Petrolini Ettore (Pasquale Antonio)

Ettore Petrolini Bio

(Roma, 12 gennaio 1884 – Roma, 29 giugno 1936) è stato un attore, drammaturgo, cantante, sceneggiatore, compositore e scrittore italiano, specializzato nel genere comico. È considerato uno dei massimi esponenti di quelle forme di spettacolo a lungo considerate teatro minore, termine con il quale si identificavano il teatro di varietà, la rivista e l'avanspettacolo.

La sua importanza nel panorama del teatro italiano è ormai pienamente riconosciuta. Riassumendo in sé l'attore e l'autore, Petrolini ha inventato un repertorio e una maniera, che hanno profondamente influenzato il teatro comico italiano del Novecento.

Biografia

Gli esordi

Ettore Petrolini, "popolano del miglior lignaggio", nacque, quarto di sei figli, al n. 6 di vico del Grancio, in una palazzina all’angolo con via Giulia (Rione Regola, un quartiere del centro di Roma al tempo molto popolare), da Anna Maria Antonelli e Luigi, un fabbro ferraio di Ronciglione, padre di eccessiva severità, con cui Ettore ebbe sempre rapporti difficili compensati dalle cure amorose della madre [1]. Frequentò fin da ragazzo i teatrini romani, improvvisandosi attore per divertimento. L'ambiente dei baracconi di Piazza Pepe, dove Petrolini fece le sue prime esperienze artistiche, è quello descritto più tardi nella sua commedia Il padiglione delle meraviglie (1924): personaggi curiosi e pittoreschi, imbonitori, finti selvaggi e fenomeni di ogni genere.

Conosciuto come "er roscietto de li Monti", quartiere dove si era nel frattempo trasferita la famiglia, non volle frequentare la scuola né imparare un mestiere sebbene il padre fosse fabbro e il nonno materno falegname. Forse casualmente ferì a 13 anni un suo compagno e il padre per raddrizzarlo lo fece rinchiudere nel riformatorio di Bosco Marengo nei pressi di Alessandria dove per domarlo lo costrinsero nella camicia di forza e in una cella di rigore a pane e acqua.[2]. Una dura esperienza che Petrolini ricordò con toni accorati nelle sue memorie.

A quindici anni decise di lasciare la casa paterna per dedicarsi alla carriera teatrale. Il più antico riscontro documentario, a tutt'oggi verificabile, che attesti il momento dell'esordio artistico di Petrolini risale all'anno 1900 e conduce nel rione di Trastevere, nel teatro Pietro Cossa [3]. In seguito, si esibì in un teatrino di provincia, a Campagnano, nell'ambito della compagnia dell'impresario Angelo Tabanelli, come l'attore racconta in Modestia a parte:


Il teatro di Campagnano era un vecchio granaio municipale ove, la sera stessa dell'arrivo, debuttai con la macchietta: Il bell'Arturo. Al refrain, misi un piede sull'estremità di una tavola dell'improvvisato palcoscenico, fatto di tavolacce male inchiodate e che posavano su due cavalletti. Il mio peso fece sollevare una tavola e andai a finire di sotto con una elegantissima lussazione a un piede. Il pubblico, regolarmente, si divertì un mondo e chiese il bis, mentre io piangevo dal dolore e dalla rabbia. Fu l'inizio del mio destino. Mi accorsi che ero veramente votato all'arte comica.


Dopo quest'esibizione non proprio trionfale, il giovane Ettore continuò la sua gavetta nei teatri popolari, ma anche in alcuni caffè-concerto di buon livello, come il Gambrinus e il Morteo di Roma. Petrolini stesso, molti anni dopo, descrisse l'ambiente in cui aveva mosso i primi passi:


Io provengo, e lo dico con orgoglio, da una piazza di pubblici spettacoli: Piazza Guglielmo Pepe, e da lì nei piccoli caffè-concerto, dove in fondo a quei bottegoni c'era sempre un palcoscenico arrangiato alla meglio: poche tavole, molti chiodi, e quattro quinte, fondale di carta, con quasi sempre dipinto il Vesuvio (in eruzione, naturalmente), ed ecco l'elenco artistico: prima esce lei, poi esce lui, poi escono tutti e due insieme, ricomincia lei... e così via di seguito fino a mezzanotte: il tutto intercalato da uno sminfarolo al pianoforte.

(Un po' per celia, un po' per non morire..., 1936)


Anche nel libro Bravo!Grazie!! Petrolini si soffermò sugli anni della gavetta artistica:


Fu una vita selvaggia, allegra e guitta, e un'educazione a tutti i trucchi e tutti i funambolismi davanti al pubblico, che magnava le fusaje (i lupini) e poi tirava le cocce (le bucce) sur parcoscenico al lume de certe lampene (lampade) ch' er fumo spargeva dappertutto un odore da bottega de friggitore.


Nell'introduzione allo stesso libro Bravo!Grazie!!, descrisse le difficoltà che riscontrò nel rapporto con il pubblico a causa anche di una congiuntura storico-politico-culturale particolare:


Nel periodo della musoneria italiana in cui un buon attore non era considerato tale se non si prestava alle parti lacrimose, io passai come un buffone distinto. Mi venivano a sentire per esclamare Quant'è scemo!


Nel 1903, appena diciannovenne, Petrolini incontrò Ines Colapietro, che sarà per molti anni sua compagna di lavoro e di vita, nonché madre dei suoi figli. Ines, che aveva allora solo quindici anni, era stata ingaggiata come cantante dal Gambrinus di Roma, insieme alla sorella Tina. Ettore ed Ines formarono la coppia comica Loris-Petrolini, che si scioglierà, in modo piuttosto traumatico, alla fine dell'estate del 1911[4].

Le prime tournée

Nel maggio 1907, a Genova, Ettore Petrolini e Ines Colapietro ottennero una scrittura dall'impresario Charles Séguin per una tournée in Sudamerica. La coppia si esibì in teatri e caffè-concerto in Argentina, Uruguay e Brasile, riscuotendo ovunque grande successo. Mentre Petrolini si trovava a Rio de Janeiro un attacco di appendicite lo costrinse a restare lontano dalle scene per un mese. Dopo un'operazione d'urgenza e il periodo di convalescenza, la sua rentrée fu trionfale: tutti gli artisti del teatro rinunciarono alla paga in suo favore e in una sola serata Petrolini incassò quattromila lire[5]. Dopo Rio, Petrolini rimase ancora qualche mese in Sud America. Sarebbe ritornato per altre tournée nel 1909 e nel 1911-1912, esibendosi anche in Messico e a Cuba.

Le macchiette

In quegli anni Ettore Petrolini aveva già messo a punto un repertorio di macchiette di provato successo. La creazione della sua parodia di Faust, Oh Margherita!, per esempio, risale alla tournée del 1907, come Petrolini stesso racconta in Modestia a parte. Ma le macchiette di Petrolini trascendevano il genere macchiettistico e l'artista era consapevole dell'originalità del suo repertorio. In Petrolineide, ne Il café chantant del 20 luglio 1914, scriveva:

«Ho importato la parodia. Ho abolito le definizioni di "comico nel suo repertorio"; oppure "comico macchiettista", eccetera e comparvero - per me - i primi aggettivi di "parodista" o di "comico grottesco" e di "originale", "fantastico", "bizzarro" e via di seguito!»

Molti fra i suoi personaggi Giggi er bullo (parodia di un dramma di Gastone Monaldi), il Sor Capanna (del quale riprese alcune strofe e che chiamava "il mio maestro"[6]), i Salamini, Fortunello sono diventati punti di riferimento per un'idea di comicità, che Petrolini riassumeva così:


Imitare non è arte perché se così fosse ci sarebbe arte anche nella scimmia e nel pappagallo. L'arte sta nel deformare.

(Al mio pubblico, scritti postumi, 1937)


Alcuni caratteristici numeri comici, nati come semplici macchiette, furono rielaborati da Petrolini, che diede loro spessore e consistenza di veri personaggi di commedia. È il caso di Gastone, nato da una macchietta, Il bell'Arturo, inserita nella rivista Venite a sentire del 1915 (scritta da Petrolini in collaborazione con G. Carini), che irrideva sia le star del declinante cinema muto sia i cantanti dell'epoca di Gino Franzi,[7] e che fu ripreso più volte fino a diventare il tragicomico protagonista della commedia Gastone del 1924.

Un altro personaggio nato come macchietta, l'Antico romano, e sviluppato successivamente da Petrolini fu Nerone, che in genere è considerato una satira della retorica del regime fascista. In realtà Petrolini vi lavorò fin dal 1917, ben prima dell'ascesa di Mussolini, e probabilmente aveva preso spunto, parodiandole, dalle pompose e artificiose pellicole cinematografiche, che portavano in scena l'antica Roma, molto diffuse a quei tempi [8][9].

I primi successi

Tornato dalla fortunata tournée in Sudamerica, Petrolini fu scritturato nel 1910 da Giuseppe Jovinelli per il suo nuovo, elegante teatro di Piazza Guglielmo Pepe, inaugurato nel 1909 con uno spettacolo di Raffaele Viviani. Ottenne un tale successo che, dopo due stagioni al Teatro Jovinelli, l'impresa della Sala Umberto firmò con l'attore un contratto esclusivo di tre anni, pagando a Giuseppe Jovinelli una penale di 8.000 lire. Nel 1915 si costituì la Compagnia dei grandi spettacoli di varietà Petrolini, che mise in scena le prime riviste petroliniane, Venite a sentire e Zero meno zero. Quest'ultima era stata confezionata da Luciano Folgore, sotto lo pseudonimo di Esopino, attorno a un nucleo di personaggi tipici del repertorio petroliniano, fra i quali il celebre Fortunello, che suscitò l'entusiasmo dei futuristi, in particolare di Filippo Tommaso Marinetti, che a proposito di Fortunello scrisse come fosse «il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani», che «col suo ritmo meccanico e motoristico, col suo teuf-teuf martellante all’infinito, assurdità e rime grottesche, scava dentro il pubblico tunnels spiralici di stupore e di allegria illogica e inesplicabile» [10] Petrolini, che pure si era burlato di Marinetti negli Stornelli maltusiani, si lasciò lusingare dall'ammirazione dei futuristi, partecipò ad alcune delle loro "serate" e interpretò le sintesi di Marinetti, Corra e Settimelli. La collaborazione fra Petrolini e i futuristi culminò in Radioscopia di un duetto, atto unico definito "simultaneità del teatro di varietà", scritto a quattro mani con Francesco Cangiullo nel 1918. L'anno seguente Mario Bonnard ne trasse un film dal titolo Mentre il pubblico ride, interpretato da Petrolini e Niny Dinelli.

Il repertorio di Petrolini si arricchì, a partire dagli anni venti, con una serie di commedie di autori italiani, scritte appositamente per lui o adattate alla sua comicità. Petrolini adattò a sé commedie di autori come Alfredo Testoni, Renato Simoni, Roberto Bracco, Luigi Antonelli, Ugo Ojetti, Salvator Gotta, Fausto Maria Martini. Nel 1925 portò in scena un suo adattamento da Lumie di Sicilia di Luigi Pirandello, intitolato Agro de limone. Agli anni Venti risale anche l'incontro di Petrolini con Elma Krimer, che divenne la sua compagna e più tardi sua moglie.

Il cinema

L'avventura cinematografica di Petrolini era iniziata nel 1919 con la trasposizione cinematografica dell'atto unico Radioscopia di un duetto (di Petrolini e Cangiullo), portata sullo schermo da Mario Bonnard col film Mentre il pubblico ride.

Negli anni trenta, con l'avvento del sonoro, Petrolini tornò al cinema. Nel 1930 fu il protagonista di Nerone di Alessandro Blasetti, un lungometraggio che, oltre a presentare alcune delle sue interpretazioni più note - Gastone, Nerone, Pulcinella - mostrava l'attore nel suo camerino. Nello stesso anno interpretò Cortile di Carlo Campogalliani, tratto dalla commedia di Fausto Maria Martini, con Dria Paola protagonista femminile.

L'anno seguente fu la volta di Medico per forza, sempre per la regia di Campogalliani, con Tilde Mercandalli e Letizia Quaranta.

Gli anni trenta

Interprete delle commedie di molti autori italiani, Petrolini firmò molte riduzioni di opere teatrali, da lui portate a nuova vita sulle scene italiane degli anni venti e trenta. La produzione del Petrolini commediografo si fece negli anni più ricca e complessa: dalle macchiette alle prime riviste, ai fortunati atti unici come Amori de notte e Romani de Roma, alle commedie degli ultimi anni come Gastone, Il padiglione delle meraviglie, Benedetto fra le donne, Chicchignola. Proprio in questi ultimi due testi la drammaturgia petroliniana completa la sua evoluzione e la comicità irriverente lascia il passo a una riflessione più matura, allo stesso tempo amara e compassionevole, sulle debolezze umane.

Ormai affermato, Petrolini partì per una serie di tournée all'estero, in Egitto e nelle colonie italiane della Cirenaica e della Tripolitania. Con la sua compagnia girò poi le principali città europee. A Parigi, ottenne quello che considerò il più alto riconoscimento: venne invitato a recitare Medico per forza alla Comédie Française, tempio di Molière. Si esibì anche a Londra, al Little Theatre; a Berlino, al Kurfüstendamm Theater; a Vienna, al Komödie Theater.

La morte prematura

Costretto ad abbandonare definitivamente le scene nel 1935, perché sofferente di una grave forma di angina pectoris, Ettore Petrolini morì all'età di 52 anni il 29 giugno 1936. Si racconta che, ormai in punto di morte, alle parole incoraggianti del medico, che lo visitava e sosteneva di trovarlo ristabilito, Petrolini rispondesse: «Meno male, così moro guarito».[11]

La salma, vestita con il frac del suo notissimo Gastone, fu tumulata nel Cimitero del Verano a Roma. Il 19 luglio 1943, nel corso del primo bombardamento di Roma, un ordigno colpì la sua tomba, una cappella rettangolare, spezzando il busto di marmo e danneggiando gravemente la sua bara.[12]

Le canzoni

Per completare il ritratto dell'artista Petrolini, non si può tralasciare la musica, che è parte integrante del suo teatro. Molti fra i suoi personaggi cantano canzoni e filastrocche, o recitano su un sottofondo musicale. La musica è presente in molte sue commedie e riviste. Petrolini fu spesso interprete, e a volte anche autore, di canzoni di successo, molte delle quali furono incise su disco.

Un grande successo musicale del 1926, in Italia, fu Una gita a li castelli (nota anche con il titolo Nannì), scritta da Franco Silvestri, ma incisa da Petrolini. La sua canzone più nota è senza dubbio Tanto pe' cantà, il cui testo è stato scritto da Alberto Simeoni, che Petrolini incise nel 1932 e che subito divenne il simbolo di un certo modo di essere romano, al punto che fu ripresa negli anni successivi da quasi tutti gli artisti più rappresentativi della capitale: per citarne solo alcuni, Alvaro Amici, Gigi Proietti, Gabriella Ferri e soprattutto Nino Manfredi, che otterrà un notevole successo di vendita.

I versi maltusiani

Seguendo la moda futurista dei versi maltusiani, ne compose alcuni, tra i quali quello che lo definisce, intitolato Ti à piaciato?:

Petrolini è quella cosa
che ti burla in ton garbato,
poi ti dice: ti à piaciato?
se ti offendi se ne freg.

Petrolini e il Fascismo

Petrolini tenne un atteggiamento sbeffeggiante verso la dittatura fascista, che fu tollerato dal regime. In occasione della medaglia, che Mussolini gli volle conferire, ringraziò con un derisorio «E io me ne fregio!», parodia del motto originariamente dannunziano e poi fascista «Me ne frego!». Nel 1923 fu iniziato alla massoneria in una Loggia all'Obbedienza di Piazza del Gesù[13].

Curiosità

Nel 1998 a Roma, nel quartiere Testaccio, è stato fondato un teatro in suo onore: il Teatro Petrolini.

Teatro

Per la teatrografia petroliniana si è assunta come fonte l'Archivio Petrolini presso la Biblioteca e Museo teatrale del Burcardo di Roma.


