C'era una volta l'avanspettacolo
Dopo una lunga agonia e con molti rimpianti, il vecchio varietà è morto. Al supo posto è nato il «teatro dello sguardo». Un paio di riflettori, un nastro di musica registrata e una ragazza che si spoglia hanno messo sul lastrico i comici, le soubrettes e gli orchestrali. Vietato alle famiglie. Gli incassi.
Il suo vero nome era «varietà», poi divenne «avanspettacolo», la rivista dei poveri. Una formula azzeccata, divenuta subito popolare, apprezzala soprattutto nei lunghi pomeriggi piovosi da militari in libera uscita, studenti depressi, pensionati, operai e artigiani che, magari, ci portavano anche la famiglia ad onta del «doppio senso» di prammatica nei copioni. Con poche centinaia di lire, cinema più varietà: un film di seconda visione e uno spettacolo ili sessanta minuti con gli ingredienti tradizionali, un paio di skeiches, la scenetta, i couplets, le barzellette, il «numero d’attrazione internazionale», la cantante «della RAI TV», il balletto e la sua brava passerella tinaie, con tanto di orchestra in buca. Alla domanda: «Dove andiamo stasera?» poteva essere una soluzione economica e, spesso, divertente. Poteva: perché oggi l'avanspettacolo e morto. Quel tipo di avanspettacolo. almeno.
Ebbe un soprassalto pre-agoni-co nel giugno del 1964 quando a Garinei e Giovannini venne in mente di organizzare al Teatro Sistina (un teatro dove i comici dell’avanspettacolo avevano sognato per tutta la vita di poter un giorno arrivare) un «Festival dell’Avanspettacolo» al quale presero parte i fratelli De Vico, Pistoni, Madia, Aiche Nanà, Enzo La Torre, Nino Lembo, Derio Pino, Grazia Gori e Beniamino Maggio. Un torneo ad eliminatoria tra varie compagnie. Lo vinse Maggio su Pistoni. La sera della finalissima c'era il pubblico delle grandi occasioni, molti intellettuali, decine di attori di teatro e di cinema. Sulla passerella, dopo la premiazione, insieme a Maggio, sfilarono Fellini, Antonioni, Sophia Loren, Monica Vitti, Alberto Sordi (che in questi giorni sta dirigendo un film sull’avanspettacolo dal titolo Polvere di stelle), Nino Manfredi, Walter Chiari, Paolo Panelli. E Totò, quasi cieco. Fu la sua ultima passerella in teatro. Il destino doveva riservargli di calcare per l'ultima volta le tavole di un palcoscenico proprio in omaggio di quel «varietà» che gli aveva dato i natali artistici e che egli non aveva mai ripudiato.
Una foto «storica»: Totò al fianco di Beniamino Maggio e della sua soubrette nella serata finale del Festival dell'Avanspettacolo svoltasi al Sistina nel 1964. Totò volle premiare il vincitore e sfilare sulla passerella. Fu l'ultima volta che calcò le tavole del palcoscenico
L'omaggio, in verità, fu corale, entusiastico, ma con un fondo di amarezza, perché — anche se i giornali di quei giorni parlarono di «rilancio» — tutti sapevano che, ormai, l’avanspettacolo aveva già un piede nella tomba. Quel mondo irregolare, fatto di stenti, di paghe risicate e malsicure, candido e cialtrone, ribaldo e clownesco. appariva irrimediabilmente condannato e anacronistico nell’Italia industriale e permissiva, consumistica e (finalmente) sindacalizzata. I tempi del comico triestino Ceccherin, che sfidava recidivamente la censura fascista e faceva la spola tra galera e palcoscenico, non erano che un ricordo del passato. Nella realtà, cioè fuori dal Sistina, non potendosi permettere autori degni di questo nome, i consunti copioni dell'avanspettacolo trasudavano sempre più volgarità, qualunquismo, pregiudizi, sentimentalismi e vocazioni piccolo borghesi. Qualche piccolo impresario spese (e rimise) dei soldi per far somigliare di più il varietà alla rivista, quella «sfarzosa» con le «donnine», ormai demodèe perfino nei teatri del centro: ma non fece che approfondire ancora di più la spaccatura tra il suo vero pubblico, affrettandone cosi la morte. Sulla quale e lecito versare delle lacrime solo come ennesima occasione mancala dalla nostra cultura: per tutta la vita l’avanspettacolo aveva flirtato senza essere ricambiato, con lo spettacolo borghese voltando le spalle alle radici proletarie del suo pubblico naturale. Poteva salvarsi cambiando vocazione e puntando su un repertorio alternativo: e stato invece abbandonato ad una morte senza trasfigurazione.
A Roma esistevano almeno una dozzina di cinema-teatro d'avanspettacolo: l’assottigliarsi e soprattutto la decadenza delle compagnie li riduceva soltanto a due. A Milano c'erano l'Ambrosiano, il Fossati, l'Alcione, il Diamante e il Giulio Cesare. Ha resistito solo lo Smeraldo.
