La scampagnata dei tre disperati
Tre uomini in cerca di un pranzo
🎭 Introduzione: La fame come musa tragica della commedia
"La scampagnata dei tre disperati" è una gloriosa buffonata di antica scuola, una commedia dell'arte travestita da avanspettacolo, una liturgia profana officiata sull'altare sacro della fame. Non la fame metafisica di Kierkegaard o quella d'amore di Catullo, bensì la fame concreta, masticabile, stomacale: quella che ti fa tremare le gambe, che ti sbianca la vista e che rende poetica anche l'ombra di un osso con un po' di midollo attaccato. È l'urlo primordiale del corpo che reclama il suo diritto all'esistenza, trasformato in un copione tragicomico da recitare con la maschera del clown e l'eleganza di un mendicante in frac.
🎪 Tre comici e un destino: Totò, Inglese e il dramma della mensa vuota
Protagonisti della pantomima sono tre attori comici che più che artisti sono archetipi ambulanti dell’italiano povero ma non domo. Non hanno una lira, un soldo, una moneta da un centesimo bucata. Ma hanno la fame, quella sferzata dell'esistenza che è come un metronomo comico tragico: tic, toc, stomaco vuoto, risata, disperazione, risata, trovata geniale, risata. Sono creature teatrali, costruite con pezze e sogni, che camminano nella polvere come se calcassero la passerella di un gala invisibile.
Gironzolano per i campi, tra sterpaglie, polvere e metafisiche briciole d'aria, finché il destino li porta a una osteria gestita da due sorelle: Carmela, che pare uscita da un trattato psichiatrico di fine Ottocento (l'isterica in stato confusionale), e Luisella, una creatura candida e sempliciotta, con lo sguardo vacuo e l'animo gentile, quasi una Ofelia di campagna. L'una è il delirio con le mani in pasta, l'altra una santa svampita, patrona delle portate dimenticate.
🍝 Entrata teatrale: quando la fame supera la dignità
I tre, con la teatralità di chi ha già provato tutto, entrano in osteria con l'incedere da milionari, sfoggiando un'eleganza da rigattieri del Varietà. Ordinano con la sicurezza dei finanzieri svizzeri: spaghetti, carne, vino, dolci, il tutto con la disinvoltura di chi sa che non pagherà. Si presentano come clienti d'alto rango in un mondo che li considera nullità, ribaltando la gerarchia sociale con una forchetta e una battuta.
È il grande pranzo della miseria, la cena di gala della truffa da poveracci. Si mangia come se non ci fosse un domani, perché per loro, il domani, è sempre incerto, spesso inesistente, e comunque affamato. Tra una forchettata e una bugia, costruiscono un castello di carte fatto di inganni e sogni gastronomici, dove ogni boccone è una sfida al destino.
👮 Brigadieri, appuntati e altri strumenti della provvidenza punitiva
Ma lì, nel mezzo del tripudio gastronomico, arriva il contrappasso: i due carabinieri. Uno è brigadiere, l'altro è appuntato; entrambi incarnano l'ineluttabile presenza dello Stato nel momento meno opportuno. Sembrano usciti da una parodia dell'epopea risorgimentale: inflessibili, monolitici, allergici all'ironia. I tre comici tentano fughe dialettiche, finte malattie, tecniche di sparizione apprese nei teatrini di provincia, ma nulla.
Tentano anche la tecnica dell'ipnosi sulla cameriera, quella dell'orazione funebre per impietosire il brigadiere, perfino il numero della finta morte e resurrezione, ma niente da fare: i tutori dell'ordine non ridono mai quando si parla di conti da pagare. La loro giustizia è asciutta come un grissino raffermo e puntuale come l'acido nei sogni.
