Il comune senso del censore. Cinema, teatro e morale
«Il cristiano buono non vuole andare a spettacoli. E con ciò stesso ch’egli frena la sua bramosia per non andare a teatro, va dietro al Cristo gridando, gridando per esser guarito. Ma tanti altri ci vanno. Forse saranno pagani, o forse giudei? Al contrario. Se i cristiani non andassero a teatro, le persone nel teatro sarebbero talmente poche che si vergognerebbero e tornerebbero a casa anche toro. Ma anche i cristiani ci vanno, portando un nome santo che li farà punire»
Sant'Agostino (1)
1. La Chiesa non ha mai visto con occhio amico lo «spettacolo». La sua avversione al teatro è millenaria. Lo spettacolo, per la Chiesa, è fonte di male e di corruzione, perciò da combattere. Sant’Agostino, si badi, non combatte una determinata forma di spettacolo — il teatro o il circo, le commedie licenziose o le lotte dei gladiatori — ma lo spettacolo in sè, in quanto strumento di «corruzione» e di «scristianizzazione». È la stessa lotta della Chiesa. Tuttavia, non potendo tagliare alla radice questa mala pianta, non riuscendo, cioè, a farsi ubbidire dai fedeli — che nonostante ogni minaccia di punizione spirituale non rinunciano allo spettacolo — la Chiesa si vede costretta a ricorrere ad altre soluzioni. Tenta, perciò, d’impadronirsi dello Spettacolo e farne un mezzo di evangelizzazione, un veicolo di diffusione della propria morale. Questo fece col teatro, questo ha fatto col cinema.
Nei primissimi tempi, quando il cinema muoveva ancora faticosamente i primi passi, la Chiesa «fu ben lontana dall’immaginare quale formidabile e duraturo fenomeno sociale» fosse stato «innescato», come scrive Enrico Baragli S. J. Ancora nel 1901 — quando il cinema andava ormai affermandosi e diffondendosi come spettacolo di massa — don Fernando Ridolfo, che sarebbe poi diventato vescovo di Vicenza, scrive nella Rivista di fisica, matematica e scienze naturali : «Non v’è dubbio che, esaurito il campo della curiosità, questo mirabile strumento [il cinema] tornerà alla scienza, per cui fu ideato».
Questo «mirabile strumento», invece, cominciava già a entrare perfino nelle chiese. Tra le prime realizzazioni cinematografiche ci furono alcuni film «edificanti» {Processione di Lourdes, 1897; Le Cbriste marchant sur les eaux e Jeanne d’Arc, di G. Méliès, del 1899 e del 1900; Quo vadis?, di Pathé, del 1902; Vita di Gesù Cristo, di Zecca del 1904). «Non fa dunque meraviglia, scrive Baragli (2), che vari sacerdoti abbiano ingenuamente pensato di adoperarli, specialmente sotto le feste di Pasqua, come sussidi per la formazione religiosa dei fedeli, proiettandoli, nuovi e moderni 'drammi sacri’, nelle loro chiese». Ma l’«ingenuità» di quei sacerdoti fu imperdonabile : ben presto giunse da Roma l’interdetto: il 10 dicembre 1912 la Sacra Congregazione Concistoriale emette il primo documento ufficiale della Santa Sede sul cinema (3).
In questi ultimi anni, con una certa frequenza, si vanno tenendo nelle chiese spettacoli cinematografici o di proiezioni; ma ciò, per quanto suggerito dal santo proposito di favorire la formazione religiosa dei fedeli, è stato giudicato facile occasione di pericoli e di inconvenienti. Avendo, dunque, alcuni ordinari richiesto alla Santa Sede se tale pratici si possa ammettere, o non piuttosto si debba proibire, la questione è stata proposta agli eminentissimi Padri della S. Congregazione Concistoriale. Questi, considerando che le chiese consacrate a Dio, nelle quali vengono celebrati i divini misteri e i fedeli vengono indirizzati alla vita spirituale e soprannaturale, non si debbono impiegare ad altri usi, tanto meno per tenervi spettacoli, per quanto onesti e pii, hanno deciso di assolutamente vietare nelle chiese ogni sorta di rappresentazioni mediante proiezioni, o cinematografiche. Sua Santità il Papa Pio X ha approvato e confermato la sentenza degli eminentissimi Padri, ed ha ordinato che si promulgasse questo decreto, vietante siffatti spettacoli nelle chiese. Firmato : Cardinale C. De Lai, Segretario.
Il primo atto ufficiale della Chiesa, nel settore del cinema, è, quindi, di condanna. «Siffatti spettacoli» nei luoghi consacrati al culto non si possono ammettere neppure se «onesti e pii», neppure se usati dai preti per «favorire la formazione religiosa dei fedeli». La Chiesa li giudica «facile occasione di pericoli e di inconvenienti».
Questa condanna, però, non vale ad arrestare lo sviluppo del cinema, a bloccare la sua diffusione mondiale fra le masse. La curiosità si trasforma in normalità, anzi in necessità, e il cinema s’afferma e s’impone sul piano della cultura e dell’arte, diventa fenomeno industriale di grandissima importanza. La Chiesa, perciò, è costretta a rivedere la sua posizione, a modificare il suo primo giudizio. E ritratta la condanna. La Santa Sede, gli eminentissimi Padri, si rendono finalmente conto che i preti che s’erano serviti dei primi film «edificanti» come strumento accessorio ma utilissimo ai fini della formazione cristiana dei fedeli non s’erano sbagliati, e ora li incoraggiano, dapprima passivamente, a servirsi del nuovo strumento che la tecnica offre anche per l’evangelizzazione delle masse. Ufficialmente, tuttavia, Benedetto XV — che succede a Pio X —-si disinteressa del cinema.
Così, la condanna di Pio X viene dimenticata. La Chiesa, ora, non potendo più condannare il cinema, non avendo più interesse, cioè, a interdire questo spettacolo, si vede costretta ad accettare il male minore. Le gerarchie cattoliche, perciò, cominciano a distinguere tra cinema che comporta una «facile occasione di pericolo» e cinema «sano», tra spettacolo immorale e spettacolo morale. Va da sé che quest’ultimo riceve la più piena approvazione, che s’estende fino ad aprirgli le porte delle chiese, mentre l’altro è combattuto strenuamente.
La lotta contro il cinema immorale viene ingaggiata dalle organizzazioni cattoliche in tutto il mondo, ed è seguita attentamente dalla Santa Sede. Sotto il pontificato di Pio XI (1922-1939), il Vaticano interviene ufficialmente nei fatti del cinema con tredici documenti ufficiali, undici dei quali firmati personalmente dal pontefice. La serie è aperta dal cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato, che esprime all’Unione Femminile Cattolica Italiana il rallegramento dell’«augusto Pontefice» per l’«opera felicemente compiuta» ( «Si videro così le donne e le giovani cattoliche italiane... insinuarsi nelle commissioni di revisione per la moralità dei teatri e delle films cinematografiche...»), e il suo invito «a non riposarsi sulle trincee conquistate» (4).
Devono passare alcuni anni, però, perché il Papa intervenga personalmente. Lo fa nell’enciclica Divini lllius Magistri, il 31 dicembre 1929 (5) : «Questi potentissimi mezzi di divulgazione [i libri, gli spettacoli cinematografici e le audizioni radiofoniche]... vengono purtroppo spesso subordinati all’incentivo delle male passioni e all’avidità del guadagno...».
Allo spettacolo Pio XI accenna nuovamente all’enciclica Casti Connubii, il 30 dicembre 1930 (6).
È un fatto, in verità, che non più di nascosto o nelle tenebre, ma apertamente, messo da parte ogni senso di pudore, così a parole come in scritto, con rappresentazioni teatrali d’ogni specie... con film, con trasmissioni radiofoniche, infine, con tutti i trovati più recenti della scienza, è conculcata o messa in derisione la santità del matrimonio, e invece o si lodano i divorzi, adulteri e vizi più turpi o, se non altro, si dipingono con tali colori che sembra si vogliano far comparire scevri d’ogni macchia ed infamia.
Qualche settimana dopo, Pio XI parla ancora del cinema (7).
Il secondo male, anzi sorgente di male, è il cinematografo, al quale, oltre a tutti gli inconvenienti sempre deplorati, si sono aggiunti, ora, gli spettacoli detti «del varietà»... Si tratta — per quanto concerne gli spettacoli — di tanti e tanti figli, di tanti innocenti condotti alla strage, e spesso sono i genitori che li conducono... ma spesso è anche il caso di molti che sono ingannati : si affidano all’opera di una censura che deve provvedere; ma sovente o non si è provveduto...
L’immoralità del cinema è denunciata ancora dalla Segreteria di Stato, in una lettera del Cardinal Eugenio Pacelli (il futuro Pio XII) al presidente dell’Office Catholìque International du Cinématographe, canonico Abel Brohée (8).
Nonostante le misure prese dalle pubbliche autorità dei diversi paesi, si continuano a segnalare e a denunciare da tutte le parti al Santo Padre i pericoli morali e religiosi causati dai film, che esercitano un’influenza irresistibile su grande parte dell’umanità, e specialmente i beni supremi apportati dal Cristianesimo, senza dei quali non si conserva né si sviluppa la civiltà cristiana nel mondo. Così, dunque, mentre si spegne lentamente la delicatezza di coscienza e l’istintiva forza di reazione contro il male, che è l’indice e la misura della virtù, le menti si oscurano: scivolano colpevolmente verso concezioni del mondo e della vita del tutto inconciliabili con le regole della sapienza cristiana.
Pochi mesi dopo, parlando nuovamente del cinema, Pio XI esprime «tutte le grandissime preoccupazioni che il cinematografo gli procura» e deplora che il cinema «sia fonte e veicolo precipuamente e quasi sempre di un male enorme» (9).
Dopo questa serie di interventi, eccoci al «primo solenne documento pontificio consacrato al cinema», l’enciclica Vigilanti Cura (10), nella quale il Papa «sintetizza, armonizza e completa quanto insegnato nei documenti precedenti». Pio XI denuncia nuovamente «quanto danno producono i film cattivi nelle anime», ammonendo che questi film «divengono occasioni di peccato; inducono i giovani nelle vie del male, perché sono la glorificazione delle passioni; distruggono il puro amore, il rispetto per il matrimonio, l’affetto per la famiglia. Possono altresì creare facilmente pregiudizi fra gli individui e dissidi fra le nazioni, fra le classi sociali, fra le intere razze» ; e deplora ancora la «corruzione dei giovani» causata dal cinema («tanta strage di anime di giovani e di fanciulle, tante innocenze che si perdono proprio nelle sale cinematografiche»).
Sul tema della «strage delle anime» Pio XI ritorna più volte in documenti successivi, cogliendo ogni occasione.
La denuncia e la condanna del «cinema immorale» sono riprese con particolare energia da Pio XII (1939-1958), sotto il pontificato del quale la Santa Sede interviene una cinquantina di volte in materia di cinema, compresi i 17 interventi personali del Papa. Dopo alcuni discorsi tra il ’41 e il ’44, Pio XII, parlando il 14 luglio 1945 ai membri della Moctìon Preture Executive Committee of Hollywood, dice (11) :
Che cosa penetra dallo schermo nel più profondo dell’anima, dove via via cresce il tesoro del sapere dei giovani e dove si delineano le norme e i motivi di condotta, modellandone definitivamente il carattere? È forse qualche cosa che migliorerà i cittadini, che, affezionandoli al lavoro e rendendoli rispettosi delle leggi, li farà vivere nel santo timor di Dio e, quindi, li porterà a cercare le loro gioie e i loro divertimenti in svaghi onesti e sani? San Paolo, citando Menandro, antico poeta greco, scriveva ai fedeli di Corinto che le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi. Quel che era vero allora non lo è meno oggi, poiché la natura umana poco muta col passar dei secoli. E se è vero, come lo è, che le cattive conversazioni corrompono la vita morale, con quanta maggior efficacia questa sarà corrotta dalle cattive conversazioni accompagnate da azioni rappresentate al vivo, qualora facessero ingiuria alla legge di Dio e della pubblica morale?
Questi e analoghi concetti tornano più volte nei documenti pontifici e, specie in Italia, sono ripresi in ogni occasione dal clero. Il 23 aprile I960, ad esempio, la Conferenza episcopale salernitano-lucana, in una lettera al ministro dello spettacolo, scrive (12):
Riuniti per le annuali conferenze episcopali della nostra regione ecclesiastica salernitano-lucana, abbiamo portato in particolare la nostra attenzione pastorale sul settore della pubblica moralità. Ed abbiamo purtroppo dovuto constatare che anche nelle città e persino nei piccoli paesi delle nostre diocesi avanza, limaccioso e minaccioso, questo vero torrente di fango che, attraverso tante vie, ma specialmente attraverso i pubblici spettacoli, sta travolgendo e distruggendo quanto ancora resta della sana e cristiana moralità di nostra gente... Cinema. La crescente immoralità ed oscenità di un buon numero di pellicole — purtroppo anche e soprattutto di produzione italiana — è ormai un fatto innegabile, al quale ci si è in un certo modo abituati e rassegnati, come dinanzi a una fatalità, dalla quale sia impossibile difendersi. Non si tratta più di uno scorcio o di una scena più o meno audace, si tratta di vere e proprie tesi che gli autori vogliono impostare, per partito preso, allo scopo di sganciare l’uomo da ogni freno di moralità, sia pure soltanto naturale, ed abbandonarlo supinamente a quanto vi è di deteriore nella sfera degli istinti... Televisione. Diciamo subito con tutta lealtà che non tutte le cose presentate sul video sono immorali. Anzi dobbiamo aggiungere che non mancano programmi effettivamente buoni e costruttivi, anche dal punto di vista religioso. Ma ci domandiamo se non si potrebbe e dovrebbe impedire che spettacoli in gran parte buoni o per lo meno innocui siano poi guastati e avvelenati da scene troppo audaci, abbigliamenti e pose provocanti, frasi e battute di bassa lega. Sappiamo bene che critici spregiudicati vanno dicendo e scrivendo che la TV in Italia è fatta per le educande e per le suore. Magari lo fosse! ci sarebbe tutto da guadagnare per il nostro Paese. Ma così non è, nè pretendiamo certo che sia così. Solo osserviamo che la TV entra nell’intimità del santuario familiare... ed è così che quel pizzico di veleno corruttore, somministrato quotidianamente a piccoli e a grandi, si inocula come un virus nella tradizionale sanità morale delle nostre famiglie...
Alla «moralità dello spettacolo» ha dedicato quest’anno la sua «Comunicazione» la Conferenza Episcopale Italiana (13).
La Conferenza Episcopale Italiana, vivamente preoccupata per la crescente immoralità di larga parte della produzione cinematografica attuale, sente il dovere di invitare tutti i cattolici a prendere chiara coscienza di questo dolorosissimo fenomeno, che offende la dignità cristiana e il buon nome del popolo italiano, attenta alla sanità dei suoi costumi e costituisce un grave pericolo per tutti, in particolar modo per le giovani generazioni.
Chi guarda alla produzione cinematografica attuale, non può non sentirsi preso da profondo sgomento per uno stato di cose che va quotidianamente peggiorando. I dati che si riferiscono agli anni 1959 e I960 indicano che la percentuale dei film inaccettabili è salita in maniera impressionante. Nel quadro della produzione mondiale, l’Italia, purtroppo, sembra avviarsi ad un triste primato per il numero di film moralmente negativi. L’atmosfera che in essi si respira è ormai conosciuta perché si ripete con monotonia esasperante. Sembra che per certa produzione non esista altro, nella vita, che la realtà brutale della violenza e del cinismo, della spregiudicatezza più aggressiva e della licenza, del vizio e dei pervertimenti sessuali presentati nelle forme più vergognose ed avvilenti. In linea generale, non si avverte in essa alcun richiamo alle realtà più alte della vita, non si intravede un minimo spiraglio di apertura verso le aspirazioni autentiche dello spirito, non si avverte uno sforzo a comprendere ed accettare le dimensioni spirituali dell’uomo. Della vita si vede e si accetta solo la zona piatta e grigia della materia e del senso.
In questo squallore di prospettive è naturale che tale produzione cinematografica diventi compiacente pubblicità d’un mondo malato, duna società in decomposizione morale, dove i valori più sacri vengono calpestati o negletti. Particolarmente colpiti e profanati sono i valori della famiglia e dell’amore; viene meno ogni senso di rispetto verso la donna, vista soltanto come strumento di divertimento e di piacere; spesso si insinua la sfiducia ed il dispregio verso ogni forma di autorità; si irride a tutto ciò che significa sacrificio e rinunzia per fini morali e si esaltano — quasi fossero unici ideali di vita — le realtà del denaro, del lusso, del facile successo esteriore, del fatuo divismo; ci si sofferma con compiaciuta ostinazione sugli aspetti più scabrosi, equivoci e degradanti dell’esistenza. Tutto ciò è radicalmente opposto ad una concezione non soltanto cristiana, ma anche umana, della famiglia e dell’amore.
Né va taciuta la pubblicità cinematografica che costituisce sovente una pubblica aggressione morale ed una sfacciata esibizione della violenza e della sensualità, tanto più grave perché si ostenta anche a chi è costretto a subirla per le vie e per le piazze... Ci limitiamo ad affermare, in base all’esperienza diretta che abbiamo delle anime, che — al di là di ogni discussione teorica — oggi ce un dato di fatto incontrovertibile e pauroso: larga parte del cinema attuale semina rovine morali senza nome in moltissime anime, soprattutto fra i giovani. Questo è un fatto davanti al quale le contestazioni non hanno valore. In questi ultimi tempi sono emersi, nella vita nazionale, certi episodi di disorientamento e di delinquenza giovanile — segni estremi di una realtà di fondo generale molto grave — che hanno profondamente impressionato l’opinione pubblica e richiamata l’attenzione della stessa Magistratura. Le cause di questa deviazione sono varie, ma siamo convinti che le maggiori responsabilità cadano, oltre che sulle famiglie e sulla stampa, sul cinema. Si sottopongono quotidianamente le anime giovanili a tutte le sollecitazioni del male e poi ci si meraviglia se in esse gli istinti fatalmente si scatenano e rompono tutti gli argini!
2. La Chiesa non si è limitata a denunciare il male, né si è accontentata di una difesa passiva. Uno degli scopi della vita, secondo la morale cattolica, è quello di combattere il male. Perciò la Chiesa ha promosso una lotta senza quartiere allo spettacolo, servendosi di tutti i mezzi possibili, da ogni forma di censura alla pressione sulle autorità pubbliche e sui produttori cinematografici. La censura, pertanto, non solo è approvata, ma è anche suggerita, e anzi imposta. Alla Chiesa non interessa se il Governo che impone la censura sia democratico o fascista. Quello che le importa è che il Governo non si limiti a imporre solo una censura politica, ma che estenda il controllo e la repressione anche allo spettacolo che contravviene alla morale cattolica. Purché questa morale sia salva, la Chiesa dà a qualsiasi Governo il conforto della sua approvazione. Parlando ai delegati del Congresso internazionale della Stampa cinematografica, il 21 aprile 1936 (14), Pio XI si felicita «con S.E. Alfieri», il quale aveva rilevato che, specie in Italia, si poteva «notare qualche progresso soprattutto in tema di controllo della produzione cinematografica». La constatazione del ministro fascista, rileva il Pontefice, era «bella e preziosa... giacché il controllo è una delle grandi necessità e il gran mezzo... uno dei più efficaci mezzi per incanalare tutta la grande produzione del cinematografo e tenerla in quelle linee dove deve stare». Il Papa, tuttavia, non è soddisfatto del «controllo» esercitato dalle autorità pubbliche. La vigilanza, sostiene il Pontefice, «richiede un’attenzione tutta particolare... specie in riguardo alla sua estensione e profondità». Pio XI si rammarica di dover «purtroppo constatare che molta produzione cinematografica sfugge a tale controllo», e riafferma la «necessità imprescindibile di estendere la benefica efficacia» della vigilanza.
«C'è controllo e controllo, soggiunge il Papa. Ve il controllo severo, il controllo troppo severo; al contrario, c’è il controllo benigno, benevolo, troppo benigno e benevolo... Ma il controllo deve essere giusto, deve essere giustamente severo... Quale grande sventura se il controllo non funziona sia in quantità che in qualità, sia in estensione che in profondità e severità! Che succede quando un cosiffatto controllo non si verifica? È triste a dirsi: in questo caso il controllo diventa il passaporto per ogni produzione, anche per la più deplorevole».
Sulla «vigilanza» Pio XI ritorna nell’enciclica Vigilanti Cura (15).
È, dunque, una delle necessità supreme del nostro tempo vigilare e lavorare perché il cinema non sia più scuola di corruzione, ma si trasformi anzi in prezioso strumento di educazione ed elevazione dell’umanità. E qui ricordiamo con compiacenza che qualche governo, impensierito dell’influenza del cinema nel campo morale ed educativo, ha creato, mediante persone probe ed oneste, e specialmente padri e madri di famiglia, apposite commissioni di censura.
La necessità della censura statale è ribadita da Pio XII in un discorso alle «giovani romane» (16). Il Papa dice:
Senza dubbio, tutti i buoni si rallegrano se lo Stato, con leggi sapienti, combatterà le figure e le rappresentazioni immorali nella stampa, negli spettacoli cinematografici, sulle scene, alla radio.
