Fregoli Leopoldo
(Roma, 2 luglio 1867 – Viareggio, 26 novembre 1936) è stato un trasformista, attore, regista e sceneggiatore italiano.
Fregoli! Come dire Zakatam! O Zip, o Flash...Una parola che evoca un effetto fulminante! ...star mondiale della belle Epoque ma ancor più enfant prodige senza tempo, così mi piace immaginarlo: un bambino che si diverte a trasformarsi, fare scherzi, sparire e apparire come un folletto iperattivo. E come ogni creatura di fantasia continuerà a vivere, perché noi ne abbiamo bisogno...
(Arturo Brachetti, Fregoli la biografia, 2011 [1])
È ricordato per la sua abilità nel trasformismo scenico che gli consentiva di cambiare in pochi secondi la caratterizzazione del personaggio che andava a interpretare. Considerato il trasformista per antonomasia, per lui è stato coniato il neologismo fregolismo, talvolta utilizzato per indicare un altro genere di trasformismo, il trasformismo politico. In riferimento a lui è stato coniato anche il termine sindrome di Fregoli, relativo a una malattia psichiatrica caratterizzata dal delirio di persecuzione da parte di un individuo che, ogni volta, appare con una fisionomia diversa [2].
Biografia
Figlio di una famiglia di modeste ma dignitose condizioni (il padre era maggiordomo del Conte Luigi Pianciani, primo sindaco di Roma), orfano di madre dall'età di cinque anni, fin dall'adolescenza, Fregoli (come veniva semplicemente chiamato) pur cambiando molti lavori, iniziò a frequentare alcune compagnie teatrali, fece diverse esibizioni come comico, illusionista e anche cantante.
Durante il servizio militare svolto in parte a Massaua in Africa diede vita ad alcuni spettacoli, esibendosi con numeri di magia e monologhi teatrali. Per via dello scarsissimo numero di attori fu costretto a coprire da solo diversi ruoli, con molti cambi d'abito e di carattere. Nacque così il genere di spettacolo su cui costruì la sua carriera artistica: il trasformismo.[3] Negli ultimi mesi del 1890 tornò a Roma ricominciando dalla gavetta nei locali romani. Notato da un influente impresario teatrale debuttò ufficialmente nel marzo 1891 presso il Cafè-chantant "Esedra"[4]
Nel 1892 fondò una compagnia teatrale, (Compagnia di Varietà Internazionale) con la quale, nel giro di un biennio, fece spettacoli in tutta Italia[5] sfruttando le sue doti di trasformista e l'abilità di cambiare voce, abiti e modo di muoversi con frenetica velocità. Nel 1893 si sposò con Velia, una ragazza conosciuta un anno prima a Livorno durante una sua tournée.[6]
Nel 1894 debuttò all'estero presso il teatro Principal di Barcellona, dando poi vita ad una tournée spagnola che toccò le città di Madrid, Siviglia, Cordova, Valencia e Xeres[7] Tra il giugno 1895 e il febbraio 1896 fece una tournée in America Latina esibendosi in Argentina, Brasile e Uruguay, poi nel maggio del 1896 debutta negli Stati Uniti dove rimarrà in tournée per 6 mesi[8].
Nel marzo 1897 Fregoli si trasferì a Londra, andando in scena al teatro "Alhambra". Nello stesso anno tornò in sudamerica per poi riprendere la via dell'Europa a settembre[9]. Verso la fine del 1897, durante un suo spettacolo al teatro "Des Cèlestins" di Lione, Fregoli conobbe i fratelli Lumière[10], dai quali ereditò subito la passione per il neonato cinematografo. Dopo aver acquistato un apparecchio di proiezione realizza dei corti che propone durante i suoi spettacoli per molti anni, divenendo tra i primi a portare in teatro la nuova invenzione, che lui ribattezzò Fregoligraph[11]. Fino al 1905 interpretò e diresse molte pellicole.
Nel settembre 1898 si trasferì ad Asti dove fece costruire dall'Impresa Luigi Scialuga una villa alla quale dette il nome della moglie Velia[12]. Visse ad Asti fino al 1912. Nel dicembre del 1898 tornò a fare tappa nella sua città, Roma, esibendosi in uno dei più bei teatri della capitale: Il "Valle". La sera del debutto il teatro era gremito in ogni ordine di posti e, tra il pubblico, sedevano importanti personalità del mondo letterario, teatrale ed istituzionale. Tra questi spiccava Eleonora Duse, che espresse il desiderio di conoscere personalmente Fregoli, che dopo lo spettacolo la raggiunse per riceverne gli elogi[13].
...Eleonora Duse, si sa, non andava mai sopra un palcoscenico, quando non recitava. Manifestò, però, il desiderio di conoscermi e di parlarmi ed io, prima della fine dello spettacolo, mi recai per pochi minuti nel suo palco di proscenio. Con una voce soavissima, indimenticabile, mi disse parole che conservo gelosamente, come un tesoro, dentro di me. In un suo "bravo Fregoli" mi parve fosse l'essenza più pura di tutti gli elogi e di tutti gli applausi che m'erano stati elargiti nelle diverse parti del mondo.
(Leopoldo Fregoli, Fregoli raccontato da Fregoli, Rizzoli, 1936[14])
Nei primi anni del 1900 intraprese spettacoli e tournée in tutta Italia e all'estero, raggiungendo l'apice della sua carriera e della sua fama internazionale. In quegli anni furono numerose le sue tournée italiane, che toccarono i più prestigiosi teatri dell'epoca ed ebbero sempre un enorme successo. Si esibì inoltre in alcuni importanti teatri in varie città del mondo, tra le quali:Marsiglia, Bruxelles, Lisbona, Londra, San Pietroburgo, New York, Città del Messico, Barcellona, Berlino, Vienna, Rio de Janeiro, Madrid, Tunisi, Il Cairo, Buenos Aires, Tripoli, Parigi, Algeri e Montevideo.
Nel 1906 incise un disco 78 giri presso la neonata "Società Italiana di Fonotipia" di Milano per la relativa collana "serie dei grandi cantanti comici italiani"[15]. Il 16 giugno 1909, sull'onda del suo incredibile successo mondiale, venne invitato ad esibirsi nella sala pia del Vaticano. Venne poi ricevuto in udienza dal pontefice Pio X[16]. Nel dicembre 1911 si separò dal suo storico impresario Giuseppe Paradossi, passando l'incarico al suo amico d'infanzia Virgilio Crescenzi. La gestione Crescenzi si rivelò disastrosa tanto che questi improvvisamente scappò, lasciando un deficit finanziario di 500.000 lire, cifra enorme per l'epoca[17].
Nel 1913, dopo soli due anni dall'addio a Paradossi, Fregoli era sul lastrico. Dopo lo sconforto iniziale sfruttò il suo talento artistico per uscire da quella situazione; organizzò subito una nuova tournée in Spagna, anche in città dove non si era mai esibito. Si esibì a Trieste presso il teatro "Politeama Rossetti", a Roma al teatro "Costanzi" e al "Politeama" di Napoli. Vendette inoltre Villa Velia, la sua casa di Asti dove abitava dal 1898. In breve tempo riuscì a risollevarsi (ma mai del tutto, a causa del periodo bellico) e riprese a pieno regime le sue tournée internazionali, tra le quali toccò per la prima volta anche Cuba.
