Totò e i Re di Roma

1952 Toto e i re di Roma 56

Il cappello... metti sull'attaccapanni. Fai attenzione, che è figlio unico!

Ercole Pappalardo

Inizio riprese: 24 settembre 1951, Stabilimenti Titanus Farnesina
Autorizzazione censura e distribuzione: 24 settembre 1952 - Incasso lire 405.950.000 - Spettatori 3.613.906



Titolo originale Totò e i Re di Roma
Paese Italia - Anno 1952 - Durata 95 min - B/N - Audio sonoro - Genere Comico - Regia Steno, Mario Monicelli - Soggetto dai racconti "La morte dell'impiegato" e "Esami di promozione" di Anton Cechov - Sceneggiatura Ennio De Concini, Peppino De Filippo, Dino Risi, Steno, Mario Monicelli - Produttore Golden Films-Humanitas Film,Roma - Fotografia Giuseppe La Torre - Montaggio Adriana Novelli - Musiche Nino Rota - Scenografia Alberto Tavazzi - Costumi Giuliano Paci


Totò: Ercole Pappalardo - Anna Carena: Armida, la moglie - Giovanna Pala: Giannina - Anna Vita: figlia maggiore di Ercole - Alberto Sordi: maestro elementare - Giulio Stival: sua eccellenza Badalozzi - Gianni Glori: Giorgio - Ernesto Almirante: "Padreterno" - Giulio Calì: suonatore di tromba - Erminio Petacci: Filippini - Pietro Carloni: Capasso, capoufficio - Eva Vanicek: Susanna, la figlia - Aroldo Tieri: Ferruccio - Francesca Pietrosi: una squillo al Sistina - Marisa Fimiani: altra squillo al Sistina - Ines Marchesini: signora Sconocchia - Lilia Landi: la contessa al Sistina - Ada Mari: maestra esaminatrice - Paolo Ferrara: un maestro esaminatore - Eduardo Passarelli: altro maestro esaminatore - Nino Milano: impiegato allo sportello 9 - Amedeo Girardi: usciere dell'albergo - Giulio Battisteri: guardiano dell'Olimpo - Armando Annuale: orchestrale - Mario Maresca: Trifossi - Alfredo Ragusa - Mimmo Poli - Rio Nobile - Amerigo Santarelli - Nino Marchetti - Eugenio Galafini - Gorella Gori - Mario Castellani - Celeste Almieri Calza - Italia Marchesini


Soggetto

Ercole Pappalardo (Totò) lavora come archivista capo al ministero. È in attesa della meritata promozione, che lo aiuterebbe a mantenere in modo più dignitoso la sua numerosa famiglia (composta dalla moglie e ben cinque figlie), e della tanto agognata nomina a cavaliere.

Un giorno viene chiamato, assieme al suo superiore (Pietro Carloni), dal ministro in persona, Sua Eccellenza Langherozzi-Schianchi (Giulio Stival), perché si metta a totale disposizione di un suo conterraneo, del quale il ministro vuole avere il consenso in vista delle prossime elezioni. L'uomo con cui il Pappalardo si deve confrontare è un pedantissimo maestro elementare, il professor Palocco (Alberto Sordi), che pretende dall'archivista capo il ritrovamento di una pratica riguardante il trasferimento di un pappagallo già appartenuto a un defunto musicista del suo paesello, di cui il Palocco è un grande estimatore, e eventualmente anche il ritrovamento del pennuto stesso.

La sera stessa, mentre si trova sul loggione del teatro assieme al collega Ferruccio (Aroldo Tieri), il Pappalardo starnutisce inavvertitamente e colpisce proprio il Ministro, che si trova seduto nelle poltrone poste in parallelo al loggione. Lo starnuto viene interpretato come uno sputo e il suo autore, il povero Pappalardo, viene identificato dall'odioso Palocco. Da quel momento, l'archivista capo tenta in tutti i modi di scusarsi con Sua Eccellenza, ma la presenza del Palocco da un lato e i controproducenti suggerimenti di Ferruccio dall'altro fanno solo peggiorare la situazione.

Scoperto che il pappagallo di cui il Palocco cercava notizie è morto da tempo (fucilato dai partigiani perché intento a cantare "Giovinezza"!), il Pappalardo decide di prenderne un altro e farlo passare per quello richiesto. Ma, ancora una volta, la sfortuna si accanisce contro il Pappalardo, poiché la sera in cui l'uomo invita il ministro e il Palocco in casa sua per mostrargli il pappagallo, quest'ultimo insulta Sua Eccellenza, che, arrabbiatissimo, minaccia di vendicarsi. Sempre per suggerimento di Ferruccio, Pappalardo scrive una lettera di scuse al Langherozzi, ma peggiora ulteriormente la sua posizione perché il ministro si rende conto della totale ignoranza dell'archivista, che infatti è persino privo della licenza elementare. Per non fargli perdere il posto di lavoro, il suo superiore gli consiglia di conseguire quel primo titolo di studio.

Il Pappalardo si sforza, ma all'esame di licenza elementare sbaglia quasi tutte le risposte (una delle domande riguarda i re di Roma, e a questa si riferisce il titolo del film). La commissione comprende la situazione tragica del Pappalardo e decide di ammetterlo ugualmente; sennonché, un attimo prima che l'archivista se ne vada, entra nell'aula il presidente di commissione, che la sfortuna vuole sia proprio l'odiato Palocco.

L'uomo ridicolizza il Pappalardo e lo boccia, cosa che spinge l'archivista a esplodere in un vero e proprio pestaggio ai danni della commissione. Consapevole d'aver ormai perduto il posto al ministero, il Pappalardo decide di morire per dar poi in sogno alla moglie(Anna Carena) dei numeri da giocare al lotto.

Dopo avere scoperto che anche l'altro mondo è dominato da uffici e carte bollate, il Pappalardo riesce a ottenere in modo illecito i numeri e a comunicarli in sogno alla moglie. Poco dopo viene portato al cospetto di Dio (Ernesto Almirante), che intende punirlo per il gesto. Tuttavia, quando il Padreterno viene a conoscenza del fatto che il Pappalardo è stato per trent'anni impiegato al ministero, lo manda subito in Paradiso. La voce fuoricampo, nell'ultima scena del film, recita che quello era stato il sogno di Ercole Pappalardo, lasciando il dubbio su quale parte della storia sia stata solo sognata dal protagonista.

Critica & Curiosità

📜 L'impiegato travet, eroe tragico della burocrazia Nel grande teatro del cinema italiano postbellico, tra le maschere della commedia all'italiana e gli spettri del neorealismo, si aggira una figura stanca, frustrata, derisa e soggetta: quella dell'impiegato statale. Questo personaggio emblematico, sommerso dai faldoni, dalle timbrature e dall'eterno "timbro di approvazione", è l'eroe tragico del quotidiano. In questo Olimpo decadente della burocrazia si iscrive Totò e i re di Roma, film nato nel 1952 dall'ispirazione di Risi, Monicelli, Steno e un plotone di autori più o meno accreditati, adattando racconti di Cechov e contaminandoli con suggestioni teatrali, cinematografiche e persino oniriche. Il protagonista, Ercole Pappalardo, è il simbolo dell'uomo ridotto a numero di matricola, costretto a mendicare scatti di carriera, tra sputi involontari, pappagalli fucilati, compiti elementari e funerali da vivo. Il film racconta, con ineguagliabile senso del tragico-grottesco, l'esistenza dell'uomo piccolo, non nel senso morale ma sociale, umiliato dalla scala gerarchica e dalla stupidità del sistema, un sistema che inghiotte sogni, speranze e autocertificazioni.

📚 La genealogia del povero impiegato: da Gogol a Cechov, da Brambilla a De Carmine Totò e i re di Roma è il centro nevralgico di una rete narrativa che include antenati illustri: Le miserie del signor Travet, La famiglia Brambilla in vacanza, Lo sbaglio di essere vivo, Il delitto di Giovanni Episcopo, I morti non pagano tasse e, soprattutto, Il cappotto di Lattuada. Film tratti da testi letterari, russi o italiani, tutti con impiegati mortificati e sopraffatti. In ogni storia, la morte non è soltanto una fine, ma un tragico strumento per riscattarsi, un momento paradossale di gloria in cui l'umile assurge a protagonista. Il fantasma del povero impiegato è più vivo dei suoi colleghi in carne e ossa, il suo cappotto nuovo è l'unico lusso, il sogno impossibile, l'armatura di un cavaliere dell'assurdo.

🏛️ Il ministero come girone dantesco: scatti, funerali e cruciverba Nel film, il luogo d'azione principale è il ministero, uno spazio infernale dove si vive in funzione delle morti altrui. Ogni decesso è occasione di colletta, avanzamento, speranza meschina. Il capufficio non lavora, risolve cruciverba della Settimana Enigmistica. L'usciere, appena nominato cavaliere, smette di dare del "tu" e inizia a guardare i colleghi come sottoposti. Si ragiona per scatti, aumenti, attese, trasferimenti, onorificenze inutili. Il protagonista non sa nulla di storia, geografia o letteratura, ma sa perfettamente il prezzo delle patate, i ritardi della tranvia e quanto costa un funerale di terza classe. Una burocrazia che diventa parodia della burocrazia, un meccanismo arrugginito che gira solo quando qualcuno muore.

🎓 Esami e sputi: la farsa della meritocrazia La scena centrale, divenuta iconica, è quella dell'esame di quinta elementare, che Pappalardo sostiene per non perdere il lavoro. Confonde la pila con la pentola, Bartali con De Gasperi, il Lago di Garda con il Lago Maggiore e l'elefante con un politico. La scena è un inno all'ignoranza sistemica, ma anche alla crudeltà delle formalità burocratiche. Totò è un adulto tra bambini, un gigante goffo tra regole infantili. Lo sputo involontario in teatro, che colpisce l'eccellenza Langherozzi Schianchi, segna l'inizio della fine. Come Cechov insegna, basta un gesto involontario per far franare la reputazione di un uomo. E Pappalardo, pur chiedendo scusa con la voce e con l'anima, viene condannato all'invisibilità.

👻 Il surrealismo che salva l'impiegato (forse) La parte finale del film è un miraggio, un delirio, una trovata tragica: Pappalardo, per dare alla moglie i numeri del lotto, finge il suicidio e accede all'aldilà, dove tutto è uguale alla vita ministeriale: code agli sportelli, favoritismi, inefficienze, tessere e timbri anche per i defunti. Nemmeno la morte riscatta l'impiegato. L'aldilà diventa un secondo ministero, con le stesse umiliazioni e dinamiche grottesche. Eppure, nell'Olimpo celeste, il "Protettore" (cioè Dio, chiamato così per sfuggire alla censura) lo riconosce: è un impiegato statale! E solo per questo merita pietà, un gesto di comprensione da parte del Creatore per chi, nel Regno dei vivi, ha conosciuto solo soprusi e rassegnazione.

🎬 Un film a tre velocità: realismo, commedia, surreale Totò e i re di Roma è un film stratificato, tripartito: realismo ministeriale (la vita quotidiana dell'impiegato), commedia (i duetti con Tieri, le battute slapstick, i calembour) e onirico-fantastico (l'aldilà burocratico). Totò attraversa tutti e tre i registri con grazia tragica. Il suo Pappalardo è malinconico, tenero, ridicolo, commovente. Un fallito allegro, un frustrato sorridente. Il film non risparmia nessun tono: passa dal graffio satirico alla tenerezza più cupa, dalla risata liberatoria al sospetto che tutto sia perduto.

🎭 Il teatro dell'impiegato: comicità tragica e dolori mimetizzati La bravura di Totò si manifesta nei dettagli: la mimica, i baffetti ministeriali, il camicione nell'aldilà, i denti stretti dalla rabbia, le mani dietro la schiena, le battute balbettate. La sua performance è contenuta, calibrata, commovente. Quando ride, ride dei suoi fallimenti. Quando piange, lo fa senza lacrime, con uno starnuto (finalmente riuscito!) e uno sguardo perduto. C'è qualcosa di Chapliniano in quel volto che si deforma tra la rassegnazione e la speranza, in quel modo di dire la miseria come fosse un abito indossato con dignità. Ogni gesto è un trattato di sopravvivenza emotiva.

📼 Censura, titoli e metamorfosi Il titolo originale doveva essere E poi dice che uno..., poi Totò e i sette re di Roma, infine il definitivo Totò e i re di Roma. Il film passò per molte mani e molte forbici. La battuta su De Gasperi fu censurata e sostituita con "Bartali". La voce fuori campo fu aggiunta per dire che era tutto un sogno, ma in realtà fu un escamotage per dribblare i censori. Il titolo, apparentemente slegato dalla trama, è invece la chiave di volta ironica dell'intera storia: l'impiegato non sa nominare i re di Roma, ma la sua umanità è più nobile di qualunque sovrano.