Su questo tema, Pio XII ritorna nel primo «Discorso sul film ideale» (17).
Invero come potrebbe essere lasciato in balìa di se stesso o condizionato dal solo vantaggio economico un mezzo, in sé nobilissimo, ma così efficace ad elevare gli animi, come a depravarli? Un veicolo così lesto ad arrecare il bene, ma anche a diffondere il male? La vigilanza e la reazione dei pubblici poteri, pienamente giustificate dal diritto di difendere il comune patrimonio civile e morale, si manifestano con varie forme : con la loro proibizione... Se, pertanto, il patrimonio civile e morale del popolo e delle famiglie dev’essere tutelato con sicuro effetto, è più che giusto che la pubblica autorità intervenga debitamente per impedire o frenare i più pericolosi influssi. L’autorità pubblica, dunque, «non fa che esercitare la sua funzione di promuovere il bene comune quando... limita gli eccessi di quelli che giungono a servirsi... del cinema o della televisione per attentare alla pubblica moralità, propagare pericolosi errori, spandere le calunnie, diffamare persone, o esacerbare le passioni popolari» (18).
Pio XII riprende il tema della censura nella Miranda Prorsus (19).
L’autorità civile senza dubbio è tenuta a compiere il grave dovere di vigilare anche sui nuovi mezzi di comunicazione sociale; ma tale vigilanza non può limitarsi alla difesa degli interessi politici, bensì deve estendersi a tutelare la moralità pubblica... La stessa vigilanza dello Stato non può essere considerata un’ingiusta pressione della libertà dei singoli individui, perché si esercita non circa la loro persona privata ma rispetto a tutta la società umana, nella quale agiscono questi mezzi di comunicazione.
Giustificata la censura, la Chiesa getta tutto il peso della sua autorità nell’esigere dal potere civile il controllo dello spettacolo. Durante il fascismo, l’intervento e le pressioni della Chiesa furono piuttosto caute, soprattutto perché l’efficienza della censura fascista non dava che raramente alle gerarchie ecclesiastiche l’occasione di lamentare l’immoralità degli spettacoli. Luigi Freddi, che fu per anni direttore generale per la cinematografia presso il ministero della stampa e della propaganda, ricorda tuttavia un intervento di padre Tacchi Venturi (20), dal quale apprese che «negli ambienti vaticani» si contava «con benevola simpatia» sull’azione del ministero fascista per il controllo della produzione cinematografica.
Alla fine della guerra, le pressioni delle gerarchie ecclesiastiche sul Governo e sul Parlamento diventano innumerevoli. Ma basterà ricordare solo qualcuno degli ultimi e maggiori interventi. I vescovi riuniti nella conferenza episcopale salernitano-lucana, nell’aprile I960, scrivendo al ministro dello spettacolo (21), gli rivolgono «un caldo ed accorato appello» esortandolo a «provvedere, con tutti i mezzi a sua disposizione, una vera opera di risanamento in così delicato settore dei pubblici costumi».
Il Cardinal Tardini, segretario di Stato, in una lettera all’Ufficio Internazionale Cattolico del Cinema (22), scrive:
Si desidererebbe vedere l’autorità civile intervenire in maniera più decisa allo scopo di bandire dalla vita pubblica gli spettacoli degradanti, qualunque sia il pubblico al quale essi sono indirizzati. Le migliori iniziative a favore della gioventù rischierebbero infatti di dare scarsi frutti se i giovani fossero portati a credere che, una volta superato un certo limite di età, essi non sono tenuti a nessuna obiettiva norma morale né esposti ai pericoli connessi con la natura umana. E che potrebbero, d’altra parte, pensare nel vedere film immorali annunciati, diffusi e frequentati dagli adulti, a dispetto delle leggi della coscienza?
La Conferenza Episcopale Italiana, a sua volta, nella «Comunicazione» del 20 marzo 196 1 (23), scrive:
Rivolgiamo una viva preghiera anche a coloro che sono preposti alla tutela del pubblico costume, del cui compito comprendiamo le difficoltà, affinché si rendano interpreti sempre più illuminati e difensori coraggiosi delle tradizioni civili.. Il patrimonio morale del popolo italiano è un patrimonio comune a tutti e tutti gli onesti devono sentire il dovere di tutelarlo come la ricchezza più grande, anche se a volte questa tutela comporta fastidi ed impopolarità. Ogni cedimento sarebbe una strada per cedimenti maggiori. Si faccia ogni sforzo per rendere più operanti le leggi che regolano attualmente questa materia; si studino norme legislative più adeguate, se ciò si dimostri necessario. Ma l’integrità morale del nostro popolo dev’essere difesa a qualsiasi costo, poiché a nulla servirebbero tutte le riforme materiali ove si determinasse un decadimento generale del costume pubblico.
3. La Chiesa non si batte, per «moralizzare lo spettacolo», solo denunciando il male e invocando la censura statale. Ricorre anche ad altre iniziative, a cominciare dalla diffusione dei principi dell’arte cattolica. L’arte, per la Chiesa, «ha quale compito suo essenziale, e come la sua stessa ragione di essere, quello di essere perfettiva dell’entità morale che è l’uomo, e perciò deve essere essa stessa morale : nel caso contrario si avrebbe l’assurdo più dannoso» (24). «L’ufficio e la missione dell’arte rettamente usata — ribadisce Pio XII — è d’innalzare, mediante la vivezza della rappresentazione estetica, lo spirito ad un ideale intellettuale e morale, fino ad elevarlo verso Dio» (25).
Lo spettacolo, quindi, per poter essere approvato dalla Chiesa, deve rientrare nella linea della morale cattolica. In quanto ai film saranno morali solo quelli che
oltre che ricreare, possono suscitare nobili ideali di vita, diffondere preziose nozioni, fornire maggiori conoscenze della storia e delle bellezze del proprio e dell’altrui Paese, presentare la verità e le virtù sotto una forma attraente, creare, o per lo meno favorire una comprensione fra le nazioni, le classi sociali e le stirpi, promuovere la causa della giustizia, ridestare il richiamo della virtù e contribuire quale aiuto positivo al miglioramento morale e sociale del mondo (26).
Al «film ideale» Pio XII dedica due discorsi (27). Nel primo (28), dopo aver parlato dello «straordinario potere del cinema nella società contemporanea», considera il film ideale «in relazione al soggetto, vale a dire agli spettatori cui il film è dedicato», e precisa che «il primo carattere, che a questo riguardo deve contraddistinguere il film ideale, è il rispetto verso l’uomo». Il «rispetto» non basta: occorre che il film abbia anche «un’affettuosa comprensione» per l’uomo e per le «altezze» e gli «abissi», le «ascese» ed i «declini», le «virtù» e i «vizi», i «grovigli» e le «tregue», le «vittorie» e le «sconfitte» tra i quali si muove la vita.
Il film deve comunicare a colui che vede ed ascolta il senso della realtà, ma di una realtà veduta con gli occhi di chi sa più di lui, e trattato con la volontà di chi fraternamente si pone quasi accanto allo spettatore per poterlo, se è il caso, aiutare e confortare... Senza dubbio è concesso al film ideale di condurre lo spirito stanco e attediato sulle soglie del mondo dell’illusione, affinché goda una breve tregua nell’opprimente realtà... Il film ideale ha infine un’alta e positiva missione da compiere... ha proprio l’alto ufficio di porre la grande possibilità e forza d’influsso, che già riconoscemmo alla cinematografia, al servizio dell’uomo e d’essergli di aiuto a mantenere ed attuare l’affermazione di se stesso nel sentimento del retto e del buono.
Nel secondo discorso (29), Pio XII considera il film ideale «in relazione all’oggetto, cioè al contenuto del film stesso e in relazione alla comunità». Quanto al contenuto, dice il Pontefice, sarà ideale il film che si adegua alle primordiali ed essenziali esigenze dell’uomo: la verità, la bontà, la bellezza. È indispensabile quindi che il film «rispecchi» la realtà «buona e bella». Il film, poi, «non dovrebbe ignorare l’elemento religioso», poiché
anche film moralmente irreprensibili possono tuttavia riuscire dannosi spiritualmente, se offrono allo spettatore un mondo in cui le persone vivono e muoiono come se Dio non esistesse. Può essere talvolta sufficiente in un film un breve momento, una parola su Dio, un pensiero» verso di Lui, un sospiro di fiducia in Lui, una implorazione di aiuto divino.
Il Papa ammonisce però che «non ogni fatto o fenomeno religioso è trasferibile sullo schermo... perché la pietà e il rispetto vi si oppongono». Cautele e limitazioni, dice Pio XII,
si impongono per i film storici che trattano di uomini e di avvenimenti, i quali furono al centro di contrasti religiosi, non del tutto sopiti: ivi il primo requisito è la verità; questa però deve sapersi conciliare con la carità.
In altre parole, la verità non sempre si potrà dire, né è lecito utilizzare liberamente come materia di spettacolo cinematografico la storia. Ci si può stupire, allora, se il cinema italiano ignora Lutero, Paolo Sarpi, Giordano Bruno e perfino Savonarola? Se la censura fa il suo «dovere»?
Anche per la rappresentazione del male bisogna essere cauti: il film potrà rappresentarlo, a condizione, però, che «dimostri la sua riprovazione in tutto il corso della rappresentazione e non solo nella chiusa». Il Papa considera quindi il film, ideale «in relazione alla comunità», insegnando «che cosa di prezioso e di preziosissimo può offrire un film ideale alla famiglia, allo Stato, alla Chiesa».
Toccando il tema della famiglia, il film non dovrebbe rappresentare altro che «la felicità dei coniugi, genitori e figli, i pregi di essere stretti dal vincolo degli affetti nel riposo e nella lotta, nella gioia e nel sacrificio» ; né dovrebbe mostrare altro che padri «di saldo carattere», che fanno ciò che devono, lavorano e lottano, sanno sopportare e attendere, ed essere sinceri e fedeli nell’amore coniugale; che donne «nel più nobile e degno senso della parola», spose e madri «di condotta irreprensibile», dedite «alla casa e alla sua intimità» ; che figli «rispettosi verso i genitori» e «servizievoli». Nei suoi rapporti con la comunità, il film, nel rispetto dell’ «autorità e del diritto dello Stato a presiedere il bene temporale comune», dovrà «intervenire opportunamente per impedire correnti dissol vitrici». Quindi, non potrà che «configurare positiva-mente» gli «istituti e le attività statali, come sono i provvedimenti della legislazione, della amministrazione, della giustizia», e «passar sopra, nell’interesse del pubblico bene, ad inevitabili errori, talora purtroppo irrevocabili». Per quanto si riferisce alla Chiesa, infine, Pio XII ammonisce:
Se un film... vuol essere fedele all’ideale in ciò che concerne la Chiesa di Cristo, deve, al di là della perfetta forma artistica, essere concepito ed eseguito in modo da ispirare allo spettatore comprensione, rispetto, devozione verso la Chiesa.
4. Denunciato il male, anzi la «sorgente del male», giustificata e richiesta la censura statale, insegnando qual è lo spettacolo ideale, la Chiesa esercita la sua influenza sui produttori: invitandoli a realizzare film ideali, e minacciandoli con la propria censura, che si concreta in due direzioni : esclusione dei film «immorali» dal circuito delle sale parrocchiali e divieto ai fedeli di vedere nelle sale di pubblico spettacolo i film disapprovati.
L’invito ai produttori è stato ripetuto decine di volte. Dice Pio XII nella Miranda Prorsus (30).
Paternamente invitiamo i produttori e i registi cattolici a non permettere la produzione di film contrari alla fede e alla morale cristiana; ma se questo, quod Deus avertat, succedesse, i vescovi non mancheranno di ammonirli usando anche, se occorresse, opportune sanzioni.
Seguendo l’esempio del Papa e della Santa Sede, il clero e le associazioni cattoliche non hanno perduto un’occasione per richiamare i produttori al dovere di attenersi alla morale cattolica. Nel ’49, ad esempio, l’Office Catholique International du Cinéma rivolge ai produttori un «appello solenne» (31)
Vista l’importanza sempre crescente degli spettacoli cinematografici per la formazione culturale e morale delle grandi masse della popolazione; considerando che, sotto il pretesto della libertà illimitata dell’artista, certi film impongono alle masse una immagine estremamente deprimente della vita, nella quale la dignità della persona umana è dolorosamente schernita; considerando che la maggior parte dei film propongono al pubblico un ideale di vita limitato a una concezione puramente materialista della felicità, senza tener conto dell’origine e del destino soprannaturali dell’uomo; rivolge un appello solenne ai capi responsabili dei grandi centri della produzione cinematografica del mondo libero, affinché sia incoraggiata la realizzazione di film che corrispondano alle preoccupazioni sociali e spirituali dei popoli minacciati dall’onda del materialismo ateo, affinché uno spirito autenticamente cristiano sia introdotto nella produzione cinematografica, senza contentarsi di un formalismo morale che serve talvolta a dissimulare intenzioni opposte, o tradisce a dir poco una profonda ignoranza delle cose della religione; affinché il cinema diventi uno strumento veramente positivo di divertimento e di cultura, restituendo al pubblico il gusto di una vita onesta, con il coraggio di affrontare le difficoltà quotidiane; assicura ai professionisti del cinema la sua piena collaborazione, in vista di facilitar loro, nella misura del possibile, la realizzazione dei voti contenuti nel presente appello, e promette loro che un programma così concepito troverà l’appoggio dei cattolici che militano nei diversi paesi del mondo in favore del buon cinema.
La Chiesa, tuttavia, non se mai illusa che i suoi ripetuti inviti potessero essere accolti dai produttori. Così, ha tentato di realizzare una sua produzione cinematografica e, soprattutto, di costituire una sua rete di sale cinematografiche. Il cinema, che Pio X aveva bandito dalle chiese, entra trionfalmente nelle parrocchie, perché assolva a una duplice funzione: di strumento ausiliario per l’educazione cristiana dei fedeli, e di mezzo col quale influenzare i produttori cinematografici, inducendoli a produrre film se non proprio «ideali» almeno compatibili con le minime esigenze della morale cattolica. «Mediante l’organizzazione di tali sale, dice Pio XI (32), che per l’industria rappresentano spesso dei buoni clienti, si potrà esigere che la stessa industria produca film corrispondenti pienamente ai nostri princìpi, i quali saranno poi facilmente proiettati non soltanto nelle sale cattoliche ma anche nelle altre». In Italia, le sale parrocchiali son venute diffondendosi dapprima con una certa fatica, soprattutto perché durante il fascismo la Chiesa non sentiva la necessità di impegnarsi a fondo in questo settore. All’indomani della liberazione, però, il clero moltiplicò i suoi sforzi per un rapido e continuo sviluppo della rete parrocchiale, approfittando, ovviamente, del particolare clima politico favorevole. Scrive Angelicum Film, una rivista di una casa cattolica di distribuzione di film :
Prima di questa ultima guerra il cinema nelle sale cattoliche o istituti dipendenti dalle organizzazioni cattoliche aveva uno sviluppo limitatissimo se non quasi nullo ed il cinema parrocchiale non aveva alcun peso sul mercato cinematografico... Da una recente statistica risulta che le sale cinematografiche in mano di civili si aggirano sulle dodicimila mentre le sale cattoliche superano le quattromila. Quattromila sale sono dunque nate nella quasi totalità dal 1946 ad oggi [1953]. Fra altri sette anni, se lo sviluppo andrà di questo passo, le sale cattoliche avranno pareggiato le sale civili... Per moralizzare il cinema occorre che tutte le parrocchie e gli enti cattolici abbiano la loro sala cinematografica. Avremo così da parte dei produttori, per la maggior parte dei quali il denaro è la maggior leva, se non l’unica, film buoni, anzi ottimi al cento per cento.
Quale sia oggi il numero delle sale parrocchiali non è facile dirlo: alcuni parlano di almeno settemila, altri di cinque o seimila. Certo è, tuttavia, che la rete cattolica si va sempre incrementando. Tuttavia, il tentativo di servirsene come di uno strumento economico capace di condizionare la produzione cinematografica nazionale può dirsi praticamente fallito. Come spiegarsi, altrimenti, la continua denuncia di una crescente immoralità del cinema italiano? O questa denuncia è falsa, e il nostro cinema non è poi tanto immorale come si vorrebbe far credere; ovvero i cinema parrocchiali non sono in grado di imporsi come moneta di scambio alla produzione nazionale. Questo, però, non toglie nulla, ovviamente, ai desideri e alle ambizioni che hanno spinto la Chiesa a creare una sua rete di sale cinematografiche. E la minaccia, prima o poi, potrebbe anche riuscire a farsi sentire.
5. La Chiesa approva ed esige, come abbiamo visto, la censura statale, ma non può rinunciare a un proprio controllo, alla sua censura. Ha creato, perciò, il Centro Cattolico Cinematografico, che ora fa parte dell’Ente dello Spettacolo, con i centri cattolici teatrale e radiofonico-televisivo. Il C.C.C. fu costituito in Italia nel 1934, ed ebbe la solenne e pubblica approvazione pontificia nel ’36, quando Pio XI dispose che fosse istituito «in ogni paese... un ufficio permanente nazionale di revisione» (33). Il Papa aveva chiesto a «tutti i pastori di anime... di ottenere dai loro fedeli che facciano ogni anno, come i loro confratelli americani, la promessa di astenersi da film che offendano la verità e la morale cristiana». Poiché i fedeli potessero adempiere alla promessa, riconosceva Pio XI, era necessario che essi conoscessero «chiaramente quali film sono leciti per tutti e quali leciti con riserve, quali sono dannosi o positivamente cattivi». Indispensabile, quindi, che venissero «redatti e stampati appositi elenchi dei film classificati, in modo da portarli a notizia di tutti».
Ma con quale criterio si debbono classificare i film?
Sarebbe indispensabile, dice Pio XI, che si potesse stabilire una lista unica per tutto il mondo, perché per tutti vige una stessa legge morale. Sennonché, trattandosi di spettacoli che toccano tutte le classi della società, grandi e piccoli, dotti e ignoranti, è chiaro che il giudizio su di essi non può essere dappertutto lo stesso. Infatti, le circostanze, gli usi e le forme variano nei vari paesi : perciò non sembra cosa pratica stabilire una lista per tutto il mondo.
Questa lista unica si dovrà fare, invece, in ogni nazione; però,
qualora gravissime ragioni lo richiedessero veramente, i vescovi nella propria diocesi, per mezzo delle loro commissioni diocesane di revisione, potranno, nella stessa lista nazionale — che deve applicare norme adattabili a tutta la nazione — far uso di criteri più severi, come può richiederli l’indole della regione, censurando anche dei film che fossero ammessi nella lista nazionale.
La morale cattolica, così, si adegua, a seconda dei paesi, degli usi e delle circostanze. Perciò, un film potrà essere proibito in Italia ma consentito in Francia. Al cattolico italiano, allora, basterà attraversare la frontiera per poter vedere tranquillamente un film senza contravvenire alle disposizioni della Chiesa, rimanendo, cioè, cattolico praticante e ossequioso. Ma non basta. Un film potrà essere consentito a Torino, ma proibito a Milano, permesso a Genova, ma vietato a Pavia, ammesso in Italia settentrionale, ma vietato nel Sud. E il buon cattolico italiano che abbia quattrini, se vorrà vedere uno spettacolo immorale al suo paese, senza, tuttavia, incorrere nelle sanzioni spirituali, senza perdere, cioè, il suo buon nome di cattolico, potrà fare un salto laddove quel film non è ritenuto immorale.
La discriminazione dell’età, che colpisce i minori non consentendogli di vedere certi spettacoli, si trasferisce, quindi, dagli individui ai popoli. Ci sono, perciò, popoli maggiorenni e popoli minorenni; e questi ultimi contravverrebbero alla morale cattolica se, aspirando a diventare maggiorenni, chiedessero di poter vedere liberamente gli spettacoli permessi agli altri.
Pio XI, dunque, ritiene «del tutto necessario che in ogni paese i vescovi costituiscano un ufficio permanente nazionale di revisione, con lo scopo di promuovere i film buoni, classificare tutti gli altri e farne giungere i giudizi ai sacerdoti e ai fedeli». Il Papa dispone che questo ufficio «molto opportunamente» venga affidato «agli organismi centrali dell’Azione Cattolica, la quale, appunto, dipende dai vescovi.
Il Centro Cattolico Cinematografico dipende, quindi, attraverso l’Ente dello spettacolo, dalla Presidenza generale dell’Azione Cattolica italiana, della quale «rappresenta l’organo tecnico specializzato per tutto ciò che si riferisce all’arte cinematografica ed all’apostolato» (34). Il C.C.C. si occupa della «diffusione della cinematografia nell’ambiente cattolico» ; dei «rapporti con il mondo cinematografico nazionale e internazionale» ; di «attività culturale cinematografica»; e del «controllo morale della produzione». A questo controllo il C.C.C. «concorre fornendo consulenza gratuita ai soggettisti, sceneggiatori, registi e produttori che ne facciano richiesta» e curando la pubblicazione dei giudizi della propria commissione di revisione dei film.
