Sorelle Nava

Sorelle Nava bio

Figlie del comico romano del café-chantant Brugnoletto (Giuseppe Ciocca), e di Giorgina Nava, discendente da un’illustre famiglia di artisti del circo, come i tre moschettieri, le tre sorelle Nava erano in realtà quattro: Pinuccia (Giuseppina), nata a Roma il 4 gennaio 1920; Diana (Cannero, 15 settembre 1924), nome di battesimo Assunta; Lisetta (Luisa), nata a Cannero il 22 luglio 1926) e Tonini (Antonietta), il 18 febbraio 1931 a Roma.

Debuttarono giovanissime con il padre; nel 1938 Pinuccia e Diana formarono il « duo comico Nava » a cui si aggiunse Lisetta due anni dopo formando un trio che ebbe grande successo in Italia e all'estero (Germania, Svezia, Spagna, Belgio ecc.) negli anni della guerra. Il loro successo continuò anche nel dopoguerra fino a che nel 1952 diventarono capocomiche. Nel 1955, ritiratasi Diana, Pinuccia e Lisetta continuarono la loro attività separate.

1945 12 11 Oggi Sorelle Nava f1

Il trio Nava ha gran successi all’estero in una lunga tournée: Germania, Svezia, Polonia, Danimarca e Belgio. Tornano in Italia e nel ’43 riprendono a lavorare tra rivista e avanspettacolo. Nel 1943 sono con Nino Taranto (Il romanzo di un povero giovane), nel ’45 in Pirulì Pirulì di Garinei e Giovannini e nel ’47 con Macario in Le educande di San Babila. Poi ancora una lunga tournée all’estero, questa volta in Spagna, e un anno di attività radiofonica. Infine, nella stagione 1952-53, le Nava assumono il capocomicato con Davanti a lui Tre...Nava tutta Roma: gran successo e finalmente le Nava danno corso alla loro fantasia dissacrante, al gusto di mostrare il trucco, a un becero quanto sapiente battibeccare tra loro. Nel 1953-54, in Tre per tre Nava , debutta anche la quarta Nava, Tonini. Nel 1954-55, Casanova in casa Nava : Pinuccia crea il personaggio del clown Scaramacai, molto ripreso anche in tv. Però la ditta Nava, nonostante il successo, si scioglie: delle sorelle, Diana si ritira; Lisetta continua, sia pure saltuariamente, a frequentare rivista e commedia musicale, ed è con Carlo Dapporto in Carlo non farlo (1956); Pinuccia frequenta la prosa, la televisione (anche quella per ragazzi) e ha anche una sua rivista estiva nel 1957, È arrivata una Nava carica di...


Noi Nava siamo figlie d’arte: siamo nate diciamo dentro una valigia, viaggiavamo assieme alla compagnia di papà. Papà si chiamava Brugnoletto, comico dialettale aveva questa sua compagnia meravigliosa, era antifascista, lui aderiva al socialismo ed era messo al bando come comico pur avendo in concorrenza Petrolini. Si scriveva tutti i testi da solo, suonava la chitarra e faceva delle imitazioni stupende e noi debuttammo nella sua compagnia. Lui faceva macchiette e sketch, per esempio faceva la vita militare dove impersonava un personaggio che era il comandante del battaglione e piano piano faceva questa visita medica al suo battaglione, era solo in scena, ed intervistava il suo reggimento e si delineavano dei personaggi con dei dialetti, con delle battute comiche, con delle mosse comiche finché alla fine andava via suonando la tromba e faceva la marcia militare, era una macchietta che era tutto uno spettacolo. Faceva il tenentino veneziano, il napoletano grosso e volgarot-to con parolacce accompagnato da boati di risate, da solo riusciva a fare un piccolo reggimento che veniva davanti, una carrellata, con dei dialetti che parlava perfettamente. Questa è una delle cose che faceva. Ha fatto anche delle commedie in romanesco Er fattaccio, ha fatto la Passatella e dei drammoni romani.

Mio padre amava molto la famiglia, eravamo cinque figli e abbiamo girato molto assieme e poi amavamo molto viaggiare con lui, solo in America non siamo andati. Tutto questo dal 1920 fino a quando è nato il nostro trio nel 1940. A tre anni ho debuttato alla serata d’onore di mio padre facendo l’imitazione di Joséphine Baker con la sottanina di banane con i riccioioni, facendo questa danza che faceva la Baker con un successo meraviglioso, tanto che a Roma divenni il piccolo idolo dei bambini romani dove a grande richiesta ci doveva essere sempre questa mia imitazione. Questo a tre anni, poi mi sono fermata a studiare, anche mamma si è fermata, poi, nel nostro paese a Cannerò sul lago Maggiore dove c’è una casa di nonno Nava.

Nonno Nava aveva un circo, era proprietario di circo, quei circhi di allora dell’Ottocento aveva non so quanti cavalli arabi, aveva elefanti e il nonno era il direttore del circo, padrone del circo dove debuttò mia mamma e i miei zii, i Benedetti che sono conosciutissimi all’estero e in particolare in America. Mamma poi venne in Italia con i fratelli e conobbe mio padre, questo comico romano al Teatro Adriano di Roma.

Papà ha debuttato grazie a Trilussa, il poeta romano, che lo conobbe in una trattoria dove papà era con amici e suonava la chitarra, cosi tra amici faceva delle macchiette. Li successe una rissa e mio padre fece a pugni, era molto violento fra l'altro, era un romano vero e Trilussa gli diede lui il nome Brugnoletto. “Senti a Brugnolé”, aveva vent’anni, “domani tu devi veni’ a fa’ questo numero con la chitarra”, che era una marcia con le pernacchie accompagnato dalla chitarra, una marcia molto bella. Adesso dirla cosi è brutta e volgare invece era una cosa che si sentiva questa marcia in lontananza, sempre con il labbro appoggiato sul legno che si sentiva prima in lontananza. “Vieni a fare questo numero all’Adriano”, e conobbe mamma. Mamma s’innamorò pazzamente di mio padre lasciò i fratelli dove lavoravano in trio, i fratelli tornarono in America. Loro erano acrobati musicisti, tutti di strumenti, da classica famiglia di circo. Poi mamma a diciassette diciotto anni lasciò i fratelli, sposò papà e ebbe questi cinque figli che siamo noi e noi abbiamo debuttato nella compagnia di papà.

Però dopo nostro padre ha cominciato ad avere molta sfortuna per la politica, non lo facevano proprio lavorare, se non aveva la tessera non lavorava in teatro nonostante i cinque figli. Dicevano: “Brugnolè, se non ti iscrivi al partito non puoi lavorare”. Anzi una volta a Genova fu messo dentro proprio... perché diceva delle barzellette contro Mussolini e l’hanno messo anche in prigione due o tre volte. Quando arrivava Mussolini mettevano Brugnoletto dentro perché non dicesse barzellette, lazzi e non andasse in giro.

Allora debuttiamo, c’è una piccola pausa per gli studi, poi riprendiamo perché papà andava molto male, io avevo tredici o quattordici anni, debutto con papà e nasce il trio. Diana, la terza sorella, la più grassa delle tre e non si ricordava il testo della canzone, farfugliava, era li impacciata e allora è uscita fuori Pinuccia a fare dei break alla Armstrong per fare una sovrapposizione alla sua voce perché farfugliava e dandole degli spintoni l’ha portata fuori dalla scena, se l’è presa sulle spalle e è scappata via. Il pubblico: un gran successo, risate, e allora il direttore del teatro chiese di rifare quel numero, andò da papà: “Che numero stupendo quel numero comico”, un numero che era serissimo e pian piano è diventato comico.

Io avevo il mio numero di tip-tap che allora andava molto di moda, cominciavano le prime canzoni americane, siamo nel trentotto-trentanove. Comunque non abbiamo fatto avanspettacolo, molto avanspettacolo purtroppo. Papà era quasi re dell'avanspettacolo, specialmente una volta caduti in disgrazia cinema e varietà. L’avanspettacolo di allora era un vivai: di artisti veri e li faceva fuori immediatamente, si debellavano i non attori i non artisti; perché se arrivava un cane veniva fischiato spernacchiato pomodorato, ma forte, il pubblico era spietato, il pubblico dell’avanspettacolo. Quindi se riuscivi a venir fuori come ha fatto Rascel, come ha fatto Totò, Anna Fougez, questi grandi che sono nati nell’avanspettacolo, cioè se avevi l’applauso, il successo dell’avanspettacolo andavi tranquillo.