💸 Pagare o morire (di fame e di botte)
Alla fine la verità emerge come olio sul minestrone: non hanno i soldi. E in questa rappresentazione che è farsa e tragedia, grottesco e poesia, si consuma il finale. Nessuno scappa, nessuno evade. Pagano. Come? Con cosa? Questo il testo non lo dice. Forse con dignità, forse con umiliazione, forse con un debito morale eterno verso il popolo dei camerieri del mondo. Forse con la promessa di una prossima rappresentazione, dove la fame sarà ancora protagonista e il finale sarà lo stesso.
E mentre escono, magari con un occhio pesto e la giacca strappata, lasciano dietro di sé una scia di risate amare e il profumo di un sogno gastronomico infranto.
📚 Note di regia: Totò, Inglese e la fame come repertorio comico
Questa versione della "Scampagnata" nasce nel 1932 dal genio combinato di Totò e Guglielmo Inglese, due pilastri del palcoscenico dell’Italia che mangia poco e ride tanto. Il canovaccio è fluido, si adatta, muta come una zuppa riscaldata dieci volte: ogni compagnia può interpretarlo a modo suo, ogni attore ci infila le proprie miserie e invenzioni. Ma resta sempre lo stesso: fame, inganno, risata, punizione.
Totò lo sa: far ridere della fame è un atto rivoluzionario. È dare forma a un disagio collettivo trasformandolo in arte popolare. È ricordare al pubblico che la povertà, seppur tragicomica, non è mai ridicola. In questo eterno ritorno del bisogno, Totò anticipa il neorealismo prima del neorealismo, la sociologia prima dei sociologi, la fame prima dei talk show culinari. E la disperazione diventa spettacolo, senza mai diventare farsa fine a se stessa.
🍷 Conclusione: il pasto nudo della commedia
"La scampagnata dei tre disperati" è dunque un banchetto senza tovaglia, un pasto di parole e di trovate, una cena di miserie e risate. Un'odissea farcesca dentro i meandri del bisogno e dell'arte d'arrangiarsi. Un'opera che, come tutte le farse migliori, fa ridere con l'amaro in bocca e il pane in tasca, perché non si sa mai.
È una parabola rustica dove si annidano i grandi temi della sopravvivenza, dell'identità, della ribellione e della speranza affamata. Ridere della fame è, in fondo, una dichiarazione poetica d’esistenza.
E come direbbe uno dei tre disperati alzando il bicchiere d'acqua: "Alla salute, che tanto il vino non ce lo possiamo permettere". E con un inchino, tornano nell’ombra, pronti a ripetere il copione alla prossima osteria.
(Ambientazione: un’osteria di campagna, un tavolo e alcune sedie).
LIBORIO Povero me, sono arrivato all’ultimo scalino della disperazione io, un letterato, un uomo che ha passato la sua gioventù a studiare per ottenere la licenza elementare. Debbo soffrire la fame mentre forse qualcuno mangia e beve a piacere. Non ne posso proprio più. Ah! sorte infame! Già, che la chiamo a fare? Tanto nessuno risponde. Ho trovato un giornale per terra e negli avvisi economici ho letto che si cerca una balia e servitore. Ho pensato di andarci io. Come balia non è il caso perché con questa debolezza come posso dare il latte? l’unica cosa sarebbe di andare a fare il servitore... Solamente che si tratta di andare in un paese qua vicino e non ho soldi per il viaggio. Con questa debolezza non mi reggo in piedi, (si siede)
CAMERIERE (di dentro) Un spaghetto al N° 3!
LIBORIO Spaghetti? E’ meglio che me ne vada altrimenti mi viene uno svenimento.
CAMERIERE (di dentro) Arrosto di vitello al N° 4!
LIBORIO Non è possibile restare qui è meglio che me ne vada, (via)
PADRONE (entrando, al CAMERIERE che viene da un’altra parte) Finalmente sei arrivato! Per comprare un po’ di roba: tre ore... Non sò chi mi tiene dal prenderti a schiaffi.
2° CAMERIERE Nei negozi c’era tanta gente...
PADRONE Taci, non fiatare! Oggi non ho voglia di fare scherzi... Con i nervi che ci ho... guai chi mi capita sotto...! Andiamo dentro che ci sono dei clienti.
