desolante.
  • Impossibile non venerare questo film, un classico intramontabile. Pervaso da un'amarezza di fondo che lo salva dal macchiettismo fine a se stesso, popolato di facce indimenticabili, dovrebbe essere proiettato nelle scuole per far vedere alle giovani generazioni com'era davvero l'Italia del dopoguerra e insegnare loro a sorridere, con affetto, del nostro passato prossimo. Tutti gli attori, dai protagonisti ai personaggi di secondo piano, in un paese civile sarebbero già stati dichiarati patrimonio nazionale.
  • È fin troppo facile fare un bel film con un gruppo di attori così affiatato e di qualità, ma questa imprescindibile commedia ha dalla sua anche un'ottima sceneggiatura, non così semplice come sembrerebbe a prima vista, con più vicende che si intrecciano dando un piacevole ritmo alla pellicola, che intrattiene anche lo spettatore moderno. Magari non si ride come in altre commedie più "leggere", ma gli attori valgono da soli il prezzo del biglietto, compresi i notevoli caratteristi.
  • Sicuramente uno dei film più famosi del cinema italiano, manca però di quel qualcosa che lo renderebbe davvero un capolavoro. Probabilmente una maggiore caratterizzazione dei personaggi avrebbe aiutato in questo. Intendiamoci, l'opera resta comunque eccellente e ben riuscita, ma è indubbiamente sopravvalutata. In particolare il suo inquadramento nel genere "commedia" (o ancora meglio "commedia all'italiana") risulta altamente riduttivo per un film che ha innumerevoli altre sfaccettature.
  • Il capolavoro di Monicelli ed esempio irraggiungibile di commedia all'italiana: ogni singola scena e situazione comica nasconde un lato triste, drammatico; ogni personaggio trattato in modo apparentemente leggero, scanzonato nasconde un tratto malinconico, dolente o anche solo patetico. Basti pensare alla morte e al funerale di uno dei protagonisti: si vira immediatamente nel patetico e poi nell'ironico all'interno della stessa scena... Onore al regista, alla sceneggiatura impeccabile ma anche a un gruppo di attori semplicemente grandiosi.
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "...Cerco uno che si chiama Mario" "Qui di Mario ce ne sono cento" "Si, ma questo è uno che ruba" "Sempre cento sono!".
  • Senza dubbio è e rimarrà sempre il capolavoro di riferimento nel mondo della commedia all'italiana. Ricalca sapientemente e volutamente le gang story americane, molto in voga a quel tempo, ma con quell'ironia e divertissement tipiche di un maestro come Monicelli, sorretto da una sceneggiatura impareggiabile. Cast di primo piano con Gassman, Mastroianni e Salvatori in grande spolvero e una non meno efficace interpretazione di un Tiberio Murgia alle prime armi. Film che non può e non deve mancare nella videoteca di un cinefilo che si rispetti.
  • Commedia all'italiana famosa e citata, che fa sorridere, ridere e commuovere. Trama semplice e ricca di trovate, bel b/n che mostra la nascita e crescita della periferia romana: è una storia dei senza storia del dopoguerra e del boom che stava cominciando, proposta da interpreti infallibili. Quasi senza accorgersene ci si trova a riflettere: parte dal basso, ma arriva in alto!
    • MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sono Michele! Dimenticai le chiavi!"; "... Si lavicchia!".

