I soliti ignoti
Dante Cruciani
Inizio riprese: febbraio 1958
Autorizzazione censura e distribuzione: 18 luglio 1958 - Incasso lire 901.562.000 - Spettatori 5.754.896
Titolo originaleI soliti ignoti
Paese Italia - Anno 1958 - Durata 102' - B/N - Audio sonoro - Rapporto 1,33:1 - Genere commedia - Regia Mario Monicelli - Soggetto Age & Scarpelli - Sceneggiatura Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico, Age & Scarpelli - Produttore Franco Cristaldi - Casa di produzione Vides Cinematografica, Cinecittà (Stabilimenti Cinematografici), Lux Film - Distribuzione(Italia) Lux Film - Fotografia Gianni Di Venanzo - Montaggio Adriana Novelli - Musiche Piero Umiliani - Scenografia Vito Anzalone - Costumi Piero Gherardi - Trucco Romolo de Martino
Vittorio Gassman: Giuseppe Marchetti, detto "Peppe er Pantera" - Marcello Mastroianni: Tiberio Braschi - Renato Salvatori: Mario Angeletti - Totò: Dante Cruciani - Claudia Cardinale: Carmelina Nicosia - Tiberio Murgia: Michele Nicosia detto "Ferribotte", suo fratello - Memmo Carotenuto: Cosimo Proietti - Carlo Pisacane: Pierluigi Capannelle - Carla Gravina: Nicoletta - Rossana Rory: Norma - Nino Marchetti: Luigi, l'impiegato del banco dei pegni - Gina Rovere: la moglie di Tiberio - Lella Fabrizi: una delle tre "mamme" di Mario - Gina Amendola: una delle tre "mamme" di Mario - Elvira Tonelli: una delle tre "mamme" di Mario - Mario Feliciani: il commissario di polizia - Mimmo Poli: un carcerato - Mario De Simone: il ricettatore - Gustavo Serena: il guardiano dell'orfanotrofio - Pasquale Misiano: Massimo
Soggetto
Cosimo e il vecchio "Capannelle", due ladruncoli di Roma, tentano di rubare un'autovettura ma vengono colti in flagrante dalla polizia: il primo viene arrestato mentre l'anziano riesce a fuggire. Detenuto nel carcere di Regina Coeli, Cosimo apprende da un altro detenuto un piano per un colpo di facile realizzazione presso il Monte di Pietà, così incarica Capannelle di trovare una pecora, termine gergale malavitoso per qualcuno che dietro compenso sconti la pena al posto di un altro.
Capannelle si rivolge a degli amici dell'ambiente - il prestante Mario, il siciliano Michele detto "Ferribotte" e il fotografo Tiberio - ma visto il rifiuto deve ripiegare tra gli incensurati, optando per Peppe "er Pantera", un pugile suonato che va puntualmente al tappeto. Il Commissario tuttavia non si lascia ingannare e lo fa condannare con Cosimo. Durante la detenzione Peppe fa credere a Cosimo di aver subito una lunga condanna perché quest'ultimo gli confidi i piani per il furto ma in realtà egli sta per "uscire" il giorno stesso avvalendosi della condizionale. Dovendo restituire agli amici il denaro sottoscritto per l'incarcerazione, decide di assoldarli per il colpo.
Il piano consiste nel raggiungere la stanza del Banco dei pegni dove si trova la "comare", ovvero la cassaforte, dopo essersi introdotti nell'appartamento contiguo, ritenuto disabitato, e quindi abbattendo la parete comunicante. Per mezzo di un filmato, fatto con una cinepresa rubata da Tiberio al mercato di Porta Portese e sottoposto in visione a Dante Cruciani, un noto scassinatore a riposo che svolge oramai il ruolo di "consulente", la banda viene da questi istruita sulle modalità per realizzare il colpo.
Le cose tuttavia si complicano: nell'appartamento nel frattempo sono andate ad abitare due donne anziane, che hanno a servizio una graziosa ragazza veneta, Nicoletta. Peppe si incarica di sedurre la giovane per ottenere informazioni. Nel frattempo Cosimo, uscito dal carcere grazie a un'amnistia, raggiunge la banda per vendicarsi, ma viene tramortito da un pugno di Peppe che gli offre di partecipare al furto alla pari con gli altri. Cosimo rifiuta per orgoglio, e dopo aver inutilmente tentato di rapinare lo stesso Monte di Pietà oggetto del colpo, rimane ucciso travolto da un tram mentre fugge dopo essersi ridotto a scippare una donna.
Una sera arriva per la banda il momento buono per il colpo, approfittando dell'assenza delle proprietarie. Mario però rinuncia e in cambio promette di vegliare su Carmelina, sorella di "Ferribotte", con la quale è sorta una sincera relazione. Dopo aver superato numerose difficoltà, che tra l'altro il povero Tiberio è costretto ad affrontare con un braccio ingessato, frutto dell'incontro con il venditore al quale aveva rubato la cinepresa, i quattro "soci" rimanenti arrivano finalmente a introdursi nell'appartamento da una finestra. Qui, riescono a demolire quella che pensano sia la parete designata nel piano, ma con loro grande meraviglia si ritrovano nella cucina della casa, in quanto le proprietarie avevano di recente cambiato la disposizione dell'arredamento, spostando la camera da pranzo che confinava con il Monte di Pietà. Vista l'ora ormai tarda la banda è costretta a rinunciare, non senza, però, approfittare della pasta e ceci trovata in cucina. Una perdita provocata dai ladruncoli a un tubo del gas, tuttavia, causa un'esplosione, per cui devono battere precipitosamente in ritirata ancora più laceri e disastrati di prima.
Alle prime luci dell'alba la banda mestamente si scioglie. Tiberio si reca in tram a riprendersi suo figlio, lasciato in custodia alla moglie detenuta a Regina Coeli per contrabbando. "Ferribotte" rincasa, e Capannelle, rimasto solo con Peppe, attrae l'attenzione di due carabinieri in bicicletta, per cui i due sono costretti a mescolarsi con degli aspiranti manovali che si affollano davanti al cancello di un cantiere. Così Peppe viene assunto suo malgrado, mentre Capannelle, buttato fuori in malo modo, avverte inutilmente l'amico che lì lo faranno lavorare sul serio.
Il giorno dopo, un trafiletto di cronaca su un quotidiano riferisce delle gesta dei "soliti ignoti", il cui misero bottino è solo il piatto di pasta e ceci.
Critica e curiosità
Con questa pellicola la critica e la storiografia del cinema italiano sanciscono l'esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico, in seguito ribattezzato Commedia all'italiana, che si accompagnerà al neorealismo, al filone storico mitologico peplum e lo spaghetti-western, consacrando il cinema italiano del dopoguerra. Con I soliti ignoti nasce in Italia un nuovo tipo di commedia comica che abbandona i canoni consueti, ispirati alla tradizione dell'avanspettacolo, del varietà o del Cafè Chantant, e che ereditando il testimone del neorealismo, ha per tema la quotidianità, la gente comune, con precisi riferimenti sociali nei quali il pubblico può riconoscersi.
Gli interpreti di questa pellicola abbandonano il ruolo di maschera teatrale - che gioca la comicità basandosi sulla gag, il gioco di parole od il nonsense - articolando i dialoghi e le trovate umoristiche su prove definite, a volte caricaturali, ma riferite comunque ad una sceneggiatura chiara. In particolare, molti critici vedono nel personaggio interpretato da Totò un ipotetico passaggio generazionale della commedia italiana, dall'epoca del geniale attore napoletano - il "Principe della Risata" - a quella su cui un gruppo agguerrito di sceneggiatori (come Sergio Amidei, Rodolfo Sonego, Age & Scarpelli, Ettore Scola e Ruggero Maccari) si baseranno nel raccontare la realtà in un momento storico critico e importante, ricco di contraddizioni, di incompatibilità tra vecchio e nuovo, di identità fallaci ed effimere, costruite spesso su dei condizionamenti sociali e ingerenze culturali esterne.
L'ideazione de I soliti ignoti nasce in chiave caricaturale. Come lo stesso Monicelli ammette, si voleva in principio parodiare un certo genere di film noir francese o di gangster statunitense, particolarmente in voga in quegli anni, ed apprezzato da un vasto pubblico italiano. Il soggetto si ispira al film drammatico francese Rififi di Jules Dassin del 1955, dove una banda di quattro criminali professionisti intraprende un colpo perfetto che si rivelerà fallimentare e come narra il regista, uno dei titoli provvisori era il parodistico Rifufu.
Sarebbe tuttavia erroneo limitarsi a ritenere I soliti ignoti mera parodia di altri titoli illustri in quanto lo stesso film si arricchisce di novità importanti e di contesti originali nel corso della sua produzione, in quanto era concezione del regista darvi una connotazione tragicomica.
I soliti ignoti, secondo il regista Carlo Lizzani, porta il comico fuori dei confini abituali della farsa acquisendone una propria consistenza cinematografica. Per la prima volta in una commedia italiana si assiste alla morte tragica di uno dei protagonisti. La morte o comunque il fallimento è una tematica fondamentale nella cinematografia di Monicelli, in quanto come egli spiega, facente parte della stessa essenza e della tradizione della commedia dell'arte, caratterizzata da presenze maligne, da sventure e da personaggi miseri, emuli delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che si adoperano nella vana ricerca di un espediente definitivo e risolutivo.
La vena drammatica della pellicola non si esaurisce solo nei personaggi, bensì si accompagna al ritratto di una Roma estranea ai processi economici del boom di quegli anni. È la Roma dei quartieri popolari, della periferia degradata, del sottoproletariato urbano, a far da sfondo tragico alle gesta della miserabile banda del buco, la stessa Roma ritratta dal coevo Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita. È significativo il breve dialogo tra Capannelle con un ragazzino al quale si rivolge per chiedere informazioni su un certo Mario, perfetta memoria della narrativa pasoliniana.
La fotografia fu particolarmente curata da quest'ultimo punto di vista. Le immagini dovevano restituire l'idea di una Roma drammatica, per cui furono evitati volutamente i toni eccessivamente luminosi, si preferirono i contrasti e i tagli decisi e nei costumi si evitarono le concessioni al vezzo e alla comodità, curando invece quello che doveva fornire l'estemporaneità di un abbigliamento dettato solo dallo stato di indigenza (si considerino i pantaloni da cavallerizzo che Capannelle indossa per tutto il film).
Il film per la sua novità non fu accolto favorevolmente dalla critica ufficiale, che aveva ben chiari i riferimenti. Da principio non fu apprezzata la scelta di sostituire i comici d'arte con degli attori seri già affermati in contesti drammatici (Vittorio Gassman); Totò, notoriamente non amato dalla critica colta ma fortemente caldeggiato dai produttori, fu giudicato eccessivo nonostante la sua interpretazione limitata. In sostanza, l'ambiente ufficiale non era pronto ad accogliere quella che si rivelerà la trovata ad effetto del film, la trasformazione di attori seri in "caratteri" della commedia, dotati di una grande vis comica. La scena del set comico, nella opinione dei critici più severi, avrebbe dovuto somigliare ancora al palcoscenico di un varietà dove i maestri solitari, coadiuvati da abili spalle, si avvicendavano nell'intrattenimento del pubblico.
Gli stessi produttori contrastarono a lungo la scelta di Vittorio Gassman (la produzione pensò ad Alberto Sordi). La sua aria intellettuale e soprattutto il suo repertorio teatrale drammatico unito ai ruoli "cattivi" che aveva interpretato in precedenza non davano alcuna garanzia di successo. Ma regista e sceneggiatori seppero resistere alle richieste dei produttori. Avevano modellato tutti i personaggi intorno ad un baricentro realistico e li avevano poi corredati di un patrimonio farsesco sul quale si sarebbe dovuta giocare tutta la comicità. Per "il Pantera" si ricorse ad un trucco pesante che abbassò l'attaccatura dei capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le labbra, in quell'aria da ebete caratteristica di un pugile suonato di periferia. Fu studiata l'andatura e infine concepita la balbuzie, con effetti comici esilaranti.
Al di là delle caratterizzazioni dei personaggi è importante definire quello che sarà un tema importante e ricorrente del genere, una costante che seppur trasformata rimarrà centrale nel corso della storia decennale della commedia all'italiana, dal suo nascere, alla fine degli anni cinquanta, sino al suo tramonto, alle metà degli anni settanta: la rappresentazione del sistema sociale attraverso le classi e la critica dura alla società del benessere, colta nei suoi scompensi e nelle sue contraddizioni.
I soliti ignoti da questo punto di vista è un grande mosaico storico che ci restituisce con leggerezza l'immagine complessa di un'epoca. Un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all'attacco della nuova società di massa della quale però sente un'attrazione sempre più forte. Società che viene nel film rappresentata esclusivamente dai miti di importazione americana: facile benessere economico, liberalizzazione dei costumi sessuali, comfort abitativi. La connotazione farsesca nasce sul modo di rapportarsi che i protagonisti hanno con questa doppia identità, divisi tra tradizione e innovazione. I valori tradizionali di riferimento rimangono sempre benevoli ed evidenti sullo sfondo della vicenda e sono rappresentati via via da quasi tutti i personaggi: da Carmelina Claudia Cardinale (la sicurezza del vero legame affettivo), dalla dolcissima Nicoletta Carla Gravina (l'innocenza) e dallo stesso Cruciani Totò (la saggezza della vecchiaia). Il gruppo rimane titubante per tutta la durata del film, nessuno riesce con convinzione ad abbracciare quello spirito nuovo che viene riflesso dalla società del benessere, nemmeno il protagonista, "il Pantera", che solitario in un'opera di autoconvincimento continua a ripetere: «È sc-sc-scientifico!», quindi moderno, quindi giusto, legale, morale.
Il cast
Nonostante abbia interpretato il ruolo del siciliano "Ferribotte", Tiberio Murgia era in realtà sardo ed esordisce nel cinema grazie a Mario Monicelli che lo aveva notato in un ristorante romano. Nel film viene doppiato da Renato Cominetti. Murgia interpreterà altre pellicole con ruoli simili.
La giovanissima Carla Gravina, appena diciassettenne, è alla sua terza apparizione cinematografica. Aveva esordito nel 1956 con Alberto Lattuada e nello stesso anno de I soliti ignoti aveva girato con Alessandro Blasetti Amore e chiacchiere, al fianco di Vittorio De Sica e Gino Cervi.
Claudia Cardinale, non ancora ventenne, con un'unica precedente esperienza cinematografica nella natia Tunisia, inizia con questo film il contratto con la Vides Produzioni, che la trasformerà nel giro di pochi anni in una delle maggiori dive del cinema italiano. All'epoca delle riprese era segretamente incinta del suo primo figlio.[20] Nel film è doppiata da Lucia Guzzardi.