Questi giudizi vengono pubblicati nel settimanale Segnalazioni cinematografiche. Il C.C.C. pubblica inoltre il mensile Rivista del cinematografo, che è anche «organo» dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema. Su questo periodico, ogni anno, monsignor Albino Galletto, che è stato a lungo consulente ecclesiastico dell’Ente dello Spettacolo, pubblica una nota «a commento della produzione cinematografica».
Nel consuntivo del 1960 (35) il monsignore scrive:
La maggioranza dei produttori ha ignorato inviti e richiami, spalleggiati da quei «difensori della libertà» che sono i comunisti e i laicisti, che sfornano lavori sempre più licenziosi e apertamente immorali. Ma c’è un fatto nuovo che ha caratterizzato il 1959. Ai filmetti di pessimo gusto e di ignobile fattura, si sono aggiunti alcuni film che per l’autorevole firma di noti registi, hanno normalmente richiamato l’attenzione dì un grande pubblico, anche di quello che non si lascia incantare dalla produzione semipornografica. È un sintomo grave, che denunzia un orientamento pericoloso anche da parte di registi che hanno fatto onore in passato all’arte cinematografica. Dobbiamo dunque concludere che la paura di essere onesti ha contagiato anche i registi intelligenti e lo stesso pubblico migliore?
L’allusione al Fellini della Dolce vita e al Visconti di Rocco e i suoi fratelli è chiara. Monsignor Galletto constata che dei 448 film il cui giudizio morale è stato pubblicato nel ’60 sulle Segnalazioni, solo 39 sono stati ritenuti «non negativi» per i ragazzi e 119 adatti ad un pubblico di adulti. In complesso, «la percentuale dei film moralmente accettabili è del 35%, contro il 43% dei film negativi ed il 21 % di quelli con riserve morali». La percentuale dei film giudicati «esclusi» dal C.C.C. è passata dal 2,37% del 1956 al 22% del I960; mentre la percentuale dei film «sconsigliati» è salita, nello stesso periodo di tempo, dall’11,27% al 21. Contemporaneamente, è scesa dal 15,61 al 9% la percentuale dei film che han-np ottenuto un giudizio morale positivo. Per quanto si riferisce alla produzione italiana, dei 136 film prodotti in Italia nel ’60, «appena sette sono stati ritenuti accettabili per tutti e 23 per gli adulti... Oltre il 61% della produzione italiana ha conseguito quindi un giudizio moralmente negativo». «Se le cifre non sono un’opinione, scrive monsignor Galletto, e se la decadenza morale della produzione continuasse con il ritmo degli scorsi anni, fra non molto dovremo considerare il cinema una scuola di malcostume e di corruzione».
Questo giudizio stupisce per la sua generosità. Con le «cifre» esposte, infatti, come si fa a non gridare che il cinema è già oggi «scuola di malcostume e di corruzione» ? Del resto, è quello che da anni vanno gridando un po’ tutti, e non solo le gerarchie cattoliche. Uno che di cinema se ne intende, il gesuita Enrico Baragli, in un commento sul Festival di Cannes del 1960, scrive (36):
Abbiamo la persuasione che, in realtà, il mondo nel suo insieme non è cosi fradicio e corrotto come l’ultimo cinema lo descrive, ma siamo altrettanto persuasi che, se c’è un mezzo efficace per finire di ridurlo rapidissimamente in condizioni tanto disastrose, questo è permettere che si continui a produrre ed a smerciare film corruttori come quelli che hanno ignobilmente trionfato a Cannes. L’arte è un pretesto che con questo luridume non ha niente a che fare, anche se invocata, specie in Italia, da chi o nella vita morale ha fatto naufragio, e perciò dalla corruzione degli altri non ha nulla da perdere, anzi tutto da guadagnare, o ragiona con gli argomenti del portafoglio, o è soggiogato, convinto o meno, al carro marxista. Specialmente a questi ultimi Cannes ha dato una lezione alla quale, se conservano un residuo di logica e di onestà, non sapranno come rispondere; ed è questa: di tutte le produzioni di oltre cortina non una, anche trattando soggetti che facilmente l’avrebbero consentita, si è permessa la ventesima parte dell’impudicizia esibita in molti film occidentali, anzi l’URSS, trattando d’un adulterio, lo ha fatto con una misura che non si poteva maggiore, e nella Ballada o soldatie ci ha fornito un film addirittura edificante, di sicuro successo, purtroppo, anche nelle nostre sale parrocchiali; eppure, l’uno e l’altro, se non capolavori, certamente sono pregevoli per non comuni valori artistici : segno chiaro che pulizia e morale e, quando non ci fosse questa, censura ed arte possono andare benissimo d’accordo... Per gli onesti, per i cattolici e per gli italiani Cannes I960 è, dunque, un appello ed un monito. Occorre decidersi, prima che sia troppo tardi, a fare sentire nel cinema, arma principale dell’opinione e del costume pubblici, la nostra voce e la nostra presenza, perché esso mostri al mondo l’Italia quale veramente è, e non quale giova presentarla ad interessati mercanti o a disonesti politici, e sia per il pubblico italiano strumento di cultura e di moralità.
Tra il «luridume» presentato a Cannes, c’erano La dolce vita, di Fellini, e Il buco, di Jacques Becker, un film di critica dei sistemi carcerari.
Dopo tanto parlare di immoralità e di corruzione, vediamo in che cosa consiste, in pratica, la morale cattolica: vediamo, cioè, che cosa è morale e che cosa è immorale per la Commissione cattolica di revisione cinematografica. Vediamo qual è l’insegnamento della Chiesa nel settore del cinema. Ci basterà un campionario di giudizi su alcuni temi, dalla polemica sociale alla guerra, dal fascismo alla resistenza.
I giudizi morali dei film presentati in Italia vengono emessi dal Centro Cattolico Cinematografico tramite la Commissione di revisione; essi rappresentano il giudizio ufficiale della Chiesa, e pertanto il cattolico ha il dovere di attenervisi (37).
La commissione di revisione distingue i film in sei categorie (38).
L’amore è uno dei grandi temi del cinema, una materia inesauribile. Tuttavia, in sostanza, è anche uno dei grandi tabù. La sensibilità della Chiesa, a questo riguardo, è quanto mai spinta. È scontato, quindi, il giudizio negativo, per esempio, di Les amants, di Louis Malie : «L’edizione italiana di questo deprecabile film è emendata rispetto all’originale. Ma la trama, intessuta di adulteri e di esasperata sensualità, rende il film totalmente negativo sul piano morale. Escluso.» (39). Allo stesso modo è giudicato anche Amore in città (40):
Il lavoro presenta alcuni deplorevoli aspetti della vita sociale, ma non giunge ad alcuna conclusione. Addita, impassibile, le piaghe, senza accennare ai possibili rimedi. La presentazione ili quei tristi casi, di quelle spiacevoli scene, fatta in tal modo, può soltanto appagare malsane curiosità; pertanto la visione del film è esclusa per tutti (41).
Ha ballato una sola estate, è un film che non racconta solo il casto amore di due giovani, ma è anche una critica del conformismo e dell’ipocrisia di una società gretta.
La passione dei due giovani, che si svolge al di fuori d’ogni preoccupazione morale, sembra trovare una giustificazione nell’ottusità, nel rigorismo poco comprensivo dell’ambiente. Tale pericolosa impostazione, scene con atteggiamenti sensuali, una scena di brutale violenza, fanno ritenere sconsigliabile la visione del film (42).
Disco Rosso — repertorio dei giudizi morali di tutti i fìlms dal 1951 al 1961 — edito dal C.C.C., Roma, 1961: Attenersi a questi giudizi è un dovere di coscienza e di disciplina : a) di coscienza, perché ogni uomo deve evitare non solo il male, ma l’occasione del male. Ricorda le parole dello Spirito Santo : «Chi ama il pericolo, nel pericolo perirà»; b) di disciplina. Le persone deputate a formulare i giudizi non hanno soltanto una competenza tecnica, ma sono incaricate di tale compito dall’Autorità Ecclesiastica. Perciò attenersi a tali giudizi significa ubbidire alle disposizioni dell’Autorità medesima. I cattolici italiani hanno il diritto di avere una produzione cinematografica che alla validità artistica unisca una sanità morale. Non si potrà ottenere un miglioramento, in tal senso, della produzione, se i cattolici non agiranno con spirito di disciplina, astenendosi compatti dalla visione dei films che non diano garanzia di moralità. | |
Fino al 31 dicembre 1968 le valutazioni del Centro Cattolico Cinematografico erano suddivise nelle seguenti categorie: | |
1) Film ammessi TUTTI O - per oratori, collegi e scuole ADULTI A -film che richiede la preparazione e la mentalità di un adulto |
2) Film che richiedono cautela ADULTI CON RISERVA Ar -film che, pur non essendo negativo, presenta elementi pericolosi
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3) Film negativi SCONSIGLIATO ESCLUSO |
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Dal 1° gennaio 1969 al 30 settembre 1974 entrano in vigore le seguenti norme di valutazione e di classificazione morale dei film, approvate dal Consiglio di Presidenza della C.E.I. - su proposta della Commissione Episcopale per le Comunicazioni Sociali - nella riunione del 5-7 giugno 1968.I film, esaminati dalla Commissione Nazionale per la Valutazione dei Film, vengono ripartiti nelle seguenti quattro categorie, che costituiscono le precedenti classificazioni. | |
I: film positivo o, comunque privo di elementi negativi; per qualsiasi genere di pubblico. È il film ammesso per tutti, cioè il film per famiglia, che presenta comunque speciali motivi di riserva. Nella motivazione della classifica si ha cura di dire se e quando il film risulta particolarmente adatto ad un pubblico di ragazzi. II: film che, per argomento trattato o per le situazioni rappresentate, richiede una capacità di comprensione o di interpretazione proprie di spettatori moralmente e culturalmente preparati. È il film adatto ad un pubblico di adulti, intendendo per "adulti" non le persone che abbiano raggiunto una determinata età, quanto piuttosto le persone che abbiano raggiunto la maturità mentale, morale e culturale ritenuta sufficiente e normale nelle condizioni della vita quotidiana, l'esclusione, in sostanza, riguarda i ragazzi. |
III: film moralmente discutibile o ambiguo, in cui l'incontro tra elementi positivi, negativi o di dubbia interpretazione morale, richiede una più consapevole e responsabile capacità di giudizio da parte dello spettatore. È il film che, pur offrendo contenuti validi e positivi, presenta anche situazioni, scene, fatti o dialoghi tali da richiedere nello spettatore una particolare preparazione e maturità. Poichè il film, classificato in questa categoria, presenta elementi positivi frammisti ad elementi pericolosi sotto il profilo dottrinale e morale, si richiede una "particolare" capacità di valutazione critica, culturale e morale; questa può variare -salvo sempre il valore obiettivo dell'ordine morale- in rapporto agli ambienti, alla formazione spirituale e intellettuale, alla diversa età. IV: film che, per idee o tesi o scene, è gravemente offensivo della dottrina o della morale cattolica. È il film gravemente dannoso o pericoloso, sul piano delle idee o della suggestione negativa, da un punto di vista sia dottrinale che morale. È importante rilevare che possono essere fortemente negativi non solo i film che riguardano il sesto comandamento, ma anche quelli che riguardano gli altri comandamenti e la dottrina della Chiesa, in particolare i film contrari alla concezione cristiana dell'amore, del matrimonio e della famiglia, i film di violenza, di alienazione, di agnosticismo, di visione materialistica ed edonistica della vita. |
6. Dunque, per il C.C.C., e quindi per la Chiesa, sono immorali un film, un’opera di teatro, uno spettacolo televisivo, una trasmissione radiofonica che contribuiscano, ad esempio, a «esacerbare le passioni popolari». Le quali passioni non sono altro che la coscienza del popolo al suo diritto a una vera giustizia sociale, a una nuova e democratica struttura della società, alla liberazione dalla fame e dall’ignoranza. Né è morale uno spettacolo che dimostri anche soltanto un poco di sfiducia verso «ogni forma di autorità» : se si consente, infatti, che una qualunque autorità venga sottoposta anche solo a una critica superficiale, è tutta un’impalcatura che rovina, è il principio stesso sul quale si regge «ogni autorità» che crolla. Perciò è morale solo qualunque spettacolo ligio alle forme e agli istituti che reggono la «civile convivenza» della comunità; quindi anche lo spettacolo che esalta la violenza e la forza come strumenti di conservazione sociale, che educa al «senso del dovere», all’«amor di patria» e, infine, al «timor di Dio», questa universale paura in cui si rovescia tumultuosamente, come le acque impetuose dei fiumi nel mare, ogni altro «timore».
Per difendere questa morale, le gerarchie cattoliche e il clero non si servono solo dell’Ente dello Spettacolo. È tutta una rete di attività varie che s'insinua nel tessuto della società, e tende a impadronirsi dei posti-chiave, a dominare e governare la vita comunitaria. Di qui, una continua ed ininterrotta azione multiforme, le cui direttive maestre possono riassumersi in una pressione ideologica sulle masse; in una pressione, anche economica, sulla produzione cinematografica (e degli altri spettacoli); in una pressione sul Governo e sul Parlamento.
In questo clima, le gerarchie cattoliche non tollerano ai fedeli, non dico una inconcepibile autonomia di giudizio, ma neppure un’occasionale deviazione da quelli che sono i canoni del giudizio. Un esempio quanto mai istruttivo può essere colto dalle notissime vicende della Dolce vita.
Il film di Fellini, bocciato dal C.C.C., fu invece approvato da non pochi critici cinematografici cattolici. Gian Luigi Rondi — uno dei critici cattolici più ortodossi — scrive perfino che il C.C.C. ha attentato alla libertà di espressione bocciando la Dolce vita :
Contro coloro che vogliono attentare alla libertà di espressione di questo film, bisogna avere il coraggio di dire che si tratta di un vero messaggio e di un vero ammonimento per chiunque abbia la sensibilità di preoccuparsi dei problemi incalzanti della nostra epoca (90).
Dall’autorevole tribuna della rivista dei Gesuiti, gli risponde Enrico Baragli S. J. :
Si dia dunque, — magari mediante il cinema, dato che è attesissimo a questo scopo, — la necessaria istruzione a chi ne può profittare. Neghiamo, tuttavia, che sia necessario, ed educativo, dire tutto a tutti, anzi sosteniamo che è dannoso, quindi immorale, portare l’insegnamento, — e, col cinema, l’iniziazione pratica — fino ai particolari del male morale, che una volta erano vergognosi segreti degli scostumati di me-sitere. Ma questo ci pare che abbia fatto la Dolce vita in Italia con centinaia di migliaia di cittadini non iniziati e di provinciali, e che questo continuerà a fare con milioni di popolani di tutti i paesetti mano a mano che passerà dalle prime e seconde visoni alle terze ed alle quarte; tutta gente che, nella migliore delle ipotesi, ne ha riportato o ne riporterà un ulteriore ottundimento del pudore naturale e cristiano, prezioso segno e difesa della virtù... Un primo doveroso richiamo riguarda i cattolici che hanno fatto massa con i non cattolici recandosi a vedere il film, non certo perché ne ignorassero la inequivocabile qualifica morale datane dal Centro, ma, forse, appunto, per gregarismo (variante del rispetto umano), paura del complesso di inferiorità rispetto a chi poteva dire «io l’ho visto», presunzione delle proprie forze morali, scarsa fiducia nella ragionevolezza del C.C.C. o, addirittura, aperto cedimento ad una curiosità scientemente morbosa. La Chiesa non può non deplorare questo comportamento; sia per il danno morale presumibilmente subito da chi vi si è piegato, sia per lo spettacolo d’incoerenza nella fede che con esso si è dato ai nemici del nome cristiano, i quali non si sono lasciata sfuggire l’occasione per rilevarlo e ironizzarvi sopra; sia, soprattutto, perché questa è la condotta che ci vuole per svuotare le qualifiche del C.C.C. da uno dei loro scopi socialmente più importanti: intendendo queste oltre che formare la coscienza del pubblico, determinare, col boicottaggio dei non buoni, il calo della produzione cinematografica deteriore (91).
Nel quadro delle pressioni ideologiche, abbiamo assistito anche a grandi manifestazioni penitenziali di ricordo medioevale (92) e all’attività capillare degli attivisti per impegnare i fedeli in un’azione di massa (93). La pressione delle gerarchie cattoliche viene esercitata anche, direttamente e indirettamente, sulla magistratura. L’intervento di certi giudici contro il cinema e il teatro è stato non solo pienamente approvato dal clero, ma anche sollecitato. Scrive, ad esempio, la Civiltà Cattolica:
È fuori di dubbio che un’ondata di proteste fatta giungere al procuratore della Repubblica tutte le volte che la stampa o altro ne provochi l’occasione vale assai più che il disgusto dei singoli espresso in privato o la deplorazione circoscritta a un circolo cittadino, parrocchiale o di azione cattolica. In tal caso il giudice si troverebbe in più favorevoli condizioni per reprimere le offese al pudore, facendo appello ad esplicite e larghe testimonianze del comune sentimento (94).
Ma l’intervento delle gerarchie va ancora oltre. Nell’intento di combattere per la difesa degli eterni valori della morale cattolica, vengono confusi in un unico fascio il laicismo e il comuniSmo. Laici e comunisti, quindi, diventano i comuni nemici della «verità» e della «morale». Nel fervore della crociata, monsignor Albino Galletto scrive :
Se l’atteggiamento dei laicisti [verso la censura] è determinato da errate concezioni filosofiche e dal livore contro la Chiesa e i suoi insegnamenti, i marxisti hanno ben precisi scopi da raggiungere opponendosi a una censura seriamente impostata. Essi sanno che il primo e più efficace intervento per imporre il «paradiso sovietico» ai paesi liberi consiste nello scardinare gli ordinamenti su cui poggia la società da loro definita «borghese»... Anche il cinema licenzioso è quindi un buon alleato del comunismo e non stupisce quindi l’accanimento contro ogni forma di censura... C’è una gerarchia di valori che va rispettata, per cui anche quando il cinema è arte, o più propriamente quando un film sia un’opera d’arte, può essere di danno morale a chi non abbia sufficiente preparazione e un’adeguata cultura... Vorremmo aggiungere che in una Nazione cattolica i legislatori dovrebbero affrontare il grave problema con particolare senso di responsabilità, non dimenticando che esiste un Concordato che impegna lo Stato italiano a rispettare non solo l’esercizio del culto, ma la religione — e quindi la morale — cattolica (95).
Il rispetto della «gerarchia di valori» va assicurato a qualsiasi prezzo. Così, è più che mai logico e coerente che non si faccia più questione di arte e di libertà di espressione artistica. Nel quadro degli insegnamenti pontifici, La Civiltà Cattolica, commentando l’intervento del magistrato contro Rocco e i suoi fratelli e L'avventura, afferma :
Sosteniamo poi che, in ogni caso, si tratti di arte o di non arte, prima dei lussi espressivi di pochi, veri o presunti artisti... la pubblica autorità è chiamata a tutelare i beni più sacri ed inalienabili di tutta la comunità, quali quelli di una fondamentale onestà culturale e morale... Ci auguriamo che in tema di spettacoli l’opera di vigilanza del competente dicastero sia meno timorosa degli schiamazzi dell’opposizione e più sollecita degli interessi degli onesti (96).
Con maggiore autorità, questo discorso lo ripetono i vescovi italiani nella loro ultima riunione annuale:
Conosciamo i pretesti ed i sofismi con cui, da parte di alcuni, si tenta di giustificare un tale stato di cose. Si parla di diritto alla libertà dell’espressione artistica; si dice che è il pubblico ad esigere tali spregiudicatezze; si afferma che è necessaria la presentazione del male, poiché la visione di esso avrebbe un alto valore educativo di prevenzione e di immunizzazione; si fa appello ad una raggiunta maturità psicologica e morale del pubblico, il quale sarebbe ormai capace di affrontare realtà scabrose senza soffrirne le conseguenze; si sbandiera ancora l’esigenza d’un coraggioso realismo, come atto di denunzia dell’attuale società, senza ipocrisie e senza debolezze. Le preoccupazioni pastorali ci fanno obbligo di denunziare gli equivoci di affermazioni del genere (97).
Questo stesso discorso è stato poi ripreso in un convegno sulla censura svoltosi all’Università Cattolica di Milano.
L’attività cinematografica costituisce un bene sociale... la cui presenza nella società va promossa, provocata, garantita nella sua libertà come fattore del patrimonio civile culturale. In pratica, però, l’uso completo di questo strumento di comunicazione evidentemente cade sotto un certo controllo, affinché la troppa libertà dell’uno non soffochi la legittima libertà dell’altro. L’autorità pubblica, il cui scopo è di assicurare l’armonia e la maturità dei rapporti e degli scambi sociali, si trova quindi nella necessità di garantire l’esistenza del cinema come attività produttiva in genere, ma anche di promuovere una produzione positiva agli effetti sociali e di impedire prudentemente quella negativa e involutiva. Evidentemente la funzione più critica è quella dell’» impedire».