Ritorno a me. Mamma aveva il pallino dell’estero, venendo dall’estero e dal circo diceva: “non state in Italia, in Italia gli artisti non sono molto stimati”. Appena abbiamo fatto questo numero — io di tip-tap, Pinuccia faceva la violinista, e poi tutti e tre insieme facevamo un trio dove cantavamo e suonavamo l’ocarina, finivamo ballando il tip-tap — andammo subito all’estero, in Germania durante la guerra, nel quarantadue. Andiamo in Germania con questo trio e sconvolgiamo la Germania. Ho delle foto di scena con queste tre sorelle con questo temperamento... anzi ho un giornale che se lo si vede c’è da scandalizzarsi, c’è in prima pagina Hitler con tutto il suo comando e in retro, in ultima pagina ci sono le tre Nava, e ci sta scritto: “bisogna andarle a vedere, non le possiamo descrivere”. In Germania abbiamo riunito le nostre forze: io facevo il mio numero da sola, Pinuccia faceva il suo numero di violino da sola e poi si univa con Diana, poi assieme abbiamo fatto tutto un numero alla Fregoli, svestendoci e cambiandoci di abito velocemente. Il numero durava tre quarti d’ora. E con questo numero abbiamo girato tutta l'Europa. Ritornate in Italia, perché il papà ci ha chiamate, abbiamo debuttato allo Smeraldo a Milano dove si faceva avanspettacolo. Non arrivarono i nostri costumi e debuttammo. in bleu-jeans perché avevamo già allora i jeans. Era il 1946. Macario ci vide e facemmo con lui Le educande di San Babila. Con Macario abbiamo fatto tre riviste. Abbiamo fatto un film con Fabri-zi Mio figlio professore, poi Arrivano i nostri con Walter Chiari. Non abbiamo avuta molta fortuna nel cinema, perché eravamo molto prese nei nostri spettacoli all’estero, non eravamo mai molto presenti in Italia. Abbiamo lavorato con tutti i comici, con Nino Taranto, con Rascel... Con Rascel, mi ricordo, sono arrivati gli americani e abbiamo fatto una rivista bellissima dove c'erano le musiche di Pazzo d’amore e assieme facevamo la danza sul pazzo d’amore.

Una cosa importante è il mestiere. Il mestiere si acquisisce giorno per giorno, con un sorriso, con un consiglio di una persona, con un ammiratore al giorno tu riesci pian piano a farti un bagaglio, non si può essere una grande artista o diventare una grande attrice: adesso vado a lavorare vado a teatro e divento una grande attrice. Non è vero, c’è tutto un lavoro, bisogna venire dalla gavetta, c’è questa piccola scala che bisogna salire lentamente, lentamente, e a un certo punto ti senti matura e poi più di cosi non puoi dare, ci son proprio le tue capacità... Noi abbiamo avuto questa routine con papà.

Le strutture teatrali e le compagnie erano grossi sacrifici, la cosa bella è che erano dei puri, pur essendoci — e non voglio fare la puritana — donnine di facili costumi, non c’era però quel malcostume che c’è oggi, e che c’è dappertutto, solo che allora era sacrificio, anche la soubrettina sapeva che doveva sacrificarsi, alzarsi alle sei perché c’era il debutto: il debutto è tremendo perché la sera appena finisce lo spettacolo fai i bauli, una specie di vita da circo, perché dovevano essere caricati sul camion e alle sei si partiva perché il giorno dopo c’era il debutto in un altro posto, magari in Sicilia. Le paghe erano minime, non si facevano ricchi senz'altro gli artisti di allora. Se le tre Nava fossero vissute oggi saremmo ricchissime, allora il massimo di una paga era cinquantamila lire una sera, appunto andavamo all’estero, per guadagnare e anche perché noi tre eravamo tre soldati, non ci siamo mai appoggiati ai letti, perché il letto vuol dire molto in una donna e in una attrice, soprattutto oggi che anche chi è brava va forte di suo. Per noi l’arte era il nostro lavoro, come entrare in fabbrica e lavorare; allora, fare del teatro era sacrificio e con l’avanspettacolo si facevano due spettacoli. Eri in camerino a truccarti con il sole fuori, col cerone in faccia, essere giovani nel camerino umido, veramente ti metteva malinconia. Per uscire fuori dopo un film, magari sgradevole, non come quelli che fanno adesso, e con un pubblico di militari, perché l'avanspettacolo era visto da molti militari, magari il teatro era mezzo vuoto e dovevi fare il tuo spettacolo con coscienza ballando e cantando veramente bene, dicendo la battuta col cuore, altrimenti c’erano mia madre o mio padre che ci sgridavano. Poi la sera c’era lo spettacolone, il sabato era sempre pieno e eri stanca perché avevi fatto lo spettacolo il pomeriggio e invece dovevi darci dentro perché il teatro era esaurito. Il massimo era arrivare al teatro, perché c’era uno spettacolo, una élite di pubblico. All’estero non abbiamo fatto mai avanspettacolo perché non esiste: esistono teatri di spettacolo di varietà, non c’è cinema e varietà, ci sono grandi night con tavolini e con il palcoscenico e ci pagavano moltissimo, delle paghe eccezionali, mentre i teatri ti davano una paga inferiore. Il massimo dell’aspirazione in Italia era fare il teatro dove non faticavi cosi, pur essendoci un mese o più di prove. La cosa che mi sorprende oggi alla televisione è che fa spettacoli ogni settimana e che dà solo poche ore di prove, per questo motivo sono scadenti gli spettacoli, bisogna studiare un po’ di più, fare quindici giorni di prove e poi fare una puntata e non fare quattro giorni di prove e partire con la puntata, si vede che non sono preparati bene. Anche i balletti, i testi. Ecco perché abbiamo degli spettacoli mediocri. Allora c’erano quaranta giorni di prove, si cominciava la mattina alle ottò e si andava avanti fino alle tre del mattino dopo; finché non era messo a fuoco un numero non si debuttava, bisognava avere quel vestito, non se ne poteva portare uno qualunque.

Noi abbiamo amato molto il genere di Hellzapoppin, abbiamo amato molto l’anti-soubrette e non invece le scale, piume, spese, pellicce, vestiti. Lo spettacolo può essere una sedia, una scena nera e una sedia, tutto questo sfarzo dopo la guerra dicevano che ci voleva anche se a volte era un pugno in un occhio. La rovina delle riviste sono stati questi signori spendaccioni e l’impresario non ce la faceva a rientrare nelle spese e non rifaceva più la rivista, il pubblico abituato a queste scene sfarzose le pretendeva e venivano a mancare gli impresari che poi a uno a uno morivano, anche Paone è morto quasi nei debiti. Si può fare uno spettacolo bello purché ci siano gli elementi. Basta che ci sia un testo intelligente e delle brave ragazze a farlo. Non c’era nessuna differenza tra le compagnie dell'avanspettacolo e della rivista: c’era la soubrette che poi nella vita era l’amica del comico, c’era il comico, il balletto, non erano le dodici Blue-Bell, ma erano sei, le sei sgallettate, c’erano poi le due che chiudevano il siparietto: era fatto tutto in cinemascope, la rivista ha attinto dal varietà, poi hanno messo la trama, hanno fatto le commedie musicali, ma con gli stessi ingredienti.

Mi sono ritirata circa a trent’anni perché aspettavo un figlio, e ho avuto Cecilia, ero con Garinei e Giovannini e ho ballato fino al sesto mese e dopo non ho fatto più nulla.