Nel maggio 1915 intraprese una nuova tournée sudamericana che durò all'incirca un anno. Nel 1916 si esibì a Parigi nei teatri "Bernhardt" e "Belleville". Tra il 1918 e il 1919 Fregoli accarezzò più volte l'idea di ritirarsi dalle scene, fermando per diversi mesi le sue attività artistiche. Ritornerà invece in scena nel marzo 1919 con una serie di esibizioni a Napoli presso il teatro "Politeama Giacosa"[18]. Tra il 1920 e il 1924 si esibì in diverse tournée italiane ed europee, per poi tornare in sudamerica nel 1925.
Nel febbraio del 1925, in Brasile, Fregoli mise in scena l'ultimo spettacolo della sua vita e nell'aprile dello stesso anno annunciò il suo ritiro dalle scene. In breve tempo vendette tutto il suo materiale scenico e si ritirò a vita privata nel buen retiro di Viareggio, dove morì il 26 novembre 1936. Venne in un primo momento sepolto a Viareggio, ma per volontà familiari nella primavera del 1938 le spoglie vennero trasferite a Roma nel cimitero del Verano, dove Fregoli riposa tuttora[19].
Fregoli visto da diversi "Fregoli"
Nel 1954 fu un istrionico artista romano ad interpretare Fregoli nella pellicola Gran Varietà: Alberto Sordi[20]. Si trattava di un film ad episodi prodotto dalla Excelsa-Roma film, per la regia di Domenico Paolella. In uno di questi episodi, intitolato proprio "Fregoli", Sordi interpreta la parte del poliedrico trasformista.
La sua vita è poi stata narrata nel 1981 nell'omonimo sceneggiato televisivo - Fregoli diretto da Paolo Cavara e interpretato da un suo epigono e anche egli stesso trasformista dello spettacolo: Gigi Proietti.
Ma fu lo stesso Fregoli a raccontare se stesso, la sua vita e la sua carriera, in un libro autobiografico pubblicato nel 1936 con il titolo Fregoli raccontato da Fregoli, riletto e ripubblicato nel 2007 a cura dell'allievo per antonomasia dell'attore-trasformista: Arturo Brachetti[21], che con la Compagnia della Rancia ha portato poi in scena un musical intitolato Fregoli[22].
Curiosità
La sua vita si intrecciò spesso con quella di altri personaggi di spicco della sua epoca, quali Eleonora Duse, Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo, Ermete Zacconi, Ettore Petrolini, Georges Méliès, Sarah Bernhardt, Ermete Novelli, Pio X, Pietro Badoglio, Antonio Gandusio, Gabriele D'Annunzio, Trilussa, i fratelli Lumière, Eugenio Montale.[23]
Nel 1897 nasce in Svizzera Arthur Petronio, che viene indicato da tutte le biografie come figlio illegittimo di Fregoli[24], come lo stesso Petronio poi dichiarerà. In futuro Petronio diverrà apprezzato musicista, poeta e scrittore.
Nel libro Le interviste impossibili di Giorgio Manganelli si trova un'intervista immaginaria a Fregoli.
Il nome del trasformista romano compare anche nel titolo di una storia Disney apparsa sul numero 913 di Topolino del 1973: Zio Paperone e il fotofregoli[25].
Quando viaggiava Fregoli portava con sé un corredo pesante circa 30 tonnellate: comprendeva, tra l'altro, non meno di 800 costumi e 1.200 parrucche (da: Spigolature - La Settimana Enigmistica n. 4332 del 2.4.2015).
Sulla tomba di Fregoli campeggia l'epitaffio: Qui Fregoli compì la sua ultima trasformazione.
Un capitolo a parte : Leopoldo Fregoli
Un uomo-fenomeno - Le macchiette e i numeri - Il repertorio - Fregoli dietro le quinte
Una volta, sul palcoscenico, m’accorsi che Castor Sfax, il collega francese in trasformismo, il quale s'accontentava di riprodurre, a modo suo, le teste di personaggi illustri, compresa quella di Francesco Crispi, mi guardava in cagnesco. Ai suoi occhi pareva enorme e inconcepibile che un piccolo italiano della mia fatta osasse dare, la stessa sera, sullo stesso palcoscenico, un saggio di quelle virtù di cui egli si considerava maestro.
Lo guardai curiosamente e dissi fra me e me: “Se fosse un buon trasformista, comincerebbe col trasformarsi la faccia, in modo da apparire un uomo intelligente. Invece... Dunque, niente paura!”
E senza paura eseguii il primo “numero”: il duetto delle Educande di Sorrento, in cui da solo sostenevo due parti contemporaneamente, senza uscire di scena, quella della ragazza e quella del dragone: camuffato sul davanti da timida collegiale, ed alle spalle, con una maschera mobile, da baffuto ufficiale. Non mancarono gli applausi. Nell’uscire di scena, mi trovai davanti a Castor Sfax, che mi guardò di traverso, scuotendo la testa con evidente commiserazione. Compresi da questo, ancor più che dagli applausi del pubblico, che il mio primo saggio era andato bene; e poco dopo entrai in scena di nuovo, più rinfrancato, per recitare le cinque parti del mio Camaleonte.
Il pubblico, nel vedermi apparire in scena in frak e calzoncini corti a recitare il prologo in versi, e poi sotto le spoglie di un marito ispettore di polizia, e successivamente sotto quelle della moglie, una simpatica biondina dalle forme opulente, e poi nelle vesti di un giovane amante, ed infine in quelle d’un vecchio servo, tutto questo con trasformazioni rapidissime, e di volta in volta mutando voce e gestì, e cantando ora da baritono, ora da contralto, ora da tenore ed ora da basso, per un poco quasi dubitò che fosse un solo artista a fare tutto questo, ed alla fine mi volle sei o sette volte alla ribalta. (...)
A Genova dovevo debuttare in una nuova macchietta, su cui facevo molto assegnamento: quella di U’ prèvete del maestro Valente. Era l’ora d’entrare in scena, ed il mio baule con tutto il vestiario non arrivava... Immaginarsi la mia angustia! Ma ecco, all’ultimo momento, il grosso baule viene scaricato e portato sul palcoscenico. Mi viene un’idea: prego il prestidigitatore Achille Maieroni di coadiuvarmi. Entro nel cassone, che il Maieroni fa trasportare in scena; e, mentre lui tiene un discorsetto d’occasione al pubblico, io dentro la cassa mi travesto e trucco. Poi, ad un colpetto convenuto sul legno, il prestidigitatore solleva il coperchio ed un pretino ne balza fuori ed esegue la macchietta, con allusioni pungenti e garbate e facendosi ad un certo punto passare per il famoso banchiere Cuciniello, uno degli eroi del famosissimo scandalo della Banca Romana. Il pubblico andò in delirio.
I giornali, frattanto, con un bello strappo alla consuetudine di non occuparsi degli spettacoli e degli artisti del caffè-concerto se non come pubblicità a pagamento, cominciavano a parlare di me con particolare benevolenza dedicandomi articoli e interviste, e fabbricando sul mio conto storie false e vere ed episodi più o meno credibili. Dicevano che ero un uomo-fenomeno, e che, come tutti gli uomini-fenomeni, mi distinguevo dal resto dell’umanità tanto per virtù prodigiose, quanto per difetti stranissimi.
Naturalmente tutta questa pubblicità seria e faceta intorno al mio nome valse a farmi arrivare all’Eden di Milano, nel dicembre del ’92, preceduto da parecchia curiosità.