Quale deve essere il criterio necessario e sufficiente per una retta discriminazione tra bene e male, tra conveniente e sconveniente? Per esempio, un film artisticamente ben espresso ma dal contenuto immorale, va offerto alla società per il suo valore artistico o va respinto per la insufficienza morale? A livello sociale è bene ciò che conduce a un arricchimento della maturità di ogni membro: qualora quindi un film provocasse una regressione o una deformazione del processo evolutivo della cultura, tale film, anche se fatto in modo sublime, va escluso dalla presentazione al pubblico. Promuovere il bene comunque significa fornire ai membri della società quei mezzi che senza ostacolare gli altri, aiutino ciascuno a raggiungere la perfezione dei propri rapporti con se stessi, con gli altri, e con Dio (98).
Le conclusioni di quel convegno sono quanto mai gravi. Si chiede, infatti, di
applicare al cinema come fatto industriale l’articolo 41 [della Costituzione] in cui è detto che «l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana». Non si tratterebbe più, quindi, di solo pudore ma di tutti i valori della persona umana.
Eccoci giunti, così, non solo a negare la libertà dell’arte, ma anche a ridurre l’arte a «iniziativa economica» : è l’unica via che rimane agli eterni tutori della morale per aggirare l’ostacolo dell’articolo 33 della Costituzione, che proclama la libertà dell’arte e della scienza. Questo, tuttavia, non ci stupisce. Già altri, e con ben maggiore autorità, hanno chiesto più volte, e di tanto in tanto tornano instancabilmente a chiedere, perfino una «disciplina» della libertà di stampa. Scrive il cardinale Elia Dalla Costa:
Mai come ora si è usato e abusato del vocabolo «libertà». È sulle labbra di tutti; tutti la vogliono; tutti la chiedono; tutti esaltano la libertà. In suo nome si compiono grandi opere e in suo nome si commettono grandi colpe. È un bene per se stessa e diventa poi strumento di innumerevoli mali, specialmente quando con la libertà di pensiero e di coscienza si esige la libertà di stampa... Ma c’è una libertà di gran lunga più dannosa della libertà di pensiero e di coscienza... È la libertà di stampa... [la quale] può essere usata fino al delitto... Ecco perché da tutti i veri amatori del bene, da tutte le persone oneste è ammesso che alle pubbliche autorità spetta il diritto e il dovere di frenare e sopprimere, occorrendo, la libertà di stampa... Questa libertà, poi, è stata condannata specialmente da due Pontefici nelle loro encicliche : Gregorio XVI e Pio XI (99).
Chi si soffermi a meditare questi documenti non tarderà a capire dove si voglia arrivare, in Italia. Del resto, non l’ha forse detto con estrema chiarezza la Civiltà Cattolica?
Ora la Chiesa cattolica, convinta per le sue divine prerogative di essere l’unica vera Chiesa, deve reclamare per sé sola il diritto alla libertà, perché unicamente alla verità, non mai all’errore, questo può competere; quanto alle altre religioni, essa non impugnerà la scimitarra, ma domanderà che, con i mezzi legittimi e degni della persona umana, non sia loro consentito di diffondere false dottrine. Per conseguenza in uno Stato in cui la maggioranza è cattolica, la Chiesa chiederà che all’errore non sia data esistenza legale e che, se esistono minoranze di religione diversa, queste abbiano solo un’esistenza di fatto, senza la possibilità di divulgare le loro credenze. Nella misura, però, che le circostanze concrete o per l’ostilità di un Governo o per la consistenza numerica dei gruppi dissidenti, non siano tali da permettere l’applicazione integrale di questo principio, la Chiesa domanderà per sé le maggiori concessioni possibili riducendosi ad accettare come un male minore la tolleranza di diritto degli altri culti : in alcuni Paesi, poi, i cattolici saranno costretti a chiedere essi stessi la piena libertà religiosa per tutti, rassegnati di poter convivere, là dove essi soli avrebbero il diritto di vivere. In questo caso la Chiesa non rinuncia alla sua tesi, che suona come la più impegnativa delle leggi, ma si adatta ail’ipotesi, cioè alle condizioni di fatto, dalle quali la sua vita concreta non può prescindere... La Chiesa cattolica tradirebbe il suo mandato se proclamasse in via teorica o pratica che l’errore possa avere gli stessi diritti della verità... La Chiesa non può arrossire di questa sua intransigenza, così come l’afferma nel principio e così come l’applica nella pratica (100).
In Italia, come si vede, non è tanto in pericolo l’arte; minacciata non è la libertà di espressione artistica. L’obbiettivo non è il cinema, nè il teatro, e neppure la radio e la televisione. Ciò che è veramente in gioco, nel nostro paese, è una cosa sola: la libertà. Del resto, non sono soltanto le gerarchie cattoliche a minacciarla.
NOTE
1 Sant’Agostino, Discorso sui due ciechi, traduzione di Giuseppe Sandri, pag. 39, Brescia, 1947.
2 Enrico Baragli S. J., Cinema cattolico : Documenti della Santa Sede sul cinema, Edizioni «La Civiltà Cattolica», Roma, 1958, pag. 17.
3 Ivi, pag. 41-42.
4 Lettera della Segreteria di Stato, firmata dal Cardinal Pietro Gasparri, alla presidente dell’Unione Femminile Cattolica Italiana, ne L’Osservatore Romano, 11 agosto 1922, e in Cinema cattolico, citato, pag. 42-43. *
5 Acta Apostolicae Sedis, XXII, 1930, pag. 49 e seg., e, per quanto riguarda la cinematografia, in Cinema cattolico, citato, pag. 43-45.
6 La civiltà cattolica, 1931, I, pag. 97 e seg., e, per quanto riguarda lo spettacolo, in Cinema cattolico, citato, pag. 45-46.
7 Discorso ai parroci e ai quaresimalisti di Roma «i quali, prima della quaresima del 1931, avevano fatto pervenire al Santo Padre un memoriale-indirizzo per chiedere aiuto al loro Vescovo contro un triplice male, che insidiava le famiglie cristiane : la stampa immorale, il cinema e la profanazione del giorno del Signore». Il discorso sta ne L’Osservatore Romano, 16-17 febbraio 1931, e, per quanto si riferisce al cinema, in Cinema cattolico, citato, pagg. 46-47.
8 Lettera del 27 aprile 1934 in Rivista del cinematografo, 1934, pagg. 47-48, e in Cinema cattolico, citato, pag. 48-52.
9 Discorso dell’ll agosto 1934 ai rappresentanti della Federazione internazionale della Stampa Cinematografica, ne L’Osservatore Romano, 12 agosto 1934, e in Cinema cattolico, citato, pagg. 52-56.
10 L’«Epistola», del 29 giugno 1936, è indirizzata al clero degli Stati Uniti, ma in realtà «si rivolge a tutto il mondo». Sta nella Civiltà cattolica, 1936, II, pag. 89 e seg., e in Cinema cattolico, citato, pagg. 60-82.
11 Discorsi e Radiomessaggi, vol. VII (1953) pag. 121 e segg., e in Cinema cattolico, citato, pagg. 88-90.
12 Bollettino ecclesiastico della diocesi della SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni, marzo-aprile I960, pag. 30-31.
13 L’Osservatore Romano, 22 marzo 1961, pag. 3.
14 L’Osservatore Romano, 23 aprile 1936, poi in Cinema cattolico, citato, pagg. 56-60.
15 Citata.
16 Discorso del 12 maggio 1946, in Cinema cattolico, citato, pagg. 94-95.
17 Discorso del 21 giugno 1955, ai rappresentanti dell’industria cinematografica italiana, in Cinema cattolico, citato, pag. 140-153.
18 Lettera della Segreteria di Stato al signor Charles Flory, presidente delle «Semaines Sociales de France», del 14 luglio 1955, ne L’Osservatore Romano, 22 luglio 1955, e in Cinema cattolico, citato, pagg. 168-179
19 Enciclica dell’8 settembre 1957, in Civiltà Cattolica, 1957, III, pag. 590 e seg., e in Cinema cattolico, citato, pagg. 190-230.
20 Luigi Freddi, Il Cinema, L’Arnia, Roma, 1949.
21 Lettera citata.
22 Lettera scritta il 25 giugno I960 in occasione delle giornate di studi cinematografici organizzate a Vienna dall’O.I.C.C.; ne L’Osservatore Romano, 11-12 luglio 1960, e nella Civiltà Cattolica, 6 agosto I960, pagg. 311-312.
23 L’Osservatore Romano, numero citato.
24 Pio XII, discorso del 21 aprile 1936, citato.
25 Pio XII, discorso del 26 agosto 1945 a un gruppo di autori e attori drammatici, registi e critici d’arte; in Discorsi e Radio-messaggi, voi. VII, 1953, pag. 153 e segg., e in Cinema cattolico, citato, pagg. 90-94.
26 Enciclica Vigilanti Cura, citata.
27 Discorsi del 21 giugno e del 28 ottobre 1955, ampiamente diffusi e commentati. Si trovano anche in Cinema cattolico, citato, pagg. 140-168. «Questi due discorsi — scrive Baragli (Cinema cattolico, pag. 31) — dopo quella della Vigilanti Cura, costituiscono la seconda trattazione organica sul cinema da parte del Sommo Pontefice; questi, come quella, tornano a sintetizzare, armonizzare e mirabilmente completare i molti insegna-menti dati dalla Santa Sede in trentatré anni d’interventi».
28 Rivolto ai rappresentanti dell’industria cinematografica italiana.
29 Rivolto all’Assemblea dell’Unione Internazionale degli Esercenti di Cinema e della Federazione Internazionale dei Distributori di film.
30 Citata.
31 Documento diffuso dall’O.C.I.C., nella sua riunione di Londra, 17-20 aprile 1949. Cfr. Léopold Schlosberg, Les censu-res cinématographiques, L’Union Rationaliste, Paris, 1955.
32 Vigilanti cura, citata.
33 Vigilanti cura, citata.
34 Cfr. Guida cinematografica, pag. Vili, edita dal C.C.C.
35 Albino Galletto, «Paura di essere onesti?», in Rivista del cinematografo, gennaio 1961, pagg. 2-3.
36 «Spettacolo, arte e morale al XIII Festival di Cannes», in Civiltà Cattolica, voi. VI, quaderno 2640, 18 giugno 1960.
37 Disco Rosso — repertorio dei giudizi morali di tutti i fìlms dal 1951 al 1961 — edito dal C.C.C., Roma, 1961: Attenersi a questi giudizi è un dovere di coscienza e di disciplina : a) di coscienza, perché ogni uomo deve evitare non solo il male, ma l’occasione del male. Ricorda le parole dello Spirito Santo : «Chi ama il pericolo, nel pericolo perirà»; b) di disciplina. Le persone deputate a formulare i giudizi non hanno soltanto una competenza tecnica, ma sono incaricate di tale compito dall’Autorità Ecclesiastica. Perciò attenersi a tali giudizi significa ubbidire alle disposizioni dell’Autorità medesima. I cattolici italiani hanno il diritto di avere una produzione cinematografica che alla validità artistica unisca una sanità morale. Non si potrà ottenere un miglioramento, in tal senso, della produzione, se i cattolici non agiranno con spirito di disciplina, astenendosi compatti dalla visione dei films che non diano garanzia di moralità.
38 Dal Disco Rosso : 1. - Per tutti. Quando il film non contenga, sia nel soggetto che nelle scene, elementi negativi e l’intera vicenda narrata non presenti pericoli morali neppure per i minori. 2. - Per tutti con riserva. E’ il film che, pur essendo moralmente accettabile, presenta qualche scena troppo «forte» e perciò stesso non adatta ai più giovani. 3. - Per adulti. E’ il film che, per l’argomento che tratta o il modo con cui il soggetto viene rappresentato, richiede una mentalità e una preparazione da adulto. In sé il film per adulti non è moralmente negativo, ma può presentare pericoli per i giovani. 4. - Per adulti con riserva. E’ il film che presenta elementi pericolosi anche per un adulto. E’ un segnale d’allarme che sta a significare l’esigenza di una piena maturità di giudizio da parte dello spettatore per la delicatezza degli argomenti trattati, per la scabrosità delle scene o per la difficoltà d’interpretazione delle tesi prospettate. 5. - Sconsigliato. E’ il film che, pur non essendo completamente negativo, è da considerarsi nocivo per l’equivocità della tesi o per la compiaciuta e gratuita esibizione di scene di violenza, di sensualità o comunque riprovevoli. 6. - Escluso. E’ il film che sostiene o rappresenta in forma suasiva una tesi immorale (quale il divorzio, l’omicidio, la ribellione all’autorità, l’irriverenza alla religione, ecc.). Oppure che, pur presentando episodi indifferenti o anche positivi, contiene sequenze e dialoghi gravemente immorali.
39 Segnalazioni cinematografiche, vol. 45, pag. 175.
40 Film a episodi, dei registi Risi, Lizzani, Antonioni, Fellini, Maselli, Zavattini e Lattuada.
41 Segnalazioni cinematografiche, voi. 34, pag. 213.
42 Ivi, vol. 35, pag. 72.
[...]
90 Il tempo, 14 febbraio 1960.
91 Enrico Baragli S. J. : «Dopo 'La dolce vita' : Critici, registi e pubblico», ne La civiltà cattolica, 15 ottobre I960, pag. 159 e seg.
92 Dal Notiziario E.D.S. (a cura dell’Ente dello Spettacolo), Roma, anno II, n. 6, 9 marzo 1961, pagg. 4-5 : «Domenica 26 febbraio, cinquantamila veronesi hanno partecipato alla processione indetta da S. E. Mons. Giuseppe Carraro in penitenza e a protesta contro il dilagare del pubblico malcostume. Al corteo, che si è snodato per due ore attraverso le più centrali vie di Verona, sono intervenuti il Sindaco prof. Zanotto, il Presidente della Provincia, on. Gozzi, i senatori e i deputati veronesi, il Procuratore della Repubblica con il Presidente del Tribunale e altri magistrati, autorità, sacerdoti e una gran folla... La manifestazione... è stata guidata dal Vescovo, che apriva il corteo portando il Crocifisso... Nel suo discorso in Duomo, Monsignor Carraro ha osservato : ' Oggi leviamo la voce contro il male morale perpetrato da quegli spettacoli... che non hanno nulla a che vedere con l’arte e con la libertà di espressione artistica...’».
93 Padova, gennaio 1961. Dinanzi ai cinematografi cittadini, giovani dell’Azione Cattolica distribuiscono ai passanti un foglietto su cui è scritto : «Prometto di non assistere a spettacoli cinematografici che contraddicano alla fede e alla morale cristiana; prometto che farò in modo di conoscere preventivamente il giudizio del Centro Cattolico Cinematografico su quei film che vorrei vedere; appoggerò con le mie possibilità i film buoni e di valore morale».
94 Domenico Mondrone S. J. : «Uso ed abuso della libertà nelle manifestazioni del malcostume», La civiltà cattolica, vol. II, quaderno 2639, pag. 477 e segg., 4 giugno 1960.
95 Albino Galletto : «Lo Stato e la vigilanza sul cinema», in Rivista diocesana di Roma, febbraio 1961, e in Rivista del Cinematografo, marzo 1961.
96 La Civiltà Cattolica, quaderno 2650, 19 novembre I960, pag. 442.
97 «Comunicazione» della Conferenza Episcopale Italiana, 20 marzo 1961, citata.
98 Confrontare la relazione di don Guzzetti al Convegno organizzato dalla Commissione Episcopale delle Diocesi Lombarde per lo Spettacolo, dal Centro Studi Cinematografici e dal Centro Culturale San Fedele di Milano, e svoltosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore il 20 e il 21 maggio 1961. Sta in Notiziario E.D.S., maggio 1961.
99 Elia Card. Dalla Costa: «La libertà di stampa», ne L’Osservatore Romano, 7 marzo 1952, pag. 3.
100 F. Corallo S. J. : «La condizione dei protestanti in Spagna», in Civiltà Cattolica, 1948, voi. II, pag. 29-47.
Negli anni in cui la fama cinematografica di Totò raggiunse il suo apice, i produttori dovevano tenere in considerazione, prima di ogni investimento (in particolare con soggetti "a rischio") il grosso ostacolo della revisione preventiva prima, definitiva successivamente. Tra censura amministrativa, censura politica e la censura cattolico-morale del Centro Cattolico Cinematografico, i film con protagonista Totò erano presi particolarmente di mira. Qui l'esempio di una guida dei criteri con cui il CCC sanzionava i film. In riferimento ai film di Totò, quasi tutti erano classificati "D", pochi "C o C1", quasi nessuno con "A" o "B".
La censura cattolica era attenta a tutte le manifestazioni culturali (cinema, arte, teatro),
alla vita pubblica (stampa, moralità, moda, pubblico pudore), al sesso, alla religione...
Nel 1945 l'A.N.I.C.A. (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche ed Affini) redige il 'Codice per la cinematografia', un libretto nel quale vengono sottoscritte le disposizioni guida per la realizzazione delle future produzioni filmiche in nome della salvaguardia morale dello spettatore. (Documenti censura Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - www.cinecensura.com)
I criteri qui esposti furono formulati dal Centro Cattolico Cinematografico, organo dalla Autorità Ecclesiastica incaricato della revisione e della classifica dei film in Italia, secondo i principi della morale e della pedagogia cattolica, ad uso dei fedeli e delle sale dipendenti dalla medesima Autorità.
I) PELLICOLE ESCLUSE PER TUTTI (D)
Devono escludersi per tutti le pellicole che:
a) Contengono e giustificano, almeno implicitamente, errori dogmatici e colpe morali, come il divorzio, il duello, il suicidio, l’infanticidio, la maternità illegittima, ecc.
b) Mettono in cattiva luce, seppure non deridono, persone, istituzioni, cerimonie, e cose sacre e religiose.
c) Accreditano principi antisociali, o comunque dannosi alla civile convivenza;
d) Contengono scene immorali gravemente provocanti — come scene di seduzione prolungate e suggestive — oppure nudità complete o quasi, anche se presentate in siluetta, oppure danze che eccitano passioni e mettono in rilievo movimenti indecenti, ecc.
II) PELLICOLE ESCLUSE PER I GIOVANI (C1)
Devono escludersi per i giovani, e a fortiori per i ragazzi, oltre quelle sopra elencate, anche le pellicole che:
a) Contengono scene comunque capaci di eccitare i sensi, come baci e abbracci prolungati e sensuali; scene, riviste e balli in abiti succinti, come quelli di locali notturni; scene di svestimento; motti salaci, frasi a doppio senso, ecc.
b) Contengono drammi gialli e polizieschi, dove il delitto è messo in luce favorevole, oppure s’insegna l’arte del delitto (furto, rapina, assassini, ecc.) per cui la pellicola riesce una scuola di delinquenza.
c) Contengono scene brutali e violente, atte ad educare allo spirito di violenza.
III) PELLICOLE VISIBILI PER TUTTI IN SALA PUBBLICA (C)
a) Quelle che sono scevre dei difetti sopra elencati.
b) Quelle che non contengono scene d’amore gravemente provocanti, come baci e abbracci lascivi, ecc.
c) Quelle che, rappresentando drammi gialli e polizieschi, non mettono in luce favorevole il delitto, non ne insegnano l’arte, nè contengono scene eccessive di violenza e di brutalità, ecc.
IV) PELLICOLE AMMESSE IN SALE PARROCCHIALI (B)
a) In generale quelle che sono almeno innocue dal punto di vista religioso e morale, e perciò escludono tutti i difetti sopra elencati; e inoltre, sia nella trama che nella scena, non contengono elementi che possano giustificare l’amore impuro e il concetto pagano della vita.
b) Quelle che rappresentano scene d’amore ma in forma corretta, nudità non indecenti, e in uso comunemente; non quindi le nudità che sono di norma usate in ambienti particolari (abiti femminili da sera, costumi balneari, certi costumi ginnici, ecc.).
c) Quelle di cui sopra al N. III c).
V) PELLICOLE AMMESSE NEGLI ISTITUTI EDUCATIVI (A)
a) Quelle che sono positivamente buone, ossia educative.
b) Quelle che sono almeno negativamente buone, ossia innocue anche per ragazzi, escludendo ogni scena che possa comunque eccitare i sensi o favorire cattive passioni.
I criteri della Commissione di Revisione del Centro Cattolico Cinematografico • Ogni giudizio dato dai membri della suddetta Commissione, è la conclusione di un severo dibattito, che si agita nella loro coscienza di genitori, di educatori, di sacerdoti
Una, due, tre... macchine arrivano in quarta velocità, in un'ora di punta del traffico stradale, ad un incrocio. Sembrano lanciate alla conquista di un record, intolleranti di ogni indugio, sdegnose dei veicoli non motorizzati, sdegnose soprattutto dei lentissimi pedoni, che a chi sta a bordo di un'auto potente sembrano addirittura anacronistici nel secolo delle Mercedes, delle Auto-Union e delle Alfa Romeo. Ma a qualche metro dall'incrocio i freni seno messi in azione e le macchine superbe, mortificate nella foro sete di velocità, si fermano di colpo, come se una misteriosa potenza le avesse inchiodate al suolo.
Intanto altre macchine più o meno veloci e traballanti carozzelle e poveri pedoni attraversano la via in direzione normale a quella delle prime ed ai motori che, tenuti a basso regime sembrano impazienti di riprendere la corsa, sembrano dire: «Calma, calma! ora tocca a noi».