Lisetta Nava


Le sorelle Nava sono tre, ma sulla scena è come se fossero nove, o diciotto, o ventisette: non c’è posto che per loro. Attrici, cantanti, parodiste, ballerine, tutto. E in tutto formidabili. Un concentrato atomico di veemenza, di estri lampeggianti, di buffoneria esplosiva, di vitalità incontenibile. Lazzi, sberleffi, salti, capitomboli, allegrissimi « sfottò » a questo, a quello, a quest’altro, a se stesse. Maschiacci che hanno marinato la scuola e che fanno l’iraddiddio. A domarle, non basterebbero neppure dieci camicie di forza in duralluminio.

Le loro risorse sono un pozzo di San Patrizio. Urlano, strillano, volano da un’estremità all’altra del palcoscenico, si menano colpi sulla pancia, fanno capitomboli, creano un’atmosfera da « kermesse ». Con loro, gli spettatori hanno l’impressione di essere su un « otto volante » : un « otto volante » la cui corsa dura quasi quattro ore. Pinuccia è un diavolo scatenato: si mette i baffi, fuma sigaroni, è una specie di Gig-gi il Bullo in gonnella; Diana — la vamp del trio — un’attrice saporosamente caricaturale; Lisetta una danzatrice scattante e saettante. In nessun caso mettono in azione quei « freni inibitori » che ciascuno di noi dovrebbe avere a propria disposizione. Sono celebri in tre quarti del mondo: dappertutto le hanno soprannominate « le Sorelle Dinamite ».

Figlie d’arte: come avrebbe potuto essere diversamente? Figlie di un notissimo comico romano: Brugnoletto. Non si chiamano Nava, si chiamano Ciocca: Nava è il nome d’arte. Qualcuno le ha paragonate ai fratelli Marx: non è un paragone improprio. Il loro stile coincide con una valanga di trovate imprevedibili. Neppure loro le prevedono: arrivano così, a razzo atomico.

Ora Diana, la « rossa », sta per sposare un principe siciliano. Niente paura: a prendere il suo posto interverrà una quarta sorella, giovanissima: Antonietta. E, all’occasione, c’è un fratello, estrema riserva. Questi Nava!

Dino Falconi e Angelo Frattini


Nava Pinuccia (Ciocca Giuseppina)

(Roma, 4 gennaio 1920 – Milano, 22 giugno 2006) è stata un'attrice italiana di cinema e soubrette del teatro di rivista. Particolarmente attiva negli anni quaranta e cinquanta, ha legato il suo nome ad una popolare figura di clown: Scaramacai.

Romana di nascita ma milanese d'adozione, Nava è stata una figlia d'arte: il padre, Giuseppe Ciocca, era un comico del café chantant che recitava con il nomignolo di Brugnoletto attribuitogli dal poeta Trilussa[1]; la madre, Giorgina Nava, proveniva da una famiglia che si esibiva nei circhi.

Ha iniziato la carriera ancora giovanissima facendo da spalla negli spettacoli del padre. Ha lavorato per la radio e per il cinema calcando il palcoscenico al fianco di grandi artisti come Totò, Erminio Macario, Wanda Osiris e Nino Manfredi.

Assieme alle sorelle Diana e Lisetta costituì il trio comico e vocale "Sorelle Nava"[2][3] attivo nell'avanspettacolo: Diana, rossa di capelli, era la soubrette del trio, Lisetta (moglie del direttore d'orchestra Aldo Buonocore) impersonava la ballerina eccentrica mentre Pinuccia ricopriva il ruolo di comica del gruppo dando l'avvio al grido di Attacca, Boia! all'attacco dell'orchestra.

Nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, il gruppo delle sorelle Nava entra in compagnia con Nino Taranto per la versione teatrale del Romanzo di un giovane povero girato l'anno prima da Guido Brignone. Due anni dopo sono al fianco di Carlo Campanini e Alberto Rabagliati in Pirulì Pirulì, spettacolo firmato dal duo Pietro Garinei-Sandro Giovannini. Del 1947 è Le educande di San Babila, dove si esibiscono con Macario. Gli spettacoli delle sorelle Nava proseguono con una serie di tournée teatrali che le portano ad esibirsi all'estero, dove registrano un particolare successo specialmente in Spagna.

Nel 1952, a guerra finita, portano in palcoscenico una satira del fascismo e del suo duce Benito Mussolini con uno spettacolo che mutuava il titolo da un verso dell'opera lirica Tosca: Dinanzi a lui... Tre Nava tutta Roma.

Nasce Scaramacai

Nella stagione teatrale 1953-1954, ormai pienamente nel ruolo di capocomico di una propria compagnia, le sorelle Nava portano in scena Tre per tre Nava assimilando nel gruppo la quarta sorella, Tonini (Antonietta). Nella stagione successiva 1955-1956, quella che si concluderà con lo scioglimento della compagnia, va in scena Casanova in casa Nava.


Mi sun Scaramacai, nel bel mezzo dei suoi guai, mi sun Scaramacai, cumbinu sempre guai.


È in questo contesto che Pinuccia Nava recita nelle vesti di Scaramacai, buffo pagliaccio dai versi gutturali (che sarà poi copiato da Sandra Mondaini per il suo Sbirulino[4]) creato dalla fantasia di Umberto Simonetta e Guglielmo Zucconi e a cui Nava legherà maggiormente il suo nome.

Con lo scioglimento della compagnia teatrale, per Pinuccia Nava, memore della magia del circo, si apre una nuova carriera con la ripresa, per la neonata televisione italiana, del personaggio di Scaramacai. Questa macchietta verrà ripresa anche nel cinema e, fino al 1966, nella pubblicità per una serie di Carosello per una marca di caramelle.

La cassa di risonanza della breve striscia preserale consentirà a Nava di tenere vivo il tormentone che aveva reso celebre il personaggio, nato inizialmente per l'infanzia.

Mentre Diana si ritirò quasi subito dalle scene, e Lisetta continuò saltuariamente a recitare nel teatro di rivista (ad esempio con Carlo Dapporto in Carlo non farlo, del 1956), Pinuccia Nava preferì dedicarsi alla televisione con spettacoli per la TV dei ragazzi, alternandosi in spettacoli per il teatro di prosa ma senza rinunciare a qualche sortita estiva, come avvenne nel 1957 quando mise in scena un nuovo spettacolo di rivista, È arrivata una Nava carica di....

Ha quindi poi lavorato per la RAI fino al 1971, prima di ritirarsi definitivamente dalle scene.

Per il cinema

Mio figlio professore (1946, di Renato Castellani, con Aldo Fabrizi)
Assi alla ribalta (1959, di Ferdinando Baldi, con le sorelle Nava nelle parti di sé stesse)
Le avventure di un pagliaccio (1961, mini-serie televisiva)
Il mantenuto (1961, di e con Ugo Tognazzi)
Scaramacai e la Befana (1962, film TV diretto da Gianni Serra)
Scaramacai e l'isola beata (1963, mini-serie televisiva diretta da Alda Grimaldi)

Programmi televisivi RAI

Storie di un pagliaccio, Scaramacai e la bambola di Guglielmo Zucconi, con Pinuccia Nava, regia di Maria Maddalena Yon, trasmessa il 18 febbraio 1963[5]

Note

  1. ^ Nel Dizionario Romanesco di Fernando Ravaro, Newton Compton Editori, 2005, alla voce omonima si riporta: «Nomignolo dato a un ragazzetto bruno, paffuto, di piccola statura». Filippo Chiappini, nel suo Vocabolario romanesco, Edizione Il cubo, 1992, riporta solo la variante femminile brugnoletta con analogo significato.
  2. ^ Prima del suo scioglimento, il trio si trasformò per un breve periodo in un quartetto poiché alle sorelle Diana (vero nome Assunta, nata a Cannero il 15 settembre 1924 e morta a Roma il 14 luglio 1988), Lisetta (vero nome Luisa, nata a Cannero il 22 luglio 1926 e morta a Forte dei Marmi il 26 ottobre 2008), e Pinuccia si aggiunse nelle esibizioni sul palcoscenico anche Tonini (vero nome Antonietta, nata a Roma il 18 febbraio 1931).
  3. ^ Approfondimento e Immagine delle Sorelle Nava.
  4. ^ Nuova pagina 1
  5. ^ Il Radiocorriere n. 8/1963

Pinuccia Nava si è fidanzata

Pinuccia Nava non è certo una novizia del teatro. Benché lavori sul palcoscenico da quando aveva nove anni, non ha però ancora smesso di studiare. Continua a combattere in particolare la pronuncia romanesca ereditata dai primi anni di lavoro, quando a Roma compariva insieme al padre nelle prime commedie musicali, ed è pure in lotta con l’improvvisazione. Vuole essere un’attrice seria, controllata. Ha poi cominciato a studiare l’inglese. Dovrebbe lanciare un numero, una macchietta, per la TV di Londra. Infine ha in progetto qualcosa nell’America del Sud.