Persuaso che bisognava allargare il mio repertorio, perché le scritture divenivano di città in città sempre più lunghe, aggiunsi le macchiette del Soldato e di A guardar la luna, gli Esperimenti di negromanzia e illusionismo moderno, Le delizie militari, L'arrivo del Prof. Sambajon e, finalmente, il terzetto dei ladroni della Gran Via, la famosa zarzuela spagnuola di Valverde che, apparsa da poco, furoreggiava già sulle scene di mezzo mondo.
In questo terzetto il trucco era di una semplicità assai elementare. Il primo ladro ero io, al naturale. Voltavo le spalle e spuntava il secondo, rappresentato dalla maschera di un figuro i cui occhi e la bocca movibili davano singolare illusione di verità. E il terzo ladro faceva la sua apparizione non appena io, di spalle e con le mani libere, mi ero rapidissimamente trasformato con baffi e pizzetto a punta, e con una piroetta tornavo a presentarmi di fronte. Tre volte ladro, senza — dicevano i giornali umoristici pieni, allora, dello scandalo della Banca Romana — i milioni dei commendatori. Il terzetto riserbava, infine, un’altra sorpresa, l’apparizione di un quarto personaggio, quello del poliziotto, che arrivava a mettere le mani sul capo del triplice ladrone, e non afferrava, invece, che un fantoccio. Prima del chiudersi del velario, il pubblico vedeva ancora il vero ladro andarsene libero e disinvolto in barba alla polizia, saltellando e canterellando il gaio motivo del maestro Valverde.
Ne L’arrivo del Prof. Sambajon il numero delle trasformazioni era ancora maggiore, e nelle prime scene di questo scherzo comico-musicale entrava anche un altro attore, il mio giovane amico Romolo Crescenzi, divenuto oramai mio indivisibile compagno, il quale sosteneva la parte di un impresario teatrale che attende ansiosamente l’arrivo di un professore scritturato per dirigere un’opera. L’attesa dell’impresario era resa un tormento maggiore dall’andirivieni di gente importuna che voleva essere scritturata ad ogni costo, o chiedeva informazioni e perfino la mano della figlia dell’impresario: in complesso, una dozzina di personaggi d’ambo i sessi e di diversa condizione, che io stesso da solo raffiguravo. Finalmente, arrivava anche il Prof. Sambajon — sempre Fregoli grottescamente trasformato e barbuto — che, sciorinato un francese tutto suo con l’impaziente impresario, saliva sul podio e dirigeva un comico florilegio musicale, balzando sul seggio, smaniando e agitando le braccia e le chiome: una riuscita caricatura di certi direttori d’orchestra del tempo. Camaleonte, il terzetto della Gran Via e il Professor Sambajon furono, potrei dire, le fondamenta di tutto l’enorme edificio di trasformazioni della mia carriera artistica.
E, giacché ci siamo, parliamo un po’ anche di Fregoli dietro le quinte. Niente gare di corsa, alla Dorando Petri come si sarebbe detto un tempo, o alla Beccali, come si direbbe oggi; niente prodigi, e nemmeno abiti congegnati in modo misterioso da permettere travestimenti fulminei: ma soltanto della meticolosa precisione in tutto e in tutti coloro che mi coadiuvavano. Nell’arte c’è ognora un po’ di matematica, e i grandi effetti nove vote su dieci sono ottenuti con mezzi semplici e ben combinati. Chateaubriand diceva — mi si conceda questa citazione — che il genio non è che una lunga pazienza. Genio a parte, io credo di aver costruito le mie trasformazioni appunto con molta e lunga pazienza.
I miei collaboratori, dietro le quinte, non erano mai più di cinque o sei, compreso il mio inseparabile compagno di viaggi, di avventure e di trucchi, Romolo Crescenzi, il quale aveva la mia statura, le mie fattezze e quasi il mio profilo, sicché in molte occasioni egli assumeva docilmente le funzioni di sosia: si presentava cioè con i miei abiti, alla ribalta, a ringraziare, per darmi modo di riapparire, immediatamente dopo una sua ultima uscita, tranquillo e sorridente, nel mio inappuntabile frak, dal fondo della platea; e talvolta mi sostituiva anche nel ricevere sul palcoscenico e all’albergo la inesauribile caterva dei seccatori, quelli che volevano conoscere da vicino il “mago del trasformismo” e finivano per domandare, infallibilmente, una fotografia, un autografo, oppure un ineffabile peregrino pensiero per il loro preziosissimo album...
Questi aiutanti, scaglionati nei punti strategici sul mio passaggio del retroscena, educati ad una scuola di scrupolosa precisione, assolvevano ciascuno un dato compito. Uno m’aspettava al varco, dietro la porta d’uscita dalla scena, per sbarazzarmi, mettiamo, del mantello o del frak, mentre contemporaneamente da me stesso mi toglievo il gibus e la parrucca, che il più delle volte formava tutto un insieme col naso posticcio, gli occhiali, perfino con la barba e i mustacchi. Un altro, qualche metro più in là, sfilava i miei calzoni e sostituiva le calzature da uomo con delle scarpette di raso da donna, mentre un terzo aggiustava sul mio capo il biondo crine d’una vistosa inanellata parrucca, ed io m’appiccicavo sopra la scollatura del petto o delle spalle un seducentissimo neo. Più in là ancora, la sarta mi poneva in dosso un abito femminile, il gonnellino della canzonettista; ed infine, presso la porta da cui dovevo riapparire in scena, un ultimo segretario m’aiutava a completare la metamorfosi con gli elementi secondari destinati a caratterizzare maggiormente il nuovo personaggio. E tutto questo si svolgeva in una successione ritmica, senza che un secondo andasse perduto, in una scrupolosa matematicità di posizioni e di gesti e nel più assoluto silenzio dei miei vigili coscienziosissimi collaboratori: come del resto il pubblico aveva modo di constatare alla fine dello spettacolo, quando disvelavo i miei trucchi per mezzo del Fregoligraph; vale a dire con la proiezione di un breve film nel quale erano illustrate le diverse fasi delle mie trasformazioni dietro le quinte.
Ma se il mio trasformismo si fosse ridotto a questo cambiar di faccia e d'abiti in pochi secondi, non sarebbe stato che una questione di esercizio fisico felicemente risolto con l’ausilio di una schiera di ben addestrati compagni dietro le quinte, e non sarebbe stato per certo classificato, dal consenso di tanti e tanti pubblici e dal giudizio di innumerevoli eminenti scrittori e critici, per un’arte.
Pervenuto, oramai, alla chiusa di questi miei frammentari ricordi, cercherò di precisare brevemente, sulla scorta di quanto autorevoli persone scrissero su di me negli ultimi anni della mia carriera teatrale, in che cosa veramente consistesse il trasformismo fregoliano.
Il problema delle mie metamorfosi sceniche era innanzi tutto d’ordine fisiologico. In possesso di una particolarissima forza di penetrazione e di attenzione — sono parole di un critico — il mio cervello era in grado di lavorare cosi rapidamente da trovarsi nella condizione di impartire con la massima prontezza qualsiasi ordine ai muscoli, i quali alla lor volta producevano, con un minimo di tempo, le più svariate trasformazioni nei miei movimenti, nel mio volto e soprattutto nella mia voce.
