Franca Faldini, la vedova di Totò

Totò Franca

Un ritratto toccante della donna che ha vissuto accanto al grande attore, fatto dalla nostra Mimmina Quirico, sua carissima amica.

Franca Faldini, quando conobbe l'attore e se ne innamorò, era giovanissima, bellissima, ricca, corteggiata, e aveva già girato un film a Hollywood, Totò le mandò un fascio di orchidee e un biglietto che diceva: «Con tanta ammirazione e la speranza di conoscerla». La loro è stata un'unione perfetta, senza ombre. Di suo marito Franca diceva: «Quando un uomo è così gli anni non contano».

Roma, aprile

Uno squillare incessante del telefono. E' ancora notte, neanche le quattro, sollevo il ricevitore, mi arriva soltanto un pianto accorato, e poi poche parole che fatico a capire, dette cosi, smozzicate, tra un singhiozzo e l’altro: «Antonio è morto. Un infarto».

E’ la mia cara amica Franca, Franca Faldini, con la quale in tanti anni ho passato ore e ore al telefono. «Ma che vi racconterete? — ci chiedeva sempre Totò —. Il telefono è fatto per dirsi: Ciao, come stai? Come sta la mamma? Come sta Antonio? E per fissarsi un appuntamento dove poi ci si vedrà e ci si racconterà quello che voi invece vi dite attaccate a quel filo nero».

1952 Antonio de Curtis Franca Faldini 004

Pareva il suo destino di stare sempre in ansia

La donna che mi viene incontro e che si stringe a me senza parlare, non ha neanche più lacrime, e i suoi occhi celesti, quegli occhi ai quali Totò aveva dedicato una delle sue più belle poesie, sembrano spenti, affogati in un mare di dolore.

Non l’avevo mai vista in questo stato, neanche quando le era morto il papà che adorava, ma che da anni era malato. Lei viveva con l’incubo che se ne andasse, e cosi non le si poteva telefonare la sera tardi, né quando era fuori Roma, perché si spaventava, e pensava subito che gli fosse accaduto qualcosa. Povera Franca, quello di stare in ansia per qualcuno è sempre stato un po’ il suo destino, tranne nei primi anni della nostra conoscenza.

Avvenne all’Istituto britannico, nel '47. Aveva 16 anni, ma era già una ragazza splendida che la gente si voltava a guardare, e che sembrava assurdo che la mamma e il papà trattassero ancora come una bambina «Franca non può uscire la sera» dicevano. Era una famiglia unitissima. Il papà Davide, rappresentante di tessuti all'ingrosso, la mamma Costanza Tedaldi, di una nobile famiglia mantovana, e quella ragazzona dal fisico aggressivo, sembravano non poter vivere l’uno senza gli altri.

Franca era nata dopo molti anni di matrimonio, e l’avevano tirata su spiando ogni suo respiro, e curando la come una cosa preziosa, da difendersi a ogni costo. Scuola privata, villeggiature sulle Dolomiti, villa sopra Fiesole, dove il paesaggio era splendido e la vita bella e tranquilla. Poi con la persecuzione razziale, Franca incominciò a sapere che cosa era il dolore e la paura, che cosa significava il doversi nascondere e non sapere più niente dalla mamma che era rimasta a Roma, mentre lei e il papà vagavano da un posto all'altro. Quando il pericolo passò, prese il suo bravo diploma da maestra, come ogni ragazza di buona famiglia, e poi quello di Cambridge al British Institute.

Fu allora che i genitori si rassegnarono a farla uscire anche la sera, ma «a mezzanotte a casa», e non c’era verso che lei sgarrasse di un minuto. Non si rassegnarono però quando seppero che si era innamorata di un ragazzo, «il ragazzo sbagliato», e quando a questo flirt segui l’immancabile delusione, decisero di mandarla per qualche tempo ospite di Jacqueline Come, una loro ami ca americana. Cosi Franca partì felice e contenta alla scoperta degli Stati Uniti.

