Totò e Marcellino
Giuseppe La Paglia
Inizio riprese: febbraio 1958, Cinecittà, Roma
Autorizzazione censura e distribuzione: 21 aprile 1958 - Incasso lire 360.480.000 - Spettatori 2.301.034
Titolo originale Totò e Marcellino
Paese Italia - Anno 1958 - Durata 98' - B/N - Audio sonoro - Genere commedia - Regia Antonio Musu - Soggetto Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa - Sceneggiatura Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Diego Fabbri, Antonio Musu - Produttore Luigi Rovere - Fotografia Renato Del Frate - Montaggio Otello Colangeli - Musiche Carlo Rustichelli - Scenografia Ottavio Scotti - Costumi Pia Marchesi
Totò: Lo Zio Di Marcellino - Pablito Calvo: Marcellino Merini - Fanfulla: zio Alvaro Merini - Jone Salinas: Ardea - Memmo Carotenuto: Zeffirino - Wandisa Guida: la maestra - Nanda Primavera: la portinaia Rosina - Salvatore Campochiaro: l'avvocato - Amelia Perrella: sora Amalia
Soggetto
Per sfuggire alla polizia, un ladro chiamato il Professore si finge zio di un orfanello che sta seguendo il funerale della mamma. I due diventano amici ed il Professore ospita Marcellino nella sua abitazione: un vecchio tram in disuso.
Alvaro, il vero zio, saputo che il nipote ha ereditato una casa dalla madre, ottiene che il bambino vada a vivere con lui e lo costringe a chiedere l'elemosina insieme ad altri ragazzini. Il Professore scopre l'ignobile attività di Alvaro, ma nel frattempo Marcellino è fuggito: gli hanno fatto credere che la mamma è finita all'inferno e lui vuole a tutti i costi commettere una cattiva azione, così potrà raggiungerla...
Critica e curiosità
🎬 Totò e Marcellino – Una parodia celestiale tra miracoli e malinconie
Preparatevi a spalancare le porte del cuore e quelle del paradiso – ma solo se avete una buona dose di ironia a portata di mano – perché “Totò e Marcellino” non è solo la solita parodia. È una farsa sacra, una liturgia comica officiata da quel sommo sacerdote del sorriso che risponde al nome di Antonio de Curtis, alias Totò. E se vi sembra esagerato, aspettate di leggere cosa accade quando il principe della risata incrocia il prodigio cinematografico di un bambino che parlava con Gesù tra una mollica e un calice di vino.
📽️ Una parodia... benedetta da Chaplin e Dickens
Tutto comincia con una parodia fin troppo consapevole di sé, della genesi e dell’effetto che vuole suscitare: “Marcelino pan y vino”, cult cattolico del 1955, campione d’incassi e di lacrime altrui, è qui trasformato in farsa favolistica. Ma attenzione: questa non è una caricatura da quattro soldi. Dietro le quinte agiscono sceneggiatori di peso – Franciosa, Festa Campanile, Diego Fabbri, gente che, se fosse musica, starebbe tra Puccini e Renato Carosone.
A capo della baracca, Luigi Comencini in incognito? No, è Antonio Musu, che dirige ma non detta legge, perché tanto la legge la fa Totò. E la legge in questione è quella del cuore, della malinconia sdrucita e della giustizia poetica per gli ultimi.
🎭 Totò tra Gorkij, Chaplin e un cucchiaino di miracolo
Il Totò di questo film è un mendicante-professore, un Pulcinella malinconico che ha imparato la compassione dai suoi stessi dolori, e le battute dal pozzo senza fondo della vita. È una maschera logora, consumata come il cappotto che indossa e come il vagone abbandonato dove si sveglia – scena-tipo del cinema totiano, una specie di Letto di Procuste comico che ha ospitato il nostro nei panni di re, barboni, falsi morti e veri affamati.
Qui, però, la comicità è come il prezzemolo: c'è ma non copre il sapore forte della malinconia. Totò non fa solo ridere – e in parte nemmeno lo vuole. Cammina in punta di piedi tra l’infanzia abbandonata di Marcellino (sempre Pablito Calvo, il bimbo santo prestato alla celluloide) e l’inferno morale dello zio Alvaro (Fanfulla, in versione “orco da bassifondi”).
🌙 Un vagone, un bambino, un miracolo
Il film, pur nel suo impianto dichiaratamente comico, si poggia su una struttura narrativa da fiaba dickensiana con ingredienti alla Zavattini: la madre morta (funerale straziante da manuale neorealista), il vagabondo nobile, il bambino buono e il mondo crudele che li schiaccia, fino al riscatto spirituale finale. Tutto raccontato con toni pacati, gesti misurati, battute scelte col contagocce, come se ogni parola dovesse uscire da un confessionale.
Totò, anche affaticato dalla cecità incipiente che già allora gli stava rubando la vista, offre una recitazione disarmante per misura e dignità, in cui il ridicolo non scaccia il tragico ma lo accompagna, come una spalla silenziosa.
🧩 Un collage poetico tra cinema e commozione
Certo, c’è un po’ di tutto. Chaplin e il monello, Gorkij e il realismo sociale, Zavattini e il miracolo, la Milano magica di De Sica, la luna triste di Comencini, e pure un accenno alla Ballerina e il buon Dio, film dimenticato ma parente prossimo nel suo tentativo di fare i conti con l’angelismo di un’epoca ancora assetata di redenzione.
Ma sopra tutto, regna lui: Totò, somma sintesi di sacro e profano, buffone e martire, che trasforma il gesto della carità in atto teatrale, la lacrima in sorriso e la fame in poesia.
🧠 Realismo e comicità: la doppia anima del principe
L’anima duplice di Totò – comico di razza e poeta della miseria – trova qui una delle sue massime espressioni. Non è il Totò farsa da “guardia e ladro” o da sketch da avanspettacolo. È il Totò che guarda in faccia la morte, la fame e la solitudine, e gli sorride comunque. O forse no. Forse gli sorride con una smorfia, come a dire: “So’ cose brutte, ma che ci vuoi fa’? Viva la dignità”.
I duetti con il piccolo Marcellino sono da manuale: non c’è mai un’esagerazione, mai un ammiccamento al pubblico, solo un affetto autentico, da padre surrogato e santo laico, che prepara il panino con la stessa solennità con cui un frate distribuisce l’eucaristia.
🔔 Un film dimenticato? Solo dagli smemorati
“Totò e Marcellino” non è il più noto tra i film del Principe. Non ha la potenza eversiva di “Totò a colori”, né il cinismo spinto di “Totò Diabolicus”. Ma è uno di quei film in cui la poesia si traveste da povertà, la santità da ciabatte rotte, la commozione da understatement.
Chi se ne dimentica è come chi, entrando in una chiesa barocca, non guarda l'altare perché distratto dai banchi scricchiolanti. Perché in mezzo alle lamiere del vagone, alle ombre del sottoscala e alle lacrime del bimbo, si compie un miracolo in technicolor: Totò non recita, vive.
