Come Totò divenne il principe de Curtis
Abbiamo parlato nel numero del 27 TV Radiocorriere di un segreto che aveva segnato la vita del grande Totò e che probabilmente aveva contribuito a imprimergli quel velo di malinconia che si indovinava sotto la straordinaria maschera del comico: la tragedia di Liliana Castagnola, la soubrette che si era suicidata per lui. Ma la vita di Antonio de Curtis nasconde un altro segreto, un altro mistero: era nato senza padre ed era diventato principe, addirittura pretendente al trono di Bisanzio.
Totò, o meglio Antonio Clemente, era nato a Napoli il 15 febbraio 1898. Sull’atto di nascita, depositato presso il Comune di Napoli, c'è scritto: Clemente Antonio, figlio di Clemente Anna, nubile.
Quel «nubile», quella innocua parolina che Antonio comprenderà subito nel suo significato reale di «non sposata», peserà molto nei suoi primi anni di vita, e non soltanto in quelli. Della nascita di Totò si conosce una versione ufficiale, chiaramente fatta circolare da lui stesso, che tutti i parenti e i biografi ripeteranno negli anni successivi come si ripete una favola, un aneddoto di famiglia.
Ascoltiamola subito questa versione, che compare per la prima volta ufficialmente nel libro Siamo uomini o caporali? che Passarelli e Ferraù scrissero praticamente sotto dettatura dello stesso Totò. La versione ricompare diversi anni dopo nel racconto di Franca Faldini e io l'ho ritrovata quasi identica, con qualche contraddizione forse dovuta agli scherzi della memoria, nei racconti di Diana Rogliani, la moglie di Totò, e della figlia Liliana.
Anna Clemente, figlia di una famiglia povera (quale fosse in realtà l’origine sociale non è mai detto: sembra anzi che Totò voglia nasconderla), si innamora del marchesino Giuseppe de Curtis, spiantatissimo rampollo di un’antica casata decaduta. Dopo qualche amoreggiamento di nascosto, tra i due avviene «’o fatto»: Anna rimane incinta. Il marchesino, terrorizzato dalla proibizione del genitore che, pur essendo decaduto è molto attaccato alle nobili tradizioni della famiglia e non permetterebbe mai a suo figlio di imparentarsi con una donna di infimo rango, si tira indietro e non si fa più vedere per parecchio tempo. Anna, aiutata dalla mamma (se avesse ancora il padre non si sa) e dai fratelli, si assume totalmente l’onere della maternità. Tira su il piccolo Antonio come può, facendo di tutto per farlo studiare e sognando persino per lui un avvenire con la divisa di ufficiale di marina. Come le due donne facessero a tirare avanti non è mai detto. Facevano le sarte, le lavandaie, le donne di servizio, le stiratrici? Ricevevano assegni dal marchesino che nel frattempo si era messo a lavorare dedicandosi all’attività teatrale, allora fiorente a Napoli e in tutta Italia, come piccolo impresario e agente? Anche questo è improbabile, se non altro perché il padre risulta assente nei racconti di Totò riferiti ai primi anni di vita e di carriera.
Un giorno il marchese de Curtis padre muore e il marchesino, che non aveva mai dimenticalo la bella Anna e il figlio nato dal loro amore, si riavvicina alla famiglia Clemente. Perde ancora alcuni anni in meditazione finché, finalmente, si decide a riparare: sposa Anna Clemente e toglie quel brutto «nn» dal certificato di nascita di Antonio, il quale in un colpo solo acquista un padre, un nome e per di più diventa marchese.
Quando questo matrimonio sia avvenuto con precisione non è detto ma, sempre stando ai racconti di Totò, dovrebbe essere avvenuto intorno al 1922, quando la nuova famiglia de Curtis decide di trasferirsi a Roma al seguito del padre che aveva spostato da tempo la sua attività IL L’evento eccezionale si verifica quindi quando Totò ha compiuto i ventiquattro anni e quando i due sposi presumibilmente vanno verso la cinquantina.
Il racconto delle sue origini, tramandatoci da Totò, non è facilmente verificabile, anche perché in Via Santa Maria Antesaecula, nel rione Sanità, di Totò rimane soltanto una lapide, posta qualche anno fa sulla facciata della casa in cui nacque. E vi rimane tanta mitologia. Dei Clemente e dei de Curtis non ricorda niente nessuno. Fino a qualche anno fa, se eri fortunato, potevi incontrare una vecchia, completamente svanita, che veniva presentata come «il primo amore di Totò».
Rimane quindi soltanto la memoria dei famigliari e degli amici. Ma i primi fanno quadrato sulla versione ufficiale, mentre i secondi dicono e non dicono. «Parlo soltanto se prima parlano gli altri», mi disse una volta Nino Taranto.