Più che dalle esperienze passate (le riviste con le proprie sorelle), il successo di Pinuccia risulta dalla quantità delle proposte di lavoro. Oltre a quanto si è detto, i suoi programmi più o meno immediati comportano la partecipazione ad un film su soggetto di Marchesi e Metz (Susanna tutta panna) con la regìa di Steno, e la partecipazione ad una rivista, con un capocomico ed un titolo che per il momento sono segreti.

Pinuccia Nava comincerà presto a girare «Susanna tutta panna», un film su soggetto di Marchesi e Metz, diretto da Steno. La rivedremo pure presto sulla scena del teatro di rivista.

Pinuccia Nava, nelle settimane scorse, ha continuato intanto a presentare sui teleschermi un suo personaggio buffo e patetico, il pagliaccio «Scaramacai», che probabilmente i bambini dei nostri lettori conoscono bene. Per i grandi. Pinuccia Nava ha lavorato recentemente in Lei e Lui: era la cameriera padrona in coppia con Navarrini.

Pinuccia Nava è anche pittrice: ha già dipinto una quindicina di quadri che conta di esporre fra poco a Milano. Intanto studia l’inglese perché intende proporre un suo numero alla TV di Londra.

Pinuccia Nava da qualche tempo ha un fidanzato: si chiama Roberto Filippo Picchi, è un ex-attore ed è ora « manager » dell'attrice. Pinuccia ha annunciato agli amici la sua decisione di sposarsi entro la prossima estate, in qualunque parte del mondo allora si trovi. Il fidanzato è d'accordo.

Fra questi programmi, tutti impegnativi, e che la sballottano da una città all’altra, Pinuccia ne inserisce altri due: portare a termine una collezione di una quindicina di quadri, che verranno esposti in una sua «personale» a Milano, e la decisione di sposarsi in qualsiasi parte del mondo si trovi, nel corso della prossima estate. Suo marito sarà Roberto Filippo Picchi, un giovanotto alto alto, simpatico, esattore ed ora «manager» di Pinuccia.

Di sera, piace a Pinuccia intrattenersi in casa con gli amici a fare lunghe chiacchierate: in sua compagnia, l’allegria non manca mai.

Queste attività occupano Pinuccia dal mattino alla sera, la affaticano, ma la rendono anche soddisfatta di sé, allegra. Al termine di una giornata movimentatissima fa lunghe chiacchierate in compagnia di amici, descrivendo tutto quello che le capita. Uno degli episodi che.più la diverte è stato, di recente, la consegna, da parte dei carabinieri, di una medaglia-ricordo per lo spettacolo svoltosi a Milano nel giorno dell’Epifania. Sul retro della medaglia, tra fronde di alloro e rami di quercia, si legge: «A Pinuccia Nava - Befana 1957». Ma Pinuccia l’ha presa allegramente. Sa bene di non essere una befana.

L. P., «L'Europeo», anno XIII, n.11, 17 marzo 1957


Era appena terminata una delle prime trasmissioni di Saltamartino e il pagliaccio Scaramacai stava già togliendosi il trucco, quando un usciere si precipitò nello studio numero quattro di corso Sempione: «Vogliono Scaramacai al telefono», disse. Senza scarpe e con la parrucca messa per traverso Pinuccia Nava andò a rispondere: era un bambino «picolissimissimo» che la invitava a casa sua, a far merenda. Il pagliaccio sorrise.

 

Scaramacai CC 01

Il bambino era rimasto colpito da ciò che aveva visto durante la trasmissione: Scaramacai stava pescando sulle rive di un laghetto. «A voi piace pescare, signori bambini?», aveva chiesto. «A me no. Perché la pesca è un inganno, si, un inganno che si fa ai pesciolini. Si butta giù l'amo con attaccate le cosine buone, i pesciolini ci credono e invece, tac! Restano presi, pronti per finire in padella.» Ma menitre stava spiegando queste sue teorie il pagliaccio sentì muoversi il filo e vide il sughero affondare nell'acqua. «Quando uno ha fame» si giustificò «non può fare tanti complimenti.» Tirò la canna e rimase incantato ad ammirare una magnifica carpa. «Non c'è bisogno di pulirla, è stata nell’acqua fino ad ora: più pulita di così!»

Incominciò a fare progetti: l'avrebbe fritta subito, metà per sé e metà per gli altri pagliacci. Ma appena messa in padella la carpa si lamentò: «Pietà, Scaramacai!» disse. Il pagliaccio rimase esitante: «Come fai a conoscere li mio nome?». «Tutti i pesci ti conoscono», proseguì la carpa, sanno che sei buono». E l'aspirante pesce fritto cominciò a raccontare, con una vocetta lacrimosa, che aveva il babbo in carcere e la mamma ammalata e che lei era la più grande di sette sorelle, alle quali doveva ancora insegnare a nuotare. Scaramacai si commosse e la ributtò in acqua: «A mangiare c’è sempre tempo» commentò.

Scaramacai CC 02

Per questo motivo il piccolo telespettatore voleva invitare il pagliaccio a dividere la sua merenda, per premiarlo di essere rimasto vittima della sua bontà. I bambini di ogni epoca e di ogni parte del mondo hanno sempre amato i personaggi buoni. Li sentono vicini, simili a loro. Anche se oggi le vetrine dei negozi di giocattoli abbondano di razzi interplanetari, di sconcertanti marziani, di inverosimili cucine elettroniche, i piccoli, per nostra e loro fortuna, rimangono affezionati alle trombette di latta e ai pupazzi. Questa è forse la molla segreta che ha determinato il successo del simpatico pagliaccio appena s'è affacciato al mondo dei piccoli, attraverso la rubrica Saltamartino. Gli autori di Scaramacai, Zucconi e Simonetta, hanno pensato che l'ingenua freschezza dei bimbi sarebbe rimasta maggiormente impressionata da un pagliaccio vagamente surreale, che potrebbe star sospeso su una nuvoletta e vedere le «case piccolissimissime come scatole di fiammiferi e le strade sottili come stringhe di scarpe».

«Il Musichiere», 12 febbraio 1959


Lisetta Nava (Luisa)

(Cannero il 22 luglio 1926, Forte dei Marmi, 27 ottobre 2008), figlia d'arte, Lisetta negli anni '40 entra a far parte, con le sorelle Pinuccia e Diana, del trio comico e vocale Sorelle Nava e ottiene un grande successo nei teatri di rivista italiani ed europei.
Nel trio, Lisetta impersonava la ballerina eccentrica, Diana era la soubrette, mentre Pinuccia (morta qualche anno prima) era la comica del gruppo (anni più tardi divenne per la tv Scaramacai). Tra gli spettacoli più importanti, "Il romanzo di un povero giovane" di Nino Taranto (del '43), "Pirulì Pirulì" di Garinei e Giovannini (del '45) e "Le educande di San Babila" di Macario (del '47). In quegli stessi anni il Trio appare anche sul grande schermo, in "Mio figlio Professore" di Renato Castellani (1946), la storia del bidello Aldo Fabrizi che riesce con mille sacrifici a far laureare il figlio. Prima di sciogliersi, il Trio ottiene la consacrazione del pubblico grazie a "Davanti a lui Tre...Nava tutta Roma". Con questo spettacolo le sorelle diventano capocomico e danno corso alla loro fantasia dissacrante esibendo un trucco esagerato e cimentandosi in un battibeccare becero, ma sapiente. Vedova del direttore d'orchestra Aldo Bonocore, Lisetta Nava si è spenta in casa della figlia Cecilia.