Macchiette e parodie

  • L'Amante dei fiori
  • Amleto [con Libero Bovio]
  • L'antico romano
  • Archimede
  • Baciami, baciami
  • Il bell'Arturo
  • La Caccavella
  • Canzone guappa
  • Cirano
  • Il conte d'Acquafresca
  • Il Cuoco
  • Il Danzadero
  • Divorzio al parmiggiano
  • La Domatrice
  • Faust (Oh Margherita!)
  • Fortunello
  • Giggi er bullo
  • Isabella e Beniamino
  • Ma l'amor mio non muore
  • Maria Stuarda
  • Napoleone
  • Paggio Fernando
  • I piedi
  • Il poeta
  • Il prestigiatore
  • I Salamini
  • Er Sor Capanna
  • Stornelli maltusiani
  • Ti à piaciato?
  • Il Turco

Riviste

  • 1915: Venite a sentire con G. Carini
  • 1915: Zero meno zero con Luciano Folgore
  • 1916: Dove andremo a finire? con G. Carini
  • 1916: Acqua salata (o Senza sugo) con T. Masini
  • 1916: Favorischino

Commedie

  • 1917: Nerone
  • 1917: Romani de Roma
  • 1917: Amori de notte
  • 1918: Radioscopia con Francesco Cangiullo
  • 1918: Cento de 'sti giorni con Checco Durante
  • 1918: 47 morto che parla
  • 192.: Donnaiuolo
  • 1923: Farsa di Pulcinella
  • 1924: Gastone - Bologna, 14 aprile 1924
  • 1924: Il padiglione delle meraviglie
  • 1927: Benedetto fra le donne
  • 1931: Chicchignola
  • 1934-1935: Il metropolitano - mai rappresentata

Riduzioni e opere di altri autori

  • Agro di limone da Lumie di Sicilia di Luigi Pirandello
  • L'amante legittimo di Cipriano Giachetti
  • Ambasciatori di Lucio D'Ambra
  • L'avvocato Bonafede da Congedo di Renato Simoni
  • Il barone di Corbò di Luigi Antonelli
  • Il cantastorie di Ferrante Alvaro De Torres e Alberto Simeoni
  • Il castigamatti di Giulio Svetoni
  • Cometa di Yambo
  • La coppa incantata da La coupe enchantée di Jean de la Fontaine, traduzione di E. Corradi
  • Coraggio di Augusto Novelli
  • Cortile di Fausto Maria Martini
  • È arrivato l'accordatore di Paola Riccora
  • Elogio del furto di D. Signorini
  • Il fondo d'oro di Galeazzo Ciano
  • La fortuna di Cecè di Athos Setti
  • I fratelli Castiglioni di Alberto Colantuoni
  • Garofano di Ugo Ojetti
  • Ghetanaccio di Augusto Jandolo
  • Giovacchino Belli di Augusto Jandolo
  • Giovanni Arce da Le esperienze di Giovanni Arce filosofo di Pier Maria Rosso di San Secondo
  • Un guasto nell'ascensore di André Mouezy-Eon
  • L'Illusionista da L'Illusioniste di Sacha Guitry
  • Io non sono io di Toddi
  • La regina ha mangiato la foglia di Gildo Passini
  • Ma non lo nominare di Arnaldo Fraccaroli
  • Maritiamo la suocera di Colorno
  • Medico per forza da Le médecin malgré lui di Molière
  • Mezzo milione di Alfredo Testoni
  • Mi uccido di Paola Riccora
  • Mille lire di Salvator Gotta
  • Mustafà di Armando Discepolo e Rafael J. De Rosa
  • Ottobrata di Giovanni Cesare Pascucci e Augusto Topai
  • I pantaloncini di G. Nancy
  • Patalocco di Ugo Romagnoli
  • Peppe er pollo di Augusto Novelli
  • Per la porta di Felyne Ossip
  • Pinelli di Ettore Veo
  • Rifiuto... io di Corrado D'Errico
  • Scarfarotto di Gino Rocca
  • Lo sfratto di Enrico Serretta
  • Teodoro è stanco di Max Nel
  • Toccalafrusta di Ugo Chiarelli
  • I tre di Dino Falconi
  • La trovata di Paolino di Renzo Martinelli
  • Tutti in cantina di Eugène Labiche
  • Tutto si accomoda di Enrico Serretta
  • Uno degli onesti di Roberto Bracco
  • Un uomo onesto di Piero Ottolini
  • Zeffirino di Gian Capo
  • Zio prete di Giovanni Tonelli

Filmografia

Attore

  • Petrolini disperato per eccesso di buonumore (1913)
  • Mentre il pubblico ride, regia di Mario Bonnard (1919)
  • Nerone, regia di Alessandro Blasetti (1930)
  • Cortile, regia di Carlo Campogalliani (1930)
  • Medico per forza, regia di Carlo Campogalliani (1931)

Film di montaggio

  • Petrolineide (1949)
  • Petrolini (1952)
  • Carosello del varietà (1954)

Quella sera l’uccelliera era ancora di pessimo umore. Prima di Petrolini c’erano stati parecchi numeri che avevano soddisfatto poco. E le vestali del loggione significavano il loro pollice verso con una recrudescenza di invettive e di sibili. E infine, da cento e cento bocche eruppe un grido solo: Petrolini, Petrolini, Petroliniii! E allora, soppressi parecchi numeri, apparve alla ribalta Petrolini. Alla prima, che delusione per me! Petrolini era di una correttezza esasperante. Marsina nera che non faceva una grinza, sparato abbagliante, cravatta a nodo libero, ma annodata irreprensibilmente, misurata col millimetro, guance sbarbate, tirate a pomice, sulle labbra un sorriso stereotipo, quasi idiota.

Ettore Petrolini 1928 L

E la sua compagna, fine, elegante, con un vestito quasi interamente accollato. Insomma, due viventi simboli della correttezza. E la correttezza del loro duetto! Non ne ricordo il contenuto, ma una insulsaggine i cui protagonisti erano un uccellino, una rosa e il chiaro di luna. E la pronuncia di Petrolini! Una cosa ineffabile. L’italiano ultrapuro dei filodrammatici, che per far bene i toscani addolciscono la S anche là dove i toscani la pronunciano dura. I due belarono così la prima strofa, fra l’inesplicabile rispetto dell’uccelliera. Ed io me ne stavo già andando, quando, alla terza, intervenne il fatto nuovo. La compagnia di Petrolini rinunciò a belare.

Ma Petrolini questa volta fece, con la bocca, s’intende, l’accompagnamento; e subito un’ondata di gioia m’invase e scancellò repentinamente ogni delusione. Che cos’era quell’accompagnamento! C’era lo scherno a tutte quelle canzonette dolciastre e pseudo-aristocratiche che imperversavano nel caffè concerto; la canzonatura agli artisti che le prediligono e se ne credono elevati e nobilitati, come da un nastro all’occhiello; lo sberleffo verso i sedicenti pubblici che le pigliano sul serio. Finito il duetto, l’uccelliera, che s’era via via spampanata dalle risa, proruppe in un’ovazione interminabile, mastodontica, fantastica.

«In platea», Ettore Romagnoli, Zanichelli Editore, 1924


Quale sia stato esattamente il genere di spettacolo che Petrolini presentò al pubblico nessuno potrà mai dire. Egli fece della Rivista con « Zero meno zero » « Acqua salata » e « Contropelo » ; fece della prosa con « 47 morto che parla » e « Il Cortile », tanto per citare i lavori di maggiore rilievo, ma non si può dire che Petrolini sia stato un attore di prosa e tanto meno un comico di Rivista.

Bisogna allora riconoscere che Ettore Petrolini appartiene al grande Varietà, a quel firmamento di astri, che brillarono di luce propria, di una luce davvero abbagliante e miracolosa.

E se anche in seguito passò dalla ribalta cosiddetta minore a quella della prosa vera e propria, egli è rimasto fino alla morte, disgraziatamente immatura, un grande artista di un grande Varietà.

La sua natura era bizzarra. Fin da ragazzo mostrò di possedere un carattere complicato e corrosivo, quando si divertiva a prendere in giro il prossimo caricandosi sulle spalle una cassa vuota, e, poi, arrancando sù per la salita di Via Panispema di quella sua adorata Roma, simulava di essere schiacciato da un peso immane. Oppure, quando si univa al corteo funebre di un ignoto e singhiozzava disperatamente per il solo gusto birbone di farsi consolare da qualcuno. Tutti questi bisogni di satireggiare, di scavare in profondità, di distruggere, di capovolgere, di avvelenare, egli doveva soddisfarli in un certo qual modo. E il palcoscenico del Varietà gli sembrò il solo luogo adatto, dove, senza dar conto a nessuno e senza dover servire nessun autore o regista, poteva sfogarsi con un certo gusto sadico contro uomini e cose, fatti storici e luoghi comuni, personaggi celebri e sentimenti umani.

Sul principio in un localaccio della periferia chiamato Concerto Gambrinus, non ebbe successo. Ed era logico che così fosse, poiché egli portava nell’ambiente del Varietà una voce troppo nuova, stridula ed aggressiva, stravagante e mordente, che lasciava perplesso un pubblico avvezzo a lazzi più bonariamente grassocci e più serenamente gai.

Ettore Petrolini jk11

Le sue parodie del Faust, della Gioconda, del Cirano e dei film muti sono tante sghignazzate. Il suo acido corrode e distrugge il romanticismo convenzionale, fino a che con i Salamini tocca addirittura le vette del surrealismo.

Poiché se è vero che i Salamini furono un’invenzione del celebre comico francese Dranem, che li cantava così : « J’ ai acheté des saucissons, et je m’en vante ... », Petrolini trasportò questa innegabile cretineria in un’atmosfera di superiore grottesco lirico e quasi drammatico.

Alle sue prime esibizioni, molti del pubblico borghese rimasero colpiti e indignati. Non era facile adattarsi ai gridi di rivolta e agli atti d’accusa di un rivoluzionario inesorabile come Petrolini, specie all’epoca delle piccanti e ingenue gaiezze del « Non adatto per signorine ». Ma, a poco alla volta, infranse tutti gli ostacoli, s’impose e vinse.

Bastava che egli apparisse in iscena, perchè tutte le convenzioni tradizionalistiche rimanessero al di là della ribalta. Tutte le occasioni erano buone perchè egli potesse prendere diretto contatto col pubblico e improvvisare lì per lì uno spettacolo. Infatti egli, divenuto celebre, esigeva che quando era in iscena si puntasse il riflettore acceso su di lui. E sembrandogli che l’impresa del Filodrammatici di Milano gli imponesse una tariffa esagerata per l’uso di questo benedetto riflettore, egli si mise d’accordo con l’elettricista, e, quando uscì in iscena nel personaggio di Gastone della sua famosa macchietta, il riflettore, che come di rito avrebbe dovuto accendersi dal centro della prima galleria, non si accese. Egli allora simulando indignazione fermò l’orchestra e rivoltosi all’elettricista, gli fece :

— Ahò, embè! Quann’è che te decidi?

Nel pubblico un lieve mormorio, quasi a disapprovare l’interruzione. Petrolini che questo attendeva si rivolse al pubblico.

— Voi ve credete che quer rifrettore là sia un rifrettore qualunque? Ah, si? Quello invece è un signor rifrettore, è un rifrettore principe, è un magnate dei rifrettori! Fateve un po’ er conto : io, saranno dieci anni che ogni anno faccio in questo teatro due stagioni di trenta giorni l’ima. Ogni sera pago venti lire all’impresa per il noleggio de quer rifrettore. Dico che è quello, perchè è proprio sempre quello : ci ho fatto un segno e

lo riconosco. Dodicimila cucuzze ho pagato fino adesso. Fanno na media a occhio e diciamo che l’antri colleghi mia n’antre ventiquattro mila lire in quest’urtimi dieci anni le avranno pagate pure loro. Avete capito siccom’è? E’ un rifrettore che costa più di trentasei mila lire! E voi volete che io rinunzi a famme illuminà da un raggio de quer valore? Fossi scemo! Io li quattrini li vojo godere! Anzi, mo’ me fate mpiacere: v’arzate in piedi tutti quanti, v’arivortate a guardallo e ve ne state du’ minuti in raccojemento in onore suo. Annamo, sù, in piedi, in piedi!

Naturalmente da quella sera stessa l’impresario ridusse la cifra del noleggio di quel famoso riflettore a sole cinque lire.

Per questo fenomenale artista il suo mondo, la sua società e la sua legge erano il pubblico. E perciò egli tradiva spesso la figura dell’attore, sfondava il magico sipario ideale che è tra ribalta e sala e si rivolgeva direttamente alla platea in un colloquio Petrolini-Pubblico.

E una volta che una commedia di cui egli era l’autore oltre che l’interprete, non incontrò il favore della platea e il sipario calò sull’ultimo atto tra vivaci dissensi, Petrolini venne alla ribalta e si rivolse come al solito al pubblico, come ad un amico col quale si sta discorrendo: « Embè? Nun v’è piaciuta? E’ il finale che forse non ve và? Embè lo cambiamo! .... Ma mica c’è bisogno de fa tanta caciara.... N’antra vorta me lo potete dì francamente: A Petroli, er finale non ce piace! Perciò nun ve ne annate che ve famo er finale in un’antra maniera! ... ».

In quattro e quattro otto improvvisò un finale diverso e il pubblico, sbigottito, non potette fare altro che applaudire. Quella sua caratteristica aggressività non risparmiò niente e nessuno, così sul palcoscenico come nella vita.

Ettore Petrolini jk13

Una sera Zacconi andò a sentirlo e si accorse che, nella caricatura di Amleto, Petrolini si burlava di lui. Il tragico Zacconi prese cappello e Petrolini lo seppe. Ma, quando, poche sere dopo, capitò a Petrolini di assistere ad una rappresentazione di Zacconi, avvenne che alla fine del dramma egli si precipitasse sul palcoscenico e gli dicesse:

— Tu m’hai da perdonà! Io non t’avevo inteso mai. .. Che t’ho da dii? Tu sei un colosso ed io so’ un disgraziato! .. .

Aveva dato del « tu » a Zacconi, ma egli lo dava a tutti, e quando qualcuno gli mostrava di non gradirlo, egli si affrettava a rassicurarlo : « Non te preoccupà, si a te te fa specie er tu, sai che famo? Tu mi dai del lei e io te dò del tu! ».

Nemmeno con i colleghi del suo stesso paese era generoso. Pur sapendo che Gastone Monaldi amava far credere di essere stato vera-mnte in gioventù uno di quei bulli che raffigurava in iscena, Petrolini si divertiva a sfotterlo ed a contraddirlo:

— Dì la verità: tu, la teppa romana, manco sai dove sta de casa! .. .

Monaldi s’indigna, protesta, grida:

— Ho fatto sempre a coltellate, ci ho ancora fi segni delle cicatrici! .. .

E, sbottonandosi la camicia, mostra il petto solcato da quattro, cinque segni di arma da taglio. E Petrolini inesorabile:

— Ma ce l’hai prese sempre! . ..

Quando, poco più che cinquantenne, la morte immaturamente gli si avvicinò, egli che, definito da Bontempelli il più grande artista italiano contemporaneo, era entrato nel grande Teatro, dovette sentire una sola struggente nostalgia, quella di un piccolo, fumoso palcoscenico con quinte e fondale di carta sbiadita: il palcoscenico del Concerto Gambrinus in uno sperduto quartiere di Roma, dove, a quindici anni, aveva conosciuto il grande Varietà della sua vita.

Mario Mangini


Petrolini e il fascismo

Bisogna premettere qualcosa a proposito dell’impegno politico dei comici. Che è sempre stato modesto quando non inesistente. Tranne eccezioni più stravaganti che significative, il teatro comico popolare italiano non ha mai avuto chiare coloriture politiche né la stragrande maggioranza dei comici ha mai avuto da soddisfare altro che sana, teatralissima vanità nei confronti del pubblico. Ettore Petrolini (e qui stiamo parlando di anni precedenti a quelli della censura) fu sponsor del fascismo e da Mussolini si fece sponsorizzare: ma come dirlo compiutamente fascista? Forse che il suo teatro risponde all’etereo disimpegno della cultura fascista? Forse che egli inseguiva sogni proponendosi solo di far volare nel cielo, a occhi chiusi, i suoi spettatori? Fu annesso dai futuristi, Petrolini (come chiunque abbia avuto successo dal 1909 in poi), ma Marinetti e i futuristi furono oggetto palese dei suoi sberleffi:

Marinetti è quella cosa
che facendo il futurista
ogni sera fa provvista
di carciofi e di patat

cantava Petrolini nei Maltusiani. Ancora più pesante risulta poi un suo vecchio stornello:

Pei futuristi Venezia
è la tana per i sorci,
Roma è un detrito di muffa,
e i romani sono porci!
Napoli è un covo d’insetti,
una guazza che trabocca;
e come insultan Torino
quando ci han Torino in bocca!
Rispettan solo Milano,
Como, Lecco... è un caso strano!
Onde un bel dì il futurismo
finirà a Lecco Milano!