Vittorio Gassman nel suo libro autobiografico Un grande avvenire dietro le spalle, riferendosi al clima gioviale che regnava sul set, racconta: "La maggior parte delle scene non riuscivamo a finirle dal ridere!".
Carlo Pisacane, il caratterista che interpreta "Capannelle", fu uno dei migliori attori della cinematografia napoletana. Già interprete macchiettista di numerose pellicole fin dall'epoca del cinema muto ma raggiunse la notorietà con questo film, dove è doppiato con accento bolognese da Nico Pepe. Da questo film in poi, Pisacane sarà talvolta accreditato nei titoli di testa di alcuni film proprio come "Capannelle".
Rossana Rory, che interpreta Norma, compagna di Cosimo e unica componente femminile della banda, in questo film è doppiata da Monica Vitti.
Apparizione della scrittrice ungherese Edith Bruck, scampata ai lager nazisti, nel ruolo di una ragazza in lite con un suo amico, nel palazzo dove deve svolgersi il furto.
Dettagli
Il furto è ambientato in un'inesistente via delle Madonne nel centro di Roma. Nella realtà la banda entra in un edificio sito all'angolo tra la scalinata di via della Cordonata e via delle Tre Cannelle (nei pressi di piazza Venezia), dove si trova il Banco dei pegni e l'ingresso del portone dell'appartamento.
Quando la banda incontra per la prima volta Dante Cruciani, "Ferribotte" presenta le proprie credenziali, riportando di aver lavorato in passato nei tubi di piombo. Il riferimento, di cui si è perso il senso, sottintendeva il furto e la ricettazione di tubature in piombo (nonché altre parti in rame, ghisa ed in ferro), un'attività diffusa tra la piccola criminalità nel dopoguerra, data la penuria di materie prime per le costruzioni.
Marcello Mastroianni aspetta il tram in piazza Armenia (vicino a via Britannia)
Pausa sul set de I soliti ignoti, da sinistra: Renato Salvatori, Carlo Pisacane, Tiberio Murgia, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman ed Erico Menczer (operatore alla macchina)
Monicelli e Totò durante una pausa sul set
Il film di Marco Ponti A/R Andata + Ritorno si ispira liberamente a I soliti ignoti. Le citazioni più palesi che si possono incontrare sono il nome del protagonista interpretato da Libero De Rienzo (Dante Cruciani) e la scena in cui la "banda" assiste alla proiezione della ripresa della cassaforte da scassinare, questa volta interrotta da un porno amatoriale.
Distribuzione
Inizialmente il film avrebbe dovuto intitolarsi Le Madame, ma tale nome venne rigettato per problemi di censura, dato che quello pensato da Monicelli evocava il soprannome dato in ambiente criminale alla polizia. La pellicola uscì nelle sale italiane il 26 luglio del 1958, venne poi esportato nei seguenti paesi, con i seguenti titoli:
Spagna: Rufufú, 30 giugno 1958
Francia: Le Pigeon, 11 settembre 1959 - 13 aprile 2011 (riedizione)
Svezia: Kvartetten som sprängde, 26 febbraio 1959
Portogallo: Gangsters Falhados, 13 novembre 1959 - 24 giugno 1970 (riedizione)
Germania Ovest: Diebe haben's schwer, 18 dicembre 1959
USA: Big Deal on Madonna Street, 22 novembre 1960 - ottobre 1984 (Chicago International Film Festival)
Regno Unito: Big Deal on Madonna Street, 1960
Polonia: Sprawcy nieznani
Argentina: Los desconocidos de siempre
Brasile: Os eternos Desconhecidos
Ungheria: Ismeretlen ismerősök
Venne in seguito presentato anche in Grecia, in Egitto, in Finlandia e nelle Filippine.
Colonna sonora
La colonna sonora, affidata a Piero Umiliani, qui al suo debutto come autore di musiche per il cinema, è considerata la prima di impianto jazzistico per un film italiano. Fu il regista stesso, Mario Monicelli, a contattare personalmente Piero Umiliani, in quanto era nelle sue intenzioni dare al film una colonna sonora in stile Jazz, e Umiliani in quel periodo era noto negli ambienti televisi per le sue composizioni e i suoi arrangiamenti in questo stile.
I compositori che lavoravano in quel periodo, come Rustichelli e Rota, erano troppo legati al genere 'canzonetta', mentre io volevo un tono jazzistico da accostare all'ambientazione proletaria del film. Accadde quindi che parlando con un amico gli dissi: sai, non so come fare perché voglio un commento jazz per il mio ultimo film, ma conosco solo Rota e pochi altri. E lui: guarda Rota quando ha bisogno di fare della musica jazz non la fa lui, ma si rivolge a un certo giovane musicista, che io conosco, secondo me molto bravo, che si chiama Umiliani. E così lo contattai
Mario Monicelli
Dopo che Umiliani accettò l'incarico, Monicelli inviò al compositore il disco del 1957 Jay and Kay di J.J. Johnson e Kai Winding, le cui tracce dovevano essere d'ispirazione a Umiliani. Quando Monicelli contattò Umiliani, le riprese del film erano già state ultimate e il compositore ebbe poco tempo a disposizione prima della pubblicazione e dovette arrangiare sue musiche già composte secondo lo stile scelto dal regista, impiegandoci in totale quindici giorni.
Dei molti motivi composti per il film, dalla durata di pochi secondi fino a più di tre minuti, la RCA pubblicò nel 1958 un EP contenente le musiche più caratteristiche.
I sequel
Nel 1959 per la regia di Nanni Loy e la sceneggiatura di Age - oltre alla colonna sonora firmata in parte dalla tromba di Chet Baker - esce nelle sale Audace colpo dei soliti ignoti, un sequel interpretato dagli stessi attori, con Nino Manfredi che interpreta Piede Amaro, che sostituisce il personaggio di Tiberio (Marcello Mastroianni).
Nel 1985 per la regia di Amanzio Todini esce I soliti ignoti vent'anni dopo; con (Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Tiberio Murgia), lo stesso gruppo di sceneggiatori de I soliti ignoti e le musiche composte da Nino Rota.
I remake hollywoodiani
Il successo de I soliti ignoti ha varcato i confini nazionali per approdare ad Hollywood, che lo ha apprezzato al punto da realizzarne alcuni remake nel corso degli anni:
Il primo film hollywoodiano ispirato a I soliti ignoti è Crackers (1984), regia di Louis Malle, con Donald Sutherland e Sean Penn.
Un omaggio al film ci fu nel 2000 ad opera di Woody Allen nel suo Criminali da strapazzo, in particolare nella prima parte del film e nella scena della perforazione della parete dell'appartamento che comunica con la banca.
Altra pellicola ispirata fortemente al capolavoro di Monicelli è Welcome to Collinwood (2002), diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo. La trama è stata, ovviamente, in parte rimaneggiata, modernizzata e trasportata negli Stati Uniti d'America. Nel cast figura anche George Clooney, in quello che idealmente fu il ruolo di Totò, ovvero l'istruttore della banda.
Riconoscimenti
1959 – Premio Oscar Candidatura al miglior film straniero a Mario Monicelli
1959 – Nastro d'argento - Migliore attore protagonista a Vittorio Gassman - Migliore sceneggiatura a Age & Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico, Mario Monicelli
1958 – Festival internazionale del cinema di San Sebastián - Concha de Plata al miglior regista a Mario Monicelli
Così la stampa dell'epoca
La più bella «partecipazione speciale» di Totò è quella di Dante Cruciani, esperto in cassaforti in I soliti ignoti di Monicelli. Il film, una pietra miliare del nostro cinema, nasce praticamente per caso. Franco Cristaldi, che ha appena prodotto Le notti bianche di Luchino Visconti, chiede a Monicelli di imbastire un nuovo film per riutilizzare la grande quantità di scenografie allestite a Cinecittà. Monicelli, insieme al duo Age e Scarpelli, comincia a immaginare una storia di ladruncoli. [...]
Alberto Anile
Regista disuguale e non alieno dai cedimenti e dai compromessi, a Mario Monicelli dobbiamo (dopo i non dimenticati Guardie e ladri e Le infedeli, diretti in coppia con Steno) una serie di opere a volte notevoli, come Un eroe dei nostri tempi, a volte deludenti, come Donatella, a volte solo parzialmente riuscite, come Padri e figli e Il medico e lo stregone. Ma con I soliti ignoti egli è riuscito a trovare la via e la misura giusta; e ci ha dato un film che è non solo il più divertente ma anche uno dei più onesti e seri fra quelli prodotti in Italia nel corso della crisi degli anni 1956-1959. [...]
Vittorio Spinazzola, «Cinema Nuovo» 1958
L'OTTAVO FESTIVAL CINEMATOGRAFICO DI BERLINO
Anna Magnani e Totò candidati ai premi per le migliori recitazioni
La prima è la protagonista dell'americano « Selvaggio è il vento » e il secondo ha interpretato accanto a Fernandel un film che sembra tatto apposta per piacere ai tedeschi • Gina Lollobrigida sopraffatta dall'entusiasmo dei numerosi « fans » ed Elsa Maxwell « reginetta » del ricevimento degli Stati Uniti - Polemica silenziosa per il film « Orizzonti di gloria » ritenuto offensivo dai francesi
[...] Stasera avrà luogo la proiezione dell’unico film italiano. «Anna di Brooklyn», di Carlo Lastricati (con supervisione di Vittorio De Sica), essendo stato rifiutato (e sembra giustamente) l’altro film da noi offerto al Festival, cioè «Le madame», di Mario Monicelli. Ma c’è chi dice che non ci dobbiamo lamentare, dato che, sia pure in modo indiretto, siamo largamente rappresentati in gara. La Magnani e Totò sono già due quotatissimi candidati ai premi per l’interpretazione. E chissà che qualche sorpresa non ci venga dalla pellicola dell’ultima sera. « Polikuschka », un film tedesco, con Folco Lulli diretto da Carmine Gallone?!
Guglielmo Biraghi, «Il Messaggero», 5 luglio 1958
Festival della risata di Bordighera
Vi è anche una farsa sovietica di vecchia scuola - L'esordio questa sera Vittorio Gassman accanto a Totò in un film di Monicelli: I soliti ignoti.
Bordighera, sabato sera.
Si inaugura stanerà a Bordighera, la IV Rassegna internazionale del film umoristico. I film in gara saranno, a cominciare da stasera, i seguenti: La verità... quasi nuda di Mario Zampi; L'ultima notte dell'anno, di Eldar Riazamov; Gambe d'oro, di Turi Vaslle; Historias de Madrid, di R. Beleta; I prepotenti, di Mario Amendola; La bomba comica, di R.A. Bradford; I soliti ignoti, di Mario Monicelli; Gigi, di Vincente Mlnnelli. Diamo qui alcuni cenni sui varii film, ai quali verrà assegnato l'«Ulivo d'oro» nel corso della serata di gala che domenica 21 chiuderà la manifestazione. [...]
Gambe d'oro, di Turi Vaslie, è il primo dei tre fllm italiani in cartellone. Le auree gambe di cui al titolo non sono quelle, ben modellate, di un plotone di girli, bensì altre, magari più preziose, appartenenti al campioni di una squadra di calcio. Alle prese con costoro sarà Totò, mecenate del team, che, pur giocando in serie C, supera i confini della notorietà provinciale e interessa gli esperti delle maggiori formazioni specie nel periodo della campagna acquisti. I prepotenti, di Mario Amendola, il cui titolo rispecchia il contenuto (beghe a ripetizione tra gagliardi e rissosi campioni di quella diffusa categoria di persone che a tutti i costì, e sempre, vogliono aver ragione), allinea tre assi del nostro cinema vernacolo: Aldo Fabrizi, Mario Riva, Nino Taranto, assecondati da Ave Ninchi, Giuseppe Porelli, Wandisa Guida, Anche qui, uno sfondo calcistico.[...]
I soliti ignoti è il nuovo definitivo titolo del film di Mario Monicelli, dapprima annunciato come Le madame, ossia i carabinieri nel pittoresco gergo dei ladri. I soliti ignoti è invece una locuzione abituale nella cronaca nera («Stanotte, verso le due, i soliti ignoti, sono riusciti, secondo un piano prestabilito, ad entrare... »): quella cronaca nera, cioè, che, molto scherzosamente, ha fornito ai soggettisti, Age e Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico e Mario Monicelli, lo spunto per descrivere le imprese di una banda di ladri di cui il film mostrerà i volti non « ignoti », ma anzi popolari, perché sono quelli di Totò e di Gassman, di Mastroianni, di Renato Salvatori, di Memmo Carotenuto vecchia scuola. [...]
«Stampa Sera», 20 luglio 1958
Claudia Cardinale attrice suo malgrado
Sono stati necessari un anno e tre viaggi in aereo per riuscire a convincere la bellissima italo tunisina ad esordire sullo schermo.
Roma, ottobre.
Con tante ragazze che non aspirano ad altro che a fare del cinema, il caso di Claudia Cardinale è veramente fuori dell'ordinario. A Hollywood, ad esempio, dove per quanto riguarda la biografia delle attrici le sparano talvolta piuttosto grosse, qualunque agente pubblicitario sarebbe orgoglioso di attribuirsi la paternità della storia di Claudia. Invece questa vicenda è vera. Cominciò un giorno in cui a Tunisi si svolse un trattenimento damante. Tunisi è una città molto borghese c Claudia che è figlia di un ferroviere tunisino di origine siciliana, era una delle tante ragazze invitate. Claudia partecipò quasi per g.oco. sotto gli occhi vigili dei genitori, al concorso di bellezza che si svolgeva in seno alla festa per eleggere la più bella italiana di Tunisi. Vinse il concorso, ma questo suo successo non avrebbe a-vuto alcun seguito se proprio in quei atomi non si tosse trovata a Tunisi una delegazione di attori e registi italiani per la «Settimana» del nostro cinema all’estero. I dirigenti di «Unitalia» rimasero colpiti dalla seducente bellezza della giovane «miss» e te offrirono un viaggio-premio di cinque giorni a Venezia durante il Festival del cinema.
Terminati gli studi liceali, Claudia partì per Venezia dove durante il suo breve soggiorno i fotografi non la lasciarono mai in pace. Nel frattempo ella rispose cortesemente di no alle richieste di alcuni registi che intendevano farla esordire sullo schermo. In seguito ci sono voluti un anno e tre viaggi in aereo per convincere Claudia ed i suoi genitori a farle tentare la carriera dell'attrtce. comunque la sua incredibile storia di ragazza che prima rifiutava insistentemente il successo e ta ricchezza per stare vicino ai suoi, per non tradire le sue abitudini, piacque ad alcuni giornalisti americani che la descrissero diffusamente, additando Claudia come esempio che il cinema non è sempre il più forte, anche se in ultima analisi si è poi dimostrato tale.