🔮 Un film che anticipa Fantozzi Nel protagonista di Totò e i re di Roma c'è già lo scheletro emotivo e sociale di Fantozzi. Impiegato frustrato, deriso, schiacciato dalla vita e dalle autorità. È un anello fondamentale della catena che parte da Gogol e arriva a Villaggio. Ma Pappalardo ha in più la dimensione tragica, quella del martire del cartellino, dell'asceta della scrivania, del poeta non riconosciuto che recita versi non nei teatri, ma nei corridoi del ministero.

🏁 Conclusione: Totò e i re di Roma, tra i vivi e i morti Questo film, spesso sottovalutato, è una perla malinconica che ride amaramente del lavoro, della vita, della morte. La risata è un singhiozzo. La morte, un esame da non superare. L'aldilà, una coda allo sportello. E Totò, un angelo senza ali, con la camicia da morto e lo starnuto sempre pronto, ci accompagna in questo viaggio tra burocrazia e poesia, tra tragedia e farsa, tra Gogol e Sordi. Nessuno piange Pappalardo, tranne lo spettatore, che ride e si commuove, riconoscendo in lui un fratello nella sconfitta.

Ercole Pappalardo non è solo un impiegato. È l'umanità intera che si arrangia come può, anche dopo la morte. La sua figura resta impressa come un'ombra che si allunga tra gli scaffali pieni di pratiche e le colonne grigie dei palazzi del potere. Una figura fragile, ma resistente. Sconosciuto in vita, commemorato solo nell'immaginazione cinematografica, è un monumento alla dignità dell'anonimo.


MANIFESTO POETICO-BUROCRATICO

"Totò e i re di Roma" (1952) ✒️ Compilato in triplice copia, controfirmato dall’anima e dal ridicolo.

📌 PREAMBOLO
Nel nome del timbro, del modulo 47/bis e della santa rassegnazione,
si istituisce con il presente documento poetico
il riconoscimento ufficiale di Ercole Pappalardo
come patrono laico degli impiegati eternamente precari dell’universo.
Non santo, ma martire del cartellino.
Non eroe, ma monumento alla fila agli sportelli.
Non vincitore, ma titolare di una dignità senza ricevuta fiscale.

📚 ARTICOLO 1 – Della carriera eternamente rimandata
Si dichiara che l’impiegato di cui sopra,
nonostante anni 27, mesi 6 e giorni 4 di fedele servizio ministeriale,
non ha ricevuto scatto alcuno,
né riconoscimento, né bollino di lode,
se non post mortem, e pure in ritardo.

Il posto fisso è una trappola.
La scrivania, un altare di sacrificio.
La macchina da scrivere, un organo liturgico della disperazione.

🎓 ARTICOLO 2 – Dell’esame e dell’ignoranza certificata
Chiunque sia costretto a sostenere un esame di quinta elementare
a cinquant’anni suonati e con famiglia a carico,
ha già superato tutte le prove della vita.
Confondere Bartali con De Gasperi
è un atto di resistenza.
Ignorare i re di Roma è un gesto di libertà.

🪦 ARTICOLO 3 – Della morte come avanzamento di carriera
Si stabilisce che il decesso del collega
costituisce unica via di promozione.
Ogni funerale è occasione di colletta,
ogni bara è un concorso interno.
Ergo: la morte non è fine, ma pratica amministrativa.

👻 ARTICOLO 4 – Dell’aldilà e della burocrazia eterna
Il cielo è un ministero con nuvole in carta carbone.
Gli sportelli sono infiniti,
gli angeli sono impiegati fuori ruolo,
e Dio – detto il "Protettore" – riceve solo su appuntamento.

Per entrare in Paradiso occorre:

  • Una tessera timbrata
  • Due marche da bollo
  • Un certificato di decesso non troppo recente

💼 ARTICOLO 5 – Della commedia tragica e della dignità ridicola
L’impiegato statale è creatura mitologica.
Ha baffetti da cavaliere, stomaco vuoto e cuore in protesta sindacale.
Ride solo quando non può piangere.
Morde solo quando non può più parlare.

Totò non interpreta Pappalardo:
lo canonizza.

🔖 ARTICOLO 6 – Delle battute che valgono più di mille decreti
Le frasi “Poi dice che uno si butta a sinistra”,
“Quello lì era fascista”,
e “De Gasperi è un pachiderma!”
sono da intendersi come articoli satirici della Costituzione parallela dei perdenti.

🎭 DISPOSIZIONE FINALE – Del diritto universale alla dignità senza merito
Tutti i Pappalardo del mondo hanno diritto:

  • A un posto in Paradiso (con scrivania vista Eterno)
  • A un cappotto nuovo
  • A uno starnuto che faccia storia
  • A essere ricordati non come numeri di matricola,
    ma come poeti della sconfitta
    .

📌 APPENDICE TIMBRATA A MANO LIBERA
Se mai vi trovaste davanti a un uomo curvo,
col cappello consumato e le scarpe sfregiate,
che sussurra “Non me va più de campa’”,
offritegli un caffè e un sorriso.

Potrebbe essere Totò.
Potrebbe essere Pappalardo.
Potrebbe essere noi tutti,
in fila per l’eternità.

📍Redatto, firmato e archiviato per i posteri
da un Ufficio Onirico per la Tutela dei Dimenticati.
Timbro di approvazione: ☑️ Concesso in stato di malinconica ilarità.


Un approfondimento molto dettagliato delle scene più memorabili del film Totò e i re di Roma, per ammirare tra le perle di tragicommedia burocratica che il film offre. Ogni sequenza qui raccontata è un piccolo trattato sull’assurdo quotidiano, una liturgia laica del dolore impiegatizio.

🪑 L’arrivo al ministero e la liturgia della subordinazione
La scena d’apertura è già un compendio antropologico. Pappalardo (Totò), con l’andatura curva e lo sguardo timido, entra nel tempio laico della burocrazia: il ministero. Ad accoglierlo non c’è il dovere ma il decoro, quello grottesco e gerarchico. La scena si carica di tensione tragicomica quando il nostro eroe si rivolge con confidenza all’usciere, da poco promosso “cavaliere”: questi, in una sequenza da manuale di comicità sociale, lo redarguisce gelidamente perché non più degno del “tu”. In due battute e mezzo si disegna la nuova distanza tra sudditi di serie B e sudditi di serie C.

⚰️ Il funerale dell’impiegato Filippini: quando la morte promuove
La morte, nel film, è un avanzamento. Quando l’impiegato Filippini tira le cuoia, i colleghi fanno a gara non per ricordarlo, ma per calcolare con precisione aritmetica i “passi avanti” nella scala gerarchica. Questa scena è un grottesco capolavoro di sarcasmo istituzionale: c’è chi piange e chi fa i conti, chi si affligge e chi aggiorna il proprio punteggio. Pappalardo osserva tutto con lo sguardo abbattuto di chi sa di non poter battere neanche la morte sul tempo. In chiesa si sussurra di stipendi, e il corpo del defunto è una nota di servizio.

🎩 La serata a teatro e lo sputo fatale
Una delle sequenze madri del film. Pappalardo, seduto con la famiglia al loggione del teatro, gode di un momento di evasione popolare. Ma il destino (e una leggera irritazione nasale) gli gioca un brutto scherzo. Starnutisce. Fin qui nulla di grave. Ma lo starnuto si trasforma in uno sputo a parabola che atterra sul cranio lucido e autorevole dell’eccellenza Langherozzi Schianchi. Scandalo. Umiliazione. Irreversibilità. Il tentativo di Totò di scusarsi è uno dei momenti di recitazione più magistrali del film: tremante, sincero, aggrappato al vocabolario della subordinazione. Ma non basta: la carriera è compromessa. Lo sputo è la pietra dello scandalo, l’innesco della tragedia.

🧑‍🏫 L’esame di quinta elementare: apice di umiliazione e comicità
Pappalardo, adulto tra bambini, deve sostenere l’esame per la licenza elementare. La scena è un monumento all’umiliazione istituzionalizzata. Confonde il pio bove con un insulto personale, Bartali con De Gasperi (originariamente De Gasperi, poi censurato), la pila con la pentola. Non sa i re di Roma, ma ne sa il numero, e con orgoglio lo ripete: “Sette!”

Il maestro (Sordi), perfido e vanesio, lo mette sotto pressione. La commissione è perplessa, ma anche commossa. Totò recita con toccante grazia la parte del fallito che non si crede tale: "Diteglielo voi, che me bocciate. Io non ce la faccio a dirlo a casa mia". Quando poi, al culmine della frustrazione, morde il maestro alla nuca in un impeto animalesco, il film raggiunge il suo vertice farsesco e liberatorio.

🐦 Il pappagallo fascista e la vendetta da cucina
A casa, il pappagallo domestico è il simbolo della rovina. Non parla più, e quando parla, canta “Giovinezza”. Pappalardo, frustrato da tutto e da tutti, minaccia di farne spezzatino. La scena è uno sketch da avanspettacolo con risvolti metafisici. Il pappagallo è la voce del regime che sopravvive nella vita privata, una macchia ideologica nel salotto della miseria. Totò lo rincorre, lo minaccia, lo disprezza. Ma il pappagallo – come il potere – resiste, beccando e cianciando slogan.

🏖️ La villeggiatura finta: arte di arrangiarsi all’ennesima potenza
Come già visto in La famiglia Brambilla in vacanza, anche qui la famiglia Pappalardo non può permettersi la villeggiatura, ma finge di andarci per non sfigurare col vicinato. Partono con valigie finte, fanno il giro dell’isolato e rientrano di notte. L’escamotage è assurdo, teatrale, implausibile, ma perfettamente logico nel mondo del film. Il giorno dopo, quando le finestre si aprono e i vicini li salutano con tono villeggiante, l’ipocrisia del sistema sociale è totale e perfetta. Una scena surreale e malinconica, dove il decoro è più importante del pane.

Il funerale da vivo: apoteosi del paradosso
Pappalardo, per aiutare economicamente la famiglia, finge il suicidio e partecipa in incognito al proprio funerale. Il morto che si osserva mentre viene compianto è una trovata comica degna di Ruzante o Pirandello. Solo che nessuno lo compiange davvero. I colleghi pensano agli scatti. La vedova, sì, piange, ma anche calcola. Lui si nasconde dietro un albero e ascolta. Un funerale da vivo per constatare che nemmeno morendo si ottiene un po’ di considerazione.

☁️ L’aldilà ministeriale: la vita oltre la vita… in fila!
L’ultima parte del film è un capolavoro di satira mistico-amministrativa. Pappalardo, in sogno (o forse no), entra nell’Olimpo celeste, dove regna la stessa identica burocrazia terrestre. Sportelli, file, timbri, impiegati frustrati anche nell’eternità. C’è il mercato nero dei numeri del lotto da inviare ai vivi in sogno, c’è la corruzione celestiale, ci sono i raccomandati anche tra i trapassati. La scena del colloquio con Dio, qui chiamato "Protettore", è surreale e toccante: Dio si impietosisce non perché Pappalardo sia una brava persona, ma perché è un impiegato statale. E questo basta.

📖 Il commiato dal letto: “Non me va più de campa’”
Una delle scene più malinconiche e liriche. Pappalardo, steso sul letto, chiama a sé le figlie e la moglie per annunciare la sua intenzione di separarsi da loro… per sempre. Non lo dice esplicitamente, ma le parole affiorano con la dolcezza funerea di una poesia di Caproni. Il tutto è attraversato da una comicità sottopelle: Totò sdraiato con i baffetti ben pettinati, le figlie che non capiscono, la moglie che sospira. È una liturgia funebre senza morto, un addio senza andata.

Il morso al maestro: rivolta e vendetta tardiva
La scena dell’esame culmina con un morso furioso alla nuca del maestro persecutore. È il gesto liberatorio di un uomo che ha subito tutto e che finalmente esplode. Un atto animalesco, sì, ma anche simbolico: l’impiegato che non può più argomentare, urla coi denti. In quel morso c’è tutta la rabbia repressa di una classe sociale che ha sempre messo la testa bassa e ora, per un attimo, alza la mascella.


Così la stampa dell'epoca

Ecco unapprofondimento molto dettagliato su come Totò e i re di Roma fu accolto dalla critica, dal pubblico e dalla censura dell’epoca (1952), con titoli guidati da emoji. È una storia fatta di elogi sotterranei, perplessità in superficie e censure tanto reali quanto paradossali—perfettamente in linea con lo spirito del film.