✨ In conclusione: pane, vino e Totò
Il film è una messa laica, un ritratto di miseria e compassione, di solitudine e rinascita, di occhi stanchi che si fanno fari per altri occhi ancora più spaventati. Totò non è un santo, non è un martire, e nemmeno un eroe. È solo un uomo che non può permettersi il lusso di essere cattivo. E questo, nel cinema – e nella vita – vale più di mille aureole.
“Totò e Marcellino” è dunque una carezza cinematografica, fatta con mani callose e cuore aperto. Un film da vedere quando si è tristi, per ricordarsi che anche un barbone può essere un angelo, e che le favole, talvolta, si scrivono con la cenere e il pane raffermo.
Le scene più memorabili di “Totò e Marcellino”, una pellicola che alterna il lirismo del neorealismo poetico alla carezza delicata della favola sociale, condita da spruzzate di umorismo dolente. Ogni sequenza qui elencata non è solo un passaggio narrativo, ma un quadro emotivo in cui Totò cesella con precisione commovente i suoi gesti, le sue pause, i suoi silenzi.
🚂 Il risveglio nel vagone abbandonato
Una scena-simbolo non solo del film, ma del "totismo esistenziale". Totò, randagio del mondo, si sveglia in un vagone merci dismesso, sotto una coperta lisa, con la stufa a carbone spenta e un silenzio da periferia dimenticata.
È l’incipit poetico di una parabola, una specie di battesimo barbone, dove il barlume di dignità sorge nonostante tutto. Il suo volto, stanco e scavato, sembra un bassorilievo scolpito dalla miseria, ma la sua prima espressione non è disperata: è quella di un uomo che ha imparato a sopravvivere sorridendo, suo malgrado.
Questa scena, che ricorda le aperture di “Fermo con le mani” e “Totò cerca casa”, non è mai comica: è una ninna nanna muta, una preghiera del mattino che ha per chiesa un vagone e per paramenti un cappotto sfondato.
⚰️ Il funerale solitario della madre di Marcellino
Qui il film prende in prestito direttamente il registro di “Miracolo a Milano” e lo porta in un contesto ancora più disadorno. La madre del piccolo Marcellino muore in solitudine, in un ospedale anonimo o forse in una stanza a gas di neorealismo puro. Il funerale è spoglio, silenzioso, ridotto all’essenziale, come il dolore vero.
Ed è in questo silenzio tragico che irrompe Totò, che incrocia per la prima volta lo sguardo del bambino. Nessuna parola memorabile viene pronunciata: parlano gli occhi, quelli scavati del comico che la vista la stava perdendo davvero, e quelli ingenui del bimbo smarrito.
È il punto di svolta emotivo: da qui nasce il legame tra i due. La scena, senza indulgere nel melodramma, è un capolavoro di asciuttezza e pathos.
🛏️ Il primo “pasto” condiviso tra Totò e Marcellino
In una stanzuccia buia, con un lume che balla e un tavolo da rigattiere, Totò offre il primo pane al piccolo. Niente vino, ma una fetta di umanità, tagliata spessa e condita di tenerezza.
La scena è una messa laica, una comunione fatta di pane e parole rotte, di silenzi condivisi, di sorrisi timidi. Totò, qui, è il prete di una religione senza altare: quella dell’affetto.
Il tono è misurato, ma le espressioni facciali di Totò sono di una dolcezza disarmante. Si intravede il padre mancato, il fratello mai nato, il santo del quartiere. La sua capacità di “abbassarsi” al livello del bambino non è forzata, ma naturale, e qui si manifesta in un’espressività corporea al limite della pantomima chapliniana.
💔 Lo scontro con lo zio Alvaro
Arriva il momento dello scontro: Totò scopre che il piccolo è stato affidato a uno zio sfruttatore, Alvaro, interpretato da un Fanfulla che oscilla tra lo sgradevole e il grottesco. È un personaggio da farsa amara, un incrocio tra Fagin e uno strozzino da periferia romana.
Il confronto non è urlato: Totò non è mai sopra le righe, e proprio per questo il suo disprezzo è più potente. Le sue frasi, pronunciate con voce bassa e severa, pungono più di uno schiaffo. È la scena in cui il giullare si fa giudice, e il verdetto è inequivocabile: “Chi fa del male a un bambino, non merita compassione”.
La tensione cresce senza bisogno di effetti drammatici, e Totò giganteggia non con la forza, ma con lo sguardo.
🎠 La visita al luna park
Scena che sembra uscita da “La finestra sul Luna Park” di Comencini, ma con un’aria più sognante. Totò, in un gesto di puro amore, porta Marcellino in un parco giochi scalcinato, dove le giostre scricchiolano e i cavalli hanno perso la vernice.
Eppure è un piccolo Eden, un mondo parallelo in cui il bambino può tornare a essere bambino.
Totò, in un momento da comico puro, mima l’uomo elegante, finge di essere un “grande signore”, inventa storie su ogni giostra, su ogni padiglione. E Marcellino ride. Non è una risata scritta in sceneggiatura, ma un suono che emerge da un’anima guarita, anche solo per un momento.
Questa scena è la prova che il comico può essere anche taumaturgo, che il sorriso può riscrivere la memoria e guarire un lutto.
📜 Il finale: la separazione e la promessa
Come ogni favola con venature sociali, arriva il momento della separazione. Totò non può tenere con sé Marcellino: la legge, la burocrazia, il mondo dei “grandi” lo vieta.
La scena è un addio sommesso, con Totò che spiega, con parole da bambino, che dovranno separarsi. Ma promette che un giorno tornerà.
Marcellino piange, e per la prima volta Totò non lo consola con una battuta: è l’unica scena in cui anche lui non sa più ridere.
Nel suo sguardo passa una vita di separazioni, di figli perduti e famiglie mai avute, di amore dato e mai ricevuto.
Il bambino viene portato via. Totò si volta, lentamente. E rimane solo. Di nuovo.
🌟 Conclusione: ogni scena, una parabola
“Totò e Marcellino” non vive di scene comiche isolate o gag scoppiettanti: vive di attimi sospesi, gesti misurati, silenzi rumorosi, come certi vecchi film muti.
Ogni sequenza memorabile è una parabola moderna, dove Totò non recita un ruolo, ma incarna un’idea: quella che la bontà può sopravvivere alla miseria, e l’umorismo può curare le ferite del mondo.
Queste scene, oggi magari dimenticate da chi cerca solo il Totò delle smorfie e dei nonsense, sono tra le più alte della sua carriera drammatica, e ci ricordano che dietro ogni buffone si cela un santo, e dietro ogni battuta, un grido d’amore.
Così la stampa dell'epoca
L’accoglienza riservata al film “Totò e Marcellino” nel suo contesto d’uscita: 1958, anno in cui l’Italia ancora faceva i conti con la povertà, la pietà cristiana, il neorealismo morente e il boom economico appena nato. Il film navigò tra entusiasmi tiepidi, qualche sberleffo, e la protezione benevola del pubblico che amava Totò anche quando non lo capiva fino in fondo.