Quando salì alla ribalta per l’ultima volta nel 1935, deluso per non essere stato nominato centurione (un’onorificenza paramilitare dell’epoca), Petrolini portava al bavero una piccola spilla che gli aveva donato Mussolini: «Il duce mi ha dato quella cosetta qui - spiegò al pubblico - e io me ne fregio». «Me ne frego» era allora, alla vigilia delle famose sanzioni, uno dei motti mussoliniani più diffusi. Ma queste sono quasi leggende.

Nicola Fano


Galleria fotografica e stampa dell'epoca

Ettore Petrolini, raccolta di articoli di stampa

08 Lug 2021

Ritratto di Petrolini

Ritratto di Petrolini «Lascia cadere il formaggio del tuo sorriso sui maccheroni del mio amore». La frase non è d'un comico del Seicento; è di Petrolini (e nel suo repertorio ci sarebbe da spulciarne delle altre). Eppure Petrolini se l'ebbe a male…
Silvio D'Amico, «Comoedia», anno X, 20 febbraio 1928
9346
08 Lug 2021

Ettore Petrolini, discorso dell'attor comico

Ettore Petrolini, discorso dell'attor comico Dopo avere studiato e consultato Tagore, l’orario delle Ferrovìe, la Tavola Pitagorica e l’Annuario dei Telefoni senza voler parlare delle Leggi delle 12 Tavole e del Calendario Gregoriano, mi permetto dì…
Ettore Petrolini, «Comoedia», anno X, settembre-ottobre 1928
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08 Lug 2021

100 mila copie di Petrolini

100 mila copie di Petrolini Il più indiavolato dei romani de Roma, ovvero Petrolini, s'era fermalo, durante il suo corso di recite al teatro «dei Fiorentini», in un tranquillo albergo nella strada più tipica, storica e tradizionalista di Napoli:…
Roberto Minervini, «Il Dramma», anno VI, n.95, 1 agosto 1930 - Disegni di Umberto Onorato
11671
08 Lug 2021

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Ricordo di Petrolini Le nostre sale d'incisione si preparano alle vacanze estive lavorando a pieno ritmo. Passano voci d'ogni timbro e colore. Direttori d'orchestra e musici minori, votati all'obbedienza d'un comando luminoso: « Silenzio », son fusi…
Mario Casalino, «Musica e Dischi», luglio 1947
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08 Lug 2021

5407 sere senza Ettore Petrolini

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09 Lug 2021

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Petrolini restituiva dal palcoscenico ciò che rubava nella vita Anton Giulio Bragaglia, che fece parte “della banda dei suoi amici privatissimi”, rivela alcuni aneddoti sconosciuti della carriera di Ettore Petrolini, spiegando il genio teatrale del…
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Mi confesso... di Ettore Petrolini L'umorismo di Petrolini si proietta nella vita contemporanea, costituendone al tempo stesso la caricatura e il carattere, il grottesco e la tristezza. Il nostro secolo meccanica, è cosi anti-individuate che quando…
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Ettore Petrolini: io e il film sonoro Ho terminato, alla Cines, il mio terzo film sonoro cantato e parlato. Il Cinematografo comincia adesso. L'affermazione può apparire temeraria. Ma non vi preoccupate del bene che posso dire di me. Anzi, non farò…
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Discorso con Petrolini sull'attor comico L’abbiamo fatto, questo discorso sull’attor comico, «nel suo camerino» direte subito voi. Neanche per sogno. Nel suo camerino un attore (illustre, perchè un attore non illustre nel suo camerino non va mai a…
«Il Dramma», 15 agosto 1933 - Disegni di Umberto Onorato
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09 Gen 2023

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Raul Radice, «L'Europeo» anno XII, n.28, 8 luglio 1956
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Petrolini e Totò filosofi Diceva Gustavo Flaubert che «l'imbecillità è una fortezza inespugnabile: qualunque cosa v'urti contro invariabilmente si spezza». Imbecilli si nasce imbecilli ai cresce; imbecilli si va all’altro mondo. E tuttavia la vita vi…
Leone Latino, «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 agosto 1955
8504
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Il Comm. Ettore Petrolini Sono stato sere or sono sul palcoscenico del Politeama Giacosa a porgere il mio saluto al grande attore, al leale ed antico compagno della gioventù spensierata e moschettiera. Ettore Petrolini mi à ricevuto con…
Alfredo Chimenti, «Il Varietà», 31 dicembre 1931
8543
09 Gen 2023

Morte di Petrolini: la cronaca

Morte di Petrolini: la cronaca Roma 29 giugno. Stamane, alle 2,24, nella sua abitazione in via Maria Adelaide, è morto Ettore Petrolini.vIl popolare attore da vario tempo era ammalato di angina pectoris. Le condizioni dell'infermo erano andate…
«Corriere della Sera», 29 e 30 giugno 1936
8918
20 Gen 2023

Ettore Petrolini, la mia scuderia di purosangue

Ettore Petrolini, la mia scuderia di purosangue Ottobre, grande gioia di vivere, come tutti i mesi dell’anno tra sigarette denicotinizzate e propositi di saggezza. Me ne torno passo passo, nel tardo pomeriggio allegro e assolo, dal campo di corse di…
Ettore Petrolini, «Comoedia», 1931 - Disegni di Umberto Onorato
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26 Gen 2024

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Dietro le quinte del varietà - Il debutto di Ettore Petrolini Il teatro a ferro di cavallo — questa fatale calamita — mi attraeva irresistibilmente. E, sotto questa azione, all’età di quindici anni mossi il primo passo verso l'arte, recandomi…
"Follie del Varietà" - Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè, Feltrinelli, Milano, 1980
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26 Gen 2024

Un concentrato di rivista: Ettore Petrolini

Un concentrato di rivista: Ettore Petrolini Se il romano Leopoldo Fregoli fu — in un certo senso — un intero spettacolo di Rivista, un altro e non meno celebre romano, Ettore Petrolini, fu — per così dire — un concentrato di Rivista. Un giorno — c’è…
"Guida alla rivista e all'operetta", Dino Falconi - Angelo Frattini, Casa Editrice "Accademia", 1953
7937
14 Feb 2025

Fatti e misfatti del teatro: ricordo di Ettore Petrolini

Fatti e misfatti del teatro: ricordo di Ettore Petrolini "Gastone" colpo di frusta al gagaismo esterofilo - Frecciate al piccoloborghese - Dalle baracche di Piazza G. Pepe ai più grandi teatri del mondo Un piccolo cinematografo: senza pretese, senza…
Ugo Guerra, «Corriere Emiliano», 29 luglio 1939
5


«Il Dramma», 1 agosto 1936. Filosofia di Petrolini


Loris-Petrolini

1905 Ettore Petrolini L

Ritagli di giornali, manoscritti, programmi multicolori, mi stanno davanti come in olocausto alla Coppia Loris-Petrolini. una coppia modesta come la mammola ma che manda fragranza, come quella. Piccola, dai lineamenti delicati e dalla vezzosa silhouette, la Loris è un'elegante canzonettista, cauta con garbo, ha gradevole timbro e la padronanza delle scena attesta in lei una artista provetta per quanto giovanissima, e lui, il Petrolini, pure giovane porta nel suo attivo... attività, sapienza nelle macchiette, ricercatezza nel vestire e indovinata interpretazione rappresentativa. Nell'insieme adunque una coppia che a parer mio, e senza ambagi, è degna di calcare tavolati di reputata fama.

Quale maggior elogio e vaticinio, di questo, unito, ai constatati successi di cui i programmi del Bellini di Roma, Margherita di Verona—Olympia di Venezia—Schenardi e Torretta di Viterbo — Ussero di Pisa — Giardino Margherita, di Roma — Blokaus di Modena — Alcazar di Genova— Alle Gatte di Trieste e di tanti altri, non notando quelli in cui il Petrolini già in compagnie d'operette, si rivelò esimio comico e distinto drammatico?

Avv. Giromoletti, «Café-Chantant», 23 maggio 1905


Oh! Inimitabile Petrolino, ti ammiro ti venero. Quando sulla scena fai sfoggio della tua arte caricaturistica della tua mimica-comica, il pubblico contento non fa che ridere, e l'eco dei suoi applausi sintetizza gli omaggi che rendono al tuo eccellente lavoro di vecchio artista. Anch'io partecipo alla allegria che le tue grazie, provocano e delle volte con tale intensità influisce t sul mio spirito, che mentre il pubblico inonda lo spazio con riso ed applausi, io non applaudo nè rido ti contemplo assorto con l'intima e santa venerazione che il fanatico contempla l'idolo del suo più fervoroso culto. Ed è ch’io ammiro in tutta la sua grandezza la tua opera benefattrice, quella di far dimenticare i dispiaceri e le angustie che il destino ha distribuito in quella folla di persone che alla tua presenza ridono.

1908 Ettore Petrolini 01 L

Tu sai che ridere è amare resistenza, e che amandola ti nobilita il cuore e le anime diventano buone, per questo la tua opera è benefattrice e caritatevole ed umana. Qual pellegrino coraggioso vai di città in città distribuendo con prodiga mano dolcezza e allegria, predicando tra gli uomini, con i tuoi gesti e l’arte, l’amore e ia vita. E così pensando più che prediletto figlio dell’arte, scelto da Dio, mi sembri per realizzare sulla terra la sacrosanta missione di purificare i mortali.

*

Far ridere, far ridere sembra una cosa molto semplice e lo è senza dubbio. Però alcune volte gli uomini che ci fanno ridere, lo fanno senza alcuna volontà di far ciò. Petrolini invece raggiunge, col nostro riso, il desiderio di farci ridere. ed esso gli è di sprone alla sua arte comico, e nel raggiungimento del nostro contento sta il suo trionfo.

Qnando prende l’aria del falso sapiente ci fa ridere; nell’ avaro che passa da filantropo, nel benefattore, nel presentiloso ecc., tutti questi tipi che ci presenta tutte le sere ci fanno ridere, però non quel riso che parte dall'animo deluso, dal sordo riso del disprezzo che ci viene alle labbra. Il riso franco, sonoro e spontaneo, quei riso che è il leale significalo dell'Intimo contento, quel riso che ci predispone ad amare la vita è questo quello che ci fa godere Petrolini con la sua inimitabile grazia.

Avrà delle pene Petrolini? Chi è che non ne ha! Quante volte nel disordinato eco della sua flessibile voce andrà confuso l'intimo sospiro della sua anima addolorata. Quante volte nel riprodursi nella sua arte comica, muovendo grande ilarità tra gli spettatori, nasconde nel suo volto la contrazione nervosa di un dispiacere intimo

Manuel Pino, «Café Chantant», 20 novembre 1909


Parliamo naturalmente, di Ettore Petrolini. Non vi può essere un effemeride in cui non si parli di Petrolini, giacché Petrolini è tutto un programma, è tutta una pagina di storia variettistica, è uno di quei paradossi viventi sui quali s'impernia l’arte delle piccole scene. Dal giorno in cui egli, reduce dalla sua fortunosa tournée americana, mise piede nel primo stabilimento italiano la sua carriera è, tutto un trionfo, un trionfo del buon umore, della comicità più sbrigliata, dèi calembourgs più pazzeschi, dei trucchi più originali e che invano altri comici si affannano a riprodurre. Perchè se il grottesco di Petrolirii piace ed è dichiarato delizioso, quello dei suoi imitatori resta semplicemente tale e si rende stomachevole.

La parodia trova in lui la più fantastica estrinsecazione, trova alla sua voce, nel suo gesto, nella sua mimica paradossale la più vibrante affermazione. Tanto vero che il nome di questo divo è diventato antonomastico. Non si dice : è una parodia, ma si dice è una Petrolinata, non si dice è una sciocchezza lepida e piacevole, ma si dice è una salaminata...

E non si dice neppure: il tale artista ha avuto un successo grandissimo d'ilarità, ma si giura che il medesimo è stato l'emulo di Petrolini.

Questo artista è stato definito l’imperatore delle risa, ebbene, no! gli imperatori, specie nei giorni che volgono, fanno piangere, sembra che sulle toro labbra non possa mai regnare il sorriso, anzi una fosca ombra di tragedia si addensa sotto i loro archicigliari. Petrolini è tutt'altro; è semplicemente Petrolini: null'altro!

T'è piaciata?,...

Tram, «Cafè_Chantant», 1 gennaio 1915


(Dal "Giornale del Mattino" di Bologna)

Quello di Ettore Petrolini è davvero un fenomeno curioso nelle cronache del teatro di Varietà ! Assunto, in pochissimo tempo, ad una notorietà che ha del prodigioso e seguito da parte di tutti i pubblici italiani con una simpatia che rasenta perfino, qualche volta, ia frenesia, egli ha potuto Soddisfare e il suo sogno di interprete e, forse, anche quello del suo lecitissimo tornaconto, emancipandosi dalla inferiorità artistica dei palcoscenici da caffè concerto per battere, e con successo, le tavole dei principali teatri. Naturalmente questa fantastica corsa verso la celebrità ha fatto sorgere in molti aristarchi il bisogno di porle un freno e l'onesto desiderio di gridare allo scandalo. Quasi ogni giorno, infatti, occorre di leggere nelle cronache teatrali, qualche furiosa carica contro il caustico macchiettista romano in nome del buon gusto e della morale offesi in uno e dal Petrolini e dal pubblico che accorre in massa ad applaudirlo. Dicono ì severissimi critici, che è scandaloso vedere gremiti di pubblico, allorché Petrolini vi agisce, quegli stessi teatri che rimangono semi-deserti quando vi passano le più gloriose e misconosciute illustrazioni dell’arte; ma di quella vera e autentica con l' a maiuscola.

Io non nego che i suddetti critici possano talvolta avere un po' di ragione, specialmente per ciò che riflette certi eccessivi entusiasmi. ma non disconosco ch’essi hanno anche qualche torto allorché, nella furia dello sdegno e nell’impeto della, carica fanno di ogni erba un fascio e definiscono l’opera del Petrolini una scimunitaggine o un volgarissimo trucco.

Eppure, o io m’inganno, anche in questa bizzarra produzione del giovanissimo comico romano, sfrondata di molte esteriorità dedicate alla platea, c’è qualche parte e non pochi scorci di felice espressione d’ arte che rivelano nel Petrolini un acuto e fine senso di interprete.

Certe sue personalissime smorfie, quell' orìginalissimo modo di pronunziare la frase volutamente stupida e certe particolari inflessioni di voce finiscono si per suscitare il riso del pubblico , ma hanno nell' intendimento dell' attore uno scopo ben chiaro, una meta ben più remota; caratterizzare, cioè, una macchietta, mettere in rilievo un lato comico del personaggio riprodotto, dar sapore di caricatura a qualche figura o a qualche atteggiamento. Certo, qualche volta, la necessità di soddisfare al gusto della platea, lo costringe ad esasperare le note e ad accentuare le tinte fino a raggiungere talvolta la volgarità ; ma nel complesso delle sue creazioni si noia sempre un certo intendimento d'arte che merita considerazione e studio.

Questa sera, dunque, egli dà lo spettacolo in suo onore e non v'ha dubbio che il pubblico bolognese, che già l'ha accolto con così vive simpatie, accorrerà a manifestargli il suo compiacimento e il suo plauso.

«Café-Chantant», 15 febbraio 1915


La figura artistica di Ettore Petrolini si presta alle più svariate considerazioni d'ogni indole e d'ogni natura giacche Petrolini è uno di quei paradossi viventi che solo giustificano l’esistenza di un teatro di varietà, cosi come s'intende ora, e cioè assolutamente fuori da ogni legge di estetica comune e di ogni significato artistico.