📰 La critica: tra perplessità, acume e letture “sospese”
Alla sua uscita nel 1952, Totò e i re di Roma spiazzò molti critici, e non fu immediatamente compreso. Il tono ibrido – a metà tra il dramma esistenziale, la satira grottesca e la commedia slapstick – generò una ricezione discontinua e a tratti infastidita. In un’epoca in cui la critica si divideva tra fautori del neorealismo “puro” e sostenitori della commedia d’evasione, questo film si poneva in una terra di mezzo difficile da mappare.

Molti recensori lamentarono un presunto “squilibrio” stilistico: troppo drammatico per essere una farsa, troppo comico per essere un dramma. Alcuni trovarono dissonante il passaggio dalla rappresentazione realistica del mondo ministeriale alla sezione finale nell’aldilà, interpretata come un’invasione grottesca nel regno della metafisica popolare.
In particolare, fu considerato un passo indietro rispetto a Guardie e ladri (1951), che Monicelli e Steno avevano diretto l’anno prima, ricevendo consensi unanimi.
Altri, però, colsero il valore sperimentale e anticipatore del film: alcuni critici più attenti sottolinearono la sofisticata stratificazione del racconto, l’uso colto del paradosso e del surreale, e la riflessione amara sulla condizione impiegatizia come metafora dell’Italia sconfitta e stagnante del dopoguerra.

In ambienti accademici e cinefili, soprattutto all’estero (in Francia e poi successivamente in URSS), il film venne riconsiderato anni dopo come una delle prove più mature di Totò, in grado di integrare ironia, malinconia e satira sociale in un’unica narrazione compatta.

👥 Il pubblico: affetto popolare ma risultati al botteghino modesti
Il pubblico accolse Totò e i re di Roma con un misto di affetto e lieve perplessità. Gli spettatori dell’epoca si aspettavano un Totò “da ridere”, quello delle battute irresistibili, delle smorfie, delle capriole verbali. Qui invece si trovarono davanti a un Totò introverso, ferito, triste, persino incline al suicidio – e questo, per il pubblico italiano dei primi anni Cinquanta, abituato a evadere dalla miseria attraverso il cinema, fu spiazzante.

Il film incassò moderatamente, ma non fu un successo clamoroso. Non fece gridare allo scandalo, ma nemmeno divenne un cult immediato. La critica popolare più diffusa era che fosse “strano”, “amaro”, “troppo pensoso”, benché in alcune sale di Roma e Napoli si registrassero punte di gradimento molto alte.
Alcuni spettatori più sensibili colsero la dimensione dolente e quasi chapliniana del personaggio di Ercole Pappalardo, tanto che il film cominciò a godere di una certa reputazione silenziosa, tramandata più per passaparola che per clamore. Si affermò col tempo come uno dei titoli più amati da una fascia di pubblico più colta e riflessiva.

🔏 La censura: forbici, eufemismi e “Protettori” celesti
Il rapporto del film con la censura fu complicato, ironico e kafkiano.

  1. Il colloquio con Dio:
    La scena finale in cui Pappalardo, morto (forse) nell’aldilà, si confronta con Dio, fu considerata blasfema. Per evitare il blocco totale, gli autori trasformarono il personaggio di Dio nel “Protettore”, figura ibrida tra divinità e alto funzionario dell’ultraterreno, e spostarono l’ambientazione da un classico Paradiso cristiano a un più anodino Olimpo laico.
  2. La battuta “De Gasperi”:
    Una delle battute centrali dell’esame è quella in cui Pappalardo, confondendo un pachiderma, indica il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Il gioco alludeva al naso pronunciato del politico.
    Risultato: censura immediata.
    Soluzione: sostituzione con “Bartali!”, nome più neutro e popolare, sebbene anch’egli dotato di naso importante.
  3. Le battute “sovversive”:
    La frase “E poi dice che uno si butta a sinistra”, allora diffusissima tra i simpatizzanti comunisti, venne tollerata solo perché pronunciata in tono farsesco e ironico. La seconda parte del detto (“Ha da veni’ Baffone”) fu invece tagliata in alcune versioni, mentre in altre rimase solo come accenno, troncato prima del nome Stalin. Una vera prova di equilibrismo semantico.
  4. L’aldilà ministeriale:
    L’idea che il cielo fosse organizzato come un ministero – con sportelli, file, raccomandazioni e moduli – fu ritenuta offensiva per l’ordine costituito. Non si censurò la scena, ma si impose una voce fuori campo che giustificasse tutto come “sogno” del protagonista, per evitare che lo spettatore potesse prendere la satira sul serio.
  5. Il titolo del film:
    Il titolo originario era E poi dice che uno..., ritenuto troppo politicizzato. La censura consigliò qualcosa di più neutro. Anche Totò e i sette re di Roma sembrava suggerire una parodia storica irriverente. Si optò infine per il più opaco e innocuo Totò e i re di Roma, che ironicamente è diventato oggi uno dei titoli più evocativi della sua filmografia.

📉 Bilancio dell’epoca: un film incompreso, ma fondamentale
Negli anni immediatamente successivi, Totò e i re di Roma venne considerato un’opera minore rispetto ai successi più comici e popolari del principe De Curtis. Fu anche oscurato dal trionfo di pellicole come Guardie e ladri o Totò a colori. Ma negli ambienti critici più raffinati, specie a partire dagli anni Settanta, il film è stato rivalutato radicalmente: oggi è considerato una tappa chiave nel passaggio tra neorealismo e commedia all’italiana, nonché una delle prove attoriali più intense e mature di Totò.

Ha anche anticipato tematiche che diverranno centrali con Fantozzi: la disumanizzazione del lavoro, la burocrazia come inferno esistenziale, la comicità del perdente cronico.

✍️ Postilla storica: il paradosso della censura involontaria
La censura, pur nel suo intento limitante, contribuì indirettamente al fascino del film: gli aggiustamenti richiesti (come la voce fuori campo o il cambio di nome a Dio) hanno reso la satira più sottile, ambigua, surreale. Un esempio perfetto di come la repressione possa produrre arte, o almeno una comicità più intelligente.


TOTO’ RE DI ROMA

La lavorazione del film dal titolo provvisorio «l sette re di Roma» è iniziata in interni negli stabilimenti Titanus. Il film è prodotto dalla Golden Film e diretto da Steno Monicelli. Interpreti sono: Totò, Giovanna Pala, Alberto Sordi, Anna Vita.

«Il Piccolo di Trieste», 13 novembre 1951

Dopo Il cappotto di Gogol , adattato a Rascel, è la volta di Cecov, da due racconti del quale è dato tratto questo film che dà modo a Totò di abbandonare la vecchia formula, del lazzi buffoneschi fine a loro stessi par impersonare questa volta la figura quasi patetica di un impiegato ministeriale, [...] Il racconto anzichè in chiave di satira, e poteva riuscire finissima e garbata, è svolto in chiave di farsa, a volte polemica, con lungaggini a squilibri accanto a qualche trovata inopinatamente felice, che fa rimpiangere maggiormente quello che avrebbe potuto essere tutto il tono del film. Il pubblico ad ogni modo ride e si diverte lo stesso. Accanto a Totò sono Anna Carena, Alberto Sordi, Aroldo Tieri, Giulio Stival, Giovanna Pala. La regia è di Steno e Monicelli.

Vice, «Il Messaggero», 19 ottobre 1952


Ieri Rascel chiedeva ispirazione a Gogol per proporci in una equivoca chiave d’umorismo il dramma del piccolo impiegato; oggi lo stesso dramma ce lo propone Totò sulla scorta, nientemeno, di Cecov e in una chiave anche più apertamente farsesca. Cecov, pero, in questo film è presente solo con lo schema esteriore e molto travisato di due suoi racconti fusi insieme, e ancora una volta a predominare nella vicenda e a improntarla di sè è unicamente Totó con i suoi caratteristici atteggiamenti comici e il suo facile spirito parodistico. [...]

Naturalmente la paradossale conclusione e le situazioni che abbastanza disordinatamente la precedono sono vistosamente condite di facili spunti ispirati alla più convenzionale contingenza politica e alla parodia di un certo costume burocratico; ad essi si alternano momenti di più sommessa polemica, ma i loro argomenti finiscono per stridere come insinceri e voluti in un clima dove anche il dolore umano sembra diventato motivo di spasso; se qualche volta, tuttavia, giungono a suscitare, dopo le risa, un'ombra di emozione nel pubblico il merito è da attribuirsi alla interpretazione di Totò che, anche senza approfondire il suo personaggio, ha saputo qua e là rivestirlo di note abbastanza patetiche. Al suo fianco Anna Carena, Giulio Stivai, Aroldo Tieri, Alberto Sordi. Regia di Steno e Monicelli.

«Il Tempo», 19 ottobre 1952


Ieri Rascel chiedeva ispirazione a Gogol per proporci in una equivoca chiave d'umorismo il dramma del piccolo impiegato; oggi lo stesso dramma ce lo propone Totò sulla scorta, nientemeno, di Čechov e in una chiave anche più apertamente farsesca. Čechov, però, in questo film è presente solo con lo schema esteriore e molto travisato di due suoi racconti fusi insieme, e ancora una volta a predominare nella vicenda e a improntarla di sé è unicamente Totò con i suoi caratteristici atteggiamenti comici e il suo facile spirito parodistico. [...] Naturalmente questa paradossale conclusione e le situazioni che abbastanza disordinatamente la precedono sono vistosamente condite di facili spunti ispirati alla più convenzionale contingenza politica e alla parodia di un certo costume burocratico; ad essi si alternano momenti di più sommessa polemica [...]».

Ugo Zatterin, «Il Giornale d'Italia», 19 ottobre 1952


Felice di rivederti, Steno. Quanti anni sono passati dalla prima volta che c'incontrammo su Film? Non contiamoli: non ci conviene. Ricordo solo che a quell'epoca ero smilzo come un levriere e le ragazzine impuberi, in autobus, non si alzavano per cedermi il posto. Queste maledette ragazzine impuberi del dopoguerra, che ignorano il fascino sottile e conturbante delle tempie brizzolate! Roba da prenderle a schiaffi! Si alzano e cedono il posto! Che alzarsi e cedere il posto! Turbarsi, dovrebbero, ed abbassare il volto di virginal rossor soffuso. E invece si alzano e cedono il posto. Razza di maleducate! E poi dicono che uno ti diviene nostalgico e va ad Arcinazzo dal Maresciallo Graziani, Per forza! Fra brizzolati ci si comprende. 

Ma torniamo a Steno. Scusami, Steno, la divagazione ma sai, quando ci vuole ci vuole. Dicevo che sono passali molti anni da quei giorni felici in cui tu varavi, insieme a Metz, il tuo primo film, ed io le mie prime critiche. Io, quando penso al passato mi commuovo sempre: è più forte di me. L'altra sera, per esempio, alla prima di Totò e i re di Roma, ripensando al passato, piangevo. Si, piangevo. Tu forse non mi crederai eppure piangevo. Un signore che sedeva vicino a me, nel vedermi piangere, mi urtò col gomito. 

— Scommetto — disse — che lei sta pensando alle trecentocinquanta lire, che ha speso per il biglietto?

— No — risposi.

— Io, invece si.

E cominciò a piangere anche lui. Tentai di confortarlo, magnificandogli i vantaggi dell'inflazione che ha fatto di trecentocinquanta lire una cifra insignificante.

— Insignificante un corno! — mi rispose il signore — Io sono pensionato e per rimediare queste trecentocinquanta lire ho dovuto fare la cessione del quinto. Ha capito?! Del quinto! 

Per cui lo abbandonai al suo destino e ritornai fra i fantasmi del passato. Rividi De Bollis e il Marc'Aurelio. Ti ricordi, Steno, quando eravamo insieme al Marc'Aurelio? Bel tempi! A quell’epoca eri piccolissimo. Mi ricordo che De Bellis appena arrivava in redazione cominciava a cercarti. 

— Avete intravisto Steno? — chiedeva. (Data la sua statura piccolissima, nessuno era mai riuscito a vederlo completamente: il massimo che si poteva ottenere, aguzzando la vista, era di intravederlo).

— Mah, dovrebbe esserci —: rispondeva qualcuno — le orme cl sono. 

— Cercatelo — ordinava De Bellis. 

E tutta la redazione allora si metteva alla ricerca di Steno, seguendo le orme lasciate sul pavimento e sul tavoli, lavoro difficilissimo dato che spesso queste orme. Invece che condurci a Steno, ci conducevano alla zuccheriera ove cl accoglieva una indignatissima mosca. E poi a quell'epoca Steno era dispettosissimo: si nascondeva, per fare arrabbiare De Bellis, nei posti più impensati. Una volta arrivò sino a nascondersi nel calamaio, per cui quando ne usci sembrava un negro con il lutto stretto. E per farlo tornare del colore normale dovemmo usare tanta di quella scolorina che il giorno dopo il nostro editore Giorgio De Fonseca scrisse una lettera ufficiale a De Bellis per chiedergli se aveva intenzione di farlo fallire. 