Nava Diana (Ciocca Diana)

(Cannero, 15 settembre 1924, Roma, 14 luglio 1988). Il padre, romano, era molto noto per il soprannome di Brugnoletto che gli aveva dato Trilussa. La madre, Giorgia, è stata forse la vera responsabile dell' inizio della carriera artistica delle figlie. Erede di un grande circo di livello internazionale, il Nava-Benedetti, fu lei a portare sulle scene le tre bambine. Di loro il grande pubblico e soprattutto i giovani, non conservano forse un vivo ricordo perchè la loro carriera insieme risale agli anni immediatamente precedenti all' avvento della televisione. Se Lisetta era una bravissima ballerina di tip tap, se Pinuccia è sempre stata considerata la più brava come attrice, Diana, la più grande, era invece reputata la vera bellezza. Una bellezza di quelle che andavano di moda più allora che oggi, formosa, giunonica, con fiammeggianti capelli rossi che le avevano meritato il soprannome di la Roscia con cui veniva affettuosamente chiamata nell'ambiente artistico. Ed era anche considerata un po' il capo del trio. L' altra sorella, Tonina, non ha mai voluto partecipare alla vita artistica. Lo spettacolo più famoso delle tre sorelle è Davanti a lor tre...Nava tutta Roma. Ben presto diventò una battuta che circolava negli ambienti del teatro.

Lo show era in scena al Sistina e impresario ne era Elio Gigante. Sulla battuta fiorirono moltissimi aneddoti legati alla fama di litigiosità e grande gelosia delle sorelle Nava. Si racconta ad esempio che una volta, in occasione di uno spettacolo a Milano dove recitavano con grossi attori, le tre Nava cercarono di intralciare la produzione in tutti i modi, tentando di cambiare la sceneggiatura, i balletti, i partners. Soprattutto non riuscivano a mandar giù la partecipazione di un gruppo di tre bravissimi ballerini e acrobati spagnoli. Ed ecco l' aneddoto: si dice che mentre uno di loro eseguiva un' acrobazia a testa in giù, poggiandosi su un tappeto, una delle tre, o forse tutte insieme, gli sfilarono il tappeto da sotto, facendolo cadere con grave danno dello spettacolo e della incolumità del povero ballerino. Forse proprio a questo carattere volitivo si deve la separazione in arte delle tre sorelle. Pinuccia continuò, dando vita successivamente all'amato personaggio di Scaramacai. Ma il loro nome insieme è legato alla rivista di varietà e solo marginalmente a piccole parti nel cinema. Con loro debuttò ad esempio Franca Rame, con loro, nel varietà, lavorarono il giovane Manfredi, Pandolfi, Bonagura. Diana, alla sua morte, lascia due figli: Fabio e Marco che partecipa alla gestione del Sistina di cui il padre, il marito di Diana, Cesare Valsania, è comproprietario.


La stampa dell'epoca

A Milano se ne parla ormai come del panettone. «Sono certo milanesi, con quel cognome lì» dicono con aria soddisfatta gli spettatori. Ma non è vero: Milano le ha scoperte e le» ha lanciate; e poi ai milanesi piacciono perchè, come dicono nel presentarle i compagni della rivista, «sono tre ragazze fatte in casa». Non si danno arie, fanno ridere e stanno allo scherzo. «Sembrano i Ritz», dicano gli spettatori più smaliziati, «avranno molto successo»; Appartengono alla Compagnia Zabum, sono state applaudite nello spettacolo «Pirulì rifulì».

I loro antenati erano attori girovaghi ; papà, romano, si chiama Brugnoletto, attore comico e drammatico che fece molte tournées ed ha avuto sempre successo; in un numero che i romani si ricordano ancora, suonava una marcia militare e faceva la locomotiva in arrivo. La madre si chiama Nava, è uscita da una famiglia di artisti da circo e in gioventù fu ballerina, del genere classico. Hanno avuto cinque figlioli: le ragazze maggiori sono le tre Nava: Conchita, nata a Roma, Diana e Lisetta nate a Cannero, ventitré, diciannove e sedici anni e mezzo. Sono state quasi sempre all’estero e hanno cominciato presto a recitare: Lisetta a tre anni debuttò in Isvezia in un’imitazione di Joséphine Baker (danza delle banane), Conchita in un numero di creola, con la pelle dipinta di marrone e due gardenie in testa. Poi hanno smesso per studiare danza classica e musica. Lisetta, già «lanciata», si prepara per la seconda liceo.

Sulla scena il trio è ben equilibrato: due sono brune, una è color mogano; hanno la bocca grande e dipinta allo stesso modo, gli stessi denti grandi e regolari, un neo preciso sul mento, l’identico ricciolo-ne sulla fronte, gli occhi neri e truccati su modello unico, con ciglia a spazzolino e triangoli di matita ai lati, così che arrivano fino sulle tempie. Diana, quella mogano, la più alta ed opulenta delle tre, sta nel mezzo: le altre due ai lati. Ballano, cantano, recitano, si presentano come per fare un numero serio, si pensa alle Lescano; ma di colpo si trasformano in tre clowns irresistibili. Si vede che nessuna delle tre si prende sul serio. Tutte e tre inventano, improvvisano, si danno botte e calci, non è raro che finiscano a gambe all’aria. Diana, quella che pesa settanta chili e ha curve alla Mae West, è la più provocante e fa la donna fatale.

Conchita, la più magra, è la comica della compagnia: è lei che inventa gli scherzi più spassosi, non le importa niente di strizzarsi i capelli in due codine da topo che la imbruttiscono, canta d'amore e d’un tratto viene fuori con un break gutturale da negro. Sa suonare anche il violino: eccola in tenuta da concertista che interpreta con sentimento un valzer viennese. A un certo punto però le viene il solletico e si gratta con l’archetto. Il valzer non s’interrompe: lei lascia cadere il violino su un fianco, come se fosse stanca; il valzer va avanti lo stesso. Conchita suona con la bocca.

Lisetta ha spesso funzione di coro nel trio, di commento e d’invito all'allegria. E' specialista in tip-tap.

Il boogie-woogie poi travolge tutte e tre le Nava. Non si ammaccano quando fanno uno dei loro ruzzoloni? Fin da piccole hanno imparato a cadere, senza neanche imbrattarsi con la polvere delle tavole; e non sentono più neanche gli schiaffi che si distribuiscono a vicenda. Sono di buon umore anche fuori dalla scena; la loro cameriera dice che «è un teatro averle in casa». A Milano dormono fino alle undici, all’Albergo Candidezza; ma in questi giorni hanno girato molto per commissioni.

Per la strada una signora ha fermato Diana per chiederle il nome del parrucchiere che le tinge i capelli. «E’ stata la mamma» le ha risposto Conchita, ma la signora si è spaventata perchè Conchita aveva parlato con voce da ventriloquo.

Tutte e tre sanno andare a cavallo e vanno matte per la zuppa pavese e le bistecche alla Bismàrck. Sono state scritturate per una tournée in America e ci andranno. Tra i film più recenti preferiscono «La mia via», benché sia così serio.

Di ammiratori a Milano ne hanno trovati molti: un ricco setaiolo mandò per cinque sere di seguito grandi mazzi di rose gialle nel loro camerino; volle conoscerle; scherzò con tutte e tre e non si decise per nessuna; gli piacevano tutte e tre allo stesso modo. Diana riceve in dono per lo più statuette di maiolica, che restituisce sempre. Lisetta ha un adoratore cinquantenne che fa il pellicciaio e le offre mantellette di ermellino (respinte anche queste, ci tiene a dichiaralo). Conchita ha suscitato un serio affetto in un musicista di mezz'età «troppo serio, ma simpatico» che le ha mandato una canzone scritta per lei con infilata dentro una tuberosa.