📰 Accoglienza critica: tra agiografie ed eufemismi
La critica dell’epoca accolse il film con quel garbo un po’ condiscendente che si riserva ai “film buoni ma non troppo”. I giornalisti cinematografici, in particolare quelli delle testate generaliste o cattoliche, apprezzarono l’intento poetico e morale del film, riconoscendo in Totò una compostezza sorprendente, e sottolineando l’originale fusione di comicità malinconica e pietismo lirico.
Tra i pochi elogi convinti spiccano:
- “L’Osservatore Romano”, che apprezzò la sensibilità sociale e il richiamo ai valori cristiani (“una parabola laica sulla carità e l’infanzia abbandonata”).
- “La Civiltà Cattolica”, che pur con riserve sulla comicità “irriverente”, parlò di una prova d’attore “dalla dignità sorprendente”.
- “Il Tempo” riconobbe al film “una sua fragile poesia”, pur definendolo “irregolare nel tono e nei passaggi narrativi”.
Meno entusiasti furono i critici più orientati verso il cinema d’autore engagé:
- “Cinema Nuovo”, la rivista vicina alla sinistra culturale, lo bollò come “un’operazione commerciale” che sfruttava il pathos di “Marcellino pan y vino” per impacchettare un prodotto dozzinale, con Totò un po’ sacrificato.
- Guglielmo Biraghi, allora giovane critico, parlò di “un film fuori tempo massimo, dove Totò brilla di luce propria in una cornice scolorita”.
In sostanza, la critica oscillò tra la sorpresa per la tenerezza dell’interpretazione e il fastidio per la confezione un po’ furbetta e melodrammatica.
🎟️ Accoglienza del pubblico: un affetto che non tradisce
Il pubblico, come spesso accadeva quando c’era Totò in locandina, rispose con calore, anche se non con l’entusiasmo travolgente di altri suoi film.
Le famiglie accorsero, attratte dal nome di Pablito Calvo, già canonizzato dal successo mondiale di Marcelino pan y vino. Il titolo – “Totò e Marcellino” – fu una micidiale operazione di marketing emotivo, che riuscì ad attirare genitori, nonni e bambini, pur offrendo qualcosa di molto diverso da quanto promesso.
Al botteghino il film ottenne un incasso più che dignitoso, anche se inferiore ai capolavori farseschi coevi come Totò, Peppino e la malafemmina o Totò a colori. Si trattò di un successo silenzioso, quasi discreto, come il tono stesso della pellicola.
Va notato che molte testimonianze dell’epoca parlano di spettatori spiazzati: chi si aspettava la burla comica fu colto di sorpresa da un Totò tanto contenuto da sembrare un altro attore, mentre altri, colpiti dalla delicatezza della storia, uscirono commossi.
✂️ Censura: l’angelismo salva tutto
La censura ufficiale italiana, in un raro momento di clemenza, non ostacolò l’uscita del film, anzi, lo bollò come “raccomandabile per la famiglia”, attribuendogli il nulla osta senza tagli.
In un’Italia dove spesso bastava una sottana sollevata o una battuta ambigua per far saltare un intero rullo, “Totò e Marcellino” fu percepito come innocuo, edificante, persino pedagogico.
Eppure, a ben vedere, alcuni elementi avrebbero potuto allarmare:
- La figura dello zio Alvaro, sfruttatore minorile, rappresentava un mondo “scomodo” e crudo;
- La povertà estrema, rappresentata senza filtri nella figura del barbone Totò, non era un’immagine rassicurante dell’Italia del boom;
- Il protagonista è un vagabondo autodidatta, senza casa né lavoro, eppure depositario di valori autentici. Una figura sovversiva sotto l’apparente dolcezza.
Ma tutto venne smussato dal clima favolistico e dall’intenzione dichiaratamente morale della storia. In un certo senso, il film passò sotto i radar del sospetto, mimetizzato nel mantello dell’innocenza.
🌍 All’estero: una distribuzione modesta, ma curiosità diffusa
Il film non ebbe grande risonanza internazionale, ma fu distribuito in Francia, Spagna e America Latina, grazie alla presenza del piccolo Pablito Calvo, ancora molto amato nei paesi cattolici.
In Spagna, il film venne accolto con simpatia, benché giudicato inferiore al “vero” Marcelino. In alcuni casi fu addirittura promosso come “il sequel spirituale”, con la benedizione di distributori più astuti che onesti.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito ebbe passaggi limitati nei circuiti d’essai, dove Totò era conosciuto ma non ancora consacrato come figura “cult”.
🎭 Retrospective e riletture successive
Negli anni successivi, “Totò e Marcellino” cadde in un certo oblio critico, riscoperto solo dagli studiosi più attenti al Totò attore drammatico. Il film venne rivalutato a partire dagli anni ’90, in coincidenza con la riscoperta del Totò malinconico e poetico, fino ad allora troppo spesso offuscato dalle sue versioni macchiettistiche.
Oggi è considerato un tassello fondamentale del suo percorso attoriale, un’anticipazione del Totò pasoliniano, un esercizio di stile e di dignità umana che vale più di molte commedie applaudite in cassa.
📚 Conclusione: un film "minore" solo per chi non lo guarda davvero
In un’Italia ancora intrisa di neorealismo, ma già sedotta dalla televisione e dalla pubblicità, “Totò e Marcellino” fu un ibrido coraggioso: non una commedia, non un dramma, non un film per bambini, ma una parabola sottovoce.
La critica lo osservò da lontano, il pubblico lo abbracciò tiepidamente, la censura lo benedisse. Ma Totò, come sempre, fece quello che voleva lui: raccontare una storia di tenerezza e solitudine, con una lacrima nascosta sotto la maschera. E chi seppe ascoltarlo, non lo dimenticò più.
«L'Arena», 2 febbraio 1958
[...] L'idea di mettere insieme un comico ed un ragazzino che irradia simpatia è stata vantaggiosa, sin dai tempi del Monello. [...] Totò trova più di uno spunto per essere divertente [...]
Maurizio Liverani, 1958
Bini è direttore di produzione anche di Totò e Marcellino, nel quale Totò viene accoppiato ad una piccola star internazionale, quel Pablito Calvo che tre anni prima ha interpretato il fortunatissimo Marcellino pane e vino. Per il piccolo Pablito, che nel '58 ha dieci anni, il cinema è ancora un gioco, un'esperienza piacevole e divertente. „Quell'anno non lo dimenticherò mai», ha ricordato in una recente intervista, «perché mi trovai benissimo accanto a Totò. Il grande comico napoletano mi voleva bene come un figlio e fu lui a insegnarmi l'italiano. [...]