— Beh — gli osservò De Bellis che aveva l’animo buono — non potevamo mica lasciarlo nero! E poi a me il nero fa melanconia.

— Potevate usare la gomma per inchiostro — replicò De Fonseca — E magari il raschietto. 

Dopodiché Steno rinunziò a nascondersi nel calamai, limitandosi per i suoi dispetti, ai cassetti delle scrivanie e alle chicchere. Infine un giorno decise di lasciarsi crescere i baffi, un magnifico e appariscente palo di baffi neri. Da quel giorno, però, ha dovuto smettere dì fare dispetti: dovunque si nascondesse, i baffi lo tradivano sempre. Oggi quando Mario Monicelli entra in stabilimento per girare una scena -chiede subito: 

— Ci sono i baffi di Steno?

— Si — risponde l'ispettore di produzione.

— Bene — dichiara Monicelli che è un logico e un ragionatore — se ci sono i baffi, deve esserci pure: lui. 

E infatti c’è, per cui Monicelli dopo essersi congratulato con se stesso per l acutezza del suo senso logico e conseguenziale «i baffi ci sono? Si? E allora c'è anche lui». Ragionamento profondo e dinanzi al quale non v'è che da arrendersi comincia a girare. E quel che è peggio comincia a girare Totò e i re di Roma. E quel che è peggio ancora, lo finisce. Cecov nella sua tomba si agita e minacciosamente mormora: «Ha da venì!». 

Osvaldo Scaccia, «Film d'Oggi», 29 ottobre 1952


A colloquio con Steno e Monicelli

Ridere non vuol dire nascondere la realtà

Umoristi e registi cinematografici - La nuova via del film comico aperta da «Guardie e ladri» La censura si accanisce contro «Totò e i sette re di Roma» - Comicità e tragedia nelle «Infedeli» 

Roma, 28 novembre

Steno e Monicelli costituiscono in Italia un binomio molto popolare, perché legato ad una serie numerosa di film comici, alcuni del quali notevolmente significativi, come Guardie e ladri e il recente Totò e i re di Roma. In questi due film, e particolarmente nel primo di essi, si notano alcune caratteristiche che li differenziano dalla media della produzione comica italiana; l'umorismo di Guardie e ladri e di Totò e i re di Roma non é, infatti, gratuito e campato in aria, ma si riferisce ad aspetti reali della vita italiana d'oggi. In entrambi i film il protagonista, Totò, oltre a farci ridere, riesce, a tratti, a commuovere con la amara e dolorosa umanità del suoi personaggi. 

Carriera «dalla gavetta» 

Steno e Monicelli sono arrivati entrambi alla regia, diciamo cosi «dalla gavetta». Monicelli cominciò, quindici e forse più anni or sono, facendo «l'uomo del ciak» in un film di Gustav Machatg, Ballerine. A quell'epoca. Machetiy, che aveva sbalordito e scandalizzato il pubblico del Festival di Venezia con famoso quanto mediocre Estasi (in cui Hedy Kieslerova, oggi Hedy Lamar, compariva nuda), era considerato un grande maestro del cinema, soprattutto da certi giovani imbevuti di estetismo. Monicelli era anche lui convinto di vivere una fondamentale esperienza artistica, ma quando vide il film proiettato ci rimase assai male, tanto esso gli apparve scadente. Poi Monicelli fece, via via, l’«aiuto» del più importanti registi italiani, il soggettista e successivamente lo sceneggiatore. Dopo avere scritto assieme alcune sceneggiature, Monicelli cominciò a dirigere film in collaborazione con Steno. Quanto alla carriera cinematografia di quest’u'timo, essa ebbe inizio con il film Imputato alzatevi. In quell'occasione, Steno, che lavorava nel giornale umoristico Marc'Aurelio, venne chiamato a scrivere alcune trovate comiche per il film. Poi realizzò soggetti, sceneggiature e, finalmente, cominciò a lavorare con Monicelli. 

— Quando si hanno piò o meno gli stessi gusti, la collaborazione è molto vantaggiosa — dicono i due registi: — oltre a rendere più spedito il lavoro, si ha modo di esercitare una reciproca critica su quello che si fa. Del resto, il cinema é soprattutto un’arte di collaborazione. 

Nel corso di un lungo e interessante colloquio con i due registi, abbiamo, fra l'altro, chiesto loro informazioni sulle traversìe subite a causa della censura dal film Totò e i re di Roma. Abbiamo chiesto, in particolare, se fosse vero che nel film erano state soppresse molte scene.

— Effettivamente — rispondono Steno e Monicelli — mancano nell'edizione definitiva del film alcune scene molto importanti; per esempio, alla fine, il povero impiegato che aveva cercato la morte per poter andare nell'aldllà (la censura, fra parentesi, ha voluto che alla parola «aldilà» fosse sostituita la parola «Olimpo») a prendere i numeri del lotto e darli in sogno alla moglie, si sfogava con iI Padreterno e gli diceva press'a poco: tu che ti preoccupi tanto di me, dei miei peccatucci, della mia vita piena di miserie e di sacrifici, guarda, guarda un po’ la terra e vedrai come le cose vadano male; c’è la miseria, c’è la guerra, c’é la bomba atomica e un sacco di altri guai. Non faresti meglio ad occuparti un po’ di quello che succede laggiù? Questo finale, che avrebbe dato al film una carica satirica e drammatica molto più forte di quella che esso ha, è stato tolto di mezzo dalla censura.

— La censura — ci spiegano i nostri interlocutori — specialmente quella non ufficiale, quella cosiddetta «preventiva», è un grave ostacolo al nostro lavoro. Certi temi non si possono nemmeno toccare. Noi vorremmo che si avesse un po’ più di fiducia in noi e che ci si permettesse di realizzare film in pace, fidando nel nostra senso di responsabilità.

Il discorso cade ora sull’influenza che il cinema italiano del dopoguerra può aver esercitato specificamente sul nostro film comico .[...]

Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952


Il cinema sembra cercare nei racconti russi del passato gli spunti per la biografia dei burocrati Italiani d’oggi. Ieri un eroe di Gogol suggeriva a Lattuada Il cappotto: oggi altri umiliati e offesi del tempo zarista. I protagonisti di due racconti al Cechov («La morte dell'impiegato» ed «Esami di promozione»), si unificano in Ercole Pappalardo» protagonista del film Totò e i re di Roma, diretto, da Steno e Monicelli. Mosca, in questo caso, illumina Roma. Ai suggerimenti di Cechov, Steno e Monicelli hanno aggiunto barzellette e «gags» di loro invenzione; il maggiore interprete, Totò, ha irrobustito il dialogo con le battute a soggetto, che sono la sua specialità; sì che il film risulta una mescolanza pittoresca di spiritosità carpatico-partenopee. [...]

Infarcito degli umori di molta letteratura, di molto giornalismo umoristico e di molto cinema, il film è un mosaico di cose viste. C'è dentro di tutto, ma specialmente c'è Totò, il Totò delle riviste, con brillanti e meno brillanti richiami dall'attualità politica e una non celata tendenza alla polemica dei nostalgici. Qualche episodio, e cosi i due funerali, quelli di un morto e quelli di un vivo, risultano spassosi: la morte fa allegria, nelle nostre pellicole comiche. La sostanza del film, tuttavia, è risaputa e dimessa. Con Totò, nel panni del superiore burbanzoso, c'è Giulio Stivai, che ha la stessa parte nel Cappotto: e c’é, piena di scatti divertenti, la brava Anna Carena, attrice di buone possibilità. Senza contare che Totò è padre di cinque figlie, e immaginarsi se, per un film del genere, non si tratti di ragazzone insofferenti del peso del vestiti.

lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 10 dicembre 1952


"E poi si dice che uno si butta a sinistra" è l'intercalare dell'archivista Ercole Pappalardo, protagonista del film "Totò e i re di Roma", di Steno e Monicelli; ossia, praticamente, é l'intercalare di Totò. Ma un impiegato statale non si butta mai a sinistra, almeno a Roma; al contrario, come sembra accadere a Totò, si butta proprio dalla parte opposta, quella del nostalgici; e il risultato non cambia. Questi accenni all’attualità politica danno alla pellicola un sapore da rivista, come del resto, accade spesso al lavori in cui ha parte Totò; e s'innestano male nel nucleo principale del racconto, suggerito da due vecchi racconti russi, di Cechov. Comunque, sono accenni che pongono allo spettacolo precisi limiti, apparentandolo con i toni dei settimanali umoristici, familiari ai due registi del film. [...]

Ogni tanto si ride; ancora una volta, c’é Totò a provvedere. Ma guai a mettersi in mente che la polemica sociale alimenti "Totò e i re di Roma". Che un capo-archivista, padre di famiglia numerosa, sia pagato male è cosa indegna; ma che il capo-archivista, per trent’anni, abbia frodato lo Stato, nascondendo la sua inettitudine e il suo inguaribile analfabetismo, altrettanto indegna. Quelli che hanno un'idea piuttosto poco lusinghiera della burocrazia ministeriale non la cambieranno dopo questo film comico, e non è giusto. I film di Totò servono a un’ora di spasso, anche se sono insipidi come questo è spesso, ma le idee non si confermano nè si mutano con l’aiuto d'una cinematografia tanto lontana da ogni attività del pensiero.

Art., «Corriere d'Informazione», 11 dicembre 1952


[...] Con Totò e i re di Roma i due registi sono rientrati negli schemi deprecati e il comico napoletano è tornato alla sua ormai scontata maniera farsesca e marionettistica. Con un'attenuante, però: che questo film - come già Guardie e ladri - sì discosta, sul piano del contenuto, dai soliti pasticci a base di gambe nude (in verità, ci sono anche le gambe nude, ma ad esse è riservato un posto marginale). Nei titoli di testa si legge il nome di Cechov: un semplice pretesto.Se negli autori c'era, per caso, la vaga intenzione di erigere una specie di contraltare a Il cappotto (1952) di Lattuada (dove l'origine letteraria è Gogol), contrapponendo al copista Rascel l'archivista Totò, essa è miseramente fallita [... ].

Franco Zannino, «Rassegna del film», 11 febbraio 1953


Nella triste mattina senza sole, un ometto se ne andava passo passo lungo una stradicciuola romana. Altri, dietro di lui o di fianco, passavano; tutti entravano nel grande portone di un mastodontico palazzo di pietra. Ognuno portava sottobraccio una borsa di pelle, del tipo usato dai bambini per tenervi i libri della scuola. Passavano senza affrettarsi, si tuffavano nell'androne buio che pareva proprio la gran bocca di un drago, salivano alcuni gradini smozzicati da chissà quanto tempo, e salutavano con ampi gesti delle mani, oppure levando in alto il cappella, grasso usciere in uniforme che
sedeva entro la piccola gabbiuola.

« Buondì, cavaliere », rispondeva l’usciere, con sussiego.

L’ometto smiilzo e streminzito passò dinanzi alla gabbiuola fingendo di nulla, e l’usciere non levò manco gli occhi. Allora l’ometto ritornò indietro e ripassò di nuovo davanti alla gabbiuola, e ancora l’usciere non mostrò di avvedersene.

« Ahò! », fece l’ometto, battendo una manata sul legno della gabbiuola. « Non mi saluti? ».

« Ecché!... », fece l’usciere, irritata. « Che devo dire a voi? ».

« Che sarebbe? Io sono Ercole Pappalardo, archivista - capo in pianta stabile, del gruppo C. Dovete salutarmi come per gli altri... ».

« E va bene. Buondì! », disse l’usciere, rimettendosi a leggere.

« Cavaliere! Cavaliere! », urlò Pappalardo.

« Ma voi », disse l’usciere, alzandosi, «voi siete cavaliere?».

Pappalardo strabuzzò gli occhi e portò una mano a comprimersi il petto. Disse: « Da quindici anni, dico quindici, ho inoltrato domanda per il cavalierato... A giorni sarò sicuramente nominato... ».

« Beh, voi diventate cavaliere e io vi chiamerò cavaliere », concluse l’usciere.

Pappalardo si morse le dita, dalla rabbia. Fece come l’atto di scagliarsi contro l'usciere, ma in quella un giovanotto, sopravvenuto, lo fermò e lo trascinò pel corridoio!. Era Ferruccio, il suo giovane aiutante.

« Ma che fai? Sei pazzo, Ercole? », disse Ferruccio.

« E poi dicono che uno non si riversa a sinistra... », gridò Pappalardo, inferocito.

« Ssst! », fece Ferruccio, tappandogli la bocca. E a forza lo sospinse entro l’ufficio dell'archivio.