Le incongruenze

  1. Nella scena del funerale di Cosimo, anche se non si vede chiaramente si capisce che sta piovendo (molte persone si riparano sotto gli ombrelloni e si possono notare i riflessi di biciclette e lampioni sul terreno bagnato della piazza) ma i protagonisti rimangono completamente asciutti e pettinati (vedi Gassman), nonostante non siano riparati dalla pioggia.
  2. Quando il muro dell'appartamento sfitto sta cedendo con la catena di mobili e crick, cambiano inquadratura ed un attimo dopo ritornano sul muro e per un attimo si rivede il muro quasi intatto.
  3. Nella scena più importante, nel momento in cui gli scassinatori abbattono il muro sbagliato, Capannelle sta già guardando nella loro direzione per poi girarsi improvvisamente. I tempi sono evidentemente sbagliati
  4. Quando Capannelle accende la prima volta il fiamifero che causerà l'esplosione nell'appartamento, questi si spegne quasi subito, salvo poi riaccendersi nell'inquadratura seguente più vicina
  5. La lunghezza dei capelli di Renato Salvatori cambia per tutto il film. Alcune volte (come ad esempio nella scena in cui Gasmann fa finta di difendere la ragazza) si vede chiaramente da sotto il cappello che i capelli sono cortissimi, in altre occasioni risultano piu' lunghi anche se di poco
  6. Quando Mario va a casa di Ferryboat per cercare Carmela e parlano intorno al tavolo, le mani di Mario nelle inquadrature da davanti sono in tasca ma da dietro si vede che poggiano sullo schienale della sedia
  7. Nella scena in cui stanno abbatendo il muro il crick e' posizionato in modo errato, quel tipo di crick aveva una barretta che si alzava lungo l'asta, quindi non poteva funzionare nella posizione in cui viene messo!
  8. Dopo che Gassman ha rotto i pantaloni con il chiodo, si vede Ferribotte che sale la scaletta della veranda con la valigia; nella scena successiva Ferribotte e' insieme agli altri alla base della stessa scaletta
  9. A casa del fotografo (Mastroianni) i due ospiti (Murgia e Salvatori) fanno svegliare il bambino che dorme. Questi urla a più non posso, ma nelle scene dove è in primo piano si vede benissimo che non è lui che piange: un doppiaggio non troppo curato
  10. La Gravina fa credere a Gassman di avere molti parenti e conoscenti militari, ma forse prima di millantare così tante fandonie si dovrebbe informare e non dovrebbe dire che gli Alpini non fanno parte dell'Esercito
  11. Dante Cruciani spiega le tecniche di scasso e fa il gesto della sega circolare, ma quando è inquadrato di fronte lo fa con la mano destra, quando è di spalle con quella sinistra
  12. I cinque ladri osservano da una terrazza i luoghi del furto; si vede bene come essi si trovino su una terrazza accanto alla basilica di Santa Maria Maggiore e pretendono di guardare un palazzo ed il suo cortile interno che si trova in Via delle tre cannelle (notare la fontanella tipica). E' vero che utilizzano un binocolo (per altro da teatro), ma tra i due luoghi non c'è solo una distanza non troppo esigua, ma anche molti palazzi che intralcerebbero la visuale.
  13. Un altro errore della Gravina di "cose militari": dice che il fidanzato "è capitano, il mese che viene lo fanno tenente", ma il grado di tenente è inferiore a quello di capitano. Che razza di promozione è?
  14. Peppe e Nicoletta, appena conosciuti, camminano lungo un muretto che permette di vedere i palazzi dietro. Percorrendo quella strada passano due volte davanti allo stesso palazzo. Infatti prima i due superano un edificio con la scritta "Parrucchieria", arrivando davanti ad un immobile in costruzione, dove Peppe saluta alcuni operai (che mangiano seduti); poi ricominciano a camminare partendo da molto prima, ripassano la scritta "Parrucchieria" e ritornano di nuovo davanti all'edificio in costruzione. E' curioso anche che gli operai hanno cambiato di posto e sono arretrati di un centinaio di metri rispetto a dove erano prima e sono sempre seduti a mangiare.
  15. Dante Cruciani fa l'inventario degli attrezzi, poi chiede a Peppe di spiegare l'uso del cric. Finita la spiegazione, Peppe sta per posare l'attrezzo, quando cambia l'inquadratura, ma egli non solo non ha più il cric in mano, ma si trova appoggiato sugli attrezzi della valigia
  16. Ferribotte scopre che Mario ha baciato la sorella e corre subito a vendicarsi dallo "sconsiderato". A casa di Capannelle c'è una piccola spiegazione, nella quale Mario dichiara il suo vero amore per Carmela e rimanda la discussione al cinema, dove ha trovato lavoro. Al cinema poi Ferribotte, essendosi commosso per l'onestà del giovane, dà le chiavi a Mario e giustifica tutto, dicendo che aveva cambiato la serratura perché voleva impedirgli di vedere la sorella. Ma se Ferribotte si è commosso per le parole di Mario a casa di Capannelle, quando ha avuto il tempo di cambiare la serratura, se appena scoperto "il fattaccio" era subito andato a cercare Mario?
  17. Durante il tentativo iniziale di furto d'auto si vede una autovettura percorrere la strada in direzione contraria della telecamera. In realtà si vede bene dai primi piani di Capannelle (Pisacane) che quella strada è senza uscita proprio nella direzione da dove viene: quell'auto non poteva venire da nessuna parte.
  18. Durante il ballo di Carnevale a cui partecipano Peppe e l'ex compagna (Rossana Rory) del defunto Cosimo, si sente ad un certo punto, e piuttosto bene, una sorta di scricchiolio/cigolio, forse causato dallo spostamento di qualche attrezzo del set
  19. Quando appare l'articolo del colpo sul giornale (scritto su due colonne) si nota che la colonna di sinistra parla del colpo, mentre quella di destra parla di tutt'altro

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo
Lo spiazzo dove Capannelle (Pisacane) vuole contattare un certo Oreste per proporgli di fare la "pecora", ovvero andare in galera al posto di un altro sarebbe oggi in Largo Alessandro Toja a Roma.

Cominciamo coll'inquadrare i due palazzi A e B sulla sinistra

Quindi il lungo edificio C
Grazie a una triangolazione possiamo quindi concludere che il punto fosse quello che si vede qui sotto indicato in rosso.

La fermata del tram dove Nicoletta (Gravina) scende dopo aver affidato a Peppe (Gassman) le chiavi dell'appartamento in cui "i soliti ignoti" hanno intenzione di entrare è in viale Pinturicchio a Roma. Seguendo il percorso si arriva dove Nicoletta arriva e saluta con un bacio Peppe. Fuori due insegne particolari già viste in Ballerina e buon Dio (1958). Notare la sede tranviaria libera dall'odierna vegetazione
 

Nicoletta è scesa e il tram riparte: si vede un portone davanti al quale il tram si è quindi fermato

Le location esatte de "I soliti ignoti"

Premessa. Per un film come I Soliti ignoti, che appartiene ai maggiori successi italiani di ogni tempo, un film che lanciò Gassman come attore anche brillante, un film che tutti in Italia o quasi hanno visto, non c’è bisogno di dire che qualcuno ci aveva già lavorato, sulle location. Ancora prima che la trasmissione di La 7 (La valigia dei sogni) se ne occupasse in un bello speciale di qualche tempo fa, alcuni luoghi “di culto” erano già stati svelati. La “Valigia dei sogni” andava innanzitutto a ritrovare la via in cui sorgeva l’agenzia di pegni obiettivo del furto (si trattava forse della location più nota in assoluto, dal momento che la via, centralissima, era già stata più volte indicata come quella del film) ma anche – più interessante – a riscoprire dove fosse il terrazzo ove Dante Cruciani (Totò) dava le sue “lezioni di scasso” ai nostri eroi. Simone Annicchiarico e la sua troupe erano stati poi in via Alesia (l’incipit col furto) e infine avevano intervistato Murgia davanti all’edificio in cui si celebrò il funerale di Cosimo/Carotenuto senza tuttavia dire dove si trovassero. Per risolvere quest’ultimo enigma ma soprattutto per fare luce su molte altre location “dimenticate” dalla Valigia abbiamo chiamato Ellerre, il segugio romano cui basta talvolta solo sniffare una scena per portarti dritto all’obiettivo. A lui quindi non solo il compito di trovare le location mancanti ma anche di fotografarle, in parte di raccontarle e persino (prima volta nella storia davinottica) di comporre personalmente alcune tavole (di professione è grafico come me, quindi...). Io mi sono trovato più che altro a spalleggiarlo, incitarlo e in un unico caso a togliergli le castagne dal fuoco. Quindi non resta a noi tutti che complimentarci enormemente con un personaggio che ha in serbo altre chicche strabilianti (che scopriremo col tempo) e cominciare a leggere incontrando i primi due personaggi del film.
1. FURTO CON SCASSO (DI FINESTRINO) (La valigia dei sogni)

