Mio padre Totò: ecco chi era veramente il principe attore
Liliana de Curtis, l’erede dell’indimenticabile comico napoletano. Rivela in un libro-verità gli aspetti più bizzarri e sorprendenti della personalità paterna.
Roma, agosto
Totò attore, artista di teatro e cinema, ma soprattutto Totò uomo: marito, amante e padre. Dall’infanzia povera e difficile trascorsa per le strade di Napoli, all’incontro con il teatro e poi con Diana Rogliani, la giovane donna che diventò sua moglie. E ancora il successo, il cinema, le innumerevoli scappatelle, l’immensa generosità con i meno fortunati, l’eterna contraddizione tra il carattere schivo e riservato e le improvvise quanto sorprendenti impennate trasgressive. Tutto questo è stato raccolto in una sorta di biografia ”a frammenti” dalla figlia Liliana, che uscirà in libreria alla fine di ottobre.
«Sentivo un grande debito con mio padre», racconta Liliana De Curtis, unica erede di Totò, nata dall’unione tra il grande attore e Diana Rogliani. «E soprattutto un grande rimorso. Non a caso considero il rapporto con me il suo più grande insuccesso. L ho deluso, provocandogli un grande dolore, facendo tutto il contrario di quello che lui avrebbe desiderato per me. A cominciare dal mio matrimonio. Mi sono sposata giovanissima, a 18 anni, con un uomo che lui non apprezzava completamente. Aveva cercato in tutti i modi di dissuadermi, prevedendo esattamente il futuro.
«Ma io», continua Liliana De Curtis «non volli ascoltare i suoi consigli. Mi irrigidii nel mio capriccio, scegliendo, per giunta, una chiesetta ad Assisi invece che a Roma. Non venne al mio matrimonio ”per protesta”. Non approvava, malgrado mi volesse comunque un gran bene. Soltanto più tardi capii che aveva ragione: aveva previsto il fallimento delle mie nozze dal primo momento in cui ne avevo parlato. Senza sbagliare di una virgola. Poi, mi separai, provocandogli un nuovo dolore. ”La famiglia non si distrugge”, mi diceva.
«Anche se capiva che non potevo più restare accanto a mio marito», racconta Liliana De Curtis «non concepiva l’idea che mi separassi, soprattutto perchè nel frattempo erano nati due figli. Non ho mai seguito i suoi consigli, e ho sempre sbagliato. Soltanto dopo la sua morte mi sono per così dire ripresa. Ho cominciato cioè a prendere decisioni in sintonia con il suo modo di vedere le cose, con l’educazione che mi aveva impartito fin da piccolina. Dopo qualche anno, per esempio, mi trasferii in Sud Africa con il mio attuale marito, una persona che mio padre avrebbe certamente apprezzato.
«Lì, in un Paese completamente distante per lingua e cultura dal nostro», confida ancora Liliana De Curtis «ho iniziato per la prima volta nella mia vita a lavorare. Sì, ho cominciato ad avere mie responsabilità, proprio come avrebbe desiderato mio padre. Insieme con mio marito ho gestito due ristoranti: un’impresa assolutamente non facile. Mi sono dedicata anima e corpo al lavoro. Con serietà, puntualità, come mio padre aveva sempre fatto. Insomma, sono sicura che nella seconda parte della mia vita gli avrei dato più gioie, ma lui non c’era più, purtroppo.
«Per questo», spiega Liliana De Curtis «ho deciso di scrivere un libro sulla sua vita. E’ un atto d’amore, una sorta di richiesta di perdono. L’ho scritto a quattro mani con una giornalista romana mia grande amica, che ha capito perfettamente il significato del mio gesto. Ma il mio obiettivo era anche quello di spiegare come era in realtà Totò. Sulla sua arte sono già stati scritti decine di libri. Interessantissimi, dotti, completi.
Io volevo ristabilire la verità sul suo carattere. Lo hanno considerato un misantropo, un uomo che fuggiva i suoi simili.
«In realtà», confida Liliana De Curtis «mio padre adorava la gente, pur essendo molto riservato per carattere. Spesso si chiudeva in se stesso, ma sapeva essere allegro e spensierato. D’altra parte, quasi tutte le sue interpretazioni sono prese direttamente dai personaggi della strada, che lui osservava con estrema attenzione. In questo senso sono molto soddisfatta dei risultati del mio lavoro. E’ stata un’impresa magica, che in qualche modo è stata guidata da lui. Ho ricostruito la sua vita mettendo insieme i miei ricordi e quelli di mia madre, che ha vissuto al suo fianco per vent’anni e ha avuto modo di ascoltare parecchi aneddoti sulla sua infanzia. «Il libro», spiega Liliana De Curtis «è stato scritto come una sceneggiatura. Sono convinta, infatti, che la vita di Totò potrebbe dar vita a un bellissimo film. Magari uno sceneggiato per la Tv in più puntate, non so. E’ un’idea che coltivo da tanti anni, ma finora non ne ho mai parlato sul serio con gli addetti ai lavori. Ho già in mente quale attore italiano potrebbe interpretare il ruolo di mio padre. E’ Giancarlo Giannini, senza ombra di dubbio. Lui o nessun altro. Ne sono convinta da quando l’ho visto in "Pasqualino Settebellezze”: ero ancora in Africa.