Tale ufficio era in verità un ininterrotta susseguirsi di stanze, le Cui pareti erano interamente coperte da scaffalature zeppe di fascicoli e cartacce. In ogni stanza v’erano due funzionari: uno sonnecchiava, per lo più, e l’altro leggeva il giornale o si esercitava alle parole incrociate, a turno. Nella prima erano allogati Pappalardo e Ferruccio.

« Tu sei troppo impulsivo », disse Ferruccio, una volta al sicuro entro l’ufficio.

« Macché impulsivo! Ho trent’anni di. anzianità, capisci?, e da quindici anni ormai attendo la nomina a cavaliere. Tutti qui sono cavalieri, m'eno io Perché? Perché, domando io? ».

« Ma vedrai che sarai accontentato, uno di questi giorni... ».

« Sicuro! Ma intanto le beffe le sopporto io! Tu sentissi mia moglie... Ho cinque figlie, io, da mantenere nell’onore del mondo... Cinque figlie! Con trentamila lire mensili... e nemmeno cavaliere! ».

Le lamentele di Pappalardo vennero interrotte dall'affluire di numerosi impiegati nella loro stanza. Uno aveva vinto quarantacinquemila lire al lotto, coi numeri 12, 71, 43, usciti sulla ruota di Bari, perciò offriva il vermouth ai colleghi.

Mentre tutti bevevano e scherzavano, Pappalardo pensava cupamente che anche la Cabala tramava contro di lui. Era oltremodo superstizioso, e da ogni avvenimenti egli cavava la terna o la quaterna da giocare al lotto: ma mai neppure una sola volta aveva vinto! Mai: neppure un centesimo. E sì che di bisogno ne aveva fin troppo!

Cinque figlie, delle quali due ancor bambine frequentavano le scuole! La maggiore, Giannina, e un’altra lavoravano sì, ma guadagnavano nemmeno il necessario per vestirsi. E la terza stava a casa, ad aiutare sua moglie per i lavori domestici.

Adesso, a esempio, si era giunti all'estate e tutti gli inquilini della casa ove i Pappalardo abitavano, proprio tutti, andavano in villeggiatura. Loro, naturalmente, non avrebbero nemmeno potuto muoversi da Roma. Ma ecco che sua moglie, per il vezzo di mostrarsi all’altezza dei vicini, aveva detto a tutti che quell’estate egli avrebbe portato l’intera famiglia a Rapallo.

Erano accadute scene da non dirsi, in casa, allorché Ercole aveva saputo la faccenda.

« Sei pazza! Siete tutte pazze! Aiuto! Soccorso! », si era messo ad urlare. « E dii vi può condurre a Rapallo? Ohi, ohi, sciagurata famiglia... ».

Gli era persino sopravvenuto un attacco cardiaco. In realtà Ercole era malato di cuore da un’infinità di tempo, e ogni tanto lo coglieva qualche crisi: ma quella volta si rimise proprio a gran fatica.

Comunque, sulla faccenda della villeggiatura sua moglie non era disposta a transigere. Aveva escogitato un progetto che lì per lì sembrava insensato; Infatti lo era, ma Ercole dovette rassegnarsi ad accettarlo. Dunque: avrebbero finto una partenza in grande stile, un bel mattino, e siccome non c’era proprio nessuna possibilità di recarsi nemmeno a Ostia, avrebbero trascorso la giornata' in una trattoria del forese. Sarebbero quindi rincasati a sera inoltrata, e così avrebbero passato almeno due settimane tutti tappati in casa.

Venne il giorno in cui la famiglia Pappalardo doveva partire per la villeggiatura. Ercole venne caricato di valigie come un somaro, e tutti colmi di fagotti lasciarono la casa, fra i saluti e vari auguri gridati dall’intera vicinanza. Anziché recarsi alla Stazione Termini, naturalmente, presero un tram e raggiunsero una misera trattoria di San Giovanni, dalla quale tornarono a casa che ormai tutto il vicinato era immerso nel sonno.

Sembrava che le cose filassero per il meglio, sennonché Ferruccio, visto che il suo collega e capo restava a casa solo (credendo anch’egli che la famiglia fosse andata davvero a Rapallo) fece la bella pensata di andare a trovarlo, insieme con due belle e procaci figliuole. Per farla breve, Ercole dovette uscire, per evitare che il collega si insospettisse e che anche il vicinato se ne avvedesse.

« E che facciamo? » domandò Ercole, con vivo disappunto, una volta in istrada.

« Ce la spassiamo », fece una delle ragazze.

« Incominciamo con l’andare a veder la rivista », decise Ferruccio, « e poi si vedrà... ».

Meno di mezz’ora più tardi, Ercole con il collega e le due bellezze stavano sul loggione d’un teatro e se la godevano un mondo ad ascoltare le barzellette di un comico e ammirare le snelle figure semivestite delle ballerine. D’un tratto pierò Ercole avvertì una ventata fredda alle spalle e starnuti. Fu uno starnuto clamoroso, e siccome Ercole si era sporto al di là della balaustrata del loggione, finì che lo sputo colpì giusto nel mezzo della testa calva un distintissimo signore che stava in platea. Questi si voltò verso l’alto, quanto mai corrucciato, ed Ercole Pappalardo allibì riconoscendo in colui nientemeno che Sua Eccellenza il Direttore Generale Badalozzi, vale a dire il capintesta del Ministero ove lui era impiegato!

L’effetto di simile constatazione fu veramente tragico. Pappalardo era divenuto addirittura cadaverico: riteneva che Sua Eccellenza lo avesse riconosciuto e potesse credere che lui, il capo-archivista del gruppo C., avesse inteso con quello sputo offenderlo.

« Sarò licenziato... Mi butterà sul lastrico... », gemeva Ercole.

« Ma no, che dici mai? Non ti avrà nemmeno visto... ».

« Mi ha visto. Mi ha riconosciuto benissimo! Oh, Dio! Ormai non formulerà mai più la mia nomina a cavaliere... Ohi, ohi, ohi!... ».

Insamma i piagnistei di Ercole furano tali e tanti, che alla fine Ferruccio gli consigliò di presentare immediatamente le sue scuse a Sua Eccellenza. Difatti, appena venne annunciato l'intervallo dello spettacolo, Ercole, seguito dal collega e dalle altre ragazze, discese nel ridotto. Scorse Sua Eccellenza che insieme con una bellissima signora stava accanto al banco del bar, in mezzo a un gruppo di persone eleganti. Senza polr tempo in mezzo egli si avvicinò e prese, balbettando, a scusarsi per lo sputo.

« Eccellenza, non volevo sputarle in testa... », cominciò.

« Che? ». fece l’altro, stupefatto.

« Sì. Lo sputo. Lo scaracchio di prima. Sono stato io, sì. Ma non volevo farlo apposta... »,

Va da sé che Sua Eccellenza si indignò, e cacciò via in malo modo il malcapitato Ercole.

Rincasato, quella notte Ercole non potè dormire. Nella mente gli si agitavano i pensieri più tenebrosi. Cercò d’acquietarsi sforzandosi a sognare almeno qualche numero da giocare al lotto, ma il passar delle ore non gli portò né sollievo né qualche numero.

In ufficio, il mattino dopo, Ferruccio lo persuase a tentar di fermare Sua Eccellenza nel corridoio e presentargli ancora le sue scuse, ma in forma più acconcia. Ercole decise di seguire il consiglio del collega. Postosi in agguato nel corridoio, avvistò infine Sua Eccellenza che, galante, accompagnava verso l’uscita una splendida signora. Ercole gli si parò davanti di scatto e ricominciò a farfugliare incomprensibili spiegazioni. Le u-niche parole chiaramente percettibili erano: "lo sputo in testa”, sicché il Direttore Generale si adirò di nuovo e gli diede una gran strapazzata. Più morto che vivo, Ercole ritornò nel suo ufficio, ma fu quasi subito chiamato dal caposezione. Costui aveva appena ricevuto l’ordine, da Sua Eccellenza, di ritrovare una pratica chissà dove mai finita nell’archivio. Era una pratica riguardante la morte d’un pappagallo ammaestrato, inoltrata da persone compaesane di Sua Eccellenza, e alle quali il Direttore Generale non poteva in alcun modo usare sgarberie.

Mentre Ercole e Ferruccio facevan passare, ambedue in orgasmo, tutti gli scartafacci dell’archivio, giunse la notizia che un loro collega era poco prima deceduto in seguito ad un violento attacco cardiaco. Ercole pensò subito a cavarne i numeri per il lotto: 9-26-56.

Proprio durante i funerali del collega, che avvennero nel pomeriggio dei sabato. Ercole constatò che nemmeno quella volta la Cabala s’era mostrata benigna con lui.

Frattanto, tra la questione della pratica che non si trovava e quella, da Ercole ritenuto ben più grave, dello sputo in testa al Direttore Generale, Pappalardo affondava sempre più in un mare di depressione. Anche in casa non faceva che litigare con la moglie e sgridare le figlie. Se la prendeva specialmente con Giannina, la quale aveva per fidanzato un giovane del quartiere, Giorgio, che non andava affatto a genio al padre. Eran tutti motivi di disappunto, che martoriavano senza tregua il povero impiegato statale.

Egli viveva sempre fra continue paure, e in casa sua trovava nient’altro che scompiglio e insensatezza. Costantemente tappate in casa, le figlie cercavano di far passare il tempo mettendosi a far la cura del sole, per acquistare la tintarella di cui dovevan pur far mostra quando la ''villeggiatura” sarebbe terminata.

Finalmente Ferruccio, per trarlo da quello stato di perenne atonia, gli suggerì di scrivere una lettera a Sua Eccellenza, sempre per fargli le scuse e chiedergli indulgenza. Ne seguì che il giorno successivo Ercole fu chiamato dal caposezione, il quale gli mostrò la sua lettera tutta costellata di segnacci rossi. Infatti lo scritto non era altro che un ammasso di errori d’ortografia e il Direttore Generale era andato su tutte le furie leggendola. Come mai al posto di capoarchivista c’era un funzionario pressoché analfabeta? Ecco perché, dunque, non si potevano mai ritrovare le pratiche!

« Ma tu, che studi hai fatto? ».

«Beh», confessò Pappalardo, «mi dimenticai di prendere la licenza elementare... ».

« Oh Dio! E come hai fatto a farti assumere qui? ».

« Per mezzo d’un mio parente. Entrai in pianta stabile il 28 ottobre 1922... Sapete... per via di quella marcia... ».

Quando il Direttore Generale venne a saperlo, si imbestialì del tutto. Fece porre a Pappalardo l’ultimatum: o si assoggettava a sostenere gli esami almeno per la licenza elementare, oppure sarebbe stato licenziato in tronco! Tuttavia, rimaneva un’altra alternativa: ritrovare la pratica del pappagallo. Ercole fu messo in rapporto con uno stravagante tipo di maestro elementare, compaesano di Sua Eccellenza, il quale era stato incaricato dalla sua cittadinanza di svolgere tutte le pratiche inerenti alla riabilitazione di quel tal pappagallo: sì, perché il variopinto volatile era stato fucilato, nei giorni della Liberazione, perché cantava... Giovinezza!

Pappalardo non riuscì a ritrovare la famosa pratica ministeriale, anzi si urtò malamente anche col maestro elementare, per la aual cosa non gli restò altroi che sottomettersi agli esami.

Si presentò, qualche settimana più tardi, nella Scuola elementare ove studiava la sua figlia minore. Attese, insieme con i bambini, di essere chiamato in aula per l’esame. Venne il momento, e qual non fu il disappunto vedendo che fra. gli esaminatori c’era pure il maestro compaesano del Direttore Generale!

Gli altri esaminatori avrebbero volentieri chiusi entrambi gli occhi sulla preparazione di Ercole, data l’età e la condizione, ma quel maestro si impuntò e volle che Pappalardo subisse il fuoco di fila •delle domande. Va da sé che egli non ne imbroccò giusta neanche una. Quando poi il maestro compaesano di Sua Eccellenza gli chiese chi fossero i sette Re di Roma, avvenne il crollo. Pappalardo non seppe rispondere, e esasperato dal sorriso sarcastico del maestro afferrò il mappamondo e glielo sfasciò sul capo.

Così significava la fine, la completa rovina. Egli rincasò definitivamente abbattuto. Si rinchiuse nella sua stanza, e disse alla moglie che aveva deciso di morire.

« Che vuoi fare? », domandò sua moglie, spaventata.

« Morire! Stai tranquilla: non mi butto dal quarto piano. Mi stendo «ul letto e muoio. Poi, ti verrò in sogno e ti darò i numeri sicuri da giocare al lotto, così vincerai una grossa somma e voi tutte potrete vivere felici... ».