Il film si apre con Cosimo (Memmo Carotenuto) e Capannelle (Pisacane) che si danno al furto d'auto. In via Alesia il primo spacca il finestrino dell'auto con un mattone mentre il secondo fa il palo. Peccato che quando la polizia arriva Capannelle non riesca ad avvertire in tempo il compagno, che finisce braccato dalla polizia. Sottolinea Ellerre: “Per quanto mi riguarda, questa era una via nota prima del servizio televisivo di Annicchiarico poiché 20 anni fa frequentavo un amico che abitava in largo Pannonia e aveva la finestra della sua stanza che si affacciava proprio su via Alesia. E' una via chiusa e di recente è stato aperto un supermercato che l'ha resa molto più frequentata di un tempo. Di conseguenza il parcheggio selvaggio delle automobili mi ha costretto a fare scatti non fedelissimi ai fotogrammi del film”.

2. CAPANNELLE IN CERCA DI MARIO (Ellerre)
Capannelle sta cercando di rintracciare Mario (Salvatori) e si trova in uno spiazzo dove sullo sfondo spuntano casermoni tipici da periferia romana. I ragazzi a cui chiede informazioni stanno giocando a lippa (o “nizza”, come veniva chiamato a Roma), un gioco in cui il battitore deve lanciare un pezzetto di legno (la lippa, per l’appunto) più lontano possibile (qui finisce in testa a Capannelle) con un bastone. Gli avversari devono cercare di prenderlo al volo. Un tempo era molto diffuso anche in Italia (e lo ritroviamo anche in altri film come Altrimenti ci arrabbiamo, Guardie e ladri ed altri), oggi è praticamente scomparso.
I casermoni sullo sfondo sembravano un rebus irrisolvibile. Come trovarli, in un’area che poteva essere potenzialmente sterminata? Nella “Valigia dei sogni” la scena si vede, ma Annicchiarico parlava genericamente di perfieria nell’impossibilità, evidentemente, di trovarne una collocazione più precisa. Fortuna ha voluto che il solito Ellerre passeggiasse pochi giorni fa in zona Prati Fiscali individuando edifici molto simili a quelli che si vedono nel film. Convinto di poter trovare anche quelli del film si è gettato a corpo morto su streetview riuscendo anche questa volta nell’impresa: gli introvabili casermoni sono saltati fuori in via Tonale, all’incrocio con via Monte Taburno. Ci è voluto un po’ per capire esattamente quali fossero (ce ne sono molti e tutti simili), ma alla fine, considerati anche gli edifici vicini, si è riusciti a ritrovare lo spiazzo esatto in cui i ragazzini giocavano a lippa. Oggi lì ci sono un bel po’ di palazzi in più, ma lo spiazzo c’è ancora, con il capannone del mercato di Val Melaina in centro. Da notare che se la cinepresa di Monicelli si fosse voltata allora a inquadrare cosa c’era alle spalle di quello che ci viene mostrato, avrebbe inquadrato non campi a perdita d’occhio come si potrebbe pensare ma un altro isolato del tutto simile a quello che si vede nel film: lo spiazzo stava proprio al centro dei due.

3. LA CASA DI FERRIBOTTE (Saldipuma)
Questa caratteristica casa a ringhiera si vede per la prima volta la quando Mario e Capannelle vanno a parlare con Ferribotte (Murgia), poi ancora quando il solo Mario vi si recherà tentando di sedurre la bella Carmelina (Claudia Cardinale), che vive col Ferribotte. Cosa che ripeterà in più di un’occasione, peraltro, dandoci la possibilità di ritornare in quell’edificio a ringhiera che il nostro Saldipuma, tempo addietro, aveva segnalato nelle location del Davinotti. Siamo in un caseggiato che affaccia su Piazza dei Sanniti, che ha creato qualche problema di perfetta identificazione a causa della somiglianza dei cortili posti all’interno di quello che è noto come Palazzo Lamperini. Infine, grazie a pazienti ricostruzioni attraverso i fotogrammi del film, si è identificato il palazzo esatto e soprattutto il cortile, esatto. Lì, al secondo piano, affacciava la porta di Ferribotte e Carmelina.

4. PEPPE SI PRENDE LA COLPA DEL TENTATO FURTO DI COSIMO (Ellerre)
Peppe "il Pantera" (Gassman), dopo essere finito a tappeto sul ring, va dal giudice e, in presenza anche di Cosimo, decide di assumersi la colpa del tentato furto d'auto di quest'ultimo, assieme al quale finirà dunque in carcere ("in galera, tutti e due!"). Il luogo in cui avviene la scena ha ampie vetrate che danno sulla strada e che dunque permettono l’dentificazione della location. “Per chi conosce Roma”, dice Ellerre, “è facile individuare il paesaggio che si scorge dalle vetrate presenti nella scena: si tratta inequivocabilmente di via Nazionale. Ed è facile individuare pure l'edificio in cui si svolge la scena perché quei finestroni lì sono quelli dell'ex cinema Quirinale di via Nazionale 190”.

5. GASSMAN ESCE DI PRIGIONE (Ellerre)
Salutando il piantone, Gassman con un pacco in mano esce finalmente di prigione grazie alla condizionale. “Quando passava questa breve scena”, precisa Ellerre, “ogni volta che vedevo il film cercavo di capire, senza però la necessaria convinzione e gli opportuni mezzi, in che zona di Roma fosse girata. Solo guardando e riguardando con attenzione l'unica inquadratura a disposizione mi sono accorto che in cima alla salita si può vedere abbastanza bene la chiesa di Sant'Onofrio (che è accanto all'ospedale Bambino Gesù sul Gianicolo) e ho potuto immediatamente localizzare la stradina. Purtroppo la palazzina del film è stata abbattuta, anche se il paesaggio rimanente è immutato (verande a parte) rispetto al 1958”.

