La Wandissima era così annichilita che si lasciò fotografare senza trucco

Wanda-Osiris

Quarto malinconico incendio del glorioso "Politeama" di Napoli

Napoli, ottobre

Quando l’incendio fu spento, Wanda Osiris crollò. Erano quasi le cinque del mattino. I pompieri si allontanavano sulle autopompe. Gli agenti rientravano sbadigliando nelle caserme. I giornalisti dei quotidiani napoletani, chiusi in redazione, descrivevano con strazianti parole come il fuoco avesse distrutto in venti minuti il vecchio e glorioso Politeama. Da Monte di Dio a piazza Santa Maria degli Angeli c’era un puzzo di bruciato e una gran desolazione. Wanda Osiris si strinse al collo il cappotto di lana bianca, una delle poche cose che le fossero rimaste, e barcollando sui tacchi si diresse verso quello che era stato il suo palcoscenico. Lilla e Fra Fra, i due cani barboni che la scortano nel bene e nel male, la seguirono abbaiando. «Fermate i cani!», urlò irritato un agente messo a guardia delle macerie. Un ballerino dai riccioli d’oro gli posò conciliante una mano sul braccio. «Ovunque essa vada, loro la seguono», disse solennemente. E nessuno ebbe il coraggio di ridere.

1957 10 06 L Europeo Wanda Osiris f1Napoli, 27 settembre. Dopo l’incendio del Politeama Giacosa, nel quartiere di Pizzofalcone, la danzatrice Sherry Young, della compagnia di Wanda Osiris, esamina gli avanzi dei pochi costumi risparmiati dalle fiamme.

La Wanda camminava a testa bassa, senza curarsi delle travi che cadevano né delle ciocche bionde che le sfuggivano senza grazia dallo chignon. Dinanzi a un mucchietto di tavole sgretolate dal fuoco si fermò di colpo. Le lacrime le rigavano la faccia ormai priva di trucco, sbadata di rossetto e di rimmel. Le spalle le tremavano violentemente. Quelle tavole nere erano la scala lungo la quale ogni sera scendeva cantando con la sua voce gorgogliante: «Personalitàaaa: un gesto, un tratto, una futilitàaaa, un tocco di studiata vanitàaaa». Si trattava di una entrata in scena assai suggestiva. Wanda indossava un abito di seta nera, molto aderente, guarnito di ricami d’argento e di renards. Il pubblico applaudiva, estasiato. Ma anche l’abito nero era bruciato, ora. E bruciate erano le altre toilettes (una di tulle giallo sfumato in marrone, ima in raso bianco con piume di struzzo, una di pizzo chantilly azzurrò con diadema di strass) il cui costo superava i quattro milioni e mezzo. Wanda sollevò con stanchezza un’aureola di penne disfatte e balbettando: «È finita», esplose in un pianto disperato.

Sembrava che le fosse morto qualcuno. Inutilmente le spiegavano che, dopotutto, non era morto nessuno. Wanda piangeva e con lei piangeva la sua massaggiatrice, piangeva la sua sarta, piangeva la sua governante, una donnina dai capelli grigi che da sedici anni la serve e la adora. Piangevano, o sembrava piangessero tanto lamentosi erano i loro guaiti, perfino Lilla e Fru Fru. Fu necessario allontanare quasi di peso le quattro donne e i due barboncini, e portarle in albergo: dove la crisi divenne violenta. Nella camera al quinto piano del Royal, Wanda Osiris si dibatteva come una farfalla intorno a una lampada. Ogni tanto si affacciava, spenzolandosi troppo, al balcone. Allora le tre donne correvano urlando verso il balcone e amorosamente l’adagiavano sopra il suo letto, mentre Lilla e Fru Fru si accovacciavano ai piedi. La scena era ancora più triste di quando, due anni addietro, Wanda Osiris era stata deposta, con la testa fasciata, in un ospedale dopo essere caduta, a causa di un abito troppo pesante, in mezzo all’orchestra.

1957 10 06 L Europeo Wanda Osiris f2Napoli. Il batterista Michele Masicco, diciannovenne, di Trani, si dispera. Il giorno prima dell’incendio del teatro aveva pagato l’ultima rata della sua batteria, un costoso complesso acquistato in Germania.

