Titoli nobiliari «abusivi» per il principe del sorriso
Il cugino Federico de Curtis rivela l'identità dell'artista napoletano. Prossima l'apertura di un museo che riprodurrà anche la stanza della sua nascita. L'albero genealogico smentisce l'identità nobiliare di Totò, al quale presto verrà dedicato un museo, allestito con la collaborazione della figlia Liliana
Principe del sorriso sì, Altezza imperiale da oggi non più. Negli ultimi giorni le pagine dei quotidiani napoletani si sono infittite di altalenanti notizie sulla casa natale di Totò che cambiava proprietario, mettendo a repentaglio il destino di due anziani coniugi ultraottuagenari, da decenni custodi fedeli cd a richiesta dispensatori di memorie sui primi vagiti ed i primissimi anni delI'immortale attore. Si sono susseguiti innumerevoli colpi di scena, quali la scoperta anagrafica. ottenuta compulsando antichi archivi, che l'abitazione oggetto della diatriba, sita in via Santa Maria Antesaecula 109 nel popolare rione Sanità, non era forse il vero luogo di nascita del principe della risata. 3cnsì l’evento sarebbe avvenuto nel palazzo adiacente, oppure che i nuovi proprietari, dopo un sogno premonitore, erano intenzionati a farne un Vittoriale di rimembranze.
Tanto casino sui giornali ha dato come sempre l'occasione alle autorità politiche di occupare la scena, imponendo tardivi vincoli di destinazione alla povera casetta o blaterando vanamente sull'imminente apertura del museo dedicato ad Antonio De Curtis nello storico palazzo dello Spagnolo. Apertura della quale da anni si parla come prossima in comunicati stampa diramati a gara ad ogni ricorrenza dal Comune e dalla Regione, ridondanti di paroloni, ma vuoti come consuetudine di pragmatismo. A tal proposito abbiamo voluto sapere come realmente sta la situazione dalla viva voce della figlia dell'artista.
‘'E' tutta colpa di un cesso”, così ha esordito la signora Liliana in un romanesco stretto e cacofonico lontano mille miglia dalle sonorità onomatopeiche del nostro vernacolo.
Un cesso?
"Certo. Il museo si trova agli ultimi piani del palazzo ed è perciò necessario un ascensore; a tale scopo ne ho fatto approntare la tromba già da tempo, ma mentre i mesi e gli anni passano per le lungaggini burocratiche, un inquilino del palazzo ha deciso di costruirvi abusivamente all'interno un cesso. Cose che capitano solo a Napoli”.
E' fiduciosa nell'inaugurazione autunnale?
"Lo spero con i dovuti scongiuri e quando aprirà io sarò in prima fila nell'organizzazione con seminari, dibattiti ed incontri con i giovani. Sarà un museo molto vivo e Totò sarà contento".
Si riuscirà a riempire tutti i locali?
“Certamente. C’è molto materiale... Sarà anche ricostruita la stanza dove nacque mio padre”.
Da parte nostra speriamo che a ciò che menerà a disposizione la signora De Curtis, si riuscirà ad aggiungere il contenuto di quel famoso baule, oggi proprietà del figlio di un cugino dell'attore, da poco scomparso, un certo Federico Clemente. Il baule, conservato a Pollenatrocchia, è ritenuto poco meno di un reliquario, infatti la richiesta del proprietario è di 800 milioni delle vecchie lire, una cifra cospicua per la quale bisogna sperare nell'intervento delle istituzioni. Quando tutto sarà pronto il museo costituirà un'attrazione molto forte per i napoletani e per i forestieri, per cui si tratterà pur sempre di un buon investimento.
Questi episodi di attualità invitano a parlare di nuovo di Totò, una figura ormai entrata di diritto nella leggenda, ma dopo i fiumi d’inchiostro versati sull'argomento in decine di libri che hanno saturato da tempo le scansie delle librerie degli appassionali, non è lecito scriverne ancora se non si è in grado di aggiungere qualche novità. Ed è quello che ci proponiamo di fare grazie all'amicizia che nutriamo da anni con un cugino dell'indimenticabile attore: il maestro Federico De Curtis. Egli con squisita gentilezza ha fornito una serie di notizie che, integrate da alcune ricerche genealogiche, ci permette oggi di escludere categoricamente la nobiltà tanto agognata da Totò. Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Commneno Porlirogcnito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, Altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e d'Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte e duca di Drivasio e di Durazzo, così amava definirsi il grande Totò, il quale, pur di fregiarsi di questi altisonanti titoli nobiliari, spese una fortuna, ma senza rimpianti. Questa sfilza di titoli, a cui tanto teneva il principe del sorriso non furono altro che il frutto di un raggiro ad opera di un tal Pellicani (1), esperto di araldica oggi ottantenne ma ancora attivo con studio a Roma e a Milano.
Il primo a sentire puzza di bruciato e odore di truffa fu Indro Montanelli e lo esplicitò in un suo articolo, ma all’epoca non vi erano le prove inoppugnabili dello scartiloffio. Oggi viceversa sono disponibili due ben distinti alberi genealogici, uno di Totò e della sua famiglia e l'altro di un tal Camillo de Curtis, un gentiluomo di settantanove anni, da anni residente a Caracas, legittimo erede dei pomposi titoli nobiliari, assunti in epoca remota da un suo avo tale Gaspare de Curtis.