5 B/C. LA CASA DI CAPANNELLE (Giorgio Sornicola)
La casa di Capannelle, dove questi è raggiunto da Mario (Salvatori) che lo avverte dell'uscita di prigione di Peppe il pantera, era parte di un piccolo complesso di baracche addossato alla centrale di Via Collatina a Roma. E' oggi impossibile stabilire con esattezza il metro in cui era posizionata la baracca di Capannelle, ma è invece possibile individuare con precisione il luogo esatto in cui stavano quelle baracche. I lavori dell'alta velocità hanno mutato profondamente il paesaggio, ma il valente Giorgio, che ci ha contattati via mail, è riuscito comunque ad individuare il posto ed Ellerre ha approntato le due tavole che vedete qui.

6. L'AGENZIA DI PEGNI N. 9 (La valigia dei sogni) Una location importantissima e ormai nota da tempo. Parliamo dell'edificio in cui i "soliti ignoti" dovranno compiere il grande colpo. Una location che vedremo ovviamente inquadrata molte volte, nel corso del film, di giorno e di notte. Image Si tratta di un luogo noto a tutti i romani (o quasi) poiché ci troviamo nella celebre via delle Tre Cannelle, che è subito riconoscibile non appena si nota la particolare fontanella a tre bocche (vengono chiamate "nasoni" per la loro singolare forma con cannella ricurva), diversa dalle altre di Roma che invece sono a un'unica bocca. Merito comunque alla “Valigia dei Sogni” per aver reso nota la location anche ai “non romani”. Il sopralluogo del gruppo di bonari malviventi, accompagnato dalla descrizione di Peppe, ci mostra la zona: dall’appartamento sfitto al portone dello stesso, dalla carbonaia da cui dovranno passare fino alla terrazza dalla quale li ritroviamo ad osservare la scena dall’alto. E proprio qui ci aspetta una sorpresa...

7. LA TERRAZZA DA CUI PEPPE E GLI ALTRI OSSERVANO LA SCENA (Ellerre)
Eccolo qui il trucco, infatti, finora non ancora svelato: la terrazza dalla quale il gruppo osserva, che poi è la stessa da cui Tiberio (Mastroianni) filmerà la scena con la sua minicinepresa, non affaccia affatto, nella realtà, su Tre Cannelle, e si trova invece a Santa Maria Maggiore, quindi parecchio distante! Lo si capisce quando si vede che il paesaggio circostante non corrisponde a Tre Cannelle e si vedono invece elementi che lasciano capire si tratti della Basilica S. Maria Maggiore: la cupoletta in primo piano, la colonnina con la madonnina in fondo. Da lì, insomma, anche sporgendosi, l’agenzia di pegni e la relativa cassaforte proprio non si vedono...

8. TIBERIO AL MERCATO PER RUBARE LA CINEPRESA (Ellerre)
A Tiberio spetta di fotografare attimo per attimo chi apre la cassaforte dell’agenzia di pegni in modo da poter ricostruire la combinazione. Ma per farlo, ovvio, ci vuole la macchina fotografica. Che Tiberio non ha. Dovrà andare a rubarla al mercato, dove addirittura ruberà invece una piccola cinepresa (difettata, ma questa è un’altra storia). Qual è, ci si chiede, il mercato scelto per l’operazione?
Ce lo spiega Ellerre: “Intuendo che i protagonisti fossero a Porta Portese, mi ci è voluto un po' per individuare il punto esatto in cui venne girata la scena. Oggi Il capannone che si vede nel film è puntellato e forse in via di ristrutturazione e consolidamento mentre il muro che era ben tenuto allora è oggi occultato da bancarelle permanenti fatte di lamiere, e da scritte varie (abusivissime)”

9. L’ISTITUTO CORRABONI (Ellerre)
Per pagare le prestazioni dello specialista Dante Cruciani (Totò) c’è bisogno di soldi e tocca a Mario procurarli. Questi torna allora a prendere il suo libretto dei risparmi all’istituto di avviamento Corraboni, un orfanotrofio ("mi servono per un cappotto", si inventa). Trovare l’istituto Corraboni era un’altra bella sfida: si intravedeva una chiesa con due campanili, dietro il cancello, ma nient’altro. A Ellerre è bastato. Ha cominciato uno studio sulle diverse alture che lasciamo a lui l’onore di spiegare: "E' stata particolarmente dura la ricerca poiché gli elementi visibili, sebbene macroscopici e ben caratteristici, non riuscivo a collocarli in nessuna zona di Roma in particolare. I due campanili gemelli visibili nel film e del tutto somiglianti a quelli di Trinità dei monti non sapevo proprio dove potessero essere. Ho anche pensato che potesse trattarsi di zona extraurbana, di ville del Tuscolo... macché, niente. Allora, come sempre faccio in queste ricerche, ho rivisto il filmato che restituisce informazioni preziose: la chiave di tutto è stata la pendenza che Mario mette in evidenza quando arriva al cancello. Tre erano le colline di Roma da esplorare e le zone verdeggianti adiacenti in cui avrebbero potuto edificare edifici simili: Gianicolo, Aventino e Monte Mario. Mi misi alla ricerca e fui premiato quando, proprio all'ultimo (mi ero quasi arreso), vidi, non lontano da Monte Mario, in zona Pineta Sacchetti, il vecchio edificio all'interno dell'Università Cattolica."

10. IN TERRAZZO A LEZIONE DI SCASSO DA DANTE CRUCIANI (La valigia dei sogni)
I “soliti ignoti” si ritrovano in cima alla terrazza di un palazzo, dove lo specialista in casseforti Dante Cruciani (Totò) spiega un po’ il funzionamento della cassaforte che ha riconosciuto dal filmino di Tiberio, con tanto di dimostrazione in diretta. Una scena storica, epocale, che mette in evidenza il risaputo talento del comico napoletano qui in partecipazione straordinaria. Siamo in un quartiere popolare di Roma, Casal Bertone, e il ritrovamento della location è totalmente da ascrivere alla “Valigia dei Sogni”, durante la quale il conduttore si è spinto fin sopra alla terrazza di un palazzo che sta nei pressi di quello originale (che oggi non esiste più, è stato abbattuto). Siamo, per l’esattezza, in Piazza Cosenz.