In dieci giorni io mi sarei impegnato di insegnare a chicchessia a mutar quaranta o cinquanta abiti in meno di un’ora: e che la cosa non avesse poi nulla di miracoloso lo dimostrò la fitta schiera dei cosi detti miei imitatori. Ma a me — dicevano i critici — madre natura aveva dato dell’altro: cioè il bernoccolo d’entrare, di uscire e di rientrare, senza fratture quasi di continuità, nei personaggi più disparati, che non erano mai dei mannequins, ma delle creature vere e vive, ciascheduna con caratteri essenziali ben distinti e con una differenziazione di voce inconfondibile. Mentre l’attore — si aggiungeva — non sa mettere in atto, in ogni commedia o dramma, che quel tanto di penetrazione e d’attenzione necessario per dar vita, in una sera, ad un dato personaggio in rapporto naturalmente con gli altri che partecipano alla vicenda che si recita, io, invece, dovevo seralmente esplicare una somma di penetrazione e d’attenzione per quanti erano i personaggi che sfilavano turbinosamente nelle intricate azioni delle mie bizzarre commedie, moltiplicata per la rapidità necessaria ad unificarli ed individuarli. Cioè, la mia attenzione doveva moltiplicarsi per il tempo necessario alleno per divenire molteplice, all'identità per manifestarsi in diversità, secondo lo svolgimento dell’azione scenica.
Leopoldo Fregoli
Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè
Il nome storico del Varietà internazionale fu quello di Leopoldo Fregoli. La sua fama di risonanza mondiale fece arricchire i dizionari di parecchi paesi del mondo di una parola nuova: fregolismo, che significò appunto e significa tuttora un eccezionale virtuosismo nel mutar di aspetto.
La sua vita e la sua carriera, se pure infarcite dei soliti luoghi comuni dell’uomo che si vede ostacolato nei suoi sogni ma che alla fine riesce fra mille difficoltà a trionfare e a diventare ricco e famoso, sono addirittura miracolose.
Fregoli era romano. Come la maggior parte degli artisti di teatro, era destinato ad altre professioni, e, nel caso suo, ad altri mestieri. Fece il cameriere, poi l’orologiaio, infine il meccanico. Le sue spiccate ed eccezionali qualità di osservatore, di imitatore e di trasformista non convincevano neppure suo’ padre. Ma un bel giorno bussò alla porta di casa Fregoli una bella signorina. Il vecchio le andò ad aprire e la ragazza, cadendogli fra le braccia, gridò : « Suo figlio Leopoldo è un vigliacco e mi ha ingannata! » . Il signor Fregoli padre, scosso ed emozionato, fece accomodare la signorina su di una poltrona e cercò di calmarla, ma, improvvisamente, questa si tolse la veletta, il cappello e la parrucca e con voce naturale disse : « Ti sei convinto, papà, che sono bravo? ».
Ma questa prova non servì a nulla. Fu soltanto, quando in servizio militare e spedito in Eritrea, che egli fu per la prima volta Fregoli. Nel solito teatrino del soldato egli fu libero di cimentarsi e provare le sue attitudini, fino ad allora soffocate, ed una sera incarnò lui solo tutti e quattro i personaggi di una commediola di occasione ed eseguì, sempre da solo, i cinque numeri di arte varia annunziati nel programma. Con un successo formidabile era nato sotto il cielo africano Leopoldo Fregoli.
Infatti, terminato il servizio militare e ritornato in patria, Fregoli con le esperienze acquisite con gli spettacoli fra i commilitoni, debuttò nella Birreria Teatro Esedra a Roma col famoso Camaleonte, scenetta a più personaggi, tutti interpretati da lui, con la imitazione e la caricatura di tre fra i più illustri artisti dell’epoca: Eleonora Duse, Flavio Andò ed Enrico Reinach. Un trionfo immediato. Fin dal giorno dopo non si cominciò che a parlare di lui, la sua paga dalle dieci lire serali raggiunse dopo qualche mese la quota 150, e da allora ebbe inizio l’apoteosi fregoliana.
Tutti i palcoscenici del mondo se lo contesero. Anche se il Varietà era la sede dove la sua attività artistica si esplicava, egli non poteva considerarsi soltanto un numero di Varietà. Per quanto si vedesse a prima vista soltanto la formidabile attività di un uomo che parlava e cantava con cinque voci diverse e che in pochi secondi si trasformava in cinque, sei, dieci personaggi, Fregoli era davvero un artista geniale. Le sue trasformazioni, i suoi travestimenti, le sue truccature, i suoi personaggi erano il frutto di una lunga serie di osservazioni acute e di un senso della caricatura che aveva del miracoloso. Ironico, satirico, grottesco, conservava nei suoi personaggi un fondo di verità e di umanità; la stella eccentrica, il cantante lirico, il direttore d’orchestra erano tanti personaggi veri ed umani, pur nel paradosso della caricatura e dell’umorismo. Camaleonte, Eldorado, Fregolineide: tanti spettacoli ed un solo interprete.
A Parigi, la consacrazione ufficiale della sua celebrità fu addirittura clamorosa. Tutta la città, quella mondana ed intellettuale, accorse ad applaudire con frenesia ed entusiasmo ce petit diable d’italien, come lo chiamarono i francesi. Ma qualche settimana più tardi (azione dolosa di invidiosi o caso malaugurato?) il palcoscenico del Trianon, dove egli lavorava, s’incendia d’improvviso e tutto il materiale scenico va a fuoco ed è ridotto in un mucchio di cenere.
Ma il diavolo — quello grande — che aveva operato tutto dò si doveva misurare con quel «piccolo diavolo d’italiano». Infatti, Fregoli, per nulla scoraggiato e demoralizzato, si rivolge a tutti gli scenografi, i vestiaristi e gli attrezzisti di Parigi, li mette al lavoro e in una settimana fa ricostruire tutto quanto il fuoco aveva distrutto. Questo scherzo gli costa mezzo milione — in quel tempo, ai primi del secolo, una cifra addirittura astronomica — e di questo mezzo milione egli non ne possiede che la metà, per cui è costretto a sottoscrivere impegni e a firmare cambiali. Ma, esattamente dopo dieci giorni, egli debutta all 'Olimpia. All’inizio dello spettacolo, e prima ancora che egli venga in iscena, si scopre un velario, sul quale è dipinto lui : Fregoli, che debella e sconfigge un diavolo con coma, coda e tridente, il tutto sullo sfondo del palco-scenico del Trianon in fiamme. La trovata fa il suo effetto, il pubblico si entusiasmerà e, quando Fregoli appare in palcoscenico, riceve una tale ovazione che tremano le pareti del teatro. Gli incassi sono favolosi: non passano sei mesi, che non solo ha pagato tutti i debiti contratti per la rifazione del materiale bruciato, ma ha guadagnato niente di meno che un milione di franchi!
Fregoli è inebriato dal successo. Dal modesto albergo dove abita, passa al Grand Hotel, prende per sè tutto il primo piano e vi si stabilisce come un re, con corte numerosa, donne, segretari e ospiti. Tutti gli italiani che capitano a Parigi hanno libero accesso nel suo appartamento, e vi sono spesso invitati a pranzo. E, a favore degli italiani poveri, specie se artisti, si esibisce e lavora. Lo si vede dappertutto: sulle prime automobili da corsa, nelle navicelle dei palloni, nelle carlinghe dei primi aeroplani. Sportivo, audace, scanzonato, questo piccolo diavolo meraviglia, disorienta ed entusiasma. D’altra parte, egli è un bel giovane e quella simpatica sfacciataggine di pretta marca romanesca gli assicura un formidabile successo con ogni genere di donne, dalle gran dame alle mondane, dalle intellettuali alle popolane, dalle artiste alle borghesi di buona famiglia. Fu un donnaiolo impenitente, ma alla buona con una leggerezza piacevole e spigliata, senza complicazioni, senza passionalità e senza drammi. Col successo, la ricchezza e la simpatia, egli seppe davvero che cosa fosse la gioia di vivere.