Il Pellicani (1), che tra l’altro, come ci ha assicurato il colonnello Bellat, è stato per un periodo ospite dello Stato... creò, secondo quanto riferitoci dal tenore De Curtis, che da decenni s’interessa alla vicenda, documenti dubbi, quali una sentenza del Tribunale di Avezzano (2) emessa nel 1914, pochi mesi prima che un cataclisma devastasse la città, distruggendo la cittadella giudiziaria ed altre due sentenze, l'una del 1945, l’altra del 1946, del Tribunale di Napoli, oggi conservate all'Archivio di Stato, completamente diverse nella grafia da tutte le altre carte contenute nel faldone ed inoltre pare combinò artatamente le due discendenze carpendo l'ingenuità del grande artista che, una volta riconosciuta la sua preclara discendenza, fino alla morte amò distinguere la maschera, irriverente scoppiettante e canzonatoria, dal Nobile, gentile, educato e distaccato dagli eventi e dalle passioni. Pubblichiamo per la prima volta questi due alberi genealogici, uno dei quali indagato fino al 1750 e dal loro esame è incontrovertibile che il marchese Camillo de Curtis appartiene ad una diversa schiatta.
Ciò che abbiamo riferito sulla base delle confidenze del maestro Federico, non sposta naturalmente una virgola nella straripante venerazione con cui legioni di estimatori ricordano il grande, inimitabile, immortale artista e tra questi ai primi posti, teniamo a precisare a scanso di equivoci, sia il sottoscritto, il quale ha rivisto ogni film di Totò non meno di quaranta-cinquanta volte ed è in grado di ripeterne a memoria qualsiasi battuta, tutte le poesie e tutte le canzoni.
Ma a proposito di canzoni, trovandoci, vogliamo rendere pubbliche altre confidenze forniteci gentilmente dal parente dell’attore, cugino di secondo grado, il quale, a riguardo dell'indimenticabile canzone “Malafemmina" tiene a precisare che la stessa fu dedicata alla moglie Diana, ancora oggi vivente e non a Silvana Pampanini, che l’idea della melodia Totò la prese da una analoga canzone dello zio, padre del maestro Federico, ed infine che a ritoccare musica e parole misero mano il maestro Bonagura e Giacomo Rondinella. E per terminare anche la famosa “Livella” si mormora fosse stata corretta da Mario Stefanile. Concludiamo un articolo, apparentemente denigratorio, ma rispettoso della verità storica con un inno all'arte di Totò, sublime nel senso più puro, come inteso da Nietzsche, infatti il grande pensatore tedesco riteneva che il sublime si raggiungesse soltanto quando la comicità della commedia si congiungeva al dramma della tragedia.
E siamo inoltre certi che Totò dalla tomba se leggesse ciò che abbiamo scritto saprebbe commentare le nostre parole se non con un pernacchia almeno con un perentorio: "Ma ci facciano il piacere!"
Achille Della Ragione, «Il Mattino», 29 luglio 2002
NOTE
(1) Erroneamente citato Luciano Pelliccioni di Poli, consulente araldico ed amico personale di Antonio de Curtis.
(2) Totò nasce come Antonio Vincenzo Stefano da Anna Clemente di cui prese il cognome. Fu adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas; il padre naturale, il marchese Giuseppe de Curtis, lo riconobbe legalmente soltanto nel 1937. Nel 1945 il Tribunale di Napoli gli permise di aggiungere vari cognomi e predicati nobiliari, riconoscendogli «il diritto di potersi attribuire il nome della casata ed i titoli». Antonio de Curtis, per ottenere il riconoscimento dei titoli nobiliari che gli spettavano, fu costretto a sparare raffiche interminabili di carta bollata e vinse molte cause civili in vari tribunali d’Italia contro millantatori e individui invidiosi di quelle onorificenze. La sentenza che qui viene esibita è un clamoroso falso! Si tratta di uno stratagemma, architettato con mezzi truffaldini e seguendo un disegno criminoso, da un tale Amoroso nativo di Avezzano. Infatti, sarebbe la conclusione di un procedimento penale contro Giuseppe de Curtis, padre di Totò, accusato di usurpazione di titolo nobiliare con altri due imputati. La sentenza assolve con formula piena i tre imputati. Ma dov’è l’inghippo, allora? La verità è che presso il tribunale di Avezzano non si celebrò mai alcun processo e non vi furono imputati e non vi fu mai sentenza. Già, ma non si poteva effettuare alcun controllo perché il Tribunale di Avezzano era completamente crollato per il terremoto del 13 dicembre 1915, la sentenza era del 3 dicembre 1914, la stampa del 1916 quindi… Leggendola bene si nota che, mentre assolve gli imputati, indica quel tale Amoroso come “Altezza Imperiale Principe bizantino” ma in realtà costui era solo il figlio di un ex usciere del Tribunale di Avezzano! In effetti l’Amoroso aveva tentato, con la complicità del terremoto, di costruirsi una prova documentale della propria nobiltà: da usciere a Principe bizantino...
Achille Della Ragione, «Il Mattino», 29 luglio 2002 |