2° CAMERIERE Ahi, ahi! Oggi è giornata temporalesca... Quando al padrone capitano queste giornate... sono guai per tutti! (via)
PASQUALE Disse bene quel gran poeta che si chiamava... si chiamava... Non mi ricordo, ma certo che disse: « Chi non mi conosce personalmente mi conosci per fama... ». Invece io sono conosciuto per fame... fame! Solo posso dire cosa sia la fame. Sono tre giorni che non mangio... Tra le altre cose questa notte ho sognato che stavo mangiando un pezzo di pane... Mi sono svegliato e mi sono accorto che stavo mangiando la lana del cuscino. Non ne posso più! Ho una debolezza terribile...
LIBORIO Pochi altri minuti e morirò... sfinito... Chi vedo? il mio amico di scuola
PASQUALE! Meno male: adesso mi faccio prestare qualcosa...
PASQUALE Che?
LIBORIO... Come stai? (fra sé) Adesso me ne vado con lui. Vieni nelle mie braccia! (s’abbracciano)
LIBORIO Tu sei una bellezza!... Eh! che cosa vuol dire mangiar bene!
PASQUALE Già... Anche tu stai molto bene, non ti ho visto più, che hai fatto?
LIBORIO Eh! la mia storia è lunga!
PASQUALE La mia è lunghissima!
LIBORIO E allora invitami a pranzo e parleremo del passato.
PASQUALE Proprio questo stavo pensando: di essere appunto invitato da te.
LIBORIO Da me?... Io non ho neanche un centesimo!
PASQUALE Io peggio di te... Ah, sorte ria! Come siamo sventurati!
LIBORIO Fra le altre cose la debolezza mi dà una sonnolenza terribile. Sediamoci qui. (seggono)
TOTÒ Giocatori e innamorati sono sempre disperati. Il vizio del gioco m’ha mandato alla rovina. Mio zio mi ha cacciato di casa e non vuol più saperne... Sono otto giorni. 192 ore di sofferenza. Qui, passando in un campo ho visto un broccolo... Me lo volevo mangiare crudo... Ma ho sentito un cane abbaiare... e sono scappato. Oggi un pensiero tristissimo mi passa per la mente. Qui passa vicino la linea ferroviaria... Mi vado a mettere sul binario, così... il treno si ferma e rubo a tutti i passeggeri... Non ho mai avuta una fame come oggi... (vede i due) Guarda là... Chi tanto e chi nulla. Quei due hanno mangiato e bevuto, si sono ubriacati a tal punto che non si possono muovere e... io niente. Umana giustizia!
PASQUALE Questo giovanotto deve essere un forestiero.
LIBORIO Beato lui! Chissà quanti soldi avrà in tasca! Vogliamo fare una cosa? Facciamo finta di conoscerlo, l’abbracciamo e vediamo di levarci qualche cosa dalle tasche... (soggetto presentazioni)
TOTÒ Questi sono più disperati di me.
LIBORIO Ma voi i denari a quale tasca li portate?
TOTÒ I denari? Scusate, che sono i denari?... Credevo di trovare in voi un aiuto sicuro e ho trovato invece due più disperati di me. Propongo di fare una cosa. Facciamo una lega offensiva... Ci aiuteremo l’uno contro l’altro. L’unione fa la forza. Per esempio adesso vogliamo mangiare? Ognuno di noi suggerisce un’idea. (pensieri) Non avete pensato niente... Io si. Qui c’è un’Osteria, adesso mangeremo, e poi con un pretesto ce la svigneremo alla chetichella.
PASQUALE L’idea è ottima... Accetto.
LIBORIO L’idea è ottima, accetto, però dobbiamo cercare il modo di farci chiamare dal padrone, così dopo, se la fuga dovesse fallire, avremo come attenuante che è stato lui ad invitarci.
PASQUALE E come faremo?...