Il teatro di varietà si è decisamente indirizzato, in questi ultimi tempi, ad essere non altro che un luogo di divertimento, ha rinunziato a tutti i suoi diritti verso V arte e se il grande valore di pochi artisti nel senso vero della parola non s’imponesse, noi avremmo già decadute le uniche forme d'arte che hanno avuto vita sulle piccole scene: la canzone di Pasquariello e la macchietta alla Maldacea nonché quell’arte caratteristica e personalissima di Raffaele Viviani.

Petrolini ha intuito tutto ciò e si è modellato un genere d’arte (usiamo ancora una volta questa espressione) perfettamente consono al gusto del publico ed alle direttive che il varietà internazionale si è prefisso.

Per far ridere e cioè divertire senza assolutamente eccitare le facoltà deli ingegno da parte del publico non vi è che la caricatura. La stessa parodia, intesa nel suo significato classico, esce dai limiti del puro divertimento, cosicché Petrolini si è visto nelle condizioni di doverla modificare a suo modo.

1915 Ettore Petrolini L

Egli è quindi l'espressione più completa e sicura dell’arte caricaturale. Tutto ciò che di ridicolo vi è nella linea e nel pensiero egli sa mettere debitamente in mostra, ogni sentimento portato all’esagerazione acquista, per suo merito, qualità comiche impreviste e per raggiungere questo scopo Petrolini ha saputo modellare i suoi trucchi, correggere od alterare il tono della voce, la linea della persona, persino lo sguardo e tutte le sfumature che formano gli elementi della caricatura nel disegno e nella letteratura umoristica.

L'esservi riuscito, e pienamente, dimostra in lui delle qualità specialissime che non a tutti è possibile avere, che, anzi, a nessuno si sono dimostrate come appare dagli inutili sforzi di molti artisti ad imitarlo, sforzi che non sono stali coronati da nessun successo. Così il genere di Petrolini si giustifica, cosi si giustificano i suoi successi che sono tanti fanatismi, cosi può definirsi l’orientamento alla caricatura che da lui ha avuto origine e che in lui trova la più sicura espressione.

E' soggetta a critica tale arte ? No. Perchè l’arte di Petrolini è completamente frustanea a qualunque discussione, è rivoluzionaria, anzi, anarchica nel significato più largo della parola. Può essere approvata? Condizionatamente, e cioè in rapporto ai canoni artistici, no. Incondizionatamente si. Petrolini passa senza chiedere permesso, si fa applaudire senza giustificare l’opera sua, giustificandola soltanto con la sua vena inesauribile di buon umore, con i suoi trucchi che non hanno, artatamente, nessuna giustificazione, con le sue trovate che sono semplicemente ed assolutamente delle trovate.

tigli è insomma fuori discussione: E poiché il pubblico del varietà non può nè vuole discutere egli è l'unico artista di varietà.

In Francia, in Inghilterra questo tipo d'artista non è nuovo, in Italia, ove le tradizioni artistiche sono profondamente radicate, è una audace innovazione; il pubblico è restato a bocca aperta e, trascinato dal torrente di umorismo, ha riso ed ha applaudito; sia gloria all'ingegno ed all’ audacia senza limiti di Petrolini e siano p :r lui i più meritati trionfi. I futuristi dovrebbero vedere in lui il loro più grande apostolo.

Giacché Ettore Petrolini è un paradosso vivente, lo abbiamo detto altre volte...

Tram., «Cafè Chantant», anno XIX, n.9-10, 11-26 maggio 1915


Petrolini è un genio !

Prima di me, questo, in altri termini, lo hanno detto tre fra gli scrittori più celebri di Europa : Matilde Serao - F. T. Marinetti -Notari. Petrolini è un genio inquantochè è un creatoro, un caposcuola, un precursore, un deformatore -sopra tutto. Badate che non può esistere arte senza deformazione,-in tutti i campi-qualunque sia la forma ch'essa prenda; qualunque il modo con cui si manifesti.

Non bisogna confondere Petrolini con i diversi «macchiettisti», imitatori fotografici-anche bravi-riproduttori di curiosi, di caratteristici, interessanti tipi etnografici. Chi imiti fotograficamente non ha personalità, e, senza dubbio : non crea niente. Per ciò non è mica vero che quel tale macchiettista producendosi nella macchietta, supponiamo : 'O cucchi ere, crea il tipo del vetturino napoletano; affatto; l’originale esisteva. E’ bastato studiarlo - con osservazione, amore, ecc. - questo si - e avere anche il dono dell' imitaziono, che ò un dono simile ni suonare ad orecchio... Ma dov' è la creazione?

Mentre vere e proprie creazioni di Petrolini sono il Toreador, la Sonnambula, Amleto, Ma l’amor mio non muore, Fortunello, e tante altre...

E’ vero che del Toreador, dell Sonnambula, e dell'Amleto esistevano gli originali - ma per Petrolini non sono stati che semplici spunti, semplici punti di partenza, pretesti per monumentali, colossali deformazioni creatrici. Paragonato, infatti, il toreador sivigliano a quello di Zero meno zero, diventa ridicolo, meschino e rimane ecclissato dal raggiante, sfarzoso umorismo di quello, in cui c’é dentro tutta la personalità - sempre esplodente - del nostro grande originalissimo Petrolini E cosi per la Sonnambula. Nel suo Amleto e nel suo Ma l'amor mio non muore, per me, e per chi non è uno scocciatore, Petrolini é molto più interessante di Shakespeare, di Zacconi e di Lyda Borelli. - Fortunello poi, non avendo precedenti, è assolutamente una creazione di genio.

Non vi spaventi la disinvoltura con la quale io faccio uso della divina parola. Laddove doveste uscirne scandalizzati, ditemi voi, infine, spiegatemi voi che cosa, che diavolo è questo benedetto genio, so vi sembra che io lo abbia male detto...

Coloro che non sono della mia opinione - pur serbando la loro, il loro parere, i loro preconcetti - che volessero vedersi costretti ad applaudire proprio senza restrinzioni, Ettore Petrolini, lo sentano in «Radioscopia», ove vedranno con quale sfumatura di elegante drammaticità, questo grande comico esegue, a solo, una macchietta, e un duetto con la sua duettista - di cui ne è innamorato - mentre muore di gelosia perchè Lei si divora con gli occhi un habitué che è là, ogni sera, in prima fila di poltrone. Di questo sdoppiamento, di questa lotta innanzi al pubblico, ohe ha il diritto di non vederla, fra l’ uomo e la marionetta, che alla ribalta sono due forze uguali e contrarie, ma che non distruggono il dramma. Il burattino innanzi al pubblico dovrebbe aver ragione lui ed annullare l'uomo: l'uomo subentrato di colpo nel burattino dovrebbe scoppiarlo in corpo e mandarlo in cocci - ebbene di questo conflitto alla ribalta d’ un teatro di varietà, con la simultaneità di una risata esteriore del fantoccio e di un ghigno interiore dell'uomo di questo dramma che stilla a fatica attraverso i pori di un trucco, secondo me, non è capace nessun grande attore d’ Italia.

E allora quelli che hanno paura di credere Petrolini un genio, avranno, loro malgrado, il coraggio di applaudirlo freneticamente e di dire: è grandissimo !

Francesco Cangiullo, «Café-Chantant», anno XXV, n.7, 27 maggio 1921


Al Manzoni - Petrolini chi è?

Chi sia, ormai tutti sanno. E sanno che è un fenomeno, un autentico fenomeno d’interpretazione scenica, poichè nella sua multiforme capacità scenica di afferrare il soggetto e tradurlo alia ribalta con precisione di dettagli anche nella policoromatica montura, il grande artista sorpassa i limiti del credibile e si spazia oltre l'inverosimile: tanto da creare, come ho detto, il fenomeno.

Petrolini non è il solito artista abituato al ruoli fissi, che, coll'andar degli anni, acquistano quasi una cadenza nella concezione teatrale e si trascinano, fino all'onorato riposo, celebrati forse, ma monotonamente uguali; precisi, ma simmetrici: di quella simmetria al quale il pubblico si abitua senza che vi ci sta entusiasmato, senza che rimpianga, in una parola, l'artista sparente, benchè esso abbia tracciato una scia luminosa.

Si cerca il nuovo, vario ed ora più che mai lo spettatore è un po' intollerante d'una scuola che ha fatto il suo tempo e come sonnecchia dinnanzi all'attore di fama che rende la sua parte tragicamente impeccabile o comicamente perfetta, ma sempre uguale, cosi è preso da un vivo senso d'intimo contento innanzi ad un artista — nel vero senso della parola — che sappia prodursi in mille interpretazioni geniali.

Non voglio menomare, con questo mio dire, le abilità artistiche di quanti hanno onorato ed onorano, comunque, la scena italiana, ma mi piace rilevare una tendenza verso la quale molti s'avviano e per la quale il nostro teatro sarà il precursore delle future abitudini. Petrolini sarà allora ricordato come l'antesignano della nuova concezione scenica. Egli è l'artista degli artisti; in quella sua persona volatile si temprano e si producono le espressioni migliori della scena. E tutto viene presentato da lui solamente attraverso manifestazioni proprie. Nessuno sforzo, nessun artificio in questo geniale artista per il quale l'arte è vita.

Petrolini passa con rapidità sorprendente da una interpretazione all’altra, rendendo ogni lavoro con singolare maestria. Da qui il fenomeno. Se fenomeno non fosse, egli non avrebbe raccolto o non raccoglierebbe tanta somma di ammirazione e di plauso anche dai più insigni maestri della scena, siano essi autori od attori.

Oramai, a buona ragione, può dirsi il favorito del pubblico ed il teatro che lo ospita vede con soddisfazione rigurgitare la sala dell’elomento più scelto, mai pago di rendere omaggio a colui che nella multiforme capacità artstica, promette prove maggiori nello sterminato campo interpretativo.

A. M. Inglese, «L'Impero», 11 maggio 1923


Ettore Petrolini se l’ebbe a male una volta — assicura Silvio d’Amico — d'essere stato riconosciuto per un autentico erede dei comici dell’arte: di quei comici che, improvvisando canovacci e lazzi, resero il lustre il teatro nostro anche oltre frontiera, sino a quando Papà Goldoni non venne ad imbrigliarli nel modo che tutti sanno. Che, forse, Petrolini, ritenesse d’essere diminuito? O che giudicasse d’essere ben diverso, lui, che i copioni li recita bel-l’e scritti e col suggeritore in buca?

Petrolini è un artista e non si contano i turiboli che lo hanno incensato. La sua personalità è singolare, i suoi mezzi eccezionali. Il senso del grottesco e del parodistico è in lui perfezionato dall’osservazione e dall’ingegno ; limitarlo, questo suo senso, alla macchietta del music-hall, dal quale Petrolini deriva, è sommamente ingiusto. Il music-hall fu appella una tappa della sua carriera: fu il trampolino por spaziare in un inondo più vasto e balzare nel pieno deirumanità. Si sono ricordali, esaminando l’arte di Petrolini, Aristofane e Plauto; si è andati nel classico. E chi può affermare — fu anche detto — che un giorno Gastone non sia collocato nel limbo dei tipi classici, come lo fu, poniamo, il Miles gloriosus? Noi, profeti non siamo...

Lo voglia o non lo voglia — se lo lasci dire Petrolini — la sua progenie resta quella degli Zanni. Illustre progenie, perbacco, se è giunta ad immortalare un Ruzzante, uno Scala, un Martinelli, attori e autori sui quali s'accumulano biblioteche. Non vuole saperne Petrolini? E ci conceda, allora, di dirgli, che noi non sapremmo come giudicare il suo teatro: dimenticando la commedia dell’arte, coi suoi scenari ed i suoi lazzi, Petrolini è inclassificabile. Vuoi che reciti la commedia o il dramma, egli deve evadere; i suoi momenti migliori sono questi: quando dalla finzione scenica straripa e sberleffa la realtà. Non diversamente si comportavano i suoi progenitori di cui sopra, per i quali la recitazione era, spesse volte, un pretesto: intrufolavano allusioni e scherni per avvenimenti e per figure dol tempo, lanciavano il lazzo come si lancia una manata di coriandoli per gioco carnevalesco, butta-vani» lo scherzo come una stella filante con la quale si vuol colpire e nel contempo ammjc. care. Sovente, queste evasioni che nulla avevano a che fare col mal di pancia di Mezzettino o la gelosia di Clorinda erano premeditate, sovente sbocciavano spontanee. Petrolini le rinnova.

Il suo « scenario » vale più per gli altri (attrici e attori che debbono secondarlo), che per se stesso: fissato un carattere, per lui, di sera in sera, potrebbero essere diverse lo battute. Versatilità e misura sono in Petrolini sorprendenti. Rimanga nella vicenda o ne scappi fuori, dica la battuta del copione o ne improvvisi qualcuna per la platea, il pubblico non vuole che lui, non segue che lui! Il suo teatro non conta, conta Petrolini. Il teatro, quello della riforma, quello che noi concepiamo da alcuni secoli, Petrolini, anzi, lo smonta. Egli ha compiuto per il teatro la stessa erosione che Pirandello ha compiuto per lo spirito: lo ha spogliato dell’illusione, gli ha strappato la fede. Ecco qua: v’è una scena che piglia il cuore, che sta per inumidirvi le ciglia. La sua prima attrice, singhiozza: « Non ho tradito te, ereditili, ho tradito l’altro! ». Petrolini, sul quale pesa l’angoscia di questo dilemma, sbrecca fuori: « Va bene, questo vai a raccontarlo a Pirandello! ».

E’ come se Tatiana Pavlova, sulla scena, dovendo accarezzare dolcemente i capelli di Cia-lente (« Caro, come sono belli e morbidi... ») si sentisse rispondere: « Adopero la Chinina Migone!».

Giuseppe Bevilacqua, «Il Dramma», 1932 - Disegno di Umberto Onorato


Quando Harpagon scopre che gli sono stati rubati i diecimila scudi che teneva sotterrati in giardino grida: « Al ladro! al ladro! all’assassino! all'omicida! giustizia! giusto ciclo! sono perduto, sono assassinato; ini hanno sgozzato; mi hanno rubato il mio denaro. Chi può essere? Chi è venuto? Dov’è? Dove si nasconde? Che farò per trovarlo? Dove correre? Non è forse là? Non è forse qui? Chi è questo? Ferma. (A se stesso, prendendosi per il braccio:) Rendimi il mio denaro, mascalzone... Ah, sono io! la mia mente è turbata c non so più dove sono, chi sono c quel che faccio... ». È questo, probabilmente, il caso più evidente fra i tanti in cui Molière sforza la verità della vita, scavalca imperturbabile i limiti di ogni umana verisimiglianza e s’affida coti tutta sicurezza alla finzione. Lo straordinario di questo procedimento è che il pubblico che assiste alla scena, la scena madre dell’avaro, recitata da un grande attore, e lo stesso Molière fu appunto l’attore che interpretò Harpagon nella prima rappresentazione della commedia il 9 settembre 1668 a Parigi, il pubblico, dico, non avverte la più piccola incongnienza che urti con lo svolgimento logico di tutta la trama, deformandone la realtà, E' in ciò che si manifesta la tecnica esemplare del commediografo che consiste in primo luogo a calcolare la misura giusta per la quale la prospettiva scenica differisce dalla prospettiva reale.

Nell’opera di Molière esempi di questo genere, se pure non tanto scoperti, se ne potrebbero elencare un numero infinito. Cosi l’ingresso in scena di nuovi personaggi ha luogo spessissimo mediante espedienti poco verosimili o, almeno, poco comuni; quando c’è bisogno di far entrare in azione una data persona, ecco che quella capita sempre come per caso nel momento buono: George Dandin vuole andare a lamentarsi col padre e colla madre della propria moglie, e a farli testimoni dei dispiaceri che gli procura la loro figlia, « ma eccoli tutti e due molto a proposito ». E così via. Non parliamo poi degli equivoci clic sorgono durante alcuni dialoghi centrali, i fatali qui prò quo incredibili nella vita di tutti i giorni, sui quali invece s’impernia l’intero intreccio di molte delle sue più belle e più famose commedie.