Appartiene al suo soggiorno parigino un episodio che caratterizza, più d’ogni altro tutto1 il modo, di pensare, di vivere e di reagire di Fregoli. Dopo lo spettacolo, una notte, mentre esce dal teatro gli perviene un biglietto profumato: è di una delle più famose mondane parigine del tempo, Lyane De Pougy, sogno molte volte irraggiungibile di sovrani, artisti, finanzieri e uomini politici. Poco discosto, una carrozza attende, e Fregoli, interessato e incuriosito, vi monta.
La vettura si ferma davanti a una villetta di Auteuil. Fregoli discende dalla carrozza e si avvia verso il cancello, ma questo silenziosamente si apre senza l’intervento di nessun portiere o servo. Aria di mistero. Fregoli, per nulla impressionato, si avvia verso l’interno della casa. Davanti a lui, come per incanto, i battenti delle porte silenziosamente si aprono. Intorno illuminazione discreta e misteriosa. Fregoli, col cappelluccio in testa e la pipetta in bocca, procede impavido e sicuro come se tutto fosse assolutamente normale. Attraversa salotti vari, addobbati con gusto ricercato ed esotico. In un angolo, schiave negre di rara bellezza e completamente nude gli sorridono, discrete e silenziose. Una musica smorzata gli giunge alle orecchie, proveniente chissà da dove. Fino a che raggiunge una piccola stanza, quasi un’alcova con tappeti e tendaggi preziosi. In fondo, su di un divano orientale, la bellissima Lyane De Pougy l’attende, come una Cleopatra, con un sorriso da imperatrice innamorata.
— Viens, mon adoré — gli fa la seduttrice, sicura della sua teatralità, del suo fascino e della sua bellezza.
E Fregoli, per nulla stordito da tutta quella inutile messa in iscena:
— Ahò ... lo sai che ho finito da recità proprio mo’?! Senti a me, se vedemo domani! ...
E con un allegro e cordiale saluto con la mano, si allontana.
Con un uomo siffatto la sorte non poteva non essere benigna. Fregoli si ritira dalle scene in tempo, quanto tutti desiderano ancora vederlo. La sua vecchiezza fu agiata e tranquilla. Basta con le trasformazioni! Di fronte a quella vecchia signora che arriva, quando è scoccata l’ora, è inutile trasformarsi!
Mario Mangini
L’UOMO CHE ERA TUTTO UNA RIVISTA: FREGOLI
A questo punto, giacchè il mio caro Frattini, ha, con d’altronde aderentissima opportunità, rievocato nel grande Edoardo Ferravilla la figura dell’inventore — per così dire — degli sketches di rivista, ricordando alcuni fra i più ameni personaggi del prodigioso autore-interprete, sia concesso a me di rendere doveroso omaggio a un altro artista Italiano che, sotto un certo punto di vista, si può considerare da solo come una rivista intera. Parlo di Leopoldo Fregoli, il piccolo romano che girò tutto il mondo, ovunque divertendo, incuriosendo, sorprendendo con la sua inimitabile Arte. E vi prego di credere che, dicendo dall’Arte di Fregoli, intendo proprio quella con l’A maiuscola. Molti di coloro che non hanno avuto la fortuna d’ammirare il famoso trasformista, — la cui celebrità fu tale da far citare quel suo buffo cognome nelle enciclopedie di tutto il mondo e da renderlo sinonimo, in parecchi vocabolari, di eccezionale virtuosismo nel mutar di aspetto -—- molti, dunque, potrebbero essere oggi indotti a pensare che Fregoli fosse soltanto uno straordinario « numero » di Varietà, una specie di fenomenale illusionista.
Ma la verità è che Leopoldo Fregoli fu un artista di genio. Il pubblico, si sa, non vedeva allora e probabilmente non ricorda adesso che la mirabolante bravura di un uomo che sapeva parlare e cantare con cinque voci diverse e clic usciva da una porta vestito e truccato, poniamo, da vecchio tabaccoso, per rientrare immediatamente dalla parte opposta trasformato in donna giovane e graziosa. Questo poteva essere difficile, sì, ma non così arduo da evitare che anche molti altri (Donnini, ad esempio, e persino una donna, Fatima Miris) vi si provassero non senza successo. La difficoltà, peraltro, era di fare questo con eleganza, con allegria e soprattutto con uno spirito di caratterizzazione unito ad un estro umoristico addirittura stupefacente. Gli spettacoli di Fregoli potevano essere visti impunemente da un’educanda alla vigilia della prima Comunione, ma, nel contempo, riuscivano ad esilarare il più smaliziato dei vitaioli. Gli è che ogni sua trasformazione, ogni suo travestimento, ogni sua truccatura, ogni suo personaggio, era il frutto di una serie di osservazioni acute, improntate ad un senso miracoloso della caricatura.
Les pistons, pistonnez... Civettuola e procace, scodinzolante e generosamente scollata, lunghe calze di seta voilée, corta gonna di lustrini, ampio cappellone onusto di penne di struzzo, la sua pariginissima « stella eccentrica » era un poema d’ironia. Il vecchio e cavernoso basso della sua Sala-mina (gustosa parodia di tutti i più noti melodrammi romantici, dal Lohengrin al Trovatore e dall'Ernani al Faust), canuto e claudicante nel funereo costume spagnolesco, era un capolavoro di satira. E quando, sceso dal palcoscenico al podio del maestro concertatore, imitava nell’aspetto e burlava nei gesti i più illustri compositori, da Rossini che, dirigendo la sinfonia della Semiramide, aveva l’aria di condire un piatto di maccheroni, a Meyerbeer, che esultava satanicamente ad ogni colpo di grancassa, a Wagner, che faceva sforzi eroici per non addormentarsi nel dirigere l'ouverture del Tannhauser, oppure tratteggiava facetamente alcuni tipi di direttori di orchestra da lui conosciuti nei suoi vagabondaggi (e c’era il maestrino francese che andava in galanti sdilinquimenti per le immaginarie moine d’un’invisibile soubrette, il pallido e barbuto maestro russo che guatava i professori con pupille allucinate, l’annoiato maestro spagnolo che, dirigendo la millesima replica d’una zarzuela in voga, si distraeva, salutava amichevolmente gli ipotetici habitués e segnava il tempo con l’immancabile cigarillo acceso anziché con la bacchetta ormai superflua) la bravura di Fregoli oltrepassava i limiti del trucco e dell'istrionismo per diventare autentico e pregevolissimo humour.
Camaleonte, Eldorado (sessanta trasformazioni in trenta minuti), Fregolìneide: altrettante riviste con un solo interprete. Dopo di che, terza ed ultima parte, un intero programma d’arte varia eseguito dal solo Fregoli: fine dicitore, soprano sfogatissimo, manipolatore, illusionista, clown musicale, equilibrista giapponese, danzatrice alla Loie Fiiller, fachiro indiano... Alla fine — apoteosi del « fregolismo » — il grande Leopoldo, salito su uno sgabello, si faceva avvolgere da un drappo nero sotto gli occhi del pubblico e — uno, due, tre, voilà — spariva per riapparire nello stesso istante in fondo alla platea. Battimani e ovazioni a non finire, ai quali Fregoli s’inchinava, mutando ad ogni inchino il colore della marsina.
