Lo sketch Pasquale

Un'analisi dello sketch

🤡 Masochismo? Ce l’abbiamo tutti nel corredo genetico

Masochismo: questa parola tanto elegante quanto inquietante, che a sentirla ti pare subito di dover spiegare imbarazzato a tua zia cosa leggi la sera. Ma no, niente catene, niente cuoio lucido da cabaret: qui si parla di auto-dolore da incompetenza esistenziale, del farsi male da soli in modo teneramente tragicomico.

Il masochista è il tizio che si prende la torta in faccia nelle comiche mute. Quello che cerca di entrare in una porta girevole e ci resta incastrato per sei minuti. Quello che ride (o piange) sotto il diluvio perché ha dimenticato l’ombrello e l’autostima. Insomma: tutti noi.

👋 Pasquale, chi? L'arte di schivare i ceffoni con l’identità fluida

Entra in scena Sua Comicità Reale: Totò, con una gag fulminante e filosoficamente devastante. Viene schiaffeggiato da uno che lo scambia per un certo Pasquale. E lui, invece di reagire, ride e risponde:
"Ma scusa, mica sono io Pasquale!"

Colpo di genio. Perché, vedi, se non sei tu, non ti fa male. Se ti prendono a ceffoni ma credono che tu sia qualcun altro, allora l’altro soffre. Tu no.
È una forma di autodifesa esistenziale, un’assicurazione sull’identità. Non sei Pasquale? Bene. Allora chiunque sia Pasquale si arrangi. Tu, nel frattempo, ti godi lo spettacolo.

🧠 Il nome, il corpo e quella sottile linea tra comicità e metafisica

Qui Totò fa il filosofo e nemmeno lo sa (o forse sì): separa il nome dal corpo, e dice implicitamente che il dolore ha bisogno di un’identità per esistere. Il corpo non è solo carne, ma anche linguaggio, significato, io narrante.

Il corpo, poveraccio, non ha diritto a lamentarsi se l’identità che lo anima non si sente coinvolta. È come dire: “Non ero io, era il mio avatar!”
Totò ci regala così una gag che è anche una lezione di semiotica slapstick: se non sei nominato, non soffri. Se non ti riconosci, non ti dolori. Il linguaggio come analgesico.

😅 Ridere per non piangere (e ridere degli altri per piangere meglio di noi)

Ma perché ridiamo del masochismo altrui? Perché, sotto sotto, ci riguarda. Ridere è un coming out dell’inconscio: “Oddio, questo fa le stesse figure che faccio io ogni lunedì mattina!”.

Il comico ci salva perché ci espone, ma a nome d’altri. Come dire: “Guarda quel poveretto!”, mentre un pezzo di te piange dentro dicendo: “Eh, poveretto sì… ma guarda caso c’ha il mio numero di scarpe.”

🤷‍♂️ Il masochismo quotidiano: incompetenza come condizione umana

Il vero masochismo non è in latex, ma in flanella. È quello da incompetenza, da “non ci capisco un tubo ma vado avanti lo stesso”. È il masochismo dello studente che si iscrive a ingegneria meccanica ma ha paura della calcolatrice. Di chi accende il forno a 200° per fare un’insalata. Di chi legge Kant alle 2 di notte per rilassarsi.

È un masochismo democratico, trasversale, abbonato al tram della vita ma sempre senza biglietto. Quello che ci accomuna tutti nella nostra meravigliosa inadeguatezza.

🧓 Una volta c’erano i vecchi (che sapevano tutto)

Un tempo, si diceva: “L’esperienza conta”. I vecchi erano la Google enciclopedica delle nostre nonne. Ti dicevano come comportarti, cosa dire, quando morire con dignità. Oggi? Oggi se chiedi qualcosa a un anziano, ti risponde con una GIF.

Il sapere si è sfaldato come un vestito di carta crespa. Ognuno va a braccio, con il proprio gomitolo esistenziale in mano, sperando che almeno una parte del filo porti da qualche parte. Nessuno è più competente, nessuno è più autorevole. Siamo tutti bambini travestiti da adulti con mutuo e gastrite.

🎭 Vivere è masochistico, in sé e per sé

Ed ecco il colpo di grazia filosofico: il vero masochismo è vivere. Essere gettati in un mondo senza libretto d’istruzioni, senza tutorial su YouTube, senza parental control. Non è che ti fai del male: è il mondo che te lo fa, ogni giorno, e tu cerchi solo di sorridere tra un livido e l’altro.

Non siamo masochisti perché ci piace il dolore. Lo siamo perché non abbiamo scelta. Perché non ci ha lasciato detto nulla nessuno. Perché ci manca quella voce rassicurante che ti dice:
“Tranquillo, questa scena fa ridere anche se non la capisci.”