Si tratta, del resto, di risorse tecniche comuni a tutta l’arte scenica, da Plauto in poi, che Molière adotta utilizzando talvolta di sana pianta espedienti e situazioni già sfruttate in modo pressoché identico da altri, c in lui, caso mai, la più consumata maestria risiede nella perfetta giustapposizione per cui l’alterazione artistica torna a coincidere coti la realtà nel giuoco della ribalta. Egli, d’altronde, ne è pienamente consapevole quando, lamentandosi di esser stato costretto da un contratto firmato inconsideratamente a dare alle stampe Le smorfiose ridicole-, scrive: « Non è ch’io voglia fare qui l’autore modesto c ripudiare la mia commedia. Offenderei inopportunamente tutta Parigi se l’accusassi di aver potuto applaudire una sciocchezza; poiché il pubblico è il giudice assoluto di questa specie d’opere, sarebbe un’impertinenza da parte mia smentirlo; e quand’anche avessi avuto la peggior opinione del mondo sulle mie Smorfiose ridicole prima della loro rappresentazione, devo credere ora che esse valgono qualcosa, posto che tanta gente insieme ne ha detto bene. Ma poiché una gran parte dei meriti che vi sono stati trovati dipende dall’azione e dal tono della voce, m’importava che non venissero spogliate di questi ornamenti. Avevo deciso, voglio dire, di non farle vedere che al lume delle candele ». E in queste parole è espressa come più chiara non potrebbe essere la convinzione di Molière che l’opera teatrale, composta con la tecnica che particolarmente le si conviene, deve essere destinata soltanto alla rappresentazione alla luce delle ribalte, mediante l’interpretazione degli attori, ed è un errore credere che esso possa resistere alla pubblicazione come un’altra opera letteraria qualsiasi.

Per Molière, insomma, il « tono della voce » e il «lume delle candele» sono i due elementi, la collaborazione dei quali è indispensabile al commediografo; ed è quanto dire che egli metteva su uno stesso piano, addirittura quello su cui si trova l’autore, tanto il contributo dell’attore quanto quello della regìa, che altro non significano le due espressioni da noi riportate. Altre ed ancor più importanti considerazioni ci potrebbe suggerire l’opera esemplare di Molière, la sua inflessibile morale, e tutte assai profìcue a chi voglia ragionare sulle diseredate sorti del meschino teatro borghese contemporanco. Ma per ora vogliamo limitare l’esame a questi pochi particolari di ordine strettamente tecnico, i quali, tuttavia, non sono meno propizi allo stesso fine.

Perchè, appunto, il teatro borghese dei nostri giorni, anche quando porta sulle scene i giuochi di bussolotti delle paradossali psicologie, s’affida ad una tecnica veristica che non regge alla deformazione della ribalta. È un teatro in cui non c’è posto per le grandi interpretazioni che fanno apparir reali le situazioni inverosimili, ma che anzi esige una recitazione ricalcata sulla conversazione della vita spicciola. È, peggio ancora, un teatro per esser pubblicato in volume e letto a casa propria. È un teatro che non tien conto delle alterazioni d’angolo prospettico proprie dello spettacolo, ossia non è più teatro.

Non per nulla Punico grande attore vivente oggi in Italia, il solo clic possiede un autentico temperamento teatrale, istrione e artista consumatissimo ad un tempo, ha raggiunto il suo capolavoro interpretando Molière: intendo dire di Petrolini.

Sandro Volta, «Il Dramma», 1935 - Disegno di Umberto Onorato


Era lui che parlava, Petrolini, e mi diceva : « Quando ero ragazzo, che mi imbattevo in un mortorio, mi ficcavo senz'altro dietro il feretro tra i piedi dei parenti in lacrime e seguivo la cassa per un buon tratto. Il mio volto si faceva subito funereo, il mio atteggiamento affranto e piangevo, piangevo... da far invidia alle grondaie. Sentivo la gente dietro che sospirava: ,"Ma guardalo, poverino... Chissà chi è... Forse il figlio... Eh, certo, non può essere che il figlio a soffrire così... Povera creatura!..." E io giù a singhiozzare, a stralunare gli occhi, a camminar e gobbo. Poi, quando ero stanco di far la commedia, me n’andavo con una scrollatina di spalle, magari ridendo, magari facendo gli sberleffi a coloro che mi avevano compianto... Ero amianto di me, contento di aver recitalo bene... Perchè io ho incominciato a recitare allora, e la gente dei funerali è stato il mio primo pubblico... E tutti ho mai preso neanche una pedata, come pia tardi, a me, Petrolini, nessuno mi ha fischiato mai... ».

Ritratti « quasi veri », ma questo che il nostro Ettore si è fatto da se allo specchio della memoria è quanto di più parlante e rivelatore si possa immaginare. Chi l’ha visto recitare sotto il trucco di parrucca baffi barba naso ceroni e ha sottolineato la gioia monellesca con cui alla fine dell’atto egli si strappa di dosso ogni cosa per sgranare in faccia al pubblico che batte le mani la sua risata vera, ne sa qualcosa. Quel ragazzo è diventato celebre, si è fatto applaudire in tutto il mondo, non segue più i funerali, ha messo gli aiuti in un salvadanaio infrangibile ermetico, in modo che nessuno li possa contare, e, neanche lui, ha imparato a conoscere per se quel dolore che gli era statu facile copiare negli altri per burla, ma non è mutato. Se non fosse per quel salvadanaio maledetto che gli ha rubato un po’ di freschezza al volto donandogli in cambio qualche filo bianco nel mogano dei capelli e qualche stretta sghignazzante alle coronarie, egli sarebbe tuttavia quello di allora, tale e quale, contento ogni sera di aver recitato bene, di aver sentito il pubblico cadere nel cappio della sua finzione e di essersi licenziato con uno sberleffo, con un molto clamoroso in cui è bruscamente distrutta l'illusione.

Petrolini usa affermare: « Sissignore, io vengo dal caffè concerto! » e questo, che per certi stomaci delicati è una colpa, per lui e per le persone intelligenti è un titolo d’onore. Potrebbe scriverlo nel proprio stemma il giorno che, sull’esempio di Shakespeare, se ne fabbricasse uno. Dovrebbe inquartarlo col cilindro e i guanti di Gastone, colla parrucca di Amleto, la maschera di Nerone e la chitarra di a Cortile ». I fondi saranno cangianti e incipriati come l’alone del riflettore.

Il camerino di Petrolini è la proiezione fuori di lui del suo mondo intcriore, che è sempre teatro, polveroso colorato zingaresco — caro teatro. Tre quattro nasacci di cartapesta appesi a un chiodo fanno da punto esclamativo a una teoria di parrucche stanche; diecine di baffi di ogni colore e dimensione virgolano il muro nudo presso alla fusciacca di Mustafà; una bautta nera penzola sul sedere liso di un paio di calzoni bigi ai quali è legato un mazzo di palloncini colorali; il frac sonnecchia vicino ai tubi flosci di due calze bianche; il barattolo della vaselina bisogna andarlo a pescare sotto il mucchio delle barbe; la filza dei salamini fa all’amore col manto sgargiante di Nerone ; la scatola dei lapis colorati è aperta sopra una scarpa tra una lanterna da camposanto e un burattino; appoggiata all’armonica c'è la chitarra, sulla chitarra il gibus acciambellato, sul gibus un paio di finti occhiali, una vecchia tromba d’automobile, un vecchio libro, magari le commedie dell’Aretino. E tutto questo si moltiplica nel lampeggiare crudo dello specchio di là del quale un secondo Petrolini, con un asciugamano che pare una tavolozza, si strofina la fronte gli occhi le gote il collo, suda grida ride, taglia i panni addosso al prossimo, si prova a cantare. Scrive le battute delle sue commedie sulle scatole dei cerini, sui margini del giornale, sul primo pezzo di carta che gli capita in mano. Persino sui biglietti di banca. Poi le scatole dei cerini le butta, il giornale lo perde, i quattrini li spende; ma in commedia viene alla luce lo stesso. Mistero!

Non dice mai quanto gli mette in bocca il suggeritore, non c’è verso che risponda agli attori con le parole o col gesto consacrati dalle prove, adora il « suggello » il lazzo il colloquio col pubblico, inventa le scene lì per lì, improvvisa le controscene, semina nei suoi compagni lo sgomento, li spinge alla papera, li frastorna, gli comunica il riso degli spettatori; non di meno le sue commedie vincono sempre. Mistero!

Attacca briga con lutti, fustiga i ritardatari e gli sbafatori, maltratta chi si distrae, rampogna lo sciagurato che — Dio non voglia — s’addormenta, polemizza col critico in poltrona, lui dalla ribalta. E nessuno gli ha mai torto un capello. Mistero dei misteri!

Le sue case sono piene di quadri, di cose belle e raffinale, ma le sue scene non sono mutate gran che da quelle che penso adoperasse Molière: due catinelle, un po’ di carta dipinta. Il teatro è l’attore. Petrolini romano lo sapeva già e non ali dava importanza quando il russo Dancenko ne faceva una teoria da portare nei congressi internazionali. I suoi personaggi classici sono studiati sui documenti del tempo. In Gastone è invece il Tempo, il nostro Tempo, che può studiarsi in lui...

* * *

Nella sua villa a Castel Gandolfo c’è un camino vasto. Certe notti fredde d’autunno qualcuno l’ha sentito cantare sulla chitarra al lume del solo focolare. E più d'uno l’ha visto piangere.

Eugenio Bertuetti, «Il Dramma», 1935 - Disegno di Umberto Onorato


La morte di Petrolini

ROMA, 29 notte.

La notte scorsa è morto a Roma Ettore Petrolini. Ettore Petrolini era nato a Roma nel 1836. Era figlio di un maestro d’arte. Già nella fanciullezza ebbe vivissima la passione per il teatro ed a 16 anni cominciò a recitare per la prima volta in una baracca che aveva il pomposo nome di Teatro Umberto e poi in un vecchio granaio municipale di Campagnano, presso Roma; poi ancora in piccoli caffè concerto romani in una compagnia di operette ed in circhi equèstri. Nel 1905 emigrò nell’America meridionale dove rimase due anni. Qui tornò ancora nel 1009 e quindi al Messico e negli Stati Uniti. Nel 1914 e 15 ebbe una compagnia propria rappresentando riviste, farse, commedie e bozzetti drammatici. Da allora fu un incessante girare per l’Italia e all’esterp sempre con vivissimo successo special-mente nell’America latina, a New York, al Cairo, a Londra ed a Parigi. In quest’ultima città, nel 1933. recitò alla « Comedie Franqaise » dove ebbe un imponente successo di pubblico e di critica, specialmente nella interpretazione del «Malato immaginario» di Molière. Ebbe lusinghiere offerte per restare nella capitale francese ma rispose: «Amo troppo il mio Paese per consentire ad abbandonarlo, anche se mi offrissero una fortuna ».

Fu autore di applaudite commedie, bozzetti e parodie e seppe abilmente adattare per lo. sue scene taluni lavori del teatro comico nazionale ed internazionale. Gli aneddoti della sua vita sono stati narrati da lui stesso nel volume «Modestia a parte*, i suoi motti più noti sono raccolti nell’opuscolo « Ti ha piaciuto? » pubblicato a Milano nel 1921, e i giudizi critici su di lui e sull’opera sua sono contenuti in un altro opuscolo «Abbasso Petrolini» pubblicato a Siena nel 1921. Dotato di buon gusto e di passione per l’arte, la sua casa è una raccolta di oggetti artistici di grande valore che gli sono costati molti anni di ricerche.

«Corriere Emiliano», 30 giugno 1936


Ettore Petrolini, come c’informa suo figlio nella prefazione a certi scritti postumi dell’attore, fu detto : «una fontana di Roma», e questa ci pare una definizione molto bella a patto di non pensare alle culturali fontane di Respighi e di tener presente, invece, una di quelle fontanelle rionali fatte con un mascherone di stucco ma dall’umore inesauribible e dalle origini-che si perdono nella toponomastica medievale. Di un mascherone (il naso e la bazza avrebbero finito, col tempo, per incontrarsi, sotto lo sguardo patetico dei buonissimi occhi) Petrolini aveva l’aspetto : ma noi soprattutto vogliamo ricordarlo come l’unico attore che sia stato capace di superare l’orticello del dialetto e di esprimere gli aspetti buffi della sua mirabolante epoca con un linguaggio nuovo, «curioso» e un gusto preciso che gli veniva da una tradizione istintiva.

Senza saperlo era un «lacerbiano» e allegramente passò gran parte dell’esistenza a osservare gli usi e costumi della sua generazione e a circondarli di sospetto presso un pubblico che si faceva man mano più avvertito. Sicché, alla fine, più di tutti ad apprezzarlo, furono quelli che lui aveva un tempo preso di mira, cioè gli intellettuali (veri o falsi, come si fa a distinguerli di colpo?) e i buoni borghesi : destino, questo, inevitabile per ogni autore satirico.

Petrolini venne fuori al tempo della guerra di Tripoli, cioè in piena reazione al neo-romanticismo. Il secolo diciannovesimo traballava sotto un cumulo di abitudini e a un desiderio di vita fervida non corrispondeva una uguale condizione di libertà mentale. L’attore, nel suo campo, in maniera non meno efficace di quanto facevano i letterati nel loro, sfiorava col ridicolo, per la prima volta, idee incrollabili e secolari, dava colpi maestri al cattivo gusto, all’esibizionismo, all’aria viziata. Il pubblico prima s’indignò, poi cominciò a ridere. Parecchi idoletti cominciarono, da un giorno all’altro, a trovarsi senza piedistallo : gli «scherzi» di Petrolini rarefacevano la buona fede che, soltanto, permette il vivere indisturbato di certi fenomeni sociali. La società cambiava pelle e Petrolini indicava i brani prossimi a cadere. Di conseguenza, p. es., gli scrittori non ebbero più il crampo degli scrittori, le donne fatali finirono nelle caricature, le «grandi» attrici vennero riportate ad una più umile misura di sé stesse; scomparvero, per qualche tempo, i conferenzieri, gli spaccamonti e i calamai agli occhi.

Tutto ciò che non doveva essere più preso sul serio si trovò in difficoltà, una folla di snobs rimase scoperta e immobilizzata dal ridicolo, l’umorismo prese strade nuove, insegnò a sorridere e a «prendere in giro». In fondo a Petrolini, più che un Pulcinella, c’era un Teofastro o un Tackeray che si serviva di ogni mezzo per illustrare i vizi inutili dei suoi contemporanei. Far girare su un fonografo i dischi di Petrolini, equivale a ritrovare un mondo perduto di cui ci dimentichiamo spesso l’esistenza. Usufruendo l’esperienza dei futuristi fa sapere ai poetini del millenovecentododici che anche il suo animo è pieno di cose inespresse, p. es. «desiderio di morire, salamini e caffelatte».

Perché non credere che l’ondata dei viveur* del dopoguerra fu rovinata in parte dalla ferocia dei suoi ritornelli? Il suo giovane gaudente si alzava dopo una notte «d’orgia» e implorava : «Nina - prestami la cocaina - ché la prendo a colazione - pensando a Gastone» : dove si vede che l’idea del prestito» e della «colazione» mischiata alle pratiche viziose finiva per ridicolizzare queste irreparabilmente. La satira petroliniana era indulgente e comprensiva, romana e cattolica, perciò si riscattava.

La sua disposizione a spingere il gioco agli estremi doveva creare il «petrolinismo» degli imitatori che credevano il gioco molto facile. Ma il nostro attore aveva un fondo di malinconia classica cui appoggiarsi e quanto sembrava in lui superficiale c incosciente veniva invece dalle sagge radici romanesche e dalla placidissima convinzione dell’inutilità d’ogni cosa. I suoi aforismi elementari, che tagliano il nodo c scoprono l'autodidatta, ce lo mostrano come il primo innocente esemplare di «scettico blu». (e L’uomo è un pacco postale che la levatrice spedisce al becchino». «Fortunato l’attore cui nessuno ha insegnato a recitare perché cosi, non sapendo recitare, reciterà benissimo»).

Petrolini morì in un appartamento di una casa «razionale» di pessimo gusto, con un cipresso che gli svettava proprio davanti alle finestre. Non amava quei tipi, scomparsi e poi riapparsi sotto altre vesti, che sfoggiano il gran vocabolario e si compiacciono d'ascoltarsi : perciò li utilizzava. In tutte le sue commedie c’è il personaggio che parla «pulito» e dice parole difficili. «Vacuo», «urge», «incongruo». Persino lo sciagurato Chicchignola, venditore ambulante, dice alla moglie : «Ti turba il dialogo?» * Dialoghiamo!». Il pubblico gli era riconoscente.

