Dove sono finiti tutti i soldi di Totò?
L’attrice, che ha trovato un lavoro come esperta di pubbliche relazioni, ci ha rivelato: «Quell’eredità è la pagina più amara della mia vita. Tutto è andato alla figlia di Antonio: che diritto potevo mai far valere io? Perché non porto il lutto? Perché a lui non sarebbe certamente piaciuto»
Saint-Tropez, giugno
Fa caldo. Minigonne ridottissime. Il porto è già pieno di yacht. «Choses» è un negozio di «cose per signora», che ha ormai filiali o imitazioni in tutte le strade eleganti del mondo. Sotto il tendone azzurro di questa boutique all’aperto, protesa verso il molo, incontro Franca Faldini: nera come una mulatta, grossi orecchini, un camiciotto eccentrico acquistato a Portorico e che le scende sino ai piedi; sta tra il barracano e una castigata camicia da notte. A Saint-Tropez ha fatto un salto da Cannes dove si trova per ragioni di lavoro. Non fa più l’attrice, ma nel mondo del cinema in cui era stata calata per anni, ha voluto rimanere. Si occupa di pubbliche relazioni e in questo momento lavora per l’Ital-Noleggio: a Cannes è tornata per coordinare certi impegni che il festival, naufragato all'improvviso, non le aveva permesso di definire. Totò è morto da più di un anno, e nessuno si scandalizza se la sua compagna, trascorso il periodo che la consuetudine latina indica di «dovere», abbia tralasciato il lutto per vestiti colorati, minuscoli bikini, «mises» di un eccentrismo che sbalordisce.
«No, no», m'interrompe la Faldini. «Il lutto non l’ho mai portato. La gente può pensarla come vuole. Non ho messo il lutto perché non me la sentivo di addobbarmi con paramenti neri. Il dolore è qualcosa che si nasconde dentro. Anche ad Antonio non sarebbe piaciuto vedermi conciata come certe vedove che egli beffava grottescamente nelle sue gags. Una volta, quando persi quel figlio che avevamo tanto desiderato, mi consolò dicendo: "Non bisogna rifletterci troppo. La vita continua. Quello che è stato è stato. Abbiamo il dovere di guardare avanti”. Antonio era un compagno indimenticabile. Ha arricchito la mia vita e le ha dato un senso per suini. Ora se n’è andato. È una morte che mi lascia però serena. Certe persone hanno tanta forza da riempire l'esistenza degli altri anche quando non ci sono più. li suo ricordo mi accompagna. Ma la vita è la vita. Non potevo piangere in pubblico per lui. Sono una donna giovane, ho trentasei anni: ho il diritto di guardare al futuro...».
Ora camminiamo. C'è un caffè di fianco al «Mic-Mac», il negozio che la Bardot e Gunther Sachs hanno aperto sulla piazzetta. «Qui», spiega la Faldini, «passavamo le notti quando c’era mare grosso. Lei sa che Antonio adorava il mare. Avevamo una bella "barca’’ con due marinai. Antonio amava solo il mare tranquillo. Glielo dico ora che non c’è più: era timido e pauroso. Certe "traversate” (mettiamo da Fiumicino a Sanremo) gli davano I brividi. Cosi, per venire in vacanza sulla Costa Azzurra, raggiungevamo in vagone letto Bordighera. Nel porticciolo si dondolava il nostro yacht. Prima di salire Antonio andava al mercato. Comprava le cose che non si trovano in Francia: gli spaghetti, e una forma di parmigiano. E poi via, lungo la costa, lentamente, verso Saint-Tropez.