🧩 Conclusione provvisoria (perché mica si guarisce dal vivere)

Totò, con un solo schiaffo e una battuta, smonta il dolore e lo trasforma in gag. Fa filosofia dell’identità ridendo. E ci dice che, in fondo, l’unico modo per sopravvivere al masochismo del vivere è ridere di quello degli altri, fingendo di essere immuni, e intanto, cercare di capire se davvero ci chiamiamo Pasquale.

E se sì, allora: due schiaffi in faccia ce li meritiamo anche. Ma solo se a darceli è Totò.

FINE (ma con il naso rosso del clown ancora addosso). 🎪


Scena dello sketch tratta dalla trasmissione "Studio Uno" del 18 giugno 1966

TESTO

CASTELLANI: Ma dove ti sei cacciato?
TOTÒ: Fammi salutare prima il pubblico: buon ferragosto, signori!
CASTELLANI: Ma sei impazzito, mica siamo a ferragosto ora.
TOTÒ: Che c’entra?
CASTELLANI: Ti sei dimenticato che mi avevi dato un appuntamento per le nove, ora sono le dieci e ti presenti con un’ora di ritardo.
TOTÒ: E no! Sei tu che sei venuto in anticipo, lo vado con l’ora legale.
CASTELLANI (Totò si mette i guanti usando un calzatore per le scarpe): Che fai?
TOTÒ: Mi metto i guanti.
CASTELLANI: Perché usi un calzatore per le scarpe?
TOTÒ: C’è scritto che è per le scarpe?
CASTELLANI: No.
TOTÒ: E io mi calzo con quello che mi pare.
CASTELLANI: Io vorrei sapere con questo caldo che bisogno c’è di infilarsi i guanti.
TOTÒ: Per l’igiene. Perché io sono igienico. Sono una persona pulita, modestamente.
CASTELLANI: Con questo cosa vorresti dire: che io sono sporco?
TOTÒ: Che ne so io? Oddio da vicino non si direbbe.
CASTELLANI: Per tua norma e regola io faccio il bagno tutte le mattine.
TOTÒ: Bello sporcaccione.
CASTELLANI: Come sarebbe a dire: uno che fa il bagno per te è uno sporcaccione.
TOTÒ: E si capisce. Se tu hai una camicia pulita cosa fai, la lavi?
CASTELLANI: E che la lavo a fare?
TOTÒ: Perché non la lavi?
CASTELLANI: Ovvio, perché è pulita.
TOTÒ: E viceversa, detto e non concesso, se la camicia è sporca tu cosa fai?
CASTELLANI: La lavo.
TOTÒ: Perché la lavi?
CASTELLANI: Perché è sporca.
TOTÒ: E tu perché ti lavi?
CASTELLANI: Perché sono sporco.
TOTÒ: Zozzone!
CASTELLANI: Con questa tua teoria allora tu non ti lavi mai.
TOTÒ: Mai, mai! Lo posso giurare sui miei capelli.
CASTELLANI: Si può sapere perché mi hai fatto venire qui.
TOTÒ: Avevo un appuntamento in centro e mi sono fermato vicino a piazza Esedra...
CASTELLANI: Davanti alle terme di Diocleziano?
TOTÒ: Non l’ho visto Diocleziano.
CASTELLANI: Ci mancava altro. Diocleziano è morto.
TOTÒ (sbalordito): No! per la miseria. Quando è morto?
CASTELLANI: Saranno duemila anni.
TOTÒ: Ragazzi, come passa il tempo! Hai fatto caso poi che muoiono sempre gli stessi?
CASTELLANI: Insomma, si può sapere cosa ti è capitato?
TOTÒ: Ora ti racconto un esipodio che mi è capitato stamattina.
CASTELLANI: Non capisco cosa sarebbe questo esipodio.
TOTÒ (deciso, scandendo le lettere): Un Esipodio.
CASTELLANI: Ah, episodio.
TOTÒ: Adesso si dice cosi.
CASTELLANI: Da quando c’è la lingua italiana si dice cosi.
TOTÒ: Ammesso e non concesso.
CASTELLANI: Allora racconta...
TOTÒ: In mezzo a questa piazza c’è una fontana con tre donne sopra che pren dono il fresco.
CASTELLANI: Le donne veramente sono quattro.
TOTÒ: Si vede che una stava poco bene e non è scesa.
CASTELLANI: Andiamo avanti...
TOTÒ: Allora io mi sono messo dirimpetto alla fontana a guardare. Quando arriva un pezzo di giovanotto alto e con le spalle grosse.
CASTELLANI: Aitante.
TOTÒ: Non lo so se era aiutante.
CASTELLANI: Ho detto aitante. Grosso...
TOTÒ: Comunque questo giovanotto si è avvicinato con una ghiglia.
CASTELLANI: Sarà stato un ghigno.
TOTÒ: A me mi era parsa una ghiglia.
CASTELLANI: Andiamo avanti.
TOTÒ: Questo giovanotto mi ha guardato fisso e poi mi ha detto: «Pasquale, era un pezzo che ti cercavo. Figlio d’un cane. Finalmente ti ho trovato». Alza la mano e mi molla uno schiaffo ma forte, ma forte... (ride)
CASTELLANI: E tu?
TOTÒ: E io pensavo: «Chissà sto stupido dove vuole arrivare».
CASTELLANI: E poi?
TOTÒ: Mi ha preso per il petto e mi ha sbattuto contro il muro urlando: «Pasquale, te possino ammazzatte» e giù due schiaffi, (ride a crepapelle) Sta cosa mi scompiscia.
CASTELLANI: E tu?
TOTÒ: Io dicevo tra me e me: «Chissà sto stupido dove vuole arrivare»
CASTELLANI: E poi?
TOTÒ: Poi mi ha detto: «Pasquale, togliti il cappello». Non me lo sono fatto dire due volte. Mi ha detto: «Pasquale, ti voglio sfondare il cranio», e mi ha dato un cazzotto sulla testa che ci ho ancora la ficozza.
CASTELLANI: Ma tu che facevi?
TOTÒ: Io pensavo: «Chissà sto stupido dove vuole arrivare», (ride)
CASTELLANI: Ma che ridi, mi fai rabbia. Ma scusa, perché non hai reagito?
TOTÒ: E che mi frega a me, mica só Pasquale, io!