Appunto di Chicchignola la compagnia comica diretta da Raffaele Viviani ha ripreso le gesta sul palco-scenico dell’Eliseo, in questi giorni. Come può, pensavamo, il sentimentale e appassionato comm. Viviani entrare in panni così diversi da quelli «macchiettistici» che usa portare di solito sulla scena? Bisogna dire che i nostri dubbi sull’incompatibilità tra intelligenza e istinto sono stati risolti dalla buona volontà dell’attore napoletano. Viviani ha mostrato di capire Petrolini, ha lasciato intatta la tessitura del personaggio, il suo strabiliante linguaggio, la sua calma da finto tonto. Chicchignola è tornato a rivivere davanti a noi, dopo parecchi anni, con tutta l’evidenza necessaria.

Dopo i tre atti, che narrano la storia di un povero disprezzato, che si scopre alla fine per una persona di gran cuore e intelligenza (un motivo caro a Petrolini, certamente autobiografico), Viviani è ritornato sé stesso, recitando alcune macchiette napoletane. Ed ha finito con una sua poesia, composta in occasione della visita del Re a Napoli, che comincia con questo formidabile verso : «E permesso salutarLa? Benvenuta, Maestà!...».

Ennio Flaiano, «Oggi», 31 ottobre 1940


A mezz’agosto, verso il tardo pomeriggio, a Roma, nella bottega darle del cavaliere Galassi, in Piazza di Spagna, Ettore Petrolini è in contemplazione di alcune preziose tele di Antonio Mancini, di Gioacchino Toma e di Luigi Galli, il pittore pidocchioso mendicante e pazzo, il quale, però, dipingeva da savio e con un pennello prestigioso e delicato, Madonne e Principesse, Gesù Bambini e angioletti cicciosi dentro auree ed incantate luci e trasparenze di paradiso.

D’improvviso aprendo, anzi spalancando, gli enormi occhi magnetici, Petrolini aveva incominciato a commentare un quadro del Galli, con la Madonna e il Divino Infante: «Ah il Bambinello. Guardatela quest'innocenza rosea e paffuta! E’ una sciccheria !». Poi, di colpo, l’Attore aveva interrotto il monologo ammirativo e, passando ad altro argomento, aveva continuato con gravità beffarda e quasi straziata: «Certi critici dicono che sono un comico sguaiato e scurrile. Niente affatto. No! No! Io parlo semplicemente senza sottintesi, perchè sono romano e odio l'ipocrisia. Posso giurare che anche quando facevo le macchiette sui palcoscenici più abietti e miserabili, non ho mai deriso i Sacramenti, non ho mai offeso il Signore, non ho mai mancato di rispetto alla Vergine Santissima».

I suoi amici ricordano che il Maestro della satira recitata non solo sul palcoscenico ma pure nella vita quotidiana scherzava di ogni cosa umana, dei cosiddetti grandi uomini e della loro meschinità: ma rispettava, tra superstizioso e rabbrividito, le cose eterne che — diceva — sono le uniche. Poiché allora era già nel dominio dell'Eguagliatrice parlava spesso della Morte, impavido come lo sono raramente gli attori. Infermo inguaribile, Petrolini volle e seppe recitare la parte di agonizzante da inimitabile artista. Con un’atroce preveggenza pronosticava in sua fine. Costretto finalmente a mettersi a letto, perchè preso da una gran febbre, Petrolini non aveva voluto spogliarsi, togliersi i pantaloni ed i calzini. Tra un attacco e l’altro del male inesorabile, nelle brevi tregue, parlava di teatro, di «stagioni a e di copioni. E ricordava, smagrito e fantomatico, la figura di Mustafà, la più tragica più patetica e più commossa delle sue «creazioni».

La sottomessa e fedele compagna della vita e del palcoscenico avrebbe voluto che il suo Ettore potesse riconciliarsi col Signore prima di partire per il gran viaggio. Ma non osava parlargliene; temeva di terrorizzare quell'anima sensibilissima, attaccata alla vita e, tuttavia, presaga dell'imminente fine: temeva di fare un passo falso. Avevo però fatto sapere al parroco di Santa Maria del Popolo, un pio monaco, che il più grande e più puro discendente della Commedia italiana era in fin di vita. Il parroco avrebbe desiderato una chiamata dall'infermo, timoroso di una ripulsa. Il buon sacerdote non aveva mai avuto a che fare con attori ed attrici. Li pensava, forse, in sua semplicità, irrigiditi nello scetticismo o nella miscredenza.

Gino Carocci, amico di Petrolini, era stato informato della cosa. Preoccupato che il grande artista potesse morire senza Sacramenti ne parlò con monsignor Enrico Pucci il noto sacerdote-giornalista che è, come lo era Petrolini, bibliofilo e collezionista sapiente e. di gran gusto di pitture dell'Ottocento. Don Pucci era in buoni rapporti con Petrolini col quale faceva, non di raro, lo scopone a Castel Gandolfo quando, informatore vaticano, si recava lassù durante le villeggiature di Pio XI: assicurò Carocci che, in accordo col parroco, sarebbe andato a trovare il buon amico in giornata. Quando Petrolini fu avvertito che Monsignore desiderava salutarlo si mostrò contentissimo e lo accolse come un fratello, ma con grande rispetto. Monsignor Pucci rimase a lungo al capezzale del malato, lucidissimo di mente e sereno. Dopo averlo confessata domandò se l'indomani mattina sarebbe stato contento di ricevere il Signore nelle Specie Eucaristiche. «Sarò felice — aveva risposto — tanto felice della grazia!». Afa il mattino dopo Petrolini era in tali condizioni da non poter ricevere neppure una particella dell’Ostia Consacrata. Non poteva deglutire neppure una stilla d'acqua. Per tre giorni Monsignore andò alla casa del morente col Signore. Lo trovava sempre peggio: temeva di non poter valicare l'amico, l'agonia del quale era seguita — con commossa trepidazione — da migliaia e migliaia di italiani che avevano goduto la sua arte incomparabile. La mattina della giornata del trapasso il sacerdote aveva trovato Petrolini più sollevato: poteva parlare; poteva deglutire. Dopo aver pregato insieme, il sacerdote comunicò il morente, il quale, lo ringraziò più con gli occhi pieni di lagrime che colle parole. Il moribondo dopo qualche istante disse alla moglie e al sacerdote: «Ora lasciatemi solo col mio Gesù». I due obbedirono. Passarono cinque, dieci minuti, un quarto d’ora buono. La moglie, il medico, monsignor Pucci, preoccupati, osarono allora aprire la porta della camera, senza far rumare. Ettore Petrolini, s’era restilo da solo, con un sovrumano sforzo di volontà, e si era inginocchiato ai piedi del letto, le braccia alzate, gli occhi in estasi, a Che hai fatto?» — gridò la moglie avvicinandosi al dilettissimo per sollevarlo e riporlo sul letto. Ettore Petrolini si alzò da solo, si buttò tra le braccia del sacerdote, pure commosso alle lagrime. Poi distendendosi sul tettuccio bianco disse: «Ora posso andare all’altro mondo».

Poche ore dopo, l'ineguagliabile Comico spirava, francescanamente sereno e quasi beato.

Emilio Zanzi, «Il Dramma», 1 gennaio 1943


Il mio amico Pelrolini è saltato fuori dalla tomba. Sento vagamente che l'espressione è macabra ma non la cambio. Anzi è grottesca. E appunto per ciò la vedo in linea con il grande attore che dell’umorismo agro fu il rappresentante più ingegnoso, e degli sfondi neri fu un amico più stretto di quanto a tutta prima non apparisse. Petrolini, del resto, è sempre «saltato fuori» da qualche cosa: dalla norma recitativa e dal buon senso comune; dalla realtà che deformava a capriccio, e dalla pigrizia mentale che staffilava acutamente; dalla pace borghese e dall’arte consuetudinaria.

Una bomba anglo-sassone, rovistando ora quel cimitero del Verano che tanto spesso solletica i sadismi sacrileghi degli aviatori nemici, ha scoperchiato la sua tomba e ne ha dissepolta la spoglia. Petrolini, il naso a raffio, gli occhi splendenti, la bocca ironica, è riapparso così alla terra un attimo — memoria di una maschera indimenticabile — e ha filtralo uno sguardo sul mondo. La scena potrebbe essere scespiriana (perdono, Petrolini, se parlo di scena a proposito delle tue spoglie, ma anche questo, come sai, è vizio di teatro; e non parlava, Dumas figlio, di scena a proposito del padre morto, vegliato dalle fiamme dei ceri, e non è il mondo intero una scena, forse, dal motto di Molière in poi, scena, nient’altro che scena?), il caso, diciamo, potrebbe essere scespiriano, ma avrebbe eccitato in lui — se l'avesse preveduto — il gusto amaro e lo spirito ironico anziché l'elucubrazione e la discettazione.

Molta dell'arte di Petrolini recava infatti il gusto di un’intelligenza curiosa di problemi superiori, tutto il suo lungo vagabondare fra le genti più diverse aveva affinato un certo suo spirito di osservazione che trascendeva le immediate apparenze dei tipi per tentare le metafisiche avventure e le eliche illuminazioni. Naturalmente l'uomo non ne veniva a capo: sprovvisto di simpatie culturali, incapace, per sua fortuna, data la versatilità e l'estrosità del temperamento, di avvicinarsi con passione vera a teorie e a dottrine, risolveva i dubbi e colmava il mistero con l'improvviso soccorso dell'indifferenza scettica, e allora compariva l'attore, ch'era tanto spesso, in lui, la continuazione, il commento, l'identità dell’uomo: perciò l'attore sberlava e rideva con una facilità e un’allegria che molto spesso non riuscivano a nascondere una specie di acredine, di violenza e di polemica di cui il bersaglio era più lontano di quanto non si credesse; perciò, a poco a poco, da questo intimo tormento di uomo intelligente, guidato da una sensibilità d'eccezione a muoversi nella vita come in un caos di cui cercasse la chiarezza plastica, Fattore scendeva ad irridere, a colpire, a deformare gli elementi stessi di questo caos.

Non per nulla serpeggiavano intorno a Pelrolini due specie di ammirazioni diverse: quella del popolo che gli voleva bene come a una proiezione propria, come a un interprete clamoroso e beffardo di sentimenti collettivamente e confusamente intesi, come ad un irradiatore di allegria stimata fine a se stessa, quella dei letterati, degli intelletti colti, i quali vedevano in lui una specie di benefica anarchia contro-corrente, una natura volta alla polemica antipaciosa, l’esemplare dello spirito antiletterario.

Agli stranieri (in Germania era celeberrimo) piacque appunto per l'inadattabilità a una recitazione normale, per le fughe nella fantasia immediata e nel capriccio straordinario. Uomini come Gordon Craig che lo aveva dilettissimo, come Kerr, come Reinhardt, lo sentivano inafferrabile, inclassificabile, lo guardavano come il risorto paladino della commedia dell'Arte, lo ritenevano l'ultima maschera filtrata fino ai nostri giorni da misteriosi processi di elaborazione e rammodemnta dal soffia della vita contemporanea. A Petrolini, la definizione piaceva, e lo aveva spinto a rintracciare le sue patenti di nobiltà, a conoscere di persona, nei libri, le maschere che istintivamente egli riplasmava sera per sera, giù giù fino alla commedia plautina, fino alla satira aristofanesca. Ma spesso se ne stancava; alzava le spalle, storceva quel viso grifagno, così mobile e così intelligente, buttava il libro ed esclamava con una punta d’ironia: «Ne sanno più di me». Rinasceva la beffa, rinasceva il gusto della deformazione. E beffa ancora, anche se tragica nel lugubre colore, è questa avventura postuma del nostro amico; questa bomba cilene sconvolge la dimora estrema, questa bomba idiota che non può riconoscere il superiore regno delle ombre e degli spiriti liberi e vi immette l'urlo della bestialità d'olire oceano. Petrolini stesso, in qualcuno dei libri — che di tanto in tanto pubblicava a raccoglier commenti e aneddoti o ad avventare strali — ha scritto che «l'idiozia è la sola fuga possibile da questo mondo troppo logico, dove esistono troppi problemi insolubili e troppe domande senza risposta». Aihimè l'idiozia — e non la sua, che la sua era un’idiozia tanto raffinata da diventare un proverbio, un simbolo e un modo di pensare — l’idiozia criminale lo ha messo in fuga dal sereno lontano misterioso mondo che tutti gli artisti, coscientemente o meno, vagheggiano, e lo ha tratto a noi, un attinto, come un demonio o un angelo, al tuono della bomba, alla folgore del sacrilegio. Vengono alla mente i suoi celebri dialoghi d’altri tempi: «Perchè la Terra gira?», «Perchè sì». «Perchè il male non è bene?», Perchè sì». «Perchè si muore?». Già, perchè si muore, Petrolini, se neppure la morte suscita reverenza? «Perchè sì». E la bocca si contrae nel postumo sarcasmo.

Silvio Giovannetti, «Il Dramma», 1 giugno 1944


«Film», 2 settembre 1944 - Petrolini


Ricordi di un grande attore . L'esordio di Petrolini in un riformatorio piemontese

Dall’Orto Botanico di Roma a Bosco Marengo - La prima recita a 13 anni - La sommossa e il processo nella cella di rigore

Ettore Petrolini iniziò la sua carriera di attore nel riformatorio di Bosco Marengo, presso Alessandria. Aveva tredici anni ed era un discolo della peggiore risma. Il teatro delle sue gesta, sino allora, era stato l’Orto Botanico, a Roma, dove ne aveva fatte di cotte e di crude. L’ultima prodezza provocò le ire della polizia e l'indiavolato Ettore, colpevole di aver ferito un compagno col bastone e di esser fuggito a gambe levate dopo il misfatto, fu arrestato e spedito nella casa di correzione piemontese.

Un indimenticabile stanzone

Il direttore, ignaro che quello scugnizzo romano sarebbe un giorno divenuto il beniamino delle platee di tutto il mondo, non lo accolse di certo con luminarie e rinfreschi e dopo a- verlo fulminato con uno sguardo da sparviero lo rinchiuse subito in cella perché meditasse sulle sue colpe. Le meditazioni durarono la bellezza di otto giorni e al nono il povero Ettore, ridotto a uno scheletro, fu trasferito nel laboratorio dei sarti, uno stanzone grigio e scuro che non riuscì a dimenticare per tutta la vita. Infatti 25 anni più tardi, trovandosi a visitare il riformatorio, pregò il nuovo direttore di farci dare qualche pennellata di rosso o dì turchino per renderlo meno deprimente e odioso ai ragazzi costretti a lavorar li dentro. Un giorno, poi, nell’istituto fu organizzata la recita di una farsa da fiera, « Franconi e Timiducci », e a Petrolini, che imparando a cucir bottoni e toppe si era già messo in evidenza per la sua straordinaria bravura nel far boccacce e improvvisate lazzi irresistibili, fu affidata la parte del buffo. Il terribile discolo dell’Orto Botanico non aveva mai calcato le tavole di un palcoscenico, ma sin dalla più tenera età si era sentito attratto dal teatro e tanto in lui era forte l’istinto dell’attore che ogni qualvolta s’imbatteva in un corteo funebre bisognava si accodasse ai parenti e fingesse di piangere a dirotto e di lamentarsi disperatamente per farsi compatire e credere il figlio del morto. E non era raro che i passanti di piazza Navona lo incontrassero curvo e stremato sotto il peso di una cassa più grande di lui: la cassa, nemmeno adirlo, era vuota e il ragazzo improvvisava la commedia per il gusto di gabellare il falso per il vero, per il piacere matto di recitare. Figuriamoci, dunque, l’impegno messo nel suo esordio.

E riuscì tanto bene nella parte di buffo che compagni e superiori si smascellarono dalle risa e di colpo Ettore divenne l’inquilino più popolare della casa di cor- rezicne di Bosco Marenzo.