Tutti i pianti e le argomentazioni della móglie non valsero a nulla. Ercole si vestì di nero e si approntò per lasciare questa valle di lacrime. Saputo però che la famiglia non avrebbe potuto sostenere la spesa per dei funerali appena decenti, si levò dal letto e decise di recarsi a spengersi addirittura al Cimitero. E poche ore dopo, fra la costernata stupefazione della
igente, lungo le strade di Roma passò lo strano corteo funebre, con Ercole (ossia il defunto) che camminava tenendo un cero fra le mani e in mezzo a festoni di crisantemi. Proprio al Cimitero, un puntualissimo attacco cardiaco pose fine alle sofferenze terrene dello statale Ercole Pappalardo.

Una volta raggiunto il Limbo, Ercole venne però a sapere che era ritenuta grave scorrettezza il chiedere numeri da giocare al lotto. Il codice vigente nel Limbo prevedeva severe punizioni per i contravventori. Ciononostante, egli riuscì ad impossessarsi d’una terna: 54-33-89, da giocare sulla ruota di Bari, e quella stessa notte comparve nel sogno a sua moglie e glieli riferì.

54-33-89, il sabato seguente, uscirono regolarmente sulla ruota di Bari, di modo che la vedova Pappalardo potè incassare svariati milioni, con i quali la vita delle cinque orfanelle mutò completamente. E mediante tale cambiamento, Giannina potè convolare a giuste nozze con l'innamoratissimo, ma spiantato, Giorgio. E dall’alto del cielo, finalmente sereno e pacificato, Ercole ebbe la sconfinata consolazione di veder la felicità penetrare nella sua misera casa.

Roberto Martini, «Novelle Film», 20 giugno 1953


La censura


Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Centrale per la Cinematografia

Domanda di revisione n. 11527

«Revisionato il film il giorno 28 febbraio 1952, la Commissione esprime parere contrario alla proiezione in pubblico, ritenendo il film stesso, nel suo complesso, offensivo del decoro e del prestigio dei pubblici funzionari, nonchè, nella parte finale, offensivo nel sentimento religioso.»

Roma, 28 febbraio 1952


Eccellenza,

il Direttore Generale Avv. De Pirro mi ha comunicato le condizioni alle quali sarebbe subordinato il rilascio dei nulla osta per il mio film "TOTO' E I RE DI ROMA”.

Mi permetto al riguardo disturbare la E.V., dato che la comunicazione oltre che sorpreso mi ha preoccupato al punto da togliermi la tranquillità. Infatti la condizione di tagliare tutta la parte finale del film, a partire dalla scena ove si vede la famiglia di Totò contenta per aver vinto al lotto, é tale da pregiudicare seriamente l'andamento del film con conseguenti gravissimi danni. Il soggetto del film era infatti già noto agli acquirenti. D'altra parte vi era quasi una assoluta tranquillità da parte della mia Casa in quanto la pellicola era stata visionata dalla Commissione Plenaria di Censura del Centro Cattolico Cinematografico che aveva avanzato una unica riserva: la eliminazione della parte dialogata: (pronunciata da Totò nella parte finale - vedi penultima pagina dei dialoghi-). Condizione alla quale ci sottoporremo senza discutere.

Debbo farle anche presente che rende più grave la mia preoccupazione l'atteggiamento assunto nei riguardi della GOLDEN da Totò che si rifiuta di continuare a lavorare con noi su evidenti istigazioni di altri Produttori, atteggiamento che é già sfociato in una lite giudiziaria in atto, per cui non vi sarebbe alcuna possibilità di eventuali modifiche, mentre, ove si dovesse effettuare il taglio comunicatomi dall'Avv. De Pirro, sarebbe necessario realizzare altre scene per la conclusione del finale del film.

D'altra parte se il film fosse troncato al punto finale di detto taglio esso sarebbe sicuramente destinato ad un insuccesso tale da costituire una vera rovina finanziaria per la Casa Produttrice.

Solo un personale intervento della E.V. potrà risolvere questa preoccupante situazione e da parte mia la prego vivamente per un benevolo interessamento.

Grato per quanto S.E. vorrà fare in merito, Le invio i miei devoti ossequi

f.to Amato Giovanni

Roma, 3 settembre 1952


Caro De Tomasi,

ricevo qui questo SOS di Amati. La prego di chiamarlo e di dirgli qual'è il mio pensiero, costruito sul ricordo poichè naturalmente non ho portato con me a Montecatini i dialoghi di Totò.

Quello che nel film è irriverente in senso assoluto è la raffigurazione del Padreterno (nelle spoglie di colonnello a riposo di Almirante). Il resto passa, anche senza quella umoristica ribattezzatura in Olimpo dell'aldilà dove vanno le anime dei morti nel 1951. Se Amati vuol dire questo con "eliminazione della parte dialogata" siamo d'accordo.

In caso intendo farmi trovare per sabato l'estratto della... contestazione.

Amati deprezza il suo film legandone il successo ad una battuta buona (pietà del Padreterno per gli statali) infarcita di contorni pesanti e di dubbio gusto.

Per me il film ha le sue carte di sicuro successo in tutto ciò che avviene nei primi quattro quinti, ma non è certo il mio giudizio critico-commerciale quallo che importa.

Buon lavoro e ringraziamenti.

f.to Andreotti

Montecatini, 8 settembre 1952


Nella scena dell'interrogazione, quando Alberto Sordi chiede a Totò il nome di un pachiderma, si sente la risposta doppiata con voce diversa, che risponde: «Bartali!». Il movimento labiale dell'attore già tradisce il cambiamento e inoltre la risposta di Sordi - «Vedo che Lei non ha perso l'abitudine d'insultare i suoi superiori!» - rende ancor più evidente la manomissione del copione originario. Il tono è infatti fortemente sdegnato e quel "superiore" non può riferirsi al ciclista. Leggendo infatti il labiale di Totò, si può capire che pronuncia "De Gasperi!".


«L'ultima stesura è accettabile a parte la censura, i produttori taglieranno all'on. DC Segni sostituendolo con una battuta su Bartali»

Roma, 18 settembre 1952

Appunto f.to Andreotti


Altra scena che provocò problemi con la censura fu tutta la parte ambientata nell'aldilà. Al colloquio finale tra Pappalardo e Dio (Ernesto Almirante) viene tagliata l'intera pagina 83 ritenuta troppo irriguardosa nei confronti della religione. Viene anche ritenuto inaccettabile che il protagonista ricorresse al suicidio per salvare la famiglia, e così, per mezzo di una consolatoria postilla affidata a una voce fuori campo a fine film, il tutto viene "sfumato" in una sorta di sogno per smorzare i toni drammatici non consoni a un film comico. Inoltre, viene tagliata la battuta con cui Pappalardo, preparandosi a morire, chiede melodrammaticamente di vedere per l'ultima volta le sue cinque figlie, sembrata fin troppo allusiva a un suicidio.


Presidenza del Consiglio dei Ministri - Servizi Spettacolo, informazione e Proprietà Intellettuale - Dir. Gen. per lo Spettacolo e la Cinematografia

La Commissione di revisione cinematografica di secondo grado, presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, On.Giulio Andreotti e composta dai membri:

1) - Dr. Beniamino Leoni - Consigliere di Corte di Cassazione;

2) - Dr. Carlo Gerlini - Capo Divisione al Ministero dell'Interno -Direzione Generale di P.S.;

effettuata la revisione del film "I SETTE RE DI ROMA",a norma dell’art.14 del Regolamento approvato con R.D. 24 settembre 1923 n.3287, esprime parere favorevole alla proiezione in pubblico di questo film a condizione che siano eliminati i due brani di dialogo di Pappalardo (pag.83 del copione)

f.to Andreotti

Roma, 24 settembre 1952


DIALOGO ELIMINATO Pag. 83 del copione

Ometto: E' la solita scusa...Basta!... E' ora di finirla con tutte queste truffe, con queste bugie di cui è pieno il vostro marcio mondo!

Pappalardo: Ah si, ah si, eh? Le cose non vanno mica bene laggiù, sa, no, no, parliamoci chiaro, da uomo a uomo! parliamoci chiaro. Io non so come siano gli altri pianeti, ma creda Eccellenza, che la terra, con rispetto parlando, è una schifezza: eh; eh; e questa è la maniera di governare un pianeta? eh? chi più truffa più è rispettato, chi più mena, più ha ragione, e gli imbroglioni ,i mascalzoni, i delinquenti, i farabutti sono quelli che comandano e i poveracci come me debbono sempre abbozzare, ma le sembra una cosa giusta? Ma le sembra una cosa fatta bene questa? e guerre e terremoti, e alluvioni, e malattie, e tasse e soprattasse e sempre tasse... Oh oh oh ma lo sa lei che laggiù stiamo male? si? non lo sa? glielo dico io! E che diavolo! invece di perdere tempo con un disgraziato come me, che quello ch'ha fatto l'ha fatto per sfamare la sua famiglia...

Ometto: cosa? vuoi insegnare mestiere a me, adesso?

Pappalardo: eh si! eh, si! ..perchè lei da quassù certe cose non le sa, non le vede, scenda un momentino sulla terra a dare un'occhiata da vicino... e vedrà...

Ometto: Insomma, non mentire, perchè io so tutto; so tutto. Hai truffato, si o no? [...]


Documenti censura del film Totò e i Re di Roma, 1952 - Fascicolo - Direzione Generale Cinema


Misero impiegato? Misero impiegato?! Giovanotto! Non infangare! Non vilipendere la integerrima categoria di coloro che anche Sua Eccellenza Togni nel suo ultimo discorso ha detto che sono la struttura della Patria, il cemento armato della nazione...

Totò, battuta contestata nel film "Totò e i Re di Roma"


I documenti

Il film Totò e i re di Roma (1952), diretto da Mario Monicelli e Steno, ha avuto diverse edizioni in VHS e DVD nel corso degli anni. Di seguito, una panoramica dettagliata delle principali uscite:

📼 Uscite in VHS

Le edizioni in VHS di Totò e i re di Roma sono state distribuite principalmente negli anni '80 e '90, spesso come parte di collane dedicate al cinema italiano o alla filmografia di Totò. Tuttavia, le informazioni specifiche su queste edizioni sono limitate e non sempre documentate in modo esaustivo.

💿 Uscite in DVD

1. Edizione Terminal Video Italia (2009)

  • Data di uscita: 7 luglio 2009
  • Lingua: Italiano
  • Durata: 1 ora e 40 minuti
  • Formato: DVD singolo, bianco e nero
  • Contenuti speciali: Questa edizione è apprezzata per la sua cura tecnica e include un prezioso commento audio del regista Mario Monicelli.

2. Edizione RHV - Il Grande Cinema di Totò

  • Distribuzione: Fabbri Editori
  • Caratteristiche: Fa parte della collana "Il Grande Cinema di Totò", che raccoglie numerosi film dell'attore. Le edizioni RHV sono note per la qualità delle rimasterizzazioni e per l'inclusione di contenuti extra come interviste e approfondimenti.

3. Edizione DVD Lady (Importazione)

  • Caratteristiche: Versione con sottotitoli in inglese, destinata al mercato internazionale. Questa edizione è particolarmente utile per gli appassionati non italofoni del cinema di Totò.

🎁 Contenuti Speciali

Le edizioni in DVD di Totò e i re di Roma variano nei contenuti speciali offerti. Alcune includono:

  • Commenti audio: Approfondimenti da parte di registi o critici cinematografici.
  • Interviste: Conversazioni con membri del cast o della troupe.
  • Gallerie fotografiche: Raccolte di immagini di scena o dietro le quinte.
  • Filmografie: Schede dettagliate sulla carriera degli attori principali.

🌐 Disponibilità Online

Attualmente (2025), Totò e i re di Roma è disponibile per l'acquisto su diverse piattaforme online, tra cui Amazon.it. È importante notare che alcune edizioni potrebbero non essere più in produzione e potrebbero essere reperibili solo tramite venditori di terze parti o collezionisti.


Totò aveva capito benissimo di trovarsi davanti un grosso attore e così in una scena improvvisò una serie di starnuti con lo sputo per non farsela fregare ma Sordi, senza la minima incertezza, gli tenne testa con una valida controscena.

Mario Monicelli


Dividere il lavoro tra me e Steno era una cosa abbastanza naturale. Durante la gestazione del film e mentre si scriveva il soggetto e la sceneggiatura capitava che uno dei due fosse più solerte, più contento, più affezionato, più consono al film e al tema che si stava facendo. Quindi veniva naturale che uno dei due andasse sul set più spesso; l’altro stava un po’ più indietro e aiutava, la sera vedevamo i giornalieri tutti e due... Se mancava un attore in una parte secondaria, l’altro diceva: “Uè, guarda che per dopodomani mi serve quello”, allora l’altro andava in giro, cercava e faceva i provini, se c’erano dei posti da trovare li cercava uno dei due; quindi sul set in realtà poi ci stava uno solo, quello che aveva sposato il film con maggiore entusiasmo. Si andava avanti così, era abbastanza raro che fossimo sul set in due: capitava che uno dei due venisse, domandava come va, portava qualche consiglio, però il lavoro sul set era di uno solo, a seconda del film. Io comunque non avrei nessuna voglia di dire chi stesse di più sul set e in quali film, perché abbiamo firmato insieme, erano film di tutti e due: girare sul posto non era così importante, decisiva era la preparazione, la scelta degli attori, dei costumi, insomma il tono del film, il montaggio, che facevamo insieme naturalmente.