E tutte e tre hanno ricevuto la seguente lettera da un signore: «Coraggio, figliole — diceva — ad altri è capitato d'inciampar nel venir fuori a ringraziare: è effetto di timidezza; vedrete che col tempo non vi capiterà più». Alludeva al ruzzolone cumulativo é inventato da Conchita a una richiesta di bis.

«L'Europeo», anno I, n.9, 30 dicembre 1945



Nella rivista “Tre per tre... Nava”, rappresentata a Roma, recita anche la sorella minore, Tonini

Roma, settembre

A immaginare e scriver la rivista Tre per tre... Nava, con la quale si è riaperto il «Sistina», si sono messi in molti: Faele, Ferretti, Silva e Terzoli, quattro autori che sul cartellone hanno soppresso i loro nomi di battesimo. Il numero dei collaboratori poteva lasciar sperare, se non formule nuove, immaginazioni più libere e sostenute di quelle a cui questo genere di spettacolo cl ha da tempo abituati. Tre per tre... Nava, fin dall'inizio, percorre invece strade consuete. Nei suoi due tempi i molti quadri che sì succedono per quasi tre ore non obbediscono nemmeno alla logica dell'assurdità. Piani e facili, meno smaglianti dell’ordinario, ognuno di essi è indipendente dall'altro. Così accade di questa rivista ciò che è accaduto di molte altre. Nonostante la sua lunghezza, quando il sipario cala per l’ultima volta, si ha l'impressione che lo spettacolo non sia finito.

Del resto il pubblico elegantissimo che aveva affollato il «Sistina» (tutte le attrici del teatro e del cinema residenti a Roma sedevano in platea) si era lasciato attrarre soprattutto dal richiamo delle tre sorelle Nava, alle quali, d'ora in avanti, si sarebbe aggiunta una sorella più giovane. Con Diana, Lisetta e Pinuccia sarebbe comparsa quella sera Tonini, l'ultima della covata.

Per dar risalto al debutto, gli autori hanno immaginato che le tre Nava non avessero nessun desiderio di far posto all’ultima sorella e con essa dar vita a un quartetto. In tutto il primo tempo Tonini tenta inutilmente di affacciarsi alla ribalta, ora per cantare una strofetta, ora per recitare le parole della demenza dì Ofelia, ora per tentare un passo dì danza. E sempre le sorelle, una alla volta, o tutte insieme, riescono a interromperla e a costringerla a uscire di scena. Soltanto alla fine Tonini potrà sussurrare al microfono (la prima sera, forse a motivo della commozione, la sua voce era debole) una canzone che Frank Sinatra ha reso famosa. Nessuno avendola interrotta, un siparietto si apre sul camerino delle sorelle maggiori. Imbavagliate e legate alle seggiole con grosse corde, Diana, Lisetta e Pinuccia si contorcono senza riuscire a liberarsi né a profferire parola.

Finzione scenica che naturalmente non trova riscontro nella realtà affettiva della famiglia Nava. Dopo l’ultima passerella le tre sorelle maggiori circondavano Tonini e la baciavano ripetutamente. Ma Tonini, sebbene riveli i caratteri del ceppo al quale appartiene, e li rivela soprattutto in rumorose e improvvise cadute, non ha ancora la franchezza e lo spirito del terzetto al quale si è ora aggiunta e che per tre quarti della serata recita, canta e si muove per proprio conto.

Caso mai si può osservare che le tre Nava questa volta sono apparse meno indiavolate. Probabilmente la loro vitalità non è diminuita. Essa ha le sue origini nel vecchio varietà italiano, che sopravvive tuttora negli avanspettacoli dei cinematografi di periferia. Si tratta di attrici istintive, il cui umorismo popolaresco da una parte rammenta il «clown» e dall’altra sembra avere qualche parentela con i comici dialettali, ad esempio Aldo Fabrizi. Si capisce che la più rumorosa delle Nava, invece di distribuire fiori al pubblico, si diverta a lanciare sugli spettatori in poltrona, sedani, broccoli e carote.

Tuttavia, in un ambiente di grandi proporzioni quale è il Sistina, anche i colori più accesi si attenuano. E in una rivista regolare che deve far posto ad azioni coreografiche, a balletti di insieme ed individuali, ad una esibizione di acrobati e a scenette rapide, alcune delle quali rammentano i caratteri dei Gobbi (fa Valeri, Bonucci e Caprioli fanno proseliti), la recitazione delle Nava finisce per apparire troppo isolata ed il ritmo dal quale solitamente è sorretta, in qualche punto, si disperde.

Il testo di questa rivista è esiguo, e molti quadri hanno la debolezza di rifare il verso a se stessi seguendo i modi del giornale umoristico. Eppure i brani parlati, sebbene brevi, hanno divertito e interessato il pubblico assai più dei balletti e delle azioni coreografiche. Dal che si dovrebbe dedurre che la rivista, sebbene immaginata per persone che pensano poco o vanno ad ascoltarla per concedersi il riposo di non pensare affatto, avrebbe tutto da guadagnare concedendo alla recitazione spazio maggiore.

Ne guadagnerebbe, naturalmente, valendosi di attori veri. In Tre per tre Nava il pubblico applaude con insistenza, proprio un quintetto di recitanti: Gianni Bonagura, Paolo Ferrari, Raffaele Pisu, Pier Luigi Pelitto e Nino Manfredi. Cinque giovani, alcuni dei quali provengono dall’Accademia nazionale d’arte drammatica e si erano già fatti apprezzare nel teatro di prosa. Ferrari ha recitato con Vivi Gioi; Manfredi, due anni fa, era interprete dell’Intermezzo di Giraudoux; Bonagura, sotto la direzione di Guido Salvini, aveva sostenuto parti di rilievo in Shakespeare e in Annibai Caro. Reprobi per forza di cose.

Raul Radice, «L'Europeo», anno IX, n.40, 27 ottobre 1953


Quattordici capi d'accusa contro le Sorelle Nava. Il loro impresario ha chiesto quarantotto milioni per risarcimento danni

Milano, aprile

L'ultima scena di «Tre per tre... Nava». un gran finale che gli autori del copione della rivista non avevano immaginato, sarà recitata a soggetto verso la fine di aprile in un'aula di tribunale. L’impresario Elio Gigante ha bensì citato per danni patiti soltanto le «vedette» Giuseppina, Assunta e Luisa Ciocca — in arte sorelle Nava —, ma a testimoniare sulla circostanza in discussione sono chiamati quasi tutti gli ex componenti della compagnia delle tre sorelline, ed è perciò assai probabile che l’udienza processuale si spezzetti in una serie vivacissimi sketches per i quali il magistrato dovrà accollarsi il faticoso incarico dì fare da regista.

Lisetta Nava diede il via al grave incidente sollevato la vigilia di Natale, a Milano, contro il numero degli acrobati Frediani.

UNA STAGIONE BURRASCOSA

La recente stagione teatrale delle Nava, conclusa repentinamente a Genova nel febbraio scorso con l'anticipato scioglimento della compagnia, è stata una delle più burrascose. Che le tre sorelle dimostrino sul palcoscenico un temperamento aggressivo prima ancora che focoso (divertendosi, ad esempio, moltissimo nel lanciare scherzosamente verdura fresca contro il pubblico della platea), è cosa risaputo da tutti gli appassionati degli spettacoli di rivista. Come ognuno sa, per averne letto le biografie ufficiali, le indiavolate attrici sono serafici angioletti nella loro vita private: tre giudiziose e disciplinate donnine di casa. Nell'invocare giustizia in tribunale, l'impresario Gigante sostiene che si trattò dì un colossale equivoco: non esisterebbe affatto finzione scenica, giacché fuori del palcoscenico il temperamento di Pinuccia, Diana e Lisetta Nava sarebbe altrettanto sanguigno, se non peggio. E a casa — soggiunge l’impresario, non si capisce bene a quale scopo — le temibili sorelle hanno un fratello ex campione di pugilato fra i dilettanti.