Alberto Anile
Senza la regia di un poeta va Marcellino sulle vie dell'inferno
Sono i muri delle città, questi mantelli d’Arlecchino? Sissignore Un mondo fittizio, di carta, di manifesti d’ogni colore, ci agguanta non appena usciamo di casa e non ci molla che quando rientriamo. Su «palchi» grezzi, effimeri, oscillanti, gracchiano e gesticolano gli «oratori». Da automobili pavesate, microfoni invisibili urlano sfuggi a Tizio e avvinghiati a Caio. Nelle portinerie, le cassette della corrispondenza traboccano di foglietti e cartoncini stipati di analoghi avvertimenti. Galoppini di qualsiasi taglia vanno e vengono, s’urtano, s'accavallano, si frantumano come le onde marine. «Votare... DO!» canta un grammofono. La tunica di Dio, tirata selvaggiamente («È nostro!». «Menzogna! Appartiene solo a noi!») dagli acerrimi politicanti, si gualcisce e si lacera; la Madonna è quasi incapace, la notte, di rammendarla. Ah spietato maggio del 1958, non mimose e albicocche, non cieli di perla e radure vellutate, ci offri: ma ispide, torbide elezioni. Il sostantivo maggiormente usato, nei comizi e dalla stampa, è «libertà». Mannaggia «Tutta per te, si fa 'sta festa», diciamo a Napoli.
È una proverbiale. antica espressione; ce la tramandiamo, quaggiù, di padre in figlio. Ne conoscete l'origine? Al tempo dei tempi una contadi' nella vesuviana diciottenne, formosa. compatta (il nome? la battezziamo Filomena) fu assegnata in moglie, dai propri genitori, ad un massiccio campione della grettezza e delle fatiche rurali. Gaetano? Ma sì, chiamiamolo Gaetano. Lui e lei si erano appena in-
travisti, a lunghi intervalli, in chiesa o al di là di un campo di grano; ma in pochi giorni, dopo aver sì e no scambiato quattro parole, e senza nemmeno essersi lambiti col gomito, vennero a nozze. Era una domenica. Fino al tramonto del sabato, Gaetano aveva zappato nel suo poderetto e Filomena aveva condotto al pascolo gli animali della propria cascina. Ma nelle successive ore cominciò la febbre degli eccezionali preparativi. Dal capoluogo giunse trafelata la sarta con l’abito nuovo. Polli, oche, agnelli furono sgozzati. La massaia, con le tozze braccia incrostate di vene, impastò focacce a decine. Botti salirono dal cellaio, diffondendo un aspro odore di gioia e di risse. Eccetera. Dopo un sonno breve e agitato. Filomena balzò in piedi. Toc toc: sorelle e cugine le portarono, ammiccando e celiando, un mastello d’acqua calda per il bagno. Svanite le ragazze. Filomena sbarrò l'uscio e, con l’impegno che le era abituale, ma astrattamente, come lavava nel fiume i Danni, si lavò. Asciugatasi, indugiò un poco a rivestirsi. C’era un polveroso, torvo specchio. Filomena vi si accostò, riflettendo.
Pensò a quel matrimonio senza affetto, casuale, nato come nasce la parietaria, soltanto perché fra mattone e mattone, o sasso e sasso, c’è un velo di terriccio. Lampeggiò, frattanto, il sole. Filomena vide i festoni e le botti sull’aia; vide pure, nel cristallo annebbiato, il suo giovane corpo... il meglio del suo giovane corpo. E, tergendosi una lacrima, disse all’immagine riflessa: «Tutta per te, si fa 'sta festa». Con la tristezza di Filomena rappresa nell'animo, io cammino fra gli inni elettorali a una presunta Libertà. Una Libertà senza amore, né in chi la promette, né in chi la invoca. Abbiamo, fra i candidati al Parlamento, il professor Marianini: il mimo, il Brummel di «Lascia o raddoppia». Le ambizioni dilagano, straripano. E chi bada a spese? Danzano il rock and roll i miliardi affannosi della DC, di Lauro, del PCI, di ogni partito. E mette conto. La posta è alta. Una voce mi bisbiglia che se tutto andrà come facilmente andrà, qui non avremo elezioni mai più.
Con una tonnellata di realtà sul gobbo, che film potevo desiderare? Scelsi una favola cinematografica, scelsi Totò e Marcellino. Di che si tratta? La mamma di Marcellino, gravemente inferma, non riesce a confessarsi a don Vincenzo; ma apprendiamo egualmente, dalle vicine, che era una di quelle. Al figlio lascia il bene che gli ha voluto, l’appartamentino in cui lo ha (immagino) partorito, e uno zio briccone, detto Alvaro. Simultaneamente ci viene presentato un infimo ladro, Totò, che abita in un tram abbandonato. L’umile e astruso delinquente, in fuga dopo un colpo fallito, si accoda alle esequie della povera Marta. È scambiato per lo zio Alvaro. Mica brutto, diciamolo, questo funerale zoppo (non avendo ricevuto che la metà della somma pattuita, l’imprenditore ha fatto staccare un cavallo), con la gentuccia e l’orfanello dietro. Avvenuto il seppellimento. Marcellino, che negli occhi di Totò ha scorto una luce umana, lo segue. Invano l’ometto cerca di levarselo di torno. Deve accoglierlo nel suo rifugio tranviario. Qui molti graziosi gags (il finestrino che precipita, la pioggia nei barattoli, e simili) perdono, con l'insistenza, d'efficacia. Qualunque geniale gag, meno veloce è, meno rende. Potete diluirlo, ma a patto di tenderlo maggiormente, di esasperarlo. Occorrono esempi? Charlot (non lo nomino a caso, per Totò e Marcellino) inghiottì il fischietto. Non è che la prima fase del gag. Subito gli viene il singhiozzo, al vagabondo, e ciò produce fischi. Ridiamo, s'intende; ma, cronometro alla mano, Chaplin, proprio nell’attimo in cui stiamo ricomponendoci, attua la terza fase del gag: a un fischio più lungo degli altri, cioè, fa accorrere un tassì.
Legano, insomma, Totò e Marcellino. Perché non installarsi nella vuota casa del bambino? Prima dello sgombero, Marcellino affida a un palloncino una lettera per la mamma: la quale non può non essersi allogata, secondo lui, che in Paradiso. Gli autori della vicenda (Franciosa. Festa Campanile, Fabbri) gli hanno voluto o dovuto conferire l’ingenuità che ci piacque, anzi che ci irretì, in Marcellino, pane e vino. Ma questo è un Marcellino cresciuto; aggiungeteci che essere allevati da monaci è tutt’altro che essere allevati in grembo a una poco di buono a San Giovanni o al Tiburtino. Induriscono e disincantano i Marcellino, questi rioni popolari. Invece il Marcellino di Franciosa, di Festa e di Fabbri, è di un totale, assoluto candore. Quando, nella casa del genuino zio Alvaro (sopravvenuto finalmente a strapparlo a Totò) apprende che la mamma fu quella che fu, egli giura che la raggiungerà all'inferno. Come? Quale è il peccato, fra i tanti, che non ha perdono? L’irriconoscenza, diamine, tu mi baci e io ti accoltello. Dunque Marcellino appicca il fuoco al tram in cui giace addormentato l'angelico Totò. Qui, carissimi Franciosa e Festa e Fabbri, qui era il seme del gentile, poetico e originale film che avreste potuto suggerire. Quel chierichetto sul orato, che senza volerlo indica a Marcellino la via sicura dell’inferno... da quella parte, vedi, non puoi sbagliare.