Volle visitare Hollywood, e un giorno, mentre era a colazione negli studi della Paramount, entrò Hall Wallis, il produttore. «Chi è quella bellezza esotica?» chiese. E le firmò un contratto di 7 anni. A lei non parve vero. Fare l’attrice a Hollywood! Ma si stancò subito. E dopo aver girato con Jerry Lewis e Dean Martin «At sea with the navy», volle ritornare in Italia. Aveva troppa nostalgia di Roma e dei suoi.

I giornali italiani pubblicarono le sue fotografie. In America, aveva avuto successo e l’avevano perfino eletta «Miss Chesscake», miss forma di formaggio. Totò vide una sua foto su una copertina. «Con tanta ammirazione e con la speranza di conoscerla», le scrisse in un biglietto che accompagnava un fascio di orchidee. Franca gli rispose ringraziandolo, ma aggiunse che era sua abitudine conoscere la gente solo attraverso una regolare presentazione. Il giorno dopo si vide arrivare un altro fascio di fiori, e il biglietto diceva: «Dal momento che i miei fiori non sono graditi rinuncerò alla gioia di poter continuare a mandargliene altri», ma intanto cercò un amico comune che lo presentò, e da allora non si lasciarono più.

Sposarono in Svizzera nel 1954, segretamente, senza dirlo a nessuno. La Franca di un tempo che viaggiava con facilità da un continente all’altro, che si divertiva a ballare la conga più sfrenata e a partecipare di tanto in tanto a qualche film, si trasformò come per incanto in una signora posata che usciva soltanto raramente e sempre con Totò, che riceveva pochissimi amici, quelli che piacevano a Totò, che regolava le sue ore e le sue abitudini su quelle di Totò. «Non approvo l’uguaglianza dei sessi: io sono rimasto indietro, sono antico — mi disse un giorno Totò —. Per me la donna deve stare a casa e sentirsi coccolata, e l’uomo essere il capo, quello che decide: "questo si fa, questo non si fa". Lo so, è un concetto superato, ma io non posso cambiare la mia maniera di pensare. La donna è differente dall’uomo, è un complemento dell’uomo, e se tutti e due hanno le stesse abitudini e la stessa libertà, è il caos ».

Si finiva per fare tutto ciò che voleva lui

«Ma tu come fai?» domandai un giorno a Franca. Lei rispose: «Gli voglio bene, e poi è un uomo talmente eccezionale che si finisce per fare volentieri tutto quello che vuole lui».

Nel 1954 Franca rimase in stato interessante, ma il 12 ottobre perse il bambino all'ottavo mese per albuminosi gravidica.

Stava recitando in «A prescindere», l'ultima sua rivista, quando Totò a Milano fu colpito da una polmonite virale. «Fatemi guarire in fretta, non voglio che quelli della compagnia per colpa mia facciano la fame», disse ai medici, e si guardò bene dal seguire il riposo assoluto che questi gli avevano ordinato. Cosi una sera mentre era in scena, a Franca, che proprio in quel periodo sostituiva la soubrette ammalata Franca May, sussurrò: «Non vedo niente».

Gli strapazzi, la stanchezza avevano acutizzato un suo vecchio male agli occhi. Per quasi un anno fu completamente cieco, e vide con gli occhi di Franca, che gli stava vicino giorno e notte, che gli leggeva il giornale, e gli raccontava del tempo, dei cagnolini, degli amici, che lo consolava quando si lasciava prendere dallo sconforto. Le cure lo salvarono. Si riprese bene. Vedeva soltanto «in periferia», questo è il termine medico, ma naturalmente il suo carattere ne risentì. Divenne ancora più chiuso, schivo, desideroso di solitudine. Passava giornate intere senza voler parlare, «a pensare», come diceva, e Franca allora lo lasciava solo, e se ne stava nella sua stanza, ad aspettare che «gli passasse» e la chiamasse, per riparlare con lei di tutto e di tutti.