In quest'ultimi mesi Claudia Cardinale ha partecipato all’interpretazione di «I soliti ignoti». In questo film che ha già ottenuto un premio al Festival di San Sebastiano ed una lusinghiera affermazione alla Mostra fuori concorso di Venezia, Claudia ha¦ lavorato accanto ad una sfilza di attori come Gassman, Totò, Renato Salvatori, Rossana Rory, Memmo Carotenuto, Marcello Mastroianni ed altri. Perciò si spiega l’entusiasmo con cui la nuova attrice ora ne parla, sollecitata da alcune domande; «Sono particolarmente lieta di aver collaborato all'interpretazione di questo film perché è in regola anche sul piano dell'umorismo; un umorismo con un sottofondo di amarezza più diffuso che esplicito. La vicenda è a mezz’aria tra la realtà e la fantasia, immune da quelle grossolanità e quegli scadimenti che spesso guastano i films comici italiani. Come dice il titolo, «l soliti ignoti» è una storia di ladri, per essere esatti una divertente ballata ladresca, che esplora il mondo della malavita dall’interno e che si sviluppa sulla linea di un garbato umorismo. La vicenda trae spunto dalla' tradizionale espressione giornalistica che dà il titolo al film. Chi sono in realtà «I soliti ignoti?» Sono anche loro uomini con un volto, uno stato civile, una personalità; con debolezze, affetti e passioni e. anche, una più o meno solida coscienza professionale.
Il film è tutto imperniato sulla preparazione e su l'esecuzione dì un «colpo» notturno, intendendo far uscire questa gente dall'anonimato e, paradossalmente, introdursi nella sua mentalità, nel suo gergo, nelle sue grandi professioni. E la morale, se ce n’è una, è che il mestiere di ladro esige coscienza e serietà come ogni altro lavoro.
Il regista del film, Mario Monicelli, ha già pronosticato per Claudia Cardinale una brillante carriera. E i registi, com’è noto, difficilmente si sbagliano nel fare previsioni del genere. Ne sa qualcosa la giovane Carla Gravina che avendo preso parte all’interpretazione di «I soliti ignoti», è ormai divenuta amica affezionata di Claudia, alla quale ha narrato come Blasetti un giorno l'abbia scoperta per affidarle il noto ruolo di «Amore e chiacchiere». Si sa come vanno queste cose. Basta farsi notare ed apprezzare nei primi films, il resto viene da sé. Ora Claudia Cardinale, attrice suo malgrado, comincia a rendersi conto che si può resistere fino a un certo punto al cinema, e ci si può trovare poi immersi fino al colto nello stesso, quasi senza accorgersene. E ciò è appunto quanto le sta accadendo.
In un primo tempo Claudia rifiutava il cinema non perchè le dispiacesse fare l’attrice, ma perchè credeva che non si potesse diventarlo così, da un giorno all’altro, e quindi era molto scettica sulle varie offerte che le erano state fatte. Avendo ormai superato anche questo suo «complesso», Claudia se non i impegnata di fronte alla macchina da presa, studia tutto ciò che le può giovare agli effetti della recitazione. E’ una ragazza abbastanza colta c intelligente per capire che oggi non basta più per ottenere una lusinghiera affermazione essere soltanto una bella figliola. Per durare, nel cinema, occorrono altre doti. Bisogna saper recitare, insomma. Il pubblico si è ormai fatto troppo scaltro. Sa scegliere i film e le attrici a ragion veduta. Perciò molti la considerano come una sicura promessa del cinema italiano.
Gino Barni, «La Gazzetta di Mantova», 2 ottobre 1958
[...] I soliti ignoti è una pellicoletta spassosa, con tutte le limitazione imposte olle forme parodistiche che, avendo un modello da svisare, non riescono a discostarsene. I motivi di maggior diletto e di più puntuale verismo nascono dai legami familiari del congiurati; l'uno ha tre madri affettuose. Invece di una sola, l'altro ha un bimbo in fasce da accudire, due hanno fidanzate fiduciose. Sono ladri sentimentali. Gli interpreti non sono tutti credibili, come manigoldi, sebbene siano attori eccellenti; Gassman, Salvatori, Memmo Carotenuto, Mastroianni, Totò non stanno sempre nelle loro parti, il loro torto è di non avere brutti ceffi, come sarebbe giusto. Gli episodi marginali sono i più felici, come quello del ringhioso siciliano cne tiene prigioniera la sorella, o l'altro della fantesca Carla Gravina, messalinetta da periferia. Tutti i dialetti italiani si incontrano nel crocicchio romano; fra le sequenze, le didascalie sul tipo del film muti tradiscono l'intenzione di rifare il verso alla cinematografia popolaresca. Sapidamente recitato, il film ha il solo difetto di voler ricalcare altre maniere, sia pure per beffarsene; è incerto tra commedia e farsa; ma senza dubbio diverte. Questi soliti ignoti, in fondo, sono notissimi, i nostri furfantelli all'italiana, con famiglie da mantenere e reputazioni da difendere. Finiranno male, prima o poi troveranno un lavoro.
lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 3 ottobre 1958
Questo ballo di ladri rischia di essere il film più divertente della stagione. Non è tutto, uno dei film comici italiani più garbati e intelligenti degli ultimi anni. D'acchito può sembrare soltanto una parodia di celebri film polizieschi di Rififi per esempio. Le analogie non mancano. Ma il ricalco è appena accennato, la comicità del film è autonoma, affidata alla ricchezza delle invenzioni e delle annotazioni, alla varietà dei tipi, alla bravura degli interpreti, alla fluidità del racconto, al ritmo. C'è anche qualcosa di più: I soliti ignoti, è un film a doppio fondo. C'è un'aria di malinconia e di tristezza che è quasi sempre il risvolto della comicità autentica, c'è il segno di una pietà che non diventa mai giulebbosa. A questi ladri, a questi soliti ignoti, s'addice il motto che, secondo Longanesi, è una bandiera degli italiani: «Ho famiglia!». Quali sono i coefficienti di questa riuscita tanto più gradevole quanto meno attesa? La serietà, il coraggio e l'intelligenza di un regista, che non ha ancora trovato la propria strada ma che può dare più di quello che finora ha fatto. Mastroianni è quello che si può dire sicurezza.
Morando Morandini, «La Notte», 3 ottobre 1958
La tradizione... “guardie e ladri”, nel cinema italiano, continua; questa volta, però, con un brio e un buon gusto da superare i migliori campioni del “genere”. Le gesta sono quelle di sempre: un “colpo” in grande stile organizzato da una combriccola di ladruncoli o di aspiranti tali; ma la novità sono i ladruncoli, disegnati ciascuno con la sua esatta fisionomia, il suo carattere ameno, le sue reazioni, i suoi difetti e, vedi caso, le sue virtù. C’è quello che, senza volerlo, rivela in carcere le possibilità del colpo grosso; è un ladro anziano, arcigno, un po’ violento, ma vicino alla. [...]
Gian Luigi Rondi, «Il Tempo» 3 Ottobre 1958
Il film di Monicelli è piacevolissimo e avrà un meritato successo
«La parodia di Riflfi» dirà il pubblico uscendo dal cinema. Ma c’è qualche cosa di più: la satira — seppure in tono scherzoso — di molti dei nostri difetti (supponenza, faciloneria, dilettantismo) esercitata attraverso il divertente racconto delle gesta, anzi delle mancate gesta d’una banda di scassinatori di terz’ordine che si propone di fare, alla maniera dei «grandi» del geriere, il gran colpo. Era molto tempo che non si sentiva una platea ridere così di cuore come quella di ieri sera. Niente di straordinario, intendiamoci, ma in mezzo alla volgarità dei cento film cosiddetti comici con i quali il cinema italiano ha offeso il pubblico In questi ultimi anni, questo di Mario Monicelli appare come un capolavoro di buon gusto, di intelligenza e di fantasia.
Il racconto è piacevole e valido, la sceneggiatura abile e precisa, e le trovate e il dialogo non vengono affidati alle goliardiche improvvisazioni dei nostri cosi poco provveduti attori comici. Avviene bensì il contrario: gli attori sono posti al servizio delle trovate e dei dialoghi degli intelligenti sceneggiatori, e recitano sotto la quasi ferrea guida d’un regista che va, di film in film, acquistando sempre maggior polso. Vediamo cosi attori noti anche per le loro sguaiataggini, questa volta evitarle tutte e mettere in mostra soltanto i propri pregi. Vediamo un Totò più comico che buffonesco, e un Gassman pieno di miracolosa naturalezza. Nonostante il dialetto romanesco, film piacevolissimo, e successo pieno e meritato.
Mosca, «Corriere dell'Informazione», 4 ottobre 1958
Crediamo che Monicelli, regista di I soliti ignoti, non abbia voluto andare aldilà del film comico, usando come mezzo la satira, forse meglio la parodia, di precedenti produzioni, (l’accostamento a Rififi diventa fin troppo facile) che hanno descritto a tinte crude e realistiche, storie della malavita. Attribuirgli intenzioni maggiori sarebbe forse fare un torto alla sua intelligenza. Infatti tutta la pellicola scorre, così non priva di ambizioni stilistiche, sicura, brillante, sottilmente umoristica. Vi è posto per notazioni sottilmente umane, anche per la descrizione intelligente di personaggi, che pur in chiave sempre paradossale, hanno una loro spiccata umanità. Persino il fin troppo scontato epilogo, maturato nel clima ridanciano e buffo delle sequenze finali del furto, è tormentato da una ansia sincera di liberazione, messa in grande evidenza attraverso lo sforzo interpretativo di Gassman e Mastroianni. Efficacissimi attori sono anche Memmo Carotenuto (il suo è un personaggio vero), e Carla Gravina, la simpatica servetta veneta; così come Renato Salvatori e Totò, insuperabile nella lezione teorica sullo scasso.
In conclusione un buon film; ricco di spunti abbastanza originali, ben fotografato da Di Venanzo, divertente per la scioltezza del dialogo ed il sapore delle battute. E che ci offre la visione di un Gassman inedito, disinvolto davanti alla macchina da presa, simpaticamente «cinematografico». Vario ed orecchiabile il sottofondo musicale.
Mag, «La Gazzetta di Mantova», 4 ottobre 1958
Anche un buon film può essere divertente
Adesso vediamo se il successo del film di Monicelli, I soliti ignoti, comincerà a schiudere le pervicaci zucche dei nostri produttori a questa verità, che un film può essere comicissimo, popolarissimo, vendibilissimo anche senza essere stupido e volgare. E tanto per cominciare: non mi ricordo da un gran pezzo di uh film italiano che avesse, come questo, un dialogo totalmente intelligente, con battute tutte calibrate e portanti, di quell'umorismo adulto eppur sempre immediato e intelligibile che siamo abituati a conoscere solo nei film francesi. Però naturalmente in un film un buon dialogo da solo non basta. La trovata verbale è moltissimo, ma trasportata sullo schermo non funziona se non è sorretta dalla trovata cinematografica. La quale trovata cinematografica incomincia dalla distribuzione ossia dalla scelta degli interpreti. Scovare per ogni personaggio l’attore adatto, il tipo che lo incarni nella maschera.’ insomma l’identificazione fotogenica tra il carattere e l’attore che lo porta, è il primo segreto dell’effetto cinematografico.
Da questo punto di vista si può dire che ogni parte, ne I soliti ignoti, è una trovata. Cosi Memmo Carotenuto (grande generico, pari ai migliori campioni internazionali) nel personaggio di Cosimo, il vecchio mariolo pasticcione, anziano del grimaldello, pieno di grandiosi progetti che lo conducono invariabilmente a ruminare articoli di codice e a imprecare contro la sfortuna nelle guardine di Regina Coeli. Così Marcello Mastrojanni il quale, da eroe amoroso disceso al rango del piccolo fotografo imbroglioncello, rimasto a far da balia al pupo in vece della mammina, temporaneamente al fresco per spaccio di americane, ci mette un suo divertente accento di sorniona e piagnucolarne melensaggine. E Totò nella macchietta del vecchio esperto di casseforti passato a professore di scientifici scassi. E il piccolo siciliano, comicamente tenebroso e serissimo, di Tiberio Murgia. Perfino la macchietta più scontata, il nonnino « palo » di professione per i colleghi ladri e perpetuamente affamato, vien fuori saporita con Carlo Pisa cane, che hanno avuto la grande idea di vestire con un paio di calzoni da cavallerizzo.
Ma la trovata delle trovate è Vittorio Gassman nella parte di Beppe, il giovanotto pugile suonato e a corto di espedienti che dalle confidenze di Cosimo, a Regina Coeli, edotto di un possibile colpo magistrale, di introdursi cioè attraverso un appartamento disabitato nel locale dov’è la cassaforte di un Monte pegni della periferia, appena fuori ne fa parte ai compari, e insieme lo decidono. Sono una ben scalcinata banda questi soliti ignoti, una banda del buco da strapazzo, si che il film finisce per diventare un Rififi tutto da ridere, la descrizione circostanziata di un colpo ladresco in cui, avendo sbagliato parete, invece di arrivare alla cassaforte i disgraziati arrivano in cucina, dove non potendosi empire le tasche di oggetti doro, si riempiranno lo stomaco di pasta e fagioli. In mezzo c'è una complicazione, che nel frattempo l’appartamento è stato occupato da due vecchie signore con servetta veneta. per cui Beppe che è il giovane prestigioso (anche se un po’ balbuziente) della compagnia. ha il mandato di sedurla per introdursi in casa. Già i tromboni ci avevano rivelato a teatro di quale stupefacente vena burlesca fosse foderato l’ultimo dei nostri tragici. Rivoltato Amleto e Kean, ecco saltar fuori Beppe, questa caricatura del piccolo lestofante guappo, eloquente e un po’ scemo, che finisce per lasciarsi rassegnatamente intrappolare come un qualunque buon figliolo. Con che impercettibili distacchi, burlandosi del suo personaggio, sembra che Gassman giochi a burlarsi di se stesso. Gli da la replica Carla Gravina, la piccina rivelata da Blasetti in Amore e chiacchiere, che qui è cresciuta ma resta sempre una nuova e deliziosa espressione di donna, e con un suo timbro comico personalissimo. I loro incontri sono impagabili : la scena nella balera, quando lei gli mette il naso finto!