Una clamorosa scenata

Tale popolarità, però, doveva nuocergli e, infatti, quando venne scoperto il complotto per una rivolta, fu subito incolpato di complicità e scaraventato in cella di rigore. Il povero «buffo» non sapeva nulla della sommossa, ma le sue proteste d'innocenza non lo salvarono dal processo che si svolse nella cella stessa. Da presidente fungeva il direttore, da difensore il cappellano e da teste una guardia — Monsù Savio — che lo accusò senza misericordia. La sentenza fu spiccia e inesorabile: un mese di rigore coi primi dieci giorni a pane e acqua. Il «condannato» rimase inebetito sul pancaccio, annientato dall’ingiustizia consumata ai suo danni. La reazione, in compenso, venne presto. L’innocente Petrolini fece il diavolo a quattro, prese a urlare come una sirena in periodo di allarme e a pestare pedate contro l'uscio, fracassò il boccale, invocò la mamma, i santi, il padre, lo zio, sino a che la porta non si apri 1 e apparve il direttore in persona accompagnato da due secondini muniti di due spettrali lanterne. A quella lugubre luce l’indemoniato ragazzo, che seguitava a urlare come un ossesso, fu assalito e legato con una solida fune e appena ridotto all’impotenza ricevette in premio uno schiaffo dall’arcigno direttore al quale rispose con tutte , le imprecazioni romanesche che gli vennero a portata di lingua.

La clamorosa scenata gli valse il titolo di «pericoloso» ed il trasferimento, scortato da due ' carabinieri, alla casa di rigore di Forti. Nel viaggio gli furono esse le manette come ad un volgare delinquente, ma Petrolini non se la prese. Anzi! Ne profittò per improvvisare una bella macchietta di detenuto vecchio, malato, triste, affranto dagli anni e dal dolore. Coloro che viaggiavano sul suo stesso vagone presero a cuore la sua sorte, le donne versarono qualche lacrimuccia di compassione e gli stessi carabinieri, commossi e addolorati, a ogni stazione scendevano dal treno per comprargli a loro spese bibite e panini. Ma a farli dovevano finire per Petrolini le sue disgrazie di corrigendo e cominciare quelle di attore sul serio. I primi anni della carriera non furono, però, nè facili nè brillanti. Debuttò a Compagnano (un paesino del Lazio), sotto il pseudonimo di Loris, nella compagnia di Angelo Tabanelli detto il Panzone che dal nuovo immediante pretendeva quattrini invece di darne, lavorò al «Gambrinus» di Roma per sei lire al giorno (si era nel 1903)' e nei caffè concerto di piazza Guglielmo Pepe, installò una compagnia propria che a Velltetri naufragò sotto una pioggia torrenziale e si ridusse a recitare alla «Scaletta» di Civitavecchia per un «pizzico di bronzo» castagnacci e pizza di ceci. L’ex-inquilino di Bosco Marengo non riusciva a «sfondare».

Per raffermarsi della sua nell’ultima avventura da «disperato» degna delle prodezze dell’Orto Botanico gli accadde nel 1905 a Firenze, dove fu scritturato da Giovanni Puma, «buffo napoletano». Le prime recite andarono benissimo e il capocomico rimase soddisfatto del giovane acquisto. I dolori vennero fuori la terza sera, quando, finito lo spettacolo, la «troupe» si riunì sul palcoscenico per consumare un lauto pranzetto. Sul più bello del festino un terribile puzzo di bruciato ferì le narici dei commensali, Petrolini impallidì, ricordò di aver lasciato accesa la candela sul tavolo comune della truccatura, accorse, trovò che le fiamme attaccavano il corredo della prima donna, afferrò un secchio d’acqua e annaffiò il suddetto corredo rovinandolo per sempre. Un disastro! Considerata la brutta parata e vista la prima donna inviperita pronta a saltargli addosso, Petrolini abbandonò banchetto e compagnia gettandosi come un fulmine fuori di teatro. Ma prima di uscire, ai suoi già ex-colleghi, gridò con quanto fiato aveva in corpo: « Li mostacci vostri! ».

Aldo Santini, «La Gazzetta del Popolo», 6 gennaio 1949


Tiritere e filastrocche del grande Petrolini

Nelle "assurdità” del comico romano si anticipano i motivi di tutta una scuola satirica che da Rascel e da Totò arriva fino a lonesco.

Quando, incisa in quei dischi pieni d’anni e di fruscii, ascolto la voce di Petrolini mi pare tutto un sogno: che ci sia stata quell’Italia, voglio dire, l'Italia fino al ’36, l'anno in cui il grande attore morì, poco dopo la proclamazione dell’Impero; e che, affondata nella polpa di quell’Italia, ci sia stata quella voce, che scavava come un baco in un frutto; ed era meglio il baco.

C’è in quella voce l’antica tristezza italiana, la cui radice si perde nei secoli, quello scetticismo feroce e insieme malinconico, quella monumentale solitudine che ci sono stati lasciati in eredità da una storia illustre e cenciosa. Quella voce acida e irridente, quel tragico sogghigno sono davvero oggi, per noi italiani, un richiamo della memoria inconscia. L’acuto Pietro Bianchi ha ragione quando, nella prefazione ad una recente raccolta di testi petroliniani, scrìve che Petrolini «era il rappresentante più forte, più tipico dell’antica Italia, frenetica, rissosa, dolorosa, del ’600. Era l’ultimo superstite di una grandezza che non andava più d’accordo coi tempi moderni». Questo vedere il grande comico stagliato sullo sfondo di una luce caravaggesca è indubbiamente un’idea, oltre che una felice immagine poetica.

Ma quali sono i testi che qui vengono offerti al lettore, tolti dalle varie pubblicazioni che ne fece a suo tempo Petrolini stesso? Sono quasi tutti i più noti, le famose tiritere, le filastrocche, i couplets delle immortali macchiette, da «Gastone» a «Giggi er Bullo» a «Fortunello». Ci sono il bozzetto Romani de Roma, la commedia in tre atti L’ottobrata, 1 atto buffonesco del Nerone, gli stornelli del «Sor Capanna» e molte altre cose ancora. Manca, per ragioni di proprietà editoriale (ed è un peccato) quella che è certo la miglior commedia di Petrolini autore: Chicchignola.

Il fatto singolare è che molti di tali testi, anche privati della vita che dava loro quella voce inimitabile, stanno in piedi benissimo. È inutile ricordare che Petrolini è alla radice di tutto un teatro. Non c’è, si può dire, comico di rivista che non abbia contratto con lui dei grossi debiti; ma mentre quasi tutte le filastrocche di Rascel o i testi delle macchiette di Totò (tanto per citarne due dei più tipici fra i tanti) sono puramente funzionali. certe «assurdità» di Petrolini precedono di tren-t’anni, con molte pagine di Campanile, il teatro di Ionesco. Esempio: Domenica scorsa i coniugi Alfani sorbivano tranquillamente il caffè sul balcone della loro abitazione quando, in seguito a un falso movimento, cadde la conversazione. Alcuni passanti la raccolsero esanime sul marciapiede sottostante. Oppure, nella immortale serie dei «Salamini»: Mi chiamo Ambrogio - Ho l’orologio - che segna sempre - le ventitré - Chi sa perché. - E quando piove - riparo dove - l'acqua non cade - sopra di me. - Chi sa perché. E ancora: Fiore di virgoletta e di bacillo - quando ti vedo mi fa male un callo. - Ti amo come si ama il coccodrillo. -Fiore di pippa spenta in bocca a un pollo - sei bella più del grasso del cappello - più di una busta senza francobollo.

La forza di sconsacrazione del luogo comune, del cliché di moda, del vacuo sentimentalismo, della retorica letteraria, di certi tromboneschi atteggiamenti politici fa di Petrolini un’immagine guizzante, un fantasma beffardo volta a volta in frac e cilindro («Gastone»), in parrucca rossa e zoccoli ( «Ti ha piaciato?»), in giacca corta e pantaloni attillati a quadrettini («Giggi er Bullo»). «Sguaiato, scettico, disordinato, dispregiatore, ironico, crudele, quello che interessa a Petrolini è di rovinare e mandare a male tutto quello che gli capita tra le mani o, meglio, tra le labbra», scrisse Alberto Cecchi, brillante scettico blu della critica romana tra il ’24 e il ’33.

Fin troppo facile scoprire, sotto tutto ciò, il risvolto tragico. Il dolore era segnato secondo linee geometriche su quel suo volto triangolare, misterioso, pallido. L'antico corrigendo (era stato mandato da ragazzo, per un fallo da poco, in un riformatorio piemontese) era arrivato a interpretare Pirandello, aveva recitato Il medico per forza di Molière alla Comédie Francaise, era riuscito a scrivere una bella commedia, Chicchignola. Ormai era noto e acclamato in tutto il mondo. Gli piombò addosso il male. Non si arrese. Come racconta Ghigo De Chiara in un documentato libretto su Petrolini, continuava a casa sua, fra letto e poltrona, il suo teatrino privato. Il medico badava a ripetergli: «Mi raccomando, immobilità assoluta, ne va della sua vita...». «Non mi sono mosso», lasciò scritto Petrolini: «La notte, dalla finestra, entrò un ladro mascherato e, rivoltella alla mano, mi gridò: “Se lei si muove è morto!’’. “Lo so”, gli risposi, “me lo ha detto anche il dottore...’’.» E quando s’accorse che era finita: «A cinquantanni! Morire a cinquant’anni, che vergogna!».’ Una battuta enorme, un punto esclamativo scagliato come un fulmine.

Lo vidi da ragazzo, una volta, al vecchio «Filodrammatici» di Milano. Recitava in una' commedia che non era gran che. Ma quando nell’intermezzo Venne fuori con la chitarra a tracolla, a cantare le strofe dei «Salamini», naso adunco, bocca a fessura di salvadanaio, occhi tristi; e a un certo punto si interruppe e gridò con voce a taglio di coltello: «Be’, si può sapere cosa c’è da ridere?», passò come un gelo nella schiena d’ognuno. Allora, nel silenzio allibito, lui scoppiò in una grande, fresca, fanciullesca risata e ricominciò: «Ho comprato i salamini e me ne vanto - Se qualcuno ci patisce che io canto...».

Roberto De Monticelli, «Epoca», 1961


Il re del varietà: Ettore Petrolini

Il teatro a ferro di cavallo — questa fatale calamita — mi attraeva irresistibilmente. E, sotto questa azione, all’età di quindici anni mossi il primo passo verso l’arte, recandomi dall’agente teatrale Giulio Fabi. Il quale, senz'altro, mi giudicò uno scemo, e mi disse: “Portami quattro scudi di mediazione e ti mando subito nella compagnia di Angelo Tabanelli (detto il Panzone) che agisce a Campagnano (presso Roma).”

Misi in costernazione mia madre; ottenni i quattro scudi, li versai al Fabi e, da esordiente da nido, munito di una trentina di lire e di un vecchio baule di famiglia pieno di cosucce linde e pinte, senza pretensioni, partii in diligenza per Campagnano.

Il teatro di Campagnano era un vecchio granaio municipale ove, la sera stessa dell'arrivo, debuttai con la macchietta: Il bell’Arturo. Al refrain, misi un piede sull’estremità di una tavola dell’improvvisato palcoscenico, fatto di tavolacce male inchiodate e che posavano su due cavalletti. Il mio peso fece sollevare una tavola e andai a finire di sotto con una elegantissima lussazione a un piede.

Il pubblico, regolarmente, si diverti un mondo e chiese il bis, mentre io piangevo dal dolore e dalla rabbia. Fu l’inizio del mio destino. Mi accorsi che ero veramente votato all’arte comica.

Ogni sera Angelo Tabanelli portava i comici — otto o dieci — a mangiare all’osteria di Panzaliscia e pagava per tutti, tranne che per me. Io pagavo il mio conto; ma, essendo rimasto con tre lirette in tasca, mi misi a pensare: “Ho fatto un buon successo; sono vestito meglio di tutti: perché non mi parla mai della paga? Forse vorrà darmi qualche cosa in più di quel che dà agli altri e aspetterà il momento in cui rimarremo a quattr’occhi, per non mortificare i miei compagni...»

Senonché agli sgoccioli delle tre lire, mi allenai ed affrontai il capocomico con molta disinvoltura: “A me, poi, quanno me paga?” Er sor Angelo, con gli occhi strabici, ringhiò: “Pagaaare?!! Pagare cosa? Ma che sei scemo? Ma chi t’ha cercato? Ma non vedi che qui non si va avanti? Io non ho più soldi!!! Anzi, contavo su te!” E, cosi dicendo, tirò fuori quella indimenticabile cartolina che precedette ed annunziò l’arrivo a Campagnano di Ettore Loris, primo ed unico mio nome di battaglia: “Carissimo Tabanelli, tra qualche giorno arriverà il comico Ettore Loris, un fa-naticone per lavorare sul teatro. Per quello che ti costerà, lo puoi pure scritturare. Non solo non gli darai nulla, ma all’occasione (che certamente non ti mancherà) potrà anche dare un aiuto alla Compagnia, perché figlio di gente che ha qualche soldarello. Ricordati di me. Voglimi bene. Tuo Giulio Fabi.”

Il sor Angelo mi lesse questo giulebbino di cartolina con la voce acida. Poi mi guardò — per la prima volta da che ero in compagnia — con gli occhi luschi ed aggiunse seriamente: “Anzi, io avevo pensato di pregarti di scrivere o telegrafare a casa tua per avere un centinaio di lire che t’avrei restituite a Nepi, la nuova piazza, dove faremo certamente affaroni.”

Io non sapevo se ridere, piangere, chiamare aiuto, o prenderlo a sganassoni. Invece non dissi nulla, perché mi venne come una paralisi alla lingua!

Giuro che avrei rubato o fatto di peggio per fornire le cento lire al Tabanelli, se almeno mi avesse esposto le cose diversamente, se si fosse rammentato che io ero un comico, o se avesse capito che io mi illudevo di esserlo. Ma la nessuna considerazione per il mio entusiasmo al palcoscenico creò l’irreparabile tra me e lui.

Me ne tornai verso casa e, inaspettatamente, trovai un compagno nel duolo. Era un pezzo grosso della Compagnia! Sosteneva la maschera del Pulcinella nelle farse; si chiamava Totonno Lombardo (attualmente fa il cachet cinematografico); deve avere una settantina d’anni. È una figura di uomo che mi è rimasta sempre impressa. Quando mi è dato d’incontrarlo m’intrattengo con lui molto volentieri; bonariamente mi dice: "Te ricuordi il bel Cocò?” ed io me ne compiaccio. Qualche volta vado a trovarlo perché è una delle poche persone sane che io abbia conosciuto.

Totonno mi disse: “Siente, Etturu! Io nun me fido cchiu ’e sta int'a 'sta fetente cumpagnia. Jam-muncenne a Roma a piede, e bona nottel” Adorabile ed indimenticabile Pulcinella!

Cosi si fece. Misi il baule sotto assegno sulla diligenza, e via da Campagnano a Roma.

Strada facendo, Totonno mi parlava di Pulcinelli celebri: Cammarano, Petito, De Martino, e del piccolo teatro Mercadante a Fona. Io soffrivo le pene dell’inferno perché avevo un paio di scarpe di pelle lucida, piuttosto strettine e non adatte, certamente, per quella... passeggiata. Provai a levarmele, ma fu peggio: perché la strada non era levigata e io non ero abituato a camminare scalzo. A quell’epoca, Vaselli non esisteva: ed io avevo l’impressione di camminare sopra l’ossi de persiche. Però dovetti rinfilarmi le scarpe dopo un chilometro a piedi nudi. Quale inquisizione!

Non fiatai più fino a Roma. Appena a casa, piombai a letto, stanco morto. Le mie sorelle m’interrogarono, mi supplicarono. Ma io non capivo nulla. Mi aveva preso il solito febbrone da cavallo col delirio dell’uomo. E nel delirio non vedevo che l’agente Fabi il quale, al momento di partire, mi aveva detto: “Tu farai molta strada!”

Infatti avevo mantenuto la promessa. Lo testimoniavano i miei piedi ch’erano diventati come quelli della statua di Ruggero il Normanno.

Durante la notte, sognai il Fabi in uno strano modo: me l’ero messo fra li denti e me lo masticavo addirittura!

E cosi, dopo una dormita di dieci ore, con le scarpe di mio padre — quelle della festa — mi precipitai in piazza dei Cinquecento, al concerto Gambrinus dove il Fabi funzionava da tirasti: e mi gli scaraventai addosso come un ossesso.

Il Fabi ebbe un lampo di genio. All’inizio del tafferuglio, mi disse due magiche parole: “Debutterai qui!”