Oggi il nuovo avanspettacolo ruota su un solo pilastro: il nudo, lo strip-tease. In Italia lo «spogliarello» vide la luce della ribalta il 7 aprile 1959 nella capitale lombarda al Delle Maschere, un teatrino di 150 posti che ancora oggi prospera su quel filone. Il primo (pudicissimo) strip lo esegui Rita Renoir, ma l'idea l'ebbe un certo Gino Usuelli, un impresario morto l'anno scorso in un incidente stradale: fu lui ad introdurre lo spogliarello nell'avanspettacolo, rinsanguandone i bilanci ma preparandone la fine. Gli spogliarelli erano castissimi; oggi invece i film sexy hanno fatto cadere le «coppette» dai seni e hanno lascialo ridottissimi cache-sexe. I titoli degli spettacoli non sono più Gran baldoria, Ma la mamma tua non ti ha detto nulla?, Precipilevolissimevolmente, Gli italiani sua fatti così, ma, molto meno ingenuamente, Perversion, Sexy scandal show, Sexyrama Strip n. 7 o, nel migliore dei casi, Spogliarello in filobus. Un paio di riflettori, un canape, due altoparlanti che diffondono in sala una colonna sonora di sottofondo e una ragazza che si spoglia, più o meno maldestramente, fino alle barriere del consentito, spesso rischiando i rigori della Buon Costume. Le ragazze sono ex entraineuses di locali notturni oppure ex ballerine di fila: da un tenore di vita massacrante e da paghe di fame, per molte di esse si e aperta un'esistenza di benessere.
Spogliarello a gogo. Lo spogliarello ha soppiantato del tutto il varietà tradizionale nell'avanspettacolo. I comici hanno dovuto adattarsi a compiti di raccordo tra un numero e l’altro.
Dawn Stacy, inglesina di Liverpool, guadagnava 5 mila lire al giorno come ballerina, oggi facendo lo strip ne prende 20 mila, che è la paga piu bassa: le vedettes del ramo arrivano anche a 70 mila. Declassata al ruolo di «spalla» del presentatore, Lia Ferri, ex cantante e soubrette di varietà che un tempo le locandine presentavano come «la Rita Hayworth italiana», ne prende 10 mila al giorno (un giorno comprende 3 spettacoli). «E' un disastro», dice la Ferri, «siamo tutte disoccupate. Se oggi lavoro è solo perchè c'è ancora qualche capocomico di memoria e con un cuore. Il pubblico ci compatisce, siamo sopportate». «E' un disastro», dicono in coro gli ex orchestrali, «in buca l'orchestra è sparita. Abbiamo dovuto cambiare tutti mestiere. Tanti anni fa per noi braccianti della musica c'era il film muto; arrivò il sonoro e ci cacciarono dai cinematografi. Oggi è lo stesso: è arrivato il varietà sonoro. Anzi il sesso sonoro».
«E‘ un disastro», ripete il comico genovese Vici De Roll, «io ho iniziato con Michel, il fratello del famoso Gabré, poi sono stato con i De Rege e col famoso Piero Pieri. Ho fatto anche televisione con Mike Bongiorno. Oggi sono ridotto a brevi duetti, tra uno spogliarello e l'altro. Lo sketch, la scenetta sono morti. Non ci resta che attendere tempi migliori, nella speranza che questa moda del nudo sia transitoria e che il pubblico, alla fine, si stanchi. Quello che mi manca è il tifo che mi facevano donne e ragazzi: oggi non ci sono piu».
«Una volta», conferma Giuseppe Cimino, direttore del Volturno di Roma, «venivano le famiglie, oggi non più. Le abbiamo perse irrimediabilmente. Col nuovo pubblico ci sentiamo a disagio. In passato abbiamo avuto veri artisti. Billi e Riva, Fanfulla e Fabrizi, Navarrini, Maggio, De Vico ecc.: tutti sono passati di qui. Non è solo la fine del varietà, è la fine dell'attore comico: come potrebbero nascerne di nuovi?».
Graziano Jovinelli, titolare dell’omonimo cinema-teatro romano dove si esibirono Petrolini e dove Maria Campi invento la storica «mossa», è stato l'ultimo ad arrendersi allo spogliarello. «Mi decisi nel marzo del 72», dice, «perché non cerano più compagnie. L’ultima ad andare in scena da me fu quella di Trottolino. Poi venne lo strip e gli incassi ebbero un’impennata. Ma non mi rassegno: il varietà, se modernizzato, può rinascere». (Jovinelli sposo Zara I, celebre soubrette degli anni '20).
Gli incassi. Analizziamo quelli di una settimana tipica: il giovedì e il venerdì santo scorsi (giorni in cui non vanno in scena spogliarelli) in un locale furono rispettivamente di 116.500 e 117.400 lire; nei successivi lunedi e martedì furono invece di 1.213.700 e 758.700 lire. F. in provincia sono anche superiori.
Dice Cecè Doria, ex attore, organizzatore teatrale: «Siamo riusciti ad aumentare gli incassi del 60 per cento. Ricordo che qualche anno fa avevo in tournee la compagnia di Nino Terzo, andava malissimo: mandai di corsa una slava con l'occhio di vetro ma brava a fare lo strip e riuscii a non rimetterci. Peccato che lo Stato non ci abbia aiutato in tempo: oggi noi facciamo l'unico spettacolo non sovvenzionato senza rimetterci. Il futuro? Ormai il futuro è quello di diventare un corrispettivo dei club sparsi a migliaia dovunque: quelli dello spogliarello no-stop».
«Questi spettacoli», sostiene un altro impresario. «hanno tuttavia una loro funzione, diciamo così sociale. Lo strip è ora alla portata di tutti, mentre prima era solo per frequentatori di locali raffinati, di teatrini da 4 mila lire e perfino di teatri di prosa e di lirica. (Il soprano americano Carol Noblett si è spogliata completamente in una scena della Thais di Massenet. N.d.R). Del resto basta andare al cinema per vedere molto di peggio. Abbiamo dovuto adeguarci».
Come dire che il vecchio varietà e stato travolto dall'ondata sexy del cinema di profitto.
Giuseppe Tabasso, «Radiocorriere TV», anno L, n.22, 27 maggio-2 giugno 1973
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Giuseppe Tabasso, «Radiocorriere TV», anno L, n.22, 27 maggio-2 giugno 1973 |