Si ride dunque, ma non crediate che sia soltanto una buffonata. Sottilissimo, imponderabile si mescola alla farsa il sottofondo di un sentimento umano. Questo si fa sentire soprattutto nel personaggio di Cosimo. Il quale, quando esce di carcere, furioso di essere stato defraudato nella sua idea, cerca Beppe per metterlo a posto. Beppe si offre di spartire il bottino futuro, ma Cosimo rifiuta di spartire, non sta nella sua dignità di capobanda anziano, e poiché aggredisce Beppe, essendo il più vecchio ha la peggio. Allora decide di prevenire il colpo degli altri, e urla sera all ora di chiusura della filiale, si presenta al cassiere puntando la rivoltella. Suprema ironia, il cassiere credendolo un brav'uomo che offre un pegno, gli prende la pistola di mano, e dopo averla esaminata bonariamente gliela rende. È il colpo finale per il povero gangster, Spinto dalla bolletta cerca di strappare la borsa a una donna, ma questa grida, accorre gente, nella fuga Cosimo finisce sotto un tram. I soci della banda vanno mestamente a visitarlo all'obitorio. E una tragedia. Ebbene, o mi sbaglio, o il modo semplice rigoroso, incisivo con cui questa tragedia è, quasi direi, interlineata nel racconto burlesco, senza interromperlo, senza deviarlo, senza (cosa difficilissima) indebolire nemmeno per un momento la sua carica comica, è già un capolavoro di tatto e di arte registica.
Filippo Sacchi, «Epoca», anno IX, n.420, 19 ottobre 1958
Finalmente un buon film umoristico realizzato in casa nostra, con interpreti Italiani e un regista Italiana Mario Monicelli, che ha il fatto suo. Non la solita commediola cucita in quattro e quattr'otto per consentire a questo o a quell'altro comico di esibire il consueto repertorio di facezie da Avanspettacolo, ma una pellicola elle ha una vicenda ben costruita e spunti satirici divertenti. Quattro amici, ladruncoli da strapazzo, si ficcano in testa di effettuare un «colpo» di gran classe. Raggiungere, con il sistema del «buco», una capace cassaforte situata al primo piano di un'agenzia di pegni ed asportarne Il cospicuo contenuto. L'impresa è rischiosa, ma il bottino fa gola e la «gang», a notte alta, armata di tutta l'attrezzatura necessaria, inizia il «lavoro». Non vi diremo delle comiche vicissitudini di cui i quattro compari si rendono protagonisti durante l'azione di avvicinamento alla cassaforte attraverso cantine, scale, tetti, lucernai e appartamenti. [...]
Dopo un avvio piuttosto lento, il ritmo del film si fa serrato e sicuro, specialmente nella sequenza dell'impresa notturna che l'abile Monicelli ha punteggiato di piacevoli e spesso originali gags. Vittorio Gassman. Marcello Mastroianni e Renato Salvatori interpretano con gustoso humour i ruoli di bonari ladri. Totò è un divertente «maestro» in scasso di «comari» (cosi vengono chiamate in gergo le casseforti). Memmo Carotenuto, Rossana Rory, Carla Gravina e Claudia Cardinale completano l'indovinato cast.
VIce, «Il Messaggero», 12 ottobre 1958
[...] L'aver tenuto insieme tanti divi è il primo grosso merito del regista Mario Monicelli e gliene deve essere grato soprattutto Vittorio Gassman, primo attore quanto mai dotato, la cui carriera cinematografica, tuttavia, appariva limitata, fin dalle origini, ad esibizioni di truce gigionismo. Qui, dopo essersi calato scherzosamente dentro un personaggio grottesco e insolito per lui, recita in una maniera fresca, divertentissima e meno superficiale di quanto si possa credere a prima vista.
Giuseppe Berto, 24 ottobre 1958
Regista disuguale e non alieno dai cedimenti e dai compromessi, a Mario Monicelli dobbiamo (dopo i non dimenticati Guardie e ladri e Le infedeli, diretti in coppia con Steno) una serie di opere a volte notevoli, come Un eroe dei nostri tempi, a volte deludenti, come Donatella, a volte solo parzialmente riuscite, come Padri e figli e II medico e lo stregone. Ma con I soliti ignoti egli è riuscito a trovare la via e la misura giusta; e ci ha dato un film che è non solo il piu divertente ma anche uno dei pili onesti e seri fra quelli prodotti in Italia negli ultimi tempi. Non alludiamo soltanto alla sceneggiatura, insolitamente festevole e ricca di battute efficaci (qui l’influenza di Suso Cecchi d’Amico deve essersi positivamente aggiunta alla praticacela di Age e Scarpelli, responsabili di tante fra le più tristi farse del nostro cinema recente), e non soltanto alla maestria tecnica della condotta del racconto o alla abilità nella direzione degli attori (Monicelli riesce, fra l’altro, a presentarci un Vittorio Gassman completamente inedito, esilarante, comicissimo): I soliti ignoti è soprattutto un film importante perché dimostra come sia possibile, pur aderendo agli schemi e ai moduli della commedia dialettale, conferire a essa la dignità e l’impegno di una critica di costume, di un moralismo autentici.
Nel film è chiaro l’intento parodistico rispetto ad opere come Rififi e alle ormai consuete idealizzazioni del gangsterismo; ma si tratta di una parodia discreta, accennata solo quel tanto che serve a presentare e mettere in azione, sullo sfondo delle borgate e delle baracche romane (ottimamente fotografate da Gianni di Venanzo), una serie di figure e figurine, tutte vive e gustose, concepite non come altrettante macchiette per provocar risate, ma come veri personaggi, ricchi di una loro fisionomia precisa anche se caricaturalmente accentuata. I soliti ignoti viene così a presentare i caratteri di una briosa ballata, dalle movenze popolaresche e dal ritmo festosamente incalzante, sulla vita e le imprese dei ladruncoli di periferia, iellati, impacciati, ingenui, anche crudeli, a volte, ma sempre perseguitati, più che dalla polizia, dalla loro incapacità ad essere disonesti sino in fondo. Si vedano i ritratti di Ferribotte, il sicilianuzzo dall’aria truce e spavalda, che non ride mai e tiene chiusa sotto chiave la bella sorellina, alla quale prepara un
matrimonio "rispettabile" di Capannelle, il vecchietto in divisa da fantino, sdentato e sempre affamato, il cui sogno è di poter mantenere un’amante; di Cosimo, l’anziano capobanda che sa il codice meglio del suo avvocato e finirà rovinato dal proprio orgoglio di professionista del furto; di Peppe, pugile da strapazzo, sbruffone, il più ”carogna” del gruppo anche se l’unico incensurato, che finirà per perdersi dietro le gonnelle di una povera servetta: Monicelli compone una piccola galleria di ritratti attraverso i quali pone acutamente in luce una serie di vizi e di debolezze nazionali, con una comprensione umana, un garbo e una misura veramente degni di rilievo.
Certo, non tutto gli è riuscito: i contorni di qualche figura, come quella di Norma, sono ancora vaghi, e troppo facile e sciropposa è la conclusione della vicenda di Mario, e stonato è il tasto tragico toccato con la morte di Cosimo. Ma in complesso il regista ha saputo evitare con notevole sicurezza ambedue i pericoli che sovrastano a tutto il nostro cinema di genere leggero, il macchiettismo e l’idillio; raggiungendo cosi una felicità espressiva tale da staccare di gran lunga questo film da tutti i Pane e amore e da tutti i Poveri ma belli che da tanto tempo invadono i nostri schermi.
V. S., «Cinema Nuovo», dicembre 1958
Parlo con ritardo (scusate) del film di Mario Monicelli I soliti ignoti; ma non posso non dire la mia su gente come Tiberio, Peppe, Dante, Mario, Cosimo, Ferribbotte e Capannelle, i cenciosi e madidi personaggi del racconto ideato e sceneggiato da Suso Cecchi d'Amico, da Age e Scarpelli e dallo stesso regista. Abbia come sfondo Napoli o Roma, questa è la mia gente, no? Guardateli. Peppe, un forzuto senza cielo da vedere né terra da camminare, il quale suppone di avere una mente e di usarla; Dante, un vecchio lupo di scassi; ammonito e vigilato speciale, che dorme con un brigadiere sotto il guanciale, ma che (bisogna campare) vende esperienza e noleggia i ferri del mestiere; Tiberio, un fotografo da quattro soldi, che ha la moglie in gattabuia per contrabbando di sigarette, e un lattante a cui badare; Cosimo, un ladro tuttofare, pietosamente cinico, orgoglioso e jellato; Ferribbotte, un sicilianuzzo tenebroso che ha una sorella (Carmela) nubile, come un gioielliere londinese potrebbe avere una gemma staccatasi dalla Corona d'Inghilterra; Capannelle, un lacero sdentata romagnolo, un “barbone” dell'infima delinquenza; e infine Mario, che non utilizza il suo diploma di “ebanista finito” perché lo ha conseguito in un orfanotrofio e c'è scritto. [...]
Giuseppe Marotta, 1960
La svolta di Gassman
Il '58 è un anno magro per il cinema italiano: dei centotrenta film prodotti in quei mesi rimangono nei ricordo La sfida, L'uomo di paglia, Nella città l'inferno, La muraglia cinese, Nata di marzo, La tempesta e un film comico dai timbro nuovo, dal ritmo perfetto, destinato a portare mollo ossigeno in un «genere» che nel nostro Paese era scaduto da molto tempo al rango di malinconico spettacolo farsesco: I soliti ignoti di Mario Monicelli. Gli esercenti, trovatisi di fronte a un tipo di comicità e di umorismo ai quali erano disavvezzi, non avevano «creduto» nel film di Monicelli: fu il pubblico a ribaltare la situazione decretando a I soliti ignoti uno straordinario successo. E anche la critica fu unanime, laureando il film con due Nastri d'argento (uno per la migliore sceneggiatura, di Monicelli, Age e Scarpelli e Suso Cecero D'Amico; e l'altro a Gassman come migliore attore protagonista).
Soprattutto allora fu giusto sottolineare quanto fosse doveroso non chiedere più di ciò che onestamente e intelligentemente il film di Monicelli ci voleva dare. Non si trattava di un film satirico, ma della esilarante caricatura di un'Italia minore perfettamente riconoscibile. Il «colpo» che questa combriccola di ladri di mezza tacca si appresta a compiere non costituisce soltanto l'intelligente parodia di un filone peraltro illustre, ma finisce con l'assumere le caratteristiche di un certo «ideale» di rivincila anarchica dolcemente accarezzato. E se i componenti di questa banda di ladri inefficienti non diventano «personaggi», essi acquistano tuttavia il rilievo e le caratteristiche di autentici bersagli di un cerio tipo di umorismo: la malizia, la saccenteria, la pedanteria, il professionismo, la faciloneria diventano ancora più risibili se riferiti ai progettatori di un formidabile furto che, per insipienza, non sarti mai commesso.
Monicelli, cosi, dopo le felici prove e i tentativi di Guardie e ladri, Vita da cani, Padri e figli e Il medico e lo stregone dava la dimostrazione che nel cinema italiano si poteva far ridere senza ricorrere all’armamentario dei lazzi e delle volgarità, e che si poteva sfruttare ex novo le possibilità di alcuni attori — di taglia certo non esile — come Totò (mandato allo sbaraglio in tanti film dozzinali), e come Vittorio Gassman, ristretto nel cinema soltanto in ruoli di truce bravaccio. Quest'ultimo, proprio in quei tempi, aveva illustrato sui palcoscenici, e in modo clamoroso, quanto fosse viva, e sorprendente, la sua vena satirica alternando all'Otello recitato a fianco di Randone (un giorno il Moro e l'altro giorno Jago, rispettivamente) I Tromboni di Federico Zardi, amenissima galleria di «eroi» del suo tempo visti con feroce sarcasmo e anche con il diletto dell’autocaricatura. Con I soliti ignoti nasceva dunque il Gassman comico cinematografico: di qui, via via, doveva discendere tutta una serie di personaggi-mostro che avrebbero fatto la fortuna della cosiddetta commedia all’Italiana. Con tutti i rischi del lavorare su un calco (il «cattivo» di un tempo rovesciato in ribaldo consapevole), ma con l'accattivante presenza di un attore classico che per una certa ironia della sorte coglieva i suoi maggiori successi nella comicità di costume.
p.p., «Radiocorriere TV», 7 luglio 1967
Una banda di ladruncoli del sottomondo romano tenta il suo grosso colpo "scientifico" e naturalmente lo fallisce. Costruito con un ritmo e una sceneggiatura ottimi, su una serie di bozzetti e di gag sempre ad alto livello, questo racconto picaresco e gustosissimo si avvale di attori egregi: Gassman (di cui fu la rivelazione nel genere comico), Totò e tutti gli altri, in macchiette e tipi che ebbero molto successo. [...]
Georges Sadoul, 1968
Totò, il suo volto segreto
1958: Mario Monicelli, Age e Scarpelli e Suso Cecchi D'Amico firmano l'inizio della Commedia all'Italiana, raccontando la storia di cinque scalcagnati malviventi. Con loro, per la prima volta, la risata diventa amara
Non sono molti i «cult» italiani degli anni Cinquanta. Tra questi spicca «I soliti ignoti» di Mario Monicelli, realizzato nel 1958. L'opera all'inizio non fu compresa dalla critica: alla Mostra del cinema di Venezia, la storia degli imbranatissimi ladruncoli capeggiati da Peppe er Pantera ottenne infatti solo 2 Nastri d'Argento per la miglior sceneggiatura (Age, Scarpelli, Suso Cecchi d'Amico) e per la miglior interpretazione maschile (Vittorio Gassman). In compenso il film ebbe una nomination agli Oscar come miglior film straniero.
• Messo in distribuzione, il film ebbe un successo strepitoso, incassando oltre un miliardo: cifra straordinaria per quei tempi. Il risultato fu una «riparazione» di prestigio l'anno successivo, proprio a Venezia, dove Monicelli, con «La Grande Guerra», ottenne il prestigioso Leone, ex aequo con «Il generale della Rovere» di Rossellini.
• Nelle intenzioni di Monicelli il film doveva essere una versione all'italiana del celebre «Rififi» (Du Rififi chez les hom-mes) di Jules Dassin (1955). Addirittura, tra i titoli pensati inizialmente, era comparso anche un eloquente «Rufufu».
• Monicelli dovette brigare non poco per imporre come protagonista Vittorio Gassman. Allora l'attore era noto soprattutto in teatro e al cinema nei ruoli di «cattivo». La Lux, distributrice del film, avrebbe infatti voluto come interpreti Sordi o Manfredi. Ma l'insistenza di Monicelli fu alfine premiata. La Lux accettò Gassman purché gli si ponessero accanto altri nomi famosi come quelli di Totò, Ma-stroianni, Salvatori. Il risultato è ora noto: con il volto modificato (parrucca, correzione del naso, labbro gonfiato), Gassman fornì una esplosiva caratterizzazione comica, dando il via alle sue future grandi interpretazioni in commedie come «Il sorpasso», «I Mostri», «L'armata Brancaleone».