Quelle due parole furono per me un balsamo ed una doccia fredda. Mi calmai; ma, diffidente e non del tutto convinto, volli che me le ripetesse.

“Si, si: debutterai qui al Gambrinus come buffo-macchiettista. Ti farò dare sei lire per sera con la mediazione del dieci per cento a me. Sei contento del contratto?”

“E quanti giorni farò?”

“Dieci giorni. E, se vai benino, ti riconfermerò per altri cinque giorni. Sei contento?”

Altro che contento! Debuttare a Roma! Al Gambrinus! Il Gambrinus (ora demolito) era una specie di chalet avanti alla Stazione di Termini. Locale di terz’ordine, ma, per me, di primissimo ordine. Per me era la Scala, il Teatro Reale dell’Opera, il Colosseo... Era tutto!

Vi rimasi tre mesi. Solamente, il Fabi mi fece comprendere che, trattandosi di una lunga stagione a Roma, dove avevo la famiglia e perciò meno spese, era ragionevole una riduzione di paga. Mi offri quattro lire serali, aggiungendo che il signor Stern, proprietario del teatro, si sarebbe comportato gentilmente con me.

Io accettai con entusiasmo. (E quando non avevo entusiasmo in quel tempo). Il signor Stern, la domenica — nelle doppie rappresentazioni — tra uno spettacolo e l’altro, mandava in camerino il portaceste a domandarmi se desideravo un caffè o un gelato. Io prendevo il gelato perché poi, lo offrivo alle canzonettiste. Cosi mi avvidi anche che, decisamente, ero votato ad essere gentile con le sciantose.

Due giorni prima di terminare il mio contratto, il signor Stern mi accordò una serata d’onore: in quell’occasione eseguii un duetto con Diana Paoli, la stella del programma. Applausi, bis, ed una medaglietta di argento dorato con la scritta: “La direzione della Birreria Gambrinus a Petrolini”.

Si, Petrolini. Perché al Gambrinus volli debuttare con il mio vero nome. Gongolavo dalla gioia. E in casa, presso la mia famiglia, faceva compassione a tutti!

Un mio zio, persona integerrima, morale e di buona lega — di quelli che non derogano e dicono sempre: a prescindere, ovvio, effimero, ecc. — dichiarò a mia madre che avrebbe preferito yedermi in un riformatorio (difatti più tardi ci andai) piuttosto che al Gambrinus, buffo di caffè-concerto!

Io, invece, ilare e giulivo, giravo tutta Roma per mostrare la medaglietta della serata d’onore... È cosi difficile avere l’onore, almeno per una serata.

Finiti i miei impegni al Gambrinus, mi sentivo talmente maturo ed esperto della vita teatrale, che cominciai subito a parlare di formare una compagnia stabile e movibile di arte varia. Anche in questa presunzione sono stato un precursore.

Ettore Petrolini


Note

  1. ^ Guido di Palma, Dizionario biografico Treccani alla voce corrispondente
  2. ^ Guido di Palma, op. cit. ibidem
  3. ^ Andrea Calcagni, Enciclopedia dei Loris-Petrolini, Roma, Fermenti Editrice, 2011, pag. 200.
  4. ^ Andrea Calcagni, Enciclopedia dei Loris-Petrolini, Roma, Fermenti Editrice, 2011, pag. 58.
  5. ^ Questo particolare è riportato dall'autore nella sua opera autobiografica Modestia a parte(1932)
  6. ^ Anton Giulio Bragaglia, Storia del Teatro popolare Romano, Roma, Colombo, 1958, p. 426.
  7. ^ Paolo Ruggieri, Canzoni italiane, Fabbri Editori, 1994, Vol. II, pag.24
  8. ^ Nello Ajello, "Petrolini, un idiota di talento", la Repubblica, 18 giugno 2006, http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/06/18/petrolini-un-idiota-di-talento.html
  9. ^ "Petrolini-La comicità surrealista", minuto 10:32, tratto da Rai Storia https://www.youtube.com/watch?v=TxjGAxIafZQ
  10. ^ Filippo Tommaso Marinetti e Bruno Corra, La risata italiana di Petrolini, Cangiullo, Balla, Bruno Corra, L’Italia futurista, 1º luglio 1917, p. 1
  11. ^ Radio1.rai.it
  12. ^ Cesare De Simone. Venti angeli sopra Roma. I bombardamenti aerei sulla Città eterna (19 luglio e 13 agosto 1943). Roma, Mursia Editore, 1993, p. 149.
  13. ^ Giuseppe Seganti, Massoni Famosi - Atanòr Roma 2005 ISBN 88-7169-223-3.

Riferimenti e bibliografie:

  • Raul Radice, «L'Europeo» anno XII, n.28, 8 luglio 1956
  • «In platea», Ettore Romagnoli, Zanichelli Editore, 1924
  • Mario Mangini
  • Avv. Giromoletti, «Café-Chantant», 23 maggio 1905
  • Manuel Pino, «Café Chantant», 20 novembre 1909
  • Tram, «Cafè_Chantant», 1 gennaio 1915
  • «Café-Chantant», 15 febbraio 1915
  • Tram., «Cafè Chantant», anno XIX, n.9-10, 11-26 maggio 1915
  • Francesco Cangiullo, «Café-Chantant», anno XXV, n.7, 27 maggio 1921
  • A. M. Inglese, «L'Impero», 11 maggio 1923
  • Giuseppe Bevilacqua, «Il Dramma», 1932 - Disegno di Umberto Onorato
  • Sandro Volta, «Il Dramma», 1935 - Disegno di Umberto Onorato
  • Eugenio Bertuetti, «Il Dramma», 1935 - Disegno di Umberto Onorato
  • «Il Dramma», 1 agosto 1936. Filosofia di Petrolini
  • «Corriere Emiliano», 30 giugno 1936
  • Ennio Flaiano, «Oggi», 31 ottobre 1940
  • Emilio Zanzi, «Il Dramma», 1 gennaio 1943
  • Silvio Giovannetti, «Il Dramma», 1 giugno 1944
  • «Film», 2 settembre 1944 - Petrolini
  • Aldo Santini, «La Gazzetta del Popolo», 6 gennaio 1949
  • Roberto De Monticelli, «Epoca», 1961
  • Ettore Romanelli, "Il Teatro Jovinelli. Varietà, avanspettacolo, attrazioni nel teatro più popolare di Roma", Nicola Fano, Officina Edizioni, Roma, 1985
  • "Guida alla Rivista", Dino Falconi e Angelo Frattini, "Accademia" Casa Editrice, Milano 1953
  • "Il Café Chantant", Mario Mangini, Ludovico Greco Editore, Napoli 1967
  • "Tessere o non tessere - I comici e la censura fascista", Nicola Fano, Liberal Libri, Firenze 1999

Opere di Ettore Petrolini

  • Nerone. Roma, Stabilimenti Cines, 1931
  • Gastone : due atti e tre quadri. Bologna, Cappelli, 1932
  • Petrolini nelle sue nuovissime interpretazioni: Benedetto fra le donne, Una gita pe' li Castelli Romani, Nannì, Chicchignola, Peppe er Pollo, Er gastigamatt. [Roma], Tip. Rinaldini, [193.?]
  • Ti à piaciato?!. Sesto San Giovanni, Barion, 1923 e 1933
  • Benedetto fra le donne: tre atti e diversi finali. Bologna, Cappelli, 1934
  • Chicchignola: commedia in tre atti. Bologna, Cappelli, 1934
  • Nerone; Romani de Roma ; prefazione di Anton Giulio Bragaglia. [s.l., s.n.], 1945
  • Teatro: i personaggi, Romani de Roma, L'ottobrata, Nerone, miscellanea. Milano, Garzanti, 1961
  • Teatro ; a cura di Annamaria Calò. Venezia, Edizioni del Ruzante, 1977
  • Il teatro ; a cura di Giovanni Antonucci. Roma, Newton Compton, 1993
  • Ti à piaciato ; con uno scritto di Rino Mele. Salerno, Rispostes, [1993]
  • Macchiette, lazzi, colmi e parodie ; a cura di Giovanni Antonucci. Roma, TEN, 1994
  • Bravo! Grazie!! : antologia petroliniana ; a cura di Vincenzo Cerami. Roma, Editori Riuniti, 1997
  • Teatro di Varietà ; a cura di Nicola Fano con la collaborazione di Annamaria Calò. Torino, Einaudi, 2004
  • "Il Cafè-Chantant", (Mario Mangini), Ed. Ludovico Greco, Napoli 1967

Scritti non teatrali

  • Modestia a parte. Bologna, Cappelli, 1931; ora introduzione di Nicola Fano. Roma, L'Unità, 1993
  • Un po' per celia, un po' per non morir... Roma, Signorelli, 1936
  • Al mio pubblico: scritti postumi. Milano, Ceschina, 1937 (raccolta di scritti pubblicata postuma dal figlio Oreste)
  • Memorie ; a cura di Annamaria Calò. Venezia, Edizioni del Ruzante, 1977
  • Facezie, autobiografie e memorie ; a cura di Giovanni Antonucci. Roma, Newton Compton, 1993

Audio e video

  • Alessandro Blasetti, Carlo Campogalliani. Antologia di Petrolini. Milano: Mondadori video, 1990 (video VHS, montaggio di spezzoni dai film Nerone e Medico per forza)
  • [Ettore Petrolini et al.]. I sempreverdi. [Roma], A. Curcio, c1991 (CD con fascicolo allegato, n. 34 del Dizionario della canzone italiana a cura di Renzo Arbore)
  • Il primo disco di Petrolini. [s.l.], Nuova Fonit Cetra, [1995] (CD audio contenente alcune registrazioni di interpretazioni di Petrolini)

Scritti su Ettore Petrolini

  • Mario Dessy, Petrolini, Milano, Modernissima, 1921
  • Ettore Romagnoli, Petrolini il grande, in La Platea, sere III. Bologna, Zanichelli, 1924.
  • Eugenio Bertuetti, Petrolini acteur novécentiste in '900, 3, Cahier de Printemps, 1927.
  • Silvio D'Amico, Petrolini, in Comoedia, X, 2, 1928.
  • Emilio Settimelli, Petrolini, in Gli odi e gli amori. Roma, Pinciana, 1928.
  • Silvio D'Amico, Petrolini in Tramonto del grande attore. Milano, Mondadori, 1929.
  • Antonio Aniante, Petrolini, manica larga, in Venere Cipriana. Roma, Tiber, 1929.
  • Umberto Onorato, Nuovo per queste scene, Bologna, Cappelli, 1931.
  • Ugo Ojetti, Lettera a Petrolini in lode ai romani in Pegaso, 1932.
  • Anton Giulio Bragaglia, Il segreto di Tabarrino, Firenze, Vallecchi, 1933.
  • Lucio Ridenti, Filosofia di Petrolini, in Il dramma, XII, 239, 1936.
  • Eugenio Bertuetti, Ricordo di Petrolini, in Il dramma, XII, 238
  • Renato Simoni, Teatro di ieri, Milano, Treves, 1938.
  • Augusto Jandolo, Le memorie di un antiquario, Milano, Ceschina, 1938.
  • Catalogo della biblioteca teatrale appartenente al celebre attore Ettore Petrolini: libri antichi, moderni, stampe ed autografi d'interesse teatrale e vali altri libri di arte, curiosità e dialetto romanesco […], a cura di Luigi Lubrano, Roma, Casa di vendite Guglielmi, 1938
  • Arturo Lancellotti, I signori del riso, Roma, Maglione, 1938.
  • Francesco Cangiullo, Le novelle del varietà, Napoli, Richter, 1938.
  • Lucio Ridenti, L'attore Petrolini, in Il dramma, XVI, 1940.
  • Rodolfo De Angelis, Caffè concerto: Memorie di un canzonettista, Milano, SACSE, 1940.
  • Silvio D'Amico, Maschera di Petrolini, in Rivista italiana del teatro, VI, I, 1942.
  • Mario Corsi, Vita di Petrolini, Milano, Mondadori, 1944.
  • Rodolfo De Angelis, Storia del café-chantant, Milano, Il Balcone, 1946.
  • Anton Giulio Bragaglia, Le maschere romane, Roma, Colombo, 1947
  • Mario Verdone. Petrolini e il cinema, in Sipario, IV, 39, 1949..
  • Mario Verdone, Un avversario dei divi: Petrolini, in Gli intellettuali e il cinema. Roma, Bianco e Nero, 1952.
  • S. G. Biamonte, La parte di Petrolini, in Cinema, 102, 31 gennaio 1953.
  • Ghigo De Chiara, Ettore Petrolini, Bologna, Cappelli, 1959.
  • Anton Giulio Bragaglia, Petrolini grande attore comico, Roma, Staderini, 1961.
  • Mario Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969.
  • Mario Verdone, Spettacolo romano, Roma, Golem, 1970.
  • Mario Dell'Arco, Café Chantant di Roma, Milano, Martello, 1970.
  • Mario Verdone, Petrolini e i futuristi, in Strenna dei Romanisti. Roma, Staderini, 1972
  • Giovanni Antonucci, Lo spettacolo futurista in Italia, Roma, Studium, 1974.
  • Giorgio Bertero, Petrolini l'uomo che deride, Milano, Bompiani, 1974.
  • Giovanni Antonucci, Cronache del teatro futurista, Roma, Abete, 1975.
  • Giovanni Antonucci, L'assassino del chiaro di luna, in Il dramma, 10, 1975.
  • Franca Angelini, Il teatro del Novecento: da Pirandello a Fo, Roma-Bari, Laterza, 1976.
  • Café-chantant ; a cura di M.T. Contini, M. Vannucci, P. Paganini, Firenze, Bonechi, 1977.
  • Stefano De Matteis, Ettore Petrolini, in Enciclopedia del teatro del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1980.
  • Giovanni Lista, Petrolini e i futuristi, Salerno, Taide, 1981.
  • Petrolini. Catalogo della mostra, Roma, Palazzo Braschi, 12 ottobre-28 novembre 1982, a cura dell'Associazione Culturale Witz, Roma, De Luca, 1982.
  • Petrolini: la maschera e la storia, a cura di Franca Angelini, Bari: Laterza, 1984.
  • Annamaria Calò, Ettore Petrolini, con un intervento di Franca Angelini, Firenze, La Nuova Italia, 1989.
  • ... Un po' per non morir: Ettore Petrolini a sessant'anni dalla scomparsa, a cura di roberto Alemanno e Angelo Lombardi, Roma, Bulzoni, 1997.
  • Petrolini: dalle macchiette a Molière: il percorso di un "comico", a cura di Maria Teresa Iovinelli, Roma, SIAE, 2003. (CD multimediale pubblicato in occasione della mostra)
  • Simone Soriani, Petrolini drammaturgo, in "Forum Italicum", vol 44, n. 2, 2010, pp. 301–342; ID. Ognuno discende dalle scale di casa sua. Petrolini e la commedia dell'arte, in "Atti&Sipari", 8, 2011.
  • Andrea Calcagni, Enciclopedia dei Loris-Petrolini. Tempi, luoghi e personaggi di una coppia di caffè concerto, Roma, Fermenti Editrice, 2011.
  • So' Ettore er poveta - Ricordo di Ettore Petrolini - deposito SIAE 1981 sezione OLAF, Commedia teatrale in due atti di Paolo Galli.
  • L'Archivio Petrolini, comprendente tutta la documentazione raccolta da Ettore Petrolini durante la sua vita (recensioni, fotografie, ritratti, caricature, lettere, copioni, appunti, costumi e oggetti di scena) è stato donato dagli eredi alla Biblioteca e Museo teatrale del Burcardo di Roma.
  • (EN) Ettore Petrolini, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
  • Ettore Petrolini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  • (EN) Ettore Petrolini, su Find a Grave.
  • (EN) Opere di Ettore Petrolini, su Open Library, Internet Archive.
  • Ettore Petrolini, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi.
  • (EN) Ettore Petrolini, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.
  • Ettore Petrolini, su CineDataBase, Rivista del cinematografo.
  • (EN) Ettore Petrolini, su Internet Movie Database, IMDb.com.
  • Petrolini dalle macchiette a Molière: il percorso di un comico mostra dedicata ad Ettore Petrolini, Roma, 2003
  • Il testo di Fortunello, su web.mclink.it.