Perchè questo colpo di scena? Semplicissimo: nel semaforo stradale si è illuminato il disco rosso. E' lui che ha il magico potere di fermare gli uni e di dare il via agli altri; è lui che, adottando un rigido criterio di giustizia distributiva, regola il traffico stradale alternando i passaggi.
E, se non fosse obbedito? Ogni crocevia potrebbe diventare un cimitero di macchine ed un carnaio. Sarebbe pazzo chi in nome della libertà di... circolazione (questa non trova posto neppure sulla... valuta di occupazione!) volesse passare quando il disco rosso gli intima di fermarsi.
* * *
Nel campo morale ha la stessa funzione di un semaforo la Commissione di Revisione del Centro Cattolico Cinematografico, che giudica da un punto di vista etico-religioso la produzione cinematografica. Qui non si tratta di fermare delle macchine lanciate a forte andatura ma di fermare delle coscienze, che corrono agli spettacoli, senza rendersi conto del loro valore morale, senza riflettere se fa vicenda, che passerà innanzi agli occhi e dominerà per un paio d'ore la fantasia, desterà nobili aspirazioni o impulsi degradanti, servendo la causa della verità e della virtù, oppure quella dell'errore e del vizio.
Con quali criteri assolve questo suo delicatissimo compito (che è la sua prima ragione di essere) il C.C.C.? Sono stati resi più volte di pubblica ragione, ma pensiamo che non sia inutile ricordarli.
Ci sono delle pellicole, che contengono e giustificano, almeno implicitamente, errori dogmatici e colpe morali (divorzi, duelli, omicidi, suicidi, infanticidi, maternità illegittime, ecc.); che deridono o mettono in cattiva luce persone e cose sacre; che accreditano principii antisociali; che contengono scene immorali gravemente provocanti...
Pellicole conturbanti insomma, che si risolvono in uno stimolo all'empietà ed alla corruzione, negative da tutti i punti di vista, occasione prossima di peccare anche ai più esperti degli scogli del male. Disco rosso! Divieto di passaqg o per tutti, chè a tutti recano certamente del danno morale.
* * *
Altre pellicole contengono scene capaci di eccitare i sensi, frasi equivoche, drammi 'gialli e polizieschi, che si risolvono in definitiva in una scuola di delinquenza, brutalità, violenze, ecc. Possono forse presentare qualche nota positiva per gli adulti, che la maturità salva dalla suggestione e che, dagli effetti perniciosi giungono alla condanna della causa, che li ha prodotti.
Ma, per i giovani, suggestionati dalla vicenda, anche se, come spesso avviene, irreale ed illogica; trascinati, appunto perchè giovani, dai particolari ed incapaci di una sintesi ricostruttiva, eccitati nella parte più sensibile del loro essere, pellicole siffatte sono stimoli deplorevoli e scuola di corruzione. Disco rosso! ai giovani è proibito passare.
Purtroppo la maggior parte della produzione si è costretti a classificarla in questa categoria. Ed è inconcepibile che produttori, registi ed artisti non si rendano conto che il cinema, senza cessare di essere un divertimento, è, in fin dei conti una scuola, anzi la scuola più frequentata e più efficace offerta alla gioventù e si rendano complici di ! un insegnamento che sgretola nelle coscienze l'edificio morale.
* * *
Pellicole, che siano scevre dei difetti sopra ricordati, nelle quali le scene d'amore non siano provocanti ed il delitto, anche se rappresentato, non viene insegnato, nè posto in una luce favorevole, non sono — ahi noi — molto numerose. Per esse il semaforo segna «via libera»: ammesse per tutti in sala pubblica. Anche se non seno positive, almeno non sono negative; non edificano, ma neppure demoliscono. Senonchè la valutazione morale dei filmi non può limitarsi a questo.
Vi sono degli ambienti, che hanno maggiori esigenze etico-morali, che non abbiano le sale pubbliche e perchè della loro gestione sono responsabili anche, se non esclusivamente le Autorità ecclesiastiche, e perchè sono frequentate da un pubblico, formato nella quasi totalità di adolescenti e di fanciulli.
Si tratta delle sale parrocchiali, cui le famiglie hanno diritto di chiedere spettacoli assolutamente innocui dal punto di vista religioso e morale. La Commissione di revisione giudica quindi come degne di essere ammesse nelle Sale parrocchiali le pellicole che, sia nella trama come nella scena, non contengono alcun elemento, che possa giustificare l'amore impuro e il concetto pagano della vita. E per le scene d'amore esige non solo che non siano provocanti, ma che siano corrette. In particolare non ammette nudità (il punctum dolens del cinema, come della moda) indecenti e neppure quelle che l'uso ha rese passabili in ambienti particolari, come ritrovi serali, spiagge, palestre, ma, fuori di quegli ambienti e quindi anche sullo schermo, gravemente disdicono e finiscono per essere, specie per i giovani facilmente impressionabili, stimoli alla sensualità.
* * *
E, in fine, criteri essai più rigidi sono necessari per ammettere le pellicole nelle sale degli oratori, nei collegi e slmili istituzioni, che non possono prescindere mai, neppure quando organizzano spettacoli ricreativi, dal compito educativo, che è loro essenziale. Il semaforo morale darà il «via» per le pellicole, che siano positivamente buone, cioè educative e per quelle che siano almeno negativamente buone, cioè del tutto innocue anche per i ragazzi, nel senso che siano immuni da qualunque scena che possa in qualsiasi modo eccitare i sensi o favorire cattive passioni.
Quando si pensa all'enorme suggestione, che il cinema esercita sulle giovani generazioni «proprio nell'età — scrive Pio XI nella «Vigilanti cura» — in cui si sta formando il senso morale e si vanno svolgendo le nozioni ed i sentimenti di giustizia e di rettitudine, dei doveri e degli obblighi, degli ideali della vita quando si pensa alla proporzione con la quale gli adolescenti ed i fanciulli affollano le sale cinematografiche, non si può non esprimere il voto che queste pellicole, innanzi alle quali si aprono tutte le porte, siano più numerose, assai più numerose di quanto oggi non siano».
La Commissione di Revisione del C.C.C. avrebbe allora grandemente facilitata la sua preziosa opera di profilassi sociale. Non sappiamo se a qualcuno i membri della suddetta Commissione potranno sembrare barbuti e severi Aristarchi, smaniosi di agitare la simbolica frusta; se mai, assicuriamo che si tratta di uomini di senno e di cuore, esperti della vita di oggi, sensibilissimi alle esigenze dell'arte e non meno rispettosi bielle esigenze delle anime e dei diritti della verità e della giustizia.
Ogni loro giudizio è la conclusione di un severo dibattito, che si agita nella loro coscienza di genitori, di educatori, di sacerdoti. E sono felicissimi quando innanzi ad una vicenda cinematografica sincera ed umana, che non ignora il male, ma lo condanna, che non nasconde gli aspetti negativi della vita, ma neppure riempie il cuore di amarezza e di ribellione, possono tranquillamente giudicare: «via libera».
Mons. F. Prosperini, «Rivista del Cinematografo», anno XIX, n.2, maggio 1946
La questione della censura cinematografica, cui abbiamo accennato si sta facendo sempre più attuale non soltanto per le nuove misure adottate da quasi tutti gli Stati del mondo, ma anche perchè proprio in questi giorni dilagano le polemiche su tale argomento. Sta di fatto che nessuno, ormai, nega la straordinaria importanza politica del cinematografo, che Galeazzo Ciano ha definito «l’arte collettiva che più direttamente può influire sulle grandi masse dei giorni nostri ».
Ed è perciò che noi vediamo come proprio nelle ultime settimane diversi Paesi abbiano adottato le misure più impensate per la disciplina degli spettacoli cinematografici. Così con il primo aprile è entrata in vigore in Estonia una nuova legge in base alla quale il diritto d’esercire le sale di proiezione è riconosciuto unicamente ai Comuni. In Australia, in seguito ad una campagna condotta insieme dalle Associazioni cattoliche e protestanti, le autorità hanno vietato la proiezione in pubblico della pellicola «Le otto mogli di Enrico VIII », che pure tanto successo aveva ottenuto in Europa, dove a nessuno era venuto in mente di accusarla di immoralità o, comunque, di esser tale da suscitare bassi sentimenti fra gli spettatori. In India un vasto movimento dell’opinione pubblica reclama maggiori rigori da parte della censura cinematografica, specie perchè sembra che la produzione locale stia rimettendo in voga i nautches, ossia quei tipici balli lascivi che recentemente erano stati vietati. A Dunedin, nella Nuova Zelanda, è stato costituito un Comitato che dovrà vigilare su tutti i fatti attinenti al mondo cinematografico e avrà fra l’altro, il compito di sorvegliare l’opera della stessa censura, impedendone le possibili indulgenze.
Frattanto alla Conferenza tenuta ad Edimburgo dalla Federation of University Conservative ad Unionist Associations è stata posta in grande rilievo l'importanza del film quale mezzo di propaganda politica, e si è votata alla una-
massimi rigori contro le produzioni che possono avere influenza deleteria sullo spirito pubblico, viene auspicato il sempre maggior uso del film come mezzo atto a propagandare i principi dei conservatori, soprattutto a mezzo dei cine ambulanti. E l’elenco delle proposte o dei provvedimenti già presi, anche limitandolo ai fatti di questi ultimi tempi, non si ferma qui, ma potrebbe continuare un bel poco ancora. Il movimento, così come si delinea, ha carattere generale per tutti i Paesi del mondo e l’accenno sommario che ne abbiam fatto ci sembra che basti a darne una chiara idea.
In ogni modo si può ancora rilevare che le principali Case di produzione incominciano ad avvertirne l’importanza e stanno già correndo ai ripari per la salvaguardia della propria produzione gravemente minacciata; e questo è probabilmente il risultato più notevole che si sia raggiunto finora. Così e di questi giorni la notizia che la Metro Goldwin Maycr, in seguito alle accuse più volte dirette all’industria americana di aver glorificato il delitto ed esaltato i famigerati gangsters, ha deciso di intraprendere ora una campagna educativa per illustrare le futilità delle azioni criminali. La grande Casa americana avrebbe già, difatti, in lavorazione una serie di corti metraggi, documentari in quanto basati su delitti realmente avvenuti, nei quali si vuol dimostrare come sia un’illusione aspettarsi che ricchezza e felicità si possano raggiungere attraverso la delinquenza.
Naturalmente non manca nemmeno chi non vuol saperne di censura cinematografica e cerca di render valido qualunque argomento pur di opporvisi. In una conferenza tenuta al «Club cinematografico 32 » a Parigi, il noto regista Jacques Feydcr ha affermato che nelle condizioni presenti è impossibile affrontare qualunque grande soggetto d’interesse; sia che si voglia trattare un conflitto fra padroni ed operai, sia che si prenda il problema della disoccupazione od un problema politico, o militare, o religioso, o, comunque, di attualità, immediatamente ci si trova davanti lo spettro della censura. Per ragioni analoghe, Jean Valdois, in un articolo apparso in questi giorni sul Ciné-Ma gazine di Parigi, si lamenta dei rigori della censura per quanto riguarda le pellicole cosiddette sociali, sul tipo di «Nuove terre» e «Borinage » di Joris Yvens, della «Strada senza gioia » e della «Tragedia della miniera » di Pabst, dei «Nuovi signori » di Jacques Feyder. Egli afferma che è proprio perciò che alcuni registi sono costretti a camuffare e a cercare di imporre con tutti gli inganni possibili, attraverso le trame in apparenza più anodine, idee in contrasto con l’ordine vigente, cliè tale sarebbe a suo giudizio il caso di «A noi la libertà » di René Clair, di «Nostro pane quotidiano » di King Vidor, del «Figliuol prodigo» di Louis Trcnker, e di altre pellicole sfuggite, in genere, dalle maglie delle diverse censure internazionali. In quanto poi a René Clair, egli sostiene che per buon film va inteso quello che produce molto denaro, opinione estremamente liberale che lo porta, come è naturale, a non riconoscere altro giudice all’infiiori del pubblico.
Nel groviglio di tante opinioni disparate non sembrerebbe agevole farsi una convinzione precisa. Una cosa però è certa: che non si risolve la questione affidandoci unicamente ad una misura di ordine negativo, quale è, appunto, la censura. Gli Stati che hanno ormai compreso come la cinematografìa abbia un valore sociale e politico non minore di quello estetico e che essa è capace di operare una profonda rivoluzione nell’educazione delle masse, non possono limitare più oltre il loro intervento in questo delicatissimo campo alla sola facoltà di far proibire dalla censura la proiezione di alcuni films. Ovunque lo Stato moderno è chiamato ad imporre la propria etica suprema intervenendo direttamente nella produzione cinematografica, senza, naturalmente, che ciò significhi menomare le possibilità dell’iniziativa privata, mu bensì mettendo in pratica quei principi che il corporativismo fascista ha istituito per tutti i rami della produzione nazionale. In tal modo la censura dei films diventerà sempre più uno strumento secondario, finché potrebbe anche arrivare un momento in cui apparisse opportuno abolirla del tutto.
Con l’istituzione della Direzione Generale della Cinematografia, giudichiamo che l’Italia sia stato il primo Paese a mettersi risolutamente su questa strada.
Sandro Volta, «Il Dramma», anno XI, n.209, 1 maggio 1935
Il cinematografo - lo sappiamo bene - non è soltanto una forma ricreativa, un divertimento, come qualcuno ha potuto credere in altri tempi; ma è soprattutto un divertimento. E come tale è, generalmente, cercato e usato. «Tra i divertimenti moderni — scrive Pio XI nella «Vigilanti cura» - il cinematografo ha preso negli ultimi anni un posto di importanza universale...: è divenuto la forma più popolare di divertimento». Le cifre delle statistiche lo dimostrano. Non sarà quindi inutile contemplare questo, come gli altri divertimenti, nella luce della dottrina cristiana. Diciamo subito che i divertimenti devono essere collocali tra le necessità di natura, specie nella prima età del l’uomo.
Questo principio ha in suo favore una testimonianza, che non potrebb’essere nè più alta, nè più categorica. E’ lo stesso Papa Pio XI, che ai giovani dell'Azione Cattolica ha parlato cosi; «Specialmente pei più piccoli, i divertimenti ci vogliono. Del resto un qualche divertimento è opportuno non solo nella piccola incipiente vita, ma anche nella grande, vita. Il divertimento è giusto appunto perchè è necessario: ed è necessario perchè non si può sempre lavorare, sempre attendere a pensare».
Quasi sinonimo di divertimento è il vocabolo ricreazione, che indica piuttosto l'effetto del divertimento. Ricreare, infatti, significa creare di nuovo. E realmente la ricreazione - riposo piacevole, divagazione, sollievo — ricrea le forze (fisiche e psichiche) perdute durante il lavoro. Di fatto il lavoro, sia manuale che intellettuale, produce una reale disarmonia nel quadro delle energie umane, piochè tiene sotto pressione, e quindi esaurisce e stanca, qualche particolare facoltà. La ricreazione allenta le corde tese, rimette l’equilibrio, e con ciò stesso rinnova la capacità lavorativa. Anche la ricreazione, dunque, è una necessità, una giustizia di natura.
Ma non ogni ricreazione, non ogni divertimento può dirsi onesto e lecito. Talvolta il divertimento è piuttosto pervertimento. E ciò può avvenire in due casi: quando il divertimento è in sè stesso un peccato, ossia un atto contro la legge; oppure quand’è un'occasione di peccato. In ambedue i casi la morale cristiana interviene, e lancia il suo non licet. Poiché l’uomo deve evitare non soltanto la caduta, ma anche il pericolo di cadere.
E’ chiaro che il cinema va collocato tra i divertimenti che non sono in sè stessi peccaminosi, ma possono essere occasioni di peccato. E come sovente, e quanto, lo sia, i nostri lettori non han bisogno di saperlo da noi.
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Si badi bene, però, che molto spesso il disordine si nasconde non nell’azione ricreai iva, ma in qualche circostanza che l'accompagna. Molto spesso il disordine non è una questione di sostanza, ma di modo e di misura. Ciò vuol dire che i piaceri e i divertimenti han da essere non solo onesti, ma anche moderati. Onestà e discrezione devono darsi l’abbraccio. Il ne quid itimis ha qui una speciale ragion d’essere.
Ed è ancora Pio XI che ce lo insegna, quando, nel discorso già citalo, pronuncia queste precise parole: «Il divertimento ci vuole, e i giovani delle Associazioni cattoliche fanno bene a prenderlo, e fanno bene quelli che lo fanno prendere loro. S'intende nei giusti limiti, moderati così, che non nuoccia all'adempimento dei doveri, che non prenda troppo del tempo, perchè la vita non ci è stata data per divertirci continuamente. La vita è cosa troppo seria, ed appunto per questo è giusto dare al divertimento soltanto quella parte moderata che gli spetta».
Quest’ insegnamento pontificio ci fa venire in mente alcune sensate parole di un filosofo pagano, Tullio Cicerone, il quale, guidato dal semplice buon senso, scrisse: «La natura non ci ha fatti tali da poterci credere destinali al divertimento e al gioco; no, noi siamo portali a qualcosa di severo, ad occupazioni più gravi e più degne». Molto tempo prima il sacro autore della Sapienza aveva redarguito i buontemponi e i vitaioli, perchè «credettero che la nostra vita fosse un gioco».
A questo mondo, del resto, c’è una misura in tutte le cose: come potrebbe non esserci nei divertimenti e nei piaceri? Finalmente una circostanza di tempo, o di luogo, o d’altra specie, può rendere sconveniente anche un divertimento che per sè stesso non è peccaminoso, c neanche pericoloso. Per esempio, in Quaresima, per una ragione di penitenza, o in periodo di lutto, per una ragione di pietà verso i morti, certi divertimenti possono divenire una stonatura.
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E’ vecchia l’accusa che la religione di Cristo, inalberando sulla terra la croce, vi abbia spenta la gioia, facendo della vita predente un anticipato purgatorio. E molti, rimpiangendo il tramonto dei tripudi lascivi, delle orgie legalizzate del paganesimo, gettano in faccia a Cristo l’invettiva blasfema del Carducci: «ciuciato martire, tu cruci gli uomini». Ma questa è pretta calunnia di gente ignorante o malevola. No, la morale cristiana non è cupa e asfissiante; ma serena e ariosa. Non comprime i polmoni, non mozza il respiro, non soffoca nessuna forza vitale. La morale cristiana non disconosce nessuna necessità dell’umana natura. Perciò non esclude il piacere e lo svago, ma lo vuole onesto; non bandisce l’allegria, ma la santifica. Bandisce invece la tristezza infeconda; e invita alle gioie pure dello spirito.
Ci furono, è vero, dei cristiani rigoristi, che falsarono la morale di Cristo, facendone un giogo intollerabile. Essi condannarono piaceri ed agi della vila, che il Vangelo non condanna; oppure convertirono in precetto ciò ch’è semplice consiglio. E. credendosi i soli paladini dei diritti dello spirito contro le pretese della carne, si chiamarono pomposamente gli spirituali. Talvolta si coalizzarono in sette rumorose e spavalde, come quelle dei Montanisti, nel secolo secondo; dei Beguini e dei Fraticelli, nel secolo decimotero.
Ma la Chiesa ha condannalo queste sette, e ha sempre aborrito da ogni rigorismo etico, contrario allo spirilo di comprensione e di sana libertà, che caratterizza l'insegnamento e la condotta di Gesù Cristo. Poiché fu proprio il nostro dolce Maestro ad ergersi contro i rigoristi dei suoi tempi, Scribi e Farisei, accusandoli apertamente di «accumulare pesi gravi e importabili, e di porli sulle spalle deqli uomini».
E il suo esempio fu imitato dai Santi. Tutti i Santi autentici irrisero in pratica l'esortazione del Salmista: «Servire il Signore nella letizia». Alcuni favoriti da temperamento espansivo, furono chiamali seminatori di gioia. E il pensiero corre subito a San Filippo Neri, l’apostolo della gioventù, il santo dell'allegria. Taluni dei suoi motti abituali — che incidono il suo sistema educativo — sono entrati nel dominio comune: «Figliuoli, state allegri»; «divertitevi, ma non peccate».
E pensiamo a un altro Santo, che fu una copia stupenda del Neri: Don Bosco. Giovane studente, a Chieri, fonda la Società dell'allegria, che aveva come motto e programma: Servile Domino in laetitia. Più tardi darà questo medesimo programma al suo Oratorio.
Agli educatori Don Bosco offrì questa norma : «Si dia ai giovani ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiale sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla santità. Si badi soltanto che la materia del trattenimento, le persone che intervengono, i discorsi che hanno luogo, non siano biasimevoli». Seguendo questi criteri il Santo, se ai suoi tempi ci fosse stato il cinema, sarebbe stato certamente il primo a introdurlo nei suoi Oratoli e Collegi, a scopo di ricreazione, di preservazione, di educazione..
Ora i Santi sono gli interpreti genuini non solo della morale, ma dello spirito del cristianesimo. Il quale dunque — concluderemo con San Paolo — non è «spirilo di servitù», ossia di duro rigore: ma «spirito di figliolanza adottiva». che vuol dire di gioconda e savia libertà.