• Oltre a Gassman altri attori ebbero la carriera felicemente avviata. Tiberio Murgia fu una scoperta di Monicelli: faceva lo sguattero in un ristorante, il regista lo trasformò, da sardo di nascita quale era, nel «prototipo» della sicilianità. Carlo Pisacane era un attore napoletano di sceneggiate, il regista lo fece doppiare in bolognese, facendo la sua fortuna. Carla Gravina era una giovanissima attrice in ascesa scoperta da Blasetti nel 1957 con «Amore e chiacchiere». Claudia Cardinale in pratica era al suo debutto. Proveniente dalla Tunisia, sul set conobbe Franco Cristaldi, con cui si sarebbe in seguito sposata.
• Qui, come in altri film, Monicelli mostra il suo talento da «americano»; montaggio secco, incastri dosati tra il brillante e il patetico, unitamente a una serie di trovate che non sconfinano mai nel triviale. Ecco dunque Vittorio Gassman nei panni dell'ex pugile Peppe er Pantera, magniloquente sbruffone con tanto di difetto di pronuncia (si impunta sulle iniziali come ad esempio quando dice «s-scientifico»). Ecco Marcello Mastroianni fotografo timido e remissivo. Ecco il pregiudicato iellato (Memmo Carotenuto) o il giovane onesto tirato per i capelli nell'avventura (Renato Salvatori). Il siculo tenebroso Ferribotte (Tiberio Murgia) e il nonnetto svagato Capan-nelle dall'accento emiliano (Carlo Pi-sacane). Ma soprattutto ecco uno strepitoso Totò nei panni di Dante, il «professore». La morte di Carotenuto introduce una nota tragica del tutto inedita rispetto alle convenzioni allora in uso nel genere comico.
• L'anno successivo, il film ebbe un seguito diretto da Nanni Loy intitolato «Audace colpo dei soliti ignoti» dove, al posto di Mastroianni, compariva un altro attore (con ruolo diverso ovviamente) destinato a grande carriera: Nino Manfredi. Nel 1985 fu poi la volta di Amanzio Todini con il suo «I soliti ignoti vent'anni dopo», con Gassman, Mastroianni e Murgia. «I soliti ignoti» è notissimo negli Usa con il nome di «Big Deal on Madonna Street». Per anni gli americani ne progettarono rifacimenti cinematografici o teatrali finché Louis Malie non gli rese esplicito omaggio con il suo sfortunatissimo «Crackers» nel 1984. Nel 1986 poi Bob Fosse ha diretto a Broadway il Musical «Big Deal» direttamente ispirato al film.
Andrea Bosco, «Ciack», Aprile 1989
MONICELLI - La sera cantavamo con Totò
Steno ed io diventammo registi per caso quando inventammo «Totò cerca casa». Per «Risate di gioia» la Magnani non lo voleva: «Abbassa il tono del film»
«Ok, parliamo dell'estate 1949. Allora girai il mio primo film, in collaborazione con Steno: Totò cerca casa». Mario Monicelli, con quel suo modo un po' brusco un po' sincopato di parlare, accetta finalmente di ripercorrere un pezzetto della sua lunga carriera. Non voleva farlo. «Non mi piace guardarmi indietro - aveva detto -. Il passato è passato. E, poi, non ho il gusto dell'aneddoto. Figuriamoci del pettegolezzo retrospettivo. Posso parlare solo del mio lavoro, del cinema. E' l'unica cosa che ho fatto nella vita».
Di cose, nella sua vita, veramente ne ha fatte moltissime. Ha 77 anni e fa cinema da quando era diciottenne. Ha girato una settantina di film e nella storia del cinema è entrato come uno dei maestri della commedia all'italiana. Ha lavorato con grandi attori e suoi sono alcuni capolavori come La grande guerra, I compagni, L'armata Brancalcone. Ma nel mondo dei ricordi s'inoltra malvolentieri. Mentre si muove con serena sicurezza fra gli interessi e gli affetti del presente. Eccolo sorridere - neanche tanto spesso - nella piccola casa dove è andato ad abitare con la sua nuova famiglia. Mostrare i quadri dipinti dalla giovane moglie. Raccogliere il pupazzo di peluche che la sua ultima figlia - Rosa, di 4 anni - ha piazzato sul più bel divano della stanza. E soffermarsi sul film cui sta lavorando, insieme con Suso Cecchi D'Amico e due esordienti.
«Vorrei fame - dice - una sorta di continuazione e controcanto di Speriamo che sia femmina. Lì raccontavo il rapporto fallimentare fra uomo e donna, la speranza per il mondo nelle relazioni nuove che le donne sanno instaurare fra loro. Adesso vorrei raccontare quanto le donne - passate attraverso l'esperienza del femminismo - hanno spaventato gli uomini, li hanno intimiditi, messi in fuga. lnsomma vorrei che le donne si prendessero un po' la responsabilità del fatto che i sessi non riescono più a trovare un'intesa fra di loro».
E Totò? Il regista fruga fra buste ingiallite mescolate a libri e dischi. Fatica a mettere ordine fra le foto di film disparati. Si diverte, qualche volta, nel rivedere una faccia. S'imbroncia, più spesso, davanti a visi di gente scomparsa, ragazze sparito dopo la breve parentesi in celluloide. Finalmente ecco una piccola antologica di Totò. Totò che ammicca, strabuzza gli occhi, avanza sghembo come solo lui sapeva fare. Monicelli riflette e dice: «Lui era speciale».
Racconta: «L'ho conosciuto nel '49, anche se - prima - l'avevo spesso incontrato. Insieme con Steno avevo scritto le sceneggiature di tanti suoi film di successo. Io e Steno eravamo una coppia molto richiesta quando noi dopoguerra ci fu quell'imprevedibile boom del cinema italiano. Tutti credevamo che - aperte le porte alle pellicole americane, finita la protezione che il regime aveva assicurato al nostro cinema - non ci sarebbe stato un futuro per noi. Molti si erano dirottati verso attività alternative: giornalismo, fumetti. Invece scoppiò il neorealismo. Nacquero - nonostante i pochi soldi, i mezzi tecnici scadenti - quei capolavori e tante pellicole di cassetta. I film costavano poco e rendevano. La gente faceva la coda davanti ai cinema. I produttori investivano e ci guadagnavano. Stimolavano anzi gli autori a sperimentare nuovo strade Insomma, fu un boom.
«Steno ed io diventammo registi per caso. Carlo Ponti aveva sotto contratto Totò per due mesi. Doveva fare un film per la Lux di Alfredo Guarini. Pensò di fame due di film, invece di uno. Allora si girava alla buona, senza la prosopopea di oggi. Ponti ci disse: inventatevi un soggetto, presto! E ci venne l'idea di Totò cerca casa. Il problema degli alloggi era drammatico. Le città erano semidistrutte. Quella storia teneva d'occhio l'attualità e - come si faceva alloro saccheggiava anche le idee di altri, gli spunti che venivano da una conversazione, il teatro napoletano tradizionale. L'episodio dell'alloggio nel cimitero, ad esempio, è preso di sana pianta da un alto unico - anonimo - del repertorio napoletano. Il clima era quello del tempo dell'opera buffa, di Cimarosa e Paisiello, quando un'aria si trasferiva da un'opera all'altra, e cosi una situazione, un personaggio. Le cose nascevano cosi, con grande felicità, in una maniera che poi si è perduta e che rimpiango molto. Si stava insieme, allora, registi, scrittori e attori. A Roma ogni sera sul palcoscenico di un piccolo teatro, l'Arlecchino, saliva a cantare o recitare chi voleva: Aldo Fabrizi come Ennio Flaiano, Ciarletta. Brancati, Mazzarella, la Valeri.
«Ponti interpellò un paio di registi, poi ci disse: Ma, scusute, porché il film non lo dirigete voi? E cosi finimmo dietro la macchina da presa. Era estate, naturalmente, perché allora si girava solo nei mesi estivi quando il bel tempo era sicuro. Non come oggii che, con le pellicole e i mezzi tecnici a disposizione, si può lavorare sempre e, anzi, la luce invernale, di taglio, è preferita. Le ragioni artistiche allora non potevamo neppure permettercele. Mentre oggi - ironia della storia! - film non se fanno quasi più. Arrivammo sul set col copione completo. Non si usava cambiare, avere ripensamenti. Non c'era il tempo per rifare una scena. Totò aveva approvato la sceneggiatura. Lui veramente non discuteva mai. Gli andava sempre bene tutto. Non contestava mai una situazione, una psicologia. All’inìzio aveva tentato di dare qualche suggerimento, per portare avanti una comicità più surreale, più lieve. Ma non fu capito. E la smise di insistere.
«Anch'io l'avevo contrastato. Avevo voluto, semmai, umanizzare il personaggio, portarlo fuori dal cliché della macchietta. Ho fatto un errore. E me ne dispiaccio, tanto più che, poi, mi ha sempre divertito molto rovesciare i ruoli, inventare attori. Sono stato io - in La ragazza con la pistola - a fare di Monica Vitti, l'interprete dell'incomunicabilità e dell'alienazione, un'attrice comica. E nei Soliti ignoti ho avuto l'idea di trasformare in attore comico Gassman, che fino ad allora il cinema aveva voluto nei ruoli del latin lover o del cattivo o dell'antipatico. Sempre in quel film feci saltare fuori Marcello Mastroianni comico, la Cardinale che era una ragazzetta appena venuta da Tunisi e che non sapeva neppure parlare l'Italiano. Tiberio Murgia che faceva Io sguattero in un ristorante... Stessa operazione, ma in senso inverso, nella Grande guerra, dove affidai a Sordi un ruolo drammatico...
«Già allora, nel '49, Totò era fragile, di salute delicata. Era un vero uomo di teatro, abituato a orari diversi, spazi ristretti. Si sentiva a disagio all'aperto dove si girava. Si stancava e infastidiva per le lunghe pause, sotto il sole o la pioggia, nelle attese che il cinema comporta. In realtà amava il teatro e riteneva che quello fosse il luogo in cui valeva la pena esprimersi. Del cinema non gliene importava molto. Era gentile, un signore. Lui era il cast, per questo gli si mettevano accanto anche attori non professionisti che facevano ripetere una scena magari tante volte: Totò non si spazientiva. Con le sue partner, le bellone del tempo, aveva un modo distaccato di comportarsi: era come su un palcoscenico d'avanspettacolo, quando le luci si spegnevano tutto finiva lì. Certo, era un divo. Ma, insieme con Aldo Fabrizi mi diede la prima grande lezione di uomo di spettacolo. Li volli per Guardie e ladri, nel '51. Erano due mostri sacri. Fabrizi aveva fatto il regista, aveva lavorato con la Magnani, era un uomo scontroso e irritabile. Sembrava un'impresa impossibile farli lavorare insieme. Tutti erano preoccupati. Invece mi rivelarono che - quando più divi lavorano insieme - ciascuno vuole mostrare quanto è disponibile: arriva in orario, non pretende il camerino migliore, non si presenta al trucco per ultimo per guadagnare mezzora di sonno. Andò tutto benissimo.
«In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento fra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche do solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare. Si facevano le due, le tre...
«Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo questo si poteva fare così questo è andato male perché... Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai trovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito. Ho capito poi, invece, quanto grande fosse il mito - mania, debolezza, fissazione? - per quel suo titolo nobiliare. Una volta, nel '51, mentre giravamo Guardie e ladri al Palatino, lui puntò il dito verso l'Arco di Costantino. ‘ Sai che quello è mio?", disse. Io non capii. “Certo, certo”, risposi con ironia. Lui, serissimo, insistè: "E' mio perché Costantino era un imperatore romano. Mentre io discendo direttamente da antenati greco-bizantini”.
«La sua notorietà era senza confronti. Con lui girai il primo film che firmavo da solo, nel '55, Totò e Carolina (film che mi diede un sacco di guai con la censura, perché Totò era un poliziotto diciamo umano, vessato dai suoi superiori, sostenuto da un groppo di persone che cantavano L'Internazionale e sventolavano la bandiera rossa: dovetti fare un sacco di tagli, l’identità di quelle persone fu cancellata e il film uscì con mesi di ritardo!).
«Le nostre strade si separarono per anni. L'ultima volta che lavorai con lui fu nel '60. in Risate di gioia, con Anna Magnani. La Magnani la conoscevo bene. Andavo spesso alle serate in casa sua, serate molto divertenti: lei recitava sketches, cantava, faceva terribili scherzi col telefono svegliando la gente, spacciandosi per altri... Per quel film ci scontrammo: lei non voleva Totò. Tira giù il tono del film! diceva. Io però mi impuntai o Totò fu nel cast. La macchina da presa - vidi - gli era diventata più familiare. Il pubblico cinematografico, per lui abituato al rapporto platea-palcoscenico, non era più qualcosa di astratto. Alla fine di ogni scena la troupe - 20-30 persone - si raccoglieva insieme e lo applaudiva. Questo lo riscaldava, gli piaceva. Un'idea geniale. Che però non avevo avuto io...»
Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
Una foto del film in un messaggio contro Veltroni. Proteste dell'attore Murgia e dei parenti di Totò e Gassman
«I soliti ignoti» sui manifesti, il Tribunale ferma An
ROMA
Chissà se Totò avrebbe commentato l’iniziativa di Alleanza nazionale con una sua frase celebre e sdegnata: «Ma mi faccia il piacere!». Fatto sta che il manifesto de «I soliti ignoti», affisso per attaccare la giunta di Walter Veltroni, è risultato indigesto sia agli attori ancora in vita, sia agli eredi di quelli che non ci sono più. Un ricorso è finito sulla scrivania del giudice Massimo Corrias della prima sezione civile, che ha vietato ad An, e alla sua federazione romana, di usare il poster del film girato da Mario Monicelli nel ’58. Il fotogramma incriminato spunta dovunque in città. Diecimila esemplari che criticano la decisione del Comune di far pagare le strisce blu ai residenti. In primo piano c’è Totò che, vestaglia a righe e cappello, spiega ai complici, fra i quali Vittorio Gassman e Tiberio Murgia, come aprire una cassaforte. Lo slogan, in rosso, recita: «Audace colpo della giunta Veltroni. Dopo il furto dell’Irpef arriva la tassa sull’asfalto».