«Ma anche quando eravamo agganciati a uno degli anelli di questo molo, un po' di vento, un po' di bufera lo trovavano inquieto. Il rollio più violento della barca, talvolta, nella notte, svegliava anche me. Guardavo al mio fianco: Antonio non c’era. Sapevo dove trovarlo. In coperta con la vestaglia sul pigiama, un cappello in testa e la cassettina dei valori sotto il braccio: in silenzio, nel buio. "Franca", mi avvertiva. ”La prudenza consiglia l’abbandono della nave. Piglia ’e valige e ce ne andiamo in albergo’’. Inutile rassicurarlo: che il porto fosse sicuro, che il mistral stesse per spegnere la sua forza non gli davano alcuna garanzia. Allora scendevamo, ma gli alberghi erano invariabilmente gonfi di avventori. Attendevamo l'alba, avvolti in sciarpe, infagottati in giacconi, sulle poltroncine di questo caffè...».
MI ha detto che lavora. Perché? Non si era favoleggiato di una grossa eredità lasciatale da Totò?
« Quell’eredità... È la pagina più amara della mia vita. Non per il denaro, perché quello c’è sempre modo di guadagnarlo, come sto facendo adesso, ma per gli intrighi e le polemiche talvolta di cattivo gusto che su quei quattrini si sono accesi. È una storia complicata. Vorrei dimenticarla. In due parole (ma proprio due), eccola. Con la figlia di Antonio eravamo amiche. La sera in cui Antonio stette male, le telefonai. Venne subito. GIi fummo molto vicine fino alla morte. Poi lei tornò a casa dopo avermi abbracciata. Quando il mattino dopo la rividi era un’altra donna. Non volle nemmeno che a liquidare gli affari ci pensasse l’avvocato che da anni si occupava delle pratiche di Antonio. Fu un suo legale a trattare tutto. Da quel momento i nostri rapporti sono divenuti inesistenti. Al funerale, dietro alla bara, si è svolta una specie di commedia: da una parte piangevano la figlia e la ex moglie, dall’altra c’ero io, da sola. Soltanto gli amici più cari di Antonio come il conte e la contessa Gaetani e il conte Fabrizio Sarazani, che mi avevano visto vivere accanto a lui per quindici anni, mi hanno dato una mano».
Ma allora chi ha ereditato?
«La figlia, naturalmente. Era lei l’unica ad averne diritto. Con Antonio non ero sposata...».
Ma il matrimonio di Lugano?
«Fu una sua invenzione. Era stanco di leggere sui giornali: "Abbiamo visto Totò con la fidanzata Franca Faldini”, e quel "fidanzata” sempre tra virgolette, come per sottintendere ironicamente e con malizia la verità. La verità era che vivevamo assieme senza essere marito e moglie. E allora si inventò quel misterioso rito nuziale svizzero per non sentirci coperti ogni volta di ridicolo».
Ma Totò poteva sposarsi, almeno all’estero. La sua prima moglie lo ha pur fatto. Come mai a voi due non è stato possibile?
«È un discorso lungo. Antonio avrebbe voluto che diventassi sua moglie e io, in un primo tempo, ero della stessa idea. Poi, dopo l'Incidente agli occhi e la lenta penosa perdita della vista, il carattere di Antonio cambiò. Era sempre stato geloso, lo divenne in maniera folle. Cercava di nasconderlo, ma non vi riusciva. Se mi sentiva ridere con qualche ospite si incupiva, cessava di parlare. Lui non usciva mai di casa, e io restavo sempre a fargli compagnia. Talvolta gli chiedevo di andare al cinema con un’amica di famiglia, oppure a teatro, o, che so, a qualche ricevimento in casa di conoscenti comuni. Succedeva una o due volte al mese. A lui non piaceva uscire, e mi lasciava andare malvolentieri. Al ritorno, lo trovavo in piedi che mi aspettava. "Sono cose che puoi fare adesso che sei libera, ma un domani che diventassi mia moglie sarebbe tutto finito...", brontolava un po' arrabbiato. Così, l'idea ili essere libera per dare al nostro rapporto una sua dimensione, per evitare che l’ipocrisia ci imponesse di essere uniti quando fosse nostro desiderio tornare indipendenti, mi consigliò di evitare la costrizione di un’unione formale. Gli spiegavo: "Antonio, ci vogliamo bene lo stesso. Perché sposarci? Ormai è troppo tardi per farlo. Lasciamo perdere...”. Ecco perché per l’anagrafe sono ancora Franca Faldini».