Mons. Luigi Civardi, «Rivista del cinematografo», anno XIII, n.2, 20 febbraio 1940
...il cinematografo sarebbe quello che è, e farebbe tutto il male che fa, se la stampa non lo sostenesse e si ponesse invece risolutamente contro tanta immoralità? In altri termini il cinematografo non è forse, in gran parte, quale la stampa lo fa?
S. S. PIO XI di s. m. alle Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica nell'Udienza dell'11 agosto 1934
La stampa cattolica ha il dovere categorico di interessarsi al cinematografo. Lo ha anzitutto per la sua essenziale missione informativa e formativa. Oggi lo ha anche per uno speciale incarico ricevuto dalla Gerarchia Ecclesiastica; ricevuto dal Papa medesimo nell’enciclica Vigilanti cura sul cinematografo.
La stampa ha in questo settore un duplice compito: anzitutto cooperare, con una sana critica, a rendere il cinematografo non solo morale, ma anche moralizzatore; in secondo luogo preservare il pubblico dai danni gravissimi dei cattivi spettacoli, mediante sagge e tempestive segnalazioni.
La critica
Mi permetto di indicare alcuni criteri circa il primo compilo (la critica), e il secondo (le segnalazioni); due compiti strettamente connessi, e assai delicati. E nell'esporre tali criteri mi faccio eco del pensiero e delle direttive superiori. Nella critica una delle norme fondamentali, da non dimenticare mai, è questa: il valore morale di un film lui sempre il primato sul valore artistico. Prescindiamo qui dalla questione ontologica se ci possa essere arte vera, dove non c’è moralità. A noi basta sapere che ogni manifestazione d’arte ha da essere morale, in quanto deve, nonché impedire, aiutare l’uomo nel raggiungimento del suo fine ultimo.
Perciò siamo d’accordo che la stampa cattolica deve riconoscere e lodare il bello, quando c’è e dove c’è; poiché il bello, come il buono, è un riflesso della perfezione divina. Deve quindi dare il suo schietto contributo al miglioramento anche artistico della cinematografia (miglioramento auspicato anche da Pio XI nella Vigilanti cura).
Ma, nella scala dei valori, il buono sta sopra il bello. Perciò il critico cattolico non può mettere in sottordine il lato morale di un film nel farne la recensione. In tal modo cadrebbe nel peccalo dell'estetismo. Ciò che può avvenire, per esempio, quando, davanti a un lavoro di innegabile valore artistico, ma moralmente negativo, egli, abbagliato dagli splendori del bello, fa una lunga ed entusiastica relazione sul lato artistico del lavoro, aggiungendo in fine una nitida e frettolosa riserva per la parte morale; riserva che non può far molto breccia sull’animo del lettore, già caldo di ammirazione per l’opera d’arte.
E’ evidente che questa eccessiva preoccupazione estetica — ossia questo estetismo — finisce — pur contro la volontà del critico — per valorizzare indirettamente e fare la propaganda del male. Mentre solo ciò che è buono integralmente — bonum ex integra causa — merita il nostro entusiasmo e la nostra propaganda. Perciò bisogna che il primato del valore morale su quello artistico sia affermato nella sostanza come nella forma della recensione, e quindi anche nelle proporzioni, per evitale gli effetti reclamistici a ciò che può riuscire nocivo alle anime.
E’ vero che adottando questo criterio rigido si sarà accusali di incomprensione, di insensibilità artistica, di quacquerismo, e che so io. Ma che importa? Lo scrittore cattolico — e sopratutto il critico — deve ripetere come San Paolo : « Se cercassi di piacere agli uomini, non sarei servo di Dio ». E veramente lo scrittore cattolico è un servo di Dio, perchè è un apostolo.
V’è una seconda questione: che dobbiamo intendere per immoralità nell'arte, e in particolare nell'arte cinematografica?
In un senso stretto si ritiene immolale ciò che è atto a solleticare i sensi, e quindi riesce occasione ed eccitamento al peccato di lussuria, interno o esterno. Ed è senza dubbio il caso più frequente di immoralità nell’arte. Ma in un senso più largo, e non meno vero, è immorale tutto ciò che può indurre lo spettatore a offendere. in qualsiasi maniera, qualsiasi precetto, divino o umano, naturale o positivo. A questo proposito qualcuno ha chiesto se deve ritenersi immorale un film in cui c’è la descrizione di un grave delitto : omicidio, suicidio, rapina, infanticidio, ecc.
Bisogna distinguere.
Se il delitto è messo in una luce e in un contorno, per cui può inclinare l’animo dello spettatore al consenso, e quindi all’imitazione, siamo certamente (lavanti a un elemento di immoralità. Ma ciò non avviene necessariamente. Può anzi avvenire il contrario; cioè il delitto può esser prospettato in modo tale, da far nascere nell’animo dello spettatore il senso della disapprovazione, e anche dell’orrore. Anche qui il criterio è dunque questo: la capacità del film a inclinar l'animo de'lo spettatore alla colpa.
Ma deve dirsi immorale anche un film che, pur senza esibizioni scandalose e eccitamenti alla colpa, contiene però elementi capaci di svalutare concetti e istituzioni, le quali sono la garanzia e il presidio della vita morale e sociale. Capita infatti non di rado che la parte scenica sia contenuta entro i limiti di decenza, ma sotto sotto si dipani una trama tutt’altro che morale; spesso è la realizzazione del concetto pagano della vita. Tra le istituzioni poi che subiscono i più frequenti attentati all’arte dello schermo occupano un posto speciale il matrimonio e la famiglia.
E qui ci troviamo davanti, evidentemente, a una malizia specifica, perchè ne rimane avvelenata la fonte medesima della vita, il matrimonio; ne rimane intaccala la cellula medesima dell’organismo sociale, la famiglia. Per questo i drammi che, pur mantenendosi entro i limiti corretti quanto al costume, screditano l’istituto matrimoniale, sia pure in modo implicito, devono essere giudicati con speciale rigore. Tale è la direttiva data dalla Autorità Ecclesiastica medesima: e dovrebbe essere seguita da tutti coloro che hanno a cuore le sorli della vita non solo religiosa, ma anche civile.
Le segnalazioni
La stampa deve inoltre fare le segnalazioni al pubblico circa il valore morale delle pellicole; segnalazioni che possono paragonarsi ai segni indicatori sulle pubbliche vie. Questo servizio segnalazioni ha una maggiore ragione d’essere e utilità dove e quando i fedeli si obbligano con particolare premessa a non assistere a spettacoli indecenti.
E, dopo l’enciclica Vigilanti cura — che invita i cattolici di tutto il mondo a seguire l’esempio americano — tale promessa — come sappiamo — va fortunatamente diffondendosi in molte diocesi e nazioni.
Perciò i fedeli, oggi più che ieri, hanno bisogno di sapere a quali spettacoli possono o non possono assistere tuta coscientia. Per questo è necessario un lavoro di recisione e classifica morale di ogni pellicola. Queste due funzioni l’enciclica Vigilanti cura le attribuisce, come sappiamo, ad appositi Uffici o Commissioni, che devono esistere in ogni nazione, per cura degli organismi centrali dell’Azione Cattolica, e quindi alla diretta dipendenza della Gerarchia Ecclesiastica.
In Italia questo Ufficio è il Centro Cattolico Cinematografico. Ma la revisione e la classifica sono due azioni preliminari a una terza : la segnalazione ai fedeli. E qui gli Uffici di revisione devono servirsi specialmente della stampa cattolica, dei giornali quotidiani e settimanali. Il Papa medesimo, nella Vigilanti cura, vuole che i giornali cattolici « abbiano tutti una rubrica cinematografica, per lodare le buone pellicole e biasimare le cattive ».
Gli Uffici Nazionali e la stampa cattolica
Ora, quali i rapporti tra la stampa cattolica e questi Uffici per il Cinema? Nell’Enciclica sono accennati chiaramente. Il Papa vuole che detti Uffici, organi della Gerarchia Ecclesiastica, siano gli unici centri responsabili per le segnalazioni, di cui abbiamo detto. E ciò anche allo scopo di ottenere una uniformità di giudizio, senza la quale le coscienze dei fedeli sarebbero in balia del dubbio, del disorientamento, tanto più nocivo per coloro che si sono obbligati con la speciale promessa.
Però è a notare che il giudizio degli Uffici competenti non è tanto sulla moralità intrinseca di un film quanto sulla sua pericolosità morale, nel senso già detto. Se fosse soltanto sulla moralità, poiché la legge morale è unica per tutti i cristiani, si potrebbe fare un'unica classificazione mondiale (per esempio, nel paese di origine del film). Ma la pericolosità è diversa secondo il grado di resistenza delle singole coscienze, e anche secondo l’ambiente e il clima morale. Il quale - come quello fisico — varia non solo da nazione a nazione, ma anche da diocesi a diocesi, e possiam dire da parrocchia a parrocchia.
Per questo il Sommo Pontefice, molto sapiente-mente, come ha voluto un Ufficio di revisione e classifica per ogni nazione, così ha stabilito che in una medesima nazione i Vescovi, mediante appositi Uffici o Commissioni Diocesane, possano portare modifiche alla classifica stabilita dall’Ufficio nazionale, « usando criteri più severi, come li può richiedere l'indole della regione ».
Donde i chiari rapporti tra la stampa cattolica e gli Uffici di revisione, sia nazionali che diocesani. Questi sono organi della Gerarchia Ecclesiastica; la Stampa cattolica è al servizio e alle dipendenze della medesima Gerarchia : la conclusione è evidente per se stessa...
La stampa cattolica si farà dunque eco dei giudizi degli Uffici suddetti, illustrandoli, corroborandoli. Nè si permetterà di contraddirli, e neppure di prevenirli (come è talvolta avvenuto, pubblicando recensioni e fotografie di pellicole ancora in lavorazione).
Un’altra conclusione pratica, che viene spontanea da quanto s’è detto fin qui. è questa: la stampa cattolica. specie quella quotidiana, col suo servizio coscienzioso delle segnalazioni cinematografiche, acquista una nuova e grande benemerenza morale e civile, e un titolo nuovo per entrare in ogni famiglia cristiana. o semplicemente onesta. Titolo, questo, che può vantare anche la nostra Rivista del cinematografo, la quale, nella sua funzione specializzata, intende rendersi utile non solo alla causa morale del cinema e ai suoi sostenitori, ma anche alle famiglie cristiane; e sopra tutto alla gioventù.
Mons. Luigi Civardi, «Rivista del cinematografo», anno XIII, n.4, 20 aprile1940
...quanto danno procurano le cattive cinematografie nelle anime... espongono sotto una falsa luce la vita; offuscano gli ideali; distruggono il puro amore, il rispetto per il matrimonio,-l'affetto per la famiglia...
S. S. PIO XI, Enciclica « Vigilanti cura »
Dopo aver letto attentamente le pagine di Mons. Civardi intorno al «Cinema di fronte alla Morale» ho dovuto esclamare : ecco un libro piccolo di mole, ma quanto grande per la sua importanza ! Vorrei fosse il prezioso vademecum di tutti i genitori, di tutti gli educatori e di quanti scrivono o comunque si occupano del cinema. Un animo onesto, a qualunque sponda appartenga, u animo che senta la responsabilità di fronte ali educazione della gioventù e del popolo e comprenda la necessità di salvaguardarne i valori spirituali e morali, anche per il bene stesso della nazione e della civile società, non può non consentire pienamente alle idee e criteri esposti in questo aureo libretto.
Con una chiarezza di esposizione, che subito avvince, l’Autore scolpisce in due parole quello che deve essere per tutti il cinema; fa toccare con mano le relazioni che debbono correre strettissime fra morale ed arte; analizza sapientemente il tema della im moralità e, da finissimo psicologo, studia i Vari pubblici che frequentano le sale cinematografiche. Come non ammirare l'equilibrio sereno dei giudizi e la schietta lealtà nel riconoscere quanto sia difficile fissare una norma uguale per tutti e che tutti soddisfi?
Dobbiamo davvero essere grati a Mons. Civardi per l'opera buona da lui compiuta, dove vibra la sua anima d’apostolo. Dal caos presente in cui cozzano furiosamente uomini ed idee di un mondo Vecchio tutti s’augurano che debba balzar fuori un ordine nuovo, e a questo rinnovamento il cinema è chiamato a portare il suo efficacissimo contributo. Possano le idee esposte in questo libro> diffuse largamente, esser feconde di una sana mentalità in tutti gli appassionati ed artefici del cinema.
Mons. G. B. FEDERICO VALLEGA Arciv. Tit. di Nicopoli di Epiro
Nella interpretazione dei giudizi morali, che il Centro Cattolico Cinematografico dà sui filmi messi in circolazione, si cade facilmente in errore, perchè non si conoscono bene i criteri cui il Centro medesimo s’ispira. Cosi si sbaglia nel valutare... le valutazioni. Perciò non sarà superfluo dire una parola intorno a questi criteri, che illumineranno poi nella interpretazione dei giudizi.La classifica dei filmi revisionati è fatta tenendo presenti le diverse esigenze di ambiente e di pubblico. E' evidente, per esempio, che il giudizio per sale pubbliche potrà essere più largo che per le sale cattoliche e parrocchiali; mentre, nelle medesime sale pubbliche, alcune pellicole, che si possono permettere agli adulti, si devono invece sconsigliare ai ragazzi e ai giovani, per essere questi più facilmente influenzabili.
Sottolineiamo questa parola influenzabili; poiché il giudizio, che dei filmi dà ogni organo di revisione, non è tanto sulla loro moralità, quanto sulla loro capacità di nuocere spiritualmente; diremo sulla loro pericolosità morale, che è sempre in rapporto al grado di reazione che trovano negli animi; mentre la reazione è diversa secondo l’età, il sesso, il temperamento, l’educazione, la professione, e lo stesso clima morale in cui si vive.
Ispirandosi a questi criteri il Centro Cattolico Cinematografico ha stabilito quindi una graduatoria morale, assegnando ciascuna pellicola ad una determinata categoria.
I ragazzi — fino ai 14 anni circa — e i giovani — fino ai 21 anni circa, ossia fino alla maggiore età — compongono un’unica categoria. Ma è evidente che pei ragazzi si deve usare un criterio anche più rigoroso, data la loro maggiore influenzabilità. E il Centro Cattolico Cinematografico molto sovente, nelle sue pubblicazioni, motivando e illustrando il giudizio morale dei filmi, la distinzione tra giovani e ragazzi.
Adulti si ritengono, nel caso nostro, coloro che hanno raggiunto il limite della maggiore età. E' evidente, tuttavia, che anche qui il limite è soltanto approssimativo. E ne vedremo più avanti le ragioni.
Il principio dei minor male
Venendo ora a parlare dei criteri di valutazione, è necessario anzitutto dichiarare che il Centro Cattolico Cinematografico, allo stato attuale delle cose, è sovente costretto a ispirarsi al principio generale del minor male. Principio giustificalo da due circostanze: la scarsità di produzioni condotte secondo i criteri della morale cattolica, e la febbre del pubblico per il cinema.
Nell'Antico Testamento come sappiamo — Iddio ha fallo agli Ebrei delle concessioni «a causa della durezza del loro cuore», e anche in vista del fatto che quel piccolo popolo di elezione era costretto a vivere tra genti pagane, delle quali non poteva non sentire l'influsso. Un caso simile si presenta molte volte anche in questi tempi di paganesimo rinascente, e giustifica l'adozione di un principio così poco simpatico, com'è quello del minor male. Ed è il principio, abbiam detto, che deve seguire molte volte, se non sempre, il Centro Cattolico Cinematografico nel valutare moralmente i prodotti dell’arte dello schermo.
La realtà è questa : il cinema «è divenuto la forma più popolare di divertimento, che si offra nei momenti di svago non solamente ai ricchi, ma a tutte le classi della società» (Enciclica Vigilanti cura). Per molti, anche cattolici praticanti, il cinema è divenuto quasi un bisogno della vita. Predicare l'astensione a questa gente, che forma la grande maggioranza del popolo, è opera pressoché vana. E allora bisognerà compiere un'azione preservativa, segnalando loro quegli spettacoli da cui potranno avere, se non un bene, almeno nessun male, o, nella peggiore della ipotesi, un male minore.
Per soli adulti
Altra cosa da non dimenticare è questa: il Centro Cattolico Cinematografico, nel giudizio morale di una pellicola, o più precisamente nel giudizio della sua pericolosità morale (nel senso di sopra spiegalo), non può tener conto che della media degli individui appartenenti a una determinata categoria: adulti, giovani, ragazzi, ecc.
Stando cosi le cose, sarà facile comprendere come debbano essere interpretati i giudizi del Centro medesimo. Prendiamo le pellicole dichiarate visibili per soli adulti, ossia per soggetti dai ventun anno in su. Tale dichiarazione vuol forse dire che a tutti e a ciascuno tali pellicole non porteranno nessun nocumento spirituale? Affatto. Vi sono degli individui particolarmente sensibili — sia psicologicamente, sia moralmente — che ne avranno sicuramente un influsso nocivo, specie se non han fatto l'abitudine a tal genere di spettacoli.
Oltre la differenza del grado di sensibilità, c’è la differenza di età, la differenza di condizione, di cui bisogna tener conto. Non sempre, infatti, alla maturità civile corrisponde un’eguale maturità psicologica e morale. D'altronde questa maturità — e quindi la corrispondente immunità morale — è ben diversa in un giovane di 21 anno, che in un uomo maturo di 50, o in un vecchio di 70. E' diversa ancora in un celibe che in un coniugato. Perciò anche il termine «per adulti» è da intendersi in un senso relativo, e il giudizio va interpretato con le debite cautele e distinzioni.
Per tutte queste ragioni il Centro Cattolico Cinematografico usa sovente, nei suoi giudizi, questa formula restrittiva: «visibile per persone di piena maturità morale». In conclusione un giudizio sicuro per ciascun individuo in particolare può darlo soltanto il direttore spirituale, che sia in grado di valutare tulle le circostanze soggettive ed oggettive; e il suo giudizio molte volte sarà più severo certamente di quello del Centro Cattolico Cinematografico.
Per tutti
Prendiamo ora le pellicole giudicale visibili per tutti, ossia anche per i giovani e per i ragazzi. Questa espressione «per tutti» ha un valore assoluto soltanto quando si tratta di pellicole positivamente buone, o almeno inoffensive per persone non solo di ogni età, ma anche di ogni condizione. Ma tali pellicole non son molte; e, quando per fortuna si presentano, vengono dichiarate adatte anche per Oratori, Collegi, Scuole.
Più sovente, purtroppo, anche l’espressione «per tutti» ha un valore relativo. Il che avviene quando una pellicola può riuscire inoffensiva soltanto pei giovani che frequentano abitualmente le sale cinematografiche, e nei quali la suscettibilità riesce quindi meno profonda. Ab assuetis non fit passio: l’assuefazione, se non sopprime del tutto, diminuisce la reazione psicologica. E' evidente che in questo caso il termine visibile è da intendersi nel senso di tollerato.
Lo spettacolo, perciò, difficilmente riuscirà del tutto innocuo all’anima innocente di un ragazzo, che ha ricevuto e riceve un’educazione squisita, e non è aduso alle emozioni abbacinanti dello schermo. Gli educatori di queste anime semplici, profumate d'innocenza, e particolarmente sensibili, faranno bene a non fidarsi della formula «visibili per tutti in sala pubblica». E, quando credessero conveniente concedere al loro educando lo svago di uno spettacolo cinematografico, faranno bene a controllarlo prima personalmente, o ad accertarsi in altro modo della sua assoluta innocuità. E ciò anche per il fatto che, in vista delle ragioni sopra esposte, sono talvolta ammesse, o meglio tollerate per tutti alcune pellicole, le quali contengono elementi scenici non interamente conformi alle regole giustamente austere della pedagogia cristiana, specialmente per la custodia della castità, virtù così delicata, che basta un soffio ad offuscarla.
Inoltre, anche quando la scena è in tutto corretta, la vicenda insinua molto spesso idee non perfettamente conformi al concetto evangelico della vita.
Per sale cattoliche
Gli organi di revisione e di classifica, preposti dall’Autorità Ecclesiastica, s’ispirano a criteri particolarmente rigorosi nella selezione delle pellicole per sale cattoliche, stabilendo per queste, — come s'è visto — una categoria a parie. Ciò è troppo giusto. Non tulio. infatti, le pellicole dichiarale risibili per tutti in sala pubblica possono essere adatte per le nostre sale. E per due ragioni: anzitutto per la diversità del pubblico, che in sale cattoliche si suppone religiosa-mente e moralmente più scelto, e quindi più suscettibile. In secondo luogo perchè tutto ciò che vien proiettato in una sala cattolica, sotto la responsabilità diretta dall'Autorità Ecclesiastica, riceve da questa, in certo modo, l’approvazione e il sigillo. Per cui, nel caso di qualche scena, di qualche battuta meno colletta, vi è, con gli altri pericoli, anche quello dello scandalo. Ciò che non avviene nelle sale pubbliche.