Era logico, era inevitabile che gli spettatori di ogni nazione andassero in visibilio. Eppure, se fosse stato per Fregoli padre, suo figlio non avrebbe mai calcato le scene. Non acconsentì neppure il giorno che alla porta di casa bussò una leggiadra signorina e, quando il brav’uomo le aperse, gli cadde svenuta fra le braccia gridando istericamente:
— Il suo Leopoldo è un vile e mi ha ingannata!
Il signor Fregoli la trascinò, impressionatissimo, fino sul divano del salotto: e già si accingeva a farle annusare l’aceto dei Sette Ladri, quando la bella giovane si tolse la veletta, il largo cappellone e la parrucca bionda per riassumere l’a-spetto e la voce di Fregoli figlio.
— Lo vedi, papà, che «ci saprei fare»?
Niente. Babbo Fregoli era irremovibile. E Leopoldino, forse, si sarebbe rassegnato a sfruttare le proprie abilità di meccanico di precisione nel mestiere di orologiaio, quando, nel 1887, fu chiamato al servizio militare e spedito in Africa Orientale. All’Asmara venne allestito un « Teatrino del Soldato », dove i militari si esibivano in farsette e scenette umoristiche. Fregoli ne divenne subito il direttore e le cose andavano a gonfie vele. Ma proprio il giorno dello spettacolo di gran gala, molti reparti corsero d’urgenza a fronteggiare l’assalto di Ras Makonnen e Ras Mangascià. Fregoli rimase solo. Rimandare lo spettacolo? Giammai. Nella mente del giovane bersagliere urlava quella massima sacra ad ogni uomo di teatro che gli inglesi hanno sintetizzato in cinque parole : the show must go on : « lo spettacolo deve seguitare a qualunque costo ». Mancavano gli interpreti? Ma era rimasto lui, Fregoli. E la recita ebbe luogo ugualmente, perchè egli incarnò tutti e quattro i personaggi della commediola, oltre ad eseguire da solo i cinque numeri di arte varia previsti dal programma. Successo formidabile e conseguente netta visione della sua vocazione.
Smobilitato e tornato alla nativa Roma, il giovane Poldo, infischiandosi del divieto paterno, si presentò al direttore della birreria-teatro « Esedra » e là debuttò, producendosi nel famoso Camaleonte, scenetta a tre personaggi, tutti interpretati da lui, caricaturando di volta in volta tre fra i più illustri attori dell’epoca: la divina Eleonora Duse, il grande Flavio Andò, re dei « primi attori », e il fatale Enrico Reinach, principe degli « amorosi ». Un trionfo. La paga iniziale di dieci lire giornaliere salì a quindici dopo cinque giorni, a venti dopo una settimana, e raggiunse dopo un mese l’impressionante quota di cinquanta. Il teatro dell’Esposizione Colombiana di Genova gliene offrì tre mesi più tardi addirittura centocinquanta. E cominciò così la carriera più favolosa che la storia del Teatro ricordi.
A Parigi debutta soltanto nel 1900, al « Trianon ». Finalmente! Parigi significava allora più che mai la consacrazione ufficiale della celebrità. Il 19 gennaio del 1900 Parigi impazzisce — è la parola — dinnanzi all’arte stupefacente di Fregoli. Senonchè, una settimana più tardi, fosse per dolo o fosse per caso, il palcoscenico del « Trianon » va a fuoco e tutto il materiale di scene, costumi e attrezzi di Fregoli è ridotto un mucchio di cenere. La rovina. Ma la sorte avversa aveva fatto i conti senza l’ostinato entusiasmo del piccolo romano. Fregoli mobilita — pagandoli a peso d’oro — tutti gli scenografi, i vestiaristi e gli attrezzisti della Ville Lumière. Seicento persone che gli costano 480.000 franchi (e siamo nel 1900) di cui egli non ha che la metà; per il resto, cambiali a sei mesi data. 0 vince o è la prigione. Ma una settimana dopo Fregoli si esibisce, con tutto il materiale nuovo, più lussuoso ed elegante di prima, all’« Olympia ». Il velario di velluto rosso scopre un sipario sul quale è dipinto Fregoli, marsina di raso bianco e garofano all’occhiello, che debella il diavolo, mentre nel fondo divampa l’incendio del « Trianon ». È il segnale delle ovazioni. Nel primo mese il guadagno netto è di 250.000 franchi. Alla fine dei sei mesi previsti dalle cambiali, Fregoli, pagati i debiti, ha quasi un milione di utili. Il trionfo lo inebria. Occupa tutto il primo piano del Grand Hotel e tiene tavola imbandita per chiunque si presenti e asserisca d’essere Italiano.
Abilissimo nello sfruttare la pubblicità più clamorosa, Fregoli è dappertutto. Compie un’ascensione in pallone aerostatico, vola sui primi incerti aeroplani, acconsente, per attirare il pubblico al circo di Nouma-Hawa, i cui incassi erano stati danneggiati dal formidabile successo del trasformista, a entrare in una gabbia di leoni. Quella sera il circo è gremito fino all’inverosimile. Fregoli, col sorriso sulle labbra, si presenta fra cinque leoni e tre tigri, e canta una canzonetta, accompagnato dai ruggiti delle belve.
— È la prima volta che lei entra in una gabbia di bestie feroci? — gli chiede un giornalista all’uscita.
— No, è l’ultima — dichiara Fregoli, che aveva avuto una paura blu. Ma il domatore, Marcel, era un italiano, e se non ci si aiuta fra compatrioti...
Piccolo di statura, ma piacevolissimo d’aspetto, ce petit diable d’Italien ha un successo enorme anche con le donne. Tuttavia, Fregoli non si dette mai le arie del Don Giovanni. Anche in quello, come nella sua arte, come nel suo umorismo, egli era un uomo sano e soprattutto pieno di buon senso. Le donne gli piacevano, lui piaceva alle donne, tanto meglio. Ma niente sofisticherie, niente complicazioni, niente cerebralismi. Alla «romano de Roma», ecco. Meglio ancora: alla bersaglierà.
Una sera — mentre trionfava all’« Olympia » — gli pervenne un profumatissimo biglietto femminile: « Ma volture attendra à la sortie. Je suis folle de vous ». Era firmato Lyane de Pougy, vale a dire una delle più belle e ammirate etère di Parigi, una « orizzontale », come si diceva allora, per cui sovrani e poeti, ministri e finanzieri avevano perduto la testa. All’uscita del teatro, infatti, un landeau nero, foderato di raso bianco, tirato da una pariglia di purisangue bianchi e guidato da un cocchiere negro in livrea di panno bianco, attende il Nostro. Fregoli vi sale, per nulla impressionato. Il landeau si arresta dinnanzi a una villetta di Auteuil. Il cancello dorato della villetta si apre silenziosamente, senza che nessuno lo spinga. Altrettanto avviene per i battenti della porta d’ingresso. Fregoli, cappelluccio a cencio sulle ventiquattro e pipetta in bocca, entra in un’anticamera illuminata misteriosamente da una lampada araba e ode una musica vagamente orientale provenire dai piani superiori. Sale le scale. Tutte le porte gli si aprono davanti nel medesimo magico modo. Finalmente eccolo in un lussuoso boudoir in stile moresco. Luci morbide e suggestive. Tappeti preziosi. Tendaggi fastosi. Due schiave negre, completamente nude, accovacciate in un angolo, suonano strumenti arabi. In fondo alla stanza, mollemente sdraiata su un vasto sommier onusto di pelli d’orso, appena coperta da un velo trapunto d’argento, è la bellissima Lyane de Pougy. Un gigantesco schiavo negro, drappeggiato in una pelle di leopardo, le fa vento con un flabello di piume di paradiso.