Certamente la versione ufficiale presenta molte lacune e molte contraddizioni La più grossa: perché il marchesino de Curtis, che pure non aveva ereditato nulla dal genitore, che si diceva fosse praticamente ridotto in miseria, ha obbedito al divieto di sposare Anna Clemente fino a diversi anni dopo la morte del padre, anche quando aveva acquistato una sua completa indipendenza economica? Da che cosa è stato determinato il suo tardivo ripensamento, avvenuto sulla soglia della cinquantina, dopo essere stato praticamente assente per più di venti anni dalla vita del figlio?
I dubbi aprono la strada ad un’altra versione, quella che vorrebbe Totò alla disperata ricerca di un padre e, per di più, di un padre nobile. Lui che per tanti anni non aveva avuto un nome, finalmente avrebbe potuto dimostrare a tutti che il suo nome era grande, il più grande di tutti È probabile anche che Anna e Giuseppe si siano incontrati successivamente, lei ragazza madre e lui celibe e, incoraggiati da Antonio, abbiano deciso di sposarsi
La moglie di Totò, Diana Rogliani, fornisce una versione completamente diversa da quella di Totò, ripetuta da tutti gli altri. «Un giorno Totò», racconta Diana, «divenuto ormai un personaggio del teatro con lavoro stabile e redditizio, andò a trovare il padre, Giuseppe de Curtis, e gli chiese: "Voi sapete chi sono io?". "Lo so si", rispose il marchese. "Ma io sono povero e non posso darti niente". "Ma io niente voglio", replicò Totò, “voi sposate mia madre, mi date il nome che mi spetta e io vi mantengo per tutta la vita! Il marchese accettò e cosi Totò finalmente cessò di essere un trovatello».
Fosse o non fosse il marchese de Curtis il vero padre di Totò, il discorso deve essersi svolto certamente in questi termini, anche perché la signora Diana deve averne raccolto la testimonianza prima di tutti gli altri, quando ancora Totò non aveva dettato la sua versione ufficiale.
Comunque, in questo guazzabuglio, un dato è certo: Totò il padre se lo è cercato con forza e lo ha fortemente voluto proprio per darsi quel nome che gli era venuto a mancare da ragazzo. Negli anni successivi questo nome cercherà di rafforzarlo ancora di più, mettendosi alla caccia di anziani nobili, senza prole, da cui farsi adottare. Ci riuscirà con il prìncipe Gagliardi in cambio di un vitalizio, si dice, di quattrocento lire mensili. Questa adozione, anche se gli farà aggiungere altri nomi a quello datogli dal marchese de Curtis, gli creerà non pochi problemi di cui troviamo traccia nelle lettere del cugino Gaspare de Curtis che per alcuni anni ha curato gli interessi di Totò sempre in viaggio per l'Italia con la sua Compagnia.
In una lettera datata «Roma, 2 agosto 1937», cosi Gaspare de Curtis scriveva al cugino Antonio:
Carissimo Totò,
Non dimenticare di quelle 300 lire da pagare su piazza il 5 corr. come non dimenticare Gagliardi per il 4 altrimenti cominciano i telegrammi e le visite eventuali. Salvo che tu non voglia ritardare tale pagamento e allora occorre avvisarlo in tempo.
Il giorno dopo cosi scriveva ancora:
Carissimo Totò,
è giunta ora una lettera a te diretta col timbro «Tribunale di Napoli» e che lo ho aperta Si tratta in poche parole di un ricatto che Gagliardi o chi per esso tenta contro di te servendosi di un cancelliere del suddetto Tribunale. Pretenderebbero che tu pagassi subito lire 500 a un sedicente dottore che avrebbe curato Gagliardi.
La cosa può anche essere, ma dato il tenore della lettera, la carta Intestata artatamente per impaurire e il fatto che un cancelliere si occupi della cosa senza far nomi mi dà tutta la sensazione che è «una trappola».
Ti chiedo l'autorizzazione di indagare sul fatto andando a Napoli e. se le cose risultassero vere, prendere gli accordi opportuni per «provvederci» con comodo.
[...]
A Napoli guarderò anche per la tua pratica nobiliare.
Con affetto.
Gaspare de Curtis
Fra una scadenza e l'altra da onorare, fra una «pratica nobiliare» e l’altra, alla fine Totò si ritrovò con una sfilza di nomi da far paura, altro che il misero e plebeo Clemente ricevuto dalla mamma!
Nell'elenco della nobiltà italiana, pubblicato dal Sovrano Militare Ordine di Malta, a pagina 204 troviamo: Focas Flavio Angelo, Ducas Comneno de Curtis di Bisanzio Gagliardi Antonio Giuseppe di Luigi Napoli, Principe Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero. Nobile Altezza Imperiale. E Totò!
E questo nome, anzi, questi nomi, Totò in seguito difenderà con accanimento dedicandosi alle ricerche araldiche e sobbarcandosi cause lunghe e costosissime contro pittoreschi usurpatori Tutte, per la verità, vinte.
Giancarlo Governi, «Radiocorriere TV», anno LXVII, n.30, 29 luglio-4 agosto 1990
Giancarlo Governi, «Radiocorriere TV», anno LXVII, n.30, 29 luglio-4 agosto 1990 |