L’ideale sarebbe che la sala cattolica, che sorge di solito accanto al tempio, fosse un complemento di questo nell’educazione cristiana delle anime. Ma simile ideale potrà esser pienamente realizzato soltanto quando s’avrà la fortuna di disporre d’una sufficiente produzione cinematografica cattolicamente ispirata. E faccia il buon Dio che ciò si verifichi presto, per la maggiore sua gloria e per il bene delle anime.
Nell’attuale situazione, purtroppo, le sale cattoliche si vedono costrette più sovente ad assolvere il compito negativa di preservare i fedeli dai danni e pericoli di cattive cinematografie. E il nostro Centro, da parte sua — sempre per la lamentata penuria di una produzione interamente cattolica — deve talvolta, sebbene a malincuore, permettere pellicole che, in una situazione migliore, sarebbe bene sostituire con altre più confacenti alle funzioni di una sala cattolica.
Per istituti educativi
Il Centro ha inoltre stabilito una categoria a parte per gli Oratori, i Collegi, le Scuole, e in genere per gli Istituti educativi. La ragione di questa distinzione è evidente. Per queste sale si esigi' un rigore di giudizio anche maggiore che por le sale cattoliche parrocchiali. Qui, infatti, entra un pubblico misto, fatto di gente d’ogni età e condizione; mentre le sale di Istituti educativi accolgono un pubblico omogeneo di ragazzi, ossia di anime tenere, e facilmente infiammabili. Maxima debetur puero reverentia: è il monito di un pagano.
Inoltre le sale parrocchiali, come s’è detto, hanno, nelle attuali circostanze, un compito in buona parte preservativo, in quanto impediscono che i migliori parrocchiani vadano a divertirsi in sale, dove corrono serio pericolo le virtù cristiane. Mentre non questo è il compilo prevalente delle sale di Istituti educativi, che hanno segnato la loro funzione positiva in questo aggettivo medesimo: educatici. Il loro pubblico è fatto esclusivamente di educandi: e il compito negativo della preservazione ha per esse una posizione secondaria.
Infine convien notare quest'altra circostanza. Nelle sale di Istituti non è necessario, anzi forse non è neppur conveniente che gli spettacoli siano cosi frequenti come nelle sale parrocchiali. Perciò la formazione dei programmi riesce più facile, e pennello, una maggiore severità nella selezione delle pellicole.
Voglia il Cielo che presto si possa avere, a disposizione dei nostri Istituti, un abbondante repertorio di pellicole che facilitino il loro compito di formazione cristiana: pellicole capaci di divertire, istruire, e insieme educare; capaci di educare divertendo, e di divertire educando.
Allora sarà finalmente realizzato il voto di un grande Pontefice: che «tutto il cinema sia morale, moralizzatore, educatore» (1).
Mons. L. Civardi, «Rivista del Cinematografo», anno XIII, n.10, 20 ottobre 1940
(1) Pio XI nel discorso ai rappresentanti del Comitato della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica (10 agosto 1934)
La morale è proprio una pastoia per l’arte? Cosi fu detto più volte, e fu ripetuto anche di recente su qualche rivista cinematografica. La morale, a sentir certa gente, produrrebbe nell’animo dell’artista, a un di presso, gli effetti che un'artrite deformante produce in un corpo vigoroso: ne paralizza le forze, ne atrofizza i nervi, ne inceppa i movimenti. Insomma la morale tarpa l'ali del genio, per dirla con una frase fatta. E il moralista fa la parte di una suocera arcigna e pettegola, che turba l'idillio spontaneo e casto tra due giovani sposi... cioè l’idillio tra l’artista e l’arte. E' vero?
* * *
Certo la morale prescrive delle norme, e quindi pone dei limiti all'attività dell'artista. Il quale, come uomo, non può sottrarsi ai canoni della legge morale, che disciplina ogni attività umana. Come artista poi, in quanto comunica ad altri le sue idee e le sue emozioni. ha il dovere di non distrarre nessuno dalla via che conduce l’uomo all’ultima sua mèta, al fine per cui fu creato. Anzi, ha il dovere di agevolargli il cammino. Perciò l’artista deve rispettare la morale, ossia quella somma di principi e di norme, che regolano il costume, e con ciò stesso tutelano la vita, individuale e sociale. Proprio così: la morale è un’esigenza di vita, è presidio della vita, fin dalla radice, è salvaguardia della società. E intendiamo specialmente la morale nel suo senso più stretto e più comune, in quanto è condanna della lussuria.
Quella forza innata e misteriosa, che si chiama amore, ha, insieme con gli altri istinti del sesso, proprio questo preciso sbocco: la vita. La vita dell’individuo e della società. Chè il piacere che accompagna l’uso di tali forze non è, nella mente del Creatore, un fine, ma un semplice mezzo. Un mezzo di perpetuare la vita.
E allora la morale, che disciplina appunto l’uso di queste forze impetuose, e le imbriglia affinchè non deviino, e attingano il loro fine supremo, è veramente un'esigenza di vita, che non si può discutere, anche se pone dei limiti e impone dei sacrifici, all’uomo e all'artista. Sono limiti ragionevolissimi, necessari.
* * *
Ma si badi bene: noi abbiam detto che la morale pone dei limiti all’artista, non all’arte. In realtà si tratta di cose ben diverse. L’arte non è mortificala nè diminuita dalla morale. L'arte non ha bisogno del l'immoralità per potenziarsi. Non ha bisogno di entrare nel giardino della lussuria per arricchire la sua raccolta di fiori graziosi e aulenti. La sua tavolozza ha colori sufficienti per ogni quadro; la sua tastiera ha note bastanti per ogni melodia.
Ed è d’accordo con noi Dino Falconi, quando scrive sul Popolo d'Italia (3-4-1941): «Se il cinema è un arte (e credo che su questo si sia tutti d’accordo) è indubitato che l'arte per vivere ed interessare non ha bisogno ili descrivere brutture o situazioni equivoche. Non è detto, tanto per entrare in un paragone che rappresenta un po’ la chiave di volta d’ogni costruzione spettacolare, che un matrimonio per essere teatralmente o cinematograficamente interessante debba per forza essere minato dall'adulterio di uno dei due coniugi».
Diremo di più. L’arte, nonché mortificata o diminuita, è piuttosto potenziata e sublimata dalla morale. Poiché questa impedisce all’artista di deviare dal retto cammino, di scivolare, in un piano inferiore, dove l’arte riceve davvero le sue peggiori umiliazioni.
Che l’arte sia per il bello, è canone che nessuno può contrastare. Ma è pur incontrastabile che il bello è per il vero e per il buono. E’ pure incontrastabile che il vero e il buono aggiungono sempre un loro particolare splendore al bello, quasi un fastigio, un coronamento. Tanto che l’antica sapienza aveva sacro questo principio: una cosa è perfetta quando è bella e buona a un tempo.
Ma non staremo a teorizzare su quest’argomento. Faremo come Diogene, il quale, davanti a quel filosofo idealista che negava il moto, s’alzò da sedere e si mise a camminare. I capolavori dell’arte sono la dimostrazione di fatto della nostra tesi. La Divina Commedia e i Promessi Sposi sono monumenti d’arie finora insuperata, se non insuperabile. E in essi armonizzano mirabilmente morale ed arte.
Sappiamo l’obbiezione degli avversari della nostra tesi. L'arte essi dicono — nipote di Dio, è figlia della natura, e deve ritrarne i lineamenti. Ora, poiché in natura c'è molto male, d’ogni specie, fisico e morale, come potrà l’arte escluderlo dal suo casellario? Essa finirebbe per scapitarne.
Lo riconosciamo volentieri; e quindi sottoscriviamo a queste parole che Alessandro De Stefani scrisse, non è mollo, in un giornale romano, per giustificare certe licenze artistiche... non giustificabili : «A raffigurare personaggi tutti onesti, tutti buoni, tutti per bene, si ha come risultato che mancano i contrasti: tutto diviene piatto. Anche l'efficacia della rappresentazione diminuisce».
Giusto. Il male può divenire un elemento essenziale in un dramma. E se bastasse la descrizione del male a condannare un'opera d’arte, quante si salverebbero? Neppure il casto romanzo dei Promessi Sposi da noi citato a modello, dove pure molli delitti affiorano, in contrasto con le virtù dei protagonisti. Neppure la Bibbia, neppure il Vangelo, le cui pagine sacrosante ci narrano le efferate dissolutezze di Erode Antipa, e l’orrendo tradimento e il suicidio di Giuda. Si chiedono contrasti psicologici agli effetti dell'arte; or dove trovare un contrasto più drammatico di questi: il Cristo e Giuda, il Battista ed Erode?
Il male, dunque, può, e sovente deve avere un posto nell'arte. Ma, ciò che importa, é di collocarlo al suo posto. Ciò che importa è di trattarlo come si merita, cioè di non metterlo mai sotto veste attraente, di non giustificarlo comecchessia. Ciò che importa è di non presentare mai all'occhio dello spettatore qualcosa che possa inclinar l'animo alla colpa. La simpatia e l’approvazione del pubblico devono sempre esser dirette verso il bene e la virtù, non mai verso il male o il vizio. E il colpevole dev’essere tratteggiato in modo che non imiti all'ammirazione, e quindi all'imitazione, ma piuttosto alla riprovazione. Ecco lutto.
* * *
Ma, poiché si fa appello alla natura, per giustificare l'ingresso del male nel dominio dell'arte, noi dobbiamo osservare che in rerum natura c'è pure il bene, anche se ama rimaner nascosto. E il bene ha un maggior diritto ad essere rappresentato. O perchè esso fa così scarse apparizioni sulle scene e sugli schermi? Esemplifichiamo. Anche sull'immensa scena di questo mondo novecentista, che si scosta sempre più dagli ideali evangelici della vita, noi vediamo muoversi non soltanto giovani libertini, ma anche giovani casti; non soltanto coppie di amanti spensierati e sguaiati, ma anche fidanzati che si preparano al matrimonio in purità di corpo c di spirito: non soltanto donne mondane, veneri vaganti, ma anche spose fedeli e madri venerande. Purtroppo, l’occhio di certi commediografi o soggettisti odierni non vi scorgo che il male.
Si direbbe che essi abbiano una spiccala simpatia per la melma della strada, per l'immondizie della casa, per «la feccia fertilizzatile», come la chiamò con frase energica Dino Falconi. Sicché il pensiero corre spontaneamente a quegli inselli che la scienza ha definito (dall'ambiente in cui nascono e vivono) col poco simpatico ma espressivo nome di «stercorari».
Da tale stato d'animo nascono certi sottoprodotti dell’arte cinematografica, che dell'arte usurpano il nome onorando e il nobile patrimonio. Lo pseudartista con un pizzico di salsa piccante - capace d'accontentare il palato guasto di una bassa clientela - supplisce alla mancanza del soave condimento dell'arte. Non potendo suscitare nobili emozioni, scatena torbide sensazioni. Non avendo la forza di commuovere i cuori, solletica i sensi.
Ma questa non è arte vera, bensì un pessimo surrogato dell’arte. E' arte surrettizia, lenona, mezzana di colpa. E il lenocinio non è figlio dell’arte, ma dell'artificio.
* * *
Che il cinema — il quale ha già scritto belle pagine negli annali dell’arte si sollevi in aria più spirabile, e sarà tanto di guadagnato per la morale e per l'arte. E sarà un alto di riconoscenza al Datore d’ogni bene, che ha fatto questo magnifico dolio all’uomo, per la sua ricreazione ed educazione. «E' necessario - scrive Pio XI nella Vigilanti cura - che i progressi dell’arte, della scienza, e della stessa perfezione tecnica e industria umana, come sono veri doni di Dio, così siano ordinati alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime».
Il cinema, frutto d’ingegno umano, invenzione della scienza, risultante, nella perfezione odierna, di tutte le arti, appena dopo la sua nascita rese un omaggio memorando al Signore delle scienze e delle arti. Infatti, nel 1897 un operatore dei Lumière fece una ripresa della «Passione di Cristo» rappresentala ad Oberammergau. Fu questo il primo lungo metraggio, che ebbe grande fortuna. Fu la prima e più bella vicenda cinematografica, seguita da infinite altre vicende; m,. ahimè, quanto dissimili!
Che il cinema, mirabile dono della liberalità di Dio, ritorni alla purezza della sua origine e della sua missione. E, anche quando non glorifica Iddio, come pur dovrebbe, almeno non lo offenda nella sua legge immacolata, e nelle anime da Lui create e redente per una vita migliore. Sarà un grande guadagno per la morale e per l’arte.
Mons. Luigi Civardi
....Parallelamente all’educazione del corpo, si deve svolgere la lotta contro l’avvelenamento dell’anima. La nostra vita sociale odierna sembra una serra calda di immaginazioni e di eccitamenti sessuali. Basta guardare i programmi dei cinematografi, dei varietà e dei teatri, e non si potrà non constatare come essi offrano il cibo più assurdo, specialmente alla gioventù. I manifesti e le vetrine si affannano, coi mezzi più volgari, a richiamare l’attenzione della massa. E chiunque non ha perso la capacità di simpatizzare coi giovani, dovrà ammettere che si tratta qui di un fenomeno che produce i danni più perniciosi nell’anima della gioventù.
Questa atmosfera torbida sprona il ragazzo a fantasie e a eccitazioni, in un’età in cui non dovrebbe avere ancora nessuna esperienza di tali cose. Il risultato di una simile educazione dei ragazzi si può constatare dai sintomi tutt’altro che soddisfacenti, che spesseggiano nella gioventù odierna. Essa è precoce, e perciò vecchia anzi tempo.
(Adolf Hitler, Mein Kampf, ediz, 621-625 del 1941, cap. X, pag. 278, testo italiano dall’ediz. Bompiani)
La citazione giunge, forse, a proposito; nei confronti, specialmente, di certa stampa filmistica. Vorremmo, soprattutto, che fosse presa in considerazione da un diffusissimo quindicinale di divulgazione cinematografica: affinchè riesamini la convenienza di presentare delle copertine come quella apparsa nel suo numero del 10 maggio (con relativo adeguato aumento nell'interno della rivista); e la opportunità di illustrare un articolo sul passo ridotto, intitolato testualmente «Giovani vivai», con una immagine che, a causa forse del titolo stesso, richiama d'obbligo alla mente proprio quelle «serre calde» di cui alla citazione sopra riportata.
La quale è tratta dal Capitolo: «Le cause della catastrofe».
«Rivista del Cinematografo», anno XV, n.5, 20 maggio 1941
Tra tutte le arti, il cinema (benché ancora si discuta in sede teorica « se il cinema sìa un'arte o no », e i pareri siano discordi) è certamente quella legata a un numero maggiore di preoccupazioni pratiche, cioè estrartistiche. A parte il fattore meccanico che vi interviene sempre in misura cospicua, a parte la pluralità delle persone che concorrono alla concezione di un film, a parte l'impossibilità di prevedere con esattezza in quale misura una intenzione artistica verrà concretata nella pellicola (sempre un contingente di casualità si insinua tra l'intenzione e il fatto a detrimento del rigore artistico del film); a parte questi fattori che riguardano la natura del cinematografo, altri se ne aggiungono a giustificare le speciali preoccupazioni sociali e morali che si concentrano, da parte della Chiesa e degli Stati, attorno al fatto cinematografico.
Il cinema è spettacolo; è solamente spettacolo. Nel teatro si può agevolmente distinguere un testo scritto (con un suo intrinseco valore letterario) e una realizzazione scenica (lo spettacolo con un suo più labile significato artistico). Nel cinema, no: tutto è racchiuso nella pellicola proiettata. L’arte — quando arte c'è, e se si può legittimamente parlare di arte — ha unicamente la sua vita nel racconto figurato così come ci appare sullo schermo. Insomma, il cinema è tutto e solo spettacolo. E in quanto è spettacolo trae la sua ragione di vita e di continuità dal contatto con un pubblico che gli dimostri un interesse. Se si aggiunge che è — per motivi del tutto evidenti — il più popolare degli spettacoli non si può non riconoscere la legittimità di un intervento che ne regoli l'attività. Le valutazioni e, conseguentemente, le indicazioni morali del Centro Cattolico Cinematografico e le disposizioni della Censura di Stato hanno le loro ragioni d'essere nel compito che spetta alla Chiesa e allo Stato di educare l'uomo e il cristiano e di servirsi per questo di tutti i mezzi positivi e negativi che possono aiutare a raggiungere lo scopo.
Il parallelismo tra censura di stato e censura ecclesiastica anziché essere come è sembrato a taluno un arbitrio moralistico, è invece la concorde e legittima esplicazione di due mandati diversi — derivali da due autorità poste su piani diversi — ma insieme concorrenti alla instaurazione di un ordine morale e sociale nella vita terrena. Per questo suo compito l'autorità ecclesiastica si vale, in Italia, della Commissione di revisione del Centro Cattolico Cinematografico che ha esaminato durante la stagione 1941-42 (I/X/1941 - 30/IX/1942) 272 film sui 278 film approvati per la proiezione in pubblica sala dalla Censura Ministeriale (di cui 93 di produzione italiana e 179 di produzione straniera) dando le valutazioni contenute nel seguente specchietto:
Complessivamente i film esclusi per tutti (D.), cioè moralmente dannosi sono poco meno di 1/5 di quelli proiettati, percentuale piuttosto rilevante; ma è consolante il fatto che di questo quinto (18,37%) solamente una esigua percentuale (7 film, cioè il 2,57 %) sia di produzione italiana e la grande maggioranza (43 film, il 15,80 %) di produzione straniera. Questo elementare rilievo statistico ci porta a considerare che se una certa severità è stata adottata verso la produzione nazionale, una eccessiva indulgenza è stata concessa nella importazione di film esteri moralmente riprovevoli.
Questo sommario bilancio dell'attività della Commisisone di Revisione del C. C. C. basta a far vedere l'importanza di questa opera che si inserisce, con intenti assolutamente morali, nel quadro sempre più vasto dello spettacolo cinematografico nazionale.
«Rivista del Cinematografo», anno XV, n.10, ottobre 1942
La censura è severa
Così dicono, a quanto pare. Anzi, per esser più precisi, dicono che è divenuta severa: che a Roma era tutto un altro affare, che non si capisce — proprio adesso — tutta questa pignoleria, e che in fondo sarebbe meglio lasciare che ciascuno se la sbrigasse da sè; ed altri sussurri del genere.
Ah, dimenticavamo. Qui si parla della censura cinematografica, e non d’altro. I sussurri sono, naturalmente, dei produttori e dei distributori, abituati a riempire un modulo con qualche marca da bollo e a vederselo ritornato, con matematica certezza, corredato dal burocratico visto.
Ora, di fronte a questi precedenti. perchè alla censura si donasse questo appellativo di severità — che, tra l’altro, le sta tanto bene — è bastato poco, molto poco. Volete qualche cifra? Ecco qua. Di film nuovi dal settembre ad oggi ne sono stati revisionati 52, 43 sono passati, 3 sono stati bocciati, 6 sono stati esclusi dalle prime visioni. E' poi tanto burbera, questa censura? Abbiamo fatto quattro chiacchiere con i censori, e pur tra il riserbo professionale qualcosa ci han detto, che vogliamo riferirvi. Innanzitutto spicchiamoci. Si dice censura: censura di cosa?, vi chiederete. E subito vi verrà fatto di pensare a golose scene di nudità femminili, che la commissione si pappa in privato a sua edificazione, e che con il pollice verso fa poi di tutta fretta tagliare perchè non vadano in pasto al pubblico.
Sta bene. Anche questo, in un certo senso, è il compito della censura. Vi sono delle norme fondamentali d’ordine pubblico, dei principii ormai acquisiti di moralità e di costume sui quali è ovvia una intransigenza che è quella del buon senso e della pulizia morale. Non c’è, in questo, nessun puritanesimo di seconda o terza mano. Ma nei casi in cui la sessualità espressa da certe scene abbia carattere morboso, e tale carattere si comunichi allo spettatore. è indubbio che si ha il dovere di dire di no e tagliar la coda (o la testa) a questo invitante ma poco edificante connotato.
Ma la censura non è tutta qui. Anzi, diremmo che questa è una parte banale e secondaria dei suoi compiti. Per restare nel campo morale, vi sono ad esempio dei film dove non c’è nulla di « sporco », niente che possa condannarsi sulla scorta di una precisa indicazione. Ma quando si è alla fine di una di tali pellicole, ti resta nell’animo una inquietudine, una disperata amarezza, le quali provengono da una insensibile e progressiva demolizione d’ogni buona speranza, d’ogni senso felice e positivo della vita, una demolizione che grado a grado il film ha provocato, o per il grigiore pesante dei suoi ambienti, o per il comunicativo pessimismo dei suoi personaggi. O per la serie copiosamente tetra delle sue vicende. Sono film senza luce di speranza, senz’aria di bontà. senza rivolte e aspirazioni verso quella serenità di vita che è il cardine morale della felicità. Sono assai peggio di una donna nuda o di qualche abbracciamento un po’ troppo sensuale. Se codeste scene si possono tacciare di eccitanti, quei film sono deprimenti, mettono lo spirito giù di giro. E nei casi in cui la depressione va oltre il limite della sopportazione si bocciano, come la censura ha fatto; e non possiamo che approvarla.
Non è ancora finito. La severità della censura, se si limitasse a quanto si è detto, sarebbe sempre una severità di ordinaria amministrazione. Ora, ci si dice che si vuole aggiungere qualcosa di più: tagliar le gambe ai film brutti.