In quella occasione la diva se l’era cavata con un bernoccolo e molte ceste di fiori. Ma stavolta la faccenda sfiorava il dramma e, per averne una idea, bastava guardare i sessanta componenti della compagnia che ancora sostavano dinanzi al Politeama: le ballerine accovacciate sul marciapiede, sconsolatamente stringendo fra i ginocchi le teste di platino, i boys con le lunghe ciglia bagnate di lacrime, gli attori con la faccia ancora nera di fuliggine e l’espressione stremata per gli inutili sforzi compiuti nel tentativo di salvare qualcosa. I più commoventi erano senza dubbio gli orchestrali, che disperandosi come bambini frugavano tra i mattoni per scovare un pezzo di tromba, la corda di un violino o il manico di un contrabbasso. Gli orchestrali devono possedere per contratto il loro strumento e nessuno era riuscito a salvare gli strumenti. Il batterista, un diaciannovenne di Trani che la sera avanti aveva pagato l'ultima rata della sua batteria comprata appositamente in Germania, singhiozzava come un orfanello.

Nell’incendio del Politeama, la compagnia di Wanda Osiris aveva perduto proprio tutto: scenari, costumi, strumenti. Non erano rimaste nemmeno le partiture musicali e nemmeno il copione che dovrà essere scritto nuovamente affidandosi alla memoria degli interpreti. Il danno ammontava a cinquanta milioni senza tener conto del materiale da ricostruire, dei giorni perduti, degli incassi cancellati, delle paghe sospese. Secondo una clausola del contratto, la paga viene infatti sospesa quando si verifichino incidenti imprevisti come una alluvione, un incendio o la guerra. Un particolare abbastanza crudele se si pensa che nel mondo del teatro si vive praticamente alla giornata, e che lo spettacolo riscuoteva successo. Sviluppato secondo il tema classico della rivista (balletti, canzoni, coreografie lussuose, sketches, battute umoristiche tenute insieme da un lieve filo conduttore) I Fuoriserie aveva ritmo e mordente. Dalla sera del debutto, avvenuto otto giorni prima dell’incendio, il teatro era stato sempre esaurito. Per quarantotto ore i napoletani, che sono facili alla commozione e si affliggono con sincerità di fronte alle disgrazie degli altri, parlarono solo di questo.

1957 10 06 L Europeo Wanda Osiris f3Napoli. All’ingresso del Politeama, le ballerine della compagnia di Wanda Osiris sostano piangendo. La rivista I fuoriserie era andata in scena il 19 settembre. Ora sartorie e scenografi lavorano per rifare costumi e scene.

I giornali furono costretti a stampare nuove edizioni: le copie con la cronaca del disastro andavano a ruba. Lauro promise il suo aiuto versando mezzo milione. Il «Mattino» annunciò uno spettacolo coi divi del teatro e del cinema per risarcire alla compagnia una parte delle spese. Wanda Osiris diventò la donna più amata e compianta della città. Si pregava San Gennaro perché la aiutasse, si facevano scommesse e furibondi litigi per individuare cosa le avesse portato scalogna. Chi diceva che, la sera di giovedì, Wanda fosse stata investita in passerella da un fascio di luce viola, colore che essa odia. Chi diceva di aver visto in un palco un famoso menagramo. Chi parlava d’una gobba che avrebbe fatto le corna passando dinanzi al teatro. E questo forniva innumerevoli spunti per le giocate del Lotto. Che si trattasse della vendetta di un innamorato respinto da Sherry, la bella negra americana che balla il calipso? Poteva darsi benissimo che l’incendio fosse doloso. Pochi ricordavano che il Politeama, così vecchio da essere divenuto un covo di scarafaggi, ha una vera tradizione di incendi. In cent’anni di vita, aveva già preso fuoco altre tre volte. Solo che non s’era mai bruciato in modo così pittoresco. Certi particolari della incredibile notte sarebbero piaciuti a Charlie Chaplin.

