Mi confesso... di Ettore Petrolini

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1930 01 01 Il Dramma Mi confesso Ettore Petrolini intro

L'umorismo di Petrolini si proietta nella vita contemporanea, costituendone al tempo stesso la caricatura e il carattere, il grottesco e la tristezza. Il nostro secolo meccanica, è cosi anti-individuate che quando una individualità riesce a sfuggire ai suoi ingranaggi e si agita e si dibatte, dapprima ci stupisce poi ci conquista. Petrolini continua a stupirci conquistandoci ogni giorno di più.

Dopo avere studiato e consultato Tagore, l'orario delle Ferrovie, la tavola Pitagorica e l'Annuario dei Telefoni — senza voler parlare delle Leggi delle 12 tavole e del calendario Gregoriano — ini permetto di dire che è in l’atto di opere di teatro, difficilmente se ne potrà incontrare ima clic a prima vista non appaia noiosa. La materia della recitazione è nei libri di teatro quasi sempre immobile, se si eccettui qualcuna dejle opere scritte dagli scrittori attori come Sakespeare, Molière e Goldoni, E cioè quelle commedie o drammi clic alla lettura sembrano innocentemente melensi, oziosamente spiritose di uno spirito piuttostoi verebiotto. Si discute molto di teatni teatrale e «li teatro non teatrale.

A tale proposito i critici per fare impressione ci accoppano di nomi: Gwimplane, Gogol, Renard, Sliaw, Pico della Mirandola, Landra, Girardengo, Marinetti e la Mandragola di Nicolò Machiavelli.

Lasciamoli dire: la verità è che la maggior parte del teatro scritto dalla Commedia dell'Arte in poi è noioso e antiteatrale. Il fallimento dei teatri sperimentali non è colpa della incomprensibilità del pubblico, è originato soltanto dal fatto che in questi tempietti domina il più stomachevole e inutile rispetto dell'opera d'arte.

Che cosa direste voi se annunziandosi le nozze di un vostro amico con una bellissima donna vi dicessero elio lo sposo si è proposto di essere con lei rispettosissimo e a debita distanza? Nella stessa posizione sono coloro i quali professano per l'arte un rispetto che toglie loro qualsiasi' iniziativa, qualsiasi libertà, anche quando è il maggior segno di stima profittarne e abusarne con violenza.

L'opera d'arte va fecondata, giacche il fatto di essere conservata per iscritto è per essa una imbalsamazione, un artificio, un mezzo qualsiasi. Per renderla leggibile a me occorre aggiungerci un carattere che non è il sull'opera teatrale scritta è per me soltanto lo scheletro della rappresentazione L'attore clic meriti questo nome oltre al bagaglio «li immagini e di battute comiche prestabilite, deve avere una sensibilità del lambì ente in cui lavora, un senso speciale che non è altro se non il talento dell'attore. Il pubblico del teatro è in continuo spostamento e oscillazione. Basta un nonnulla per orientarlo, basta poco per metterlo in sospetto e in allarme. In tale continuo movimento il pubblico è come una materia compatta che spostandosi da un punto all'altro apre improvvisamente lo spazio vuoto o delle fenditure che minacciano tutta la compagine dello spettacolo. L'associazione delle idee ohe nelle sere di spettacolo lavora rapidissima quasi all'unisono nella mente degli spettatori, sono altrettanti pericoli di catastrofi cui deve far fronte l'attore coi suoi mezzi.

Per colmare queste fenditure degli spazi vuoti nel pubblico non basta l'opera recitata così com'è, come non bastano le vecchie risorse di trucchi teatrali predisposti e tradizionali, occorre avere un senno esatto di quello che domina il pubblico in quel momento e orientarlo improvvisamente a tradimento verso qualche idea nuova che lo colpisca all'improvviso e lo domini per qualche minuto.

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Una allusione a latti del giorno che formano il fondo dei pensieri di ognuno ma che nessuno si aspetta di sentirsi ricordare a teatro.