Ecco un punto dove s’incrociano i sussurri di cui si parlava, e che — possiamo dirlo — man mano che si procederà li farà levare più alti. Perchè qui a quanto pare la censura intende veramente essere severa. Fino ad ora, vedete, si è dovuto andar cauti per via di tante cose, a cominciare dalla principale, che era la penuria di pellicole. O chiuder le sale di proiezione, o chiudere un occhio. Ecco perchè certi « bidoni » hanno potuto circolare fra la davvero non lieta sorpresa degli spettatori.
Ma quando si è potuto, e sempre quando si potrà, in questo campo la censura ha intenzione di essere non severa, ma severissima. Il malvezzo di carpire autorizzazioni preventive e poi con queste giustificare anche le produzioni di scarto per proteggersi da brutte sorprese non avrà corso, nè potrà trovare indulgenze. Poiché si ricomincia da capo, la consegna è di ricominciare bene. Lo Stato aiuta e aiuterà il mondo del cinematografo; ma questo non vuole assolutamente dire che ne coprirà, con il manto pietoso, i passi falsi e le andature zoppicanti. Inutile far molto, se il molto deve essere sinonimo di mediocre. La preferenza è decisamente per il poco ma buono.
«Film», 27 maggio 1944
Codice senza inferno
C'è stata un’epoca in cui gli oppositori della censura morale alternavano le ragioni ai motti di spirito e rimproveravano ai censori non solo di essere dei dogmatici bacchettoni, ma di essere anche degli uomini scarsamente intelligenti mancanti di spirito e di tolleranza. Io credo che i nostri avversari non ci conoscessero abbastanza. Questi pubblici accusatori stentavano, infatti, come del resto tutti gli uomini stentano, a mettersi nei panni degli altri e perciò attribuivano alla censura morale un valore di assolutezza che non poteva e non voleva avere. Almeno cosi credo io.
Chi pratica onestamente e con animo aperto la censura morale sa benissimo che i suoi pareri e i suoi giudizi non sono assoluti ma sono relativi; relativi a certe condizioni di cultura, di costume, di mentalità. Più che giudizi strettamente morali, che condannano o assolvono secondo una norma tassativa, buona sempre e per tutti, sono giudizi di opportunità morale, che consigliano, «consigliano o vietano la visione di certi spettacoli tenuto conto di un insieme di condizioni di fatto che variano da paese a paese, da età a età; e nello stesso paese, da uomo a uomo. Sono indicatori per una buona, retta viabilità morale delle coscienze, tenendo presente che per noi ”morale" significa ” morale cattolica”, cioè un insieme concreto e impegnativo di principii da applicarsi agli atti della vita pratica. Per questo non mi sono mai stupito che il medesimo spettacolo esaminato da censori che hanno il compito di giudicarlo attraverso lo stesso codice morale possa portare a risultati diversi. Ciò sembra turbare molto la sensibilità della maggior parte dei fedeli, i quali vedono in questo una insufficienza della legge morale ed una situazione di equivoco piuttosto compromettente. Io non dico che non si debba tendere il più possibile ad una unità di giudizio attraverso la più ampia discussione, ma mi sembra che giudizi diversi — entro certi limiti, s'intende — di uno stesso spettacolo non facciano che provare la ricchezza e la poliedricità della legge morale. La quale non è mai, si ricordi bene, nè una tabella doganale, nè un calmiere annonario, ma è un mondo di principii vivi che traggono la loro forza in quanto sono applicati a dei fatti di vita.
Noi siamo troppo poco abituati a discutere di cose morali con animo sgombro da pregiudizi moralistici; ma se fossimo meglio educati in questo campo che porta gli uomini, alla vera civiltà, dovremmo impiantare abitualmente, senza litigi e senza scandali, delle proficue discussioni su quello che di più importante si va presentando in Italia nel settore dello spettacolo. Capisco che è più comodo per chi giudica e per chi accoglie il giudizio essere esente da questo dibattito, ma proprio per ciò la nostra mentalità morale rimane oppressa dalle contingenze e dagli aspetti formali delle questioni.
Ogni norma morale per quanto precisa, minuta, capillare possa essere, nel momento in cui entra in attività, vale a dire si applica ad un fatto o ad un sentimento o a una passione, richiede sempre la collaborazione di colui che l'apprlica. E tale collaborazione non è quella del commesso che avvicina il metro di leggio alla pezza di stoffa per misurarla, ma è la collaborazione di una sensibilità morale umana che cerca di dare una valutazione il più possibile oggettiva di un certo fatto reale o immaginario servendosi di quel metro morale di cui la sua stessa sensibilità è impregnata. I codici, perciò, valgono in certi casi limite e hanno una funzione indicativa e delimitativa, ma chi può entrare veramente nel mondo morale di uno spettacolo e giudicarlo è la sensibilità morale del censore. E che diverse sensibilità morali possano non combaciare sempre e perfettamente, è un caso previsto, ammesso e, direi, incoraggiato da quella superiore società democratica che è la... "democrazia cristiana".
Tutto questo che ho detto, e che credo vero, non intende sminuire l'autorità di nessun giudizio collegiale e tanto meno togliergli forza di impegnativi nei confronti dei fedeli. Non occorre che un giudizio sia assoluto e abbia come punto di partenza il Sinai e come punto di arrivo I'inferno perchè sia autorevole e impegnativo. Una buona società di fedeli come dovrebbe essere quella cristiana — deve sentirsi solidale nell'osservanza di norme e di giudizi anche solamente indicativi e che non abbiano sanzione infernale. Direi anzi, che la prova della maturità di una società cristiana — anche in rapporto all’osservanza dei giudizi cinematografici — si avrà il giorno in cui si saprà ubbidire Liberamente a un codice senza Inferno com'è quello della nostra censura morale.
Catone il censore, «La Rivista del Cinematografo», marzo 1946
Giornalmente vengono proiettati quintali di bobine cinematografiche di fronte a milioni di spettatori di ogni età e condizione ed i notevoli effetti prodotti da questi spettacoli non sono valutati se non da una censura che si limita al veto per le infrazioni morali più gravi.
Il cinematografo è entrato nella vita dei popoli piu civili in modo cosi intenso e capillare, attraverso i films a soggetto che si programmano in milioni di sale pubbliche, da influire profondamente sull'attività estetica, psichica e morale degli spettatori di tutto il modo.La scienza si è valsa largamente del cinema come potente mezzo d'indagine e con esso ha realizzato enormi progressi in numerosi campi. Le applicazioni scientifiche del cinematografo derivano dalla possibilità di variare sullo schermo la durata reale dei fenomeni e di usare emulsioni sensibili a radiazioni invisibili o poco visibili per l'occhio umano.
In tali possibilità rientrano il rallentatore, l’acceleratore, la cinematografia a scintilla, la cronofotografia, il cineteodolite del Fuss, la Rontgencinematografia, l’impiego delle radiazioni infrarosse, l’accresciuto pancromatismo delle emulsioni, ecc. Con questi mezzi la cinematografia offre oggi il suo aiuto preziosissimo alla scienza: dalla chirurgia alla fisiologia, dalla biologia alla patologia, dalla microbiologia aU’astronomra, dalla chimica alla botanica, alla fìsica ed alle sue più moderne applicazioni quali il controllo della resistenza dei materiali, la balistica, l’aerodinamica, ecc.
La psicologia, scienza giovane, ha cominciato per ultima a tentare approcci col cinema. Ha impiegato, per esempio, le radiazioni infrarosse per l'indagine psichica, ma nulla di concreto si è concluso nel campo sociale fine ultimo e più importante degli studi e degli esperimenti psicotecnici. Esiste una psicologia differenziata e specializzata per lo sport, per la pubblicità, per l’orientamento professionale, ma poco o nulla di compiuto per il cinematografo (non come mezzo d’indagine, ma come mezzo attivo di influenza sociale).
Sono state compilate, è vero, interessanti monografie sul cinema educativo e sul cinema scolastico; si è sottolineato il pericolo per l’infanzia e per la giovinezza di certi spettacoli a cui tutti accedono, si sono preparate perfino tesi di laurea sull’argomento, ma nulla, fino ad oggi, di completo, organico, rigidamente scientifico.
Pertanto rimane il fatto compiuto: giornalmente vengono proiettati quintali di bobine cinematografiche di fronte a milioni di spettatori di ogni età e condizione ed i notevoli effetti prodotti da questi spettacoli non sono valutati se non da una censura che si limita al veto per le infrazioni morali più gravi.
Il problema di una psicologia specifica per il cinematografo s’impone sempre più vivamente in quanto esso costituisce il più formidabile strumento atto a propagandare atteggiamenti, sentimenti, costumi, idee, superando in forza di penetrazione la stampa e la radio. Non parliamo poi della propaganda politica che trova nel film, direttamente e indirettamente, il più valido mezzo di diffusione o di persuasione. Uno spiritoso slogan americano (a cui non possiamo dare del tutto torto) dice: La guerra è stata vinta dalla Metro Goldwyn Mayer. In effetti la valanga di films americani, che per tanto tempo si sono succeduti sui nostri schermi, ha lanciato in fondo al nostro animo un sedimento psicologico incosciente di «democrazia», oltre, beninteso, forme più superficiali quali la moda del «cocktail» e il desiderio di possedere una grande automobile ben molleggiata
Per fortuna la censura degli U. S. A. non permette films a favore del divorzismo, altrimenti avremmo anche quel sedimento. Un altro esempio: la saldezza popolare del Comunismo in Russia non può attribuirsi fra l’altro anche ad una evoluta e intelligente propaganda cinematografica? E' noto come il Fascismo non seppe sfruttare la cinematografia italiana per un’efficiente propaganda; pur intuendo l'enorme portata di questo mezzo di diffusione e di penetrazione delle masse se ne servì troppo rudimentalmente e troppo allo scoperto, trascurando la psicologia del pubblico, e perse molti punti con films quali ad esempio «Noi vivi» e «Addio Kira» che dovevano essere efficaci ma si dimostrarono all’atto pratico controproducenti.
Quanto si è detto sopra potrà sembrare esagerato, ma, per mettere in evidenza l’enorme forza persuasiva del cinematografo, basterà enunciare alcuni prìncipi fondamentali che potrebbero essere anche degli spunti per un'eventuale psicologia specializzata in questo senso.
Le composizioni drammatiche teatrali o radiofoniche, e qualunque altro genere di manifestazioni spettacolari, artistiche e culturali, sono continuamente integrate dallo spettatore con immagini e pensieri soggettivi sullo schema base del testo. E' possibile, quindi che lo spettatore reagisca soggettivamente a ciò che gli è di fronte o a ciò che ascolta ristabilendo un equilibrio critico Perciò si determina uno stacco tra oggetto (spettacolo) e soggetto (spettatore) con un antagonismo — nel senso greco — tra autore e spettatore, essendo riservata a quest’ultimo piena libertà di intendere e di giudicare, magari deviando ed interpretando eoi suo particolare metro i concetti, le allusioni e gli atteggiamenti espressi dal testo. Questo fenomeno si estende anche alla stampa; leggendo un romanzo, il patrimonio morale, intellettuale, sentimentale e visivo del lettore interpreta automaticamente le parole ed i periodi tipografici, assimilandoli in un organismo psichico organizzato, e — mi si permettano i termini — sceneggiando cinematograficamente la trama, si che, in un certo modo, il lettore diviene l’involontario regista, scenografo, sceneggiatore, e, qualche volta, attore del romanzo.
Anche la musica può essere intesa dall’ascoltatore in modo analogo; essa non ha un testo logico e dialettico, possiede un ritmo, un’armonia, una melodia che vengono ad essere trasformati dallo spettatore sempre secondo il suo metro- Ascoltando un concerto, specialmente i tipi visivi, trasformano nella propria sensibilità le frasi musicali in immagini soggetive, in colori, in forme plastiche. L'immagine è alla base della nostra attività psicologica ed in essa si conclude concretamente ogni nostra sensazione ed ogni nostro pensiero. Da questo comune fenomeno psichico si deduce l’assioma che l’idea si assimila e si concepisce più facilmente attraverso il senso visivo che non attraverso qualsiasi forma scritta o parlata. E' naturale quindi arguire come uno spettacolo di immagini — quale appunto il cinematografo — non lasciando nella sua violenta e capillare completezza quasi nessun gioco all'interpretazione soggettiva, s'imponga immediato e preciso nella fantasia e nella sensibilità dello spettatore.
Il cinema, con la sua obbligatorietà costituzionale, riduce al minimo l’interpretazione integrativa cui accennavamo: le immagini si susseguono veloci, realistiche, esclusive, e rappresentano un materiale visivo esterno, attivissimo, che si insinua tenacemente . nel patrimonio fantastico e psichico del soggetto.
Ogni impressione visiva lascia delle tracce spesso indelebili specialmente se prodotte da urti emotivi come quelli determinali in particolare dall'immagine in movimento. Il pubblico nella sala cinematografica non solo può appagare i suoi bisogni emotivi, ma anche il suo istintivo desiderio di apprendere è soddisfatto col minimo sforzo indispensabile per l’assimilazione, assistendo allo spettacolo in uno stato di riposo mentale e fìsico. L’attenzione, inoltre, favorita dall’oscurità e dal riposo, si fa più recettiva, le associazioni mentali avvengono automaticamente, le impressioni si susseguono senza sbandarsi o affievolirsi, perchè la rapidità incalzante delle sequenze non consente distrazioni di sorta, a meno di non perdere il filo del racconto di immagini.
La visione cinematografica con la sua illusione di verità, col fascino proprio del sogno e con l'emozione del movimento, vince i poteri inibitori dello spettatore e lo distacca dalla realtà oggettiva e soggettiva. Il cinematografo crea un particolare stato d'animo di passività e di automatismo; basandosi sul principio universale del minimo sforzo, diverte, interessa, riposa, rapisce, e senza che il soggetto se ne renda conto, persuade. Dalla somma di tutti gli elementi descritti è facile concludere come uno spettacolo di immagini in movimento e circoscritte alla superficie obbligata dello schermo possegga un'enorme forza suggestiva, quasi una forza ipnotica, di cui non si valuteranno mai abbastanza le conseguenze psicologiche.
Il cinema a colori, poi, allarga le possibilità di una più ampia e profonda efficacia emotiva. Basterà ricordare che i colori, a prescindere dai complessi problemi estetici, possono influire in diversi modi sulla psiche; esempio: il rosso e l’arancione eccitano ed incutono ardore, il verde e l'azzurro riposano e calmano, il violetto dispone alla tristezza, ecc.
Il cinema può e deve elevare e raffinare la sensibilità degli spettatori, influendo, per analogia e per spirito di imitazione, sulla coordinazione dei movimenti, sul modo di camminare, di gestire, di comportarsi, di esprìmersi, sviluppando lo spirito di osservazione obbligando ed insegnando a vedere in un dato modo, eccitando i processa intellettivi, associativi, mnemonici e rappresentativi, e di conseguenza contribuendo allo sviluppo più complesso degli ideali, estetici, artistici, morali politici, sociali. La finaltà etica del cinema, trovati i mezzi espressivi più efficaci, dovrebbe essere quella di sollevare lo spirito e di esaltare le più belle virtù umane: la santità dei lavoro e il senso del sacrificio, di diffondere la semplicità. la sincerità, la bontà, l’ottimismo, di raffinare l'educazione delle masse con ideali di bellezza, di gentilezza, di devozione.
E non è il caso di temere eccessivamente le scene che mettono in evidenza vizi o cattive abitudini o volgarità, perchè anche queste immagini, presentate sotto un articolare angolo polemico, sono utili alla educazione per le salutari reazioni morali che possono suscitare; è evidente però la necessità che tali scene siano costruite con acume obiettivo ed intelligenza. Non deve esservi il sia pur minimo rischio di suscitare impulsi di simpatia estetica, affinchè non si risvegli nello spettatori lo spirito di emulazione sempre in agguato, come accade ed è accaduto per il luogo comune di alcuni films americani dove il bere (ossia l’alcoolismo) rappresenta un sedativo elegante del dolore, dove si abusa di sigarette, dove il locale notturno o il tavolo da gioco rappresentano miraggi pericolosi.
Riguardo ai pericoli del cinema occorre tener presente che ciò che può nuocere agli adulti è di portata incommensurabile per i ragazzi. La semplice stanchezza degli occhi, per esempio, che sono fissati intensamente e per lungo tempo sullo schermo senza distrazione e senza possibilità al cristallino di aggiustamenti per mancanza di prospettiva reale, di spazio e per il mancato avvicendamento di luce naturale; la prolungata e frequente visione di films che può produrre effetti analoghi a quelli provocati da stupefacenti, con fenomeni di stordimento, suggestione ed esaltazione qualche vota decisamente preoccupanti; l’orgasmo e la tensione nervosa prodotti da alcune sequenze opprimenti e vertiginose; il panico che può derivare da qualche visione paurosa, possono ripercuotersi perniciosamente sul delicato sistema neuropsichico dei più piccoli e dei più deboli. L’atteggiamento amoroso-erotico degli attori rappresenta troppo spesso un dannosissimo afrodisiaco per i ragazzi in ispecie sulla pubertà e per i giovani in generale. Ingomma, oltre ai pericoli immediati di stanchezza visiva, di eccitazioni neuropsichiche, di terrori allucinatori, di erotismo, c’è il pericolo più evidente e generale, contro il quale invano da lungo tempo i pedagoghi si affannano a mettere in guardia la società: il pericolo di una pessima propaganda morale per i fanciulli, i giovani e le giovinette.
In realtà dovrebbero essere proibiti ai ragazzi moltissimi films di cui le autorità di P. S. permettono la proiezione per tutti in sale di pubblico spettacolo. In Svizzera, ad esempio, nel 1933 entrò in vigore un’ordinanza con la quale si vietava a tutti i ragazzi di età inferiore ai sedici anni, accompagnati o no, di assistere agli spettacoli cinematografici in locali pubblici. Questa misura draconiana, non sappiamo se ancora vigente e se adottata da altri paesi, in un certo senso era salutare e prudente ma aveva il difetto di essere unilaterale: privare i ragazzi del cinema (a meno che non l’abbiano nella scuola, in casa, nel collegio o nell’associazione giovanile) significa anche privarli di un ottimo reattivo e di un eccellente stimolante per le loro facoltà mentali e per lo sviluppo della loro sensibilità. Accanto alla necessità di carattere generale di una psicologia del cinematografo sorge l’annoso problema della necessità, sempre più sentita ed urgente, di una cinematografia per i ragazzi.
Per concludere, il compito di un eventuale istituto di psicologia specializzata per il cinema sarebbe quello di ricercare i mezzi psicotecnici più efficaci e meno scoperti per «socializzare i bisogni», vale a dire, occorrerebbe basarsi sulle tendenze dello spettatore per migliorarlo, elevarlo, e eventualmente creargli delle buone attitudini ex novo; studiare accuratamente i mezzi espressivi, gli effetti e le reazioni della v sione cinematografica, e, con più attenta cura, evitarne i perìcoli. Un simile istituto, con la sua collaborazione scientifica, sarebbe di grande aiuto sia agli autori del film che alla censura. Collaborazione non soltanto intesa a frustrare i danni incalcolabili che una bobina innocentemente può racchiudere, ma anche per le necessità puramente estetiche e commerciali della produzione stessa.
Alberto Perrini, «La Rivista del Cinematografo», marzo 1946
Ho dovuto rilavare, con profondo disappunto, come la produzione cinematografica italiana — la quale ha dimostrato in questi ultimi tempi un innegabile progresso tecnico ed artistico — si avvalga ed abusi di motivi drammatici ed elementi spettacolari non raccomandabili dal punto di vista morale.
Il tema del banditismo e dei fuori legge, la pratica delle case di tolleranza, il rilievo eccessivo di fatti sessuali delittuosi e morbosi, riempiono i nostri film, e ciò rivela purtroppo che non tutti i produttori hanno compreso e comprendono quali gravi responsabilità morali e sociali abbia il cinema nella vita della Nazione.
La libertà di iniziativa — che dovrebbe condurre ad un miglioramento sostanziale e qualitativo della produzione ma di cui oggi qualcuno abusa — non deve, però, tramutarsi in licenza per dare, poi, quei risultati negativi, dal punto di vista morale, che ho dovuto denunciare.
Per i suddetti motivi sono stato costretto, mio malgrado, a negare il nulla osta di circolazione ed a sospendere la programmazione di alcuni film nazionali.
Ad evitare il ripetersi di simili inconvenienti, le cui conseguenze non possono non ripercuotersi a danno di tutta l'attività produttiva cinematografica, ritengo opportuno invitare le Case di produzione ad orientare le loro iniziative verso temi e motivi più nobili evitando, il più possibile, ogni elemento di spettacolo negativo dal punto di vista morale.
Gradirei assicurazione.
Fto: PAOLO CAPPA
«Rivista del Cinematografo», anno XIX, n.7-8, ottobre 1946
Riferimenti e bibliografie:
- "Processo allo spettacolo", Domenico Tarantini, Edizioni di Comunità, Cremona, 1961
- "Rivista del cinematografo", mensile del del Centro Cattolico Cinematografico.