11. SCAZZOTTATA PER INGRAZIARSI LA SERVETTA (La valigia dei sogni)
Per rimorchiare la “servetta” di Padova che sorveglia la casa quando le sue due zie zitelle se ne vanno a Genzano e a vedere le vigne (e che quindi ha le chiavi dell’appartamento), Peppe organizza un finto salvataggio dalle grinfie di due malintenzionati (Mario e Ferribotte) che la molestano. La scazzottata già preventivata avviene in una location nota (grazie anche alla "Valigia dei Sogni" di Annicchiarico) per via delle ben visibili mura vaticane in cima alla scalinata di via Tunisi. Dice Ellerre: “Molto è cambiato a partire dal palazzo, che è stato costruito a sinistra della scalinata fino al mutamento della palazzina antistante le scalinate, in cui è stato creato l'ingresso all'hotel Alimandi alterando l'angolo della palazzina stessa. Si nota infatti nel 1958 una finestra in più (quella in primo piano) che oggi lascia il posto a una "loggetta" di ingresso all'hotel. Infine sono da notare, all'interno delle mura, i nuovi edifici dei Musei Vaticani fatti costruire successivamente, nel 1973, da Paolo VI”.

12. GASSMAN RIRAGGIUNGE LA SERVETTA E L’ACCOMPAGNA PER UN TRATTO (La valigia dei sogni)
Scoraggiato al primo momento dal fatto che la ragazza le dice che sta andando dal proprio ragazzo, Gassman si riprende e la riraggiunge accompagnandola per un tratto a fianco di un cantiere dove si alzano grossi palazzoni.
“Un bel trucco”, sottolinea Ellerre: “Si passa in un secondo dalla scalinata di via Tunisi ad un posto che è da tutt’altra parte! Una location facile da trovarsi, ad ogni modo, per via del paesaggio di fronte alla Batteria Nomentana visibile ogni qualvolta si prende la Tangenziale Est da via Nomentana in direzione San Giovanni. Il muretto con proporzioni ‘umane’ che si vedeva nel film è stato oggi sostituito con un muraglione alto e largo con sopra una grossa balaustra metallica che rende difficoltosa la visione del paesaggio retrostante. Le foto le ho dovute scattare salendo proprio sopra questo muraglione”.

13. AGLI AUTOSCONTRI (Ellerre)
Pare che la corte alla servetta dia buoni frutti. Peppe riesce a portarla alle giostre, più precisamente agli autoscontri dove però viene “pizzicato” dal redivivo Cosimo (Carotenuto), uscito anche lui prima del previsto grazie a un’amnistia. Cosimo salta su un’automobilina, sperona i due e comincia a inseguire Peppe. “Non è stata una delle location più facili da trovare”, dice Ellerre. “Per molto tempo mi ero soffermato nel cercare, invano, la scalinata, ma la scena chiave si è rivelata invece quella con i grossi bastioni che si vedono dietro Gassman che corre: sono inequivocabilmente le grosse mura che sostengono il ponte della ferrovia sopra via Gregorio VII e via Aurelia (che porta in Vaticano).”

14. AL LADRO! (Ellerre)
Cosimo, ormai terribilmente depresso, tenta nella notte, in bici, un maldestro scippo destinato a finir male (sotto un tram). “Essendo il paesaggio di oggi molto cambiato rispetto al film”, precisa Ellerre, “non è stato facile trovare il punto esatto in cui si svolge la scena. Grazie a un'insegna luminosa in cui si legge bene ‘al Mattatoio’ e al tipo di edilizia popolare, si capisce che siamo nei pressi nel quartiere Testaccio, ma solo dopo aver osservato attentamente tutte le sequenze ho trovato il punto esatto. Ho scorto su un'altra insegna lontana, appena decifrabile, la scritta ‘da Checchino’. Si tratta del famoso ristorante storico, ai piedi del Monte Testaccio, che contribuì alla nascita della cucina popolare romana (inventò la "coda alla vaccinara" grazie al "riciclaggio" degli scarti del mattatoio antistante) e che esiste tuttora (anche se il locale è ridimensionato e non è più quello dell'inquadratura del film). Inoltre c'è tutta una zona di caseggiati che è stata abbattuta ed è sparita da decenni. Fino a poco tempo fa al suo posto c'è stato un parcheggio all'aperto oggi transennato per una ristrutturazione generale”.

15. IL FUNERALE (Ellerre)
Il funerale di Cosimo avviene in una piazza che sembra quasi periferica, di fronte a un edificio bianco. Capannelle, Peppe, Ferribotte, Mario e Dante Cruciani son tutti lì, a dispiacersene (“Sono sempre i più meglio che se ne vanno”...)
Questa location era nota alla Valigia dei Sogni (visto che Murgia veniva intervistato lì davanti), ma nella trasmissione non si diceva affatto dove fosse! “Ho cercato”, dice Ellerre, “anche assieme al prode Zender, nei pressi del Foro Italico visti gli indizi architettonici e il promontorio retrostante che poteva essere Monte Mario. Poi mi è venuto il sospetto che fosse l'Aula bunker di Roma ed infatti era così. Siamo nella zona compresa fra le pendici di Monte Mario e il Tevere, all’ingresso sud del complesso del Foro Italico, in via R. Morra da Lavriano. Costruito nella metà degli anni 30 su progetto di Luigi Moretti, l'edificio nasce come ‘Accademia di scherma, luogo per cerimonie, ricevimenti ed esposizioni’. Col tempo cambia funzione divenendo nel 1981 ‘aula bunker’ del Ministero di Grazia e Giustizia (ospita i processi Moro, Alì Agca e quelli di importanti mafiosi) e Stazione dei carabinieri. Nel 2005, l'allora sindaco Veltroni annuncia di voler trasformare l'edificio in un Museo dello Sport per restituire al pubblico l'opera architettonica, ma non penso che tale innovazione sia stata ancora realmente attuata.”

