Il terzo funerale di Totò

Quando si crede che il sipario sia calato e le luci di scena siano spente per sempre, ecco che Napoli, con l’arguzia e la teatralità che le sono proprie, inventa un atto finale supplementare. Un epilogo dell’epilogo. Dopo due funerali celebrati con devozione liturgica e trasporto popolare, uno a Roma con lustrini e sobrietà, l’altro a Napoli con folla oceanica e lacrime a fiumi, arriva il terzo, il più surreale, poetico e, paradossalmente, il più autentico. In scena, il quartiere Sanità. Il protagonista? Un Principe senza corpo ma con l’anima ancora viva. Una bara vuota, portata con solennità da Luigi Campoluongo, detto "Nas' 'e cane", amico, protettore e comprimario silenzioso di una vita.
L'invito misterioso 🎟️
Tutto comincia con una mano sulla spalla e un sospiro. Liliana, figlia del Principe, si volta e si trova davanti un uomo dai modi antichi, lo sguardo lucido, le tasche piene di ricordi. Le mostra una foto di un Totò giovane, fragile e fiero. "Questa cosa non può fernire accussì", dice con tono da sceneggiata. Tre mesi dopo, parola mantenuta: in tutta Napoli circolano inviti misteriosi. Cartoncini stampati con cura, inviti a un evento che sembra assurdo ma che tutti comprendono al volo: il terzo funerale di Totò. Quartiere Sanità, luogo natale e spirituale. Una celebrazione più che una cerimonia, un rito collettivo più potente di ogni documento ufficiale.
Una messa senza corpo, ma con tutti i crismi 📿
La chiesa di San Vincenzo è parata a lutto come per un pontefice. I fiori sembrano freschi di pianto, i ceri tremano di emozione. La bara è vuota, sì, ma nessuno se ne cura. Diana, Liliana, Nino Taranto sono lì, non per convenzione, ma per bisogno d’anima. Il prete officia con solennità e fede, benedice l’assenza come fosse presenza tangibile. A Napoli si può benedire anche il ricordo, purché sia vivo. Perché qui le ombre parlano, e spesso fanno ridere.
Il funerale come spettacolo, il vuoto come presenza 🎭
Il popolo partenopeo, regista collettivo della messa in scena, compone un capolavoro corale. Non serviva un corpo, bastava un simbolo. La bara vuota era più piena di significato di qualunque urna. La cerimonia fu più di una messa: fu una consacrazione profana, un rito civile e teatrale, un atto d’amore collettivo. Totò, nella sua assenza, era ovunque. Sulle facce della gente, nei palazzi intorno, tra le lacrime e le risate soffocate. La città intera si fece palco e platea, preghiera e applauso, lutto e festa.
L'inizio del culto 🌟
Da quella giornata straordinaria, il culto di Totò prese forma compiuta. Non era più solo l’attore, il comico, il poeta travestito da saltimbanco. Era diventato Totò il simbolo, Totò il nume, Totò l’intercessore. Al cimitero del Pianto, ogni giorno, fiori freschi, lettere accorate, confessioni sgrammaticate ma sincere. Biglietti del lotto suggeriti in sogno, poesie scritte su carta di pane, preghiere infilate tra i mattoni come ex voto. Totò divenne lo psicologo dei poveri, l’amico degli abbandonati, il santo senza aureola ma con bombetta.
San Totò, protettore dei teatranti e degli ultimi 🕯️
Il presepe napoletano, termometro emotivo della città, lo ha ufficialmente accolto tra le sue figure sacre. Accanto al Bambinello, alla Madonna e a San Giuseppe, c’è lui: Totò, in miniatura, con sorriso malinconico, occhio furbo e la solita bombetta storta. Per Napoli, non è eresia, ma giustizia poetica. La santità non si misura con i miracoli canonici, ma con la capacità di toccare l’anima. Totò l’ha fatto. Con la risata, col dolore, con le sue battute diventate preghiere.
Principe? No, Totò. 👑
Franca Faldini, testimone e custode del cuore di Totò, lo riassume con una frase definitiva: "Il suo titolo più bello è racchiuso nelle quattro lettere del suo nome d'arte: Totò". La nobiltà, quella vera, non viene dai blasoni, ma dalla capacità di restare umani. Totò fu Principe d’animo, aristocratico di popolo, sovrano del sorriso. Gli bastava entrare in scena per scaldare un teatro, per consolare un cuore, per mettere in riga le miserie del mondo con un gesto delle mani.