La figlia di Totò, Liliana De Curtis, si è arrabbiata. E la vedova di Gassman, Diletta D’Andrea, si è sentita «indignata e offesa». Murgia è corso dagli avvocati Giorgio Assumma e Andrea Miccichè, che nel ricorso hanno sottolineato «l’uso indebito e non autorizzato del volto dell’attore» e «la lesione dei diritti allo sfruttamento dell’immagine e all’identità personale». «Tra l’altro - dice Miccichè - Murgia appartiene storicamente alla sinistra». I legali ora sollecitano «l’eliminazione dei manifesti», mentre del risarcimento danni - la richiesta è di centomila euro - si discuterà nell’udienza del 21 dicembre.
Al Cdl la decisione del tribunale non è piaciuta. «È una polemica sciocca, perchè la sinistra sì e la destra no?», protesta il governatore Francesco Storace (An) ricordando che il Comune, dieci giorni fa, ha usato Alberto Sordi contro la Regione. «Gli attori e i film del passato sono patrimonio di tutti» dichiara Antonio Tajani (FI). I militanti però hanno scelto l’ironia: nel corso di una manifestazione sulla Piazza del Campidoglio, ieri pomeriggio, hanno esibito i poster proibiti con la scritta: "Vietato scherzare".
Lavinia Di Gianvito, «Corriere della Sera», 10 dicembre 2004
Spacconi, truffatori e buffi samurai nel cinema di Mario Monicelli
Virtù e meschinerie, rivincite e amarezze. Lo sguardo gioviale e disincantato del maestro Mario Monicelli è riuscito a scandagliare la società italiana delTimmediato e successivo dopoguerra. Con i suoi personaggi (spacconi, piccoli truffatori e malviventi sgangherati interpretati sempre da grandi attori) ha saputo cogliere i mutamenti di un Paese in cerca di riscatto, pronto a imboccare scorciatoie più o meno lecite pur di rialzarsi. Le sue commedie, insomma, riescono a cogliere lo spirito del tempo e per questo più che risate tirano fuori sorrisi amari. Alla Casa del Cinema si inaugura oggi la retrospettiva dedicata al grande regista scomparso il 29 novembre. Sei giorni di proiezioni (organizzate in collaborazione con la Cineteca Nazionale) per rivedere alcune delle sessanta pellicole firmate dal padre della «Commedia al-fitaliana».
La rassegna si apre oggi alle 16 con «I soliti ignoti», il film del 1958 che segna l’inizio della collaborazione con Vittorio Gassman. Il personaggio di Beppe, il giovane pugile suonato e a
corto di espedienti, è uno dei più riusciti «mostri» della premiata galleria Monicelli e per l’attore ha rappresentato la «grande svolta» dall’accademia ai ruoli popolari.[...]
Carlotta De Leo, «Corriere della Sera», 11 gennaio 2011
Gassman e Totò ladri per Monicelli
Fra le ricette che ci martirizzano ovunque non troverebbe spazio la pasta e ceci che è il vero happy end della prima ufficiale commedia all’italiana, I soliti ignoti di Mario Monicelli, autunno 1958, un successo in bianco e nero da 91 milioni di incasso — una fortuna —, film nato per sfruttare le scenografie di Le notti bianche di Visconti II titolo è entrato nel gergo ma il regista raccontava di averlo preso da un giornale che raccontava di cinque poveracci, morti di fame, che tentano il colpo grosso alla Rififi picconando la stanza della cassaforte del Monte di Pietà ma sbagliano parete.
[...] Cast incredibilmente ricco con Totò che domina nella lezione di scasso in vestaglia sulla terrazza, mentre è noto che Gassman (Cristaldi producer non lo voleva affatto), opportunamente truccato (cotone nelle narici, parrucca, mascheratala gobba del naso, uno spessore sotto il labbro), balbuziente (zagagliava in romanesco) premiato col Nastro d’argento, col pugile Beppe (anticipa quello dei Mostri) entra nella schiera dei colonnelli della risata, lasciando temporaneamente i matinée teatrali scespiriani Ma ci sono pure Mastroianni, visto e preso tra Le notti bianche e La dolce vita, Renato Salvatori alla vigilia di Rocco e i suoi frateili e i due super caratteristi lanciati da Monicelli, il siciliano Ferribotte (Tiberio Murgia ex cameriere) che tiene reclusa la bellissima debuttante Claudia Cardinale e Carlo Pisacane, oltre alla colf veneta e complice, Carla Gravina e Memmo Carotenuto che va sotto il tram ed è il primo morto della commedia.
Concorse all’Oscar come film straniero (ma fu battuto da Mio zio di Tati, come l’anno dopo Orfeo negro sconfiggerà La grande guerra) e fece gran scalpore in America dove realizzarono ben due remake (oltre agli spunti rubati) e un musical di Bob Fòsse, mentre seguirono due inutili sequel italiani, il primo dei quali passa domani su Rai3.
«Corriere della Sera», 12 febbraio 2014
I documenti
Cappello indossato da Totò nel film 'I soliti ignoti' conservato nel baule di scena di Totò |
Nella scena in cui Capannelle (Pisacane) si reca al cinema dove lavora Mario (Salvatori) per raccomandarsi di avere cura della sorella nel caso succedesse qualcosa durante il colpo, vediamo alle sue spalle la locandina del film Kean, genio e sregolatezza (1957), in cui recita Vittorio Gassman, ovvero Peppe il pantera.
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Capolavoro, insieme a Divorzio all’italiana, della commedia all’italiana. Tutto perfetto: i ritmi, i personaggi, le cose espresse, pure le ellissi. Grandi finezze, in più tutto quanto potrebbe essere eccessivo diventa magicamente logico e consequenziale. Siparietti esemplari (la rapina di Memmo Carotenuto). Attori eccezionali, in personaggi da amare. Un’altra magìa del film è che dà un risalto enorme a tutti. La ciliegina sulla torta è Totò, qui immenso (“Si lavicchia” è semplicemente geniale).
- Capolavoro imprescindibile della commedia all'italiana, orchestrato con grande perizia dalla mano di Monicelli, regista -in tal caso- particolarmente ispirato. Gli eventi comici sfumano in una lieve ed inevitabile melanconia, ben resa dalla scenografia appositamente scarna (ma curata alla paranoia) e da dialoghi popolari e pregnanti. Totò compare brevemente, ma la gag della "cassaforte" è destinata a passare alla storia del cinema. Interpreti indimenticabili (Gassman, Mastroianni, Murgia e la Gravina) sanno farsi amare dal pubblico.
- Immortale classico della commedia italica, uno di quei film che da anni gli americani provano, senza successo, a rifare. Gliene sfugge l'essenza, e manca loro la materia prima: la fame, vero motore della vicenda, raccontata da Monicelli con esemplare coralità, trovate e battute indimenticabili, facce irripetibili, tempi ineccepibili. Totò sublime, gran rivelazione di Gassman comico, repentino passaggio di Capannelle al Mito. Impareggiabile.
- Banda di ladruncoli tenta il gran colpaccio con un furto preparato “scientificamente”. Il film è piacevole, anzi irresistibile, anche grazie a un cast stellare e a una sorprendente regia dell’ottimo Monicelli, che propone un inatteso corto circuito tra il noir alla francese e la commedia all’italiana. Non a caso il film è stato capostipite di un vero e proprio filone che arriva fino ai giorni nostri e non solo in Italia. Musiche un po’ troppo invadenti.
- La trama è assolutamente secondaria. Qui contano soprattutto gli attori e le loro grandi interpretazioni. Gassman lo sbruffone, Mastroianni il riflessivo (quello con un po’ più di cognizione), Capannelle, perennemente affamato, Murgia, l’uomo d’onore con sorella blindata. E poi c’è Totò, che purtroppo si vede poco, ma quando parla della cassaforte e tira fuori gli attrezzi è fantastico. Qualche pausa c'è, ma è compensata dalla quantità di situazioni divertenti, spesso con retrogusto amaro. Il finale con minestra ha fatto storia. Da vedere!
- Pugile scalcinato, dopo aver carpito da un compagno in carcere il piano per una rapina, organizza un colpo "scientifico" con alcuni compari, anche loro ladruncoli di mezza tacca... Una delle punte di eccellenza della commedia all'italiana, con regia e sceneggiatura perfette, la cui fortuna è però legata soprattutto ad un cast in stato di grazia, in cui tutti, divi e caratteristi, riescono a rendere indimenticabili i rispettivi personaggi. Per Gassman, il film segna il passaggio dai ruoli drammatici da villain alla commedia, genere in cui darà il meglio di sé.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lezione del professor Totò, maestro dello scasso; La discussione fra i due innamorati; La mangiata di pasta e ceci compensativa. - Diventato oramai oggetto di vero e proprio culto, mi pare leggermente inferiore alla sua fama, pur restando su livelli senz'altro buoni. Più che la sceneggiatura qui valgono le interpretazioni dei vari attori, sui quali spicca, pur in un ruolo secondario, il mitico Totò. Monicelli è regista che sa bene come trattare la commedia e avrà modo di confermarlo negli anni futuri. Buono, da vedere.
- Sopravvalutato classicone nostrano, simpatico ma mai realmente spassoso, scorrevole ma mai realmente emozionante, di cui stento a cogliere il reale balzo rispetto alla commedia post-neorealista del decennio, se non una maggior consapevolezza (in odor di premeditazione) sul discreto fascino di quell'italianità fatta di accenti, piatti di pasta e tenera povertà. Che altro? Un cast che raduna il top del genere (ma il meglio è il veterano Pisacane), uno script più elaborato della media e una regia dinamica. Buono, ma non esageriamo.
- Bellissimo film che, oltre ad alcune scene entrate nella storia, offre una varietà di situazioni esilaranti, nelle quali le avversità della vita vengono affrontate con ingenua fiducia da un manipolo di "coraggiosi" di varia provenienza. La comicità segue un filo melodrammatico ma, cosa non facile, non sconfina mai nel ridicolo. Le caratterizzazioni tengono benissimo e non ci sono pause nel susseguirsi degli eventi. Ovvia menzione d'onore per la figura di Capannelle, al secolo Carlo Pisacane.
- Da rivedere sempre e tramandare ai posteri; la più bella commedia all'italiana di tutti i tempi e anche una delle commedie all'italiana che poco assomiglia a questo filone. Gassman rigenerato troverà qui la strada per il cinema, Mastroianni fantastico, schiera di caratteristi così vividi e divertenti come solo Monicelli poteva crearne. Parodia di Rififi di Dassin, mantiene del noir le tinte cupe e le tese musiche jazz di Umiliani, mai così grande come qui. Un film che ci farà sempre onore.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sc-c-c-scientifico";"Ma Capannelle mica ce lo potemo portà vestito così Sportivo". "Ma quale sportivo: Sta'n divisa da ladro";"Segua quella macchina". - Clamoroso e intramontabile capolavoro di Monicelli. La commedia all'italiana per eccellenza è questa, capace di creare un nuovo modo di fare cinema, copiatissimo e in grado di dare la stura ad un prolifico genere che ancora oggi il resto del mondo ci invidia. Girato con una vivacità contagiosa che si sposa ottimamente all'impeccabile sceneggiatura che unisce momenti di vivo divertimento ad altri di amara riflessione: è una ricetta che ha fatto epoca. Mai vista una parata di attori così stellari come in questa occasione, tutti insieme appassionatamente
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La prima apparizione di Totò e la banda che osserva il filmato di Mastroianni; Gassman che sfodera l'accento settentrionale per raggirare la Gravina
The light side of Monicelli. Permettetemi questa ardita parafrasi del titolo di un celebre album dei Pink Floyd, visto il tocco leggero con cui il regista di Un borghese piccolo piccolo tratteggia i suoi personaggi (deliziosa anomalia di una filmografia tanto comica quanto amara). Effettivamente questa è una commedia ariosa, raggiante, che pur non rinunciando alla descrizione neorealistica dei suoi personaggi ci fa empatizzare con loro. Non li giudica, Monicelli, si diverte con loro, quasi pretendessero vita autonoma. Un capolavoro che allegerisce l'anima.- Capolavoro assoluto della commedia all'italiana, diretto da Monicelli con grande senso della comicità e del ritmo. Il cast è semplicemente memorabile, con Gassman e Mastroianni in primo piano, ma anche con caratteristi indimenticabili come Salvatori, Pisacane, Murgia e il mitico Memmo Carotenuto. Poi c'è Totò a dare un tocco di classe in più ad un film perfetto, che non ha bisogno di commenti. Bella la colonna sonora, buoni i dialoghi, amarissimo il finale.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Tutto scientifico, tutto calcolato!". - Una fusione molto azzeccata tra personaggi (piccola malavita di borgata, falliti, un ceto medio basso molto umano), luoghi (una Roma con le ombre della notte e la grigia luce del primo mattino, cantine e cortili desolati e sporchi, case a ringhiera) e il colpo a svaligiare la "comare", che unisce tutti, forse già consapevoli dell'insuccesso di una impresa che usa sturalavandini, tronchesi, cric e una "scientifica" cinepresa. Un noir casareccio, ma lostesso coinvolgente, con momenti di suspense su di un lucernario che si accende all'improvviso.
- Una banda di ladruncoli s'inventa un colpo scientifico da attuare ad un banco dei pegni. Una grande realizzazione cinematografica che s'avvale di mostri sacri del cinema italiano. Il principe della risata realizza un cameo memorabile mentre gli altri grandi interpreti danno vita ad una sequenza di memorabili situazioni.
- Grande comicità, in questo film di Monicelli. Grande perché mai volgare o spinta agli eccessi, ma sempre delicata e con uno sguardo disincantato rispetto ai tempi. Ottimi gli attori, molto ben affiatati; anche la sceneggiatura è buona. La comicità di oggi deve imparare molto da questo film.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Avanti il primo!!!!"... "Ma chi è sto primo?". - Uno dei classici della commedia italiana, genere a sé che richiede un notevole talento. E qui i talenti non si contano, da un grande regista come Monicelli ad un cast in stato di grazia che spazia da Totò a Mastroianni. In perfetto equilibrio fra l'amaro e il comico, il film getta uno sguardo unico sull'Italia del dopoguerra senza condannare né consolare. Uno di quei rari film corali in cui nessuno viene messo in ombra. Impossibile non simpatizzare con i protagonisti.