16. I SOLITI IGNOTI SI RITROVANO IN PIAZZA A COLPO CONCLUSO (La valigia dei sogni)
Terminato tristemente il colpo con un botto fuori programma quando già le cose erano andate sufficientemente male, il gruppo viene inquadrato quand’è in una larga piazza semideserta, dalla quale si diramano ampie vie percorse anche da tram (come quello sul quale sale Tiberio, ovvero il numero 7). “Ora è moltissimo che non passano più tram, in quella via”, precisa Ellerre, “anche se fino a qualche tempo fa si potevano ancora tovare rotaie che spuntavano dall’asfalto. Siamo in parte in una location a me molto nota (ben prima delle localizzazioni della Valigia) visto che l'ho percorsa durante tutti gli anni 80. La strada (via Britannia/Piazza Armenia) è diventata ad alta densità di traffico dal 1982, anno di costruzione del viadotto di via Cilicia sull'Appia antica (secondo ‘scempio’ di Roma, dopo la Tangenziale est, che è andato a deturpare parte del paesaggio antico di Roma) che ne ha aumentato a dismisura la funzionalità. La foto, anche se un po' spostata rispetto al film, l'ho potuta scattare (senza troppi rischi per la

17. CAPANNELLE E PEPPE RIMASTI SOLI PASSEGGIANO (Ellerre)
Ferribotte aspetta il 31, Tiberio è già salito sul 7 e così Peppe e Capannelle restano soli. Capannelle chiede a Peppe cosa voglia fare, se ha intenzione di riprovarci con la servetta, ma Peppe nega e la passeggiata continua su una strada che apare semideserta. La location è stata trovata con una certa facilità perché doveva esser lì per logica, una volta individuata l’ultima location (ovvero i campi Flegrei). La strada che sbuca ai campi Flegrei infatti è proprio quella: via Valpolicella. Anche se oggi è profondamente cambiato lo sfondo (ci sono dei "mostri" che un tempo non c'erano) il resto è intatto.

18. FINALE CON FUGA DAI POLIZIOTTI (Zender)
Sempre Capannelle e Peppe fuggono da un paio di poliziotti allertati dalla sveglia di Capannelle che improvvisamente suona. I due si rifugiano in un... capannello di persone in coda per un lavoro (“Lavoro? Squagliamo, Capannelle!”). E’ su questa scena (e sul ritaglio di giornale immediatamente successivo) che si chiude il film. Una scena importante, che abbiamo trovato grazie soprattutto al ponte che si vede apparire in piccolo sullo sfondo. Non un ponte preciso, ma un ponte che doveva essere identificato percorrendo le adiacenze del Tevere e più probabilmente dell’Aniene. E’ così che abbiamo individuato i palazzi dei Campi Flegrei che compaiono sula sinistra della scena, i quali sono identici ad oggi e hanno dato la conferma di trovarci nel posto giusto. Lì dove Peppe finisce la sua storia c’è ancora uno spiazzo, anche se non c’è ovviamente alcuna “agenzia di collocamento”.


I soliti ignoti (1958) - Biografie e articoli correlati

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Gravina Carla

Gravina Carla (Gemona del Friuli, 5 agosto 1941) è un'attrice e politica italiana. Biografia Figlia di un colonnello dell'esercito originario di Montagano, in Molise, esordisce al cinema…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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03 Feb 2023

I guai di Ferdinando Cefalù

I guai di Ferdinando Cefalù In un film di Pietro Germi, “Divorzio all’italiana”, che racconta in modo grottesco la vicenda di un matrimonio fallito, viene affrontato con intelligente…
Franco Calderoni, «Tempo», anno XXIII, n.17, 29 aprile 1961
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19 Mag 2024

Il fiasco di Vittorio Gassman

Il fiasco di Vittorio Gassman “Un marziano a Roma” è clamorosamente caduto a Milano. L'autore, Ennio Flaiano, ha spiegato: “Questa è la commedia dell'insoddisfazione" «Il Messia», mi disse…
Roberto De Monticelli, «Epoca», 1960 - Fotografie di Mario De Biasi
110
23 Lug 2019

Incrocci Agenore (Age)

Incrocci Agenore (Age) (Brescia, 4 luglio 1919 – Roma, 15 novembre 2005), è stato uno sceneggiatore italiano. Biografia Fratello minore dell'attrice Zoe Incrocci, trascorre l'infanzia…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
2445
23 Ott 2018

Jaboni Massimo

Jaboni Massimo (14 dicembre 1937), è stato un fonico, operatore al doppiaggio Renato ne era lo zio paterno. Contatto telefonicamente più volte fra mercoledì 27 dicembre 2000 ed il 2001;…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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23 Ott 2018

Jaboni Renato

Jaboni Renato E' uno dei due Segretari di Produzione del film TOTO' LASCIA O RADDOPPIA? del 1956. E' Segretario di Produzione per il film I SOLITI IGNOTI, 1957-1958. Direttore di Produzione…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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19 Mag 2023

L'album di Claudia Cardinale

L'album di Claudia Cardinale Ha ventidue anni, non sa guidare l'automobile e non fa vita mondana. Legge, dipinge, è molto timida e non si dà arie da grande diva. Non aveva mai sognato di…
Virgilio Lilli, «Epoca», anno XII, n.542, 19 febbraio 1961 - Fotografie di Carlo Bavagnoli
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L'enigma Totò

L'enigma Totò Principe del Sacro Romano Impero e plebeo del Rione Sanità. Divo adorato dalle platee teatrali e cinematografiche, ma selvaggiamente sfruttato dai meccanismi commerciali. Uomo…
«Specchio della Stampa», n.108, 14 febbraio 1998
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04 Mar 2023