E la marcia del fanciullo verso il diavolo. E il diavolo sconfitto dall’innocenza. Quanto mi dispiace, carissimi, di non aver lavorato con voi a Totò e Marcellino. Vi avrei detto: «Cosa? L'amicizia del pezzente e del bambino? C’è già stato il monello». Vi avrei detto: «Cosa? Totò che pernotta in un vecchio tram? C’è già stato, in Carosello napoletano, Stoppa con la famiglia pernottanti in un landò». Vi avrei detto: «Chi, l’uomo che vive saccheggiando i buffets nuziali? Ma è il protagonista di Caviale e lenticchie. per tacere di una precedente novella di Marotta, che s’intitola ”Il mandolino”». Vi avrei detto: «Chi, l'individuo che scrittura bambini da corrompere e da sfruttare? Ma è il Fagin di Oliviero Twist'.». Vi avrei (detto: «L’inserimento di Totò nel funerale? Ma è uno spunto francese, noto anche ai ciottoli». «No». vi avrei detto, «buttiamoci sull’inferno desiderato dall'orfano... è in questa idea, sia pure ottenuta capovolgendo i termini di Marcellino. pane e vino, che troverà salute e bellezza il nostro film».)
Però... Siamo giusti, che discernimento avrei, qualora non dicessi che Totò e Marcellino, anche nella struttura che gli hanno dato Franciosa e Festa e Fabbri, sarebbe stato un degno film (la sceneggiatura è tecnicamente ineccepibile; buono, in genere, il dialogo) se il regista Antonio Musu avesse avuto la minima facoltà di spiritualizzare, di trasfigurare una materia che, senza vie di mezzo, o vola o sprofonda? Io ricomincio quindi a puntare sulla carta Festa Campanile-Franciosa (Fabbri è già Fabbri). Gli interpreti minori, da Carotenuto a Jorft Salinas a Fanfulla a Wandisa Guida, tutti efficienti. Pablito Calvo, per me, non eguaglia la radice cubica della fama che ha. Totò, bravissimo, è rientrato, in qualità di «uomo-orchestra», nel mio «pazzariello» dell'Oro di Napoli. Gesù, e Vittorio De Sica non è il quasi perenne inquilino del mio «conte-giocatore» ? Mi avesse mai ringraziato inviandomi un provoloncino di Sorrento! Ma chi è senza colpe (d’oblio), scagli la prima virgola dì Giorgio Prosperi o di Ghigo De Chiara. Ah, non ho detto come finisce Totò e Marcellino. Con l’arresto dello zio Alvaro e con il trionfo dello pseudo-zio. Bene. Gli unici parenti validi sono quelli finti: di cera, possìbilmente.
Giuseppe Marotta, «L'Europeo», anno XIV, n.19, 11 maggio 1958
Pablito Calvo cerca casa
ROMA, 16.
Pablito Calvo cerca un alloggio a Roma, dove si appresta a trascorrere l’inverno. Dovrà partecipare ad un film insieme con Totò. Il piccolo attore spagnolo è stato veduto stamane al giardino zoologico mentre distribuiva noccioline alle bertucce del villaggio delle scimmie.
«L'Unità», 17 gennaio 1958
Tutte le combinazioni sono possibili a questi lumi di cinema internazionale, e una delle meno imprevedibili è quella che costituisce la ragion d'essere, oltreché il titolo, del film odierno: Totò e Marcellino; il più popolare dei nostri comici e l'«enfant prodige» della cinematografia spagnola. Attori e al tempo stesso personaggi già costituiti, Totò e il piccolo Pablito hanno fatalmente dottato a Franciosa e Festa Campanile il soggetto: quello, di chapliniana memoria, del vagabondo e dell'orfanello. [...] Nella dickensiana alternanza di comico e di patetico, a forti stacchi di rosa e di nero, il filmetto non manca di abilità. Al regista Antonio Musu la via era già tracciata; ma egli l'ha percorsa con franchezza, tirando al massimo le corde del riso e del pianto, accettando in tutto la legge della favola. Ma ha anche elaborato con finezza qualche particolare: il funerale della mamma di Marcellino; l'affezione dell'orfano per il cuscino di lei; le nozze dello zio. E un'uguale misura avvolge i due interpreti, il grande e il piccolo; specialmente Totò, ora che la sua fortuna commerciale è in declino, sembra aver trovato discrezione, finezza, arresto.
l.p., (Leo Pestelli), «La Nuova Stampa», 30 aprile 1958
Il Totò di Totò e Marcellino è quello di buona indole, il poveraccio dalla miseria allegra e pittoresca che s'è visto, per esempio, in Guardie e ladri e in Napoli milionaria. Unendo la sua esuberanza affettiva alla tenerezza che ispira il Marcellino del pane e vino non dimenticato, cioè Pablito Calvo, che diviene grassottello ma è sempre un ragazzo di espressione intensa, il regista Antonio Musu ha fatto un film di caramellosa, dolcezza. [...] Se il Totò tutto cuore non fosse anche un incallito ladruncolo, il film sarebbe edificante, da raccomandare agli oratori. La sua formula à cattivante: qui il male è faceto e il bene sollecita la commozione; mistura astuta, di esito certo; piacerà. E la regia di Musu non manca di ambizione: la scena del funerale, ad esempio, descritto, nella colonna sonora, dal battere degli zoccoli di un cavallo, è ingegnosamente risolta. Film ad effetto, con un Totò in piena forma e con interpreti minori ben guidati.
«Corriere della Sera», 27 aprile 1958
Triste e meritato destino dei bimbi prodigio. Invecchiano, si irrobustiscono e finiscono col fare film sempre più brutti, in cui, della grazia di un tempo e della commozione che hanno saputo suscitare in passato, resta ben poco. Questa è la volta di un bimbo spagnolo, Pablito Calvo che esordi in un film di grande successo, "Marcellino pane e vino" e che ora appare in un film Italiano a far da spalla a Totò. I nostri produttori, evidentemente, dopo aver avuto la gran trovata di mettere assieme i due, non si sono più occupati di nulla e i risultati, purtroppo, si vedono ben chiari. [...] Su questa povera e sconnessa trama, il film colleziona un'antologia di tutti i più ammuffiti luoghi comuni del cinema Italiano. Da ogni cosa riesce a trarre il peggio: gira la commozione in pauperistico fumetto, il realismo in barzelletta, la favola in macchietta e cosi via. Resta ben poco da aggiungere: appena qualche intuizione ai Totò e la sua sempre valida mimica, qualche personaggio di contorno, fra cui il bravo Memmo Carotenuto e nulla più. L'estate è alle porte e il cinema estivo a torto o a ragione, fa valere i suoi diritti.