L'atto di citazione rifà la storia tempestosa di «Tre per tre... Nava», riportando numerosi esempi illustrativi. Si comincia, senza insistervi, dal fatto che l’esordio della compagnia, fissato, per il 1° settembre scorso al teatro Sistina di Roma, dovette essere rinviato di diciotto giorni, ritardo 'del resto giustificabile poiché Pinuccìa, primogenita e «capitana» delle Nava, aveva subito in quei giorni un intervento chirurgico a un ginocchio che ciondolava. Secondo l’accusa, il primo fattaccio ingiustificabile avvenne al termine del periodo delle prove, allorché le Nava cacciarono dal teatro Sistina gli autori della rivista.

Era la serata della prova generale e il pubblico di invitati che occupava le prime file di poltrone vide a un tratto correre fra gli scenari il figurinista Bruno Ballarin, incalzato dalle tre sorelle. (Quando decidono di fare qualcosa, le Nava lo fanno sempre collettivamente). Postosi in salvo. Ballar in raccontò che Pinuccia, Diana e Lisetta, non soddisfatte della realizzazione di un costume, l'avevano insolentito e che era stato costretto a fuggire dal palcoscenico per non essere malmenato.

Liquidato il costumista, le sorelline annunciarono che non avrebbero cominciato la prova dello spettacelo se prima «qualcuno non sgomberava la platea». Era una richiesta posta in termini sibillini è si pensò che fosse il pubblico quel «qualcuno» che infastidiva le Nava. Ma, allontanati che furono i pochi spettatori invitati, Pinuccia chiarì anche a nome delle sorelle che dalla sala se ne dovevano andare gli autori della rivista: Faele, Ferretti, Silva e Terzoli. I quattro balzarono in piedi, indignati gridando che avrebbero ritirato il copione, intervenne Rascel come paciere, si discusse tutta la, nottata e infine, per non restare senza, copione, le tre Nava acconsentirono a inviare una lettera di scuse ai quattro espulsi.

Non ci furono invece rimedi per l’allontanamento dalla compagnia dell’attrice Primarosa Battistella. Al riguardo la tesi delle Nava era che l’attrice non dovesse restare in scena per un tempo superiore a un minuto e venti secondi. L’impresario Gigante è dell’opinione che questo fu una pretesa assurda, cosi come nuove assurde «vessazioni e provocazioni delle sorelle Ciocca Nava» avrebbero provocato in seguito la decisione del secondo ballerino Christian Claudien di cercarsi un'altra compagnia più riposante. L'atto di citazione dell’impresario contiene complessivamente quattordici capi di accusa. Si dice di arbitrarie ordinazioni di costumi, scarpe e cappellini; di contegno offensivo verso il capocomico e di atti di violenza verso alcuni degli attori scritturati; di partecipazione a trasmissioni radiofoniche senza autorizzazione; di rifiuto a partecipare a spettacoli in «piazze» di provincia; e si arriva infine alla memorabile serata del 24 dicembre scorso, al teatro Manzoni di Milano.

DINANZI AL PUBBLICO

Sui motivi che determinarono gli incidenti esistono versioni discordanti. Dal canto loro, le sorelle Nava sostengono che avevano cento ragioni validissime per agire come hanno agito, mentre l'impresario Gigante e altri attori della compagnia affermano esattamente il contrario. Oggetto della disputa fu il «numero» degli acrobati Frediani, «attrazione internazionale», che le Nava volevano collocato in un certo punto dello spettacolo e l'mpresario, spalleggiato dagli stessi Frediani, sistemato in un altro. Come in realtà si fossero messe le cose, lo deciderà a suo tempo il giudice, ma in ogni caso sullo svolgimento degli incidenti non esistono dubbi poiché vi assistettero alcune migliaia di spettatori che quella sera si trovarono nella sala del teatro Manzoni.

Il via lo diede Lisetta, verso la fine del primo tempo, allorché volse bruscamente le spalle al pubblico e, chinatasi verso il direttore dell’orchestra, gli ordinò di non accompagnare con la musica il «numero» seguente, appunto quello degli acrobati Frediani: Quindi Lisetta rientrò impettita tra le quinte e uguale divieto, per quanto riguardava il funzionamento delle luci, lanciò agli elettricisti. Fino a questo punto il pubblico poteva ancora credere che si trattasse di una trovata del copione. Il bello venne in seguito, appena i Frediani si presentarono alla ribalta e il direttore dell’orchestra, uomo coraggioso, diede l’attacco agli strumenti. Le sorelle Nava entrarono in azione a ranghi completi e imposero a un inserviente di ritirare dal palcoscenico il tappeto sul quale gli acrobati dovevano eseguire gli esercizi più difficili. L'inserviente, più timoroso del direttore d’orchestra, s'affrettò a togliere il tappeto, ma i Frediani continuarono imperterriti la loro esibizione sul nudo tavolato di legno. Chi ne usci più malconcio fu l’acrobata costretto a compiere in cosi difficili condizioni un esercizio che consiste nel ruotare sul capo, a testa in giù, come una trottola. Generosi applausi del pubblico ripagarono i Frediani delle sbucciature alle gambe e alle mani.

QUATTORDICI ACCUSE

Le Nava, infuriate, si chiusero nel loro camerino rifiutando di prendere parte al finale della rivista, e l’annuncio della loro decisione fu dato dal direttore del teatro che si presentò al pubblico dicendo: «Le signorine Nava si scusano per non essere potute uscire a causa di un inatteso inconveniente tecnico che le ha trovate impreparate».

Secondo l’impresario Gigante, il susseguirsi di altri «inconvenienti tecnici» determinò un rendimento economico della compagnia che può essere definito assolutamente catastrofico. Da Milano, sempre in acque burrascose, la rivista passò al teatro Augustus di Genova dove, la sera del 4 febbraio scorso, si svolse l’ultima recita. Tre o quattro attori avevano presentato le dimissioni, altri minacciavano continuamente di piantare tutto su due piedi e l'impresario, fallito ogni tentativo di riconciliazione, decise allora di sospendere l'attività della compagnia «in attesa dì una chiarificazione». Tutti andarono per qualche tempo in vacanza, con l’intesa che si sarebbero ritrovati dopo venti giorni a Milano per riprendere gli spettacoli. Ma all’appuntamento del 26 febbraio scorso le sorelle Nava non si presentarono (si seppe che erano partite per Cortina d’Ampezzo) e la compagnia fu costretta a sciogliersi definitivamente.

I quattordici capi dì accusa dell'atto di citazione contro le sorelle Nava si concludono e riassumono nella richiesta di 48 milioni di danni: questa causa s’incrocia con un’altra intentata dalle tre attrici che a loro volta, ritenendosi danneggiate, chiedono all’impresario Gigante un risarcimento di 900 mila lire. Pinuccia, Diana e Lisetta sono insorte come un sol uomo preparandosi a ribattere punto per punto le contestazioni. Intanto, attraverso il loro avvocato, hanno fatto sapere di essere state «invero a tutt’oggi eccessivamente buone e remissive».

Piero Molinari, «La Settimana Incom Illustrata», anno VII, n.15, 10 aprile 1954


Le Nava: senza pretese ma divertenti

Sulla scia delle tre «sorelline terribili» della rivista italiana è il profumo inconfondibile del vecchio varietà. Questo, prego, è un elogio; un elogio di giovani conservatori, lodatori d’un tempo che non hanno vissuto. Ma sono talmente «figlie d’arte», le tre. coi loro trucchi, le loro astuzie, i loro piccoli espedienti e insomma il loro onesto e solido mestiere, la loro comicità un poco clownesca, quel modo popolaresco che hanno, di impadronirsi della simpatia degli spettatori, bruscamente, senza tanti preamboli, senza tanti complimenti. Quest’anno, poi. dopo le bizze dell’anno scorso, sono particolarmente in forma, sprizzano buonumore e voglia di lavorare. Simonetta e Zucconi, due giovani autori che hanno dimostrato di avere qualche idea e una certa abilità nel taglio degli skechtes, hanno messo insieme, per le tre sorelline, una rivista senza pretese, ma tutta ascoltabile, priva di grandi trovate coreografiche, di fasto, di imponenza, esente insomma da qualsiasi spiegamento di forza; uno spettacolo che non getta polvere dorata negli occhi degli spettatori ma che fila liscio e senza intoppi verso il traguardo del successo. E le tre Nava ci danno dentro, eccome. Il pretesto di Casanova non ha offerto che lo spunto per il calembour del titolo, ciò che era prevedibile. Le tre Nava escono subito dalla spuma settecentesca e scendono in piazza, con quel loro tare popolano, la loro aria romanaccia. Ci sono almeno due quadri indovinati: la parodia di Cornelia e dei Gracchi nel primo tempo e, alla fine del secondo, quella lepida ricostruzione pagliaccesca del terzetto vagabondo intorno all’organetto di Barberia, con Pinuccia Nava che rifà assai bene - e qui torna il discorso di sopra, sulla artigianesca abilità, che deriva, in chi è figlio d’arte, da una tradizione familiare - il verso al Chaplin di «Luci del varietà».