— Viens, mon adorò! — gorgheggia la bella, tendendo le candide braccia.
Fregoli — sempre cappelluccio sulle ventiquattro e pipetta in bocca — si guarda attorno, con un mezzo sorriso. Poi si toglie tranquillamente la pipetta di bocca, il cappelluccio di testa, e dice in romanesco:
— Aho’, ma io ho finito de recità proprio mo’. Se vedemo domani.
Gira sui tacchi e se ne va. Caro, indimenticabile Fregoli.
Dino Falconi e Angelo Frattini
La stampa dell'epoca
Al tempo che si era bambini e ci portavano al teatro solo la domenica, di giorno, Leopoldo Fregoli, trasformista, fu uno dei nostri spassi più certi e abbondanti. Massime perche dava nel miracoloso quel suo apparir vestilo in un modo e riapparire, subito dopo, vestito in un altro. E per quante spiegazioni ci dessero non c'era verso di persuaderci che le cose, dietro le quinte, avvenissero cosi lisce e piane come volevano farci credere. Piuttosto che darci alla logica ci affidavamo alla fanusta quando, inconsapevolmente scettici, non ci si buttava sulla strada del dubbio.
Ma tant'è: appariva alla ribalu l'indimenticabile Fregoli, elegante e disinvolto nella marsina rossa, l'enorme garofano bianco all’occhiello, i pantaloni di raso, corti, il gibus sottobraccio e intonava una di quelle canzonette che, soltanto a riprenderne il motivo, ci riportano, di colpo, al caffè-concerto d'allora con i ciclisti in camicia di seta bianca e la paglietta, le ballerine con la corta gonna a lustrini e il petto ansante fuor del vitino, rigido come una corazza, gli uomini volanti sospesi al filo della nostra ansiosa ammirazione e lieti, sorridenti come scolari in vacanza. Aria di cartolina illustrau eoo lo spolvero di Parigi donde ci venivano i ritrattini delle sorelle Barrimore, le grosse gambe inguai naie nella calza clastica color di rosa ceil fresco sorriso delle prosperose donne dd sud all'ombra del berretto da fantino.
Ma Fregoli lo spettacolo se lo metteva su da solo. Uscivano dalla sua svelta fantasia e dalla sua prodigiosa abilitiàdi trasformista una folla di figurine ciascuna con un gesto, una fisonomia, un'andatura inconfondibili che si finiva col pensare che proprio solo non fosse nel suo gioco e che una inano — una mano almeno — gliela dessero a ingannare il pubblico.
Stasera il mago è qui vicino a me, spoglio del mistero che lo circondava : uomo tra uomini. Seduto davanti la «radio», protesa la faccia — su cui ridono, furbi, gli occhi — verso l'apparecchio che raccoglie le voci di tutto il mondo e le condensa nella spalancau bocca dell'altoparlante, con esperta mano, Leopoldo Fregoli gira i condensatori, cerca, attraverso lo spazio, le suzioni trasmittenti.
S'ode un dolce canto femminile accompagnato da un'orchestra su cui affiorano il pianoforte e i violini.
— È Berna, dice Fregoli.
Infatti, cessato il canto, una voce chioccia grida: — Allo, Berna.
Fregoli si volge soddisfatto a dire: — Vede come sono bravo?
Poi torna ai condensatori. Ed ecco Roma, Napoli, Barcellona, Madrid, Londra. Suoni, canti e applausi. Fregoli sorride, beato, come se quegli applausi fossero diretti un po' anche a lui che li ha cercati e trovati; che, paziente, ogni sera compie il suo viaggio circolare traverso l'Europa e armeggia intorno b macchina — aggiusta una oiia, riavvita una bmpada, infila una spina — per suo diletto e perchè le voci di oggi dian luce ai ricordi d'ieri.
— Vede, con la radio, io che girai quasi tutto il mondo, ogni sera torno nei luoghi e nei teatri che già conosco; certe volte risento gli stessi artisti di allora. Le par nulla?
— Poi ha da saficrc che, da ragazzo, facevo il meccanico, e siccome, invecchiando si ridiventa bambini, son tornato a fare il meccanico per amor della radio. Ho già un'officina completa.
In vecchiando, ha detto. Confessa di avere sessantanni sebbene noti li dimostri.
Tutti i giorni, svelto e arzillo, il mezzo toscano in bocca, il garofano bianco all'occhiello, una mano dietro b schiena, tutti i giorni, alla soliu ora, puntuale che potresti rimetterci l'orologio, appare sulla passeggiata di Viareggio, arriva sino al molo e torna indietro Quattro chilometri buoni.
Certo non è più il Fregoli di una volta quale lo ritrae una caricatura che è nel suo salotto: l'enorme ciuffo di capelli alla brava, l’altissimo colletto a due punte, la marsina rossa.
Il tempo, che regola il nostro passaggio nella vita, appanna, col ricordo, la fresca immagine lontana. Pochi i capelli che gli son rimasti, curva un po' la già svelta persona. Ma gli occhi son pur vivi su quella sua faccia riarsa tra di fantino e di «clown» fumista.
La voce, poi, più bella di quand’era giovane e gli anni non devono pesargli se dice d’esser pronto a ricominciare il giorno che glie ne verrà la voglia e i ricordi e la «radio» più non basteranno a spengere la nostalgia.
Ha su, in soffitta, un par di centinaia di vestiti da uomo e da donna; e parrucche e scarpe e tube, tutto un corredo. Offerte ne riceve di continuo e vantaggiose. Se mai lo turba il pensiero che, col cambiar della moda, il suo è divenuto un «genere» difficile.
— Ai miei tempi usavano le sottane lunghe e, sotto le sottane, per far più presto a trasformarmi, ci nascondevo i calzoni. Ma con le sottane che usano oggi, corte al ginocchio, me lo dice lei come si fa? E le calze? Le calze, allora, le donne le portavano nere ed oggi, invece, la moda le vuole del color della carne. Ce lo vede un uomo con le calze da donna trasparenti a quel modo e di quel colore? E in parrucca alla garsonne mi ci vede?
— Intanto, per non perdere l'abitudine, l’inverno, in città, vado sempre al teatro a sentir gli altri. Ma roba allegra, di quella che non ti obbliga a star lì col cervello per cercar di capirci qualcosa. Lo dicevo l’altro giorno a Tacconi: «Quando fai Gli Spettri mica ci vengo a sentirti». E lui: «Fai bene».
Rifà la cavernosa voce di Zacconi tale e quale, accompagnandola col tremolio della mano caratteristica del grande attore.
Gli domando che cosa ne pensa della cosidetta crisi teatrale.
— Ma che crisi — mi risponde — non c’è crisi. Il pubblico vuol divertirsi, ecco tutto. E quando trova una commedia divertente, recitata bene, vi accorre in folla, glielo assicuro io.
Tira due o tre boccate dal sigaro, poi aggiunge: — Purtroppo di commedie divertenti oggi ce n’è più poche. Guardi Pirandello. Belle cose, non dico, bellissime cose. Ma da leggerle a letto e gustarsele pian piano per ritornarci sopra, magari, quando non si capiscono alla prima. Ma in teatro, all'ora della digestione...
Tace e ti giarda dal basso in alto con uno sguardo dove ride una cert'aria di canzonatura.
— Può anche darsi che mi sbagli, ma mi pare di no. Poi, in fatto d’arte, io son rimasto alb retroguardia.