Wanda Osiris cenava dalla Bersagliera con gli attori della troupe e il suo seguito, quando qualcuno telefonò che il Politeama era in fiamme. Wanda scosse incredula la testa e rispose che si trattava di uno scherzo, continuando a mangiare la sogliola al burro. Solo Carlo Rizzo, il comico che dirige la compagnia, si alzò per recarsi a dare un’occhiata. Erano passate da poco le due, un’ora in cui Napoli diviene deserta. Pioveva e tirava vento. Rizzo si accorse che qualcosa era successo davvero quando il tassì si avvicinò a piazza Santa Maria degli Angeli. Una folla, vestita come capita, correva gridando: «S’è appicciato 'o Politeama».

Giungevano anche le prime autopompe, ma i pompieri non sapevano dove sistemarle tanto imponente era la massa delle forze dell’ordine. Dalla caserma della Celere, che è a duecento metri dal teatro, gli agenti si rovesciavano a ondate nel quartiere invaso dal fumo.

Intanto le fiamme guadagnavano inesorabilmente terreno. Iniziato forse per un corto circuito, forse per un mozzicone di sigaretta dentro il recinto dell’orchestra, il fuoco aveva divorato parte della sala e il sipario di stoffa. (Il Politeama non dispone del sipario di ferro che, in casi simili, delimita il fuoco). Ora, alimentato dal vento che irrompeva attraverso le finestre spalancate, l’incendio distruggeva il palcoscenico e si estendeva ai camerini, dove il meccanico della compagnia dormiva ignaro di tutto. (Si salvò per miracolo, abbattendo il fragile muro a colpi di martello e lanciandosi col naso bruciato giù nel giardino).

Carlo Rizzo si coprì la faccia con le mani, poi guardò annichilito i colleghi che lo avevano raggiunto: Giustino Durano, Raimondo Vianello e Gino Bramieri. Coraggiosamente i quattro si fecero largo tra la folla e irruppero nel teatro, decisi a salvare qualcosa. La sala era avvolta in una nuvola rossa, per il calore i capelli si accartocciavano in testa. Cedevano travi, l’acqua gettata dai pompieri rimbalzava addosso in schizzi bollenti mentre migliaia di scarafaggi, invecchiati in pace fra le mura del decrepito Politeama, uscivano in colonne nere e ordinate dalle fessure, finalmente annegando nelle pozzanghere. Rizzo era un diavolo: trascinava bauli gridando: «La Wanda, dov’è la Wanda?». Vianello, Bramieri e Durano si muovevano come boy-scouts: ma c’era poco da fare. Gli scenari erano un mucchio di cenere, gli abiti di tulle erano volatilizzati, quelli di pagliette e di plastica s’erano liquefatti come pezzi di burro. I due bauli ad armadio della Osiris erano ridotti a due vasche d’acqua nera in cui galleggiavano i vestiti da inverno e le favolose pellicce di Wanda, trasformate in poltiglia.

1957 10 06 L Europeo Wanda Osiris f4Napoli. Wanda Osiris attende di poter entrare nel teatro per constatare i danni. Il Roma ha aperto una sottoscrizione, e Il Mattino e il Corriere di Napoli hanno organizzato uno spettacolo a favore della compagnia.

Nel buio, i quattro si scambiavano inutilmente pedate e spintoni. Nell’ansia, scaraventavano dalle finestre i pochi oggetti rimasti intatti, come l’apparecchio radio di Giustino Durano che lo stesso Durano spaccò ignaro contro la quercia del giardino. Bramieri non rintracciò che una collana di perle false che portava per satireggiare la Maxwell. Vianello non trovò nulla ma in compenso si buscò un chiodo in testa. La brutta avventura durò quasi tre ore e finì all’alba quando fu certo che era irrimediabile. Durante quel tempo, Wanda Osiris non s’era mossa dal marciapiede dove, immobilizzata dal dolore, lasciava che la fotografassero senza rossetto. Erano tutti intorno a lei: il coreografo Paul Steffen coi suoi cagnolini Whisky and Soda, le ballerine, i boys e inutilmente cercavano di consolarla. Wanda taceva, in capace di piangere. Solo quando vide la sua scala bruciata, sopraggiunse la crisi.

Gianni Prati, «L'Europeo», anno XIII, n.40, 6 ottobre 1957


Europeo
Gianni Prati, «L'Europeo», anno XIII, n.40, 6 ottobre 1957