Ecco il perché delle nostre lunghe telefonate. Aveva molto tempo a disposizione. Totò non aveva piacere che uscisse sola. «Sei troppo bella — le diceva — e poi sei la mia donna», e Franca lo capiva. La mattina si tratteneva in casa; aspettava che si svegliasse, e mentre lui si faceva la barba gli teneva compagnia, poi si sedevano a tavola insieme. Totò amava i piatti semplici, come pasta e fagioli, e il baccalà.

All'una e mezzo Totò usciva, andava sul set, e Franca correva a trovare la mamma, che ormai era rimasta sola. Alle sei era già a casa e aspettava che lui tornasse. Quante volte parlando con me al telefono, a un tratto mi salutava bruscamente. «Ecco Totò» — diceva. E gli correva incontro; lo riconosceva dalla suonata alla porta, tre squilli brevi. Peppe, il cagnolino, incominciava a abbaiare come un pazzo.

«Scusa che debbo andare di là con lui, altrimenti si offende», diceva Totò a Franca, e correva nella sua camera seguito da quella bestiola festosa con la quale giocava e scherzava come un ragazzino. Poi raggiungeva Franca, e mentre si struccava lui gli raccontava del lavoro. Quindi, si metteva in vestaglia — in questo era molto napoletano —, cenavano e poi guardavano la televisione che a lui piaceva molto.

Dopo l'ultima trasmissione, Franca prendeva il giornale e glielo leggeva tutto, dalla prima pagina all'ultima, soffermandosi in particolare sulla cronaca nera. «Ma tu che ne pensi, l’ha ammazzato lui? — mi domandava quando c'era qualche delitto importante e misterioso —. Ma al giornale che dicono?». Verso le tre andavano a dormire, ognuno nella propria camera. Soltanto quando la sera Totò aveva qualche sceneggiatore o qualche amico intimissimo che gli teneva compagnia, Franca combinava di uscire. Di solito si andava a un teatro, o a un cinema, e di solito era con me che Totò la mandava volentieri.

Alla fine dello spettacolo, salendo in macchina, Franca mi chiedeva: «Ti dispiace se mi faccio accompagnare prima io? Ho paura che sia tardi e che Totò sia rimasto solo». L'estate andavano in vacanza sulla costa francese, non per snob, ma perché là conoscevano poco Totò e lo lasciavano in pace. A lui piaceva molto il mare, ma da quando si era ammalato alla vista non poteva prendere sole, e allora si riparava gli occhi con un paio di occhiali neri e con un cappello di paglia, si metteva all'ombra, e Franca accanto a lui, a tenergli compagnia, a raccontargli quello che accadeva intorno.

Soltanto l'anno scorso Franca decise di fare una crociera sola, in compagnia della mamma. Totò prima disse che sarebbe andato, ma poi ci ripensò, e sembrò un po' seccato che lei andasse via lo stesso. Ma quando Franca sbarcò a Napoli lo trovò nella hall dell'albergo che l'aspettava con un mazzo di rose rosse.

«Non ti preoccupare, ci sono io» — la rassicurò appena pochi giorni fa in un momento in cui Franca si mostrava angustiata per l’età della mamma e gli aveva detto: "Se mi venisse a mancare, come farei?''.

«Perché, vedi, Mimmina — mi ha spiegato proprio ieri — della differenza che c'era tra me e lui non me ne accorgevo neanche. Quando un uomo è così gli anni non contano. Era giovane fisicamente e moralmente, e sapeva riempire in tutti i sensi la vita della sua donna».

Ed è rimasta a fissarmi con gli occhi azzurri, immensi, asciutti, vuoti.

Mimmina Quirìco, «Tribuna Illustrata», anno LXXVII, n. 18, 30 aprile 1967


Il Piccolo
Mimmina Quirìco, «Tribuna Illustrata», anno LXXVII, n. 18, 30 aprile 1967