C’è anche qualche pecca, naturalmente, qualche idea rimasta a metà: un processo a Cappuccetto rosso, con allusioni alla lontana alla nota clamorosa vicenda giudiziaria di questi giorni, che non sarebbe stato male come spunto, ma non riesce a concludere, gli manca il mordente finale; mentre il quadro che mette in burletta la burocrazia è di una comicità un po’ troppo secca, che finisce col risultare didascalica e, dunque, prevedibile. Ma queste lievi mende non giustificano certo il rigore di certe recensioni che pure erano state piuttosto indulgenti nei confronti di un'altra rivista, apparsa due giorni prima su un'altra ribalta milanese e che, quanto a testo, non vale certo * Casanova in Casa Nava».

Teddy Lane, il ballerino un poco sofisticato, che si fece conoscere in Italia in una non lontana rivista di Macario.

«Votate per Venere», di Vergani e Falconi, appare qui in un paio di danze un poco intellettualizzanti e in un altro paio di quadri fa da «partner» a Lisetta Nava; è un ballerino piacevole, agilissimo, forse un pochino freddo. C’è il quintetto composto da Fantini, Crovetto, De Santis, Mauri. La Raina, che gli autori hanno fornito di «couplets» divertenti; e loro li sfruttano a dovere, con una comicità meccanica, veloce, di buon effetto. È un po’ diventata una moda, quella dei quintetti o quartetti comici, composti da giovanotti di taglia diversa che si rimbalzano battute e «couplets» come palle da tennis. Ma qui il gruppetto non ci sta male; e del resto, questa moda furono le Nava a lanciarla, tre anni fa. C’è un balletto che non è niente di specialissimo, ma che funziona e fa la sua figura. E soprattutto ci sono loro tre, le sorelline-terremoto.

R.D.M., «Epoca», anno V, n.208, 26 settembre 1954


Le tre Nava o l'eccentricità

Bisnipoti d’arte, educate fin dalla più tenera età al palcoscenico, le Nava sono indiscutibilmente i talenti più genuini e “teatrali” fra tutte le donne della rivista italiana. Eredi di una gloriosa tradizione circense, le Nava conservarono sempre un carattere clownesco, di buffoneria immediata ai limiti dell’irrazionale; d’altro lato sembravano, specie nell’immediato dopoguerra, la proiezione scenica, caricaturata, delle eroine di carta dell’ltalietta, le signorine tutte-curve o tutte-sceme di "Grandi firme” e del "Marc’Aurelio". Tutto ciò, unito a una irrefrenabile vocazione allo scatenamento dell’assurdo, creava occasioni più uniche che rare nel panorama accademico (e sempre pronto a codificarsi) dello spettacolo italiano, di autentica demistificazione "epica”. Le Nava nei loro momenti migliori andavano contro la rivista italiana, invece di iscriversi in essa.

Al centro della sconsacrazione stava la figura della soubrette, venusta e compassata, incarnata dalla statuaria Diana, chioma di fuoco, voce vellutata, abbigliamento "signorile”: ogni tentativo di imporsi come primadonna veniva però contraddetto dalle sfrenatezze sadiche delle sorelle. Parrucche strappate, scapaccioni, vesti straziate, crinoline squarciate per farne uscire una sorellina che si abbandonava al più sguaiato Jodler tirolese, esercizi ginnici per interrompere il fluire della canzone... Ed ecco poi tutti i "riti” della rivista sconsacrati in un crescendo di vulcanico disordine: I’"attacca boia!” cavernoso invece del grazioso “prego maestro!”, !a passerella trasformata in pista da corsa pronta per essere divorata da centometriste chine nella partenza all’americana, la fastosa "presentazione" della diva svergognata con sipari che si aprivano all’improvviso a scoprire le tre sorelle intente a giocare alla morra.

Ecco intuizioni d’“avanguardia selvaggia”: il suggeritore cavato fuori a forza dalla sua buca e oltraggiosamente vituperato (“fa’ un po’ vedere, ci dev’essere scritto in un altro modo...”), Pinuccia-acrobata maldestro appesa a un trapezio spinto dalle solite sorelle dispettose fino sopra alla terza fila e poi rinculante fino a sbattere contro lo scenario dipinto che precipitava fragorosamente rivelando macchinisti imprecanti. Questi ed altri momenti fantasticamente scandalosi nascevano anche da una capacità di improvvisazione prepotente; lo “stile” delle Nava anzi nacque proprio dalla necessità repentina di salvare Diana in scena, in difficoltà con una canzone male attaccata, nel 1939. Scattavano a volte occasioni di autentico litigio (fra Pinuccia e la frenetica Lisetta, naturalmente, mentre Diana impassibile osservava, conscia del proprio "prestigio” di vamp). Ma la glorificazione dell’Assurdo, che apparentava le Nava a mitici sacrileghi, da Mae West a W.C. Fields ai fratelli Marx, era da un canto eccessiva per essere tollerata dalla rivista italiana, che spesso emarginò le Nava, salvo sfruttarne e sterilizzarne le intuizioni (qualcosa di Pinuccia è in certi atteggiamenti della Mondaini, e molto di Lisetta Nava, fin nei particolari dell’acconciatura, servì per la "costruzione” di Delia Scala), d’altro canto era frenata da abitudini e convenzioni che ne impedivano un’espansione davvero alternativa come proposta teatrale. Così all’interno del trio si riproduceva la divisione dei ruoli classici (fino ad apparire ognuna per sé, in sketch separati di sapore tradizionale): Diana cantante, Pinuccia attrice comica, Lisetta ballerina. E i testi che recitavano non erano sempre all’altezza della situazione teatrale rivoluzionaria che le sorelle portavano in sé: i soliti battibecchi fra Roma e Milano, le consuete strofette politiche di sapore qualunquistico... Solo nelle ultime riviste le Nava si liberarono di alcuni vizi, trovarono spunti non banali anche nei testi. Ma la loro presenza così originale ed eccezionale rimase forse più che per le realizzazioni per le indicazioni possibili. Una grande occasione perduta.


Riferimenti e bibliografie:

  • Lisetta Nava in "Follie del Varietà" (Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè), Feltrinelli, Milano, 1980
  • (EN) Pinuccia Nava, su Internet Movie Database, IMDb.com. 
  • Morta Pinuccia Nava, addio a Scaramacai articolo di Maurizio Porro, dal Corriere della Sera del 24 giugno 2006, p. 43. Archivio storico. URL visitato il 26 marzo 2012
  • Dizionario dello Spettacolo Mame
  • "Sentimental, la rivista delle riviste", Rita Cirio e Pietro Favari, Bompiani, Milano, 1975
  • "Guida alla rivista e all'operetta", Dino Falconi - Angelo Frattini, Casa Editrice "Accademia", Milano 1953
  • «L'Europeo», anno I, n.9, 30 dicembre 1945
  • «Cinesport», 28 gennaio 1948 - Macario e le Sorelle Nava
  • Raul Radice, «L'Europeo», anno IX, n.40, 27 ottobre 1953
  • R.D.M., «Epoca», anno V, n.208, 26 settembre 1954
  • «L'Europeo», anno I, n.9, 30 dicembre 1945
  • Piero Molinari, «La Settimana Incom Illustrata», anno VII, n.15, 10 aprile 1954