Una falsa intonazione.
Un fischietto.
Un versacelo.
Una scemenza.
Una malignità.
E in caso disperato una cattiveria.

Il pericolo maggiore è che il pubblico preveda tutto mentre si svolge la commedia, e che non si aspetti nulla di imprevisto e sia dominato da quel torpore di cattivo augurio che gli attori conoscono molto bene. Credo che i vecchi comici che interpretavano commedie (piasi sempre dello stesso soggetto avessero appunto il senso dello spazio vuoto. Altrimenti non si potrebbe spiegare la sopravvivenza di molti mezzi teatrali ehe hanno tutti lo stesso carattere, dalla recitazione dei comici dell’arte a quella degli attori più colti. Osservando bene si trova che hanno più resistenza di molte opere i mezzi buffoneschi più sfruttati, che essi sopravvivono da Aristofane a noi con una perenne attualità che molte opere teatrali non hanno.

Lo spirito dell’attor comico non sarebbe mai mutato, come si può vedere in quello che nelle commedie scritte sopravvive ai mezzi della recitazione: non sarebbe mai mutato lo spirito del pubblico che si è sempre lanciato accalappiare da tali mezzi, che a leggerli a tavolino sanno di scemenza, ma che riportati alla ribalta hanno una meravigliosa freschezza e una vita segreta che non si riesce a spiegare altrimenti che come un fenomeno segreto della creazione più personale dell'attore.

Come accade per gli effetti di tutte le arti, non ve ne sono di vecchi o di nuovi a teatro, come nelle parole o nei colori o nella musica non esistono effetti sorpassati inefficaci : sono tali soltanto quando sono usati a sproposito e fuori tempo. Essi diventano convenzionali se sono adoperati a colmare una insufficienza del creatore, poeta o attore che sia. Gli artisti sanno la straordinaria efficacia di un luogo comune, di una buffoneria risentita infinite volte, quando queste cose arrivano a tempo, riassumono una soluzione, in mezzo di espressione, danno un calcio alla logica, al senso comune, all'opera stessa e formano la vera e propria soluzione teatrale. L’attore che dispone di questi mezzi risolve da attore una situazione che nessun altro mezzo letterario avrebbe potuto risolvere con tanta efficacia; dà uno scappellotto alla storia e alla tragedia, piomba sugli spettatori e li prende nel pugno, tradisce la loro attenzione e se l'accaparra per qualche tempo, apre lui stesso nel dramma quello «spazio vuoto» che colma con una insuperabile bravura fino a quando non intervengono le risorse del letterato.

Un caso particolarissimo di quelle improvvisazioni con cui si riempie lo «spazio vuoto», è quello che io chiamo «slittamento» (l’uscire dalle dimensioni della finzione scenica passando per un momento in quelle della realtà. Per esempio parlando col suggeritore, ammonendo un rumoroso ritardatario, insomma trarre profitto di tutto, dal numero del seggiolino della poltrona lasciato cadere sbadatamente, all'immancabile pianto del bambino nelle rappresentazioni diurne).

Naturalmente bisogna essere «tempisti», e cogliere il momento sia di uscire, sia di rientrare nello «spazio scenico».

Lavorando su questo terreno per molti anni mi sono accorto che non esiste commedia, impossibile da recitare. Molti critici dicono, ed io lo riconosco senza difficoltà, che il mio repertorio è pieno di cose idiote che non sarebbero degne di stare accanto alle cose intelligenti che vi si trovano. Per me è lo stesso. La commedia la considero come un buon pretesto e null’altro. Io ho recitato nella mia vita delle cose stupidissime che avevano soltanto il torto di non essere a quel punto di imbecillità che desideravo e che alla fine, per ottenerle, dovetti inventare da me.

Nel periodo di musoneria italiana in cui un buon attore non era considerato taje se non si prestava alle parti lacrimose, io passai come un buffone distinto. Mi venivano a sentire per esclamare: «Quanto è scemo!». In quel tempo inventai il mio motto: «Più stupidi di cosi si muore», formulai in quel tempo due cose che amo sovrattulto: «I salamini e Fortunello», che considero il principio di quel modo di recitare che perfezionai attraverso parecchi anni di lavoro.