- Quel che più mi piace sottolineare di un capolavoro riconosciuto e riconoscibile, su cui tutto (più o meno giustamente) si è detto, è il fatto che mi ha dato sempre la sensazione di rappresentare il lato solare di Marione. Nel film sono presenti, come sempre in Monicelli, la Morte, la fame, la miseria, l'impresa grande che si rivela meschina, eppure la vena di fondo de I soliti è radiosa, quieta, serena. Un attitudine resa palpabile dal taglio delle luci di Di Venanzo, come dall'affiatamento del cast, che dà l'idea di una famiglia precaria quanto inossidabile.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il corteggiamento di Gassman a Carla Gravina; Capannelle che si tira su i pantaloni da cavallerizzo; il gesso di Mastroianni; "Uomo di lettere". - Uno dei tanti capolavori di Monicelli, uno dei più grandi registi italiani che come pochi ha saputo rappresentare l'Italia del 900, con i suoi personaggi indimenticabili e con gli italici vizi e virtù. Parlare di commedia qui è forse riduttivo, visto che al di là di qualche gag c'è l'enorme lavoro del regista e del grandissimo cast nel tratteggiare le caratterizzazioni e i vari personaggi e soprattutto nel far respirare quella voglia di frivolezza che gli italiani cercavano sul finire degli anni 50 insieme ad un futuro certo. Unico e irripetibile.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La rissa in cui Gassman invincibile stende praticamente tutti salvo poi andare al tappeto per una borsetttata della donna. - La regia di Monicelli regala un momento di cinema che va oltre il capolavoro, quando con movimenti di macchina elegantissimi mostra "il percorso" per raggiungere la cassaforte al piano superiore del banco dei pegni. Per il resto le scelte del cast rasentano la perfezione con comprimari che entrano nella leggenda (su tutti Pisacane). Peccato che il tessuto narrativo viva unicamente di battute sensazionali a discapito di una omogeneità qualitativa non sempre presente (Salvatori-Cardinale; Gassman-Gravina).
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "La prudenza non è mai troppo, ricordate: la prudenzia non è mai troppo!". - A rivederlo ad anni di distanza, per l'ennesima volta, se ne coglie, al di là degli effettivi meriti, la vena un po' facile. Ma forse è solo un'impressione fallace: le numerose scene brillanti (di cui si sa già tutto), la simpatia degli attori, la forza popolare dei caratteri, assurti quasi a maschere di una nuova commedia dell'arte (Capannelle, Ferry Boat), rendono il film più una regione dell'anima italiana che un'opera da valutare criticamente. Grande interpretazione corale, con Totò a inanellare il meglio ("fu Cimin", "si lavicchia").
- Caposaldo della commedia all’italiana grazie a notevoli componenti. Sceneggiatura che spazia dal faceto al sociale, al dramma, in una costruzione articolata. Regia puntuale che sfrutta le location della ricostruzione. Cast di livello dove specie i comprimari danno una corposità alla narrazione e ciliegina di Totò. Parte iniziale più da operetta e qualche cartello temporale inutile non inficiano una storia di disperazione dove la parte cialtrona predomina la scena in un’umanità disarmante.
- Spassosissimo, dal ritmo eccellente, si ride dall'inizo alla fine. Il cast è azzeccatissimo e ogni personaggio si ritaglia sapientemente il suo spazio sotto i riflettori. Ha lanciato un genere, ha cambiato i connotati della commedia all'italiana. Imitato e rifatto due volte negli Usa. Una tappa fondamentale della storia del cinema italiano.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sto cercando Mario!" "ce ne sono 100!" "ma questo ruba!" "sempre 100 sono"; "Carmela componiti"; La scoperta del muro errato. - Monicelli ha la grande intuizione di affrontare argomenti drammatici con ironia e leggerezza apparente, discostandosi stilisticamente dal realismo classico. Il periodo storico è di transizione, non è ancora la Roma del boom economico e la possibilità del furto per il gruppo di sventurati è vista come unica speranza di redenzione. È un film corale che si approvvigiona della verve di un cast superlativo in cui i volti hanno la loro importanza. La sceneggiatura annovera scene e battute memorabili per le quali entra nell’olimpo del miglior cinema.
- Gruppo di ladri da strapazzo, grazie ad una soffiata, prepara e attua un colpo con basi “scientifiche” all’interno di un’abitazione. I toni scanzonati, i tempi comici, la coralità degli eventi così come il tratteggio dei personaggi (formato da un cast di immenso valore) sono il fulcro portante di un’opera che guarda con amaro sogghigno all’Italia del dopoguerra, povera ma non sopraffatta, anzi, fiduciosa. Film importantissimo e seminale per la commedia all’italiana e probabilmente summa del cinema di Monicelli. Magari un po’ sopravvalutato.
- Un film che imprime al cinema italiano una svolta epocale, impossibile non dargli il massimo dei voti. Quel netto contrasto tra la comicità dei personaggi, perfettamente intagliati nelle forme degli attori protagonisti e la drammaticità di una Roma povera e disgraziata ne fanno un vero capolavoro. A una colonna portante vanno attribuiti tutti i meriti e gli onori. Grazie Monicelli.
- Molto simpatico e divertente, ma mi è parso un po' troppo datato e inferiore al mito che lo circonda; forse perché nello stile è ancora troppo debitore al Neorealismo, genere che ho spesso faticato a masticare. Come spesso accade con Monicelli, le risate si accompagnano ad amare riflessioni sulla vita e le miserie umane (materiali o spirituali che siano). Eccezionali tutti i protagonisti, fra i quali spicca Totò, veramente una spanna al di sopra degli altri. Prima apparizione cinematografica per Elena Fabrizi, in un piccolo ma gustoso ruolo. Da vedere.
- Non solo un capolavoro assoluto della commedia all'italiana (quasi ante-litteram, date alla mano), ma un film che ha sdoganato al grande pubblico personaggi e ambientazioni che faranno scuola anche in altri generi. I soliti ignoti è l'altra faccia degli esordi pasoliniani che sarebbero presto arrivati: anche se c'è la fame, il degrado, non manca perfino la morte, si ride di gusto. Tutto è servito con garbo eccezionale ed irripetibile. Merito anche di un cast perfettamente amalgamato, in cui nessuno emerge più degli altri. Da imparare a memoria!
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Conosci un certo Mario?" "Qui de Mario ce ne so' cento". "Sì, va bene, ma questo è uno che ruba". "Sempre cento so'!". - Difficile trovare difetti in questo film: regia perfetta, interpretazioni di altissimo livello - su tutti Gassmann - e soprattutto uno script geniale, incasinatissimo, che oltre a vantare vari tentativi - falliti - di replicarlo (Crackers, Welcome to Collinwood) ha letteralmente fatto scuola ispirando molti altri registi (si veda la trilogia di Ocean’s eleven di Soderbergh ma anche Criminali da strapazzo di Allen). Insomma, un film imprescindibile per qualsiasi cinefilo. Finale leggendario.
- Capolavoro della commedia italiana, risultato di un perfetto equilibrio come per una pietanza in cui ogni ingrediente - e parliamo di attori primedonne - riesce ad amalgamarsi senza stonature. La vicenda è divertente, di quel divertimento garbato e furbesco tipico dell’epoca con varie scene memorabili, tra le quali considero quella minestra mangiata all’atto dell’irruzione come emblematica dello spirito italiano.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La lezione di scasso; E’ tutto scientifico, tutto calcolato. - Uno dei maggiori successi della commedia italiana che fu, ove Mario Monicelli dirige un cast in stato di grazia in cui spiccano Mastroianni e Gassman. La sceneggiatura è buona, ma passa quasi in secondo piano dinanzi alla bravura degli attori: ognuno è al posto giusto, tutti recitano al meglio e, come spesso accade nei film di Monicelli, ci viene consegnata una morale alquanto amara. C'è pure Totò a insegnare come aprire le casseforti. Qualche intoppo c'è, ma siamo dinanzi al grande cinema.
- Bellissima commedia diretta da un grande Mario Monicelli e interpretata da un meraviglioso cast di attori (e una stupenda Claudia Cardinale). Il meccanismo del film è perfetto e alcune scene sono entrate nella storia del nostro cinema. Si ride e contestualmente si pensa a che bei film venissero girati in quegli anni.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Tutta la gag del furto. - Freschissimo, dimostra gli anni che ha solo nei deserti urbani e nei volti che non sono più. Una sceneggiatura granitica nonostante il tema leggero, esaltata dalla recitazione di grandi attori che conferiscono ai loro personaggi accenti e movenze degne dei migliori film da loro interpretati, come questo. Monicelli riesce a rendere simpatico anche Mastroianni, cosa a mio avviso assai ardua. Totò, grande come sempre, personaggio fra i tanti. Pietra miliare nella storia del cinema, da vedere.
- Capolavoro assoluto della commedia italiana e del cinema in generale. Monicelli con questo gruppo di disperati, ognuno con una patologia diversa, è riuscito a creare il film perfetto; si ride e lo si fa nonostante il film abbia più di 55 anni; poi con un cast come questo cosa poteva uscirne se non un capolavoro? Descrivere film come questi non è facile, bisogna guardarli e basta, le parole sono superflue. La presenza di Totò poi ne aumenta ancora di più il valore. Da vedere e rivedere mille volte.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Ferribotte che dà del settentrionale a un pugliese. - Divertente commedia che ha fatto la storia del cinema italiano, con protagonisti i soliti ignoti, ovvero un gruppo di ladruncoli che spera di fare il colpo grosso. Nonostante gli anni la pellicola scorre bene, merito di una narrazione ben strutturata che non ammette pause di sorta e dell'aggiunta di situazioni secondarie (Carmelina, a esempio) che intrecciate alla preparazione del furto coinvolgono lo spettatore. La regia è lodevole sotto diversi aspetti, ma la punta di diamante è il cast (Gassman e Mastroianni eccezionali!). Gradevole!
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il "long take" del percorso da effettuarsi la sera della rapina; La proiezione delle riprese di Tiberio; La tentata rapina di Cosimo al Banco. - Uno dei film più belli del cinema nostrano, considerato il capostipite della commedia all'italiana. Monicelli ha saputo condurre allo stato di grazia alcuni fra i migliori attori del momento, imbrigliandoli in un copione originale e ben scritto in modo da evitare protagonismi (rischio non da poco, dato il cast). Personalmente ho trovato molto interessante l'alternarsi dei vari registri comici, che scandiscono i tempi di una visione piacevole e rilassata. Un capolavoro assoluto, di quelli che non si discutono.
- Pietra miliare del cinema italiano e capolavoro di Monicelli che mescola la buffoneria con il tragico in uno scenario post-bellico italiano da cartolina. L'aiutano gli straordinari attori che sono complementari fra loro e fanno squadra senza rubarsi la scena: il gigionesco Gassman, il pacato Mastroianni, il geloso Murgia e l'affamato Pisacane. Piccola ma memorabile parte del grande Totò, la Cardinale è di una sensualità imbarazzante. Le ottime musiche sono del jazzista Piero Umiliani. Film da vedere una volta al giorno, contro la tristezza!
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La scena della cassaforte; La pasta e ceci nel finale; "Cerco un certo Mario" "Qui ce ne so cento" "Sì, ma questo è uno che ruba" "Sempre cento so!". - Assoluto capolavoro del cinema italiano. Un archetipo imitato da tutto il mondo ma mai più raggiunto. Un film dalla struttura perfetta e compiutamente chiusa in se stessa. Un film enorme dove la commedia incontra il dramma, l’acuminata l’analisi della condizione sociale di un’umanità minima e ai margini si fonde all’attento studio psicologico dei personaggi e dove si celebra il matrimonio indissolubile del realismo con la comicità che feconda, a sua volta, la commedia all’italiana. Un film vivo che offre sempre nuovi dettagli e nuove prospettive.
- Monicelli fonde felicemente registri comici e spunti neorealistici in una commedia corale senza stonature in cui prìncipi della risata, mostri sacri, solidi caratteristi nel ruolo della loro vita e giovani promesse mantenute del nostro cinema rendono indimenticabili i rispettivi personaggi (basti pensare a Dante Cruciani, Ferribotte e Capannelle). A tutt’oggi resta una delle più riuscite rappresentazioni dell’arte di arrangiarsi e di saper ridere dei propri guai.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Ferribotte al funerale: "Sono sempre i più meglio che se ne vanno". Cruciani: "È la vita, oggi a te domani a lui!"; La lezione di scasso; La pasta e ceci. - Poco si può dire della prima vera e propria "commedia all'italiana" senza scadere nell'ovvietà. Difficile non innamorarsi della regia e della storia raccontata, entrambe semplici ma efficacissime fino alla genialità. Cast strepitoso ricco di grandi nomi, anche se il mio preferito è forse Pisacane, vecchietto fragile ma pieno di gioia che è forse la più alta punta poetica del film: una rilettura del neorealismo che parte dalle sue rughe e sfocia nel suo sorriso.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Si lavicchia!"; "Peppe, ma dove vai... dove vai? Peppe, ma ti fanno lavorare, sai!". - Che volete di più da una commedia italiana? È molto più facile fare un film alla Antonioni, molto più facile farci sospirare (o addormentare) per le miserie di un intellettuale, che farci ridere dei nostri stessi vizi (anche se poi spesso si cade nell'autoindulgenza). Ci sono idee, ritmo, affiatamento, tutto funziona perfettamente dal primo all'ultimo fotogramma. Grande Monicelli, grandi attori, grandi sceneggiatori. Il confronto con i film italiani attuali è desolante.
- Impossibile non venerare questo film, un classico intramontabile. Pervaso da un'amarezza di fondo che lo salva dal macchiettismo fine a se stesso, popolato di facce indimenticabili, dovrebbe essere proiettato nelle scuole per far vedere alle giovani generazioni com'era davvero l'Italia del dopoguerra e insegnare loro a sorridere, con affetto, del nostro passato prossimo. Tutti gli attori, dai protagonisti ai personaggi di secondo piano, in un paese civile sarebbero già stati dichiarati patrimonio nazionale.
- È fin troppo facile fare un bel film con un gruppo di attori così affiatato e di qualità, ma questa imprescindibile commedia ha dalla sua anche un'ottima sceneggiatura, non così semplice come sembrerebbe a prima vista, con più vicende che si intrecciano dando un piacevole ritmo alla pellicola, che intrattiene anche lo spettatore moderno. Magari non si ride come in altre commedie più "leggere", ma gli attori valgono da soli il prezzo del biglietto, compresi i notevoli caratteristi.
- Sicuramente uno dei film più famosi del cinema italiano, manca però di quel qualcosa che lo renderebbe davvero un capolavoro. Probabilmente una maggiore caratterizzazione dei personaggi avrebbe aiutato in questo. Intendiamoci, l'opera resta comunque eccellente e ben riuscita, ma è indubbiamente sopravvalutata. In particolare il suo inquadramento nel genere "commedia" (o ancora meglio "commedia all'italiana") risulta altamente riduttivo per un film che ha innumerevoli altre sfaccettature.
- Il capolavoro di Monicelli ed esempio irraggiungibile di commedia all'italiana: ogni singola scena e situazione comica nasconde un lato triste, drammatico; ogni personaggio trattato in modo apparentemente leggero, scanzonato nasconde un tratto malinconico, dolente o anche solo patetico. Basti pensare alla morte e al funerale di uno dei protagonisti: si vira immediatamente nel patetico e poi nell'ironico all'interno della stessa scena... Onore al regista, alla sceneggiatura impeccabile ma anche a un gruppo di attori semplicemente grandiosi.