La buona stagione di Claudia Cardinale

La buona stagione di Claudia Cardinale “La Cardinale bella, è brava, ha talento”. Cosi si à espressa la Bardot sulla sua pericolosa rivale. Ed ha aggiunto: “Sarà lei l’attrice che mi…
A. D., «Tempo», anno XXIII, n.35, 2 settembre 1961
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La maschera di Totò

La maschera di Totò Il 16 aprile scorso, alle ore 3,30 del mattino, si spegneva a Roma l’attore Antonio De Curtis, in arte Totò, l’attore e insieme il personaggio comico più eccezionale…
Leandro Castellani, «Rivista del Cinematografo», n.6, giugno 1967
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03 Feb 2023

Marcello Mastroianni sogna Tarzan

Marcello Mastroianni sogna Tarzan Dopo aver trionfato in teatro con Cechov, adesso l’attore accarezza un progetto un po’ folle: un film nel quale interpretare il re della giungla Adesso…
Giorgio Lazzarini, «Gente Mese», anno III, n.2, febbraio 1988
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03 Giu 2023

Marcello Mastroianni, la paura di essere divo

Marcello Mastroianni, la paura di essere divo Con i suoi 44 film, dopo il successo della “ Dolce vita” e quello che già si dice del “Bell’Antonio”, Mastroianni è ormai un attore arrivato:…
Giovanni Cesareo, «Noi donne», 1960
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13 Nov 2015

Marchetti Nino (Giovan Battista - Giobatta)

Marchetti Nino (Giovan Battista - Giobatta) Pseudonimo di Giovan Battista Marchetti, a volte accreditato come Giobatta Marchetti (Codroipo, 21 febbraio 1909 – Roma, 2 settembre 1983), è…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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24 Gen 2021

Mario Monicelli è polemico ma parla bene di tutti

Mario Monicelli è polemico ma parla bene di tutti Prima di partire per Belgrado dove sta per iniziare “I compagni” il regista ha rivelato le sue opinioni sui suoi colleghi di lavoro. Litiga…
Mirella Delfini, «Tempo», anno XXIV, n.52, 29 dicembre 1962
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24 Feb 2021

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo Se n’è andato uno dei più sapienti Artigiani del nostro cinema, grande narratore e appassionato testimone della cultura e dell’umanità italiane…
«L'Unità», 1 dicembre 2010 - Foto Archivio Istituto Luce
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19 Dic 2015

Mastroianni Marcello (Vincenzo Domenico)

Mastroianni Marcello (Vincenzo Domenico) All'anagrafe Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni (Fontana Liri, 28 settembre 1924 – Parigi, 19 dicembre 1996), è stato un attore cinematografico…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
4223
22 Dic 2019

Menczer Erico

Menczer Erico (Fiume, 8 maggio 1926 – Roma, 10 marzo 2012) è stato un direttore della fotografia, pittore e scrittore italiano. Dal 1951 al 1960 sono stato per 9 anni operatore alla…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Monicelli Mario

Monicelli Mario Le origini (Roma, 16 maggio 1915 – Roma, 29 novembre 2010) è stato un regista, sceneggiatore e scrittore italiano. Negli anni Cinquanta abbiamo sbagliato tutto nei confronti…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5774
03 Nov 2014

Murgia Tiberio

Murgia Tiberio (Oristano, 5 febbraio 1929 – Tolfa, 20 agosto 2010), è stato un attore cinematografico Biografia Gli inizi Nato da una famiglia povera, inizia a lavorare fin da giovanissimo…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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19 Dic 2015

Pisacane Carlo (Capannelle)

Pisacane Carlo (Capannelle) (Napoli, 31 marzo 1887 – Roma, 9 giugno 1974). Noto soprattutto come Capannelle, è stato un attore italiano. Biografia Figlio di Raffaele Pisacane, attore di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
7755
18 Nov 2015

Poli Mimmo (Domenico)

Poli Mimmo (Domenico) Pseudonimo di Domenico Poli (Roma, 11 aprile 1920 – Roma, 4 aprile 1986), è stato un attore e caratterista italiano. Biografia È stato uno dei più noti e attivi…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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19 Dic 2015

Rory Rossana (Coppa Rossana)

Rory Rossana (Coppa Rossana) Nome d'arte di Rossana Coppa (Roma, 7 settembre 1927 – Ciampino, 1º aprile 2020), è stata un'attrice e modella italiana. Biografia Appena diciassettenne,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
2955
14 Dic 2015

Rovere Gina (Ciccotti Regina)

Rovere Gina (Ciccotti Regina) Nome d'arte di Regina Ciccotti (Roma, 5 maggio 1936), è un'attrice italiana, la cui carriera lunga oltre 40 anni la vede apparire in oltre 60 pellicole,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5799
19 Dic 2015

Salvatori Renato (Giuseppe)

Salvatori Renato (Giuseppe) All'anagrafe Giuseppe (Seravezza, 20 marzo 1933 – Roma, 27 marzo 1988), è stato un attore italiano. Quando lavorai con Totò in I soliti ignoti ero ancora molto…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
9534
23 Lug 2019

Scarpelli Furio

Scarpelli Furio (Roma, 16 dicembre 1919 – Roma, 28 aprile 2010) è stato uno sceneggiatore, giornalista, disegnatore, scrittore, scenografo e pittore italiano. Biografia Figlio di Filiberto…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
2168
19 Dic 2015

Serena Gustavo

Serena Gustavo (Napoli, 5 ottobre 1882 – Roma, 16 aprile 1970) è stato un attore e regista italiano. Biografia Di estrazione aristocratica, iniziò a teatro nel 1899 quando esordì al Teatro…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
1988
21 Lug 2020

Spoletini Filippo

Spoletini Filippo Comparsa, attore generico, capo gruppo e stuntman. Sono nato nel 1925. Ho iniziato nel 1950 come comparsa nel “Quo Vadis?” Poi sono stato generico, stuntman, e capogruppo.…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
2354
09 Apr 2016

Terra Renato (Terra Caizzi Renato)

