Marcello Mastroianni sogna Tarzan

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Dopo aver trionfato in teatro con Cechov, adesso l’attore accarezza un progetto un po’ folle: un film nel quale interpretare il re della giungla

Adesso Marcello Mastroianni dice che ha tanta voglia di cinema. E annuncia a sorpresa: «Vorrei fare un film interpretando il personaggio Tarzan. Un Tarzan che arriva dal freddo, magari dalla Siberia, e che compaia solo di notte, seminudo e con la tosse, e che passi da un'isbà all'altra in cerca di Sacharov per scambiare quattro chiacchiere in libertà. E che al posto di Cita abbia un orsacchiotto malandato di nome Vladimiri. Ma perché nessuno mi propone questo film?». Però il suo ritorno sui palcoscenici italiani, dopo sedici anni di assenza, con Partitura incompiuta per pianola meccanica, è stato un avvenimento clamoroso: ha incantato le platee di Roma, di Parigi, di Milano. Eppure non vede l'ora di tornare sul set, di essere il divo coccolato e riverito di sempre. «Nel cinema», sostiene «tutto è magico e cialtrone, come negli spettacoli dell'illusionista quando dal cilindro escono dieci colombe. Nel cinema le cattedrali di legno si alzano in poche ore, senza mai maledire la fatica. Recitare in tea-
tro, invece, è come fare una dieta: è un "gioco" duro, bisogna un po' ripulirsi da tutti quei vizietti, da tutte quelle comodità che il set di solito offre. Il palco-scenico non è roba per "signorini"».

A costringerlo a "giocare" di nuovo con la magia del palcoscenico è stato il regista Nikita Mickalkov, con il quale ha girato Oci Ciornie. «Nikita», spiega «mi ha preso per il verso giusto. Mi ha detto: "Vieni a giocare con me? Si va in un teatro qui vicino...". Tutte le scelte professionali della mia vita sono nate così, mi piacciono le cose "cotte e servite", detesto programmare qualcosa».

Però il teatro ce l’ha nella pelle, nelle ossa. Ammette: «Dopo questa Pianola vorrei fare rio Vania. Con Visconti avevo avuto la parte di Astrov, ma ora forse sono troppo vecchio per quel ruolo. È più probabile che interpreti Casanova, un Casanova dai capelli bianchi. L'importante è andare d’accordo con il regista. Con Nikita vado d'accordo perché è bravo ed è un buffone come me. È capace di ridere, insomma. Per questo siamo diventati amici...».

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A lanciarlo in teatro fu Giulietta Masina: dopo averle visto recitare all'università lo fece scritturare nella sua compagnia. Racconta Mastroianni: «Tre mesi in giro per l'Italia, da Salerno a Sanremo, con una paga di 1300 lire al giorno. Una fortuna per chi, come me allora, poteva vivere con poco: mangiavo pane e mortadella, e scatole di tonno. E poi grazie a quella scrittura ho potuto vedere le spiagge più belle d'Italia, ho fatto la prima vacanza della mia vita».

Sandro Bolchi, famoso regista televisivo, ricorda: «Conobbi Marcello a Bologna nel 1948. Era generico della compagnia Besozri-Pola-Viarisio, e in una commedia di Oscar Wilde annunciava che il pranzo era servito. "Quel ragazzo non farà carriera", mi disse Viarisio "perché più che dalla smania di arrivare è divorato dalla fame. Perché non lo inviti a casa a mangiare le sublimi tagliatelle che fa tua madre?".

Marcello arrivò di corsa, aveva ancora il frac di scena. E prima volle servirci lui: volava da un piatto all’altro con la grazia di un gorgon di Maxim. Poi lo facemmo sedere e divorò tutto: e, alla fine, inzuppò il pane nel caffè». Aggiunge Mastroianni: «Eh sì, erano tempi così. Avevo appena lasciato il posto di contabile in una casa di produzione inglese, mi facevano fare le addizioni e le sottrazioni dalla mattina alla sera. E alle mie spalle c’erano i manifesti di Gary Cooper, James Mason e Ava Gardner. Ogni tanto li guardavo e dicevo: ”Vedrete un giorno cosa vi combino!”. I miei idoli erano i divi di Hollywood, volevo diventare uno come Errol Flynn, come John Wayne. Il teatro mi sembrava qualcosa per un ceto di persone privilegiate, colte o con i soldi, che andavano a vedere certe commedie per un fatto culturale. A me piaceva un altro spettacolo, il cine-varietà: quello era il teatro che amavo perché c’era il film e c’erano le ballerine. E io a quei tempi mi innamoravo di tutte le ballerine. Erano tanto belle...».

Quando si parla di teatro con Mastroianni, il discorso prima o poi sfiora Parigi inevitabilmente. Perché nella capitale francese è molto amato, è molto popolare, ha recitato spesso. «E una città che amo», dice «perché le case sono bianche, i pesci ti fanno l’occhietto, le ostriche si spalancano in un atto d’amore.
E poi è una città che ha strade lunghe, puoi camminare per ore, per giorni, e nessuno ti saluta, nessuno ti conosce. Uno tra la folla».

Se invece si abbandona a ricordi lontani, alle prime esperienze in palcoscenico, il primo nome che gli toma alla memoria è quello di Luchino Visconti. Ne parla con affetto, con ammirazione. Ammette: «Gli devo tutto per quanto riguarda il teatro. Che maestro era! Implacabile. Un battito di ciglia doveva essere sempre e solo quel battito di ciglia. Ricordo quando mi fece lavorare nel-V Oreste. Recitare i versi di Alfieri mi terrorizzava, pensavo che non ce l’avrei mai fatta tanto mi sembravano difficili. Così andai da Visconti e gli dissi: ”Non ci riesco a dire queste cose in scena”. Gassman mi aiutava ma un giorno Visconti perse la pazienza e mi urlò: ”Vai a fare il tram vie-re! Sembri un gorilla”. Ricordo che gli risposi: ”Non sono stato io a cercarla, è stato lei a volermi”. Il giorno dopo prima di andare in scena bevetti due cognac, così entrai in palcoscenico mezzo ubriaco. Ma alla fine Visconti mi disse che ero stato bravissimo. E pensare che, come venni a sapere dopo, aveva già deciso di sostituirmi con Giancarlo Sbragia...».
Ha scritto il New York Times: ”Marcello Mastroianni è il più duraturo degli attori europei, perché la sua è una mezza età senza età”. Lui ribatte divertito: «Simpatico come concetto, sarebbe bello se fosse vero. Mi piacerebbe una mezza età che non finisse mai. Ma temo che non sia così. Certo, professionalmente mi sento giovane, mi diverto a lavorare. Mi sento provvisorio e mi piace che questo si avverta. Ho varie case che attraverso senza particolare passione. Forse vorrei vivere in una roulotte, questa sì meccanica, altro che la pianola. Si preme un bottone e la roulotte parte alla ricerca di cieli enigmatici, dove il sole tramonti dopo la mezzanotte e il mare sia morbido e lucente. Certo, a 63 anni la mezza età si sente, anche perché è cominciata l’altra mezza età. E poi dormo meno. Una volta facevo dormite di ore. Adesso mi capita di svegliarmi dopo un’ora e mezzo di sonno. Mi risvegliano certi pensieri, certi fantasmi che affiorano...».

Giorgio Lazzarini, «Gente Mese», anno III, n.2, febbraio 1988


Gente Mese
Giorgio Lazzarini, «Gente Mese», anno III, n.2, febbraio 1988