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "...Cerco uno che si chiama Mario" "Qui di Mario ce ne sono cento" "Si, ma questo è uno che ruba" "Sempre cento sono!". - Senza dubbio è e rimarrà sempre il capolavoro di riferimento nel mondo della commedia all'italiana. Ricalca sapientemente e volutamente le gang story americane, molto in voga a quel tempo, ma con quell'ironia e divertissement tipiche di un maestro come Monicelli, sorretto da una sceneggiatura impareggiabile. Cast di primo piano con Gassman, Mastroianni e Salvatori in grande spolvero e una non meno efficace interpretazione di un Tiberio Murgia alle prime armi. Film che non può e non deve mancare nella videoteca di un cinefilo che si rispetti.
- Commedia all'italiana famosa e citata, che fa sorridere, ridere e commuovere. Trama semplice e ricca di trovate, bel b/n che mostra la nascita e crescita della periferia romana: è una storia dei senza storia del dopoguerra e del boom che stava cominciando, proposta da interpreti infallibili. Quasi senza accorgersene ci si trova a riflettere: parte dal basso, ma arriva in alto!
• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Sono Michele! Dimenticai le chiavi!"; "... Si lavicchia!".
Le incongruenze
- Nella scena del funerale di Cosimo, anche se non si vede chiaramente si capisce che sta piovendo (molte persone si riparano sotto gli ombrelloni e si possono notare i riflessi di biciclette e lampioni sul terreno bagnato della piazza) ma i protagonisti rimangono completamente asciutti e pettinati (vedi Gassman), nonostante non siano riparati dalla pioggia.
- Quando il muro dell'appartamento sfitto sta cedendo con la catena di mobili e crick, cambiano inquadratura ed un attimo dopo ritornano sul muro e per un attimo si rivede il muro quasi intatto.
- Nella scena più importante, nel momento in cui gli scassinatori abbattono il muro sbagliato, Capannelle sta già guardando nella loro direzione per poi girarsi improvvisamente. I tempi sono evidentemente sbagliati
- Quando Capannelle accende la prima volta il fiamifero che causerà l'esplosione nell'appartamento, questi si spegne quasi subito, salvo poi riaccendersi nell'inquadratura seguente più vicina
- La lunghezza dei capelli di Renato Salvatori cambia per tutto il film. Alcune volte (come ad esempio nella scena in cui Gasmann fa finta di difendere la ragazza) si vede chiaramente da sotto il cappello che i capelli sono cortissimi, in altre occasioni risultano piu' lunghi anche se di poco
- Quando Mario va a casa di Ferryboat per cercare Carmela e parlano intorno al tavolo, le mani di Mario nelle inquadrature da davanti sono in tasca ma da dietro si vede che poggiano sullo schienale della sedia
- Nella scena in cui stanno abbatendo il muro il crick e' posizionato in modo errato, quel tipo di crick aveva una barretta che si alzava lungo l'asta, quindi non poteva funzionare nella posizione in cui viene messo!
- Dopo che Gassman ha rotto i pantaloni con il chiodo, si vede Ferribotte che sale la scaletta della veranda con la valigia; nella scena successiva Ferribotte e' insieme agli altri alla base della stessa scaletta
- A casa del fotografo (Mastroianni) i due ospiti (Murgia e Salvatori) fanno svegliare il bambino che dorme. Questi urla a più non posso, ma nelle scene dove è in primo piano si vede benissimo che non è lui che piange: un doppiaggio non troppo curato
- La Gravina fa credere a Gassman di avere molti parenti e conoscenti militari, ma forse prima di millantare così tante fandonie si dovrebbe informare e non dovrebbe dire che gli Alpini non fanno parte dell'Esercito
- Dante Cruciani spiega le tecniche di scasso e fa il gesto della sega circolare, ma quando è inquadrato di fronte lo fa con la mano destra, quando è di spalle con quella sinistra
- I cinque ladri osservano da una terrazza i luoghi del furto; si vede bene come essi si trovino su una terrazza accanto alla basilica di Santa Maria Maggiore e pretendono di guardare un palazzo ed il suo cortile interno che si trova in Via delle tre cannelle (notare la fontanella tipica). E' vero che utilizzano un binocolo (per altro da teatro), ma tra i due luoghi non c'è solo una distanza non troppo esigua, ma anche molti palazzi che intralcerebbero la visuale.
- Un altro errore della Gravina di "cose militari": dice che il fidanzato "è capitano, il mese che viene lo fanno tenente", ma il grado di tenente è inferiore a quello di capitano. Che razza di promozione è?
- Peppe e Nicoletta, appena conosciuti, camminano lungo un muretto che permette di vedere i palazzi dietro. Percorrendo quella strada passano due volte davanti allo stesso palazzo. Infatti prima i due superano un edificio con la scritta "Parrucchieria", arrivando davanti ad un immobile in costruzione, dove Peppe saluta alcuni operai (che mangiano seduti); poi ricominciano a camminare partendo da molto prima, ripassano la scritta "Parrucchieria" e ritornano di nuovo davanti all'edificio in costruzione. E' curioso anche che gli operai hanno cambiato di posto e sono arretrati di un centinaio di metri rispetto a dove erano prima e sono sempre seduti a mangiare.
- Dante Cruciani fa l'inventario degli attrezzi, poi chiede a Peppe di spiegare l'uso del cric. Finita la spiegazione, Peppe sta per posare l'attrezzo, quando cambia l'inquadratura, ma egli non solo non ha più il cric in mano, ma si trova appoggiato sugli attrezzi della valigia
- Ferribotte scopre che Mario ha baciato la sorella e corre subito a vendicarsi dallo "sconsiderato". A casa di Capannelle c'è una piccola spiegazione, nella quale Mario dichiara il suo vero amore per Carmela e rimanda la discussione al cinema, dove ha trovato lavoro. Al cinema poi Ferribotte, essendosi commosso per l'onestà del giovane, dà le chiavi a Mario e giustifica tutto, dicendo che aveva cambiato la serratura perché voleva impedirgli di vedere la sorella. Ma se Ferribotte si è commosso per le parole di Mario a casa di Capannelle, quando ha avuto il tempo di cambiare la serratura, se appena scoperto "il fattaccio" era subito andato a cercare Mario?
- Durante il tentativo iniziale di furto d'auto si vede una autovettura percorrere la strada in direzione contraria della telecamera. In realtà si vede bene dai primi piani di Capannelle (Pisacane) che quella strada è senza uscita proprio nella direzione da dove viene: quell'auto non poteva venire da nessuna parte.
- Durante il ballo di Carnevale a cui partecipano Peppe e l'ex compagna (Rossana Rory) del defunto Cosimo, si sente ad un certo punto, e piuttosto bene, una sorta di scricchiolio/cigolio, forse causato dallo spostamento di qualche attrezzo del set
- Quando appare l'articolo del colpo sul giornale (scritto su due colonne) si nota che la colonna di sinistra parla del colpo, mentre quella di destra parla di tutt'altro
www.bloopers.it
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo |
|
Lo spiazzo dove Capannelle (Pisacane) vuole contattare un certo Oreste per proporgli di fare la "pecora", ovvero andare in galera al posto di un altro sarebbe oggi in Largo Alessandro Toja a Roma. | |
|
|
Cominciamo coll'inquadrare i due palazzi A e B sulla sinistra | |
|
|
Quindi il lungo edificio C | |
Grazie a una triangolazione possiamo quindi concludere che il punto fosse quello che si vede qui sotto indicato in rosso. | |
|
|
La fermata del tram dove Nicoletta (Gravina) scende dopo aver affidato a Peppe (Gassman) le chiavi dell'appartamento in cui "i soliti ignoti" hanno intenzione di entrare è in viale Pinturicchio a Roma. Seguendo il percorso si arriva dove Nicoletta arriva e saluta con un bacio Peppe. Fuori due insegne particolari già viste in Ballerina e buon Dio (1958). Notare la sede tranviaria libera dall'odierna vegetazione | |
|
|
Nicoletta è scesa e il tram riparte: si vede un portone davanti al quale il tram si è quindi fermato | |
Le location esatte de "I soliti ignoti" |
|
Premessa. Per un film come I Soliti ignoti, che appartiene ai maggiori successi italiani di ogni tempo, un film che lanciò Gassman come attore anche brillante, un film che tutti in Italia o quasi hanno visto, non c’è bisogno di dire che qualcuno ci aveva già lavorato, sulle location. Ancora prima che la trasmissione di La 7 (La valigia dei sogni) se ne occupasse in un bello speciale di qualche tempo fa, alcuni luoghi “di culto” erano già stati svelati. La “Valigia dei sogni” andava innanzitutto a ritrovare la via in cui sorgeva l’agenzia di pegni obiettivo del furto (si trattava forse della location più nota in assoluto, dal momento che la via, centralissima, era già stata più volte indicata come quella del film) ma anche – più interessante – a riscoprire dove fosse il terrazzo ove Dante Cruciani (Totò) dava le sue “lezioni di scasso” ai nostri eroi. Simone Annicchiarico e la sua troupe erano stati poi in via Alesia (l’incipit col furto) e infine avevano intervistato Murgia davanti all’edificio in cui si celebrò il funerale di Cosimo/Carotenuto senza tuttavia dire dove si trovassero. Per risolvere quest’ultimo enigma ma soprattutto per fare luce su molte altre location “dimenticate” dalla Valigia abbiamo chiamato Ellerre, il segugio romano cui basta talvolta solo sniffare una scena per portarti dritto all’obiettivo. A lui quindi non solo il compito di trovare le location mancanti ma anche di fotografarle, in parte di raccontarle e persino (prima volta nella storia davinottica) di comporre personalmente alcune tavole (di professione è grafico come me, quindi...). Io mi sono trovato più che altro a spalleggiarlo, incitarlo e in un unico caso a togliergli le castagne dal fuoco. Quindi non resta a noi tutti che complimentarci enormemente con un personaggio che ha in serbo altre chicche strabilianti (che scopriremo col tempo) e cominciare a leggere incontrando i primi due personaggi del film. | |
1. FURTO CON SCASSO (DI FINESTRINO) (La valigia dei sogni)
Il film si apre con Cosimo (Memmo Carotenuto) e Capannelle (Pisacane) che si danno al furto d'auto. In via Alesia il primo spacca il finestrino dell'auto con un mattone mentre il secondo fa il palo. Peccato che quando la polizia arriva Capannelle non riesca ad avvertire in tempo il compagno, che finisce braccato dalla polizia. Sottolinea Ellerre: “Per quanto mi riguarda, questa era una via nota prima del servizio televisivo di Annicchiarico poiché 20 anni fa frequentavo un amico che abitava in largo Pannonia e aveva la finestra della sua stanza che si affacciava proprio su via Alesia. E' una via chiusa e di recente è stato aperto un supermercato che l'ha resa molto più frequentata di un tempo. Di conseguenza il parcheggio selvaggio delle automobili mi ha costretto a fare scatti non fedelissimi ai fotogrammi del film”. |
|
2. CAPANNELLE IN CERCA DI MARIO (Ellerre) |
|
3. LA CASA DI FERRIBOTTE (Saldipuma) |
|
4. PEPPE SI PRENDE LA COLPA DEL TENTATO FURTO DI COSIMO (Ellerre) |
|
5. GASSMAN ESCE DI PRIGIONE (Ellerre) |
|
5 B/C. LA CASA DI CAPANNELLE (Giorgio Sornicola) |
|
6. L'AGENZIA DI PEGNI N. 9 (La valigia dei sogni) Una location importantissima e ormai nota da tempo. Parliamo dell'edificio in cui i "soliti ignoti" dovranno compiere il grande colpo. Una location che vedremo ovviamente inquadrata molte volte, nel corso del film, di giorno e di notte. Image Si tratta di un luogo noto a tutti i romani (o quasi) poiché ci troviamo nella celebre via delle Tre Cannelle, che è subito riconoscibile non appena si nota la particolare fontanella a tre bocche (vengono chiamate "nasoni" per la loro singolare forma con cannella ricurva), diversa dalle altre di Roma che invece sono a un'unica bocca. Merito comunque alla “Valigia dei Sogni” per aver reso nota la location anche ai “non romani”. Il sopralluogo del gruppo di bonari malviventi, accompagnato dalla descrizione di Peppe, ci mostra la zona: dall’appartamento sfitto al portone dello stesso, dalla carbonaia da cui dovranno passare fino alla terrazza dalla quale li ritroviamo ad osservare la scena dall’alto. E proprio qui ci aspetta una sorpresa... |
|
7. LA TERRAZZA DA CUI PEPPE E GLI ALTRI OSSERVANO LA SCENA (Ellerre) |
|
8. TIBERIO AL MERCATO PER RUBARE LA CINEPRESA (Ellerre) |
|
9. L’ISTITUTO CORRABONI (Ellerre) |
|
10. IN TERRAZZO A LEZIONE DI SCASSO DA DANTE CRUCIANI (La valigia dei sogni) |
|
11. SCAZZOTTATA PER INGRAZIARSI LA SERVETTA (La valigia dei sogni) |
|
12. GASSMAN RIRAGGIUNGE LA SERVETTA E L’ACCOMPAGNA PER UN TRATTO (La valigia dei sogni) |
|
13. AGLI AUTOSCONTRI (Ellerre) |
|
14. AL LADRO! (Ellerre) |
|
15. IL FUNERALE (Ellerre) |
|
16. I SOLITI IGNOTI SI RITROVANO IN PIAZZA A COLPO CONCLUSO (La valigia dei sogni) |
|
17. CAPANNELLE E PEPPE RIMASTI SOLI PASSEGGIANO (Ellerre) |
|
18. FINALE CON FUGA DAI POLIZIOTTI (Zender) |
I soliti ignoti (1958) - Biografie e articoli correlati
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1958
La canzone di Totò che doveva andare a Napoli
Menczer Erico
Scoprì la sua maschera nell'armadio del nonno
Spoletini Filippo
Totò e la censura
Totò: i premi i riconoscimenti
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
- Fabio Rinaudo, Mario Monicelli, “Rivista del cinematografo”, n. 11, novembre 1958
- Carlo Lizzani, "Il cinema italiano", Parenti, 1961
- Age in"L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. 1", (Franca Faldini - Goffredo Fofi), Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2009
- Andrea Bosco, «Ciack», Aprile 1989
- Liliana Madeo, «La Stampa», 15 luglio 1992
- «Corriere della Sera», 12 febbraio 2014
- Lavinia Di Gianvito, «Corriere della Sera», 10 dicembre 2004