Terra Renato (Terra Caizzi Renato) Noto anche come Renato Terra Caizzi (Roma, 1º aprile 1928 – Roma, 28 novembre 2010), è stato un attore italiano. Biografia Ha partecipato nel 1950 al film…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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19 Dic 2015

Tonelli Elvira

Tonelli Elvira (1910-1984). Esordisce nel 1953 film Il sole negli occhi di Antonio Pietrangeli, regista che la richiama anche l'anno successivo per Lo scapolo affidandole il ruolo della…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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17 Gen 2014

Totò e la censura

Totò e la censura: il comico contro i tagli e le polemiche 📜 Indice degli Argomenti 📖La censura ed il suo sistema: le origini 🎬Incontri ravvicinati con Totò e la censura degli anni '50…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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10 Mag 2016

Totò e... Age

Totò e... Age La parodia era la sua forza Agenore Incrocci: l’arte della penna affilata nascosta dietro la maschera dell’ironiaovvero, come un signore di Brescia diventò il cervello segreto…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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04 Giu 2016

Totò e... Furio Scarpelli

Totò e... Furio Scarpelli Eravamo totoizzati Quelli della mia età, avevano in Totò un riferimento ironico, buffonesco, furbesco al quale si ispiravano per parlare fra di loro. I ragazzi…
Orio Caldiron, Franca Faldini, Goffredo Fofi
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19 Nov 2016

Totò e... Mario Monicelli

Totò e... Mario Monicelli Negli anni Cinquanta abbiamo sbagliato tutto nei confronti di Totò. Abbiamo sbagliato a renderlo più umano, castrandogli la fantasia e portandolo dalle parti di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5288
29 Feb 2016

Totò premi e riconoscimenti

Totò premi e riconoscimenti /* Indice eventi - stile dedicato solo a questo articolo */ .indice-eventi { margin: 2em auto; width: 100%; padding: 2em; background: linear-gradient(135deg,…
Simone Riberto, Elisa Mallardo, Federico Clemente, Daniele Palmesi, Francesco Velletri
10244

Totò trenta anni dopo: la rassegna stampa

Totò trenta anni dopo: la rassegna stampa Il settimanale specializzato «Film TV» nel numero 17 pubblicato nell'aprile 1997, in occasione del 30° anniversario della morte di Totò ripercorre…
«Film TV», anno V, n.17, 20-26 aprile 1997-Giuseppina Manin, Pasquale Elia, «Corriere della Sera», aprile 1997-R. Ch., Giancarlo Governi, Gabriella Gallozzi, «L'Unità», aprile 1997
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Totò, il comico dalla faccia tragica

Totò, il comico dalla faccia tragica Con Totò è scomparso uno degli attori più amati dal pubblico e un uomo profondamente buono Sapeva riassumere, con il candore e la forza incisiva dei…
Piero Pintus, «Radiocorriere TV», anno XLIV, n.17, 23-29 aprile 1967
1758

Totò, il comico irripetibile

Totò, il comico irripetibile Di Totò — scomparso il 16 aprile scorso ancora in piena attività (stava girando le prime scene de Il padre di famiglia di Nanni Loy, che furono poi rigirate con…
Ernesto G. Laura, «Bianco e nero», anno XXVII, n.6, giugno 1967
1558
01 Set 2021

Vittorio Gassman centro attacco del teatro

Vittorio Gassman centro attacco del teatro L’attore che ha detto no a Hollywood, tornato in tempo per ricevere il Premio San Genesio, pensa a un teatro stabile per commedie italiane.…
Roberto De Monticelli, «Epoca», anno VI, n.263, 16 ottobre 1955 - Foto di Carlo Bavagnoli
765
29 Ago 2023

Vittorio Gassman il timido

Vittorio Gassman il timido Il desiderio più volte espresso dall’attore di abbandonare il teatro e il cinema è forse suggerito dalla speranza di potersi occupare non solo del proprio…
Mino Guerrini, «Tempo», anno XXIV, n.14, 7 aprile 1962
347
19 Mar 2022

Vittorio Gassman si confessa

Vittorio Gassman si confessa «Sono un timido nonostante le apparenze». Compiendo 35 anni, Vittorio Gassman dichiara chiusa un’epoca della sua vita nella quale, per affermarsi, ha fatto leva…
Domenico Meccoli, «Epoca», anno VIII, n. 361 e 362, 1-8 settembre 1957
1399


Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • Carlo Lizzani, "Il cinema italiano", Parenti, 1961
  • "Totò: principe clown", Ennio Bìspuri - Guida Editori, 1997
  • Age in "L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. 1", (Franca Faldini - Goffredo Fofi), Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2009
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • Vittorio Spinazzola, «Cinema Nuovo» 1958
  • «La Domenica del Corriere», 16 marzo 1958
  • «La Domenica del Corriere», 11 maggio 1958
  • Guglielmo Biraghi, «Il Messaggero», 5 luglio 1958
  • «Stampa Sera», 20 luglio 1958
  • Gino Barni, «La Gazzetta di Mantova», 2 ottobre 1958
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 3 ottobre 1958
  • Morando Morandini, «La Notte», 3 ottobre 1958
  • Gian Luigi Rondi, «Il Tempo» 3 Ottobre 1958
  • Mosca, «Corriere dell'Informazione», 4 ottobre 1958
  • Mag, «La Gazzetta di Mantova», 4 ottobre 1958
  • Filippo Sacchi, «Epoca», anno IX, n.420, 19 ottobre 1958
  • VIce, «Il Messaggero», 12 ottobre 1958
  • V. S., «Cinema Nuovo», dicembre 1958
  • Giuseppe Marotta, «L'Europeo», 1960
  • p.p., «Radiocorriere TV», 7 luglio 1967
  • Georges Sadoul, 1968
  • Andrea Bosco, «Ciack», Aprile 1989
  • Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
  • «Extra Molise - Isernia e Provincia», 1998
  • Lavinia Di Gianvito, «Corriere della Sera», 10 dicembre 2004
  • Carlotta De Leo, «Corriere della Sera», 11 gennaio 2011
  • «Corriere della Sera», 12 febbraio 2014