Discorsi di Petrolini

1933 Ettore Petrolini g55

L’altra sera, mentre tu facevi Cortile, qualcuno ha riso!  — E perchè te dispiace! Che credi che a me dia fastidio quella risata, mentre nella commedia soffro o mentre dentro a me c’è la tragedia?  E Petrolini mi spiega:  — Vedi, quei che più io abborro in alcuni attori è la cappa funera che si pongono subito dalla prima scena di una commedia seria o di un dramma. Va bene; in un’azione drammatica è risaputo che ad un certo momento scoppia il dramma. Ma perchè l'attore se lo deve sentir venire addosso fin dalla prima battuta? Nella vita comune, viviamo forse così? Ci alziamo, forse, una brutta mattina con la convinzione che ci debba capitare la disgrazia o il dramma, e allora ci scomponiamo i capelli, allunghiamo il volto tragico, e camminiamo tra le nostre occupazioni consuete col passo fatale del predestinato? No: il dramma capita, e noi ci disperiamo con naturalezza, anche se cinque minuti prima avevamo riso a crepapelle.

Questo è un punto; ma poi ce n’è un altro. Il pubblico, una parte dei pubblico, sieno quattro, sieno dieci persone, stasera ha riso ad una mia «battuta», proprio mentre eravamo in piena tragedia. E va bene anche questo. Nella vita non avvien lo stesso? Non t’è mai accaduto dì sorridere o di ridere per una frase «scema», per un gesto involontariamente ridicalo, anche dinanzi ad un morto o di fronte ad un grande dolore? Se quelle dieci persone stasera hanno riso, è evidente che esse hanno trovato ridicolo un mio atteggiamento — naturale — bada bene, .naturale. E che m’importa? Soprattutto, che vuol che m’importi, se subito dopo anche quelle dieci persone hanno rabbrividito od hanno pianto, perchè io, sempre naturalmente, le ho fatte rabbrividire e piangere? 

1924 06 27 Il Piccolo Petrolini f1Vedi, ho assistito talvolta alle «prove» dei nostri attori, anche di alcuni nostri attori che il pubblico giudica grandissimi e mi son sentito rizzare i capelli. Ma come si fa a predisporre, come essi fanno, anche gli oggetti che dovranno servire alle loro scene di dolore o di ira o di spasimo o di quel che tu vuoi? Qui una sedia, per carità, una sedia, che mi serve per cader bene; là il tavolo, si, un poco più di sbièco, perchè altrimenti non posso appoggiarmici bene, quando debbo piangere! 

E così tutto! Ma si può recitare naturalmente una scena di gelosia e di dolore, per esempio, sapendo che ad un certo momento bisogna dirigersi a quel tavolo, prendersi il capo tra le mani in quella tale maniera, e piangere in quel tal modo che già abbiamo provato e riprovato nei loro particolari minuti? Ah! per me sarebbe una fatici terribile, alla quale non saprei sottopormi, senza recitare nella maniera più «guitta» del mondo! Del mondo teatrale, naturalmente... 

Hai capito ? Ho reso l’idea?— Ho capito . benissimo. L’attore deve sentire quando recita? 

— Per Dio ? Ah ! tu pensi che sa possa recitare, senza sentire? 

— Non io; ma molti lo pensano e... dà molto tempo. Conosci il «paradosso dell’attor comico» di Diderot ? 

— Non lo conosco; ma non fa niente. O un attore sente o non sente. E’ per questo che l’attore può far talune cose e tal’altre no. Ma bisogna esser veri, veri, veri. Sempre. Quasi tutte le nostre attrici e i nostri attori, per esempio, suonano al pianoforte, o il mandolino o la chitarra o quel che tu e loro valete... senza saperli suonare. Loro muovono le mani su la tastiera, e dietro le quinte un maestro suona! Ecco; per me questa finzione sarebbe assurda. Un attore deve recitare come vivrebbe, e non altrimenti... Ora tu nella vita ti sei mai portato dietroun maestro, per fingere di suonare... mentre non suoni?... E così tutto. 

Io debbo essere un ciabattino su la scena; ebbene perdio! io voglio, per lo meno sapere come un ciabattino prende i ferri e il cuoio e le scarpe, e come li muove, quando lavora. 

C’è stato un critico che parlando di me ha scritto : «Basta vedere come pulisce il coltello allo straccio, quando fa l’arrotino, coltello allo straccio, quando fa l’arrotino, per convincersi che Petrolini è un artista». Ma si, sono un artista, ma sono anche andato a fare l’arrotino, quando ho dovuto imparare a farlo! E i miei giuochi di prestigio nell'illusionista di Sabba Guitry son fatti davvero come li farebbe un prestigiatore. E se domani io dovessi fare il cameriere, imparerei prima il mestiere e poi farei la commedia ? Così tutto. Ma come vuoi, per esempio, che io sia naturale nel dolore e nella gelosia spaventosa di pagliaccio? Debbo soffrire mentre gioco a fare il buffone, ma come posso soffrire naturalmente, se non so prima di tutto naturalmente buffoneggiare?! 

A Milano, il mese scorso, capitai in un teatro, mentre si stava provando... Un grande attore dirigeva le prove ed insegnava ad un generico una certa frase... Mettiamo questa: Come sono lieto, cara signora, di vederla! Ebbene quella frase fu ripetuta dai grande attore, che insegnava e dal generico... che non imparava, almeno dieci volte... «Ma no ! l’accento della frase è qui... ma no... la parola da sottolineare è questa...». Già, perché ci sono anche le parole da sottolineare, se tu non lo sai! E io ridevo e soffrivo !... I miei attori sono modesti (dico modesti, non «cani» come quelli bravi), eppure io ottengo tutto da essi, sai perchè ? Perché li faccio recitare come sanno e come possono, naturalmente. Soltanto so quali «parti» mi possono fare e quelle «parti» che non potrebbero fare non glie le do. Li studio prima; li assaggio, li peso. E così non ho bisogno di sottomettere, me e loro, alle prove esasperanti, martirizzanti, ed... inutili! 

— Allora li realismo a teatro! 

— Vita, vita, vita. Anche nelle mie caricature, anche nei miei paradossi parodistici c’è la vita. Questo è per me il teatro! 

Io vivo su la scena, come vivo adesso con te, e su la scena porto tutto quello che nella vita ho osservato e... rubato. Perchè mettiti bene in testa, io rubo sempre e dovunque a tutti. L'altra sera venne da me in camerino un signore. Interessante! Io mi stavo truccando; ebbene, quel signore non se ne accorse, ma quando uscii dal mio camerino io lo avevo derubato! La salvietta bianca della mia toletta aveva raccolte, scritte con il lapis nero degli occhi tutte le sue frasi... e quelle frasi le ritrovai dopo poco in un mio nuovo «tipo». Io studio così. 

— Cosi soltanto ? 

— Si, leggo anche nei libri, ma c'imparo meno che dalla vita. 

Un solo libro mi ha molto insegnato: il vocabolario. Oh ! il vocabolario io lo adoro! ma adoro anche la strada altro meraviglioso vocabolario. Sono tanto contento che non mi abbia insegnato nessuno a recitare così non sapendo recitare recito benissimo. 

Il Portaceste, «Il Piccolo», 27 giugno 1924


Piccolo
Il Portaceste, «Il Piccolo», 27 giugno 1924