P.V., «Il Popolo», 27 aprile 1958
Marcellino - quello di Pan y vino, lo spagnolo, con una "l" sola - per trovare la mamma in Paradiso non esitava a chiedere a Dio di toglierlo da questo mondo. Il Marcellino di oggi, italiano, anzi romano, nato, anzichè dalla fantasia di Sanchez Silva, da quella di Franciosa e Festa Campanile, fa la strada inversa: gli hanno detto che la sua mamma, morendo, e andata all'inferno e lui pur di ritrovarla, si matte a fare il cattivo. In modo infantile, intendiamoci, rompendo vetri, rovesciando barattoli di vernici, rubacchiando palloni. Presto o tardi, cosi, dovrà riunirsi alla sua mamma; d'altronde, sembra pensare, meglio all'inferno con la mamma che solo al mondo. [...] Anche se derivata alla rovescia da Sanchez Silva e anche se qua e là percorsa da ricordi alla Dickens o, addirittura alla Victor Hugo (dei Miserabili), la favola aveva una sua originalità felice e viva, animata non di rado da delicate notazioni poetiche guardate, per tutte, quella lettera alla mamma che Marcellino, dopo aver scritto, affida a un palloncino perchè la porti in Cielo, poteva, perciò, commuovere, intenerire, rallegrare, forse quasi quanto quella originale del Pan y vino. La regia di Antonio Musu, invece, non ha a nostro avviso risolta con quella levità di fiaba di cui avrebbe avuto bisogno: caricando le dosi, ottenebrando le tinte, indulgendo a un realismo troppo di cronaca non ne ha saputo (o voluto) mettere la rilievo le aperture liriche e ha finito troppo spesso per confinarla in un clima triste e grigio di effetto più deprimente che non commovente. Neanche Totò, nella parte dello zio «falso», riesce a sollevare il tono nonostante i suoi lazzi coloriti e umanissimi. Pablito Calvo, comunque, nelle vesti di Marcellino merita lodi e consensi: e anche la cara vocina italiana che, come sempre, lo traduce per noi. Al suo fianco, degne di lode. Jone Salinas e Nanda Primavera. Gli altri sono Memmo Carotenuto, Fanfulla e Wandisa Guida.
G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 aprile 1958
Come uno più uno fa due, e non può fare tre, così il semplice fatto di aver messo Pablito Calvo accanto e Totò può bastare a fare un film ma non fa necessariamente un film d’alto livello. E in realtà Antonio Musu, in questa sua volonterosa fatica, ha fatto una semplice operazione d addizione: il comico partenopeo, con tutto il suo repertorio di trovate e di umani lazzi, più il bambino spagnolo, con tutte le sue moine che già, dài e dài, cominciano ad annoiare un poco. Ne è risultato un film certo capace di strappare qualche risata e qualche lacrima agli spettatori di cuore più tenero, ma troppo ingenuo e favolettlstico per darci l'emozione di altri film degli stessi interpreti [...] Questa la trama, che ci sembra inutile commentare, tanto la sua zuccherina assurdità parla da sola. Drammatica, tuttavia, la scena finale. E ben caratterizzati i personaggi che affiancano i due protagonisti, grazie a Fanfulla, Wanda Primavera, Jone Solinas, Wandisa Guida.
Vice, «Il Messaggero», 27 aprile 1958
Un Totò patetico e umano e un Pablito Calvo sempre più innocente e indifeso hanno il compito di commuovere il pubblico, specialmente quello propenso a lasciarsi incantare dalle fiabe. Il film non è disprezzabile, anche se abusa di facili effetti di commozione: è la storia di un bimbo, rimasto senza mamma, che viene praticamente adottato date uno strano zio che lo nutre a dolciumi, rubatt nei banchetti di nozze. Zio e nipotino vanno benissimo d’accordo, senonchè a turbare la pace giunge un terzo personaggio, vero parente di Marcellino, che reclama il piccolo per sé. Si scopre addirittura che il vero zio vorrebbe insegnare al nipote a chiedere l’elemosina e che fa lo stesso con una banda di ragazzi, che sfrutta. Il falso zio però parte alla riscossa, smaschera l’attività losca dello sfruttatore e riconquista Marcellino.
Il film è retto soprattutto da Totò, che è senza dubbio un bravo attore, mentre a Pablito Calvo è affidato il compito di completare gli effetti patetici: il regista Antonio Musu ha diretto con buona mano.
Vice, «Corriere d'Informazione», 28 aprile 1958
E' bene avvertire subito che si tratta di un ennesimo film della serie intitolata a «Totò Qualcuno e Qualcos'altro»: il film, che Antonio Musu ha diretto con evidente impegno, vuol dire e dice molto molto più. L'argomento é derivato da un racconto — « Una chitarra in paradiso» — che Massimo Franciosa scrisse prima che Pablito Calvo divenisse, per tutti i pubblici. Marcellino: precisazione necessaria, perché potrebbe venir fatto di osservare che se nei suo primo film Marcellino voleva andare in Cielo per ritrovare la mamma, qui, per lo stesso motivo, vuole andare... all'inferno. [...]
Sceneggiato dallo stesso Franciosa, da Pasquale Festa-Campanile, da Diego Fabbri e dal regista Musu, il film è ricco di spunti umoristici e patetici, di notazioni acutamente descrittive, ironiche, sentimentali. commoventi e brillanti. Qualche reminiscenza ("Miracolo a Milano", "Guardie e ladri", e "The kids") resta assorbita nel fertile humus in cui affonda le radici il racconto, le cui vicende, talvolta, avrebbero dovuto forse avere un meno asciutto sviluppo.
Di Totò e di Pablito inutile dire. Ci piace invece sottolineare l'affermazione, nella parte della coppia dei «cattivi» — lo zio e la sua donna —, di Fanfulla e di Jone Salinas. Il noto comico ha palesato una maschera e una recitazione capaci di un'intensissima, sorprendente incidenza drammatica, compiendo una caratterizzazione dagli aspetti memorabili. In una difficilissima parte di sciocca malvagia, la Sallnas ha dimostrato un gusto ed un mordente che ci inducono a desiderare dì vederla più spesso sugli schermi. Da rammentare ancora, positivamente, Memmo Carotenuto, Wandisa Guida e Nanda Primavera, nonché le musiche di Cado Rustichelli.
«Momento Sera», 1 maggio 1958
Una figura come quella affidata a Totò, non soltanto è tra le più belle portate sullo schermo da questo grande attore, ma soprattutto è solidamente piantata sul terreno della vita reale, della pratica necessità quotidiana, da risolversi senza esorcismi. [...] Totò dà vita a un personaggio di rate, di fallito, di uomo solo senz’altro scopo che quello di sopravvivere, con una tale freschezza e puntigliosa precisione da far pensare che egli abbia voluto fare qualcosa di più della variazione di un medesimo, ritornante tema.
Totò anarchico, “Schermi”, n. 3, giugno 1958
Sono i muri delle città, questi mantelli d'Arlecchino? Sissignori. Un mondo fittizio, di carta, di manifesti d'ogni colore, ci agguanta non appena usciamo di casa e non ci molla che quando rientriamo. Su “palchi” grezzi, effimeri, oscillanti, gracchiano e gesticolano gli “oratori”. Da automobili pavesate, microfoni invisibili urlano sfuggi a Tizio e avvinghiati a Caio. Nelle portinerie, le cassette della corrispondenza traboccano di foglietti e cartoncini stipati di analoghi avvertimenti. Galoppini di qualsiasi taglia vanno e vengono, s'urtano, s'accavallano, si frantumano come le onde marine. [...]