Molti critici mi proclamarono l’interprete della idiozia sublime, quella idiozia che è la sola fuga possibile da questo mondo troppo logico, dove esistono troppi problemi insolubili e troppe domande, senza risposta e dove esiste un’arte elle la sola logica non può avviare alle soluzioni estreme.

Basterà che ricordi come divenne grido trionfale e addirittura una formula, il primo verso dei «Salamini» : «Ho comprato i salamini e me ne vanto», e tutto il formulario delle risposte che risolvevano per me molti problemi: «perchè la terra gira? — Perchè si. — Perchè gli uomini sono fatti di carne e ossa anzichè di acciaio? — Perchè sì. E via dicendo con domande angosciose miste ed altre soltanto pettegole, fino alla conclusione illogica ma riassuntiva: «Ho comprato i salamini e me ne vanto».

Lo stesso sistema ho adottato nelle commedie e nei drammi che recito.

L'attore in momenti come questi non fa più dell'autobiografia, giacche io dò all'autobiografia in teatro una importanza pari a quella che essa ha nelle altre arti. Intendo un'autobiografia superiore, un modo di insinuare nell'opera i proprii sentimenti e punti di vista, la propria ironia o il proprio patetico come espressioni di uno stato d'animo individuale in cui tutti si riconoscono.

Ho fatto nei primi anni della mia vita, di tutto (a Piazza Guglielmo Pepe a Roma) nei teatri da quattro soldi i primi posti, a due i secondi... Dal camaleonte all'istrice, dal pappagallo sapiente alla scimmia imbalsamata, ora piangendo lacrime di coccodrillo, or ridendo il riso sesquipedale dell’ippopotamo. Fu un vita selvaggia, allegra e guitta, e un'educazione a tutti i trucchi e tutti i funambolismi davanti al pubblico, che magnava le fusaje (i lupini) e poi tirava le cocce (le bucce) sur parcoscenico al lume de certe lampene (lampade) cher fumo spargeva da pertutto un odore da bottega de friggitore. Di là sono salito al Caffè Concerto di second'ordine con la consumazione obbligatoria, dalle ribalte di legno ai palcoscenici di muratura, dallo spettacolo da quattro soldi con la grancassa e la parata all'entrata del Varietà con lire una d’ingresso.

Ho lasciato le foche sapienti e la donna barbuta (che era un uomo travestito) per le attrazioni ginnastiche e le canzonettiste deliziosamente ignoranti. Ho imparata in questa mia esperienza a sondare la stupidaggine, anatomizzare la puerilità a vivisezionare il grottesco e l'imbecillita dell'esistenza del prossimo, nell'arricchire il museo della cretineria, il sentimentalismo schifoso, le prosopopee, il trageismo ad ogni costo mi hanno attratto irresistibilmente, e la boria presuntuosa di qualche attore del teatro così detto serio, mi ha fornito molto materiale umoristico per il mio teatro. Alla fine, non profittavo più dello spazio vuoto del mio pubblico, ma lo creavo io stesso, e per non colmarlo, ma per tenere l'uditorio in quello stato di esaltazione in cui qualsiasi cosa si dica finisce per avere un senso o per non averne nessuno: più cretini di così si muore. Il mio ideale era ormai la creazione dell’imbecille di statura ciclopica.

Devo dichiarare che non mi sono mai preso le parti di estetizzante e di decadente, non mi sono mai entusiasmato alle metropoli, e da romano de Roma, preferisco a tutti gli asfalti nà strada serciata o un vicoletto co' li panni stesi che interrompano l'uniformità : non mi sono mai chiamato con tre nomi... e non per modestia. Mi sono tenuto sempre lontano dalla modestia per paura di diventare orgoglioso di essere modesto.

Ettore Petrolini, «Il Dramma», anno VI, n.81, 1 gennaio 1930


Il Dramma
Ettore Petrolini, «Il Dramma», anno VI, n.81, 1 gennaio 1930