Mario Monicelli


Cosa ne pensa il pubblico...


I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com

  • Pellicola che presenta vari accenti: il comico, il tragicomico, il surreale. Film di Totò, capace di espressioni di grande artista a tutto tondo (si pensi ai minuti successivi al disastroso esame scolastico), con cospicua e ottima presenza di Sordi, in uno dei suoi ruoli da cattivo, con vocetta isterichina e fare supponente. Due grandi, che riescono a compensare, qua e là, qualche caduta di tono della vicenda, comunque godibile.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'impiegato olimpico dice a Totò di sbrigarsi perché c'è la coda e l'altro gli risponde: "La coda ce l'avrà sua sorella!".

  • Strano film codiretto da Steno e Monicelli, rappresenta l'unico episodio cinematografico che vede insieme sul set Totò e Alberto Sordi. L'ispirazione viene da due racconti dello scrittore russo Cechov, opportunamente rielaborati. Nel film vengono mescolati insieme (e non sempre con grande equilibrio), il comico, la farsa e la commedia nera, insieme a qualche spunto drammatico e lacrimevole. Il tutto è abbastanza godibile anche se non memorabile.

  • Malgrado la gran parata di talenti (non solo i registi ma anche Risi in sceneggiatura e Fulci aiuto) un Totò non riuscitissimo e non troppo equilibrato nei registri, di una gran tristezza di fondo appena riscattata dallo sbrigativo finale. Ruba la scena un Sordi a fuoco con personaggio caricato e odiosissimo. Il celebre "Poi dice che uno si butta a sinistra" diventa qui tormentone
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: "Addavenì" "E noi qui lo aspettiamo" "Ma qui lui non viene!".

  • Modesto travet ministeriale si ritrova nei guai per un banale incidente gogoliano che rischia di costargli non solo la nomina a cavaliere, ma pure il posto di lavoro... Come diceva Totò, la somma non (sempre) fa il totale, e qui infatti la collaborazione di Steno con Monicelli si rivela inferiore alle attese, anche se il film, assai discontinuo, si risolleva nettamente nel finale, prima grazie ad un pezzo di bravura del grande attore (il discorso davanti alla commissione d'esame), poi con l'epilogo surreale che vede il nostro alla prese con la burocrazia celeste.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il funerale con il morto a piedi (per risparmiare sulla carrozza) - La borsa nera dei numeri al lotto e l'intervento dei celerini manganellatori.

  • Una commedia curiosa, parecchio sconnessa e composta più che altro da una serie di episodi, che stupisce per l'anarchia degli ultimi snodi narrativi, piuttosto estranei al genere e caratterizzati da un piacevole surrealismo. Ciò che viene prima non è il massimo, a partire da un primo tempo decisamente blando e poco interessante, ma l'espressività di Totò riesce a sostenere anche i momenti meno brillanti. Un po' macchiettistico il personaggio di Sordi. Discreto film.

  • Monicelli e Steno prendono spunto da racconti di Cecov e ci mettono dentro il grande principe De Curtis. Non si ride come in altri suoi film, ma ci si limita al sorriso. Film che sfocia in alcuni momenti nel grottesco. Simpatico il perfido Sordi.

  • Non uno dei migliori film con Totò, ma rimane memorabile per essere l'unica occasione in cui si incrocia con un altro grande: Alberto Sordi. Le parti in ufficio sono le migliori e le più divertenti, insieme al surreale momento nell'adilà con la borsa nera per il lotto. Buoni i duetti con Albertone, ma anche migliori quelli con il buon Aroldo Tieri. Simpatico.

  • Totò riesce ad esprimersi al suo massimo solo nella scena dell'esame di licenza elementare. Naturalmente regge anche il resto del film che come argomento principale ha il lavoro ai ministeri statali e la descrizione (come era e ancora è nell'immaginario collettivo) del lavoro degli impiegati. Basti dire che tutto l'impegno di un capo ufficio sta nel fare le parole crociate e manco ci riesce. Sordi, antipaticissimo, ripete la sua macchietta dalla voce stridula. Presenza femminile decorativa e una brava Anna Carena che interpreta la moglie di Totò.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Tutta la parte dell'anticamera al paradiso, organizzata burocraticamente come i ministeri statali.

  • Comunque miliare, testimoniando l'unico incontro "pubblico" tra due generazioni di maschere italiane, quella aggressiva, cinica ed egocentrica di Albertone e quella più umanistica, antica e popolare di Totò. Al di là di questo affatto accessorio elemento storico, il film si incastona perfettamente nel processo di crescita del sodalizio Steno-Monicelli, arricchendo la galleria di travet del nostro cinema (Campanini, Rascel, Fabrizi) di una ironicamente amara dimensione cechoviana. Coerente e solo apparentemente conciliatorio il finale "fantastico".
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: I duetti Totò - Sordi; Il pappagallo che insulta il ministro; Il funerale "autotrasportato"; Totò col fazzoletto attorno alla testa.

  • Un gradevole film diretto dal duo Steno-Monicelli che rimane memorabile in particolare per l'unico incontro fra Totò e Alberto Sordi. Qualche momento di noia serpeggia quà e là, ma Totò salva il tutto, mentre Sordi è un poc' acerbo ma pronto al grande salto. Si ride amaro. Bella la scena dell'esame di Totò con Sordi.

  • Poco riuscito tentativo di adeguare l'impeto farsesco di Totò alla sommessa comicità di Cechov. Il comico napoletano si attiene più del solito al testo e sfoggia grandi doti di attore a tutto tondo, imponendo la sua classe ai pur bravi ma troppo macchiettistici Sordi e Tieri. Interessanti anche i momenti in cui l'ironia si fa amara, ma nel complesso la storia resta poco coinvolgente e alcuni momenti paiono piuttosto forzati. Restano comunque alcuni episodi che strappano risate convinte, soprattutto quando il Principe va a ruota libera.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Il pappagallo; La banda sgangherata a casa di Totò; Gli esami.

  • I temi erano pretenziosi, raccontare la mediocrità e l'incapacità dell'essere all'altezza delle proprie ambizioni della piccola nuova borghesia creatasi nel secondo dopoguerra italiano. Ma purtroppo i ritmi non rendono sempre il miglior servizio al film, che sembra stare in piedi solo grazie all'interpretazione di Totò e di un iperespressivo Sordi nel ruolo del cattivo burocrate. Garantisce comunque una buona dose di amaro divertimento.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'assurdo paradiso burocratico.

  • Un film piuttosto sgangherato, questo di Steno e Monicelli. Dove non recita il solito Totò scatenato, marionettistico o anarchico, ma un attore che interpreta un ruolo a tutto tondo di un impiegatuccio di un archivio pubblico, in perenne lotta con il mondo che l'opprime e che perderà il lavoro se non conseguirà il diploma elementare. Un Totò piuttosto dimesso e patetico che sfiora il sentimentalismo più vieto ma la cui recitazione si fa, altresì, più sfumata e modulare ben adattandosi ai timbri richiesti dalla varie situazioni drammatiche e narrative.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: La "drammatica" scena dell'esame: l'unico incontro tra Totò e Sordi su un set.

  • Uno dei migliori film di Totò, dove l'intento di critica contro burocrazia e caporali non soffoca la verve del protagonista, che duetta (ahinoi, per l'unica volta) con un altro mostro sacro del nostro cinema, Alberto Sordi, irresistibile e cattivissimo antagonista. Il film anticipa molti aspetti del "primo" e miglior Fantozzi, tra ironia, surrealismo e anche tragicità. Per ridere e riflettere, giacchè dal 1951 ad oggi non sembra aver perso attualità.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: L'esame del protagonista da parte del severissimo Alberto Sordi.

  • Firmato da Mario Monicelli e, soprattutto, Stefano Vanzina, con una regia tirata via, secondo la migliore tradizione romana, con attori ottimi e un copione a metà strada e una sceneggiatura relativamente interessante. Nel complesso è un po' "televisivo", frammentario, tuttavia si può rivedere durante queste giornate estive sonnolente con la stessa indulgenza che il regista riservò a se stesso.
    MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Le evoluzioni "politiche" strumentali di Totò, che cerca di accaparrarsi il favore dei potenti buttandosi ora a sinistra, ora a destra.

Le incongruenze

  1. Durante l'esame di licenza elementare Sordi chiede a Totò il nome di un pachiderma. La risposta, dopo alcuni suggerimenti, è "Bartali". La contraddizione nel film è, oltre alla divergenza con il labiale, che il nome sia pronunciato con una voce stranissima, sicuramente non quella di Totò. Probabilmente si tratta di un successivo ridoppiaggio per opera della censura, infatti Sordi replica seccato alla risposta di Totò: "vedo che non ha perso l'abitudine di insultare i suoi superiori". Tutto questo livore non si spiegherebbe con il semplice uso del nome del noto ciclista.
  2. Quando Totò entra in aula per l'esame nelle inquadrature di fianco ha i pugni sul tavolo, nelle altre gesticola.
  3. I maestri cambiano posizione continuamente in base alle diverse inquadrature. Per esempio il maestro al centro nella scena di fianco ha la mano destra sul mento ed in quella successiva sul tavolo.
  4. Totò è nell'Olimpo e chiede a Filippini dove danno i numeri del lotto, ma nella inquadrature successiva cambiano entrambi posizione nella sala dove si trovano.
  5. A tavola la moglie di Totò si lamenta perché mangiano "in 7 quello che è scarso per 2", ma con la mano sinistra fa il segno di 3.
  6. Quando Alberto Sordi informa Totò sul numero di pratica da ricercare, dice 460 B 61 mentre, subito dopo, per ricordarglielo dice "in sua memoria, pratica 480 B 61".
  7. Scena in casa Pappalardo, con sua eccellenza e Alberto Sordi. Mentre quest'ultimo parla, Totò ride, ma allo stacco di montaggio lo guarda pensoso.
  8. Durante l'esame, Totò fa per dare la mano ad uno degli esaminatori, ma allo stacco invece sta tenendo la mano sulla faccia.
  9. Passa la signorina Corradini nel corridoio e tutti gli impiegati sono sulla porta a guardarla. Ercole Pappalardi è su di una scala, da cui, comicamente, cade giù. E si vede molto bene che si tratta di una controfigura, perché viene inquadrato proprio di fronte.
  10. Pappalardo dice al collega Pietrucci "Dove andremo a finire? Mah!", però, quando dice "Mah!", l'audio è sfasato rispetto al labiale di un paio di secondi.
  11. La moglie di Pappalardo, gesticolando con un pezzo di pane (o di salame), dice che in sette si spartiscono una porzione che è scarsa per due. Ma allo stacco non solo non ha più nulla in mano, ma anzi la mano è posata sul tavolo!
  12. La moglie di Ercole Pappalardo commenta ironica "Villeggiatura!" mentre chiude la porta dopo aver salutato i vicini che vanno al mare. In realtà non apre bocca.
  13. Il giorno dello sciopero, il collega Pietrucci cerca di convincere Pappalardo a chiedere scusa a Sua Eccellenza per il famoso sputo. Lo spinge fuori dalla porta dell'ufficio, ma nella ripresa dal corridoio si vede che Totò esce fuori senza l'ausilio di alcuna spinta.
  14. Spoiler Ercole Pappalardo è sul letto e si appresta a morire. Chiede della figlia Ines: "Ines, dove sei?", tendendo la mano verso la ragazza. Ma allo stacco, la mano è posata sul letto.
  15. A proposito dei maestri che non mantengono la stessa posizione nelle varie inquadrature: quando Totò è entrato, da poco, nell'aula per affrontare l'esame, il maestro esaminatore al centro, dei tre presenti - inquadrato da vicino - ha il braccio sinistro che pende dietro la sedia ma, nell'inquadratura successiva, ha le braccia entrambe poggiate sul tavolo.

www.bloopers.it


Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo

La scuola dove Totò fa gli esami di licenza elementare e dove fa capire ad Alberto Sordi che cos'è il "paliatone" è in Via La Spezia a Roma.

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Il palazzo dove abita Totò e da cui finge di partire con la famiglia per le vacanze a Rapallo è in Via dei Banchi Vecchi a Roma.