Giuseppe Marotta - 1960
I documenti
Tutte le uscite in home video di Totò e Marcellino, con anni, formati, etichette, extra e particolarità:
📼 VHS
- 1992 – Edizione Univideo/Avofilm
- Codice EAN 8010927051742, etichetta Univideo – distribuzione Avofilm
- Formato: PAL, REGIONE 2, audio italiano.
- Packaging semplice, ancora in commercio su collezionismo (es. eBay).
- Extra: nessuno indicato, confezione standard, tipica delle riedizioni anni ’90.
💿 DVD
- Anni 2000 – Collane a fascicoli / edizioni varie
- Compare in collezioni come “Il Grande Totò” e cofanetti di Totò, spesso venduti con quotidiani o riviste.
- Informazioni scarse sulle caratteristiche tecniche o extra specifici.
- Ibs.it / Feltrinelli (2020)
- Editore: Mustang Entertainment / 01 Distribution
- Prezzo indicativo: circa €9,99–€11,90 .
- Formato: DVD PAL REGION 2, audio italiano.
- Contenuti: film integrale, senza segnalazioni di extra né commenti o booklet.
- Edizione “alta definizione” su DVD
- Commercializzata su eBay come “Nuova Edizione Alta Definizione”
- Probabilmente resta su DVD (no Blu-ray), ma usa un master restaurato o migliorato.
- Prezzo intorno a €9,99, packaging a custodia amaray, nuovo e sigillato.
📀 Blu-ray / HD (2025)
- Non risulta alcuna edizione ufficiale su Blu-ray UHD o HD, né in cataloghi commerciali né su e-commerce principali
- Un video archiviato su YouTube (upload recente, qualitativamente discreto) ne attesta la distribuzione digitale non ufficiale, ma nessun Blu-ray o streaming autorizzato è disponibile .
📦 Caratteristiche tecniche e contenuti speciali
Formato | Master/qualità | Audio & lingua | Extra | Note |
---|---|---|---|---|
VHS (1992 Univideo) | Standard PAL VHS | Italiano | Nessuno | Editore medio dell’epoca |
DVD (collane anni ’00) | Varia, spesso da VHS | Italiano | Nessuno segnalato | Extra e booklet assenti o generici |
DVD Mustang (2020) | Nuovo master? migliore qualità video | Italiano | Nessuno indicato | Edizione recente, con distribuzione ordinaria |
“Alta Definizione” DVD | Master migliorato | Italiano | Nessuno | Richiama HD ma resta DVD |
Blu-ray | – | – | – | Non esistente ufficialmente |
🔍 Sommario storico
- 1992: prima uscita su VHS Univideo/Avofilm.
- Anni 2000: DVD in varie collane editoriali (quotidiani, magazine).
- 2020: DVD Mustang Entertainment / 01 Distribution (nuova edizione, media qualità).
- Data ignota: DVD “Alta Definizione” venduto online (probabilmente edizione digitale restaurata).
- Blu-ray: nessuna edizione ufficiale disponibile.
✅ Conclusione
- Il film Totò e Marcellino ha avuto una distribuzione casuale ma continua in home video dal 1992 ad oggi.
- Le edizioni VHS e DVD sono disponibili in diverse salse, ma senza contenuti speciali (nessun extra, booklet, commento audio o galleria fotografica).
- Non esiste un’edizione Blu-ray ufficiale: l’unico formato “HD” è un DVD promozionale migliorato da master, venduto online singolarmente.
- Se stai cercando una qualità visiva evidenziata o contenuti aggiuntivi (come saggi critici o materiale d’archivio), dovrai accontentarti del DVD “Alta Definizione” o attendere un’eventuale futura ristampa Blu-ray.
Quell’anno non lo dimenticherò mai perché mi trovai benissimo accanto a Totò. Il grande comico napoletano mi voleva bene come un figlio e fu lui a insegnarmi l’italiano. Tutte le sere, Totò veniva a prendermi in albergo e mi portava a mangiare la pizza a Trastevere, e io ero sempre contento di trascorrere la serata con lui.
Pablito Calvo
Brochure originale del film "Totò e Marcellino" - Germania, 1958 (Collezione Domenico Livigni)
Promozione del film - Italia, 1958
Cosa ne pensa il pubblico...
I commenti degli utenti, dal sito www.davinotti.com
- Discreta pellicola che miscela abilmente il dramma con la commedia. Buona mano di Musu in cabina di regia, con un ritmo piacevole, personaggi ben delineati e interpreti bravi davanti la macchina da presa. Forse non sarà uno dei migliori del grande comico ma si segue piacevolmente.
- L'idea di affiancare il divetto del momento Pablito Calvo al principe della risata poteva generare una commedia stile Il monello; qui invece si vola più basso con molti facili sentimentalismi e poco spazio alla verve di Totò. Comunque il risultato non è spregevole, il film si fa vedere e si segnala l'ottima partecipazione di Memmo Carotenuto.
- Una commedia ordinaria in cui Totò riesce a far emergere anche un po' della sua vena malinconica di attore. Non ha nulla a che vedere con il film che ha reso celebre Pablito Calvo e anche il sentimentalismo in esso contenuto punta a tutt’altro registro. Forse, se fosse durato qualcosina in meno, avrebbe reso anche di più, ma è tutto sommato accettabile.
- Avevo letto peste e corna su questo film. Invece siamo di fronte a una pellicola onesta che diverte e rincuora. Ricorda solo nel titolo lo splendido film di Ladislao Vajda ma in realtà siamo di fronte a un “lacrima movie” anticipato, immerso in un duro clima neorealista, innervato da rimandi filologici nobili come il Monello di Chaplin, imbevuto dagli umori che provengono direttamente dai drammi strazianti di Matarazzo e permeato da un degno pathos umano e cristiano. Totò risalta nella sua lucida recitazione che è sia comica che drammatica.• MOMENTO O FRASE MEMORABILI: Schietti e gustosi i duetti tra Totò e il vigile Zefirino interpretato da un Memmo Carotenuto in stato di grazia.