Così la stampa dell'epoca

Totò poeta-becchino

E' uscito un "33 giri" con la registrazione di una scenetta di "Studio Uno" e una lirica macabro-umoristica

Totò ha inciso il suo primo disco (33 girl, 17 cm. Cetra). E' una gradita sorpresa per quanti amano la bonaria, macchiettistica comicità del principe Do Curtis. In una facciata ascoltiamo una famosa scenetta elle fa parte del repertorio del vecchio varietà, riproposta l'anno scorso in «Studio Uno». Si intitola «Pasquale». Totò ha per "spalla" l'attore Mario Castellani. Con le tipiche battute rispolverate dalla sua esperienza nel cinema e nella rivista, Totò riesce a suscitare un po' d'ilarità. Ma la cosa migliore del disco è la poesia in dialetto partenopeo «'A livella», che prende lo spunto dal seppellimento in tombe vicine di un povero scopino e di uno schizzinoso «gentiluomo». L'attore ha affrontato con entusiasmo l'avventura discografica. Già si preannuncia la pubblicazione di un «long play» con altre brillanti scenette.

«Stampa Sera», 12 aprile 1967


"'A livella" e "Pasquale"

Totò: «'A livella» e «Pasquale», Cetra LC 18 33 giri, 17 cm

Alcuni mesi fa la Cetra aveva annunciato la prossima uscita di un disco, microsolco, con la partecipazione di Totò (principe De Curtis). Ora in una veste piuttosto dimessa il disco è apparso; si tratta dì un microsolco di 17 cm inciso bene, contiene due pezzi dell'inesauribile repertorio di Totò.

Ad ascoltarlo ci si contorce dalle risa tanto è il caustico humour dell'attore napoletano. Su una facciata del disco vi è una nota poesia dello stesso Totò, «'A livella», strumento dei muratori che qui serve al poeta-attore per prendersi burla della presunzione di un blasonato. Tra due morti, un ricco aristocratico e un misero poverello, la morte ha fatto 'a livella, ha uguagliato tutto e tutti. Totò recita la propria poesia con fare garbato, ma assai sbrigativo. Il suo verso è scarno, rapido, colpisce senza troppi preamboli. E pur ammirando sia la poesia, del resto molto nota sia la dizione (che non dà fastidio seppure mantenuta in stretto e bello dialetto napoletano), si resta un po’ delusi, ci si aspettava di più La consolazione giunge sulla seconda facciata del disco, con «Pasquale»: dove è ripreso dal vivo un numero di Totò in una rivista (oltre alla sua voce e a quella di Mario Castellani, si odono fragorosi applausi del pubblico). Da una battuta all'altra, da un trucco consumato dal comici di tutto il mondo. (E' morto Diocleziano? Come passo il tempo, ragazzi!) ad una trovata fresca fresca ci si trattiene a stento dal continuo ridere.

Buona l'idea di far uscire dischi con recitazioni comiche, sarebbe bene continuare la serie magari un po' più curata.

«L'Unità», 14 aprile 1967


Riferimenti e bibliografie:

  • "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
  • "Masochismi ordinari", Marisa Fiumanò, Mimesis Edizioni, 2016
  • «Stampa Sera», 12 aprile 1967
  • «L'Unità», 14 aprile 1967