Totò ritorna sul video per regalarci qualche ora di serenità

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Ad un anno dalla scomparsa, la TV programma una serie di divertenti film del popolarissimo attore napoletano che seguita a vivere nel cuore della gente e in quello delle donne della sua vita le quali, anche se divise, custodiscono con venerazione la sua memoria.

Roma, aprile

«Antonio lo diceva sempre: malgrado tutto, la vita deve continuare. Per carità, dopo morto non fatemi diventare un monumento». Nella stessa casa dove per quindici anni ha vissuto con lui, Franca Faldini ricorda con noi il suo Totò (lei lo chiama Antonio, è un suo rapporto esclusivo). Lo ricorda a un anno dalla scomparsa, da quel 15 aprile che per milioni di persone divenne il giorno della incredulità, dello sorpresa, del dolore. Era morto Totò, e Totò non doveva, non poteva morire. Può morire Pulcinella? Può andarsene, così, Pantalone? E Gianduia? E Balanzone? E Arlecchino? Totò era l’ultima grande maschera italiana, che aveva interpretato l’uomo a cavallo della guerra, quell’uomo disarticolato e tragico, beffardo e indisponibile alla logica delle dittature.

«Non fatemi diventare un monumento». Franca Faldini sta rispettando la raccomandazione di Totò. Nel salone di questa casa — dove gli stucchi, certo gusto dei rasi e dei broccati, le spesse cornici d’oro dei quadri, testimoniano ancora della ingenua volontà di Antonio de Curtis d’essere principe — Franca Faldini è seduta sul sofà dove l’attore era solito adagiarsi mentre conversava con i giornalisti. E’ una bella donna di trentasette anni. Le sue mani abbandonate nel grembo, mentre parla di lui, dicono che il suo animo galleggia ancora, teneramente, nella memoria di «Antonio».

«Sì, la vita è cambiata, da qualche mese faccio qualche cosa per il cinema. L’ambiente di allora, quasi non lo frequento più. Va bene che Antonio preferiva starsene a casa... e adesso mi sento veramente sola... sì, anche prima eravamo un po’ tagliati fuori, casa e lavoro, ma sono stati quindici anni indimenticabili e dolcissimi».

Criticata e odiata

Questa donna fu criticata. E anche odiata. Fu criticata quando, a soli ventidue anni, entrò nella casa del grande attore, già maturo. Tutti credettero che volesse profittare della situazione, che volesse far carriera nel cinema. E invece non fece che pochissimi film, di malavoglia. La sua professione, la sua vocazione, fu quella di essere la compagna di Totò. Per questo fu odiata. Fu odiata anche quando la gente che aveva trovato a ridire su questa unione fu smentita dalla sua fedeltà, dal suo disinteresse, dal suo amore.

Niente matrimonio

«E adesso rimpiango molto quel tempo: un uomo eccezionale. Adesso, sola in mezzo agli altri, posso constatare quanto fosse unico, eccezionale appunto. «No, della famiglia di Antonio non ho più visto nessuno...». Ma su questo argomento non vuol parlare, Franca Faldini. Preferisce parlarmi ancora di lei, che è come parlare di Antonio. E mi indica Peppe, il barbone di dieci anni, che era il grande amico di Totò.

Mi dice anche che, no, non è vero che si sposarono. E dal momento che non è vero che si sposarono, non è vero che a lei è andata una consistente eredità. Lo stesso appartamento dove ha vissuto con Totò, e che tuttora occupa, è di proprietà della madre di Franca. Sì, ora la madre è venuta a vivere con lei.

«Antonio voleva sposarmi, lo poteva, il suo matrimonio con Diana Rogliani era stato annullato fin dal 1939. Ma, allora, non si viveva come cani e gatti; le due parti, voglio dire, i parenti di lui e io. Ed è tanto brutto che adesso ci siano queste due parti contrastanti. Io, adesso, perchè dovrei vergognarmi di dirlo? Sono semplicemente Franca Faldini. Antonio mi presentava come la principessa de Curtis, per lui era così. Ma ora tengo a stabilire, e con orgoglio, che fui la sua compagna. Mi giudichino come gli pare».

La giudichino, sì, come gli pare. Lei non ha dato scandalo. Fu una fedelissima sposa, compagna, amante, amica e — questo sì che si deve dire — infermiera. Negli ultimi anni l’attore era diventato pressoché cieco. Lavorava ancora perchè sostituiva la vista con la grande esperienza, con un eccezionale intuito, anche delle cose tecniche. E si gloriava di aver sempre lavorato e di non aver portato alla rovina alcun produttore: «E lo sapete perchè? — diceva. — Perchè io ho chiesto sempre poco, non più di trenta milioni a film. Così io avevo un lavoro stabile, assicurato, e quelli non fallivano».

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Non mostra il suo dolore

Se Franca Faldini è oggi, così, piena di tenerezza per un ricordo incancellabile, non è certo per convenienza, non è certo per mostrare agli altri come si conserva una eredità di affetti. Nè si preoccupa di mostrare all'esterno il suo dolore. Lei, ha una intimità sincera che vuole che sia rispettata: «I miei ricordi, il mio rispetto per lui, per Antonio, sono dentro di me. Perchè dovrei farli vedere a tutti, come una bandiera alla finestra?».