«I suoi occhi sono chiari, al contrario di quelli di mio padre» spiega Liliana De Curtis «ma mobilissimi e capaci di passare dal grottesco alla tragedia, proprio come quelli di Totò. Insomma, sarebbe perfetto nel ruolo, ne sono convinta. Per il ruolo di mia madre, invece, ho molti dubbi. Potrebbe essere adatta Ornella Muti, per la sua bocca, anche se ha gli occhi azzurri. Comunque, per il momento si tratta soltanto di una mia idea, un desiderio. Dopo l’uscita del libro, cercherò di parlarne seriamente con qualcuno che possa concretizzare il mio progetto.
«Anche questo», prosegue Liliana De Curtis «potrebbe essere un nuovo atto d’amore nei confronti dell’uomo più importante della mia vita. Forse, in alcuni lati del carattere gli somiglio. Sono caparbia e determinata come lui. Sentimentale e gelosa. Mio padre era un uomo molto particolare. Serio, tutto d’un pezzo, rigoroso e quasi all antica con me, ma capace di follie e stravaganze improvvise. Non ho avuto un rapporto facile con lui. Anche se fino ai dodici, tredici anni ho completamente accettato i suoi prìncipi.
«Era estremamente apprensivo con me», ricorda Liliana De Curtis «tanto da non mandarmi a scuola per il terrore che qualcuno potesse distrarmi dallo studio o addirittura farmi del male. Ho studiato a casa, con un professore, preparando gii esami come privatista. Non avevo amici come tutti gli altri ragazzini della mia età. Giocavo soltanto con la figlia della portiera, ma dalla finestra, però... Vivevo in casa, anche se tra mille attenzioni. Ero circondata, forse, da troppe cose, avevo tutto quello che volevo. La sua generosità, d’altra parte, è diventata proverbiale.
«Quando ero più grandicella», racconta Liliana De Curtis «mi muovevo da casa soltanto con la mia governante al seguito. Ma lei, piano piano, diventò mia complice: fu cosi che una sera, affacciato alla finestra, mio padre scoprì che stavo baciando un ragazzo, lo stesso che sarebbe diventato poi mio marito. Accadde il finimondo, mi diede persino uno schiaffo. L’unico in tanti anni. Mio padre non era affatto severo, non mi costringeva a punizioni. Era soltanto estremamente protettivo. E mia madre, naturalmente, poteva intervenire soltanto di rado.
«Anche con lei aveva un rapporto tutto particolare», racconta Liliana De Curtis. «La conobbe quando aveva appena sedici anni e viveva in collegio. Se ne innamorò subito, e anche lei restò affascinata dalla sua corte. Dopo qualche tempo, mia madre fuggì da Firenze per raggiungerlo a Roma, tra sgomento e proteste della famiglia, e si unì a lui. Si sposarono dopo la mia nascita e, fatto strano per l’epoca, mia madre salì all’altare con me in braccio. Ma dopo qualche anno mio padre fece annullare il matrimonio. Non sopportava l’idea che mia madre si sentisse legata a lui dal vincolo religioso.
«Ecco, era un uomo strano, bizzarro, a suo modo trasgressivo e anticipatore», spiega Liliana De Curtis. «Aveva molto successo con le donne, per esempio, e di tanto in tanto tornava a casa presentando a mia madre la sua nuova fidanzata. Lei lo accettava così com’era, ma a un certo punto decise di andarsene per conto suo. Per mio padre fu un colpo durissimo. Restò completamente solo, perchè di li a poco me ne andai anch'io per sposarmi. In quel periodo si tuffò a capofitto nelle sue avventure: io e mia madre contammo 47 donne. Poi, quando incontrò Franca Faldini si calmò.
«Ma della sua Diana, per esempio, era gelosissimo. Le faceva scenate tremende soltanto se qualcuno la guardava. Una volta le calò sul viso un cappello di paglia perchè un uomo, al ristorante, la guardava con troppa insistenza. Le regalava abiti sexy e pellicce, ma voleva che li indossasse soltanto per lui, altrimenti li faceva in mille pezzi. Sì, forse era la follia del genio. Ma mi manca come il primo giorno in cui mi sono svegliata e non c’era più. Mi consola soltanto il grande affetto che ancora sopravvive attorno a lui, tra grandi e piccini. Sulla sua tomba, a Napoli, spesso i bambini lasciano caramelle e gomme da masticare. Un regalo tenero, che allarga il cuore...».
Gloria De Simoni, «Stop», anno XLIV, n.2186, 18 agosto 1990
Gloria De Simoni, «Stop», anno XLIV, n.2186, 18 agosto 1990 |