Ma non ha pensato al suo futaro? Non gli ha mai chiesto di fare testamento?
«Per carità! Antonio, da buon napoletano, era molto superstizioso. Provai ad accennargliene una volta, e fu un finimondo di scongiuri. Del resto, né io né lui si pensava alla morte. E' successo tutto all'improvviso.
Perché ora è venata a Cannes? Mi ha detto di essersi messa a lavorare; ma qual è il suo lavoro?
«Ho cominciato a lavorare, perché devo pur vivere, ed evidentemente mantenere quel certo tono di vita a cui ero abituata. Perciò faccio molte traduzioni dall’inglese per una casa editrice di Milano e, di tanto in tanto, accetto incarichi di pubbliche relazioni nel campo della moda o in quello cinematografico. Proprio per questo sono venuta a Cannes, in occasione del festival».
E non pensa di tornare a fare l’attrice? Di certo avrà avuto più di un’offerta...
«Sono sempre stata una pessima attrice. Proposte ne ho avute, ma erano offerte che miravano a catturare un nome divenuto noto di riflesso. E poi, ormai, è tardi per ricominciare».
La storia di Franca Faldini attrice è quasi misteriosa. Una ragazza fiorente parte nel 1951 per gli Stati Uniti. Si è diplomata in inglese, vuole fare del cinema, ha legato il suo nome a quello di Errol Flynn («Che non è stato per me quello che la gente crede. Un gentiluomo, una specie di fratello: ho fatto da damigella al suo matrimonio»). A Hollywood sfonda di colpo. L'arroganza del busto, la dolcezza degli occhi la fanno paragonare a Dorothy Lamour. Hai Wallis, che è un big della produzione, la lega per sette anni alla Paramount. Gira un film (Attenti marinai), viene eletta «Miss forze di occupazione», e «Miss Cheesecake», cioè reginetta «torta di formaggio». Ma in Italia nessuno se ne accorge. La guerra è ancora vicina, stiamo appena uscendo dalla fame. I quotidiani escono a quattro pagine. Si parla di guerra fredda, di quel che succede in Corea: solo Coppi alimenta, pedalando, le righe frivole della cronaca. Nel 1952 la Faldini torna a Roma; e Oggi le dedica una copertina. Si racconta che Franca abbia gambe bellissime (ma pudicamente si guarda bene dal mostrarle troppo in pubblico), tanto belle da entusiasmare un industriale che le fece un regalo straordinario: un paio di calze tessute con fili d’oro. Forse fu soltanto una trovata pubblicitaria, ma erano storie bizzarre che aiutavano la gente a evadere da una realtà ancora grigia. Totò vide quella foto. La ragazza gli ricordava un'attrice che gli era molto piaciuta: Silvana Pampanini. Telefonò in redazione per conoscere l'indirizzo della Faldini. Le mandò un mazzo di rose con un biglietto che chiedeva di conoscerla. Così s'incontrarono, così si aprì quella parentesi che doveva durare quindici anni e che si è appena chiusa. Ora Franca Faldini non è più giovanissima, ma è ancora molto bella.
Ricomincia dunque a vivere a trenta sei anni. Come giudica la sua età?
«Un’età meravigliosa. Sono abbastanza matura per non commettere errori, e abbastanza giovane per godermi il mondo. E mi sento giovane, sa? Mi piace la musica, mi piace la gente. Dopo la morte di Antonio mi sono subito tuffata fra la gente, e me lo hanno rimproverato. Critichino pure. Farò sempre quel che voglio. L'ho fatto anche quando i benpensanti mi biasimavano per una relazione con un uomo tanto più anziano di me. Non sapevano com’era giovane Totò».
Maurizio Chierici, «Oggi», anno XXIV, n.24, 13 giugno 1968
Maurizio Chierici, «Oggi», anno XXIV, n.24, 13 giugno 1968 |