![]() |
|
Tutte le immagini e i testi presenti qui di seguito ci sono stati gentilmente concessi a titolo gratuito dal sito www.davinotti.com e sono presenti a questo indirizzo | |
|
|
Il palazzo dove Marcellino (Calvo) abita con la madre e nel quale si trasferirà il “Professore” (Totò) dopo la morte della donna ed essersi fatto passare per lo zio dell’orfanello si trova in Via Pietro Peretti 24 a Roma. Il portoncino è quello in primo piano | |
|
|
La piazza dove, per sfuggire ad un negoziante da lui derubato, il “Professore” (Totò) si imbuca nel corteo funebre della madre di Marcellino (Calvo) facendosi passare per lo zio del ragazzino è Piazza dei Mercanti a Roma. Appena giunto nella piazza da Via San Michele, Totò si appiattisce contro questo muro e, dritto di fronte a sé, vede transitare il corteo funebre |
|
|
|
Subito il “Professore” ci si fionda, riuscendo a far perdere le proprie tracce al negoziante | |
|
|
Il lato curioso di questa location è che la piazza successivamente attraversata dal corteo è ancora la stessa: è bastato spostare la macchina da presa sull'altro lato, far rientrare in piazza Totò, Calvo, il carro funebre e tutte le altre comparse e farla loro attraversare nella direzione opposta | |
|
|
La strada dove Marcellino (Calvo) incontra una ragazzina che chiede l’elemosina suonando la fisarmonica è Via Antonio Chinotto a Roma, ripresa nello stesso punto di Una ragazza piuttosto complicata | |
![]() |
|
Questa location è stata poi riciclata: più avanti nel film, sotto le finestre della palazzina che si vede sullo sfondo nel primo fotogramma il “Professore”(Totò) transiterà suonando per raccogliere, con l’elemosina, il denaro che gli servirà per incastrare Alvaro Merini (Fanfulla). La palazzina indicata con A è il civico 71 di Via Carso, una “multi” recentemente scoperta dal cinema italiano | |
|
|
![]() |
|
Il lungotevere dove il “Professore” (Totò) ritrova Marcellino (Calvo) e gli dona la sua tromba nel film dicono essere il Lungotevere Flaminio: in realtà Totò e Pablito Calvo si trovano sul Lungotevere Oberdan a Roma, esattamente sul lato opposto del fiume rispetto a quello dove si trova il Flaminio | |
|
|
Ecco il momento nel quale Totò cede la sua amata tromba all’orfanello: l’improvvisa interruzione del parapetto e l’edificio sullo sfondo (nascosto dalla vegetazione nella foto di oggi) ci permettono di individuare il punto esatto | |
|
|
Il palazzo dove presta servizio Zeffirino (Memmo Carotenuto), la guardia amica del “Professore” (Totò) al quale questi si presenterà per chiedere aiuto nell’incastrare Alvaro Merini (Fanfulla) è Palazzo Barberini, situato in Via delle Quattro Fontane 13 a Roma. L’incontro tra i due avviene presso il portone d’accesso al palazzo | |
|
|
Concluso l’incontro Totò si incammina verso il caratteristico cancello su Via delle Quattro Fontane | |
|
|
La strada dove Alvaro Merini (Fanfulla) e la neomoglie Ardea (Salinas), subito dopo essersi sposati per ottenere l’affidamento di Marcellino (Calvo), vengono raggiunti dalla notizia della fuga del ragazzino è Via Carlo Tavolacci a Roma, all’altezza della confluenza con Via dei Marescotti | |
|
|
La strada dove l'insegnante (Guida) di Marcellino (Calvo) scorge l'alunno chiedere l’elemosina e si affretterà ad avvertire il "Professore" (Totò) è Via Boezio a Roma, all'altezza del cancello del civico 45, indicato dalla A. | |
|
|
Il controcampo ci mostra come sia cambiato l'edificio del civico 45, all'epoca delle riprese in ristrutturazione: la facciata a fasce bicolori è stata sostituita da una a tinta unica ma, guardando a destra possiamo notare come una porzione sia rimasta com'era nel 1958 | |
|
|
IL CIMITERO, LA FUGA E IL NASONE Il cimitero nel quale viene seppellita la mamma di Marcellino (Calvo) è il Cimitero Monumentale del Verano, in Piazzale del Verano 3 a Roma. Quello mostrato nel fotogramma era un accesso secondario al cimitero, situato in Via del Verano (esattamente all’altezza dello sbocco di Via dei Sabelli) e che oggi non esiste più (41.899749,12.520612), così come il muro di cinta sulla destra |
|
|
|
Uscite dal camposanto dopo aver partecipato ai funerali, due donne si allontanano a piedi lungo Via del Verano, anch’essa oggi molto difficile da riconoscere | |
|
|
![]() |
|
La prova definitiva ce la offre il controcampo su Via dei Sabelli, con il “Professore” (Totò) che, assolutamente non intenzionato ad accollarsi il mantenimento del ragazzino del quale si era spacciato zio, si allontana alla chetichella lasciando solo Marcellino, per poi nascondersi in un cortile | |
entrandovi attraverso questo cancello (dal quale subito uscirà, riuscendo a far perdere le sue tracce a Marcellino, che l’aveva seguito ma non l’aveva visto uscire), oggi scomparso come tutto l’edificio sulla destra | |
![]() |
|
IL NASONE Fatte perdere le proprie tracce, l’azione si sposta in un’altra strada, dove il “Professore” si ferma a dissetarsi ad un “nasone” e da lì è nuovamente costretto a fuggire perché, proprio di fronte alla fontanella si ritroverà nuovamente davanti Marcellino: in realtà ci si è spostati di pochi passi, perché siamo sempre in Via dei Sabelli, poco più indietro rispetto al punto nel quale Totò si era infilato nel cortile Totò arriva al “nasone”, che oggi è scomparso, mentre l’edificio in fondo al vicoletto è “lievitato” e l’accesso al vicoletto sbarrato da un cancello che riproduce le fattezze della recinzione che si trovava a sinistra del nasone |
|
|
|
Ed è di nuovo fuga lungo Via dei Sabelli
|
|
![]() |
|
Ecco il totale su questa location. |
Totò e Marcellino (1958) - Biografie e articoli correlati
Alivernini Umberto
Arlorio Giorgio
Articoli & Ritagli di stampa - Rassegna 1958
Bolognini Manolo
Calvo Pablito (Hidalgo Pablo)
Campochiaro Salvatore
Carotenuto Memmo (Guglielmo)
Fanfulla (Visconti Luigi)
Guida Wandisa
Locchi Pino (Giuseppe)
Meniconi Furio
Musu Antonio
Perrella Amelia
Primavera Nanda (Fernanda Fedele)
Salinas Jone
Totò: ritorno dal buio alla luce dei riflettori
Riferimenti e bibliografie:
- "Totalmente Totò, vita e opere di un comico assoluto" (Alberto Anile), Cineteca di Bologna, 2017
- "I film di Totò, 1946-1967: La maschera tradita" (Alberto Anile) - Le Mani-Microart'S, 1998
- Collezione privata Domenico Livigni
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- «L'Arena», 2 febbraio 1958
- Maurizio Liverani, 1958
- Giuseppe Marotta, «L'Europeo», anno XIV, n.19, 11 maggio 1958
- «L'Unità», 17 gennaio 1958
- l.p., (Leo Pestelli), «La Nuova Stampa», 30 aprile 1958
- «Corriere della Sera», 27 aprile 1958
- P.V., «Il Popolo», 27 aprile 1958
- G.L.R. (Gian Luigi Rondi), «Il Tempo», 27 aprile 1958
- Vice, «Il Messaggero», 27 aprile 1958
- Vice, «Corriere d'Informazione», 28 aprile 1958
- «Momento Sera», 1 maggio 1958
- Totò anarchico, “Schermi”, n. 3, giugno 1958
- Giuseppe Marotta - 1960