E così, tra applausi immaginari, lacrime reali e devozioni sincere, Totò continua a vivere. Non nella bara, ma nelle voci dei vicoli, nei film in bianco e nero visti mille volte, nei bambini chiamati Antonio con un pizzico di ironia familiare. Totò è ovunque ci sia un’ingiustizia da ridere, una malinconia da consolare, una battuta da pronunciare al posto di un pianto. Come ogni santo che si rispetti, non è morto: ha solo cambiato indirizzo.
Biglietto d'invito per il terzo funerale di Toto avvenuto a Napoli 22 maggio 1967 (Documento © Archivio Domenico Schembrari)
Il ricordo di Gino Campolongo, nipote di Luigi detto "Nas' 'e cane".
15 Aprile 1967. Data tristissima; mia madre mi racconta che il mio papà tornò a casa dal lavoro prima del tempo piangendo avendo saputo che Totò, il Principe della risata, era morto durante la notte una notte drammatica in cui le sue ultime parole furono: "Portatemi a Napoli". Come lui tanti napoletani tanti italiani piansero quest'uomo che, a distanza di quasi cinquant'anni dalla sua morte, ancora lo ricorda, ride alle sue battute lo considera ancora vivo. Subito la mia Famiglia con l'Associazione Valenziana con Sede in Piazza della Sanità e seguace del Monacone iniziò a preparare il suo funerale forte di un grande sentimento di amicizia cresciuto negli anni di una costante frequatazione; ma al telefono un distrutto Nino Taranto disse a mio zio Luigi Campolongo: “No don Luì, cheste 'llaggia fà io! Mo sento!”.
E così lui, per onore e rispetto di un grande amico del Principe, si fece da parte, si mise in un angolino! Ora dovete sapere che Totò ebbe ben tre funerali il primo a Roma il secondo a Napoli in Piazza Mercato nella Basilica del Carmine organizzato, appunto, dal suo amico Nino Taranto il quale proferì uno struggente discorso dedicato all'amico Totò ed un terzo nel suo quartiere nel rione Sanità. Questo è quello che più ricorda con affetto la figlia Liliana. In un'intervista afferma: “dopo il funerale a Napoli si avvicinò a me un uomo tutto vestito di nero mi fa io sono Luigi Campoluongo mi ricordai che Papà mi raccontava di questo Guappo “Naso di Cane” che era un Guappo come si usava allora che proteggeva il quartiere mi disse questa cosa non può andare così Totò deve avere il funerale a casa sua a' Sanità Le manderò l'invito!” Dopo poco più di un mese (la figlia di mesi ne ricorda tre ma sbagliava era infatti il 22 Maggio 1967) Don Luigi mandò a prendere a Roma Liliana con un'auto che la portò a Napoli nella Sanità e la lasciò davanti la Chiesa di Santa Maria della Sanità - in quella piazza dove da tanti anni si celebrava la serata canora finale della Festa del Monacone a cui Totò, quando poteva, assisteva con piacere e se compiaceva – la Chiesa del Monacone.
Questa era tutta addobbata a lutto all'entrata un enorme drappo di velluto bordò era stato sistemato sul portone dell'entrata della chiesa entrando Liliana scorse da lontano proprio ai piedi dell'altare, una bara una bara che rappresentava la salma di Totò; insomma si svolse un vero e proprio funerale, con tanto di bara, a cui parteciparono anche alcune star dell'epoca tanti attori tanti cantanti ma soprattutto tante persone del quartiere che lo conoscevano e lo amavano: Nino Taranto, Dolores Palunbo le sorelle Diana e Antonella Ungari, Aurelio Fierro, Giosuè Ippolito e tanti altri lo piansero ancora una volta! Scusate la presunzione ma si può dire che con questo funerale sia iniziato il revival di Totò che ancora oggi imperversa! W Totò!!!
Gino Campolongo
Galleria fotografica
🕯️ Il “terzo funerale” di Totò: memoria viva a Napoli
Il 22 maggio 1967 a Napoli, nel Rione Sanità chiesa di San Vincenzo, una bara vuota ha trasformato il dolore in rito popolare: un terzo funerale di Totò ha consacrato per sempre Antonio de Curtis al cuore di Napoli. Tra inviti misteriosi e affetto di quartiere, la città ha scelto di ricordarlo così: con un saluto simbolico che continua a vivere nella memoria collettiva.
Riferimenti e bibliografie:
- Foto e testimonianza di Gino Campolongo, nipote di Luigi Campolongo
- Foto Archivio Carbone - Napoli
- Alberto Crespi, «L'Unità», 11 aprile 2007
- Documenti © Archivio Domenico Schembrari