— Anche per la musica, vede, a me che l'amo tanto non riesco di andare più in là di Wagner. A Wagner ci arrivo; con un po' di sforzo ma ci arrivo. Quanto a Debussy e a Strauss non ci capisco nulla. Riconosco che son grandi perchè me l'han detto e ci credo. Ma non ci capisco nulla. Se me li fa sentire Toscanini, al piano, qualcosa afferro. Ma nell'insieme, per me, buio.
Ad illuminare cotesto buio Napoli ci manda, attraverso la radio, la vecchia musica di Verdi. Chino l'orecchio, Fregoli l'ascola beato.
Adolfo Franci, «Il Secolo Illustrato», 29 settembre 1928
Filmografia
Danse serpentine I e II, film dei fratelli Lumière. (1897)
Fregoli the protean artiste, R. W. Paul Instrument Company, regia di Robert William Paul. (1898)
Après le lancement: sortie des invités et du public, film dei fratelli Lumière.(1899)
Homme-Protèe, regia di Georges Méliès[26]. (1899)
La poupèe-acte I e acte II, film dei fratelli Lumière. (1901)
La serie Fregoli (È chiamata Serie Fregoli l'insieme dei film prodotti da Fregoli nei quali è regista o attore protagonista.)
Fregoli retroscena o Fregoli donna (1898)
Fregoli prestigiatore o Fregoli 1 giochi di prestigio (1898)
Giochi di prestigio 2 (1898)
Fregoli al restaurant (1898)
Pere cotte (1898)
Fregoli in palcoscenico o Fregoli barbiere maldestro (1898)
Fregoli morte o Fregoli dopo morto - Regia dei fratelli Lumière - (1898)
Ermete Novelli legge il giornale o Impressioni di Ermete Novelli - Con Ermete Novelli. (1899)
Burla al marito (1899)
Bagni di mare o Bagni di fine secolo (1899)
Fregoli barbiere mago (1899)
La serenata di Fregoli o Fregoli in campagna (1899)
Fregoli maestro di musica (1899)
Fregoli soldato I e II (1899)
Bianco e nero (1902)
I numeri teatrali
Il camaleonte (1889)
Le educande di Sorrento (1889)
Pipelet (1891)
Mimì (1891)
Maestri d'operetta (1891)
Debutto della principessa Pignatelli (1892)
Pozzo fa 'u prevete? (1892)
Esperimenti di negromanzia e illusionismo moderno (1892)
Arrivo del professor Sambajon (1892)
Gran via (1892)
Do-Re-Mi-Fa (1893)
Eden-concerto (1894)
El mi ladron (1895)
Dorotea (1895)
Eldorado (1895)
Histoire d'un Pierrot (1897)
L'ape (1897)
Relampago o Il cameriere lampo (1898)
Le nozze di Pierrot (1899)
Una notte d'amore (1900)
La ragnatela (1900)
L'onestà (1902)
Faustino (1904)
Fregolineide (1905)
Le théatre à l'envers (1910)
Salamina (1912)
NOTE
- ^ Rusconi, Prefazione Pag.5/7.
- ^ N. Ashraf, D. Antonius; A. Sinkman; K. Kleinhaus; D. Malaspina, Fregoli syndrome: an underrecognized risk factor for aggression in treatment settings., in Case Rep Psychiatry, vol. 2011, 2011, p. 351824, DOI:10.1155/2011/351824, PMID 22937404.
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.2 Pag.30.
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.3 Pag.41
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.3 Pag.43
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.3 Pag.46.
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.4 Pag.55/57
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.5/6 Pag.60/88
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.6 Pag.93/94
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.6 Pag.96
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.6 Pag.97
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.7 Pag.105
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.7 Pag.110
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli raccontato da Fregoli", Leopoldo Fregoli-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.7 Pag.110
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.10 Pag.158
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.10 pag.164
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.11 Pag.173/174
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.12 Pag.183
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.13 Pag.196/214
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.14 Pag.216
- ^ Vedi bibliografia-"Fregoli raccontato da Fregoli", Arturo Brachetti-Leopoldo Fregoli
- ^ Fonte: Apriteilsipario.it.
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi
- ^ vedi bibliografia-"Fregoli la biografia", Alex Rusconi-Cap.15 Pag.287
- ^ Scheda su:Zio Paperone e il fotofregoli
- ^ Su imdb.com
Riferimenti e bibliografie:
- Leopoldo Fregoli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- "Guida alla Rivista", Dino Falconi e Angelo Frattini, "Accademia" Casa Editrice, Milano 1953
- "Follie del Varietà" - Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè, Feltrinelli, Milano, 1980
- "Il Cafè-Chantant", (Mario Mangini), Ed. Ludovico Greco, Napoli 1967
- Leopoldo Fregoli, su sapere.it, De Agostini.
- Leopoldo Fregoli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- (EN) Leopoldo Fregoli, su Find a Grave.
- (EN) Leopoldo Fregoli, su Internet Movie Database, IMDb.com.
- Approfondimento Luigi Colagreco, "Verso la multimedialità? Gli spettacoli di Leopoldo Fregoli fra teatro e cinema" in Ateatro - webzine di cultura teatrale, n. 29 del 15 febbraio 2002.
- (PDF) Amilcare Foscarini, Leopoldo Fregoli: la comicità che ha fatto storia
- Oscar Mercatali, Fregoli dal Caffè Concerto al Teatro, Roma, Perino, 1893.
- Giulio Piccini (Jarro), "Vita di Leopoldo Fregoli" in Il naso di Ermete Novelli, Firenze, Ricci, 1901.
- Franco Liberati, Leopoldo Fregoli biografia aneddotica, Palermo, Casa Editrice Salvatore Biondo, s.d.
- Leopoldo Fregoli, Fregoli raccontato da Fregoli Le memorie del mago del trasformismo, Milano, Rizzoli e C. Editori, 1936.
- Vittoria Ottolenghi, "Fregoli", in Enciclopedia dello Spettacolo Vol. V, Roma, Casa Editrice Le Maschere, 1962.
- Arturo Brachetti e Leopoldo Fregoli, Fregoli raccontato da Fregoli - Le memorie del mago del trasformismo, Edizioni per lo spettacolo, Volume XVII, Florence Art, Firenze, 2007, ISBN 9788886809979
- Luigi Colagreco, "Il cinema negli spettacoli di Leopoldo Fregoli" in Bianco & Nero - Bimestrale della Scuola Nazionale del Cinema, a. LXIII n. 3-4, maggio-agosto 2002, con filmografia a cura di Adriano Aprà, ISBN 8831779354
- Luigi Colagreco, "Scheda su Leopoldo Fregoli e il Fregoligraph" in Le arti multimediali digitali. Storie, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio, a cura di Anna Maria Monteverdi e Andrea Balzola, Garzanti, Milano, 2004, ISBN 8811600170
- Luigi Colagreco, "L'avventura cinematografica di Leopoldo Fregoli" in Storia del cinema italiano, Volume II - 1895/1911, a cura di Aldo Bernardini e Adriano Aprà, Marsilio Editori/Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, Venezia, 2018, ISBN 978-88-317-4962-6
- Mario Verdone, Feste e spettacoli a Roma, Newton&Compton, 1993. ISBN 8879830260
- Alex Rusconi, Fregoli - La biografia, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2011, ISBN 978-88-6222-180-1.
- José Pantieri, Cinema e comicità in Italia, edizioni Museo internazionale del cinema e dello spettacolo 1994 Roma