Eduardo cerca l'atomica
Al festival di Venezia accanto alla guerra di Ruzzante col tema classico del reduce ingannato dalla moglie, la guerra di Eduardo De Filippo col tema attuale della paura
Venezia, agosto
Guerra di ieri e guerra d’oggi. Il terzo spettacolo del festival del teatro, allestito da Cesco Baseggio in campo San Trovaso, ha riunito due commedie cinquecentesche: Il Saltuzza di Andrea Calmo e il Parlamento de Ruzante che jera vegnù de campo, di Angelo Beolco. Se dalla prima sono venuti fuori soprattutto il rilievo dei caratteri e la estrema spregiudicatezza del linguaggio (rimastale nonostante qualche ripulitura), nella seconda, dove pure con le parole non si scherza, il dramma del reduce si è imposto con una immediatezza che pareva Cancellare i secoli. Ruzzante, combattente tutt’altro che valoroso, nella guerra aveva veduto unicamente la possibilità di far fortuna. Ma appunto dall’inseguimento di quel miraggio, dalla viltà, dall’astuzia truffaldina e dalla delusione che lo risospinge lacero e pidocchioso verso casa, salta fuori un ritratto che i tempi hanno pochissimo modificato. Il dialogo tra il reduce e la moglie che già passata ad altri gli si rifiuta, per la crudezza della forma e la spietatezza dell'argomento potrebbe trovar posto in un capitolo della letteratura contemporanea. Magari in Malaparte.
E alla guerra, sentita soprattutto come mancanza di pace, assillo e minaccia, non poteva rimanere estraneo Eduardo De Filippo, pronto come oggi nessun altro commediografo a guardare senza timore ciò che gli succede intorno. La sua «Paura numero uno», con la quale il festival si è concluso alla Fenice, propone appunto questo tema ossessivo e sul principio sembra accentrarlo unicamente nella figura del modesto commerciante Matteo Generoso. In lui il ricordo angoscioso della guerra passata si trasforma in ossessione dalla guerra futura. La guerra scoppierà da un momento all'altro, dilagherà con orrori vecchi e nuovi. Impossibile occuparsi dei propri affari, assurdo che una figlia e una nipote pensino a maritarsi, e addirittura ridicolo che i condomini di tutto il palazzo decidano di riunirsi per discutere se un inquilino innalzando un muro ha danneggiato il suo vicino, o cose del genere.
E' comprensibile che la famiglia, impensierita, pensi al modo di liberare Matteo da questa sua crisi. Visto che è inutile contrastarlo, e poiché Matteo è sempre attaccato alla radio, un parente ha l'idea di organizzare una finta trasmissione con la quale si comunica che tutto il mondo è entrato in guerra. Ogni Stato ha dichiarato guerra agli altri Stati della terra, ognuno di essi è soggetto all’invasione e ai bombardamenti. E tra le prime istruzioni si informano i cittadini di cosa dovranno fare nel caso in cui trovassero bombe atomiche inesplose.
Questa premessa farsesca raggiunge lo scopo. La convinzione che la guerra sia scoppiata, anzi che maggiormente eccitarlo, placa l'animo di Matteo. E se umanamente la premessa ha un senso, essa deriva dal fatto che Matteo, parlando come uno . il quale sappia che la guerra è scoppiata ad altri che non lo sanno affatto, non incontra mai smentite. Segno, se non altro, che nessuno si sente in pace. Parlare di guerra anche se la guerra vera e propria non esiste, e comportarsi in conseguenza, sembra logicissimo a chiunque.
Teatralmente poi la premessa si presta a uno di quegli sviluppi che nel teatro di Eduardo sono frequenti. Matteo non soltanto fa acquisti (dall'olio alle candele, alla carta igienica), ma poco a poco contagia anche le persone a conoscenza dell’inganno; specialmente il fidanzato delia nipote, uomo zelante, ligio al dovere, il quale correndo da un comando a un . distretto, prima è giudicato propalatore di notizie false, poi spia, poi soldato renitente, poi è irreggimentato sul serio. Non c'è da meravigliarsi se alla fine, in seguito alle proteste di un iracondo coinquilino sulla congestione del traffico e la presenza degli stranieri, l’arrivo di una carovana di pellegrini d'ogni nazionalità viene scambiato per un principio d'invasione.
A questo punto, come già era accaduto in parte nelle « Bugie », nelle « Voci di dentro » e nella « Grande magia », la commedia si rivolta e la farsa' diventa patetica. Da Matteo Generoso il centro dei tre atti si sposta su Luisa Conforto, madre del fidanzato della figlia di Matteo. Luisa ha perduto il marito nella guerra 14-18, il primogenito nell'ultima. Sa benissimo che la terza guerra non è stata dichiarata, che la trasmissione udita da Generoso era falsa. Ciò nonostante essa riesce a murare suo figlio in uno stanzino e a tenervelo rinchiuso per quindici giorni, lasciando credere a tutti ch'egli sia fuggito. Paura della guerra, o straordinaria alterazione del sentimento materno in vista di un matrimonio che le toglierà l'unica creatura rimastale?
Per questo forse, quando allo stato di guerra non crede più nessuno, nemmeno Matteo ormai guarito da tanta ossessione, Luisa continua ad affermare dolcemente (e Titina De Filippo è grande attrice) che « la guerra c'è ». Pensa alla guerra d'ogni giorno, di cui la guerra vera è l'espressione più violenta.
Questa conclusione, malinconicamente castigata, nonostante il successo è stata accolta con qualche perplessità. Eduardo sa prender quota. Lo sa al punto di valersi ormai di due terzi di ogni sua commedia come di una pista di lancio. Ma non rinunziando a innalzarsi, nemmeno vuole staccarsi nettamente da un tipo di teatro che fu suo. Eppure Eduardo De Filippo è scrittore ormai maturo per urta commedia tutta seria.
Raoul Radice, «L'Europeo», anno VI, n.32, 6 agosto 1950
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Raoul Radice, «L'Europeo», anno VI, n.32, 6 agosto 1950 |