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Vi tornerà poi furtivamente di notte.

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Il Ministero dove lavora come archivista capo Totò è il Ministero della pubblica istruzione in Viale di Trastevere a Roma.

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La strada utilizzata per i cortei funebri nel film (quello a metà film per la morte di Filippini durante il quale i suoi colleghi del Ministero parlano di tutto tranne che del morto e quello finale in cui Totò, per risparmiare, immagina i suoi funerali a piedi) è la Circonvallazione Clodia a Roma. Questo il funerale di Filippini

Questo il funerale di Totò

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Ecco il gruppo che passa davanti alla perpendicolare Via Durazzo

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Ancora parti riconoscibile della Circonvallazione Clodia:

E sempre lì, appena passato l'incrocio con Via Durazzo

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20 Feb 2022

Divertente come i suoi film, la vita di Alberto Sordi

Divertente come i suoi film, la vita di Alberto Sordi I compagni di scuola lo chiamavano "er ciccione" Il suo primo personaggio fu quello del brigante "Fra Diavolo” interpretato a otto anni…
Augusto Borselli, «La Settimana Incom Illustrata» anno VII, n. 31,32 e 33, agosto 1954
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21 Nov 2015

Ferrara Paolo

Ferrara Paolo (Stilo, 17 ottobre 1892 – Roma, 1965) è stato un attore italiano. Biografia Dopo la licenza liceale s'interessa di teatro e con varie compagnie recita dai primi anni dieci…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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06 Gen 2016

Ferri Riccardo

Ferri Riccardo Generico italiano che è stato attivo nel cinema italiano degli anni cinquanta (è fra quelli così elencati nell'Annuario del Cinema italiano 1950-1951) e in fotoromanzi. Non…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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23 Nov 2015

Galadini Eugenio

Galadini Eugenio Biografia È stato un attore caratterista o di secondo piano in moltissimi film a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta. A teatro debutta con Segnale di sangue…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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02 Dic 2015

Girard Amedeo

Girard Amedeo (Napoli, 14 febbraio 1893 – Napoli, 12 febbraio 1972) è stato un attore italiano. Biografia Nato da Giacomo, anch'egli attore e da Ersilia Pappalardo, artista della compagnia…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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23 Nov 2015

Gori Gorella

Gori Gorella (Roma, 2 febbraio 1900 – Roma, 25 novembre 1963) è stata un'attrice italiana, attiva nel cinema italiano fra gli anni trenta e gli anni cinquanta. Ha girato in carriera…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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14 Ago 2021

Il seduttore rovinato dalle amanti gelose

Il seduttore rovinato dalle amanti gelose Quando tre mesi fa il regista Antonio Petrucci arrivò a Madrid trovò alla stazione un signore che lo aspettava, il quale, con un fare cerimonioso…
Mario Agatoni, «L'Europeo», anno X, n.41, 1 agosto 1954
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02 Dic 2015

Landi Lilia (Giovannotti Lilia)

Landi Lilia (Giovannotti Lilia) Nome d'arte di Lilia Giovannotti (Roma, 24 agosto 1929 – 6 luglio 2019), è stata un'attrice italiana che è stata attiva nel cinema negli anni cinquanta.…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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31 Ott 2018

Laurenti Giuliano

Laurenti Giuliano Nato nel 1922 - Morto nel 1985 (data da verificare), fu un truccatore cinematografico. Cugino di Laurenti Mariano. Sposò Magnanti Elda, che come parrucchiera condivise…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
1851
31 Ott 2018

Laurenti Romolo

Laurenti Romolo Nato nel 1896 (da verificare) deceduto. Fratello di Angelo (l'attore teatrale famoso con alias "Bragalone"). Papà del regista Mariano. Probabilmente percorse la gavetta…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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04 Dic 2015

Marchesini Italia

Marchesini Italia (Napoli, 22 ottobre 1896 – Roma, 19 dicembre 1972) è stata un'attrice italiana. Biografia Italia Marchesini inizia a recitare giovanissima, in piccole parti di prosa…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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13 Nov 2015

Marchetti Nino (Giovan Battista - Giobatta)

Marchetti Nino (Giovan Battista - Giobatta) Pseudonimo di Giovan Battista Marchetti, a volte accreditato come Giobatta Marchetti (Codroipo, 21 febbraio 1909 – Roma, 2 settembre 1983), è…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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24 Feb 2021

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo

Mario Monicelli, un eroe del nostro tempo Se n’è andato uno dei più sapienti Artigiani del nostro cinema, grande narratore e appassionato testimone della cultura e dell’umanità italiane…
«L'Unità», 1 dicembre 2010 - Foto Archivio Istituto Luce
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09 Set 2018

Meniconi Furio

Meniconi Furio (Roma, 22 febbraio 1924 – Roma, 12 dicembre 1981) è stato un attore italiano. Biografia Alto 183 cm, fratello di Nello, Mario ed Alfio. Nell'ANNUARIO DEL CINEMA ITALIANO…
Simone Riberto, Daniele Palmesi, Federico Clemente
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23 Nov 2015

Milano Nino

Milano Nino (Eboli 28 febbraio 1920 - Roma 07 marzo 1989) è stato un attore italiano. Biografia Figlio di Cosimo e di Cosimina Rinaldi, nel 1958 sposa Edwige Havenstein. L'attore napoletano…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Monicelli Mario

Monicelli Mario Le origini (Roma, 16 maggio 1915 – Roma, 29 novembre 2010) è stato un regista, sceneggiatore e scrittore italiano. Negli anni Cinquanta abbiamo sbagliato tutto nei confronti…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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26 Nov 2015

Musy Gianni (Glori Gianni)

Musy Gianni (Glori Gianni) Gianni Musy, all'anagrafe Giovanni Musy (Milano, 3 agosto 1931 – Mentana, 7 ottobre 2011), è stato un attore, doppiatore, direttore del doppiaggio e paroliere…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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20 Nov 2015

Nobile Rio (Desiderio)

Nobile Rio (Desiderio) (Berlino, 12 maggio 1897 – Innsbruck, 4 novembre 1971), è stato un attore tedesco di origine italiana. Biografia Figlio di immigrati, "Rio" Nobile diventò cittadino…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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02 Dic 2015

Pala Giovanna

Pala Giovanna (Vergato - Bologna, 15 luglio 1932) è un'ex attrice italiana. Biografia Giovane modella con tratti fisici da maggiorata, ottenne il secondo posto nel concorso di Miss Europa…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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11 Nov 2015

Passarelli Eduardo (De Filippo Eduardo)

Passarelli Eduardo (De Filippo Eduardo) Pseudonimo di Eduardo De Filippo (Napoli, 20 luglio 1903 – Napoli, 9 dicembre 1968), è stato un attore italiano. Biografia Nasce dall'unione tra…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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18 Nov 2015

Poli Mimmo (Domenico)

Poli Mimmo (Domenico) Pseudonimo di Domenico Poli (Roma, 11 aprile 1920 – Roma, 4 aprile 1986), è stato un attore e caratterista italiano. Biografia È stato uno dei più noti e attivi…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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18 Nov 2015

Sordi Alberto

Sordi Alberto Biografia (Roma, 15 giugno 1920 – Roma, 24 febbraio 2003) è stato un attore cinematografico, regista sceneggiatore, conduttore televisivo, compositore, cantante, e doppiatore…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Steno (Vanzina Stefano)

Steno (Vanzina Stefano) Roma, 19 gennaio 1915 – Roma, 13 marzo 1988 Quando con Monicelli abbiamo fatto Totò cerca casa abbiamo trovato la stessa troupe che aveva lavorato ne L'imperatore di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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10 Apr 2014

Supertotò (1980)

SUPERTOTÒ (1980) Titolo originale SupertotòPaese di produzione Italia - Anno 1980 - Durata 98' - Colore e B/N - Audio sonoro - Genere Commedia, film di montaggio - Regia Brando Giordani,…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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09 Apr 2014

Tieri Aroldo

Tieri Aroldo L'incontro con Totò è avvenuto quando la mia posizione cinematografica era già avanzata. Qualche volta ho fatto delle partecipazioni anche minime perché mi voleva molto bene e…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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17 Gen 2014

Totò e la censura

TOTO' E LA CENSURA Indice La censura ed il suo sistema: le origini Incontri ravvicinati con Totò e la censura degli anni '50 Intervista a Luigi Zampa a proposito della censura nel cinema…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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19 Nov 2016

Totò e... Alberto Sordi

Totò e... Alberto Sordi Come Keaton e Charlot Ho lavorato una sola volta con Totò, nel 1951. Il film era Totò e i Re di Roma e il mio personaggio, una partecipazione, somigliava a quello di…
Daniele Palmesi, Orio Caldiron
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19 Nov 2016

Totò e... Aroldo Tieri

Totò e... Aroldo Tieri Ero il fidanzato geloso L'incontro con Totò è avvenuto quando la mia posizione cinematografica era già avanzata. Qualche volta ho fatto delle partecipazioni anche…
Daniele Palmesi, Orio Caldiron
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28 Apr 2016

Totò e... Eduardo Passarelli

Totò e... Eduardo Passarelli L’ultimo dei De Filippo: cronache semiserie di un Passarelli senza palcoscenico Nel gran teatro della vita – e che teatro! – spunta dalla trappola del sipario…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
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07 Giu 2016

Totò e... Mario Castellani

Totò e... Mario Castellani Un improvvisatore nato Per quarant’anni gli sono stato vicino nella vita e sul palcoscenico. Ho avuto l’onore di essere la sua « spalla » prediletta. Ci…
Orio Caldiron, Davide Morganti, repubblica.it, Alessandro Nocera, Giuseppe Grieco
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19 Nov 2016

Totò e... Mario Monicelli

Totò e... Mario Monicelli Negli anni Cinquanta abbiamo sbagliato tutto nei confronti di Totò. Abbiamo sbagliato a renderlo più umano, castrandogli la fantasia e portandolo dalle parti di…
Daniele Palmesi, Federico Clemente
5157
28 Mag 2016

Totò e... Steno

Totò e... Steno Fatti su misura Quando con Monicelli abbiamo fatto Totò cerca casa abbiamo trovato la stessa troupe che aveva lavorato ne L'imperatore di Capri di Comencini, entrambi i film…
Orio Caldiron, Enrico Vanzina, cinematografo.it, Franca Faldini, Goffredo Fofi
5638

Totò, genio puro come Keaton e Charlot

Totò, genio puro come Keaton e Charlot Ho lavorato una sola volta con Totò, nel 1951. Il film era «Totò e i Re di Roma» e il mio personaggio, una partecipazione, somigliava a quello di…
Alberto Sordi, «Il Mattino», mercoledi 15 aprile 1992
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Totò, il comico dalla faccia tragica

Totò, il comico dalla faccia tragica Con Totò è scomparso uno degli attori più amati dal pubblico e un uomo profondamente buono Sapeva riassumere, con il candore e la forza incisiva dei…
Piero Pintus, «Radiocorriere TV», anno XLIV, n.17, 23-29 aprile 1967
1632

Totò, il comico irripetibile

Totò, il comico irripetibile Di Totò — scomparso il 16 aprile scorso ancora in piena attività (stava girando le prime scene de Il padre di famiglia di Nanni Loy, che furono poi rigirate con…
Ernesto G. Laura, «Bianco e nero», anno XXVII, n.6, giugno 1967
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Riferimenti e bibliografie:

  • "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
  • "Totò e Peppino, fratelli d'Italia" (Alberto Anile, Lello Arena, Roberto Escobar), Einaudi tascabile -Stile Libero, 2001
  • "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
  • "Totò proibito" (Alberto Anile) - Ed. Lundau, 2005
  • "L’avventurosa storia del cinema italiano, vol. 1", (Franca Faldini - Goffredo Fofi), Edizioni Cineteca di Bologna, Bologna 2009
  • "Totò" (Orio Caldiron) - Gremese , 1983
  • "Totò attore" (Ennio Bispuri) - Gremese, 2010
  • Documenti censura Ministero dei Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo - Direzione Generale per il cinema
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
  • «Il Piccolo di Trieste», 13 novembre 1951
  • Vice, «Il Messaggero», 19 ottobre 1952
  • «Il Tempo», 19 ottobre 1952
  • Ugo Zatterin, «Il Giornale d'Italia», 19 ottobre 1952
  • Osvaldo Scaccia, «Film d'Oggi», 29 ottobre 1952
  • Franco Giraldi, «L'Unità», 29 novembre 1952
  • lan. (Arturo Lanocita), «Corriere della Sera», 10 dicembre 1952
  • Art., «Corriere d'Informazione», 11 dicembre 1952
  • Franco Zannino, «Rassegna del film», 11 febbraio 1953
  • Roberto Martini, «Novelle Film», 20 giugno 1953