Il mondo, il mondo dell’arte, si è ricordato, si ricorda di Totò? Qui ritorna la faccenda del monumento, quel desiderio dell’attore di essere ricordato più come uomo che come maschera. Benché la maschera rivelasse l’uomo. Un solo ricordo, tangibile, si è avuto di Totò: quando, al Festival di Sorrento dell’autunno scorso, è stata consegnata ad Alberto Sordi, quale migliore attore dell’anno, una statuetta raffigurante Totò. Ne avrebbe riso lui stesso, siamo sicuri, di quel piccolo accenno al monumento, di quel ricordo della sua bombetta.

La tragedia

La sua bombetta, che non era quella di Charlot, per carità. Era tutta italiana, tutta napoletana. Come quel frac con le code risecchite, come quei pantaloni troppo corti che mostravano la assurdità dei colori dei calzini. E dentro c’era lui, che faceva ridere la gente, che la fece ridere dal 1916, quando ancora non era Sua Altezza Reale il principe Antonio de Curtis Gagliardi Ducas Comneno di Bisanzio, fino a poco tempo prima che dicesse «oddio, mi sento male, Franca, ched’è?». Era, purtroppo, la sua tragedia. Alla quale nessuno voleva credere. Nessuno voleva credere perchè proprio in quell’ultimo periodo il cinema — ahinoi troppo tardi — s’era accorto che Totò non solo era un grande attore comico, ma un grandissimo attore tragico. E la sua interpretazione in «Uccellacci e uccellini» aveva detto che Antonio de Curtis aveva iniziato il secondo periodo della sua carriera artistica.

Un tempo tragico troppo breve perchè si possa mettere a paragone con la lunga stagione della celebre maschera. Le cui vestigia sono oggi custodite in una casa a ridosso di Villa Borghese. Qui abita Liliana de Curtis, la figlia che Totò ebbe dal matrimonio con Diana Rogliani.

Gelose reliquie

La giovane signora, che vive separata dal marito, il produttore Franco Buffardi, ha due figli, Antonio, di sedici anni, che studia in un collegio di Losanna, e Diana, di tredici. E anche in questa casa Totò vive per quello che fu come padre, come marito, come attore. E’ Liliana che custodisce, gelosissime reliquie, la bombetta e il frac del padre, cinque o sei poesie manoscritte (Totò fu un delicatissimo poeta romantico e crepuscolare), qualche medaglia ricevuta nelle solite manifestazioni con la partecipazione straordinaria di...

Questa giovane signora con la quale la vita non è stata certo generosa, è stata la prima sincera amica di Franca Faldini. E Antonio de Curtis era felice di questa unione che lo riportava a un clima familiare che lui aveva sempre sognato. Il suo bisogno di «voler bene a tanta gente» lo indusse anche, a un certo punto, a fare una strana proposta alla sua ex moglie: «Trasferisciti qui accanto a noi, c’è un appartamento libero, staremo tutti più vicini, così».

La signora Diana Rogliani non accettò. Preferì stare vicino alla figlia che già allora aveva dovuto amaramente constatare il fallimento del proprio matrimonio con il produttore Buffardi. Di questo rifiuto Totò si consolò subito perchè vide che Liliana e Franca andavano molto d’accordo, aumentavano la giovinezza, quando s’incontravano, in quella casa forse troppo solenne.

Oggi, invece, Franca e Liliana hanno rotto i rapporti. Non si vedono più. Per non parlare poi di Diana Rogliani la quale ha visto Franca una sola volta, ai funerali dell’attore. Intravista, per meglio dire, per via del fitto velo nero che le copriva il volto.

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La rottura

Quali i motivi della rottura fra le due signore? E’ difficile scoprirli. Nessuna delle due vuole parlare, e questo certamente fa onore al rispetto che hanno di se stesse, della loro intimità, della memoria del loro caro. Ma gli amici delle rispettive fazioni lanciano accuse e assumono difese, che, siamo sicuri, non sono nè sollecitate nè richieste.

Figuriamoci se Totò — dicono gli uni — non avrà pensato prima di morire a fare testamento, lui così napoletano, lui che faceva corna e bicoma ad ogni accenno di morte o comunque di disgrazia. E questa situazione non è nemmeno l’antimonumento che lui desiderava: l’essere ricordato cioè con affetto. Lasciamo dunque la memoria intima dell’attore alle donne che lo custodiscono in sè. E noi prepariamoci a vederlo di nuovo, vivo e reale, in televisione. Un piccolo, sommesso omaggio attraverso alcuni suoi film: «Il coraggio», «Quarantasette morto che parla», «I tartassati» e «La banda degli onesti».

Luciana Tabacchi, «Settimana TV», anno XV, n.15, 13 aprile 1968


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Luciana Tabacchi, «Settimana TV», anno XV, n.15, 13 aprile 1968