LIBORIO Fingiamo di bisticciarci, così lui metterà la pace e ci inviterà poi a mangiare, (lite)
PADRONE Che c’è?... Calma!... Suvvia, siate buoni... (soggetto)
PASQUALE Adesso che la pace è fatta, andiamo a festeggiarla in un bel restaurant...
PADRONE Come? Io sono stato quello che ho fatto da paciere e mi volete fare questo torto?... Perché, forse il mio locale non è degno di ospitarvi?...
TOTÒ Quand’è così... Ci adatteremo a mangiare qua.
PADRONE Ecco, favorite dentro... Nel salone sarete serviti meglio...
LIBORIO No, preferiamo stare qui al fresco.
PADRONE Ma qui tira vento...
TOTÒ Vento?... Il vento è la passione mia!
PADRONE Come più vi piace... Dunque, cosa volete che vi porti?... Intanto una maritata milanese?...
TOTÒ No, preferiamo tre porzioni di maccheroni.
PADRONE Benissimo. Come secondo, vi rompo le costate, come vino... bianco o vi farò uscire il rosso.
TOTÒ Intanto portate subito i maccheroni...
(Soggetto del cane)
PADRONE Giovanni, tre maccheroni ai signori! (il cameriere intanto apparecchia)
PADRONE Mentre si preparano i maccheroni vi voglio raccontare un fatterello che m’è successo un mese fa. Dunque un giorno vennero tre signori che avevano la faccia di tre imbroglioni, mangiarono ogni ben di Dio, bevvero come botti, e quando fu il momento di pagare cercarono ogni via per svignarsela... Ma io cosa feci?... viste le loro brutte intenzioni, appena facero per scappare, chiamai il cane e li feci inseguire da lui. Indovinate il cane cosa mi portò?..; Mi portò: un braccio, un orecchio e due nasi (finta uscita) Che c’è?...
TOTÒ Noi abbiamo troppa paura dei cani.
PADRONE Ma no! Adesso lo faccio legare, (via) (soggetto del timore) cameriere Pronti i maccheroni per i signori!... (soggetto maccheroni)
PASQUALE Padrone! Ci siamo dimenticati una cosa indispensabile, il dolce...
PADRONE Mi dispiace, ma non ne abbiamo. Capirete, siamo in campagna e signori come loro capitano tanto di raro!...
PASQUALE E allora come si fa? Senza il dolce è come se non avessi mangiato! Ormai sono abituato. Adesso andrò a vedere in paese se ne trovo! (via) Io vado a comprare i dolci!
TOTÒ Meglio così, adesso rimasti noi due: come ce la sbrigheremo?...
LIBORIO Che bella idea! Lo zio è andato a comprare i dolci... e voi porterete del liquore...
PADRONE Liquore non ne ho...
LIBORIO Come si fa, i dolci senza liquori?... Impossibile, vado a vedere se ne trovo io... (via)
PADRONE Come sono rimasto male... Sono rimasto così male...
TOTÒ Più male di me che sono rimasto solo in mezzo al guaio!... (soggetto del fagotto)
PADRONE (Quando Totò sarà sulla quinta per uscire, entrerà) Fermo là, assassino! Assassino! Vieni qua... ladro!
LIBORIO (Liborio e Pasquale vestiti da guardie) Dov’è il ladro?... Eccolo là! E’ da stamani che lo cerchiamo...
PADRONE Ha tentato di scappare come hanno fatto i suoi due compari...
LIBORIO Ah, c’erano anche i compari!... (piano) Non aver paura, siamo noi.
PASQUALE Seguiteci!...
LIBORIO E portate anche la refurtiva...
PADRONE (alle guardie) Grazie, se volete qualcosa...
TOTÒ Ebbene sì! Sono colpevole e voglio essere punito... Portatemi con voi!...
Riferimenti e bibliografie:
- "Quisquiglie e Pinzellacchere" (Goffredo Fofi) - Savelli Editori, 1976
- Foto Associazione Antonio De Curtis